tesi enrico rosi. percezione e promozione del made in italy in cina
TRANSCRIPT
Università per Stranieri di Perugia
Facoltà di lingua e cultura italiana
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PROMOZIONE DELL’ITALIA ALL’ESTERO
Percezione e promozione del Made in Italy in Cina
Laureando
Enrico Rosi
Relatore
Correlatore
Prof.ssa Donatella Radicchi Prof.ssa Shelly Chen
A.A. 2010-2011
3
Indice
INTRODUZIONE................................................................................... 5
1. IL MARKETING DEL MADE IN ITALY......................................................9
1.1 Definizione, composizione e competitività del Made in Italy..................... 9
1.2 Il paradosso del Made in Italy e la valenza dei distretti industriali...........14
1.3 Immagine, qualità e Sistema Paese..................................................... 21
2. LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA CINESE: OPPORTUNITÀ PER IL MADE IN ITALY.................................................................................. 29
2.1 Dall’apertura al libero mercato al secondo posto nell’economia mondiale............................................................................................29
2.2 Il mercato e il consumatore cinese...................................................... 34
2.3 L’export italiano in Cina.......................................................................44
3. L’IMPORTANZA DELLA COUNTRY IMAGE NELLA PROPOSIZIONE DEL MADE IN ITALY........................................................................... 50
3.1 Country image: un asset vincente per il Made in Italy........................... 50
3.2 Il country of origin effect e le implicazioni per le imprese...................... 53
3.3 Lifestyle e valore intangibile in Cina..................................................... 67
4. LA PERCEZIONE DEI CONSUMATORI CINESI VERSO IL MADE IN ITALY................................................................................................ 71
4.1 Percezione del Made in Italy in Cina.....................................................71
4.2 La country reputation italiana in Cina................................................... 82
5. LA PROMOZIONE DEL MADE IN ITALY IN CINA.................................... 86
5.1 Creare relazioni: guanxi e mianzi......................................................... 86
5.2 Ruolo e attori delle istituzioni italiane e di altre organizzazioni................89
5.3 Altri canali della promozione del Made in Italy in Cina........................... 94
4
6. SONDAGGIO SULLA PERCEZIONE DEL MADE IN ITALY IN CINA E CONSIDERAZIONI FINALI................................................................. 101
6.1 Sondaggio........................................................................................101
6.2 Considerazioni conclusive.................................................................. 117
APPENDICE – Questionario in lingua cinese........................................ 120
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI........................................................... 122
5
Introduzione
L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio ha
sancito l’emersione di questa nuova potenza economica mondiale. Oggi, a
distanza di 11 anni, proprio mentre l’Occidente sperimenta una prolungata
fase di stagnazione economica, la Cina vede rimanere pressoché inalterati
i propri tassi di crescita e continua a guadagnare quote di mercato sulle
esportazioni mondiali. La politica cinese di attrazione degli IDE e la forte
propensione all’export sono considerate nei paesi economicamente
avanzati due cause paradigmatiche della disoccupazione della propria
forza lavoro e della perdita di competitività delle proprie aziende.
In Italia, più che altrove, il dibattito in merito è acceso: la
specializzazione settoriale dei due paesi è infatti molto simile e la
concorrenza proveniente dal Paese asiatico alimenta le ragioni di chi
considera la Cina una minaccia per le produzioni Made in Italy. Il punto di
vista da cui nasce questa tesi è invece speculare al precedente; lo sviluppo
economico e la conseguente crescita del reddito della popolazione cinese
stanno configurando uno dei mercati potenziali più attrattivi del mondo e
le opportunità per le imprese italiane sono altrettanto considerevoli. In
questo lavoro, per ‘opportunità’ si vuole intendere esclusivamente
l’incremento dell’attività commerciale delle aziende che producono beni di
consumo, generalmente realizzata in Italia tramite esportazione.
Il tema centrale di questa tesi ruota attorno al concetto di country of
origin effect, ovvero l’effetto che l’origine geografica del prodotto esercita
nell’alterare la valutazione e il comportamento d’acquisto di un
consumatore estero circa il prodotto stesso. Affinché la Cina possa
effettivamente rappresentare un’opportunità per le aziende italiane, le
produzioni Made in Italy devono necessariamente operare un
riposizionamento competitivo che esalti la qualità e la componente
intangibile di quanto offerto. Il mercato cinese di riferimento attuale è
infatti costituito da consumatori che ricercano (prevalentemente) nel
6
prodotto estero esclusività e conferimento di uno status sociale. Si ritiene
dunque importante per le imprese, al fine di elaborare efficaci strategie di
marketing, conoscere la percezione che i consumatori cinesi hanno
dell’Italia e della sua offerta produttiva. Oltre che per le imprese, la stessa
conoscenza risulta utile inoltre al Sistema Paese italiano, relativamente
all’ideazione e all’attuazione di politiche di sostegno
all’internazionalizzazione commerciale delle imprese del Made in Italy.
L’obiettivo di questa tesi è pertanto quello di capire qual è
l’immagine dell’Italia in Cina, sia sotto il profilo produttivo sia considerando
un quadro storico-culturale-istituzionale d’insieme. Scopo secondario è
indagare come e attraverso quali canali il Made in Italy viene promosso in
questo medesimo mercato, cercando in entrambi i casi di cogliere
particolari valenze che possano suggerire in conclusione degli accorgimenti
efficaci per le imprese e delle indicazioni altrettanto utili per la promozione
del Made in Italy a livello di Sistema.
La tesi si compone di sei capitoli: il primo è dedicato interamente al
Made in Italy, che come composizione settoriale e apparato produttivo di
riferimento costituisce un esempio unico fra i paesi economicamente
sviluppati.
Il secondo capitolo è riferito invece allo sviluppo dell’economia
cinese. Oltre alle tappe storiche che hanno costituito un progressivo
processo di apertura verso l’estero, viene affrontata anche l’attuale
effettiva accessibilità del mercato, la sua potenziale ricettività nei confronti
del Made in Italy e la sua segmentazione (particolare importanza è
attribuita al comportamento d’acquisto del consumatore cinese). È inoltre
dedicato un paragrafo specifico all’export italiano in Cina, le cui quote
sono state suddivise per comparti merceologici.
Nel terzo capitolo si trova il nucleo teorico della tesi, composto come
detto dai concetti di country image e country of origin effect. In questa
parte si cerca dunque di capire cosa li determina e quali sono le
implicazioni per le imprese, anche alla luce dei comportamenti adottati
7
dalle aziende italiane e sulla base del valore che i cinesi attribuiscono
all’aspetto intangibile delle produzioni.
Con il quarto e il quinto capitolo si entra nel merito della percezione
e della promozione del Made in Italy in Cina. Per quanto riguarda la
percezione, vengono citate tre indagini esplorative preesistenti che hanno
come oggetto di indagine un campione cinese a cui è stato chiesto di
esprimere giudizi su alcune caratteristiche di natura produttiva e socio-
culturale riguardanti l’Italia; grazie al contributo di queste ricerche,
realizzate da due diversi istituti di ricerca e da un altro team di ricercatrici,
è possibile delineare sommariamente l’immagine che i consumatori cinesi
hanno nei confronti dell’Italia e del Made in Italy e, di conseguenza, si
individuano i settori e le produzioni italiane che possono contare in Cina su
un effetto paese positivo. Relativamente alla promozione, il primo
paragrafo affronta due aspetti culturali caratteristici cinesi, guanxi e mianzi,
determinanti ai fini di efficienti comunicazioni e trattative nel mondo degli
affari; nel capitolo si individuano i soggetti che promuovono il Made in
Italy in Cina (sia a livello pubblico sia a livello privato) e si indicano le
azioni e gli strumenti principali di cui tali soggetti si servono.
La tesi si conclude con un’inedita indagine esplorativa su un
campione cinese che integra i contributi esistenti e attraverso cui vengono
affrontati àmbiti percettivi specifici della country image italiana. Nel sesto
capitolo, sulla base dei risultati emersi dal nuovo sondaggio, vengono
tratte le conclusioni e le considerazioni finali.
8
Desidero porgere un ringraziamento speciale agli amici cinesi che mi hanno aiutato nella
traduzione del questionario e nella sua diffusione in Cina.
Una dedica e un augurio di cuore per il futuro a tutti i miei colleghi del corso in
Promozione dell’Italia all’estero, unici e sempre presenti durante due anni bellissimi.
Un altro grazie, sempre e comunque, alla mia famiglia e agli affetti più cari.
Enrico Rosi,
Aprile 2012
9
1. Il marketing del Made in Italy
1.1 Definizione, composizione e competitività del Made in Italy
Se si potesse classificare sinteticamente l’economia italiana, non ci
sarebbero obiezioni nel definirla ‘reale’. Sulla base dei dati Eurostat e del
Fondo Monetario Internazionale si può sostenere, a supporto di questo
aggettivo, che l’Italia è il secondo Paese industriale manifatturiero
d’Europa dopo la Germania, che la propria economia è relativamente poco
finanziarizzata e si basa su un vasto e solido reticolo di piccole-medie
imprese e che la bilancia commerciale è decisamente positiva per quanto
riguarda i manufatti. Uniti al fatto di essere inseriti nel quadro
macroeconomico di una delle prime otto Economie mondiali in termini di
Pil, questi fattori denotano fortemente l’Italia come un Paese avente
un’offerta produttiva notevole e, nella fattispecie, competitiva e prestigiosa.
Assume dunque senso parlare di made in e nel caso dell’Italia è
ancor più opportuno selezionare alcuni comparti merceologici che
rappresentano per antonomasia (sia per volumi sia per valore) la
produzione nazionale. Tali settori accrescono il loro peso relativo
nell’ambito dell’export, presentano un saldo attivo e permanente della
bilancia dei pagamenti, dando appunto dimostrazione di un’evidente
specializzazione produttiva ed esportativa dell’economia italiana rispetto al
resto del mondo (Guerini 2004:17).
In ragione della presenza dei prodotti d’eccellenza italiani nella
scena commerciale mondiale fin dagli anni Ottanta, l’espressione Made in
Italy porta con sé un alone di autorevolezza marcato. Ciò è oltretutto
determinante per l’economia italiana ai fini del mantenimento dei propri
vantaggi comparati: questi ultimi non dipendono soltanto dalla dotazione
di specifici fattori o dal possesso di quelle determinanti del vantaggio
competitivo delle nazioni che Porter pone ai vertici del suo ‘diamante’,1
1 Viene citato a titolo esemplificativo uno dei paradigmi più significativi e recenti nell’ambito
10
bensì anche da una serie di caratteristiche (quali ad esempio la creatività e
il design) che connotano ormai esclusivamente il Made in Italy.
Per quanto riguarda la composizione settoriale, il Made in Italy
riflette bene nelle sue diverse componenti e manifestazioni la cultura ed i
caratteri dell’italianità, ed i suoi prodotti finiscono per rappresentare
simboli significativi dell’immagine che il Paese vanta a livello mondiale
(Pratesi 2001:26).
I due grandi raggruppamenti di settori che fanno capo alle
cosiddette ‘4 A’ dell’eccellenza manifatturiera italiana sono quelli
tradizionali e ad offerta specializzata. I primi comprendono i beni di
consumo tradizionali legati alla persona e alla casa e valgono i ¾ della
suddetta offerta: Abbigliamento (si intendono anche calzature, pelletterie,
occhiali, oreficeria e gioielleria), Arredamento (mobili, elettrodomestici,
ceramiche, marmi, casalinghi) e Alimentazione (pasta, olio, vino e prodotti
tipici della cucina mediterranea). I settori ad offerta specializzata si
riferiscono invece all’Automazione: si tratta di meccanica strumentale (che
copre una estesa tipologia di impianti) e di componentistica specializzata
(elementi meccanici, elementi di trasmissione, membrane, utensili ecc.)
funzionali alla produzione dei beni di consumo sopra elencati (Valdani -
Bertoli 2007:44).
La non esclusiva specializzazione in settori tradizionali dimostra
come l’imprenditoria italiana sia stata in grado di evolvere la propria
produzione dalla manifattura di beni di consumo semplici alle produzioni
ad intensità tecnologica medio-alta (benché, come si vedrà, sussiste una
netta despecializzazione nei settori ad elevato contenuto tecnologico), sia
stata in grado altresì di creare un circolo produttivo virtuoso e di acquisire
competenze e conoscenze che consentono oggi di differenziare ed
adattare al meglio il prodotto ai bisogni della domanda.
È anche opportuno ribadire che la differenziazione produttiva delle teorie sul commercio internazionale. Le altre determinanti sono: strategia d’impresa, struttura di mercato e concorrenza; natura della domanda interna; industrie collegate o di supporto. Cfr. C.W.L. Hill, International Business, Hoepli, 2008.
11
dipende, in questa fase di raggiunta maturazione imprenditoriale, da
un’innovatività di tipo soft, legata cioè a caratteristiche creative ed
originali molto apprezzate tral’altro all’estero. La base immateriale del
Made in Italy (lo stile appunto) permette alle aziende italiane di svincolarsi
da un’ampia concorrenza emergente che basa sulla variabile ‘prezzo’ il
proprio vantaggio competitivo e di attenuare l’effetto dell’inevitabile
trasferimento manifatturiero fuori dai confini nazionali.
Fra i tanti a disposizione, 2 sono stati scelti due indicatori per
quantificare a livello economico le virtù del Made in Italy: il valore
aggiunto generato dalle ‘4 A’ e il surplus commerciale con l’estero. Sono
due indici che esprimono soltanto il valore qualitativo della produzione e
dello scambio commerciale; volutamente, si vuole posticipare l’analisi
dell’aspetto quantitativo del fenomeno e lo stato di salute dell’economia
nazionale, che influisce naturalmente sulla competitività del Made in Italy.
“Le ‘4 A’ hanno generato nel 2006 un valore aggiunto di circa 142
miliardi di euro e rappresentano grosso modo il 65% del valore aggiunto
complessivo manifatturiero dell’Italia al costo dei fattori” (Fortis -
Carminati 2009:9). In particolare, 3 l’industria italiana degli Alimentari-
bevande ha espresso nel 2006 un valore aggiunto di 19 miliardi di euro,
quella dell’Abbigliamento-moda è stato di 26 miliardi di euro, Arredo-casa
oltre 16 miliardi e l’industria dell’Automazione-meccanica-gomma-plastica
ha originato un valore aggiunto di quasi 81 miliardi di euro.
Il surplus commerciale delle ‘4 A’ con l’estero ha raggiunto nel 2008 i
116 miliardi di euro: 4 anche in questo caso l’attivo commerciale è
preponderante nel comparto della meccanica (surplus commerciale di 78
miliardi di euro).
Se questi dati dimostrano un sostegno vigoroso del Made in Italy al
commercio estero (tanto da sostenere che se non fosse per la cronica
2 Fatturato, numero di occupati, quote di mercato, valore della produzione, numero di imprese ecc. 3 Elaborazione dati Fondazione Edison su dati Eurostat, Istat, Mediobanca. Cfr. Fortis – Carminati 2009. 4 Ivi, p. 10.
