la sicurezza al fuoco copia - università iuav di venezia

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La sicurezza al fuoco nel progetto di architettura 1 di Valeria Tatano “E’ abbastanza evidente, dopo quanto si è detto, che l’architettura di vetro rende superflua l’attività dei pompieri. Grazie all’eliminazione di tutto il materiale infiammabile si potrà fare a meno dell’assicurazione sugli incendi. L’eliminazione dei rischi di incendio dovrebbe però essere sempre tenuta presente nell’architettura, per cui anche l’arte applicata e la decorazione degli interni dovrebbero servirsi soltanto di materiali non infiammabili.” Paul Scheerbart, Architettura di vetro, Adelphi, Milano, 1982, pag. 95. Tit. orig. Glasarchitektur, Verlag der Sturm, Berlin, 1914. “Cosicché, quando le case cominciarono a essere costruite a prova di fuoco, non c’è stato più bisogno di vigili del fuoco, dei pompieri, che spegnevano gli incendi con i loro getti d’acqua. Furono assegnati loro i nuovi compiti, li si designò custodi della nostra pace spirituale, il fulcro della nostra comprensibile e giustissima paura di apparire inferiori, censori, giudici, esecutori. (..)” Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, 1978, ed. orig. Ballantine, New York 1953. La paura del fuoco: vecchie e nuove fobie Sebbene il sogno di un mondo privo di pompieri abbia interessanti sostenitori, ancora oggi i vigili del fuoco rimangono ampiamente presenti in tutto il mondo con la loro attività di prevenzione e protezione dal fuoco, e molto radicati nell’immaginario comune, specie in quello dei più piccoli, di cui bene interpretano la fantasia dell’eroe positivo, privo di poteri soprannaturali, in grado di esprimere la propria capacità attraverso una forza -umana-, e semplici principi di intervento. E se non sono scomparsi i pompieri significa che non si sono esauriti i pericoli legati al fuoco, anche se le speranze di grandi innovazioni tecniche l’hanno fatto in alcuni casi pensare. A mutare è stato semmai il modo di rapportare il progetto al pericolo degli incendi, attraverso l’ampliarsi di una consapevolezza diffusa tra i progettisti, l’impiego di nuove tecnologie e l’emanazione di importanti strumenti normativi. Il potere distruttivo del fuoco ha segnato infatti alcune importanti tappe nella storia dei modi di progettare e costruire, dato che le ripercussioni di alcuni tragici incendi hanno portato all’emanazione di norme incisive sul piano delle scelte costruttive o urbanistiche. Per