this must be the place - università iuav di venezia

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Iuav : 125 RODEN CRATER pAINTED DESERT Giornale edito a conclusione del Viaggio Studio al Roden Crater (AZ) USA 17 Settembre > 29 Settembre 2011 promosso da Agostino De Rosa in collaborazione con ProViaggiArchitettura docenti Agostino De Rosa Giuseppe D’Acunto Francesco Bergamo Isabella Friso Gabriella Liva Cosimo Monteleone a cura di Isabella Friso Gabriella Liva Università Iuav di Venezia Santa Croce 191 Tolentini 30135 Venezia tel 041 257 1644 www.iuav.it © Iuav 2010 Iuav giornale dell’Università iscritto al n 1391 del registro stampa tribunale di Venezia a cura del servizio comunicazione [email protected] ISSN 2038-7814 direttore Amerigo Restucci stampa Grafiche Veneziane Venezia This Must Be the Place Agostino De Rosa Università Iuav di Venezia Il mio primo incontro ‘fisico’ con James Turrell risale al Settembre del 2004, a Parigi dove lo raggiunsi per l’inaugu- razione di una sua mostra, presso la galleria Almine Rech. A partire dal 2002, avevamo avuto modo di sentirci frequentemente al telefono e via e-mail perfezionando, inconsapevolmente, le condizioni di quell’incontro che, alme- no per me, risultò fatidico. Ad acco- gliermi nella hall dell’Hotel du Boucy trovai, oltre a sua moglie, Kyung-Lim Lee, un uomo ad un tempo mite e deci- so, esatta incarnazione di una tipolo- gia di sincero e devoto quacchero che imparai presto a riconoscere e ad apprezzare. La barba e i capelli canuti, nonostante la relativa giovane età, deli- neavano i tratti somatici più di un pro- feta biblico che di una delle star del panorama artistico internazionale. L’affabilità dei modi e la profondità dell’attenzione prestata ai contenuti della conversazione che andava dipa- nandosi, nonostante le inevitabili trap- pole linguistiche in cui cadevamo reci- procamente, mostravano la sua straor- dinaria attitudine all’ascolto, controbi- lanciata solo dalla generosità di infor- mazioni tecniche che, nel corso delle successive tre ore, elargì a profusione. In quell’occasione, Jim ebbe modo di vedere de visu, per la prima volta, le elaborazioni digitali che l’équipe da me diretta, presso l’Università Iuav di Venezia, aveva realizzato nei due anni precedenti. Si trattava dei disegni, dei renderings e delle animazioni ottenu- te da un clone digitale di un progetto al quale l’artista californiano aveva dedicato gli ultimi trent’anni della sua vita, il Roden Crater project e che noi avevamo tentato di ricostruire, sfrut- tando le potenzialità fornite dai nuovi strumenti di rappresentazione eidoma- tica: il progetto consisteva nella realiz- zazione, all’interno di un cratere vulca- nico spento, situato nel nord-est dell’Arizona, di un insieme di camere ipogee, collegate da tunnels, anch’essi sotterranei, predisposte per accogliere la luce desertica – diurna e notturna –, offrendola così ai visitatori secondo modalità che l’artista aveva sperimen- tato in vitro nelle sue celebri installa- zioni luminose. Ogni camera avrebbe anche svolto una funzione astronomi- ca, orientata com’era, grazie ad appo- site aperture, verso una specifica regio- ne celeste in cui sarebbe avvenuto un particolare fenomeno solare, lunare o stellare. Naturalmente, cercai di repe- rire tutto il materiale bibliografico disponibile sull’argomento: le molte letture mi convinsero dei profondi fon- damenti scientifici di quest’opera che, per essere concepita e realizzata, sem- brava richiedere un coacervo di com- petenze impressionante: architettura, ingegneria, astronomia, archeo-astro- nomia, fisica, geologia, antropologia etc., erano discipline che sembravano trovare un comune orizzonte applica- tivo nell’opera visionaria di James Turrell. I disegni allora disponibili, ese- guiti dallo stesso Turrell a partire dal 1974, o da alcuni architetti, grazie alle generose donazioni del Conte Giuseppe Panza di Biumo, mostravano i rilievi topografici del cratere ai quali venivano sovrapponendosi le piante dei futuri spazi ctonii; le sezioni mongia- ne, praticate sul copro del vulcano spento, rivelavano arcani allineamenti di tunnels e spazi con specifici punti della volta celeste; modelli fisici in scala dei singoli ambienti ne rivelavano caratteristiche configurative molto prossime alle scelte formali degli archi- tetti rivoluzionari francesi o a quelle dei minimalisti americani e giapponesi con- temporanei. La reale comprensione del progetto e delle sue plurime funzioni, terrestri e siderali, tuttavia, era affidata principalmente alle descrizioni verbali fornite dallo stesso Turrell e raccolte, da intervistatori occasionali o da storici del- l’arte, in articoli e saggi. Nel 2000, personali vicende accademi- che mi condussero all’allora IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia) in veste di docente, e in quel nuovo ruolo decisi di inaugurare un filo- ne di ricerca sul carattere interdiscipli- nare dell’opera di James Turrell: più o meno risale a quegli anni l’idea, sincro- na alla rapida evoluzione dei program- mi di modellazione e restituzione cromo- luministica computerizzati, di creare un modello digitale del Roden Crater project che cercasse di prefigurarne, non solo il compiuto aspetto finale, da un punto di vista architettonico e paesag- gistico, ma anche la funzione di osser- vatorio ad occhio nudo di particolari eventi astronomici. Il passo successivo era convincere James Turrell dell’inte- resse scientifico e documentale del lavo- ro dell’équipe veneziana, affinché ci affi- dasse la documentazione originale di progetto sorretta dalle sue preziose spie- gazioni: le finalità e il carattere di un’o- pera che richiedeva tempi molto lunghi per essere completata, si sarebbero potute comunicare più agevolmente con le moderne tecnologie info-grafiche, e la nostra disponibilità, in tal senso, era totale. Così decidemmo di offrirla a Jim, con semplicità e immediatezza, e ciò fu reso possibile grazie all’attività di media- zione del Conte Giuseppe Panza di Biumo, straordinario collezionista e intellettuale italiano, che immediata- mente comprese la natura del nostro lavoro e, con entusiasmo, se ne fece portavoce presso l’artista californiano. Infrante le prime barriere, i contatti con James Turrell si fecero più frequenti e proficui, fino al primo incontro diretto avvenuto, come ricordato, a Parigi nel Settembre del 2004. Da allora, ho avuto modo di approfondire la conoscenza dell’uomo e dell’artista nel corso dei molti incontri succedutisi in Europa e in USA, e che sono culminati nei nume- rosi viaggi al Roden Crater (Arizona) a cominciare da quello dell’autunno 2006, seguito da molti altri, spesso in compagnia, oltre che della mia équipe, anche degli studenti dello Iuav. Da allo- ra, le occasioni di collaborazione con l’artista californiano si sono moltipli- cate e articolate in varie direzioni, sia di ricerca che di produzione artistica. James Turrell ha dimostrato più volte la sua gratitudine per gli sforzi che l’Imago Rerum team ha profuso per la documentazione e la diffusione delle sua opera in tutte le sedi e in tutte le forme, decidendo infine di donare all’Università Iuav di Venezia il proget- to di un suo Skyspace, possibile luogo di meditazione e di rigenerazione per gli studenti (e i docenti) che lo fre- quenteranno, se mai il progetto troverà una fisica collocazione e verrà realiz- zato. Il prossimo impegno comune all’o- rizzonte vedrà il nostro team, coinvol- to, in rappresentanza dello Iuav, nella curatela della sala dedicata al Roden Crater project nell’antologica di James Turrell – curata da Michael Govan e Carmen Giménez – prevista per l’au- tunno del 2013 presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York (poi in tour mondiale, con tappa conclusiva a Gerusalemme): una partecipazione che si annuncia complessa e faticosa, ma anche presaga di intense emozioni e, ci auguriamo, di riconoscimenti. This Must Be the Place il Roden Crater project e lo Iuav

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Iuav : 125

RODEN CRATER

pA INTED DESERT

Giornale edito a conclusione del Viaggio Studio al Roden Crater (AZ) USA17 Settembre > 29 Settembre 2011

promosso da Agostino De Rosa

in collaborazione con ProViaggiArchitettura

docentiAgostino De RosaGiuseppe D’AcuntoFrancesco BergamoIsabella FrisoGabriella Liva Cosimo Monteleone

a cura diIsabella FrisoGabriella Liva

Università Iuav di VeneziaSanta Croce 191 Tolentini30135 Veneziatel 041 257 1644

www.iuav.it

©Iuav 2010

Iuav giornale dell’Universitàiscritto al n 1391 del registro stampa tribunale di Venezia

a cura del servizio [email protected] 2038-7814

direttoreAmerigo Restucci

stampaGrafiche VenezianeVenezia

This Must Be the Place

Agostino De Rosa

Università Iuav di Venezia

Il mio primo incontro ‘fisico’ con JamesTurrell risale al Settembre del 2004, aParigi dove lo raggiunsi per l’inaugu-razione di una sua mostra, presso lagalleria Almine Rech. A partire dal2002, avevamo avuto modo di sentircifrequentemente al telefono e via e-mailperfezionando, inconsapevolmente, lecondizioni di quell’incontro che, alme-no per me, risultò fatidico. Ad acco-gliermi nella hall dell’Hotel du Boucytrovai, oltre a sua moglie, Kyung-LimLee, un uomo ad un tempo mite e deci-so, esatta incarnazione di una tipolo-gia di sincero e devoto quacchero cheimparai presto a riconoscere e adapprezzare. La barba e i capelli canuti,nonostante la relativa giovane età, deli-neavano i tratti somatici più di un pro-feta biblico che di una delle star delpanorama artistico internazionale.L’affabilità dei modi e la profonditàdell’attenzione prestata ai contenutidella conversazione che andava dipa-nandosi, nonostante le inevitabili trap-pole linguistiche in cui cadevamo reci-procamente, mostravano la sua straor-dinaria attitudine all’ascolto, controbi-lanciata solo dalla generosità di infor-mazioni tecniche che, nel corso dellesuccessive tre ore, elargì a profusione.In quell’occasione, Jim ebbe modo divedere de visu, per la prima volta, leelaborazioni digitali che l’équipe da mediretta, presso l’Università Iuav diVenezia, aveva realizzato nei due anniprecedenti. Si trattava dei disegni, deirenderings e delle animazioni ottenu-te da un clone digitale di un progettoal quale l’artista californiano avevadedicato gli ultimi trent’anni della suavita, il Roden Crater project e che noi