12
dipendenza energetica, la bilancia commerciale italiana sarebbe in attivo),5
è pur vero che a dei valori economici sorprendenti occorre contrapporre
dei volumi aggregati dell’export per lunghi tratti stagnanti o recessivi, una
performance della produttività nazionale altalenante, una capacità
dell’Italia di rispondere alle sfide competitive tutta da dimostrare e
l’avanzata inesorabile della concorrenza proveniente specialmente dalle
economie emergenti.
Competitività nazionale e concorrenza internazionale sono due
variabili che influiscono inesorabilmente sulle sorti del Made in Italy.
L’interpretazione dei dati a riguardo da parte degli operatori economici è
spesso ambivalente. Così come l’apparizione sulla scena economica
mondiale di nuovi competitor è vista sia come possibilità sia come
minaccia per le economie avanzate, anche la performance economica
italiana del recente passato lascia spazio a considerazioni discordanti per il
futuro. Questo poiché, anche a livello mondiale, l’economia ha conosciuto
una serie di continui e repentini cambiamenti che hanno messo in
discussione il ruolo di leadership dei paesi avanzati.
I dati macroeconomici degli ultimi anni dimostrano comunque che
l’Italia ha accumulato una significativa perdita di competitività. Dal 2008 le
variazioni percentuali rispetto agli anni precedenti dei principali valori
macroeconomici sono negativi; il saldo di Conto corrente della Bilancia dei
pagamenti è peggiorato sensibilmente dal 2002 (-10 miliardi di euro) al
2008 (-53 miliardi di euro); la quota sulle esportazioni mondiali di merci
italiane ha subìto un calo di 1,2 punti percentuali in 13 anni, dal 4,5% del
1995 al 3,3% del 2008.6
Apparentemente discordanti, le due serie di dati che dimostrano le
potenzialità del Made in Italy e le difficoltà dell’economia nazionale e delle
esportazioni sono però conciliabili. La riduzione della quota dell’Italia sulle
esportazioni mondiali riguarda infatti i volumi: negli ultimi anni le perdite 5 Rapporto ICE 2010-2011. L’Italia nella competizione internazionale, p. 329. 6 Rielaborazione su dati Ice e Bollettino Economico della Banca d’Italia. Cfr. Valdani – Bertoli 2007: 41,43.
13
maggiori si osservano per la quota in quantità, mentre, ad esempio, la
variazione percentuale dell’export in euro dal 2000 al 2006 è molto
positiva (+27,4%), un tasso inferiore fra i paesi industrializzati solo a
quello di Spagna e Germania (Masi 2007:14,15). In altre parole, i volumi
esportati sono minori ma il fatturato delle aziende, grazie a prezzi più alti,
rimane invariato o addirittura migliora.
“In presenza di volumi stagnanti, la buona performance dei valori
dell’export è interamente riconducibile alla sostenuta dinamica dei prezzi”
(Masi 2007:14). Come si vedrà, sarà proprio in funzione del valore
(tangibile e intangibile) del prodotto che il Made in Italy dovrà operare un
riposizionamento competitivo. Se ciò non dovesse accadere, le imprese
italiane sarebbero esposte ad una concorrenza di prezzo insostenibile con
le imprese dei paesi emergenti. Nei settori tradizionali infatti,
“l’Italia si trova oggi a doversi misurare con una concorrenza vieppiù
agguerrita, proveniente in particolare dalla Cina e da diversi paesi del sud-
est asiatico, i quali si distinguono per: costi del lavoro incomparabilmente
inferiori a quelli occidentali; macchinari aggiornati importati dall’estero (in
primis dal nostro7 Paese); capacità di imitazione (e addirittura, in non
pochi casi, di contraffazione vera e propria); miglioramento progressivo
della qualità dei prodotti; evoluzione in senso manageriale della gestione
aziendale. […] In questi settori, è dunque essenziale che le imprese
innalzino sempre più la capacità di innovare la propria offerta in termini di
stile-design-creatività-moda-qualità” (Valdani – Bertoli 2007:44).
Le quote di mercato provenienti dai settori ad offerta specializzata
soffrono invece meno (per il momento) la competizione della nascente
offerta estera, ancora ‘acerba’ e deficitaria di esperienza, flessibilità e
versatilità tecnologica.
È opinione diffusa8 che altre due cause riconducibili alla flessione del
volume dell’export italiano sono la distribuzione geografica dei mercati di
7 Italia, Nda 8 Cfr. Valdani – Bertoli 2007:43.
14
sbocco (prevalentemente concentrata sui soli mercati maturi europei) e la
struttura dimensionale delle imprese (questo aspetto verrà trattato più
approfonditamente nel prossimo paragrafo).
1.2 Il paradosso del Made in Italy e la valenza dei distretti industriali
Il successo del Made in Italy, più o meno contrastato negli anni dalle
dinamiche economiche nazionali e dalle insidie concorrenziali internazionali,
non è facilmente spiegabile secondo le teorie economiche ortodosse del
commercio internazionale e dall’economia industriale. Come argomenta
Riccardo Varaldo,9 per molti aspetti il Made in Italy appare una sorta di
paradosso. I motivi di questo paradigmatico controsenso sono stati già in
parte accennati nel primo paragrafo: innanzitutto, le produzioni tipiche del
Made in Italy dei settori tradizionali ad alta intesità di lavoro unskilled sono
giudicate più consone a paesi di nuova industrializzazione che non ad
economie sviluppate come l’Italia; successivamente, l’eccezionalità del
Made in Italy è data dagli ottimi risultati ottenuti da un insieme di imprese
di dimensioni ridotte.
La despecializzazione italiana nelle produzioni high-tech è imputata
effettivamente di aver contribuito alla flessione delle quote di mercato
possedute dall’Italia. Indubbiamente questo fattore strutturale ha
penalizzato la presenza italiana all’estero perché ha lasciato le imprese
impreparate e manchevoli verso la domanda mondiale di prodotti ad alto
contenuto tecnologico. Anche in questo caso il dibattito fra gli studiosi a
proposito di questa caratteristica imprenditoriale italiana è acceso: ci si
domanda 10 se, per l’industria manifatturiera italiana, una supremazia
limitata ai settori tradizionali offra sufficienti garanzie per il futuro e se una
situazione d’arretratezza nei settori ad elevate economie di scala (chimica
industriale, metallurgia) e nei settori ad alta tecnologia (elettronica,
9 Cfr. Pratesi 2001:24. 10 Cfr. Pratesi 2001:9.
15
farmaci, aerospaziale) non rappresenti uno squilibrio fortemente
penalizzante con gli altri paesi sviluppati, paesi che hanno dimostrato di
poter trarre ingenti vantaggi dalla commercializzazione di beni
appartenenti a questi settori.
In ogni caso, almeno ai fini di questo lavoro, si intende tralasciare
questo attributo imprenditoriale in quanto l’oggetto in questione è il Made
in Italy che si è già affermato nei mercati internazionali e che è stato
precedentemente delineato. Si cercherà pertanto di indagare quali sono le
strategie per valorizzarlo, senza cercare a tutti i costi un’alternativa ad
un’offerta già di per sé potenzialmente redditizia e a dei procedimenti
industriali efficienti. A tal proposito, sottolinea in maniera illuminante
Valdano:
“tutto considerato sembra quindi opportuno pensare ad una valorizzazione
intelligente del ‘paradosso del Made in Italy’ piuttosto che ad un suo
superamento. Questo servirebbe a far tramontare l’idea che il nostro
Paese possa (debba) essere ricondotto nell’alveo di una presunta, teorica
normalità, ovvero allineato ai modelli di industrializzazione delle altre
economie avanzate […] A questo punto della sua storia industriale l’Italia
non può ragionevolmente pensare di cambiare treno, quello del Made in
Italy e delle piccole imprese, per salire su un altro treno o addirittura
pensare di cambiare tipo di mezzo” (Pratesi 2001:10).
Molto c’è da ragionare invece circa il modo di ottimizzare la
produttività e la competitività delle PMI italiane. Il primo problema da
affrontare è la scarsa propensione all’internazionalizzazione e, per quanto
più riguarda questa ricerca, all’esportazione delle piccole imprese.
In Italia c’è un numero di imprese manifatturiere superiore a quello
di Francia, Germania e Olanda considerate insieme.11 Secondo dati Istat,
in Italia nel 2007 risultano 474.202 attività manifatturiere: fra queste, le
imprese con meno di 10 occupati sono 387.907; le imprese che hanno fra
11 Dati Eurostat 2006. Cfr. Italia – Geografie del nuovo Made in Italy, p. 13.
16
i 10 e i 49 occupati sono 75.050; quelle tra i 50 e i 249 occupati sono
9.860; le imprese con più di 250 sono 1.385. Questa suddivisione non può
essere considerata una classificazione canonica per dimensione (micro,
piccola, media, grande) poiché per esserlo sarebbe necessario considerare
anche il fatturato. Sono numeri che rendono però immediatamente idea di
quale sia la realtà della strutturazione fisica del tessuto imprenditoriale.
Mediobanca – Unioncamere stimano12 che a quell’aggregato di circa
4.900 imprese medie e medio-grandi definite ‘Quarto capitalismo’ 13 (o
‘Multinazionali tascabili’ 14 ) fa capo circa il 25% del valore aggiunto
complessivo dell’industria manifatturiera italiana (che sale al 40%
considerando l’indotto) e il 34% circa dell’export manifatturiero.
Percentuali rilevanti se si considera che i gruppi con fatturato superiore ai
3 miliardi di euro generano circa il 5% e l’11% del valore aggiunto e
dell’export manifatturiero, a dimostrazione della maggiore propensione
all’internazionalizzazione delle imprese medie, medio-grandi e dei grandi
gruppi industriali rispetto alle imprese più piccole.
Una testimonianza aggiornata in proposito è fornita dal rapporto Ice
2010-2011: dopo un calo vertiginoso nel 2009, l’export italiano si è
risollevato nel 2010 ottenendo una variazione percentuale positiva del
16% (+ 9,4% di valore medio). La ripresa ha sì interessato tutte le classi
dimensionali delle imprese, ma in maniera disomogenea: “la crescita più
sostenuta ha riguardato le imprese più grandi, quelle con fatturato estero
superiore ai 50 milioni di euro, che hanno esportato il 21,2% in più
rispetto al 2009”. 15 L’aspetto determinante è stato la provenienza
geografica della domanda, in quanto i mercati più lontani sono stati
raggiunti più facilmente dalle imprese di dimensioni maggiori.
12 Ibidem 13 Si intende l’aggregato (categorizzato da Mediobanca, che da tempo lo analizza) di 4.345 imprese medie e circa 600 medio-grandi manifatturiere che si colloca come cuscinetto tra i grandi gruppi e le piccole imprese. Per crescita e redditività hanno surclassato le altre grandi imprese italiane. 14 Repubblica, 10 gennaio 2009, p.18. www.repubblica.it 15 Rapporto Ice 2010 – 2011, p.285
17
Generalmente, le imprese più piccole presenti in un numero limitato di
mercati sono fortemente dipendenti dalle sorti politico-economiche di
pochi paesi e rischiano di subirne le relative eventuali complicazioni: “il
contributo più vistoso alla crescita delle importazioni mondiali è da
attribuire ai mercati dell’Asia Orientale e latino-americano, mentre alcune
aree geografiche di specializzazione dell’Italia, quali l’intero mercato Ue e
tutto il bacino Mediterraneo, con alcuni paesi coinvolti in una serie di
sommovimenti politici, sono cresciuti meno della media”.16
La considerazione positiva verso la piccola dimensione, reputata in
grado fin’ora di garantire flessibilità e adattamento rapido ai mutamenti
della domanda, sta lasciando il passo al convincimento diffuso che la
piccola dimensione costituisce un vincolo alla crescita e un rischio per le
posizioni acquisite sui mercati internazionali.17 “L’ampliamento del bacino
potenziale di consumatori cui le imprese dovrebbero rivolgere la loro
attenzione richiede una struttura organizzativa più complessa e sofisticata,
che si avvalga di reparti specializzati in marketing, promozione e pubblicità,
servizi post vendita”.18 Una governance familiare rappresenta inoltre un
ostacolo all’elaborazione di soluzioni manageriali avanzate, che
permetterebbero di adottare soluzioni a volte indispensabili come ad
esempio la diversificazione dei mercati di sbocco, l’instaurazione di
collaborazioni industriali, l’investimento in ricerca e sviluppo.
A far fronte a questa condizione strutturale di per sé penalizzante c’è,
in Italia, l’esperienza positiva dei distretti industriali. L’Istat definisce il
distretto industriale ‘entità socio-territoriale in cui una comunità di persone
e una popolazione di imprese industriali si integrano reciprocamente’;19 i
distretti discendono dai ‘sistemi locali del lavoro’, unità territoriali costituite
da più comuni contigui fra loro che rappresentano i luoghi della vita
quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora.
16 Ibidem 17 Cfr. Masi 2007:12. 18 Ibidem 19 8° Censimento generale dell’Industria e dei Servizi 2001. www.istat.it
18
La piccola impresa inscritta nell’alveo di un efficiente distretto
industriale trae da esso benefici in termini di competenze, innovazione e
procedimenti operativi che le consentono di sopperire alle difficoltà sopra
elencate. L’agglomerato, per tutti i nuclei di cui si compone, funge da
catalizzatore di interrelazioni economico-sociali che originano un sub-
sistema industriale locale. Infatti, una caratteristica essenziale del distretto
industriale è la divisione del lavoro tra imprese e la generazione di
interdipendenze produttive di natura intra- e intersettoriale.
Il distretto è tipicamente costituito da piccole-medie imprese che si
specializzano a loro volta in una specifica fase lavorativa di produzione: la
divisione del lavoro consente di sviluppare economie di scala e
apprendimento e di servire, indipendentemente, le imprese committenti
che si trovano a valle nella filiera industriale. La flessibilità della piccola
impresa è così asservita alle necessità che si presentano dapprima proprio
all’interno del distretto: nel reticolo nascono e crescono nuove imprese, si
ramificano dinamicamente conoscenze e scambi di natura economica e
sociale.
La performance economica del distretto dipenderebbe,20 pertanto,
da un elevato livello di efficienza collettiva, innovazione, coesione sociale
ed economie esterne interrelate (esterne all’impresa, ma interne all’area).
La fitta rete di relazioni tessute all’interno del distretto potrebbe
favorire altresì il miglioramento di quella formazione definita ‘on the job’;
specialmente nei settori tipici del Made in Italy, dove contano le abilità
artigianali, la creatività e le tendenze, il capitale umano dovrebbe
ragionavolmente trovare nel distretto terreno fertile per la crescita del
proprio valore.
Sulla base dell’8° Censimento generale dell’Industria e dei Servizi
(Istat) del 2001, si individuano in Italia 156 distretti industriali (81 al Nord,
49 al Centro e 26 nel Mezzogiorno).21 È significativo notare che le tipologie
20 Cfr. Guerini 2004:70. 21 Per i criteri e le procedure adottate per l’individuazione dei distretti industriali si rimanda alla
19
di industria principale utilizzate per classificare i distretti industriali (Tavola
1) corrispondono pienamente (con la sola eccezione dell’industria
cartotecnica e poligrafica) ai settori caratterizzanti l’offerta Made in Italy.