ricordare i più noti va citato il grande incendio di Londra del 1666, aiutato nella sua forza distruttiva dall’elevato numero di abitazioni in legno presenti in città. Ad esso fece seguito il primo “Act for Rebuilding the City of London”, che impose l’adozione per le nuove costruzioni esclusivamente del mattone e della pietra. Werner Hegemann, in La Berlino di pietra, ricorda che “il nuovo regolamento edilizio di polizia del 1853 badava quasi esclusivamente alla massima sicurezza contro gli incendi. Le sue prescrizioni di carattere igienico-sanitario erano insufficienti e imprecise. Questa protezione antincendi (definita poi “piromania” da Ernst Bruch, uno dei migliori critici di questo piano) era tanto esagerata e poneva precauzioni così costose che rendeva impossibile la costruzione di case razionali ed economiche.” 2 Un esempio di come l’attenzione per un’unica esigenza, sebbene importante, non riesca mai a conferire una qualità complessiva al progetto, anzi, nel caso delle caserme d’affitto berlinesi la preoccupazione per i possibili incendi, data anche l’elevata concentrazione abitativa cui il sistema dava risposta, era divenuta un’ossessione in grado di far trascurare i livelli minimi di fruibilità e dimensionamento degli alloggi. In Italia è legato all’incendio del cinema Statuto a Torino, nel 1983, l'avvio di un percorso di ricerca nel campo della prevenzione incendi che produsse, nell’immediato, l’emanazione di alcune leggi per l’applicazione delle “misure più urgenti e essenziali di prevenzione incendi” negli edifici 3 . Alcuni di questi decreti “dell’emergenza” hanno portato a scelte a volte radicali, che non hanno eliminato gli incendi, ma certo ne hanno ridimensionato gli esiti, insieme alla ricerca e all’introduzione sul mercato di molti nuovi materiali e prodotti con migliori caratteristiche di reazione o resistenza al fuoco, anche se l’innovazione da sola non risolve tutti i problemi e soprattutto non va mai slegata dalla lezione della tradizione. Daniele Donghi, autore di un celebre Manuale dell’architetto pubblicato all’inizio del Novecento, scrisse nel 1888 una piccola opera sulla sicurezza al fuoco dei teatri che contiene principi di prevenzione e protezione incredibilmente attuali, e per alcuni aspetti ancora oggi innovativi 4 . Negli anni in cui, con estrema velocità, nuove tecnologie andavano a sostituirne di vecchie (come l’illuminazione elettrica che subentrava a quella a gas) Donghi scrive: “la parte più pericolosa