avevamo tentato di ricostruire, sfrut-tando le potenzialità fornite dai nuovistrumenti di rappresentazione eidoma-tica: il progetto consisteva nella realiz-zazione, all’interno di un cratere vulca-nico spento, situato nel nord-estdell’Arizona, di un insieme di camereipogee, collegate da tunnels, anch’essisotterranei, predisposte per accoglierela luce desertica – diurna e notturna–, offrendola così ai visitatori secondomodalità che l’artista aveva sperimen-tato in vitro nelle sue celebri installa-zioni luminose. Ogni camera avrebbeanche svolto una funzione astronomi-ca, orientata com’era, grazie ad appo-site aperture, verso una specifica regio-ne celeste in cui sarebbe avvenuto unparticolare fenomeno solare, lunare ostellare. Naturalmente, cercai di repe-rire tutto il materiale bibliograficodisponibile sull’argomento: le molteletture mi convinsero dei profondi fon-damenti scientifici di quest’opera che,per essere concepita e realizzata, sem-brava richiedere un coacervo di com-petenze impressionante: architettura,ingegneria, astronomia, archeo-astro-nomia, fisica, geologia, antropologiaetc., erano discipline che sembravanotrovare un comune orizzonte applica-tivo nell’opera visionaria di JamesTurrell. I disegni allora disponibili, ese-guiti dallo stesso Turrell a partire dal1974, o da alcuni architetti, grazie allegenerose donazioni del ConteGiuseppe Panza di Biumo, mostravanoi rilievi topografici del cratere ai qualivenivano sovrapponendosi le piante deifuturi spazi ctonii; le sezioni mongia-ne, praticate sul copro del vulcanospento, rivelavano arcani allineamentidi tunnels e spazi con specifici puntidella volta celeste; modelli fisici in scaladei singoli ambienti ne rivelavanocaratteristiche configurative molto

prossime alle scelte formali degli archi-tetti rivoluzionari francesi o a quelle deiminimalisti americani e giapponesi con-temporanei. La reale comprensione delprogetto e delle sue plurime funzioni,terrestri e siderali, tuttavia, era affidataprincipalmente alle descrizioni verbalifornite dallo stesso Turrell e raccolte, daintervistatori occasionali o da storici del-l’arte, in articoli e saggi. Nel 2000, personali vicende accademi-che mi condussero all’allora IUAV(Istituto Universitario di Architettura diVenezia) in veste di docente, e in quelnuovo ruolo decisi di inaugurare un filo-ne di ricerca sul carattere interdiscipli-nare dell’opera di James Turrell: più omeno risale a quegli anni l’idea, sincro-na alla rapida evoluzione dei program-mi di modellazione e restituzione cromo-luministica computerizzati, di creare unmodello digitale del Roden Crater

project che cercasse di prefigurarne, nonsolo il compiuto aspetto finale, da unpunto di vista architettonico e paesag-gistico, ma anche la funzione di osser-vatorio ad occhio nudo di particolarieventi astronomici. Il passo successivoera convincere James Turrell dell’inte-resse scientifico e documentale del lavo-ro dell’équipe veneziana, affinché ci affi-dasse la documentazione originale diprogetto sorretta dalle sue preziose spie-gazioni: le finalità e il carattere di un’o-pera che richiedeva tempi molto lunghiper essere completata, si sarebberopotute comunicare più agevolmente conle moderne tecnologie info-grafiche, ela nostra disponibilità, in tal senso, eratotale. Così decidemmo di offrirla a Jim,con semplicità e immediatezza, e ciò fureso possibile grazie all’attività di media-zione del Conte Giuseppe Panza diBiumo, straordinario collezionista eintellettuale italiano, che immediata-mente comprese la natura del nostro

lavoro e, con entusiasmo, se ne feceportavoce presso l’artista californiano.Infrante le prime barriere, i contatti conJames Turrell si fecero più frequenti eproficui, fino al primo incontro direttoavvenuto, come ricordato, a Parigi nelSettembre del 2004. Da allora, ho avutomodo di approfondire la conoscenzadell’uomo e dell’artista nel corso deimolti incontri succedutisi in Europa ein USA, e che sono culminati nei nume-rosi viaggi al Roden Crater (Arizona) acominciare da quello dell’autunno2006, seguito da molti altri, spesso incompagnia, oltre che della mia équipe,anche degli studenti dello Iuav. Da allo-ra, le occasioni di collaborazione conl’artista californiano si sono moltipli-cate e articolate in varie direzioni, siadi ricerca che di produzione artistica. James Turrell ha dimostrato più voltela sua gratitudine per gli sforzi chel’Imago Rerum team ha profuso per ladocumentazione e la diffusione dellesua opera in tutte le sedi e in tutte leforme, decidendo infine di donareall’Università Iuav di Venezia il proget-to di un suo Skyspace, possibile luogodi meditazione e di rigenerazione pergli studenti (e i docenti) che lo fre-quenteranno, se mai il progetto troveràuna fisica collocazione e verrà realiz-zato. Il prossimo impegno comune all’o-rizzonte vedrà il nostro team, coinvol-to, in rappresentanza dello Iuav, nellacuratela della sala dedicata al Roden

Crater project nell’antologica di JamesTurrell – curata da Michael Govan eCarmen Giménez – prevista per l’au-tunno del 2013 presso il Solomon R.

Guggenheim Museum di New York (poiin tour mondiale, con tappa conclusivaa Gerusalemme): una partecipazioneche si annuncia complessa e faticosa,ma anche presaga di intense emozionie, ci auguriamo, di riconoscimenti.

This Must Be the Placeil Roden Crater project e lo Iuav

Turrell:Turrell 17/01/2013 15:00 Pagina 1

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Rappresentare lo spazio-tempo:

i disegni per il Roden Crater project

Isabella Friso

Università Iuav di Venezia

Il periodo trentennale intercorso tra l’e-laborazione delle prime ipotesi proget-tuali e l’attuale fase realizzativa dell’o-pera coincide con l’arco temporale incui lo strumento grafico digitale hasubito una sua veloce e straordinariaevoluzione: tale sviluppo non ha inter-ferito minimamente con l’impiego deitradizionali metodi della rappresenta-zione, ma invece ha agito come ele-mento di potenziamento del linguag-gio figurativo tipicamente impiegatodagli architetti e, in questo caso, dal-l’artista.Quando ancora le nuove tecnologie nonirrompono prepotentemente nel pano-rama artistico e architettonico, Turrellprogetta – opportunemente aiutato dauno staff di architetti, ingegneri e astro-nomi – tutti gli spazi ipogei dell’osser-vatorio astronomico ad occhio nudonoto come Roden Crater project, unciclopico intervento di land art.I primi grafici dell’intero progetto com-prendono proiezioni mongiane dallequali è possibile desumere anche alcu-ni allineamenti celesti, previsti dall’ar-tista e da noi verificati con appositiprogrammi di simulazione della voltaceleste, per ciascuno spazio ipogeo, rea-lizzate con l’ausilio di tecniche miste,quali la matita associata al pastello eall’inchiostro su pergamena: il risulta-to, oltre a permettere una semplice echiara interpretazione del concept ori-giniario, è considerato, a tutti gli effet-ti, come una vera e propria opera d’ar-te, tanto che continua ancora oggi adessere esposta nei maggiori museiinternazionali che ospitano le mostrepersonali di James Turrell.

Pur non essendo in possesso di unalaurea in architettura, Turrell ha ese-guito disegni di massima per il Roden

Crater project che non hanno nienteda invidiare rispetto a quelli realizzatidai progettisti militanti: il passaggioda un’immagine ‘concettuale’ caratte-rizzata da una maggiore caratura ‘arti-stica’ allo step successivo che prevedel’impiego delle classiche proiezioniortogonali – pianta e sezioni eseguitea china su lucido – è d’obbligo perimplementare l’idea originaria e svi-luppare concretamente e dettagliata-mente gli ambienti che ospiteranno ifenomeni celesti previsti da Turrell. Ecco allora che questo nuovo approc-cio alla rappresentazione da parte diTurrell segna il passaggio ad una imma-gine dello spazio più rigorosa, corre-data non solo dalla scala grafica chepermette una lettura immediata dellaconfigurazione reale dell’oggetto, maanche da alcune annotazioni dell’au-tore che fanno riferimento, ad esem-pio, ai materiali utilizzati. Con il passare del tempo, le nuove tec-nologie digitali che irrompono nelpanorama architettonico, implementa-no le metodologie adottate nell’areadella rappresentazione offrendo unnuovo strumento alla portata di tutti,che consente di ottenere sicuramenteun prodotto più preciso e fedele allarealtà abbattendo, in maniera drasti-ca, i tempi di lavorazione: la china, lesquadrette e il supporto cartaceo sonosotituiti rispettivamente dal mouse,dalla tastiera e dal monitor di un comu-ne personal computer; diversi sono i

softwares CAD atti a produrre graficidigitali vettoriali e numerosi sonoanche quelli dai quali si ottengonoimmagini ad alto tasso di simulazionedella cromo-luministica e materica. Ovviamente, anche James Turrell hadovuto tenere conto dell’evoluzione diquesto linguaggio, adeguandosi allenuove tendenze comunicative e ainuovi standard progettuali e esecuti-vi: non a caso lo studio SOM – SkidmoreOwings & Merril – è stato scelto per larealizzazione dei disegni esecutivi del-l’intero Roden Crater project, produ-cendo così una documentazione fon-damentale per la realizzazione delclone digitale eseguita dall’Imago

Rerum team per l’Università Iuav diVenezia. Partendo dalle tradizionaliproiezioni mongiane dello spazio pro-gettato, orientate nella tavola secon-do le convenzioni grafiche europee, siè passati alla costruzione di un clonenelle tre dimensioni virtuali, il cui scoponon è quello di sostituire il modellofisico, già largamente usato dagli archi-tetti, ma di fornire un sofisticato stru-mento di controllo e di verifica graziead un’iper-simulazione dell’oggettoreale, segnatamente della sua confi-gurazione spaziale e del suo orienta-mento terrestre e astronomico. Il lavoro svolto dall’Imago Rerum team

nei 3 anni antecedenti all’apertura, aVenezia, della prima mostra mondialededicata alla divulgazione del proget-to turrelliano, è servito per sviscerareogni piccolo dilemma relativo al pro-getto, alla sua configurazione formalee alle problematiche relative agli even-tuali allineamenti dei suoi spazi concorpi celesti e costellazioni: graziesoprattutto alla disponibilità dell’arti-sta – sempre pronto a discutere con imembri del team e a chiarire ogni dub-bio interpretativo, fugando ogni per-plessità – il gruppo di lavoro venezia-no è riuscito nel suo non facile inten-to di ricostruire virtualmente l’interoRoden Crater. Molti sono stati imomenti di sconforto legati alla realedifficoltà di gestione di files dalle enor-mi dimensioni digitali, con attrezzatu-re forse non sempre efficenti e aggior-nate. Una volta ultimati i modelli vir-tuali dei singoli ambienti, subito si èposto il problema di quale fosse la piùcorretta forma per rappresentarli: si èoptato per una resa grafica che nonmimasse banalmente i materiali – realio presunti – del progetto, ma anzi si èpreferita una modalità di visulaizzazio-ne più astratta, che puntasse all’inter-pretazione della struttura intima delprogetto esaltandone quelli che sonoi suoi aspetti formali in relazione aglielementi astronomici che governanol’intero Roden Crater project. Durantela fase di renderizzazione, dunque, ilteam ha sterzato verso una rappresen-tazione cromatica più che matericafacendo molta attenzione alla rispo-sta della luce che, al contrario, dovevaessere molto fedele alla realtà fisica epercettiva dei fenomeni in gioco.