Tavola 1
INDUSTRIA PRINCIPALE Distretti industriali % Addetti manifatturieri dei distretti
%
Tessile e abbigliamento
Meccanica
Beni per la casa
Pelli, cuoio e calzature
Alimentari
Oreficeria e strumenti musicali
Cartotecniche e poligrafiche
Prodotti in gomma e plastica
Totale
45
38
32
20
7
6
4
4
156
28,8
24,4
20,5
12,8
4,5
3,8
2,6
2,6
100
537.435
587.320
382.332
186.680
33.304
116.950
35.996
48.585
1.928.602
27,9
30,5
19,8
9,7
1,7
6,1
1,9
2,5
100
Elaborazione su dati Istat
Nel 2010 anche i distretti industriali hanno reagito positivamente
dopo la congiuntura particolarmente negativa che nel 2009 ha interessato
la domanda delle produzioni tipiche del Made in Italy. Nel Secondo
Rapporto dell’Osservatorio nazionale dei Distretti Industriali 22 si precisa
tuttavia che “i distretti non sembrano aver sofferto gli effetti della crisi più
gravemente rispetto al complesso dell’economia manifatturiera”. È stata
ancora una volta la propensione all’export a determinare il successo di
questo modello produttivo e organizzativo: rispetto al crollo (di livello
internazionale) del 2009, le esportazioni dei distretti sono aumentate nel
2010 del 10,5%. Ciò che è più significativo in un’ottica di medio-lungo
periodo è che, per la prima volta dopo diversi anni, nel 2010 i distretti
industriali hanno mostrato tassi di crescita superiori a quelli di aree non
distrettuali (la quota dei distretti sulle esportazioni dell’Italia è già di per sé
copia elettronica del Censimento consultabile nel sito web www.istat.it. Basti sapere, sommariamente, che per l’identificazione dei distretti è necessario prima individuare gli SLL (sistemi locali del lavoro) prevalentemente manifatturieri di piccola-media impresa per poi operare una classificazione per tipologia di industria principale. 22 L’Osservatorio fornisce dati riferiti ai 101 principali distretti industriali italiani.
20
ottima: per i manufatti, nel 2007, è del 30,8%).23 “Spicca, in particolare, il
boom dell’export in Cina, dove i distretti hanno ottenuto performance di
gran lunga migliori rispetto ai già buoni risultati del manifatturiero italiano
(+81,6% vs +48,8%)”.24
Se i dati del 2010 propendono per l’uscita dal tunnel della recessione,
quel che è difficile affermare è che sia evidente una ripresa diffusa. Il fatto
che alcuni settori rivelano segnali di affaticamento,25 che la capacità di
recupero del tasso occupazionale appare ancora improbabile 26 e che
sembrano accentuarsi le differenze tra il Centro-Nord e il Sud,27 dimostra
l’occorrenza di misure di intervento mirate.
La turbolenza economica provocata dalla Crisi ha inoltre imposto alle
imprese, e a chi a livello governativo nazionale e locale si occupa del loro
sviluppo, di aggiornare e irrobustire una formula sinergica territoriale
(quella dei distretti industriali appunto) in una più vasta rete che possa
comprendere tutti gli agglomerati produttivi nazionali. In questo senso,
oltre alle proposte teoriche, si è già avuto un riscontro normativo e
giuridico con l’approvazione 28 del ‘contratto di rete’, uno strumento
utilizzabile per rilanciare forme nuove e più efficaci di aggregazione. In
particolare, due o più imprese operano in comune per accrescere
principalmente la capacità innovativa e la competitività sul mercato.
L’obiettivo è, spiega il Ministro Paolo Romani nel Secondo Rapporto
dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, aiutare le piccole imprese
di ‘fascia alta’ a crescere e favorire la trasformazione di piccole aziende
‘tradizionali’ (basate cioè su una conduzione familiare non
managerializzata) in una massa critica in grado di incidere maggiormente
sul piano macroeconomico. Ciò che viene auspicato è dunque l’evoluzione
23 Ice – Osservatorio sull’internazionalizzazione dei distretti industriali, maggio 2008. 24 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti industriali, p.32. 25 Ivi, p.51. 26 Ivi, p.54. 27 Ivi, p.34. 28 Nell’ambito del Decreto incentivi 2009, Legge 99/2009; G.U. 31 luglio 2009. www.parlamento.it
21
di forme organizzative più articolate, sia intra- sia interdistrettuali. Dallo
stesso Rapporto, Ferruccio Dardanello (Presidente Unioncamere):
“l’esperienza recente ribadisce la necessità che i distretti riorganizzino
l’insieme dei propri legami, aprendosi all’esterno e, soprattutto, allargando
la visuale ben oltre i confini locali, cercando nuove alleanze finalizzate non
più solo a raggiungere economie di scala produttive ma soprattutto ad
avviare attività di ricerca, innovazione, di distribuzione e
internazionalizzazione sempre più sofisticate e in linea con le mutevoli
esigenze di nuovi mercati e nuovi consumatori”.
La chance per il Made in Italy è grande: se gli sforzi e la
ristrutturazione dell’imprenditoria verrà assecondata dall’intero Sistema, a
competere non saranno più soltanto le imprese, bensì anche i territori: le
risorse sociali, culturali, economiche ed istituzionali di questi ultimi
offriranno ulteriori opportunità di relazionarsi nei mercati internazionali.
1.3 Immagine, qualità e Sistema Paese
Si è già accennato nel primo paragrafo che la valorizzazione
dell’aspetto immateriale dei prodotti Made in Italy è stata per certi versi
una mossa obbligata per impattare meno la concorrenza di prezzo dei
nuovi competitor. Questa politica di up-grading è però perseguibile solo da
parte di imprese che siano effettivamente in grado di poterla attuare. Non
a caso, accanto a quello che è stato definito ‘upgrading strategico’ (quello
di cui si è data menzione poco sopra), un processo di ‘distruzione creativa’
determinato proprio dalla crescente numerosità di concorrenti globali ha
prodotto una selezione naturale delle imprese tramite l’espulsione dal
mercato di quelle relativamente meno efficienti (‘upgrading indotto’).29 Le
imprese italiane hanno dimostrato, tutto sommato, di rispondere
alacremente ai cambiamenti dello scenario competitivo mondiale. L’offerta
29 Cfr. Masi 2007:22.
22
Made in Italy ha immediatamente fatto leva sul valore tangibile e
intangibile del prodotto per attuare nei mercati internazionali un
riposizionamento competitivo. I due elementi della funzione ‘valore’
rivestono un peso specifico più o meno alto a seconda dei mercati
riceventi: in un mercato maturo, l’attribuzione della qualità da parte del
consumatore avviene considerando attentamente la componente
tangibile 30 del prodotto; al contrario, in un mercato emergente, la
percezione della qualità è data non solo dall’elemento tangibile ma anche
e soprattutto dal prezzo e dall’immagine che parallelamente viene
costruita e affiancata al prodotto durante la fase di commercializzazione.
In ogni caso, specialmente durante le fasi di ripresa ed espansione
economica, immagine e qualità sono fattori interdipendenti e inscindibili
che influiscono sull’atteggiamento di valutazione e scelta del consumatore
di qualsiasi paese. L’immagine positiva di cui il Made in Italy beneficia
all’estero supporta la riqualificazione del paniere dei beni offerto, così
come la qualità dei beni proposti contribuisce a rafforzare nel tempo
l’immagine della produzione manifatturiera italiana.
Tangibile ed intangibile sono perciò le facce della stessa medaglia e
ad ognuna di esse andrebbe rivolta eguale attenzione. Specialmente per
molte delle produzioni tipicamente italiane, il miglioramento qualitativo
non deve riguardare esclusivamente la tecnologia o i materiali, ma anche
la valorizzazione di quanto già prodotto. Ovviamente, così come le due
componenti pesano in maniera diversa a seconda della tipologia dei
mercati, anche le singole leve del marketing mix vanno utilizzate
relativamente al target prescelto.
Per quanto riguarda il miglioramento dell’elemento tangibile, i nuovi
modelli di consumo sono contraddistinti da fattori di natura tecnica,
funzionale ed estetica (Masi 2007:16). La domanda dei consumatori più
30 In questo specifico caso si vuole riversare lo stile nella componente tangibile del prodotto, nel senso che il design e la progettazione determinano l’aspetto e la forma percepibile tramite l’apparato sensoriale; la componente intangibile è invece intesa come un attributo latente del prodotto, rilevante ma immaginario.
23
sofisticati, oltre ad essere più variegata ed attenta ai dettagli, esige inoltre
l’affidabilità del prodotto. Il raggiungimento di standard qualitativi elavati
può essere raggiunto dall’impresa con investimenti in R&S,
l’ammodernamento dei processi produttivi, il rafforzamento dei sistemi di
controllo della qualità (Masi 2007:16). Storicamente, le produzioni Made in
Italy hanno giovato di una continua innovazione di prodotto, piuttosto che
di processo: è questo, probabilmente,31 il tipo di innovazione più adatto a
cogliere il miglioramento qualitativo dell’export, in quanto, rispetto
all’innovazione di processo, è meno ripetibile dalla concorrenza. Il
consumatore attratto e soddisfatto dell’innovatività può iniziare ad
identificare il prodotto con l’impresa stessa, attribuendo al marchio un
privilegio di esclusività che può durare anche dopo che i concorrenti hanno
iniziato l’imitazione.
Il valore intangibile del prodotto è invece migliorabile agendo sul mix
promozionale, sul prezzo, la distribuzione e sullo sviluppo dei servizi post-
vendita. Tanto per fare un esempio, la facoltosa domanda che sta
emergendo negli ultimi anni dalle aree a forte incremento economico
mostra di apprezzare particolarmente i beni di lusso di origine italiana,
soprattutto se contraddistinti da brand famosi. Per alcuni consumatori, in
assenza di altre informazioni, è proprio il prezzo alto a suggerire la qualità
di un prodotto.
Accanto all’indispensabile innovazione di prodotto, un impegno
concreto è stato profuso dalle imprese anche per ridisegnare il processo
distributivo e, in genarale, per cercare di comprendere come collocare al
meglio i prodotti sui mercati esteri. Un’indagine del Centro Studi
Unioncamere sulle PMI manifatturiere32 (2010) rivela che tra le azioni su
cui si sarebbero concentrate le policy degli imprenditori nel 2011, dopo il
miglioramento del prodotto e del processo attraverso nuove tecnologie
31 Cfr. Masi 2007:32. 32 Cfr. 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti industriali, p.57.
24
(rispettivamente il 62,8% e 43% del totale),33 figurano proprio interventi
finalizzati ad un più forte radicamento nei mercati di riferimento. Così,
dunque, il 28% circa si sarebbe proposto di investire in comunicazione per
il rafforzamento del marchio; quasi il 24% intendeva spostare il target di
mercato verso una fascia più alta. Per molti, inoltre, era ancora prioritario
l’incremento delle quote di mercato nelle aree di riferimento tradizionali
(Italia, Europa): di conseguenza, la penetrazione di mercati così maturi ha
previsto l’adozione di ulteriori strumenti strategici.
Immagine aziendale e qualità del prodotto sono due variabili cardine
per la ricerca seguita in questo lavoro. Non le uniche, ma indubbiamente
concorrono a determinare la percezione che un gruppo di consumatori
esteri ha nei confronti dell’offerta produttiva di un altro paese. Conoscere
questa percezione significa per il produttore potersi muovere in quel
mercato efficacemente e promuovere i propri prodotti al meglio. Un’altra
variabile che influisce, direttamente e indirettamente, sulla costruzione e il
consolidamento dell’immagine all’estero e sulle capacità di promozione è la
possibilità di fruire, da parte dell’azienda, dell’appoggio multiforme
dell’apparato istituzionale, economico e culturale del proprio paese.
Quando si parla di sostegno extra-aziendale all’attività
imprenditoriale ci si riferisce al cosiddetto Sistema Paese. È questa
un’espressione spesso abusata, impiegata sovente per intendere solo le
funzioni dell’apparato istituzionale a sostegno delle imprese ed in
particolare alla competitività in ambito internazionale. Questo concetto
viene qui impiegato per contemplare invece un insieme eterogeneo di
elementi, non esclusivamente di carattere pubblico/istituzionale, che con
lo stesso peso sono in grado di determinare la percezione e la promozione
del Made in Italy all’estero. A tal proposito, si rimanda al capitolo quinto
l’elencazione delle principali azioni intraprese dai vari soggetti per la
promozione del Made in Italy in Cina. Quel che si vuole ora specificare
sono invece i presupposti e le basi da cui queste iniziative muovono. 33 Risposte multiple.
25
Parlare di Sistema Italia significa identificare innegabilmente un
organismo non del tutto perfettamente funzionante: per quanto riguarda il
contributo dell’apparato istituzionale, potrebbero essere innumerevoli gli
esempi virtuosi provenienti dai tanti enti preposti all’internazionalizzazione
e alla promozione del commercio estero delle imprese italiane; il problema,
semmai, è dovuto alla mancanza di una struttura organica e coordinata
che permetta di elaborare strategie articolate per incrementare la
presenza nei mercati esteri specialmente delle piccole aziende. “Ciò che
sembra penalizzare di più le imprese italiane all’estero è il fatto di non
poter contare su un supporto nazionale analogo a quello degli altri paesi:
sotto vari punti di vista il sostegno pubblico appare frammentario,
eterogeneo, scoordinato e talvolta conflittuale” (Pratesi 2001:15). Le
azioni di Province, Regioni, Ministeri, Università, Camere di Commercio,
Fondazioni, altri Enti statali (senza contare le Organizzazioni
completamente private) necessiterebbero di un coordinamento comune (o
quantomeno della condivisione di linee direttrici comuni) e, come si dirà
fra poco, di un background di credibilità e onorevolezza sociale, culturale e
politica alle spalle.
Per quel che riguarda la concertazione tra agenzie di promozione e
attori istituzionali e privati, l’esempio arriva da alcuni paesi europei
(Germania, Francia, Finlandia, Svezia), asiatici (Australia, Singapore) e
dell’area Ocse (USA e Canada). 34 In questi paesi, la necessità di
fronteggiare la crescente competitività internazionale ha rappresentato
l’occasione per creare una rete di servizi funzionali alla promozione del
commercio estero demandata ad agenzie uniche per
l’internazionalizzazione. Il vantaggio è quello di evitare duplicazioni e
sovrapposizioni inutili delle iniziative, condividendo gli obiettivi e
minimizzando gli sforzi.
Il coordinamento del Germany Trade and Invest, l’ente unico
tedesco che agisce in stretta sinergia con l’amministrazione pubblica e le 34 Cfr. Rapporto Ice 2010-2011, p.332.