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La sicurezza al fuoco nel progetto di architettura1 di Valeria Tatano “E’ abbastanza evidente, dopo quanto si è detto, che l’architettura di

vetro rende superflua l’attività dei pompieri. Grazie all’eliminazione di tutto il materiale infiammabile si potrà fare a meno dell’assicurazione sugli incendi. L’eliminazione dei rischi di incendio dovrebbe però essere sempre tenuta presente nell’architettura, per cui anche l’arte applicata e la decorazione degli interni dovrebbero servirsi soltanto di materiali non infiammabili.” Paul Scheerbart, Architettura di vetro, Adelphi, Milano, 1982, pag. 95. Tit. orig. Glasarchitektur, Verlag der Sturm, Berlin, 1914.

“Cosicché, quando le case cominciarono a essere costruite a prova di fuoco, non c’è stato più bisogno di vigili del fuoco, dei pompieri, che spegnevano gli incendi con i loro getti d’acqua. Furono assegnati loro i nuovi compiti, li si designò custodi della nostra pace spirituale, il fulcro della nostra comprensibile e giustissima paura di apparire inferiori, censori, giudici, esecutori. (..)” Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, 1978, ed. orig. Ballantine, New York 1953.

La paura del fuoco: vecchie e nuove fobie Sebbene il sogno di un mondo privo di pompieri abbia interessanti sostenitori, ancora oggi i vigili del fuoco rimangono ampiamente presenti in tutto il mondo con la loro attività di prevenzione e protezione dal fuoco, e molto radicati nell’immaginario comune, specie in quello dei più piccoli, di cui bene interpretano la fantasia dell’eroe positivo, privo di poteri soprannaturali, in grado di esprimere la propria capacità attraverso una forza -umana-, e semplici principi di intervento. E se non sono scomparsi i pompieri significa che non si sono esauriti i pericoli legati al fuoco, anche se le speranze di grandi innovazioni tecniche l’hanno fatto in alcuni casi pensare. A mutare è stato semmai il modo di rapportare il progetto al pericolo degli incendi, attraverso l’ampliarsi di una consapevolezza diffusa tra i progettisti, l’impiego di nuove tecnologie e l’emanazione di importanti strumenti normativi. Il potere distruttivo del fuoco ha segnato infatti alcune importanti tappe nella storia dei modi di progettare e costruire, dato che le ripercussioni di alcuni tragici incendi hanno portato all’emanazione di norme incisive sul piano delle scelte costruttive o urbanistiche. Per ricordare i più noti va citato il grande incendio di Londra del 1666, aiutato nella sua forza distruttiva dall’elevato numero di abitazioni in legno presenti in città. Ad esso fece seguito il primo “Act for Rebuilding the City of London”, che impose l’adozione per le nuove costruzioni esclusivamente del mattone e della pietra. Werner Hegemann, in La Berlino di pietra, ricorda che “il nuovo regolamento edilizio di polizia del 1853 badava quasi esclusivamente alla massima sicurezza contro gli incendi. Le sue prescrizioni di carattere igienico-sanitario erano insufficienti e imprecise. Questa protezione antincendi (definita poi “piromania” da Ernst Bruch, uno dei migliori critici di questo piano) era tanto esagerata e poneva precauzioni così costose che rendeva impossibile la costruzione di case razionali ed economiche.”2 Un esempio di come l’attenzione per un’unica esigenza, sebbene importante, non riesca mai a conferire una qualità complessiva al progetto, anzi, nel caso delle caserme d’affitto berlinesi la preoccupazione per i possibili incendi, data anche l’elevata concentrazione abitativa cui il sistema dava risposta, era divenuta un’ossessione in grado di far trascurare i livelli minimi di fruibilità e dimensionamento degli alloggi. In Italia è legato all’incendio del cinema Statuto a Torino, nel 1983, l'avvio di un percorso di ricerca nel campo della prevenzione incendi che produsse, nell’immediato, l’emanazione di alcune leggi per l’applicazione delle “misure più urgenti e essenziali di prevenzione incendi” negli edifici3. Alcuni di questi decreti “dell’emergenza” hanno portato a scelte a volte radicali, che non hanno eliminato gli incendi, ma certo ne hanno ridimensionato gli esiti, insieme alla ricerca e all’introduzione sul mercato di molti nuovi materiali e prodotti con migliori caratteristiche di reazione o resistenza al fuoco, anche se l’innovazione da sola non risolve tutti i problemi e soprattutto non va mai slegata dalla lezione della tradizione. Daniele Donghi, autore di un celebre Manuale dell’architetto pubblicato all’inizio del Novecento, scrisse nel 1888 una piccola opera sulla sicurezza al fuoco dei teatri che contiene principi di prevenzione e protezione incredibilmente attuali, e per alcuni aspetti ancora oggi innovativi4. Negli anni in cui, con estrema velocità, nuove tecnologie andavano a sostituirne di vecchie (come l’illuminazione elettrica che subentrava a quella a gas) Donghi scrive: “la parte più pericolosa