La creazione del modello digitale, comegià accennato, è stato un ottimo stru-mento di controllo ambientale – ter-restre e siderale – poichè grazie all’u-tilizzo di Perseus, un software di simu-lazione astronimica, è stato possibileverificare, in anticipo – integrandoopportunamente i grafici elaborati informa autonoma –, gli allinemamentiastronomici sui quali l’intero crateresarà calibrato una volta ultimato.

La realizzazione di questo clone virtua-le ha assolto anche ad una ulteriroeduplice funzione, la sua realizzazioneessendo servita sia alla prototipazionedi alcuni modelli fisici realizzati in pol-vere di nylon ottenuti con macchine acontrollo numerico CAD/CAM (i cuiaspetti tecnici saranno a breve esami-nati più approfonditamente), ma anchealla relaizzazione delle casseforme perla colata bronzea e per la modellazio-ne in gesso impiegate dalla galleriaHaüslerr Gallery di Monaco per la pro-duzione in serie di maquettes in scaladi tutti gli spazi ipogei del Roden Crater

project.Grazie proprio al lavoro svolto in digi-tale, è iniziata una collaborazione conla famosa galleria d’arte tedesca cheha sviluppato una serie di preziosimodelli a tiratura limitata degliambienti ipogei, esposta nei musei cheospitano personali dell’artista califor-niano.

James Turrell, Crater Site with Major

Alignments, (disegno in due parti) 1986.Emulsione fotografica, pergamena, pastello,inchiostro e grafite su Mylar. Collezione pri-vata. Foto dall’archivio di James Turrell

Imago rerum team (Isabella Friso), ricostru-zione ediomatica della sequenza Sun and

Moon space-Alpha Tunnell-East space.Assonometria, planimetria e sezione longitu-dinale, elaborazioni digitali

Imago rerum team (Francesco Bergamo), rico-struzione ediomatica del Roden Crater project.

Planimetria con curve di livello e vista degliambienti ipogei, elaborazione digitale

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principalmente da un intento di tipodivulgativo e accompagnano tavole gra-fiche dedicate all’esplicitazione dellafunzione degli ambienti percettivi pro-gettati e in parte già realizzati all’inter-no del cratere. In prima battuta, va pre-cisato che abbiamo deciso di sezionaregli ambienti secondo piani verticaliopportunamente orientati, isolandoneuna delle due metà, per favorire la rap-presentazione degli spazi interni, tra-scurando invece le porzioni di terrenocircostante. I nove plastici realizzati sononati da modelli tridimensionali digitali,frutto del lavoro dell’Imago Rerum team

e verificati dall’artista stesso. Essi hannoil pregio di essere i modelli fisici piùaggiornati ed esaustivi esistenti almomento su quest’opera. Grazie allatecnologia della sinterizzazione è statopossibile restituire con fedeltà la com-plessità geometrico-matematica delleinstallazioni: tale tecnologia rientra nel-l’ambito del CAD-CAM e permette diriprodurre fisicamente, con strati oriz-zontali dello spessore di circa 1/3 di mmdi poleri aggregate, un modello tridi-mensionale digitale opportunamentetrattato. La natura delle polveri è piut-tosto variegata, in questo caso è statousato un materiale poliammidico (pol-vere di nylon) di colore bianco, capacedi conferire al risultato un “sapore diastrazione”. Poc’anzi si accennava allacomplessità geometrica di questi manu-fatti, si pensi, per esempio, alla com-plessità della copertura del primo deitre ambienti che si incontra alla fine delBeta Tunnell, denominato North Moon

Space: la stanza si presenta come uncilindro ellittico sormontato da unavolta geometricamente generata da unelissoide di rotazione. Dal punto di vistadell’elaborazione del file .stl finalizza-to alla stampa è stata necessaria unaparticolare attenzione alla densità echiusura delle mesh triangolari per con-ferire la doverosa continuità alla super-ficie voltata. Analoghe osservazioni pos-sono essere condotte per quanto riguar-da, per esempio, il Fumarole Space,ambiente non ancora realizzato ma chein progetto presenta una stanza ricava-ta all’interno di una superficie sferica.Un altro dei problemi affrontati è statoquello della scelta della scala di rappre-sentazione, vincolata, da un lato, dalladisomogeneità dimensionale dei luo-

Imago rerum team (Alessio Bortot), elabora-zioni digitali (.stl) per la sinterizzazione delmodello fisico del North Moon Space

Imago rerum team, modello fisico in polveredi nylon del North Moon Space. EsecuzioneProtoService s.r.l. di Parma

Imago rerum team (Alessio Bortot), elabora-zione digitale (.stl) per la sinterizzazione delmodello fisico del South Space. Dettaglio

Imago rerum team, modello sinterizzato (SLS)in polveri di nylon del Fumarole Space.Esecuzione ProtoService s.r.l. di Parma

Imago rerum team (Alessio Bortot), elabora-zione digitale (..stl) per la sinterizzazione delmodello fisico del South Space e sua realiz-zazione. Esecuzione ProtoService s.r.l. di Parma

Imago rerum team, elaborazione digitale (.stl)per la sinterizzazione del modello fisico delFumarole Space e sua realizzazione.Esecuzione ProtoService s.r.l. di Parma

James Turrell, Imago rerum team, HäuslerContemporary, modello della Dark Chamber

(North Space), bronzo e gesso. HäuslerContemporary, Monaco

James Turrell, Imago rerum team, HäuslerContemporary, modelli del South Space, Eye

of the crater, Sun and Moon Space, North

Moon Space e East portal, bronzo e gesso.Häusler Contemporary, Monaco

Modelli fisici

Alessio Bortot

Università Iuav di Venezia

Dai primi schizzi di progetto a oggi, mol-teplici sono stati i modelli fisici in scalarealizzati del Roden Crater e degliambienti ipogei progettati da JamesTurrell. I primi furono commissionatidallo stesso artista ed ebbero principal-mente la funzione di penetrare con piùchiarezza il rapporto tra le stanze per-cettive progettate e il peculiare ambien-te naturale del cratere. Risale al 1976 laprima maquette realizzata del Roden,esposta assieme ad alcuni disegni tec-nici nello Stedelijk Museum diAmsterdam. In seguito furono realiz-zati anche modelli in scala territoriale:quello del 1987 delle dimensioni di 2,70

x 8,20 mt circa, realizzato in stucco emateriali provenienti dal Roden, rap-presenta l’intero cratere con un’ampiaporzione di territorio circostante. A sup-porto della progettazione fu infattinecessario, innanzitutto, uno studio suampia scala per definire gli assi portan-ti dell’opera, come lo scavo dei due tun-nel di 500 mt ciascuno che ‘tagliano’ ilcratere sul suo asse mediano portandodalle pendici alla bocca dello stesso. Amano a mano che il progetto su scalaterritoriale fu definito la progettazionesi concentrò sui singoli ambienti con laconseguente realizzazione di plastici inscala, via via, più particolareggiata.Sarebbe però ingenuo, all’interno del-l’analisi di quest’opera, ridurre questimanufatti solamente a strumenti dimatrice progettuale: connaturata allavocazione artistica di Turrell coesistesempre la volontà di esporre tali model-li all’interno di mostre, elevandoli in unacerta misura ad opere d’arte in sé com-piute. È all’interno di questo genere diriflessioni che troviamo i ben più recen-ti modelli realizzati dalla Häusler

Contemporary Gallery di Monaco edesposti nella stessa nel 2009: si trattadi opere di forte impatto estetico e difattura semi-artigianale che vedono l’u-tilizzo del bronzo per rappresentare glispazi progettati e l’utilizzo del gesso,per definire circoscritte porzioni di ter-reno che ospitano gli ambienti. I modelli realizzati per la mostra Dalla

Gurfa al Roden Crater, inaugurata aPalermo nell’estate del 2009, nascono

ghi e, dall’altra, dai limiti nelle grandez-ze di stampa che la tecnologia a nostradisposizione poteva offrire: la scala 1:100

si è rivelata un buon compromessoanche se ci ha obbligati in alcuni casia dividere i modelli in porzioni che sonostate successivamente aggregate. Aquesto proposito è utile osservare chesfruttando al massimo i limiti dimen-sionali di stampa si possono verificaredelle deformazioni alle estremità del“prototipo” dovute ad un ritiro non omo-geneo del materiale in fase di essica-zione. Tali anomalie possono creare seriproblemi nella successiva aggregazio-ne degli elementi. Inoltre, la scelta diquesta scala di rappresentazione, comedi consueto, ci ha obbligati a selezio-nare i particolari da rappresentare inmaniera coerente. In effetti, elementimolto piccoli, inferiori al millimetro, senon trattati digitalmente con alcuniaccorgimenti, possono subire in fase distampa deformazioni molto complesseda controllare: è il caso del South Space,nel quale, per rendere le linee del siste-ma equatoriale e di quello orizzontaletracciate all’interno del catino semisfe-rico, si è deciso di creare degli incavisemicilindrici di raggio inferiore al mil-limetro che hanno richiesto una parti-colare densità delle mesh e particolareaccuratezza nel controllo dei bordi dellestesse. La sinterizzazione negli ultimianni sembra aver trovato nuovi scenarievolutivi che potrebbero sensibilmentemodificare i suoi apporti all’architettu-ra, limitati fino ad oggi alla riproduzio-ne di manufatti in scala. È relativamen-te recente, infatti, l’invenzione di unatecnologia capace di “stampare” tridi-mensionalmente oggetti di grandidimensioni (6 mt di lato), con un certogrado di precisione (spessore degli stra-ti di circa 1 cm), che può produrre manu-fatti di pietra artificiale con ottime carat-teristiche meccaniche, partendo da qua-lunque tipo di polvere rocciosa.L’inventore, l’ing. Enrico Dini, ha ricevu-to la commissione di realizzare un’ope-ra incompiuta di Gaudì nelle vicinanzedi Barcellona. È plausibile pensare chenei futuri scenari costruttivi la sinteriz-zazione possa diventare una tecnicacostruttiva a tutti gli effetti, capace dioffrire nuove soluzioni alla creatività pro-gettuale e forse di minare la suprema-zia di materiali più tradizionali.