26
organizzazioni private nell’attuazione di interventi promozionali e di
supporto alle imprese, è stato realizzato tramite l’informatizzazione di
alcuni processi, consentendo ad ogni impresa l’accesso a servizi informativi
e di assistenza per la penetrazione commerciale e le attività di
investimento; la digitalizzazione dei servizi e l’unicità del riferimento ha
permesso una più rapida ed economica gestione delle risorse disponibili ed
ha assicurato alle imprese una risposta diretta ai propri bisogni.35
La creazione di una piattaforma informatica sotto un’egida comune e
il concetto di interfaccia unica sono stati pensati e caldeggiati dalla
Commissione Europea al fine di creare un ambiente semplice e snello per
favorire il commercio. L’Italia ha recepito la direttiva europea e ha posto,
tramite il Ministero dello Sviluppo Economico, le fondamenta per la
digitalizzazione delle pratiche necessarie ai fini
dell’internazionalizzazione.36
La centralizzazione delle linee guida non deve comunque
soppiantare le preziose attività che nascono a livello locale: al pari della
valenza del distretto industriale, il terriorio circostante l’impresa può
rappresentare per questa il piatto d’argento su cui viene proposta l’offerta
produttiva. Specialmente per il Made in Italy, un’immagine unitaria e ben
definita del territorio conferisce al prodotto manifatturiero unicità e
inimitabilità, rendendolo il risultato del cammino storico-culturale di una
specifica popolazione e rispondendo in maniera efficace a quelle che sono
le istanze del glocalismo.
Scelte più ampie di natura politica, fattori economico-strutturali e
innumerevoli altre cause riconducibili all’inefficienza burocratica
concorrono alla formazione di un habitat non congeniale alle dinamiche
d’impresa. Si possono cogliere alcuni di questi fattori da una rassegna dei
cento divari strutturali fra l’Italia e la media europea ripresa da
35 Ibidem 36 Ivi, p.333.
27
Confartigianato e basata su dati provenienti da numerose fonti ufficiali:37
fra i più significativi, è da segnalare il fatto che l’Italia presenta divari
negativi per quanto riguarda la natalità, la spesa sociale al netto di
pensioni e sanità, la dotazione di infrastrutture, l’uso di rigassificatori e
termovalorizzatori, il trasporto di merci su ferrovia, gli investimenti di
venture capital, l’utilizzo dell’e-commerce, l’uso di internet da parte della
popolazione e l’accesso delle imprese alla banda larga. Sempre dallo
stesso rapporto, spiccano in negativo le giornate perse in scioperi, i prezzi
dell’energia elettrica pagata dalle imprese, la percentuale dei giovani tra i
18 e i 24 anni con la sola licenza media, il tasso di disoccupazione
giovanile, la bassa attrattività delle università italiane, la quota
relativamente contenuta di laureati in materie scientifiche e tecniche e il
basso tasso occupazionale delle donne.
Come già accennato in precedenza inoltre, non si può ricondurre alle
sole costituenti pubbliche/istituzionali il mancato funzionamento a regime
del Sistema. “Dal punto di vista culturale non è difficile notare in Italia la
mancanza di una vera identità nazionale. Il nostro orgoglio, che è sempre
individuale e mai collettivo, non consente la formazione di un senso di
appartenenza e rende poco chiaro agli occhi del mondo il nostro
posizionamento sullo scenario internazionale” (Pratesi 2001:15). Dal punto
di vista sociale e morale l’analisi di vizi e virtù della società italiana
apparirebbe soltanto superficiale se ridotta ad una breve elencazione. È
importante semmai considerare che la reputazione politica, in termini di
credibilità, continuità e coerenza, dovrebbe essere l’amalgama che lega
autorevolmente ogni iniziativa del Paese, di qualsiasi natura essa sia.
L’intervento 38 dell’allora Viceministro Catia Polidori (delega al
Commercio estero del Ministero dello Sviluppo Economico) agli Stati
Generali del Commercio Estero del 28 ottobre 2011 fa da corollario a
quanto fin’ora detto. Dopo aver definito il Made in Italy “marchio di qualità
37 Cfr. 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti industriali, p.168. 38 www.sviluppoeconomico.gov.it
28
dell’Italia nel mondo” e dopo averne lodato la performance esportativa nel
2010 e l’exploit all’expo di Shangai, l’Onorevole ha tracciato il bilancio della
governance recente del commercio internazionale e ha individuato nella
sinergia Stato-Regioni (divenute nel 2000 co-titolari delle politiche di
export) una formula non sempre funzionante: “dobbiamo pensare assieme
al riassetto del comparto commercio estero per evitare sovrapposizioni di
programmi, eventi e presenze, che dilapidano la credibilità dell’Italia nel
mondo e le risorse dei cittadini”. Il Viceministro ha poi chiarito qual è il
ruolo della politica, “chiamata a predisporre un contesto migliore per
consentire alle imprese di svolgere proficuamente la propria attività e ai
flussi commerciali di svilupparsi e prosperare con il minimo possibile di
intralci” e ne ha precisato gli impegni principali: nell’ambito del negoziato
sui dazi e le barriere tariffarie dell’OMC, riuscire a ridurre i picchi tariffari
per le esportazioni nei mercati emergenti che, pure al netto delle barriere
non tariffarie, rendono “sostanzialmente inaccessibili” certi mercati
specialmente per le PMI; a livello europeo, sempre nell’ambito dei
negoziati OMC, rinnovare l’attenzione alla tutela dell’origine, ideazione,
inventiva e creatività dei prodotti; contrastare tutte le forme sleali di
dumping.
29
2. Lo sviluppo dell’economia cinese: opportunità per il Made in Italy
2.1 Dall’apertura al libero mercato al secondo posto nell’economia mondiale
È del tutto normale concepire il fatto che il quarto paese del mondo
in termini di grandezza territoriale, nonché primo per popolazione con più
di un miliardo e trecento milioni di cittadini, si posizioni al secondo posto
nella classifica delle migliori economie mondiali in termini di Pil. Quando
però il paese in questione è la Cina, il successo economico desta
nell’opinione pubblica occidentale un po’ di stupore. Forse perché questo
Paese è stato assente, fino al recente passato, dallo scenario economico
contemporaneo a causa di scelte politiche che ne precludevano l’entrata;
forse invece a causa di un retaggio culturale della società occidentale che
reputa ancora un’inconsuetudine primeggiare con un antagonista asiatico.
È, culturalmente, importante sapere che la Cina ha detenuto nei
secoli (specialmente fra il XVI e il XVIII) una posizione di dominio dal
punto di vista scientifico-tecnologico ed economico e ha saputo sviluppare
modelli istituzionali oggetto di studio e ammirazione da parte di tanti
intellettuali europei.39 In quel periodo, l’Europa non era in grado di offrire
prodotti da scambiare con i raffinati beni di consumo cinesi (fra tutti, seta,
porcellane e gioielli venivano scambiati con ingenti quantità di oro e
argento) e la bilancia commerciale vedeva una forte sperequazione a
favore del Paese asiatico. Oltretutto, la Cina, rifiutando qualsiasi trattato
commerciale che prevedesse condizioni meno penalizzanti per le potenze
occidentali e respingendo ogni tentativo di ingresso straniero di natura
economica-politica nel proprio territorio, si è caratterizzata per essere
stato storicamente un paese chiuso e diffidente. Solo tramite il ricorso a
strumenti militari e politici gli europei riuscirono a trasmettere ed instillare
modelli di comportamento e di consumo occidentali e a garantire il ‘libero’
commercio (a loro condizioni favorevoli) e la rappresentanza diplomatica 39 Cfr. Storia dell’Asia Orientale, Enrica Collotti Pischel, Carocci, 1994.
30
in Cina.40
Ancora oggi, pertanto, senza voler forzare un anacronistico
parallelismo, oltre alle consuete incombenze e problematiche che chi vuol
far business in un paese estero deve affrontare, occorre tener presente
che, in Cina, l’operatore economico straniero e i suoi prodotti trovano
successo solo se in grado di interpretare anche aspetti sociali e culturali
del tutto caratteristici. Dopotutto, l’imprenditoria privata cinese è
giovanissima e i rapporti instaurati con i partner stranieri sono altrettanto
recenti.
La prima apertura volontaria cinese verso l’estero si verifica nel 1978,
nell’ambito di un progetto economico-politico che, insieme alla graduale
valorizzazione dell’iniziativa privata, rappresenta la svolta modernizzatrice
per la Cina. Due anni dopo la morte di Mao Zedong, avvenuta nel 1976, si
svolge una lotta interna al Partito per il controllo del potere, risoltasi con la
vittoria di Deng Xiaoping, un politico riformista già dirigente nel Partito
comunista cinese guidato da Mao. Precedentemente, il trentennio iniziato
con la proclamazione della Repubblica Popolare cinese si distinse, dal
punto di vista economico, per l’assoluta chiusura nei confronti di ogni
influenza straniera e per un modello di sviluppo fondato sulla
pianificazione centralizzata di stampo sovietico.
Con l’avvento di Deng Xiaoping, il Comitato centrale del PCC non
solo dà avvio alla ‘demaoizzazione’ dell’economia, ma ribalta anche le
priorità politiche che per anni erano state ispirate soprattutto da ideologie
leniniste: “la modernizzazione socialista rimpiazza la lotta di classe come
parola d’ordine” (Valdani-Bertoli 2007:14). In realtà si parla di “quattro
modernizzazioni”,41 cioè dell’intervento riformatore su agricoltura, industria,
difesa e scienza. L’adozione di un sistema semi-privato di gestione della
terra si estende in pochi anni ai settori industriali urbani e si crea di fatto
un sistema di gestione economica misto che prevede la liberalizzazione dei 40 Il riferimento principale è alle Guerre dell’Oppio, 1839, 1858. 41 Cfr. Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese. Giuseppe Bertoli, Impresa Progetto, 2008.
31
prezzi, l’ampliamento dell’autonomia decisionale delle imprese pubbliche e
collettive e il decentramento del commercio con l’estero (Bertoli 2008:9).
La seconda metà degli anni Ottanta consacra, non senza dolore, la natura
di questo processo di riforma: i tassi di crescita si assestano ogni anno al
di sopra dell’11% ma il carattere autoritario del Partito unico si manifesta
in tutta la sua crudezza nel maggio del 1989 con la repressione in piazza
Tian’anmen della massa popolare manifestante, esasperata dall’alta
inflazione, da speculazione, corruzione e traffici illeciti. L’intero progetto
sembra vacillare, ma a quel punto le trasformazioni sembrano irreversibili:
“il mondo rurale e le autorità locali (specie quelle delle regioni costiere che
hanno acquisito un’importante libertà di manovra economica e finanziaria)
oppongono una forte resistenza al tentativo di ritornare allo status quo
ante” (Bertoli 2008:9) e, in maniera collaterale, il crollo dell’Unione
Sovietica convince l’ala moderata della classe dirigente che l’unica strada
percorribile in Cina è quella dello sviluppo economico e del miglioramento
delle condizioni di vita della popolazione.
Ancora oggi, gli elevati tassi di crescita economica sono usati come
‘merce di scambio’ dal governo cinese: “un rallentamento della crescita o
un’incapacità del governo di diffonderne i benefici a un numero sempre
maggiore di cittadini potrebbe innescare fenomeni di protesta, che
metterebbero in gravi difficoltà la leadership cinese stessa”.42 La garanzia
di prosperità per i cittadini è così scambiata con la rinuncia a mettere in
discussione l’autoritarismo politico e la limitazione dei diritti umani.
Un’altra tappa fondamentale è il convincimento, maturato nei primi
anni Novanta, che il socialismo non è in contraddizione con il libero
mercato, poiché, secondo la Dirigenza governativa cinese, anche nel
capitalismo sussistono forme di pianificazione economica. La formula del
‘socialismo di libero mercato’ (entrata nella Carta costituzionale del 1993)43
prevede il controllo statale sui soli settori strategici dell’economia, fatto 42 L’economia della Cina. Dalla pianificazione al mercato. Amighini-Chiarlone, Carocci, 2007, p.16. Citato in Valdani-Bertoli 2007:15. 43 Bertoli 2008:10.
32
non estraneo a quanto succede in maniera più o meno marcata in ogni
paese avanzato. Piuttosto, il controllo statale si esplica tramite pratiche
burocratiche cavillose e limitanti (se ne darà conto parlando
dell’accessibilità del Paese).
La valorizzazione dell’iniziativa privata e l’apertura verso l’estero
definiscono il modello di sviluppo della Cina, incentrato appunto
sull’attrazione di investimenti diretti esteri e su una massiccia attività
esportativa. 44 Queste strategie rimangono comunque disciplinate
implicitamente da provvedimenti legislativi funzionali alla massimizzazione
dei propri vantaggi comparati (potendo sfruttare a costi bassissimi
manodopera in attività labour-intensive, la Cina è considerata ‘la fabbrica
del mondo’):45 gli IDE vengono attirati e canalizzati verso particolari aree
geografiche e settori di attività, così come le importazioni destinate alla
trasformazione o assemblaggio vengono esentate dai diritti doganali
(Bertoli 2008:11). Il livello protezionistico cala sensibilmente nel 2001,
quando la Cina entra a far parte dell’Organizzazione mondiale del
commercio; la riduzione dei dazi imposti dall’Organizzazione, insieme
all’accresciuto potere di acquisto della popolazione cinese e alla sua
crescente domanda di beni di consumo esteri, rende oggi il mercato cinese
altamente attrattivo anche per le imprese italiane.
La modifica propedeutica di alcune leggi all’adesione all’OMC
garantisce dal 2001 alle imprese straniere operanti in loco una maggiore
autonomia nel sourcing di materie prime e di non esser più soggette alle
restrizioni sulle vendite nel mercato interno cinese. Secondo la nuova
legge sul commercio estero, in vigore dal luglio 2004, tutte le tipologie di
imprese, comprese quelle private, possono registrarsi secondo il diritto
44 La Cina ha tuttavia da tempo avviato un ripensamento strategico sul proprio modello di sviluppo. I gruppi dirigenti hanno compreso l’urgente necessità di investire nell’economia della conoscenza e, quindi, nelle tecnologie ad alto contenuto di innovazione e nelle attività creative. 45 Nel 2010 la Cina, oltre ad aver raggiunto il secondo posto nell’economia mondiale, è anche diventata il primo paese per produzione manifatturiera: produce il 19,8% della quota globale. Ricerca Global Insight citata in www.bric.ubibanca.com
33
commerciale. 46 Anche i residenti cinesi possono effettuare scambi con
l’estero, anche se poi, ai fini della commercializzazione, è decisivo
distinguere fra diritto di importare e diritto di distribuire, che implica
un’autorizzazione e delle condizioni specifiche.