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dell’illuminazione a gas è quella della scena: è là che in mezzo ad una foresta di materie estremamente incendiabili, sono sparse, e a due dita da esse, innumerevoli linguette di fuoco. (..) Colla luce elettrica sono affatto soppresse le cause principali d’incendio, dipendenti da lumi fissi e vaganti, dalle esplosioni e dai lumi della ribalta, dei quali sarà sempre meglio diminuire l’intensità e aumentare il numero.” Scompare lentamente anche il riscaldamento alimentato dalle stufe, sostituito da quello a vapore di cui “gli americani, sempre pronti ad esperimentare quello che loro sembra utile, hanno fatto larga prova (..) e lo preferiscono ad altri. Esso arreca invero non pochi vantaggi ”tra i quali quello di poter essere impiegato come elemento di spegnimento”, precursore dei sistemi automatici come gli impianti a pioggia (sprinklers) o i più recenti Water Mist5. “Per affrontare l’incendio al suo nascere, quando cioè il fuoco non ha ancora avuto tempo di aprire larghi accessi all’aria esterna. E’ allora che basterà aprire uno dei rubinetti sparsi lungo la condotta del riscaldamento, e precisamente quello corrispondente al focolare pericoloso, oppure, in caso di urgenza, rompere la condotta stessa in quel punto, perché il vapore sfuggendo in abbondanza ne operi l’estinzione.” O ancora, tra gli accorgimenti progettuali proposti dal Donghi quello riguardante la dislocazione delle uscite di sicurezza: “Secondo noi, per stabilire dei mezzi veramente efficaci, conviene partire dal principio che tutte le vie di uscita, così dette di sicurezza, devono venir studiate in modo da far parte dell’andamento ordinario del teatro, cioè devono essere costantemente praticate e non nel solo momento del pericolo. La ragione sta nel modo di comportarsi del pubblico, il quale diffida delle vie sconosciute. Ma quando tali vie fossero seralmente praticate e non costituissero un intricato dedalo di corridoi, scale e porte, non si avrebbe più alcun dubbio sull’immediato sgombero.” E le note che più stupiscono sono proprio relative al pubblico e al Suo diretto intervento per ottenere l‘applicazione dei mezzi di sicurezza, cioè l’introduzione di misure per la gestione dell’emergenza, elemento che consideriamo patrimonio recente tra le misure di protezione: “Dalla conoscenza che verrà ad avere il pubblico dei provvedimenti presi per la sua sicurezza, si otterranno due importanti risultati: il primo che esso non andando alla cieca, saprà come comportarsi in caso di disgrazia; il secondo, che col suo diretto intervento, riuscirà ad ottenere quello che né circolari, né ordinamenti otterranno mai, finché esso lascerà il prefetto o le commissioni a tutori della sua vita.” Donghi tocca due elementi di grande attualità per la progettazione della sicurezza al fuoco: il primo di natura progettuale, il secondo di natura gestionale. Proponendo l’impiego delle vie di esodo non solo in caso di emergenza, ma utilizzabili come normali elementi distributivi, anticipa alcuni elementi della filosofia più recente che identificano nell’utilizzo –abituale- delle uscite di sicurezza un punto determinante per il corretto esodo. Sul piano gestionale, inoltre, introduce con un secolo di anticipo il principio secondo il quale l‘utente, in questo caso spettatore, può ricoprire un ruolo importantissimo nella tutela della propria e altrui sicurezza, se opportunamente istruito sui comportamenti da tenere. Principio che la normativa italiana inserirà per la prima volta solo nel 1992 con il decreto per l’edilizia scolastica, con il quale verrà resa obbligatoria la predisposizione di un “piano di emergenza” da testare e verificare attraverso prove di evacuazione6. L’interesse per questo scritto del Donghi appare ancora più evidente se si considera che negli stessi anni della sua pubblicazione l’atteggiamento verso il pericolo era legato al caso e all’imprevedibilità, come la tradizione ottocentesca degli ex voto dipinti ci restituisce attraverso una ricca iconografia di eventi cui l’intervento della provvidenza cristiana regalava positiva soluzione. Nei piccoli dipinti, commissionati dopo lo scampato pericolo, è possibile individuare un’ampia -casistica- di incidenti avvenuti nei cantieri navali ed edili, in casa e, ovviamente, dovuti ad incendi, scorgendo episodi della vita lavorativa e comune, legati al destino e quindi non modificabili nel loro accadimento con la razionalità dell’intervento preventivo7.

Parigi: mur mitoyen, letteralmente il muro che “appartiene a me e a te”, che è sia mio che tuo, è il muro divisorio dell’edificio parigino, l’elemento più antico e stabile, resistente al fuoco, che impedisce la propagazione dell’incendio da un edificio a quello adiacente.