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Il Roden Crater project: le mostre

organizzate dallo Iuav e dall’Imago

Rerum

Gabriella Liva

Università Iuav di Venezia

Il Roden Crater project, definito daTurrell come tempio della percezioneumana, rappresenta la sintesi di diver-si anni di sperimentazioni in opere,molte delle quali realizzate preceden-temente, che nel deserto dell’Arizonaacquistano dimensione paesaggisticain modo da cogliere, su ampia scala,la luce diurna e notturna, il moto appa-rente o reale dei corpi celesti. Questo ambizioso progetto non è anco-ra stato completato a causa delle dif-ficoltà esecutive che, per i complessimovimenti di terra desertica, richiedo-no ingenti investimenti economici,recuperabili attraverso mostre, finan-ziamenti privati o attraverso la vendi-ta delle opere di Turrell, apprezzate intutto il mondo. Proprio la non immediata fine dei lavo-ri ha spinto l’Università Iuav di Veneziae in particolare il professore AgostinoDe Rosa a realizzare un clone digitaleinterattivo dell’intero complesso archi-tettonico cercando di spiegare e inter-pretare dal punto di vista configurati-vo e critico-scientifico i numerosi feno-meni percettivi e celesti coinvolti nelprogetto. La ricerca, iniziata nel 2002

e tuttora in corso, ruota attorno a unastretta collaborazione tra l’équipe vene-ziana Imago Rerum (coordinatorescientifico A. De Rosa, principali colla-boratori F. Bergamo, I. Friso, G. Liva, C.Monteleone) e l’artista californianoJames Turrell al fine di comprendere erappresentare in modo preciso e ine-quivocabile l’idea dell’artista stesso, efin’ora ha prodotto numerose mostre– in Italia e all’estero – cui l’UniversitàIuav ha partecipato.

La prima mostra, Geometrie di luce. Il

Roden Crater project di James Turrell,è stata inaugurata a Venezia pressol'aula Gino Valle della facoltà Iuav diVenezia (1 ottobre - 9 novembre 2007)con l'obiettivo di descrivere e docu-mentare criticamente il ruolo che laluce e l’ombra svolgono nella defini-zione degli spazi architettonici.Attraverso una serie di disegni esecu-tivi relativi ad ognuno degli spazi ipo-

gei il visitatore ha potuto capire,mediante un linguaggio rigoroso, levarie implicazioni geometrico-scienti-fico ad essi relativi, comprendendo ilfunzionamento spaziale in relazionealla loro orientazione cardinale e astro-nomica.Sono seguite altre importanti mostre:James Turrell, arte oltre la luce, realiz-zata alle Scuderie di Villa e Collezione

Panza, Varese 16 Maggio - 17 Agosto2008, Quando la terra incontra il cielo:

il progetto del Roden Crater di James

Turrell realizzata al Palazzo del

Comune, piazza Matteotti 27, Bergamo,3 -19 ottobre 2008, e la recente Terra

e Luce, dalla Gurfa al Roden Crater di

James Turrell, 6 luglio 2009 - 6 set-tembre 2009, all’interno del Festivaldocumentaristico Sole Luna, presso ilcomplesso monumentale di Sant’Annanel centro storico di Palermo. Tale espo-sizione ha esposto anche il materialeveneziano permettendo all'arte, archi-tettura, astronomia e musica di unirsiper rendere nuovamente omaggioall’artista americano Turrell, che inquell'occasione ha tenuto la lectio

magistralis, Plato’s cave and the light

inside. La mostra ha proposto un viaggio fattodi immagini, video, modelli e suoni cheidealmente lanciano un ponte tra epo-che, culture e latitudini che apparen-temente sembrano così distanti, ma inrealtà superano la loro lontananzaavendo il medesimo scopo: vedere ilcielo cercando di accogliere in spaziarchitettonici l’uomo che alza lo sguar-do alla volta celeste, immergendosinella luce delle stelle.Fin dai tempi più remoti, rappresenta-ti dalla sezione dedicata alla Gurfa,antico complesso ipogeo a sud-estdella provincia di Palermo, scavatonella roccia e illuminato nella sala prin-cipale da un oculus che cattura unfascio di luce scandendo il passaredelle ore, al contemporaneo progettodel Roden Crater, sono chiari il fasci-no e contemporaneamente lo spaesa-mento esercitati dal rapporto terra-cielo, interno-esterno, finito-infinito acui tende inesorabilmente l’uomo.Tale tensione emozionale, già presen-te negli antichi modelli filosofici oarchitettonici come il celebre Pantheon

a Roma di epoca adrianea, trova mira-bile applicazione nel progetto di Turrell,

il cui lavoro a confine tra arte, naturae tecnica, come ha sostenuto GiuseppePanza di Biumo, “…è incentrato sull’i-dea di poter vivere il contatto con ilmistero insondabile, una percezioneavvertibile solo a livello intuitivo e sen-soriale, al di là della razionalità”.Nella prima sala dell'esposizione eranopresenti dei pannelli con una breveintroduzione dell’artista, una spiega-zione grafica delle sue principali instal-lazioni, un video-intervista in cui Turrellspiega come ha scoperto il Roden

Crater e quali siano state le sue impres-sioni di fronte a questa enorme operad’arte naturale. Alle pareti della salaerano presenti foto scattate durante iviaggi fatti in situ dal prof. De Rosa edalla sua équipe. Le foto documenta-vano lo stato di fatto del progetto sof-fermandosi sugli effetti luministici deisingoli ambienti realizzati. Nella seconda sala era possibile ammi-rare le foto panoramiche del Painted

Desert, i modelli in polvere di nylondei più importanti spazi del progetto,un video del viaggio virtuale suggesti-vo dei futuri scenari terresti e celesti,un video-documentario risalente alviaggio-studio svoltosi ad aprile 2009

con gli studenti della facoltà di archi-tettura di Venezia, e la presenza, nellaspina centrale della stanza, dei pan-nelli tecnici che analizzano nei minimidettagli i singoli spazi del Roden Crater

project. Tali disegni, elaborati in dueanni di lavoro dall’Imago Rerum team,comprendevano rappresentazioni inpianta, sezione e prospetto, viste dispaccati assonometrici e prospettici,simulazioni celesti, spiegazioni astro-nomiche, dettagli architettonici in cuila rappresentazione geometrica miraa descrivere gli spazi realizzati e a for-nire una prefigurazione virtuale diquelli ancora da costruire. Alla rappre-sentazione cartacea bidimensionale siaffiancava la sequenza di modelli tri-dimensionali, collocati all’interno diteche in plexiglas, realizzati sulla basedei cloni digitali elaborati in ambien-te CAD dall’Imago Rerum team e pro-totipati dalla ProtoService s.r.l di Parma.L’ambientazione sonora di questamostra, come per quelle precedenti,era curata da un team di musicistiappartenenti all’area dell’improvvisa-zione jazz e a quella della musica con-temporanea ed elettroacustica: Maria

Pia De Vito, Maurizio Giri e MicheleRabbia hanno composto la colonnasonora del video digitale prodottodall’Imago Rerum team, eseguendo indiretta l’11 luglio 2009 a Palermo laprima rappresentazione italiana dellaRoden Crater Suite.

Accanto alle numerose mostre realiz-zate, Turrell prosegue contemporanea-mente con l'inaugurazione di singoleinstallazioni, come quella presentenella cittadina tedesca di Wolfsburg,all’interno del Kunstmuseum. Unaparte dello spazio turrelliano era dedi-cata ai modelli bronzei e fisici delRoden Crater e a due istallazioni giàesposte precedentemente: Milk Run III,Wedgework risalente al 2002, e Tall

Glass Piece schermo cangiante, sospe-so alla parete, presente in più mostre.L'altra parte dell'area espositiva acco-glieva un'installazione nuova, intito-lata Ganzfeld Piece: Bridget’s Bard (700

metri quadrati per 11 metri di altezza)suddivisa in due aree, la Viewing Space

(destinata alla percezione) e Sensing

Space (che svolgeva il ruolo di areaemittente la radiazione luminosa). Sitrattava di un enorme Ganzfeld o“campo percettivo totale”, traduzionematerica di un’idea a lungo inseguitadall’artista statunitense e sperimenta-ta ripetutamente durante gli anni dellasua lunga carriera, ma mai con questedimensioni.La denominazione Bridget’s Bard deri-vava da una suggestione buddhista,segnatamente tibetana, in relazione alnaturale ciclo di vita e morte legati, inquell’orizzonte esegetico, alla dimen-sione onirica.Il Bardo Thodol, testo sapienziale acco-stabile al Papiro Egizio dei Morti o allaDivina Commedia di Dante Alighieriper la tradizione occidentale, è un librorivolto alle persone prossime allamorte, ma utile anche a tutti coloroche desiderino preparare la mente allafutura dipartita terrena. In particolare,Bar-do è un’espressione tibetana cheindica la condizione di passaggio tra idue stati dell’essere, distinguendonesei: l’intervallo tra la morte e la rina-scita, tra il sonno e la veglia, tra laveglia e “l’assorbimento profondo” e itre stati intermedi durante il processodi morte-rinascita. Le parole Thos grol indicano proprio

che l’insegnamento offerto da questotesto ‘libera’, non appena si apprendao si intenda profondamente il difficilemomento della morte, offrendo all’in-dividuo, colto in questo momento sta-dio intermedio, una comprensione cosìchiara, efficace e profonda da nonrichiedere una riflessione prolungata. Il Bardo Thodol invita a immergersi inuna luce più profonda, quella che pre-cede ogni forma e nella quale ognimanifestazione si discioglie: è un gran-de poema della luce che assicura cheil morire è un nascere alla luce, nonuno sprofondare nell’oblio della notte. Proprio sulla luce, come è noto, si impo-sta tutta l’opera di James Turrell, unaluce visibile anche con “gli occhi dellamente”, tipica di una condizione esi-stenziale che spesso sfugge al nostrocontrollo diurno. L’artista vuole recu-perare o ricreare la luce che popola inostri sogni in uno stato intermediotra la dimensione onirica e quella reale,al pari degli insegnamenti del Libro

tibetano dei morti. Costantementesogniamo, buona parte della nostra esi-stenza è legata al sogno e soprattuttonell’ultima fase più prossima al risve-glio, siamo in grado di ricordare leimmagini appena viste.All’interno del museo tedesco ilGanzfeld Piece: Bridget’s Bard si pre-sentava come un enorme ambiente pri-smatico a cui si accedeva, in quota,mediante un percorso aereo che pro-seguiva in una rampa in grado di gui-dare progressivamente l’osservatore nelViewing Space. La rampa, rivestita late-ralmente con barrisol, materiale illumi-nante costituito da policloro di vinile,completamente riciclabile, era l’unicoelemento di collegamento che attra-versava obliquamente lo spazio e la cuipendenza, superiore a quella previstadalla normativa vigente, era voluta peraccelerare l’effetto prospettico diimmersione all’interno dell’installazio-ne. In questo lento incedere verso ilbasso, in un progressivo avvicinamen-to del cielo alla terra, lo spazio si sma-terializzava, perdendo i suoi limiti fisi-ci che trascoloravano in un’atmosferaomogenea e lattiginosa. I nostri occhierano quindi pronti per accogliere, nellaSensing Space, la potenza sublime delvero e proprio Ganzfeld che era pre-sente in tutta la sua forza percettiva difronte a noi. Quello schermo lucente