Tavola 2
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Quota di mercato cinese sulle esportazioni mondiali (composizioni percentuali)
3,4 3,4 3,9 4,3 5,1 5,8 6,5 7,4 8,1 8,9
Saldi di conto corrente della bilancia dei pagamenti cinese (valori in miliardi di dollari)
31,5 15,7 20,5 17,4 35,4 45,9 68,7 160,8 249,9 360,7
Esportazioni mondiali cinesi (valori in miliardi di dollari)
183,7 194,9 249,2 266,7 325,7 438,3 593,3 762,3 969,2 1219,6
Elaborazione su dati del Rapporto Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero 2010
Nella tavola 2 sono riportati dati sintetici recenti che dimostrano
l’inarrestabile crescita economica-commerciale cinese. Fa ancora più
effetto considerare che nel 1980 la quota cinese sulle esportazioni
mondiali era pari allo 0,9% del totale. Al 2007 invece, la quota indicata in
tabella è la seconda più alta nel mondo dopo quella tedesca (9,7%) e
prima di quella statunitense (8,5%). La differenza fra le esportazioni e il
saldo positivo della bilancia dei pagamenti inoltre, dà come risultato le
importazioni, anch’esse costantemente in aumento.
Il prodotto interno lordo a prezzi correnti nel 2010 ammonta47 a
5.878 miliardi di dollari, il secondo valore mondiale dopo quello degli Stati
Uniti d’America. Il Pil pro capite è ovviamente ancora molto basso (4.382
dollari pro capite nel 2010) anche se come si vedrà la distribuzione della
ricchezza è tutt’altro che uniforme. La crescita di questi indicatori è stata
in ogni caso esponenziale: soltanto nel 2001, anno dell’entrata nell’OMC,
Pil e Pil pro capite ammontavano rispettivamente a 1324 miliardi e 1038
46 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero 2010, p.12. 47 Dati: Fondo Monetario Internazionale.
34
dollari.48
La letteratura sullo sviluppo economico cinese è vastissima, così
come lo è la quantità di dati in merito. Quel che è più significativo ai fini di
questa tesi è ciò che potenzialmente può favorire l’internazionalizzazione
commerciale delle imprese italiane; pertanto, col prossimo paragrafo si
intende ricercare fra i dati a disposizione le opportunità per il Made in Italy
in questo grande mercato. Anche la natura delle importazioni della Cina è
infatti variata negli ultimi anni: con un aumento del reddito pro capite e il
conseguente aumento dei consumi è aumentata anche la domanda e
l’importazione di beni finiti. L’Italia ha beneficiato di questa apertura al
commercio internazionale per la quale la Cina, in quest’ultima fase, si pone
non solo come paese trasformatore ma anche come consumatore.
La politica di aumento dei consumi è uno dei punti rilevanti del 12°
piano quinquennale approvato il 14 marzo 2011 dal Comitato centrale del
Partito comunista cinese: “le linee guida del nuovo piano quinquennale
promettono ulteriori manovre atte a stimolare il consumo interno, per
rendere possibile l’auspicata trasformazione della Cina da fabbrica del
mondo a polo di consumo, e poter così dipendere di meno dalle
esportazioni verso i paesi dell’Ovest”.49
2.2 Il mercato cinese
Una premessa introduttiva è doverosa: con questo paragrafo non si
vuole compiere un’analisi completa dell’attrattività commerciale della Cina.
In mancanza di un prodotto/settore specifico a cui riferire l’analisi, sarebbe
errato fare una stima indistinta del mercato potenziale50 per tutti i prodotti
italiani. Lo scopo è tracciare un quadro d’insieme delle variabili che
48 Fondo monetario internazionale. www.imf.org 49 Bollettino economico Repubblica Popolare Cinese – secondo semestre 2010. Camera di Commercio Italiana in Cina, 2011. 50 “Il mercato potenziale può essere inteso come la massima capacità del paese di assorbire, in un definito ambito spazio-temporale, il prodotto considerato e quindi come espressione del suo grado di attrattività”. (Valdani-Bertoli 2007:116).
35
comunque concorrono a rendere il mercato cinese appetibile per le
imprese del Made in Italy. Vengono considerate alcune variabili
demografiche-economiche, il comportamento d’acquisto del consumatore
cinese e le normative che regolano gli scambi commerciali. Quest’ultimo
aspetto è quantomai rilevante nel determinare il successo o il fallimento di
un seppur eccellente piano di marketing: “la diffusione del Made in Italy in
Cina è legata a fattori che spesso esulano dal prezzo di vendita ed
attengono invece alle restrizioni del mercato. Far arrivare un abito di griffe
in una vetrina di Pechino è più difficile che venderlo”.51
2.2.1 Variabili socio-demografiche ed economiche
La crescita economica cinese ha ovviamente innalzato il potere
d’acquisto della popolazione, ma, come detto, il pil pro capite ancora
basso è solo uno dei tanti elementi che impongono cautela di fronte ad un
numero di abitanti così elevato. Non si può di certo pensare che il miliardo
e 330 milioni di persone che popolano questo paese siano tutti potenziali
consumatori di prodotti Made in Italy, tutt’altro. Innanzitutto, di questi,
coloro che vivono in condizioni di povertà (cioè con meno di un dollaro al
giorno) sono 173 milioni;52 inoltre, 721,35 milioni di abitanti, circa il 54,3%
del totale, vive nelle campagne 53 ed è ancora avulso dai bisogni tipici
dell’economia della vita borghese. La distribuzione della popolazione sul
territorio, altro fattore che si correla con la differenza di reddito, è
irregolare: il 56,5% della popolazione vive nella Cina Orientale e
Meridionale, che corrispondono insieme al 18,8% del territorio. 54 Una
qualsiasi analisi non può dunque trascurare la disomogeneità dei
consumatori cinesi; oltre alle disparità geografiche e di reddito, anche in
quella fascia che può acquistare a prezzi tipicamente occidentali occorre
51 La Cina per le aziende italiane: minacce ed opportunità, Romeo Orlandi, in Mondo Cinese n.118, 2004. 52 Bertoli 2008:17. 53 Profilo economico della Cina, Ice Shanghai, 2010, p.7. 54 Ibidem
36
soppesare le incognite legate ad un mercato culturalmente diverso e che
si sta interfacciando per la prima volta al consumismo.
Attualmente il riferimento per le imprese italiane deve essere la
classe benestante cinese, stimata nel 2010 in circa 95 milioni di individui55
(per classe benestante si intende l’insieme di persone con un Pil pro capite
di almeno 30.000 dollari a parità di potere d’acquisto e prezzi del 2005).
Questo numero ammonta per ora al 7,1% dell’intera popolazione ed è
superiore al numero di abitanti residenti in Germania (81 milioni di
individui con un Pil pro capite di 32.138 dollari nel 2010).56 Secondo altre
stime,57 i nuovi benestanti con redditi superiori a 50.000 euro annui sono
circa due milioni, di cui soltanto 300.000 sono i veri nuovi ricchi, ovvero
coloro che possiedono ingenti capitali finanziari e redditi davvero elevati.
In ogni caso, ciò che rende la Cina un inestimabile mercato di sbocco è la
previsione secondo la quale la classe benestante raddoppierà ogni cinque
anni nella decade 2010-2020.58 Nel 2015 i cinesi abbienti ammonteranno
dunque a 201 milioni, per poi raggiungere nel 2020 una cifra paragonabile
a quella di tutta la popolazione dell’Europa Occidentale (421 milioni di
abitanti con Pil medio pro capite di 36.088 dollari).
Già oggi, al raggiungimento di un certo livello di reddito, la ‘voglia di
benessere’ abbassa la propensione al risparmio e fa scattare la domanda
di beni associati a modelli di consumo più sofisticati. Nel 2010 il consumo
55 È stata accettata questa stima di Manuela Marianera (Marianera 2011) benché nella letteratura a riguardo ce ne siano di discordanti. Ad esempio, Bertoli (in Bertoli 2008) cita una ricerca di Ivana Casaburi (China as a Market: what is the real market for international brands?, 2008) in cui viene profilato un segmento definito ‘classe media’, composto da 300 milioni di persone con un reddito fra i 3.600 e 7.000 euro annui. A questo segmento viene attribuita “un’alta propensione alla spesa finalizzata alla ricerca di riconoscimento sociale”. Il segmento più alto in termini di reddito (7.200-18.000 euro) sarebbe composto soltanto da 10 milioni di persone. Relativa concordanza c’è con Bicchielli (Bicchielli 2010) solo nella stima del microsegmento dei super ricchi: Casaburi indica dalle 320 mila alle 500 mila persone con reddito sopra i 60.000 euro annui; Bicchielli ne individua 2 milioni con reddito sopra i 50.000 euro annui. Questa incongruenza di dati testimonia la limitatezza delle informazioni disponibili e la difficoltà di condurre analisi di mercato in Cina. In questo caso la stima proposta da Marianera è parsa più selettiva e affidabile, considerando anche che i dati reddituali trascritti da Bertoli (in euro) non si sa se siano a parità di potere di acquisto o meno. 56 Ibidem 57 Cfr. Bicchielli 2010:108. 58 Marianera 2011:2.
37
privato sul Pil della Cina è stimato a quasi il 36% (calcolato su valori
nominali), pesando a PPA per l’8,7% su quello mondiale. Se le politiche di
stimolo dei consumi avranno successo, l’incidenza sul Pil potrebbe
raggiungere il 45% nel 2015 e il 50% nel 2020.59
Per le imprese diventa anche essenziale localizzare questa classe
benestante, essendo la Cina un paese vasto 9,6 milioni di kmq, più del
doppio dell’UE. La suddivisione amministrativa attuale prevede 22 province,
5 regioni autonome, 4 municipalità e 2 regioni amministrative speciali,
ognuna delle quali si rapporta diversamente con il governo centrale. Da
ogni ricerca in merito, appare evidente che il reddito e il consumo della
popolazione sono più alti nelle aree urbane e aumentano in relazione al
posizionamento geografico e alla dimensione delle città.
Secondo la suddivisione utilizzata anche dal Governo cinese per
predisporre i piani di sviluppo, si individuano 3 macro-aree economiche:
l’Ovest, che copre il 71% del territorio nazionale e conta il 28% della
popolazione; il Centro, che occupa il 18% del territorio e ospita il 32%
della popolazione; l’Est, che comprende soltanto l’11% del territorio ma
accoglie il 40% della popolazione e genera il 58% del Pil e il 60% dei
consumi dell’intera Cina.60 L’Est è costituito dalle province che si affacciano
sul mare: la presenza di infrastrutture, una più solida base produttiva e le
migliori condizioni territoriali sono alla base della maggiore prosperità
dell’area costiera, in cui si stima viva il 73% dei cinesi benestanti.61
Una ricerca di Normandy Madden62 citata da Bertoli (Bertoli 2008:22)
suggerisce la seguente macrosegmentazione geografica dei consumatori
cinesi: consumatori residenti nelle città di medie dimensioni delle regioni
interne; consumatori residenti nelle grandi città delle regioni interne e
costiere; consumatori residenti nelle città di maggiori dimensioni. Nel
primo segmento, il reddito pro capite e la conoscenza dei mercati esteri
59 Ivi, p.3. 60 Marianera 2011:5. 61 Ibidem 62 Tier tale: how marketers classify cities in China, 2007.
38
sono limitati; questi consumatori non evidenziano propensione all’acquisto
di prodotti importati e in ogni caso non considerano la componente ‘moda’
di un bene, per cui i prodotti possono eventualmente riscuotere successo
alla fine del loro ciclo di vita. I consumatori del secondo segmento
dispongono di un reddito più alto ma, anche in questo caso, la funzionalità
del bene continua ad essere l’attributo chiave nei loro acquisti. Nel terzo
segmento si trovano consumatori che dispongono di un reddito pro capite
elevato e vivono nelle aree maggiormente interessate dallo sviluppo
economico; in questo caso, c’è maggior familiarità e ricezione verso i
prodotti importati e la ricerca di comfort, qualità e design portano questi
potenziali acquirenti a corrispondere un premium price per ottenere
quanto desiderato.
Fra le città più ricche si distinguono Shanghai, Pechino, Guangzhou e
Shenzhen, mentre le province con la classe benestante più vasta sono:
Guangdong, Jiangsu, Shandong, Shanghai e Pechino.
Altre caratteristiche socio-demografiche dei consumatori cinesi sono
interessanti ai fini della commercializzazione dei prodotti Made in Italy.
L’età media in Cina è 34,1 anni, nettamente inferiore a quella dei paesi
occidentali più giovani; nel 2009 c’erano 460 milioni di persone di età
compresa tra i 20 e i 44 anni, la fascia di età che spende di più (Marianera
2011:12) ed è più scolarizzata. I giovani in particolare mostrano interesse
verso le nuove tecnologie, i modelli di comportamento e consumo
occidentali e sono avvezzi all’uso di internet. Il numero di internauti
nell’intera Cina ha raggiunto i 420 milioni nel giugno 2010 e l’e-commerce
sta crescendo più che in qualunque altra parte del mondo: da gennaio a
giugno 2010 il numero di persone che ha utilizzato la rete per fare
shopping ha raggiunto i 142 milioni (Marianera 2011:11).
Determinante è anche l’ascesa delle donne nella società cinese:63
oltre a costituire un target a sé stante portatore di relativi bisogni, 63 Nelle università cinesi sono iscritte 104 studentesse ogni 100 studenti maschi; ogni 100 tecnici 52 sono donne e in Parlamento il rapporto è 21/100. Il reddito medio delle donne è stimato essere il 68% di quello maschile, ancora basso ma in costante aumento (Marianera 2011:13).
39
l’impatto di un tale fenomeno contribuirà al cambiamento delle priorità di
spesa anche all’interno del loro nucleo familiare e relazionale.
2.2.2 Comportamento d’acquisto del consumatore cinese
Precedentemente si è accennato in nota alla difficoltà di quantificare
e definire macro e micro segmenti di consumatori in un mercato così
grande e variegato. La stessa difficoltà si riscontra nell’attribuire ad
ognuno di questi segmenti un appropriato atteggiamento di consumo.
Grazie alla corrispondenza fra alcune ricerche e le impressioni personali di
chi in Cina soggiorna e lavora, si è in grado quantomeno di delineare qual
è l’approccio del ceto medio-alto cinese verso i brand internazionali.
Un primo documentato fenomeno 64 dovrebbe essere il punto di
partenza per ogni considerazione successiva: contrariamente ad una
percezione largamente diffusa in Occidente, i consumatori cinesi (anche se
abbienti) preferiscono l’acquisto di prodotti nazionali qualora non
dovessero riscontrare in quelli esteri delle particolari qualità esclusive. Non
è un caso infatti che il riposizionamento competitivo del Made in Italy
venga proprio incontro all’esigenza di accrescere la qualità materiale ed
intangibile dei prodotti. C’è però da dire che, almeno in assenza di
informazioni e nell’impossibilità di paragonare direttamente l’offerta, i
prodotti stranieri godono fra i consumatori cinesi di maggior reputazione
rispetto agli omologhi nazionali.