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Tecniche costruttive tra vulnerabilità e tradizione I materiali e le tecniche costruttive con cui gli edifici sono realizzati hanno ovviamente un’importanza determinante rispetto alla sicurezza contro gli incendi e negli ultimi anni molti sono i prodotti che il mercato ha studiato per migliorare il comportamento al fuoco delle strutture e le caratteristiche di reazione al fuoco di elementi ed arredi. Ma non sempre la vulnerabilità di un sistema costruttivo, quando questo è così fortemente radicato nelle tradizioni culturali di un popolo, riesce ad essere messo in discussione. Nel caso degli Stati Uniti l’impiego del legno come materiale da costruzione, in tutte le sue evoluzioni ma soprattutto con il sistema più conosciuto, rappresentato dal Balloon Frame, o "Struttura di Chicago", con cui venne realizzata nel 1833 la prima chiesa cattolica di Chicago, permane a tutti gli inevitabili e continui incendi. Si preferisce cioè mantenere un modo di costruire “a rischio”, ma legato alla disponibilità locale di legname, adottando tutti i principi di protezione possibili (ad esempio la distanza tra asse e asse di legno è stabilita per limitare la presenza dell’aria), e spostando le azioni preventive sulla capillare presenza dei vigili del fuoco, spesso volontari, nell’enorme territorio americano.

Unité d’habitation a Marsiglia, Le Corbusier, 1946-1952. Il modulor, qui utilizzato da Le Corbusier per la pima volta per definire il reticolo delle proporzioni dell’edificio, “ospita” la cassetta dell’idrante.

Agli Stati Uniti sono legati anche due esempi relativi all’impiego del calcestruzzo e dell’acciaio. Wright attribuì all’utilizzo del sistema costruttivo textile block-slab, da lui inventato e impiegato a partire dal 1923, una valenza innovativa sul piano costruttivo e della protezione al fuoco: “A poco a poco spiegai ad Alice Millard l’idea della casa intessuta mediante blocchi in calcestruzzo, idea che gradualmente era andata formandosi nella mia mente da quando avevo fatto ritorno dal Giappone. (..) Avremmo costruito doppie pareti, naturalmente, una rivolta verso l’interno e l’altra verso l’esterno, ottenendo in tal modo un interrotto vuoto tra le due, in modo che la casa sarebbe stata fresca d’estate, calda d’inverno e sempre asciutta. (..) Invece d’una pericolosa trappola per le sue preziose collezioni di libri e oggetti d’arte, Alice Millard avrebbe avuto una casa anti-incendio.”8 Mies van der Rohe fu costretto dalla normativa americana a proteggere le strutture in acciaio del Lake Shore Drive Apartments e del Seagram Building, rivestendole di calcestruzzo. In questo modo la struttura esterna corrisponde solo -virtualmente- a quella interna, alla quale i montanti di facciata sono applicati, scelta che gli attirò non poche critiche9. All’architettura high tech si deve invece una sorta di -affrancamento- della sicurezza dal ruolo di fastidiosa presenza, perché portando in superficie le parti normalmente nascoste di un edificio, come strutture, condutture, collegamenti verticali e canali impiantistici, mettendo cioè in evidenza le viscere più nascoste del progetto, ha consentito anche ai dispositivi legati alla sicurezza di trovare una propria identità, palese e riconoscibile.

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I Water tanks sono serbatoi cilindrici inventati circa 120 anni fa come misura antincendio per garantire la necessaria pressione all’acqua agli edifici sul cui tetto sono collocati. Vengono costruiti sul posto, nel corso di una sola giornata, e possono contenere fino a 40 mila litri d’acqua.

Le scale di sicurezza degli edifici americani, addossate alle pareti, e prolungamento ideale della vita interna alle abitazioni, costituiscono uno fra i simboli più riconoscibili delle misure antincendio.