Imago Rerum team, a cura di, Geometrie di

luce. Il Roden Crater project di James Turrell,mostra tenutasi presso l’aula Gino Valle -Università Iuav di Venezia (Venezia, 1 ottobre- 9 novembre 2007).Foto di Marco Zanta

Imago Rerum team, a cura di, James Turrell,

arte oltre la luce, mostra tenutasi presso Villa

e Collezione Panza (Biumo Superiore, Varese-Villa e Collezione Panza, 16 maggio -17 ago-sto 2008). Foto di Agostino De Rosa

Nella pagina seguente: James Turrell, Santa Cruz de Tenerife (Spagna)2009

Imago Rerum team, a cura di, Terra e luce,

dalla Gurfa al Roden Crater, mostra tenutasipresso la Galleria d'Arte Moderna - Complessomonumentale di S. Anna (Palermo, 6 luglio -6 settembre 2009).Foto di Gabriella Liva

James Turrell e Agostino De Rosa, Santa Cruzde Tenerife (Spagna) 2009

James Turrell e Agostino De Rosa, Kunstmuseum,Wolfsburg (Germania) 2010

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Diario di viaggio: impressioni e

ultime nuove dal Roden Crater di

James Turrell

Cosimo Monteleone

Università di Padova

In occasione di un soggiorno negli StatiUniti, compiuto nell'autunno delloscorso anno per approfondire lo studiodell’opera di Frank Lloyd Wright, misono recato a Taliesin West, nei pressidi Phoenix in Arizona, per visitare laomonima Fondazione e e i suoi celebriarchivi. Qualche giorno prima avevopreso contatto con Tom Mc Grath, inge-gnere e sovrintendente ai lavori delRoden Crater project, il quale mi avevaaccordato, nonostante la richiesta fossegiunta inaspettata, una visita guidataal cratere. L'intento era di verificare lostato attuale dei lavori e fare il puntodella situazione sul ruolo che l'Imago

Rerum team avrebbe ricoperto nell'im-mediato futuro. Diretti al cratere a bordo di un fuori-strada, dopo aver abbandonato la cittàdi Flagstaff, abbiamo attraversato ilPainted Desert, una vasta piana carat-terizzata da imponenti e isolati conivulcanici, testimonianze dell'anticaattività geologica del sottosuolo. Inquesto luogo, unico nel suo genere,anche l'occhio inesperto coglie l'inin-terrotto lavorio del tempo nella sovrap-posizione cromatica degli strati litici,che appaiono mutare continuamentenell'arco diurno a causa della variazio-ne dell'angolo d'incidenza dei raggisolari rispetto al suolo. Pur essendo unluogo scarsamente antropizzato, ildeserto non è ignoto a colui il qualesa interpretarne i segni: Tom ha datoprova di questa abilità, stupefacenteagli occhi di un europeo, la prima voltaquando, percorrendo lo sterrato versoil Roden Crater, già apparso all'oriz-zonte, ci siamo imbattuti nella carcas-sa di un’antilope americana. Con ilpiglio dell'esperto criminologo, l'inge-gnere ha inanellato una sequenza diprove che hanno svelato la dinamichedella sua morte: i segni di una frena-ta, appena percettibili sul terriccio, ele costole incrinate dell'animale, nonlasciavano dubbi, si era trattato di unincidente, probabilmente causato daun automezzo. In un’altra occasione,giunti presso la casa in pietra apparte-nuta alla famiglia Roden, ho visto Tomchinarsi ripetutamente per scrutare lacenere vulcanica e la scarsa vegetazio-ne desertica, concludendo che qualcu-no in quel luogo era passato da pocoa cavallo. Un’altra delle ennesime visi-te non autorizzate al cratere che preoc-cupano molto l’entourage che lavoranel sito: si tratta di curiosi e appassio-nati, per la maggior parte turisti e stu-denti, che sempre più frequentementesi spingono fino alla violazione dellaproprietà privata, sollecitati dall'inten-sa attività di divulgazione che JamesTurrell svolge strenuamente nelle diver-si sedi universitarie americane ed euro-pee. La preoccupazione di Tom era rivol-ta sopratutto alla conservazione e allasicurezza dell'appena restaurato Roden

Crater project e per questa ragione, puravendo momentaneamente sospeso ilavori nell'attesa di recuperare congruifinanziamenti, il cantiere non viene maiabbandonato. Ma l'attività di control-lo non si limita esclusivamente alla sal-vaguardia degli ambienti ipogei, espan-dendosi anche al territorio circostan-te: è infatti in corso un'attività decen-nale di acquisto delle proprietà terrie-

in realtà era l’ingresso a uno spaziovuoto, all’interno del quale era impos-sibile stabilire un riferimento cardina-le. La tonalità e la saturazione croma-tica creavano un campo luminoso cheingannava l’osservatore, incapace nonsolo di stimare forme, superfici, distan-ze, ma addirittura di capire se le suepalpebre sono chiuse o aperte, se staguardando o sognando. Davanti alla grande area luminosa epulsante, solo una leggera differenzacromatica rispetto a quella che carat-terizzava le pareti reali, faceva intuirela sua diversa natura fisica, per altrototalmente impercettibile nel momen-to in cui il segnale digitale, prepostoalla scansione cromatica, raggiungevala gradazione del rosso assoluto. In que-sta circostanza, il colore occiduo, incostante mutamento inondava vorace-mente un perfetto muro di chiusura,impenetrabile allo sguardo.I visitatori, avvolti dal colore e dal silen-zio, entravano in contatto con la luceche li ‘assorbiva’ e, illudendosi di per-dere consistenza fisica, apparivanocome sagome nere che fluttuavano,leggere, senza meta, incuriosite da ciòche li circondava. Un simile campovisuale nasce non dalla privazione diluce, ma da una sua eccessiva unifor-mità, ricreata con migliaia di led. Vagabondando nell’installazione, inprossimità delle pareti reali e di quellafittizia, sotto la rampa, in perfetta cor-rispondenza con l’entrata in quota, maqui al livello inferiore, appariva un’al-tra superficie percepita con una tona-lità complementare, di fronte alla qualeci si interrogava sulla sua natura. Siconfigurava davanti a noi una telasospesa, priva di spessore, oltrepassa-ta la quale le sagome oscure dei visi-tatori riacquistavano tridimensionalitàe consistenza materica. Varcata que-sta soglia, si discendeva una breve sca-linata di forma tronco-piramidale,accorgendosi che la luce esterna all’in-stallazione – costantemente gialla –era diversa da come veniva percepitainternamente. La ‘finestra albertiana’di uscita, come quella d’ingresso, erauno Space Divison Construction, unaforatura della parete verticale, i cui sti-piti erano sezionati obliquamente,attraverso la quale si passa dalla fin-zione alla realtà o forse dalla realtàdell’arte alla finzione della quotidia-nità.La continua e raffinata ricerca artisti-ca di James Turrell, in grado di coinvol-gere molteplici interessi e discipline,confluiranno nelle future esposizioni aStoccolma e a Flagstaff nell'attesadelle imponenti mostre antologiche alui dedicate presso il Guggenheim

Museum di New York (sulla costa orien-tale americana) e presso il Los Angeles

County Museum (su quella occidenta-le) nel 2013. All’Imago Rerum team saràaffidata la sezione dedicata al Roden

Crater project, a cui si affiancherannoi modelli bronzei della Häusler

Contemporary Gallery di Monaco diBaviera. Sicuramente ciò che è possibile osser-vare, descrivere e rappresentare nellacomplessa e accurata ricostruzione digi-tale non può che debolmente avvici-narsi all’intensa esperienza percettivacomprensibile solo con l’effettiva pre-senza all’interno del cono vulcanico delRoden Crater, opera naturale e insiemeartificiale che oscilla tra il minimalismocontemporaneo e l’eco delle più anti-che architetture ipogee del passato.