Prendendo come riferimento l’indagine ‘Check-in Cina’, condotta
dalle società di ricerca GPF e ABG,65 si sostiene che i cinesi reputano i
prodotti stranieri migliori e desiderabili perché attribuiscono loro il primato
della qualità e dello stile. Il prodotto straniero è concepito come un
simulacro moderno da integrare nella propria tradizione culturale, a cui i
cinesi si sentono molto legati. In questo senso, il prodotto consente di
64 Cfr. Orlandi 2004; Cfr. Symbolic value of foreign products in the People’s Republic of China, Lianzi-Hui, Journal of International Marketing, 2003. 65 Non è stato possibile consultare la fonte primaria; un rapporto dettagliato è presente nella sezione ‘analisi e ricerche’ del sito www.agichina24.it
40
emulare un modello comportamentale occidentale e il consumatore cinese
che ostenta brand internazionali ottiene riconoscimento e prestigio sociale.
“I cinesi si sentono in cammino verso la modernità che in molti campi è
oggi rappresentata da alcune categorie di prodotti occidentali, ma al
tempo stesso sono orgogliosi della loro tradizione culturale”.66
Il consumatore cinese non è dunque alla ricerca dell’identificazione
valoriale col brand, si serve di esso solo in modo strumentale, sfruttando il
riferimento all’elevato standard di vita che caratterizza il mondo dal quale
il marchio proviene. Da questo punto di vista, oggi tanti prodotti Made in
Italy (in particolare quelli del settore moda) sono innanzitutto dei totem,
miti materiali da possedere e sfoggiare.
Altri beni considerati attualmente indispensabili dalle famiglie
benestanti vanno dalla casa (vero e proprio status symbol ambìto dal ceto
medio) ai prodotti d’arredo che la completano; dalla telefonia,
elettrodomestici, elettronica, mezzi di trasporto fino anche a sconfinare in
modelli consumistici di natura ricreativa come l’happy hour. Il carattere di
questi nuovi consumatori si può definire aspirazionale, cioè di sostanziale
aspirazione allo status (Pietrasanta 2009:121) e l’approccio verso i
consumi è ancora dettato dal possesso materiale, diversamente da quanto
accade ormai in mercati più maturi in cui l’acquisto deve garantire anche
una maggiore qualità della vita.
Queste indicazioni sono fondamentali per le imprese italiane ai fini di
una pianificazione promozionale efficace: una comunicazione referenziale
del prodotto non sarà sufficiente a conquistare un consumatore desideroso
di possedere un ‘simbolo’; ad essa andrà affiancato un immaginario, e
soprattutto un’esperienza, che assecondino le dimensioni del sogno e del
desiderio del fruitore. Ad esemplificare bene il concetto di ‘esperienza’
legata al prodotto è un piccolo esperimento tratto nuovamente dalla
ricerca ‘Check-in Cina’. Sono state scelte tre produzioni tipiche alle quali gli
italiani conferiscono una sorta di esclusiva e alle quali è riconosciuto un 66 Le opportunità per i prodotti italiani in Cina, www.agichina24.it
41
primato di gusto e qualità: la pizza, il caffè, il gelato. È stato poi chiesto ai
cinesi intervistati di pensare a delle associazioni mentali riferite a questi
prodotti. Si poteva supporre che le associazioni riguardassero Napoli, il
Colosseo o per esempio piazza San Marco. Niente di tutto questo. Secondo
i risultati della ricerca, i tre prodotti sono stati associati rispettivamente a
Pizza Hut, Starbucks e Haagen-Dazs.67
Non si consuma solo un prodotto: oggi più che mai in Cina, il
marchio offre al consumatore un’esperienza e lo rende partecipe di uno
stile di vita. Nel caso di prodotti del settore agro-alimentare comunque, la
domanda cinese si è mostrata sensibile anche ad aspetti concreti quali la
genuinità e i contenuti nutrizionali, determinando la richiesta di prodotti
alimentari premium.68
2.2.3 Aspetti normativi e legislativi
L’apertura commerciale della Cina ha ricevuto una sorta di
ufficializzazione con l’ingresso nell’OMC; tuttavia, fenomeni corruttivi e
clientelari ricorrenti, un sistema legislativo ambiguo e la ridotta
trasparenza di alcune pratiche burocratiche costituiscono ostacoli al libero
commercio per le imprese estere. Per di più, i governi locali spesso non
hanno le risorse e la volontà politica di recepire gli atti legislativi che a
livello centrale entrano in vigore per disciplinare l’ambiente economico in
costante evoluzione; quando poi gli atti vengono ratificati, il governo
cinese pubblica degli ‘avvisi di pubblica informazione’ che molto spesso
non vengono nemmeno tradotti in inglese.69
Nella ‘panoramica di rischio paese’ redatta dalla Fondazione Italia
Cina nel 2010 si continua a dare per “certa” l’attività protezionistica cinese
nei confronti della propria industria nazionale, cosicché le difficoltà di
67 Sono tutte e tre famose multinazionali americane che hanno commercializzato i loro prodotti (pizze, caffetteria, gelati e dolci) in pressoché tutti i paesi sviluppati del mondo. Ovviamente in Italia non hanno mercato. 68 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010. 69 Cfr. Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010. p.32.
42
accesso al mercato in numerosi settori rimarrà inalterata. Il filtro
protezionistico si basa prevalentamente su barriere non tariffarie, in
particolare relative agli standard. La Cina, non adottando spesso standard
internazionali, invalida il principio di parità di trattamento (che dovrebbe
costituire uno dei cardini della partecipazione all’OMC) e richiede requisiti
(di sicurezza, fitosanitari, di qualità ecc.) più alti alle aziende straniere. Fra
i tanti, si segnalano il ‘sistema di certificazione obbligatoria’ (China
Compulsory Certification System) che non appare del tutto conforme con
alcuni princìpi posti dal WTO technical Barriers to Trade Agreement (per
esempio pone ostacoli al settore auto causando costi addizionali di
omologazione) e la regolamentazione in materia di etichettatura per i
prodotti alimentari preconfezionati (General Standard of Labelling) che
implica restrizioni eccessive rispetto agli obiettivi perseguiti. 70 L’Italia è
colpita da queste forme di protezionismo del mercato sia nei settori
industriali (parti per auto, apparecchiature domestiche di cottura a gas) sia
nel comparto agroindustriale, dove la Cina impone appunto una serie di
misure sanitarie smisurate e frappone ostacoli tecnici (ispezioni continue,
non-adesione agli standard internazionali quali il Codex Alimentarius,
ritardi alle richieste di autorizzazione ecc.) che di fatto frenano l’apertura
di questo segmento produttivo.
Le barriere tariffarie, in conformità con gli adempimenti assunti nel
protocollo di adesione all’OMC, si stanno progressivamente abbassando: la
tariffa media dei dazi è scesa dal 35% ad valorem del 2001 al 9,8% del
2009 (nel 2008 si registra ancora un 15,3% di media sui prodotti agricoli e
8,8% su quelli industriali). 71 In fase di sdoganamento permangono
tuttavia sia un dazio doganale (ad valorem) sia l’imposta sul valore
aggiunto da versare direttamente alle autorità doganali.72
La scelta di commercializzare i prodotti italiani in Cina prevede anche
la possibilità di investire in territorio cinese per, ad esempio, costituire una 70 Ibidem 71 Ibidem 72 Business Atlas 2011, Assocamerestero.
43
società di trading o un semplice ufficio di rappresentanza. La normativa
cinese sugli investimenti stranieri permette infatti di realizzare diversi tipi
di società, denominate dal diritto locale ‘Foreign invested enterprise’ (FIE).
Le principali tipologie di FIE sono due: le ‘Wholly foreign-owned enterprise’
(WFOE), cioè società a totale capitale straniero e le Joint Venture, società
miste che a loro volta si dividono in ‘Equity joint venture’ e ‘Cooperative
joint venture’. La scelta della forma di investimento dal punto di vista della
proprietà consiste dunque nel decidere se investire autonomamente o
insieme ad un partner locale. Quel che più interessa ai fini di questo lavoro
è l’investimento finalizzato allo svolgimento di un’attività commerciale: il
settore della distribuzione e vendita all’ingrosso e al dettaglio è stato
aperto nel 2004 agli investitori stranieri; a questi ultimi è consentito
costituire società commerciali dette FICE (‘Foreign invested commercial
enterprises’), anche se non sempre è consentita la libera scelta73 fra la
forma WFOE o Joint Venture. La normativa in vigore denominata
‘Measures for the Administration of Foreign Investment in the Commercial
Sector’ disciplina le attività di vendita al dettaglio (si intendono anche
vendite attraverso TV, telefono, posta, internet e distributori automatici),
vendita all’ingrosso, distribuzioni sulla base di contratti di agenzie,
franchising e apertura di punti vendita (per le società straniere di trading
già presenti in Cina). Spesso, la condizione restrittiva a cui sono soggetti
questi settori comporta l’obbligo di avere un partner locale con una
percentuale di quote societarie minima ben definita; in ogni caso, la
distribuzione diretta dei propri prodotti, oltre ad incrementare i profitti,
73 In alcuni casi l’investitore estero è obbligato a scegliere la sola forma della Joint Venture, visto che in alcuni settori è imposta dallo Stato la compartecipazione di un partner locale. Il Catalogue for the Guidance of Foreign Investment Industries elenca i settori industriali nei quali gli investimenti stranieri sono incoraggiati, ristretti o proibiti. Nel Catalogo c’è un capitolo relativo proprio all’Industria del Commercio all’ingrosso e al dettaglio: fra i più significativi, sono ristretti gli investimenti per la costituzione di società commerciali di vendita diretta e per corrispondenza/internet di “commodity” (non si capisce bene se ci sono delle merci specifiche colpite dalla restrizione), il franchising, la distribuzione e vendita di prodotti audiovisivi (film esclusi), commercio all’ingrosso e distribuzione al dettaglio di beni fra cui zucchero, medicinali, tabacchi, automobili e beni strumentali per la produzione agricola. In moltissimi casi oltretutto i cinesi devono detenere la maggioranza delle azioni. Fonte: www.investment.gov.cn
44
permette una maggiore conoscenza del mercato e una posizione solida
che garantisce una presenza stabile e non basata sulla volontà
discrezionale dell’agente o del distributore.
L’ufficio di rappresentanza è una presenza non dotata di personalità
giuridica e non abilitata a svolgere attività commerciali dirette (non può
importare o vendere prodotti); per alcune esigenze specifiche resta
tuttavia una forma di presenza di veloce avviamento e dai costi
relativamente limitati, che può svolgere funzioni di promozione e raccordo.
La ‘Company Law’ (la normativa che disciplina le società di capitali in Cina)
prevede anche la possibilità di costituire una sede secondaria detta
‘branch’ per la società straniera; come l’ufficio di rappresentaza non è
dotata di personalità giuridica, ma al contrario di esso, previo ottenimento
delle licenze necessarie, può svolgere attività commerciali e produttive.
Un importante provvedimento del Governo cinese è stato adottato in
merito alla tutela dei segreti commerciali: nell’ambito del contratto di
franchising, il franchisee sarebbe passibile di risarcimento danni nel caso
in cui comunicasse o consentisse a terzi l’utilizzo di tali segreti
commerciali.74
2.3 L’export italiano in Cina
L’Italia rappresenta al 2010 il quindicesimo partner commerciale
della Cina per volume complessivo degli scambi commerciali. Questa
posizione non manifesta però la natura dell’interscambio e rappresenta
anzi una sorta di media beffarda nei confronti del Paese europeo; l’Italia è
infatti decima nella classifica dei paesi importatori di prodotti cinesi ma è
soltanto ventunesima nella classifica degli esportatori verso la Cina. Nel
2010 l’Italia ha importato merce cinese per un valore pari a circa 31
miliardi di dollari ed ha esportato al contrario per un valore pari a circa 14
74 Fare affari in Cina. Guida alle normative cinesi sugli affari. Ice, 2010.
45
miliardi di dolllari.75 In Europa comunque l’Italia è terza fra i paesi che
esportano in Cina, alle spalle di Germania e Francia; nel 2009, anno del
crollo economico-commerciale mondiale, proprio dall’export è venuto un
dato incoraggiante per il futuro del Made in Italy in Cina: a fronte di una
contrazione media degli scambi globali del 12%, le esportazioni italiane in
questo mercato si sono ridotte in misura molto meno accentuata (-5,4%).
La serie storica di dati relativi all’interscambio (Tavola 3) mostra un
aumento costante a tassi lievemente decrescenti sia delle importazioni sia
delle esportazioni italiane in Cina. Progressivamente crescenti (se si
eccettua il brusco calo del 2009) sono invece i saldi commerciali positivi
per la Cina: solo nei primi sei mesi del 2011 il saldo provvisorio ha
raggiunto i 9 miliardi di dollari, più della metà del dato annuale 2010; le
esportazioni sono oltre il doppio delle importazioni cinesi dall’Italia.
Tavola 3
2006 2007 2008 2009 2010
Interscambio commerciale Cina-Italia (Mln USD)
24.581,05 31.393,91 38.265,78 31.272,82 45.129,53
Importazioni dall’Italia (Mln USD)
8.605,62 10.216,50 11.657,47 11.026,60 13.993,69
Esportazioni verso l’Italia (Mln USD)
15.975,43 21.177,41 26.608,31 20.246,22 31.135,84
Saldo commerciale italiano (Mln USD)
- 7.369,81 - 10.969,91 - 14.950,84 - 9.219,62 -17.142,15
Rielaborazione da Italian Trade Commission – Shanghai Office
La composizione dell’export italiano in Cina è piuttosto polarizzato: a
pochi settori viene ascritta la maggior parte del valore complessivo.
Approssimando, nel 2011 il 50% dell’export italiano in Cina è composto da
macchinari (elettrici e non), il 21% si riferisce ai semilavorati industriali
(tra cui si distinguono le pelli e i prodotti farmaceutici) e l’abbigliamento e 75 Cfr. Bollettino economico Repubblica Popolare Cinese 2010, Camera di Commercio Italiana in Cina e Dati Ice. La quota italiana rappresenta l’1% del totale delle importazioni cinesi.
46
gli accessori rappresentano il 14% del totale. Più staccati in graduatoria
sono i veicoli e mezzi di trasporto (4%) e due settori tradizionali del Made
in Italy: l’agroalimentare (1,3%) e l’arredamento (1,2%). Il restante 10%
circa riguarda essenzialmente materie prime.76 Tutto sommato, la quota
del settore arredamento è ragionevolmente alta, considerando che
attualmente i prodotti italiani sono destinati solo ad una piccola nicchia di
consumatori e che le abitudini abitative della classe media cinese sono in
divenire. È invece decisamente in ritardo il settore agro-alimentare: come
si dirà nei focus dedicati, dall’Europa perfino la Germania esporta in Cina
più prodotti alimentari dell’Italia.