Icone della sicurezza: le scale di sicurezza e i water tanks posti sui tetti di New York, insieme ai muri tagliafuoco parigini sono alcuni dei dispositivi di sicurezza capaci di evocare con immediatezza la loro funzione, data la lunga tradizione di impiego e la forza della loro visibilità architettonica. Nella maggioranza dei casi, infatti, gli elementi della sicurezza vengono negati dal progetto, occultati nella migliore delle ipotesi, quasi a ribadire la loro estraneità all’espressività formale di un progetto. Idranti, naspi ed estintori nascosti o mimetizzati, segnaletiche assenti, scale relegate in fondo a corridoi scarsamente illuminati e utilizzati, costituiscono lo specchio di un progetto che si adatta con difficoltà alle richieste dei regolamenti, applicando le prestazioni richieste solo a completamento di un iter ideativo e progettuale che non tiene in alcun conto gli aspetti della sicurezza. Se si pensa ad alcuni tra gli edifici simbolo dell’high tech, che costituiscono anche gli archetipi di questo linguaggio, come il Centro Pompidou a Parigi di Renzo Piano e Richard Rogers (1971-1978) o i Lloyd’s di Londra, sempre di Rogers (1978-1986), appare evidente come vengano enfatizzati con la stessa espressività l’imponente struttura metallica esterna, i tubi colorati degli impianti, le scale mobili e quelle di sicurezza, o come le torri esterne dei Lloyd’s, dai brillanti parapetti di acciaio, contengano ed esibiscano allo stesso modo ascensori, condutture e scale di sicurezza. Progettare la sicurezza Non è impossibile dare voce architettonica ai principi della sicurezza, trasformare in -figura- piuttosto che in presenze sgradevoli e spesso posticce elementi quali porte o spazi calmi, progettare una scala di sicurezza esterna senza doverla necessariamente scegliere -a catalogo- tra le molte a disposizione, corrette sul piano funzionale, ma omologate sul piano architettonico. Certo il ruolo del progettista è divenuto negli ultimi anni sempre più complesso. Tra norme tecniche e procedurali un progetto che arriva in cantiere deve confrontarsi con un’enorme mole di vincoli, richieste e certificazioni che richiedono specializzazioni e aggiornamenti costanti. In tal senso la sicurezza al fuoco non è che uno degli elementi del progetto e, con gli altri, deve trovare un dialogo, a partire dal programma funzionale.

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Alcuni esempi di scale di sicurezza -progettate-: La scala di emergenza del Palazzo della Ragione a Milano, di Marco Dezzi Bardeschi, in acciaio e vetro (2001-2003), e la scala della sede dell’Università IUAV di Venezia, ai Tolentini, di Arrigo Rudi e Attilio Santi, in acciaio. Ma se si considera l’adeguamento normativo un puro atto formale, qui inteso nell’accezione di regolare, da attuarsi a completamento del progetto -architettonico- (ma il progetto architettonico non dovrebbe contenere tutti gli elementi che saranno in grado di renderlo costruibile, quindi anche le norme cui è soggetto?), come potrà essere considerata la sicurezza se non una sequenza di modifiche che produrranno scale da aggiungere, tubazioni da inserire o porte da aprire in prospetti già formalmente studiati? Eppure questo è quanto accade, in particolare quando le competenze vengono rigidamente suddivise tra specialisti diversi che mal comunicano tra loro.

Facoltà di architettura a Porto, Alvaro Siza, 1987-1994. Particolare di alcuni elementi: i portacenere a muro e la segnaletica di sicurezza appositamente disegnata da Siza.