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re confinanti, per garantire il carattereincontaminato del sito, per preservar-lo da mutazioni ecologiche e da inter-venti a carattere speculativo. Anchequando l'opera potrà dirsi definitiva-mente conclusa, poiché la circolazionee la fruizione dei singoli ambienti saràlibera, l'artista intende permettere l'ac-cesso solo a piccoli gruppi di visitatoriper volta, da una parte per evitare dan-neggiamenti ai materiali e alle strut-ture, dall'altra per accentuare “...la sen-sazione di essere soli in una vastità –è necessario curare questo aspetto. Si,le visite saranno limitate, ma non sitratta di un'opera elitaria nell'accezio-ne assunta da molte opere d'arte.Piuttosto che essere elitari, lo scopo èquello di essere protettivi dell'espe-rienza”. Ad accoglierci in cima alla strada checonsente l'accesso al cratere prove-nendo da sud, c'è un piccolo edificio:la South Lodge, parzialmente interratonella cenere vulcanica. Lo spazio d'in-gresso, una sorta di ampio soggiornointeramente vetrato con cucina a vista,funge attualmente da sala riunioni eluogo di ristoro, mentre gli ambientirestanti, illuminati dall'alto – duecamere da letto matrimoniali e i bagniannessi – daranno ospitalità ai futurivisitatori; tutto l'arredamento è statodisegnato personalmente dall'artista.L'esterno offre una meravigliosa vistapanoramica sul Painted Desert: in par-ticolare è possibile scorgere all'oriz-zonte il corso del Little Colorado River,le Grand Falls, i profili vagamente coni-ci di alcuni crateri quali il North e South

Shiba e il Merriam. Proprio affaccian-doci dal belvedere ellittico della South

Lodge, Tom mi indica una bassa altu-ra verso sud-est, caratterizzata da bloc-chi litici dalla colorazione brunastra eda una diffusa superficie cinerea di unnero profondo. Sulla parte terminaledi questo leggero rilievo, che i geologiconcordano nell'imputare ad una cola-ta lavica secondaria, sorgerà un nuovoambiente, in principio non previsto, mache oggi Turrell ritiene necessario,denominato Site Administration

Facilities, una costruzione tutta prote-sa verso il deserto atta ad ospitare leriunioni più formali, alle quali spessopartecipano importanti personalità,invitate dall'artista, nella speranza cheaccordino i finanziamenti per accele-rare i lavori. Il grandioso progetto, comeè noto, è ancora in fieri e le operazionidi scavo e re-interro, così come la curatecnica e tecnologica posta durante lacostruzione degli ambienti ipogei,richiedono ingenti somme di denaroche l'artista accumula lentamente conla vendita delle sue opere site specific

ai musei e ai collezionisti in giro per ilmondo. Dopo aver realizzato la South Lodge, ilSun and Moon Space, l'Alpha Tunnel,l'Alpha Space e il Crater's Eye, le ulti-me risorse economiche sono state inve-stite per il restauro di quanto già ese-guito; gli ambienti necessitano infattidi cure continue, anche perché espostiinesorabilmente alle intemperie e allenotevoli escursioni termiche del deser-to. Il passo successivo, mi ha spiegatoTom, procedendo nella visita e soffer-matosi sulle pendici ad est del cratere,sarebbe stata la realizzazione del piùcomplesso degli edifici progettati: ilFumarole Space, per il quale era giàstato avviato un piccolo scavo, lascia-to poi in sospeso. Il costo oneroso pre-ventivato per questo ambiente, all'in-

terno del quale si addenseranno uncoacervo di esperienze visive, aptichee uditive, ne ha scoraggiato il prose-guimento. Si è preferito impiegare ildenaro raccolto per una versione piùmodesta del South Space. Se è veroche le ristrettezze economiche detta-no lo scandire dei tempi e delle moda-lità d'esecuzione del progetto, le inten-zioni dell'autore si mantengono saldee nel tempo si arricchiscono di ulterio-ri particolari e raffinatezze. La nuovaversione del South Space testimoniaproprio questa continua ricerca; l'edi-ficio avrà dimensioni più contenuterispetto alla sua versione precedente,per limitarne i costi, ma la sua posizio-ne, leggermente mutata, si adegueràmeglio all'orografia del terreno perarmonizzarsi compiutamente al pae-saggio circostante. Inoltre alcune con-siderazioni di ordine astronomicohanno dimostrato che lo strumentonon era sufficientemente accurato perla lettura del Ciclo di Saros. Quindi, ilnumero di settori sferici è stato aumen-tato da 6 a 12 nella nuova versione, inmodo da infittire le tacche, incise sullasua superficie interna, per la letturadelle misure celesti. Proprio di fronte al luogo che ospiteràil Fumarole Space, si apre oggi l'in-gresso al tholos che permette l'acces-so nel Sun and Moon Space e quindinel cuore del cratere. Al suo internoTom mi raccomanda di non raccoglie-re alcunché da terra, essendoci il peri-colo di imbattersi in insetti e animalivelenosi mimetizzati nell’oscurità.Dopo aver attraversato l'Alpha Tunnel

e l’Alpha Space, giunti al Crater's Eye,sono stato invitato a calpestare la cene-re vulcanica posta al di sotto del gran-de Skyspace circolare, per occupareesattamente il centro dell'ambiente:a quel punto, pronunciando libera-mente alcune parole, la mia voce, rim-balzando sulla superficie cilindricadella muratura, è magicamente ritor-nata alla sorgente; le onde sonoreriflesse, percepite quasi nello stessoistante in cui sono state emesse, gene-rano un fremito sincrono corporeo chepotrebbe essere paragonato alla sen-sazione di “sentirsi parlare”. Proprioquesta esperienza ha innescato un inte-

ressante confronto dialettico sull'op-portunità di permettere ai musicistiMaria Pia De Vito, Maurizio Giri eMichele Rabbia, di recarsi al cratereper registrare i suoni dell'ambiente,dai quali ricavare una composizioneoriginale e fedele che accompagni ifuturi e aggiornati filmati virtuali sulprogetto. Tom ha espresso solo un dub-bio a riguardo, indipendente dallavolontà sua e da quella dell'artista:per quanto massivo sia stato l'impe-gno profuso per la salvaguardia eco-ambientale del cratere, per non infi-ciare attraverso qualunque tipo diinquinamento la fruizione dei fenome-ni, non si è riuscito ad isolare comple-tamente il Roden Crater dall'attivitàdell'uomo. Tom così mi invita a resta-re in silenzio e dopo lungo tempo hoiniziato a percepire un ronzio insisten-te nell'aria, la cui intensità andava viavia crescendo. Mi ci volle qualchemomento prima di realizzare che quelrumore era prodotto da un aeroplanoche stava sorvolando l'area. Tom quin-di, parlando anche a nome di Turrell,mi ha confermato che i musicisti saran-no i benvenuti, ma che sarebbe statoopportuno pianificare con attenzionei tempi di registrazione per evitare dicogliere le interferenze delle rotteaeree. Una volta emersi dal Crater's

Eye nel catino sommitale, siamo statinuovamente accecati dalla luce deser-tica: i movimenti di terra messi in attoper le opere di scavo e d'interramen-to, così come la modellazione del rimin forma ellittica, per intensificare ilfenomeno del celestial vaulting, hannoquasi completamente eliminato la pre-senza di una tipica pianta giallastrache Turrell intende ripiantumare sututta la superficie del catino, così cheil contrasto del giallo con l'azzurro delcielo esalti l'intensità cromatica di que-st'ultimo. Tutto il percorso compiutoricorda molto da vicino il mito dell'e-mersione delle popolazioni indigenedell'Arizona, i legami etno-antropoli-gici con le tradizioni Hopi emergendopure nelle forme impiegate nelle archi-tetture: gli ambienti si ispirano allecostruzioni sacre denominate Kiva,“luoghi di riunione”, strutture general-mente semi-interrate a pianta circola-

re e a configurazione cilindrica, dotatedi sedili lungo tutto il loro perimetrointerno e di una depressione centrale,chiamata sipapu, traccia mnesica dellacitata leggenda. Ma Turrell non sembra essere l'unicoamericano ad aver trovato fonte d'i-spirazione formale nel deserto e nellacultura indiana dell'Arizona. Alla ricer-ca di un affrancamento dalla tradizio-ne europea, anche Frank Lloyd Wrightsi era rivolto, molti anni prima, alla tra-dizione autoctona americana . Quandoinfatti nel 1914 i fratelli Spaulding diBoston gli commissionarono il proget-to per uno spazio che accogliesse unacollezione di preziose stampe giappo-nesi, l'architetto propose una piantacentrale, illuminata dall'alto e intera-mente chiusa all'esterno, la cui sezio-ne ricorda per molti versi proprio quel-la delle Kiva. Dopo la ‘scoperta‘dell'Arizona, il legame di Wright coldeserto si rinsaldò attraverso la crea-zione di Taliesin West. Nella sua secon-da dimora l'architetto concepì uno spa-zio centrale, con la funzione di sala riu-nioni e di cinematografo, chiuso all'e-sterno, dotato della consueta apertu-ra sommitale e di sedili lungo tutto ilperimetro, al quale assegnò significa-tivamente il nome di Kiva. Ma è possi-bile individuare altri aspetti che sem-brano accomunare Turrell e Wright:l'attenzione posta al rapporto tra archi-tettura e paesaggio, la scelta dei mate-riali da costruzione e la spiccata “sen-sibilità” nei confronti dello scorrere deltempo. Sia a Taliesin West che al Roden

Crater, infatti, sono stati utilizzati, ovepossibile, i materiali messi direttamen-te a disposizione dal deserto, da uncanto per ammortizzare le spese diacquisto e di trasporto, dall'altro persposare l'architettura all'ambiente. Alprincipio una concezione transitoriaaveva mosso Wright nella realizzazio-ne di Taliesin West: tracce di questaaleatorietà sono riscontrabili, oltre chenell'utilizzo della roccia desertica,anche nella decisione di schermare gliambienti dalla forza radiante del solesolo attraverso semplici teli di lino, tesisu strutture lignee. Quest'aspetto di‘precarietà’ è ripreso su scala cosmicaanche nel progetto di James Turrell; gli

strumenti che configurano i suoi spaziinterni, infatti, sono tarati tenendoconto del lento moto siderale e di quel-lo della crosta terrestre. Sembra quin-di che nonostante le conquiste scien-tifiche e culturali del genere umano,resti ancora insoluta l'aporia del tempocolta dalle parole di Sant'Agostino:”Quid ergo est tempus? Si nemo ex mequaerit, scio: si quaerenti explicarevelim, nescio” .