Al di là delle specifiche strategie aziendali e delle politiche
istituzionali di cui si darà conto nei prossimi capitoli, ai fini dell’export
viene reputata importante dagli operatori economici la presenza diretta
delle imprese sul territorio estero.77 Questo vale tanto più per l’Italia, che
a fronte del sistema distributivo cinese estremamente frammentato,
sconta l’ulteriore debolezza di non disporre di operatori nazionali nella
grande distribuzione. In Cina sono circa 2.000 le imprese stabilitesi
attraverso le più varie modalità. I settori italiani più radicati sono quelli
della meccanica e del tessile ma gli investimenti sono comunque
abbastanza diversificati e la presenza italiana è virtualmente estesa in
tutto il territorio cinese.78 In particolar modo, la delocalizzazione produttiva
non permette soltanto il risparmio sui costi di produzione, ma agevola
anche i tempi di consegna sul mercato locale, la gestione dell’assistenza e
dei servizi post-vendita. Inoltre, “la tangibilità assicura una diversa
percezione del prodotto/servizio straniero da parte della controparte
cinese, conferendogli una credibilità che, spesso, anche un’indiscussa
fama internazionale non è in grado di assicurare”. 79 Questa teoria va
76 I dati indicativi sono tratti da alcuni rapporti Ice, ma sono forniti originariamente in dettaglio da Global Trade Informations Services, via internet al sito www.gtis.com 77 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, p.21. 78 Ibidem 79 Ibidem
47
apparentemente in conflitto con quella di chi sostiene che produrre in Cina
beni a forte caratterizzazione stilistica e qualitativa potrebbe screditare agli
occhi del consumatore cinese il prodotto stesso: viene pertanto reputata
vantaggiosa, per i beni di consumo, la produzione in Cina destinata alla
locale fascia media, mantenendo in Italia la manifattura destinata alla
fascia alta.
2.3.1 Focus comparti merceologici
Lusso – L’Ice stima in una percentuale del 20/30% annuo il saggio
di crescita atteso per il mercato dei beni di lusso; un Rapporto della
Fondazione Italia Cina lo attesta invece al 10% annuo. Quel che è certo è
che nei prossimi anni, con la crescita esponenziale della classe medio-alta,
la Cina sostituirà il Giappone quale secondo mercato mondiale del lusso e
la domanda verso i già rinomati beni di lusso italiani dovrebbe essere
sempre maggiore. Sono già in aumento le importazioni anche da città di
seconda fascia e anche i marchi ‘minori’ che hanno dedicato attenzione e
risorse per adeguarsi al contesto cinese avranno numerose opportunità.80
A livello settoriale, occasioni rilevanti anche per il calzaturiero, pellettiero,
occhialeria e, a dispetto degli elevati dazi, anche di oreficeria e gioielleria.
Il tessile-abbigliamento può vantare sulla prestigiosa reputazione costruita
negli anni dalle Case di moda storiche, Armani su tutte. Questo è il
settore nel quale il consumatore cinese oltre alla semplice qualità cerca
esclusività: per quanto riguarda l’abbigliamento, la distribuzione sul
mercato è prevalentemente nella forma di negozio monomarca per i brand
di lusso e, per i capi casual, in corner all’interno di centri commerciali delle
grandi città. Vetrine importanti sono anche gli hotel di lusso che spesso
ospitano eventi mondani e sfilate di grandi firme (Pietrasanta 2009:97).
Arredamento – Come già anticipato, le notevoli potenzialità di
questo settore possono contare sul cambiamento delle esigenze abitative
della pololazione cinese, desiderosa di riflettere il proprio status su 80 La Cina nel 2010. Scenari e Prospettive per le imprese, Fondazione Italia Cina, 2010.
48
un’abitazione di qualità. L’Italia si colloca al quarto posto tra i paesi
fornitori della Cina nel settore arredamento e le proprie quote sono in
aumento.
Agro-alimentare – L’urbanizzazione, l’influenza internazionale e
l’aumento del reddito hanno contribuito al cambiamento degli stili di vita
dei cinesi, che si aprono a modelli di consumo alimentare occidentali. La
propensione verso prodotti tracciabili e di marca e la preferenza d’acquisto
presso canali commerciali moderni si è accentuata inoltre notevolmente
dopo lo sdegno provocato dal caso melamina del 2008 che ha sconvolto il
settore lattiero-caseario.81 Il mercato delle categorie di prodotti con forte
caratterizzazione locale è saturo e fortemente presidiato; maggiori
possibilità sono concesse a tipologie di prodotti di ispirazione decisamente
più occidentale, come gli alimenti surgelati, il cioccolato, i cereali a
colazione, i succhi di frutta in bottiglia82 e soprattutto il vino. Anche per
questo settore, l’emersione di nuove città in ambienti sociali diversi
richiede un’offerta di prodotti sostenuta da azioni di marketing ad hoc.
Ovviamente, l’apprezzamento in senso più ampio della cucina del Bel
Paese necessita di un’attività propedeutica di educazione al prodotto
italiano che dovrà essere sostenuta anche e soprattutto a livello nazionale.
A livello di preferenza, l’agroalimentare italiano soffre tuttavia
pesantemente la concorrenza di altri paesi europei, Francia in particolare:
secondo la pubblicazione del MAE ‘Diplomazia economica italiana’ del
giugno 2011, nel settore bevande e alcolici la Francia è nettamente al
primo posto come paese fornitore della Cina, con un volume di export pari
a 277,8 milioni di dollari contro i 21,8 milioni dell’Italia.
Automazione – L’Italia potrà presumibilmente contare ancora per
molti anni su una domanda cinese particolarmente sostenuta di macchine
utensili, meccanica di precisione, componenti e semi-lavorati, logistica
81 In Cina melamina nel latte, gelati e yogurt, venerdì 19 settembre 2008, www.ilsole24.com 82 La Cina nel 2010. Scenari e Prospettive per le imprese, Fondazione Italia Cina, 2010.
49
interna e automazione, meccanica strumentale in genere. 83 L’industria
cinese sta innalzando il valore tecnologico delle sue produzioni ma,
tuttavia, di questo up grade potrà beneficiare anche il settore della
componentistica italiana andando a soddisfare l’indotto del settore cinese
automobilistico (la Cina è il terzo principale produttore di automobili), che
può contare oggi sul mercato domestico più grande del mondo.84
Turismo – Si è deciso di annoverare il turismo in questa lista in
quanto il processo di assimilazione culturale che spesso segue la visita di
un paese può fungere da volano per la diffusione di prodotti italiani in Cina.
Non solo: i tour dello shopping, specie della classe benestante,
contribuiscono alla vendita di prodotti di lusso direttamente in Italia. Il
turismo è una fonte di reddito inestimabile per tutta l’economia italiana; il
Consiglio di Stato cinese incentiva la mobilità turistica e prevede che nel
2015 il flusso di turisti cinesi all’estero raggiungerà 83 milioni di persone,
con un tasso di crescita annuo del 9%.85 Nel 2008 le mete europee hanno
assorbito un flusso turistico del 5%: quasi 200.000 tusisti cinesi durante
quel periodo hanno fatto la loro prima tappa in Italia.86
83 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, p.20. 84 Ferrari ha conquistato la leadership del mercato del suo settore. L’immagine del Made in Italy in Cina è promossa anche da Maserati, Brembo e Magneti Marelli per la componentistica, Pininfarina e Icona tra i designer. Fiat dal settembre 2011 commercializza la nuova 500 e ha promosso il lancio ufficiale con una brillante azione di marketing, presentando al Salone dell’auto di Shanghai una Limited edition impreziosita da motivi grafici nati dalla creatività di cinque designer cinesi. Fiat è inoltre in procinto di lanciare un nuovo autoveicolo, prodotto in collaborazione con Guangzhou Automotive Company. (Fonte: Diplomazia Economica Italiana, Ministero degli Affari Esteri, n.9, 2011). 85 La Cina nel 2010. Scenari e Prospettive per le imprese, Fondazione Italia Cina, 2010, p.56. 86 Ibidem
50
3. L’importanza della country image nella proposizione del Made in Italy
3.1 Country image: un asset vincente per il Made in Italy
Il riposizionamento competitivo del Made in Italy ha risposto ad una
logica di miglioramento qualitativo funzionale ad una maggiore
competitività internazionale. Si è detto che, oltre a far leva sulla
componente tangibile del prodotto, la creazione di maggior valore avviene
anche agendo su un insieme di fattori intangibili (prezzo, mix
promozionale, distribuzione, servizi post-vendita) che favoriscono il
consolidamento di un’immagine positiva da affiancare al prodotto. Il
fattore che influisce in maniera più efficace sulla valorizzazione della
componente intangibile resta tuttavia quello emozionale: in questo senso,
il prodotto si avvale dei valori e del carattere dei quali nel tempo la marca
di riferimento si è appropriata. Oltre al brand però, anche l’immagine del
paese di origine contribuisce alla valorizzazione delle proprietà immateriali
di un bene; per di più, la dimensione nazionale è inclusiva, e in alcuni casi
la politica di marca potrebbe risultare inefficace qualora l’immagine del
paese di appartenenza del brand non ne fosse rappresentativa o in
sintonia. Inoltre, una volta individuate le determinanti che concorrono a
definire la country image, anche decisioni manageriali relative alla
configurazione internazionale delle attività andranno attentamente
analizzate: delocalizzare per esempio la produzione di un bene di lusso in
un paese in cui è riconosciuto un basso profilo qualitativo della
manifattura, sicuramente assicura un vantaggio comparato (quello
derivante dallo sfruttamento del costo della manodopera), ma
probabilmente comporta lo svantaggio competitivo dovuto alla perdita
dell’originaria localizzazione della produzione (si prenderanno in
considerazione le implicazioni per le imprese nel prossimo paragrafo).
In molti casi pertanto, nell’impossibilità di effettuare una scelta
razionale basata sulla comparazione di un numero elevato di variabili, il
51
consumatore ‘internazionale’ assume il paese di origine del prodotto come
indicatore sintetico della qualità o di alcuni attributi del prodotto stesso.
Sebbene la letteratura economico-aziendale si esprima diversamente in
merito all’importanza che la country image riveste nella performance
internazionale dell’impresa,87 alcune ricerche empiriche hanno dimostrato
la rilevanza dell’origine geografica quale fattore di differenziazione in
un’ottica di marketing internazionale.88
L’origine è rappresentata dalla nazione, ma può anche essere
ricondotta ad una regione o alla località da cui il cliente percepisce
provenire il prodotto. In virtù di questa considerazione, il Made in Italy
può vantare molteplici identità: all’immagine Paese generale, la cui
gestione, accanto alle imprese, è di pertinenza dell’operatore pubblico, si
affiancano diverse valenze geografiche specifiche che sono state esaltate
dai pregi dei distretti industriali, da particolari dinamiche territoriali di
natura socio-culturale e da caratteristiche innate di rilievo storico-artistico.
Nel caso dell’Italia, più o meno indipendentemente dal Paese, l’immagine
riflessa all’estero è anche fortemente condizionata (in negativo o positivo)
da stereotipi e preconcetti.
Nel primo capitolo si è cercato di dare un senso al Paradosso, si è
cercato cioè di spiegare come, pur in presenza di una struttura industriale
costituita essenzialmente da PMI e operante in settori tradizionali ad alta
intensità di lavoro unskilled, il Made in Italy abbia saputo difendere la
propria quota sul commercio internazionale. Si è detto che la
specializzazione produttiva nazionale connotata da elevata qualità e la
valenza dei distretti industriali sopperiscono alle peculiarità del modello
capitalistico italiano: ora, oltre questi elementi, viene considerata appunto
rilevante la country image, una risorsa immateriale che determina le scelte
di molti consumatori a favore delle produzioni italiane. Per il momento,
senza suffragare questo assunto con particolari ricerche scientifiche, è
87 Cfr. Cattaneo, Guerini, Uslenghi 2006. 88 Alcune ricerche empiriche e gli studi teorici principali verranno citati nel prossimo paragrafo.
52
obiettivamente accettabile affermare che in certi settori la country image
italiana ha una forte capacità di attrazione e la domanda internazionale è
(secondo i dati citati precedentemente) oggettivamente disposta a
premiarne i vantaggi distintivi.
La percezione dell’immagine di uno specifico paese non è la stessa
per ogni consumatore: alcune determinanti della country image sono
pressoché oggettive (background economico, storia, caratteristiche
geografiche), altre sono soggettivamente interpretabili (background
politico, tradizioni, stereotipi della popolazione, prodotti rappresentativi
della nazione). Inoltre, oltre ad un’operazione cognitiva, il consumatore
definisce l’immagine paese tramite considerazioni affettive derivanti da
esperienze personali d’acquisto, socializzazione e sentimenti verso il paese
o la popolazione, passaparola ecc. Ovviamente, una marca affermata e
riconosciuta in tutto il mondo che si identifica con gli aspetti caratteristici
del proprio territorio concorre a formare a sua volta la country image del
proprio paese. Al di là delle differenze soggettive comunque, è impossibile
evitare delle generalizzazioni a livello di ricerche empiriche volte ad
indagare la percezione di una specifica country image in un gruppo più o
meno ampio di consumatori.
La relazione esistente fra immagine paese e immagine del prodotto
è alla base del country of origin effect, cioè dell’effetto che la provenienza
geografica esercita nell’alterare la percezione di un consumatore verso un
prodotto o una categoria di prodotti. “L’effetto della stereotipizzazione
dell’origine è quello di mutare la posizione del prodotto nello spazio
percettivo del consumatore rispetto alle offerte dei concorrenti e di
alterare la valutazione complessiva delle sue caratteristiche estrinseche ed
intrinseche” (Guerini 2004:32).
Lo scopo di questa tesi è proprio quello di indagare come i
consumatori cinesi percepiscono il Made in Italy, quali sono le
determinanti più significative che permettono loro di definire la country
image italiana e quali sono le attività promozionali che possono favorire la
53
considerazione e la commercializzazione dei prodotti italiani in Cina.
L’immagine paese è infatti soggetta a modifiche, sia per effetto di una
gestione attiva sviluppata da governi, associazioni nazionali o imprese, sia
a causa di eventi eccezionali incontrollabili che sono in grado di
influenzarla notevolmente. Un problema rilevante in questo tentativo di
indagine riguarda i limiti metodologici di ricerca: un’indagine empirica che
adottasse un approccio mono-variato rischierebbe di sovradimensionare
l’impatto del paese di origine sul processo valutativo del consumatore; i
filoni di ricerca più recenti89 hanno valutato l’impatto del paese di origine
in termini relativi, ossia rispetto ad altre variabili che tipicamente
intervengono nei processi di scelta degli individui.
3.2 Il country of origin effect e le implicazioni per le imprese
Per le imprese, la principale implicazione del country of origin effect
è l’esplicarsi dell’effetto prisma, che consiste nell’alterazione della
percezione che i consumatori hanno di un prodotto estero. Il prisma in
questo senso è una sorta di filtro distorcente, attraverso cui il
posizionamento di cui un prodotto beneficia nel proprio paese d’origine
subisce un’alterazione (nel mercato estero) che provoca tre possibili
effetti:90 effetto trasparente, quando all’estero il prodotto è percepito e si
posiziona analogamente a quanto avviene nel paese d’origine dell’impresa;
effetto amplificante, quando nel mercato estero il prodotto è percepito di
livello superiore rispetto al mercato interno; effetto riducente, se, rispetto
al paese d’origine, il prodotto viene percepito di livello inferiore.