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Per la maggior parte dei progetti sarebbe invece sufficiente una buona conoscenza dei principi di base della prevenzione incendi per far entrare la cultura della sicurezza nella progettazione di un manufatto fino dalla prime fasi della sua ideazione. Come la Facoltà di Architettura di Porto di Alvaro Siza dimostra si possa fare. Per questo progetto Siza ha disegnato, oltre agli edifici, maniglie di porte e finestre, elementi di arredo, portacenere, ma anche cassette per gli idranti e tutta la segnaletica antincendio, in un caso forse unico di design completo10. Le normative possono determinare pesanti ricadute sul progetto per gli aspetti legati alla distribuzione degli spazi, all'assetto impiantistico, ma anche per le scelte formali, dal momento che garantire la compartimentazione di un edificio o predisporre un sistema di evacuazione in caso di emergenza comportano decisioni che sono al contempo tecniche e architettoniche. La cultura della sicurezza sollecita nell’architetto la conoscenza delle problematiche, e una sensibilità progettuale in grado di trasformare anche la più rigida delle norme in una occasione di progetto. Ma la conoscenza degli elementi di base della prevenzione e protezione antincendio è assente dall’offerta didattica delle scuole di architettura, in cui si progettano scuole, ospedali o teatri senza prestare alcuna attenzione al fatto che per questi edifici le norme stabiliscono requisiti che renderebbero impossibili da realizzare la maggior parte delle ipotesi formulate11. Il progetto della sicurezza coinvolge invece tutte le scale di intervento, si pone cioè come problema alla scala urbana, edilizia fino a quella del dettaglio costruttivo per la scelta dei materiali da impiegare. L’incendio del quartiere del Chiado, a Lisbona, del 1988, ebbe conseguenze enormi, con la distruzione di molti isolati, in quanto gli elementi di arredo urbani posti tra le vie impedirono il rapido accesso dei mezzi di soccorso12. Le strutture degli edifici, realizzate secondo il sistema ligneo della Gaiola Pombalina, tenevano conto del rischio sismico, ma non di quello legato al fuoco, soprattutto non pensando che scelte di arredo urbano potessero avere ripercussioni sulla sicurezza13. Non diversamente da quanto avvenne a Venezia con l’incendio del Teatro La Fenice, quando i pompieri non riuscirono ad arrivare via acqua con rapidità a causa dei canali messi in secca per i lavori di manutenzione. Senza dimenticare la scala dell’utenza finale, intesa come utenza ampliata, nella quale rientrano le persone normodotate e le persone diversamente abili mentalmente, o fisicamente (anche solo per brevi periodi della vita, come accade ad una donna incinta o a chi ha un arto ingessato), affinchè ogni progetto possa offrire la medesima sicurezza al fuoco per tutti i fruitori. Un obiettivo che è possibile attuare in Italia attraverso un recente strumento normativo, che oltre a suggerire l’utilizzo di nuovi dispositivi, come lo spazio calmo14, sollecita un approccio integrato al progetto, per eliminare le barriere architettoniche del mondo costruito, ma soprattutto quelle mentali dei suoi artefici15.

Riferimenti bibliografici Donghi Daniele, Sulla sicurezza dei teatri in caso d’incendio. Notizie ed osservazioni sui mezzi atti a prevenire e combattere l’incendio e sulla parte che spetta al pubblico nella questione, Camilla e Bertolero editori, Torino, 1888. Laner Franco, "Frate focu", in Costruire in laterizio n. 35, Settembre-Ottobre 1993, pp. 409-413. Nardi Guido, “Il fuoco come elemento di progetto”, in Costruire in laterizio n. 35, Settembre-Ottobre 1993, pp. 405-408. Tatano Valeria, Edifici scolastici: manutenzione e messa in sicurezza. Guida all'adeguamento e al rinnovo, Maggioli, Rimini, 2000.

NOTE 1 Questo saggio è stato pubblicato nel libro: Parlare con l'architettura, a cura di A.Pratelli e C.Conti, Forum, Udine, 2005, pp.165-174. Si ringraziano gli autori e l’editore per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione nel sito ArTec. 2 Werner Hegemann, La Berlino di pietra, Gabriele Mazzotta, Milano, 1975, pag. 239; tit. orig. Das steinerne Berlin, Lugano, 1930. 3 Nell’incendio morirono 64 persone, che non riuscirono ad uscire dal cinema a causa delle uscite di sicurezza bloccate. Venne in seguito emanato la Legge n. 818 del 7 dicembre 1984 per dotare tutte le attività di sufficienti misure di sicurezza. 4 Daniele Donghi, Sulla sicurezza dei teatri in caso d’incendio. Notizie ed osservazioni sui mezzi atti a prevenire e combattere l’incendio e sulla parte che spetta al pubblico nella questione, Camilla e Bertolero editori, Torino, 1888.