Veduta aerea del Roden Crater (AZ, USA).Foto di Alessandro Belgiojoso

James Turrell, Eye of the Crater, Roden Crater

(AZ, USA). Veduta dell’interno al tramonto.Foto di Agostino De Rosa

James Turrell, Alpha Space, Roden Crater (AZ,USA). Veduta dell’interno. Foto di Agostino De Rosa

Il Painted Desert visto dal rim del Roden Crater

(AZ, USA). Foto di Agostino De Rosa

Nella pagina seguente:Progetto di inserimento di uno Skyspace nel-l'area degli ex Magazzini Frigoriferi, Venezia.Corso di Disegno, clasARCH-Paesaggio, AA.2008-2009, prof. Agostino De Rosa. DarioBarreca e Manuel Da Ronch, viste dell’ester-no

Progetto di inserimento di uno Skyspace nel-l'area degli ex Magazzini Frigoriferi, Venezia.Corso di Disegno, clasARCH-Paesaggio, AA.2008-2009, prof. Agostino De Rosa. MatteoBucciol e Ivan Boldrin, planimetria

Progetto di inserimento di uno Skyspace nel-l'area degli ex Magazzini Frigoriferi, Venezia.Corso di Disegno, clasARCH-Paesaggio, AA.2008-2009, prof. Agostino De Rosa. PaolaMiatto, Michele Paroni, Luciana Schiesari,Alessandro Trevisin e Mariangela Valle, vistadell’esterno

Progetto di inserimento di uno Skyspace nel-l'area degli ex Magazzini Frigoriferi, Venezia.Corso di Disegno, clasARCH-Paesaggio, AA.2008-2009, prof. Agostino De Rosa. FrancescoArdini, Mirco Bianchini, Filippo De Francescoed Eleonora Zacchini, viste dell’esterno (diur-na e notturna)

Progetto di inserimento di uno Skyspace nel-l'area degli ex Magazzini Frigoriferi, Venezia.Corso di Disegno, clasARCH-Paesaggio, AA.2008-2009, prof. Agostino De Rosa. MatteoBucciol e Ivan Boldrin, sezione longitudinale

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strada doganale, era implicito in unatra le principali esigenze funzionali; pla-smare la fruizione tramite il progettoimplicava anche interpretare il tessutourbano veneziano e determinare il posi-zionamento dello Skyspace, oltre allascelta di un approccio culturale consa-pevole di entrambe le questioni. Perquanto riguarda l’accesso all’installa-zione turrelliana, era inoltre richiestodi prestare particolare attenzione aldefinire il più dettagliatamente possi-bile l’esperienza visiva, acustica, tatti-le e olfattiva dei visitatori nei duemomenti cruciali dell’attraversamentodella soglia, che fa da ingresso e usci-ta, consolidando o ridefinendo ex-novo

il rapporto con l’ambiente circostante(edificato, canali, riferimenti visivi qualiil campanile della chiesa, la ciminieradel cotonificio, l’installazione diMassimo Scolari, e il Molino Stucky).Considerate le peculiarità dell’aread’intervento, da una parte, e la naturaartistica dello Skyspace, dall’altra, si èscelto di lasciare agli studenti comple-ta libertà circa i possibili approcci pro-gettuali, l’immaginario di riferimento(paesaggistico, architettonico, artisti-co), e il tipo di rapporto da instaurarecon il contesto urbano e paesaggisti-co. Si è posto invece un vincolo per lacomunicazione dell’ipotesi d’interven-to: l’utilizzo del video come medium

per la rappresentazione. Tra gli stru-menti a disposizione degli studenti diarchitettura di oggi, il video (o, in alter-nativa, la presentazione interattiva concontenuti audiovisivi) è quello che piùconsente di avvicinarsi a una fruizioneimmersiva, e che pertanto obbliga chilo realizza a interrogarsi sulle dinami-che, sul ritmo, sui movimenti, sullaqualità della luce, sull’importanza delsuono nella rappresentazione dellospazio, che può avvenire anche a par-tire da un modello digitale. La costru-zione della sceneggiatura e del mon-taggio era invece libera, con la sola rac-comandazione che il linguaggio impie-gato fosse coerente con quello del pro-getto. È possibile riassumere i princi-pali temi progettuali riscontrati nellosvolgimento delle esercitazioni, elen-candoli come segue:1. Il giardino veneziano: lo studio dellepeculiarità dei giardini a Venezia, nellaloro evoluzione attraverso i secoli, ha for-nito importanti linee-guida per la proget-tazione. L’idea di trasformare l’area in ungiardino ospitante lo Skyspace era d’al-tronde implicita nello stesso programma.2. Il tessuto urbano di Venezia, special-mente nelle sue proporzioni tra pieni evuoti, tra luci e ombre nelle calli e nellefondamenta, tra luoghi panopticon eprospettive continuamente frustrate.3. La presenza dell’acqua, elementodeterminante per gli accessi (ponti,attracchi) ma anche per il suo suono,il suo odore, il suo movimento, e la suacaratteristica di riflettere parzialmentee in modo non statico la luce solare.4. Il confronto con il pensiero artisticodi James Turrell, che ha portato alcunia disegnare percorsi iniziatici finalizza-ti all’epifania della luce, altri a “porta-re il cielo in terra” mediante proiezioniastronomiche significative per il luogo,altri ancora a guardare all’immaginariodella fantascienza degli anni Sessanta,guardando naturalmente anche allaland art sia dal punto di vista storico-critico, che da quello teorico-filosofico,che per la radicalità degli interventi piùsignificativi (in relazione alla sua natu-ra processuale e concettuale).

L e v i s i t e d e g l i s t u d e n t i a l

Roden Crater (F lagstaf f , AZ)

Francesco Bergamo

Università Iuav di Venezia

Il proficuo coinvolgimento dell’UniversitàIuav con i lavori del Roden Crater project

di James Turrell, attivato dal professoreAgostino De Rosa ancor prima del2006 e supportato dalla facoltà diArchitettura, ha consentito all’ateneodi acquisire, per alcuni suoi studenti,il privilegio di visitare il sito geografi-co e lo stato di avanzamento dei lavo-ri che stanno lentamente concretizzan-do il visionario e gigantesco progettodi Turrell. Fino ad oggi, due gruppihanno goduto di questa opportunità,invidiata anche da molti tra i più rino-mati fotografi, artisti e critici d’arte delpianeta: il primo nell’aprile 2009,accompagnato da Agostino De Rosa eda chi scrive, e il secondo nell’ottobredello stesso anno, guidato da GabriellaLiva. Per stimolare ulteriormente i gio-vani universitari a fare tesoro di que-sta esperienza, è stato chiesto loro diinterrogarsi sul come rappresentare ilRoden Crater, il suo intorno, e i suoispazi ipogei, che sono tra gli oggettiarchitettonici più complessi realizzatinegli ultimi secoli. Se è vero che l’og-getto di per sé è talmente inusuale efuori dal tempo che qualsiasi fotogra-fia non può che risultare affascinante,riuscire a comunicare l’esperienza fattasul posto è assolutamente impossibi-le: è fin troppo ovvio che si tratta diuna considerazione applicabile a qual-siasi luogo, qualsiasi esperienza, e qual-siasi opera d’arte, ma nel caso dei lavo-ri di Turrell entrano in gioco meccani-smi sensoriali e conoscitivi che sfuggo-no a ogni tentativo di classificazionelinguistica, perfino di quella più speci-fica della psicologia della percezione.Non è un caso che l’artista stesso abbiaspesso paragonato la sua missione aquella di un bodhisattva, con il ruolodi condurre all’illuminazione non tantoindicando verbalmente un percorso,quanto predisponendo e costruendol’esperienza diretta di chi è pronto acompierla.Giunti alla South Lodge del Roden Crater,a farci da guida, per meglio comprende-re le fasi di questa sorta di percorso ini-ziatico, abbiamo trovato Tom McGrathdella Skystone Foundation, che è project

manager e in fondo anche custode delluogo, e Nancy Taylor, allora direttricedella fondazione. La loro ospitalità hacontribuito a rendere i due giorni di visi-ta ancora più preziosi e indimenticabili,mettendo a disposizione la loro espe-rienza e le loro competenze per soddi-sfare tutte le curiosità, e raccontandomolti dei segreti del cratere.La documentazione fotografica e fil-mata, realizzata e raccolta dagli stessitrentasei studenti che hanno parteci-pato al viaggio nell’aprile 2009, è ser-vita da base per l’elaborazione di unvideo che, per volontà dello stesso arti-sta, ha accompagnato la mostra Terra

e luce, dalla Gurfa al Roden Crater di

James Turrell presso la Galleria d’Arte

Moderna di Palermo, nel Complessomonumentale di Sant’Anna, dal 6 luglioal 6 settembre 2009 (successivamenteprorogata fino al mese di novembre).Turrell aveva richiesto di non eliminarela presenza umana dalle immagini, mapiuttosto di sottolinearla per mostrarecome il Roden Crater non sia un luogolontano dalla vita quotidiana e dalmondo, bensì abbia proprio la funzio-ne – tra le altre – di ridefinire la quoti-dianità, contribuendo a svelare nuoveforme di consapevolezza dello stare almondo: del nostro corpo, dei nostrisensi, della nostra mente, e del piane-ta che abitiamo, ma specialmente dellecomplesse relazioni che connettonotutti questi elementi.

I progetti degli studenti per la

definizione dell’area di san Basilio

Durante i lavori dell’Imago Rerum team

per la mostra Geometrie di Luce: il

Roden Crater project di James Turrell,lo stesso Turrell aveva offerto di dona-re all’Università Iuav di Venezia il pro-getto per uno Skyspace, fruibile daglistudenti e dal personale Iuav, ma anchedai cittadini veneziani e dai turisti. Datala rilevanza di alcune questioni – pre-senti nel lavoro dell’artista – per lediscipline che afferiscono agli ambitidella rappresentazione e della perce-zione del paesaggio, il professoreAgostino De Rosa, curatore dellamostra e coordinatore dell’Imago

Rerum team, ha proposto agli studen-ti del suo corso di Disegno per la Laureaspecialistica in Architettura per ilPaesaggio, durante l’anno accademi-co 2008-2009, di progettare e rappre-sentare adeguatamente l’inserimentodi uno Skyspace-tipo, a pianta quadra-ta, in un’area di proprietà dell’UniversitàIuav. Il sito prescelto per l’esercitazio-ne è quello su cui sarebbe dovuto sor-gere l’edificio progettato oltre diecianni fa da Enric Miralles e BenedettaTagliabue, vincitore del concorso perl’area di San Basilio tra l’ex-cotonificioveneziano e gli ex-magazzini Ligabue,la cui destinazione sarebbe stata orien-tata prevalentemente alla didattica.Dopo l’avvenuto abbattimento dellestrutture preesistenti, l’area in questio-ne versa nello stato di abbandono piùtotale, ed era quindi naturale ripensar-la con la finalità di proporne un utiliz-zo da parte di studenti e personale,magari facendone un luogo deputatoallo studio, alla lettura, al relax e all’i-spirazione, oltre che un raccordo natu-rale tra l’ex-cotonificio e i magazziniLigabue. Era inoltre auspicato che i ragazzi sisarebbero sentiti particolarmente coin-volti nella progettazione paesaggisti-ca di quel sito, immaginando di arric-chire la propria esperienza quotidianaa Venezia nello scenario della frequen-tazione del loro stesso progetto. Lo stu-dio dei percorsi di raccordo tra le sediIuav presenti nei dintorni, e dei colle-gamenti con il campo dietro la chiesadi San Nicolò dei Mendicoli e con la

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Università Iuav di Venezia

Corso di laurea specialistica inPaesaggioCorso di laurea magistrale Disegno dell’architettura

docenti

Agostino De Rosadisegno (clamARCH)

Gabriella Livadisegno (claSa)

collaboratori alla didattica

Francesco BergamoAlessio BortotIsabella FrisoCosimo Monteleone

contributi di

Agostino De RosaIsabella FrisoAlessio BortotGabriella LivaCosimo MonteleoneFrancesco BergamoGiuseppe D’Acunto

Foto di gruppo degli studenti dell’Università Iuavdi Venezia in visita al Roden Crater (AZ, USA) negliAA.AA. 2008-2009, 2009-2010, 2010-2011.