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5 I sistemi Water mist utilizzano acqua ad alta pressione, nebulizzata, che offre il vantaggio di limitare moltissimo (pochi litri al minuto per ugello installato) la portata erogata, riducendo anche i danni da acqua verso gli eventuali piani sottostanti quello interessato, che sono invece notevoli nel caso di intervento con le portate tipiche dei sistemi a pioggia (centinaia di litri al minuto per ugello). Questo sistema, di derivazione navale, rende possibile la riduzione del diametro dei tubi della rete di distribuzione e non necessita di sistemi di ripompaggio dell’acqua alle quote intermedie. 6 Prove da effettuarsi almeno due volte nel corso dell’anno scolastico, secondo il D.M. 26 agosto 1992, Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica. 7 A questo proposito si veda il libro di A. Turchini, Ex voto. Per una lettura dell’ex voto dipinto, Arolo, Milano, 1992. 8 Frank Lloyd Wright, Una Autobiografia, Jaca Book, Milano, 1985 (tit. orig. An Autobiography, 1932, by F. L. Wright

Foundation), pag. 216. 9 Scrive Tom Wolfe in Maledetti architetti: “negli Stati Uniti vigevano leggi e norme antincendi. L’acciaio è ottimo per l’edilizia poiché supporta forti spinte laterali e sostiene pesi enormi. Il suo difetto è che al calore d’un incendio s’incurva. La legge americana prevede che, negli edifici, la struttura in acciaio sia rivestita di cemento o altro materiale refrattario. Ciò non fermò Mies tuttavia. Ci aveva già pensato a Chicago, per le Torri ad appartamenti di Lake Shore Drive. Bastava rivestire di cemento la struttura portante, come prescritto, e poi rivelarla, dichiararla, mediante barre verticali a passo largo all’esterno del cemento, come per dire: “Ecco cosa c’è dentro!”. T. Wolfe, Maledetti architetti, Bompiani, Milano, 1990, pag. 74; tit. orig. From Bauhaus to our house, New Jork, 1981. 10 Il disegno della segnaletica di sicurezza non sarebbe possibile in Italia, dato che una specifica normativa obbliga all’impiego di apposita segnaletica, omologata e uguale per tutte le attività, in modo che sia facilmente riconoscibile dai fruitori. Una scelta condivisibile, dato un eccesso di -interpretazioni- grafiche potrebbe risultare problematico per l’utente. 11 Dove e come si impara a progettare la sicurezza al fuoco? All’università poco, dato che sono rari i casi in cui venga richiesto allo studente di ragionare sugli aspetti della prevenzione incendi, e rarissimi i casi in cui siano attivati corsi specifici (eccezioni sono presenti a Milano e Venezia). Corsi specifici sono organizzati dagli ordini professionali e tenuti dai tecnici dei Vigili del fuoco, che forniscono le nozioni di base sui principi di prevenzione e protezione e sulle principali norme tecniche. 12 Antonio Angelillo, “Il recupero del Chiado: un piano d’autore”, in Casabella 628, Novembre 1995, pp. 18-33. 13 Il sistema a Gaiola, che deve il suo nome al marchese di Pombal, prevedeva che struttura e facciata fossero del tutto indipendenti, in modo che in caso di terremoto la facciata potesse anche crollare, lasciando intatta la struttura portante, tanto che la larghezza delle strade era calcolata in modo che l’eventuale crollo delle facciate non danneggiasse le strutture portanti degli altri edifici. 14 Lo Spazio calmo viene così definito dal D.M. 19 agosto 1996, Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo: "Luogo sicuro statico contiguo e comunicante con una via di esodo verticale od in essa inserito; tale spazio non deve costituire intralcio alla fruibilità delle vie di esodo e deve avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa di soccorsi". 15 Circolare del Ministero dell'Interno 1 marzo 2002, n. 4, Linee guida per la valutazione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro ove siano presenti persone disabili.