Foto copertinaJames Turrell, Il catino del Roden Crater all’im-brunire (AZ, USA). Fotografia di Amos Zampatti

Back to the future:

lo Iuav e le future mostre sul

Roden Crater

Giuseppe D’Acunto

Università Iuav di Venezia

Il gruppo di ricerca Imago Rerum, gui-dato dal prof. Agostino De Rosa e affe-rente alle struttura di ricercadell’Università Iuav di Venezia, è com-posto da docenti, ricercatori e cultoridelle discipline della Rappresentazioneimpegnati in una serie di ricerche mira-te ad indagare le possibili relazioni tradisegno, arte e musica contemporanea,impiegando in modo creativo le poten-zialità offerte dalle moderne tecnolo-gie digitali. Tra i lavori più coinvolgen-ti sviluppati negli ultimi anni dal team

di ricerca veneziano sicuramente emer-ge l’ampio studio sul Roden Crater

project di James Turrell, di cui è stataproposta la ricostruzione digitale del-l’intero progetto e dei singoli ambientiche lo costituiscono attraverso modellieidomatici in grado di prefigurare nonsolo il suo compiuto aspetto finale, daun punto di vista architettonico e pae-saggistico, ma anche la funzione diosservatorio a occhio nudo di partico-lari eventi astronomici e paesaggistici. Il prossimo incarico al quale è stato chia-mato l’Imago Rerum team è la realizza-zione di una sezione della mostra in alle-stimento nell’erigendo museo che siinaugurerà entro il 2012 a Winslow(Arizona) e che si chiamerà MaRT, acro-nimo che nel suo ‘corpo’ include le ini-ziali dei cognomi dei due artisti ai qualisarà interamente dedicato, ovvero il pit-tore Edward Ruscha, uno dei massimiesponenti della Pop Art americana, enaturalmente James Turrell. L’apertura al pubblico del MaRT è pre-vista per il settembre 2012 e la partedella mostra curata dal gruppo vene-ziano costituirà una parte permanentedella collezione, costituendo un info

point per i visitatori diretti al Roden

Crater. In questa ottica, l’allestimentodella sala in oggetto sarà intensiva-mente impiegato, a partire dal 2013,come tappa consigliata e propedeuti-ca proprio per i visitatori del cratereche desiderino avere, prima della visi-ta reale, informazioni dettagliate sulfunzionamento dei vari ambienti attra-verso le simulazioni digitali. Inoltre, questa funzione informativa edidattica, a partire dal 2013 si intensi-ficherà, in occasione dell’apertura pres-so il Museo Solomon Guggenheim diNew York dell’attesissima mostra retro-spettiva dedicata a James Turrell: lasala curata dall’Imago Rerum sarà pro-prio il luogo in cui i visitatori in listadi attesa dagli anni Sessanta, racco-glieranno informazioni tecnico-scienti-fiche su come si è costituito il proget-to in più di un trentennio, prefiguran-done anche i futuri sviluppi.La creazione del MaRT a Winslow nascedall’idea di Allan Affeldt che, con lamoglie Tina Mion e il sodale DanielLutzick, hanno deciso di trasformare lostorico albergo La Posada in un museodedicato ai due artisti americani che –soprattutto come nel caso di Turrell –sono fortemente radicati con la tradi-zione locale attraverso la propria pro-duzione artistica. La Posada rappresenta un elementomolto importante dell’architettura loca-le: progettato da Mary Elizabeth JaneColter (1869 -1958) nel 1920 su incaricodel ricco industriale Fred Harvey chefece la sua fortuna con l'introduzionedi biancheria, argenteria, porcellana,

cristallo, e un servizio impeccabile peri servizi di bordo nei treni che collega-vano Chicago a Los Angeles. La Colterè sicuramente il più importante archi-tetto e designer donna del XX secoloin occidente: nata nel 1869 a Pittsburgh,tentò una sintesi nel suo linguaggioespressivo tra vari stili architettonici deinativi americani, in particolare quellodegli Hopi, e dei coloni spagnoli nelsud-ovest. Anche se il suo nome è prin-cipalmente legato alle magnifichecostruzioni di servizio realizzate nelGrand Canyon, La Posada è uno dei suoilavori più importanti, avendolo proget-tato in ogni suo dettaglio, anche di arre-do: dalla struttura al giardino, ai mobi-li, agli abiti del personale di servizio,alle porcellane e, non ultimi, alla seriedi affreschi che lei stessa ideò e com-missionò ad artisti Hopi. La fortuna diquesto hotel è stata da sempre legataalla sua posizione strategica, in adia-cenza alla linea ferroviaria che collega-va (e tuttora collega) Los Angeles conChicago e che nell’Ottocento contribuìallo sviluppo economico del piccolo cen-tro di Winslow, una delle città più impor-tanti dell’Arizona prima dello sviluppodella vicina Flagstaff, divenuta ben pre-sto sede di Università e centro di ricer-ca. La Posada, aperto il 15 maggio del 1930,subito dopo il crollo della borsa del1929, è rimasto aperto solo per venti-sette anni. Nel 1957, l'albergo fu chiu-so al pubblico e la sua grande quan-tità di arredi fu messa all'asta nel 1959.Nei primi anni 1960, gran parte dell'e-dificio venne sventrato e trasformatoin uffici per la Santa Fe Railway

Company. L’edificio fu quasi demolitonel 1994, quando la ferrovia annunciòla sua intenzione di abbandonare persempre la località, per questioni logi-stiche. Dopo che il National Trust for

Historic Preservation ha dichiarato La

Posada in grave pericolo di degrado elo ha inserito nella sua lista di edificinecessari di urgente salvaguardia,Allan Affeldt, venutone a conoscenza,ha acquistato l’intero immobile dallaSanta Fe Railway con l’intenzione diaiutare a conservarne l’integrità attra-verso una complessa operazione direstauro. Questo compito, obbiettiva-mente scoraggiante per le condizioniin cui versava l’edificio, ha comporta-to un negoziato di tre anni con la fer-rovia per risolvere diversi ostacoli giu-ridici, ambientali e finanziari. La stazione ferroviaria, parte della pro-prietà dell’hotel, sarà anch’essa parteintegrante del nuovo museo insieme atutta la zona esterna dove avveniva ilrimessaggio delle merci che transita-vano sulla linea ferrata. Proprio que-st’area sarà trasformata in un grandegiardino che ospiterà uno Skyspace

progettato da James Turrell e model-lato come uno stupa dagli echi Hopi.Per settembre 2012 è prevista l’inaugu-razione di una mostra dedicata intera-mente a James Turrell – con opereappositamente create dall’artista – eall’Imago Rerum team è stato affidatol’incarico di allestire lo spazio espositi-vo della sala d’aspetto della stazione,collocandovi, tradotto e aggiornato,buona parte del materiale già in mostraa Palermo nel 2009 e che qui resteràin forma stabile per tutti i visitatoridiretti al Roden Crater. L’altro incarico nel quale il team di ricer-ca veneziano sarà impegnato prossi-mamente è la curatela della sezionededicata al Roden Crater nella mostraantologica dedicata a Turrell, che si

aprirà nel l’ottobre 2013 nella sala delnuovo ampliamento del Guggenheim

di New York, per poi avviarsi ad un tour

mondiale che farà tappa in numerosimusei americani e internazionali; traquesti ricordiamo: il Los Angel Country

Museum (LACMA), The Menil

Collection (Huston, Texas), progettatoda Renzo Piano; per poi approdare alMuseo Guggenheim di Bilbao e a quel-lo di Berlino; Canberra, Tokyo eGerusalemme saranno probabili tappeconclusive della mostra itinerante. La retrospettiva – uno degli eventi piùattesi nel mondo artistico internazio-nale – sarà curata da Michael Govan,direttore del LACMA, e da CarmenJimenez, afferente al Guggenheim diBilbao. L’esposizione avrà un nucleopermanente, di cui farà parte la sezio-ne dedicata al Roden Crater, e ampiesezioni che si modificheranno e arric-chiranno con opere provenienti da col-

mostre svolte:

– Geometrie di Luce. Il Roden Crater

project di James Turrell, Aula Gino Valle,Università Iuav di Venezia, 2007

– Oltre la luce. Il Roden Crater project,Villa e Collezione Panza, BiumoSuperiore (VA), 2008

– Roden Crater project, FestivalBergamoScienza, Bergamo 2008

– Terra e Luce, dalla Gurfa al Roden

Crater, Galleria d’Arte Moderna pressol’Ex Convento di Sant’Anna, Palermo2009

– James Turrell: Geometry of Light:

Geometrie des Lichts, Zentrum fürInternationale Lichtkunst, Unna(Germania) 2009

– Roden Crater. Models and photos,Häusler Contemporary, München(Germany) 2009

– James Turrell The Wolfsburg Project,Kunstmuseum, Wolfsburg 2010

– Mostra permanente ad Alia presso ilMuseo Archivio per la fotografia dellaSicilia e del Mediterraneo

in preparazione:

– See Color II, Järna (Sweeden) 2012

– James Turrell. A retrospective,Solomon R. Guggenheim Museum,New York (USA) 2013

lezioni locali, collegandosi in tal modoai diversi luoghi in cui sosterà nel suotour mondiale. La sezione permanentededicata al visionario progetto deser-tico sarà principalmente composta dadisegni e modelli digitali, animazioni,nuovi modelli bronzei e plastici storiciprodotti dagli anni Settanta in poi eche testimonieranno le diverse fasidella sua complessa progettazione. Lasezione affidata all’Imago Rerum team

avrà lo scopo di chiarire quali sono gliaspetti scientifici, ambientali e percet-tivi coinvolti nel e attivati dal Roden

Crater project e probabilmente, secon-do le indicazioni fornite dall’artista, pre-vederà la realizzazione di un comples-so clone digitale che possa genera-re un ologramma 3D delle strutturesotterranee, fornendo una sugge-stione immersiva, virtuale e astrat-ta, delle opere ipogee dell’artistacaliforniano.

Turrell:Turrell 17/01/2013 15:01 Pagina 8