Il prisma non è altro che il costrutto mentale del consumatore
riferito all’immagine del paese di origine del prodotto. L’informazione sul
89 Si è deciso di non affrontare una rassegna dei contributi teorici in merito. Un’analisi dei principali filoni di studio sull’effetto del paese di origine è stato proposto in Bertoli-Busacca-Molteni 2005. 90 Cfr. Gestion internationale de l’enterprise, Henrì de Bodinat, 1984. Citato da Valdani-Bertoli 2007:321.
54
paese di origine del prodotto esercita un duplice effetto sul consumatore,
indotto poi, come detto, ad un’alterazione amplificante, riducente o di
fatto nulla. L’effetto alone (halo construct) è il primo dei due
condizionamenti che si verificano sul consumatore: si riferisce all’influenza
esercitata sul processo valutativo di quegli acquirenti che non hanno
maturato alcuna esperienza diretta nei confronti dei prodotti provenienti
da un dato paese; l’effetto sintesi (summary construct) scaturisce invece
dalle precedenti esperienze del consumatore (non necessariamente dirette,
possono derivare anche da media o comunicazioni interpersonali) e dalla
percezione degli attributi che caratterizzano altri beni della stessa nazione
(Valdani-Bertoli 2007:323).
L’immagine paese è dunque fortemente rilevante prima di qualsiasi
familiarità con i prodotti di un determinato paese, operando come un
alone in grado di influenzare aspettative e convinzioni; in una situazione di
primo acquisto infatti, mancando l’esperienza, i novizi sembrano affidarsi
interamente alle informazioni stereotipate. In seguito all’acquisto,
l’immagine del paese di origine del bene viene modellata sulla base delle
esperienze maturate e il consumatore sviluppa nuove attese nei confronti
degli attributi dei prodotti. Di conseguenza, un consumatore divenuto
esperto sarà meno suggestionabile da un’eventuale informazione
stereotipata negativa, al contrario di un novizio che ne sarà maggiormente
influenzato.
L’impresa reagisce alle alterazioni scaturite dall’effetto prisma
adottando diverse strategie che consentono di esaltare le proprie
caratteristiche evocative del paese d’origine qualora l’effetto prisma fosse
amplificante, oppure mascherare la propria provenienza se l’effetto prisma
risultasse riducente o anche trasparente. Nel primo caso si parla di
‘strategia dell’immagine paese legittima’; negli altri casi, invece, si
definiscono ‘strategia dell’immagine paese parzialmente legittima e
prestata’ quell’insieme di accorgimenti che portano il consumatore a
ritenere che il prodotto abbia un’origine diversa da quella reale. Uno dei
55
tanti esempi intuitivi di queste pratiche proviene dall’azienda italiana Tod’s,
che ha scelto deliberatamente un brand name britannico in quanto il
prodotto è indirizzato a un segmento di clienti ritenuti esterofili e amanti
dello stile casual-chic associato solitamente agli inglesi (Valdani-Bertoli
2007:325); un’altra azienda italiana, Napapjiri, ha deciso con successo di
commercializzare i propri capi invernali di abbigliamento sportivo con un
nome che evoca zone nordiche e a cui è graficamente accostata una
bandiera norvegese. Altri casi, riferiti alla strategia intermedia detta
parzialmente legittima, riguardano l’attribuzione al prodotto di un’origine
diversa da quella effettiva tramite la diffusione al consumatore di
informazioni che riguardano, ad esempio, la localizzazione della
produzione o la diversa nazionalità del designer rispetto al produttore
(case automobilistiche che dichiarano un proprio modello ‘engineered in
Germany’ o ‘designed in Italy’).
Il reperimento dell’informazione relativa alla provenienza geografica
del prodotto non è sempre semplice per il consumatore: capita che
un’impresa preferisca omettere l’indicazione geografica dell’origine del
prodotto sul prodotto stesso o scelga, in mancanza di un obbligo di legge
definito a livello mondiale,91 indicazioni generiche (made in Europe), di
assoluta fantasia (made in nowhere) o piuttosto complesse (assembled
in…). In ogni caso, il consumatore è propenso a percepire l’immagine del
paese associato allo specifico prodotto o alla particolare marca, piuttosto
che ricavare informazioni dall’immagine del paese designed-in (il paese in
cui il prodotto è stato progettato) o del paese made in (il paese in cui
avviene la manifattura o l’assemblaggio dei componenti). Certo è che, in
casi specifici, l’immagine del country of manufacture, se non
corrispondente al country of origin effettivo, può semmai destare nel
consumatore delle reticenze all’acquisto: si è già detto che un prodotto di
lusso destinato ad un consumatore sofisticato non sarebbe gradito da
quest’ultimo se fosse, ad esempio, made in Vietnam. 91 Cfr. Bertoli-Busacca-Molteni 2005:7.
56
Una modalità descritta dalla letteratura scientifica 92 per gestire
attivamente l’effetto made in consiste nel valutare la significatività
dell’immagine paese per il prodotto aziendale: tramite una ricerca
esplorativa su un gruppo di consumatori, si qualifica il paese di origine del
prodotto attraverso alcuni attributi e, sulla base del profilo risultante, si
identificano associazioni prodotto-paese (quando proprietà tipiche di una
determinata categoria di prodotti vengono associate con frequenza elevata
ad una determinata origine) o dissociazioni. Ciò significa che un paese può
essere identificato con un profilo produttivo caratterizzato in maniera più o
meno rilevante da, seguendo la metodologia citata, innovatività
tecnologica, design, eleganza o affidabilità. Ovviamente, design ed
eleganza possono essere caratteristiche considerevoli per un consumatore
in procinto di acquistare un
Figura 1
Importanti Effetto paese
positivo Effetto paese
negativo
Caratteristiche
del prodotto
Non importanti
Effetto paese mancato
Effetto paese neutralizzato
Positiva Negativa
Immagine del paese d’origine
Rielaborazione da Valdani-Bertoli 2007
capo di abbigliamento, non per quello che valuta l’acquisto di un prodotto
alimentare.
Rilevata l’immagine paese e valutata la relazione tra questa e gli
attributi del prodotto, si è in grado di stabilire la rilevanza dell’effetto made
in (Figura 1) e di identificare le relative opzioni a cui ispirare le politiche di
marketing. Con un effetto paese ‘positivo’, l’impresa può esaltare l’origine
92 Cfr. Guerini 2004:42 e Valdani-Bertoli 2007:326. La teorizzazione originale è di Martin S. Roth e Jean B. Romeo in Matching product category and country image perceptions: a framework for managing country of origin effect, Journal of International Business Studies, 1992.
57
del prodotto per aumentare la propensione all’acquisto del consumatore e
sviluppare nei mercati esteri una politica premium-price, impiegando un
nome di marca evocativo, una confezione che susciti un richiamo
altrettanto chiaro al paese d’origine tramite colori o elementi grafici, un
piano di comunicazione che punti sulle caratteristiche particolarmente
apprezzate dalla domanda nel prodotto e nell’immagine paese. Nel caso di
effetto paese ‘negativo’ invece, gli attributi rilevanti del prodotto non
trovano attinenze con il profilo produttivo del paese di origine; l’impresa
deve quindi minimizzare il legame del prodotto con il proprio paese
ricorrendo ad immagini ‘parzialmente legittime o prestate’, può in
alternativa privilegiare una modalità di entrata nel mercato estero in
collaborazione con imprese appartenenti a paesi che hanno un’immagine
positiva o può direttamente esercitare la propria influenza sull’immagine
paese mediante campagne di comunicazione. Se l’effetto paese è
‘mancato’, significa che i punti di forza del paese attengono ad attributi
secondari del prodotto; l’impresa può comunque valorizzare l’immagine
positiva del paese d’origine come beneficio secondario del prodotto.
Quando infine l’effetto paese è ‘neutralizzato’, l’immagine negativa del
paese influisce in maniera marginale sul consumatore, poiché le
caratteristiche del prodotto che intende acquistare non sono degne di
eccessiva considerazione; in ogni caso, è preferibile per l’impresa omettere
ogni riferimento al paese d’origine del prodotto.
La metodologia sopra descritta è solo una delle tante adottate per
svolgere ricerche sul country of origin effect. Oltre alle associazioni
prodotto-paese e all’attribuzione di peculiarità produttive, le indagini
esplorative prevedono numerose variabili per stabilire l’influenza del paese
d’origine del prodotto sul consumatore. Fra queste, le più indagate in
letteratura 93 sono quelle socio-demografiche: è stato rilevato 94 che, in
presenza di elevati livelli di reddito e scolarizzazione, la preferenza verso 93 Cfr. Bertoli-Busacca-Molteni 2005:9. 94 Quanto affermato è tratto da fonti secondarie; per il riferimento specifico ad ogni asserzione confrontare Bertoli-Busacca-Molteni 2005.
58
prodotti di provenienza straniera sembra accrescersi, mentre pare ridursi
al crescere dell’età. L’atteggiamento etnocentrico è un altro aspetto
relativo al gruppo di variabili socio-demografiche: il consumatore
‘patriottico’ manifesta a priori una preferenza nei confronti dei prodotti del
proprio paese rispetto a quelli provenienti dall’estero. Ci sono variabili
connesse all’ambiente economico del paese di origine del prodotto: la
rilevanza politico-economica di un paese è in grado di influenzare
l’intenzione dei consumatori esteri di acquistare i prodotti da esso
provenienti, indipendentemente dal giudizio inerente la qualità. Più
articolate sono invece le ricerche che correlano all’immagine paese
variabili legate alla marca: in alcuni casi, in quelle categorie di prodotto in
cui non esistono marchi particolarmente affermati è maggiore l’influenza
esercitata dall’origine geografica sul processo di scelta. È anche vero però
che le marche rinomate a livello internazionale possono richiamare alla
mente una specifica provenienza.
L’analisi del country of origin effect fornisce al responsabile di
marketing internazionale una strumentazione complementare per stabilire
efficienti politiche di marketing mix, modalità di entrata ed eventuale
delocalizzazione della produzione. La grande quantità di variabili prese in
considerazione nelle ricerche scientifiche già realizzate suggerisce che la
scelta metodologica della ricerca è personalizzabile in base al mercato
estero di riferimento, alla tipologia di prodotto che si intende
commercializzare e alle caratteristiche del luogo d’origine dell’impresa. Ciò
è più che mai vero per le aziende italiane, che si trovano a dover gestire
(oltre alla propria) più livelli di immagine (nazionale, regionale, locale).
3.2.1 Indagine sulla significatività del made in per gli esportatori italiani
Si intende qui riportare in maniera sintetica e argomentativa i
risultati di una ricerca curata da Carolina Guerini e pubblicata in ‘Made in
Italy e mercati internazionali’ (Guerini 2004). L’indagine è stata condotta
con lo scopo di verificare indirettamente la valenza dell’immagine del
59
paese di origine del prodotto sulle preferenze dei clienti internazionali di
un gruppo di imprese italiane. La valutazione della rilevanza dell’I.P.O.
(immagine paese d’origine) è stata definita ‘indiretta’ in quanto non si è
provveduto ad intervistare i consumatori, bensì le stesse imprese (500),
appartenenti nella fattispecie a 8 distretti industriali nei quali la
specializzazione settoriale è ricollegabile al macrosettore moda, alimentare,
mobiliero e meccanica strumentale.95 Il punto di vista è percui quello di chi
deve gestire la valorizzazione del country of origin effect e dunque,
indirettamente, la ricerca analizza anche le politiche di marketing
internazionale delle imprese distrettuali. Guerini ricerca un motivo di
importanza dell’indagine nella possibilità di trovare nell’I.P.O. e nell’I.D.O
(immagine distretto d’origine) uno strumento valido per la differenziazione
e la promozione internazionale delle PMI, dotate di insufficienti risorse e
competenze per definire e sviluppare autonome politiche di marca.
L’ipotesi è che, stante la debolezza delle imprese italiane
nell’affrontare il processo di internazionalizzazione sulla base di
comportamenti strutturati e formali, l’I.P.O. potrebbe assurgere a fattore
di sostegno per le imprese stesse. Qualora ciò avvenga, si sono ipotizzate
le seguenti situazioni: la prima, in cui l’impresa, pur riconoscendo il valore
dell’origine geografica e godendone i vantaggi connessi con l’avviamento
da essa garantito, non si adopera per esaltarne le valenze e conta solo
sull’attività del cliente o sulla denominazione evocativa della provenienza
del prodotto per la ricognizione dell’origine; l’altra situazione vede
l’impresa impegnata ad ottenere il massimo ritorno economico attraverso
una valorizzazione attiva dell’immagine paese già consolidata.
In merito ai risultati, sulla base delle risposte dalle imprese, 96 si
distinguono tre diversi atteggiamenti nei confronti del ruolo dell’I.P.O. Il
95 Moda: distretti di Empoli e Biella; macchine utensili: distretti di Torino e Piacenza; mobili: distretti di Pesaro e Brianza; alimentare: distretti di Parma e Nocera Inferiore-Gragnano. Nella scelta sono state volutamente escluse imprese con un numero di addetti inferiore a 10 e con un fatturato inferiore a 5 milioni di euro. (Guerini 2004:199). 96 Cfr. Guerini 2004 cap.4.
60
primo e il secondo riconoscono l’importanza dell’origine geografica:
secondo alcuni rispondenti ciò non è vero soltanto per la domanda di
primo acquisto, ma anche per quella di ripetizione, ritenendo l’origine
egualmente importante sia per la domanda finale sia per la domanda
intermedia nell’influenzare le preferenze e le scelte; per altri è l’I.D.O. a
prevalere nel determinare le preferenze della domanda, ma in ogni caso il
tema dell’origine geografica è ritenuto importante per circa l’80% del
campione. Il restante 20% circa ritiene che, pur esercitando una certa
capacità di attrazione, il country of origin effect sia nullo, ovvero non
eserciti alcuna influenza quale fattore di preferenza della domanda.
Relativamente al primo atteggiamento citato, una larga maggioranza
dei rispondenti appartiene al macrosettore della moda e del comparto
alimentare; Guerini spiega questo dato sostenendo che, nel caso della
moda, il consumatore vive passivamente la scelta, preferendo precise
marche e origini a cui riferire capacità trend-setting. L’importanza
dell’origine è particolarmente rilevante in questo settore così come in
quello alimentare, in cui l’Italia gode di una certa superiorità comparata (si
pensi al comparto della pasta). Nel gruppo di chi ritiene più importante
l’immagine distrettuale sono prevalenti quelle di più piccole dimensioni,
mentre fra quelle che non assegnano alcuna rilevanza all’immagine paese
nel sostegno della loro proiezione internazionale si concentrano
soprattutto imprese di medio-grandi dimensioni (coloro che effettivamente
sono in grado di coltivare un’immagine propria e in autonomia).
La maggior parte delle imprese ritiene che sia differente il ruolo
svolto dall’I.P.O. a seconda delle aree di destinazione; in particolare, c’è
conformità nell’affermare che la domanda europea esprime una preferenza
fondata sulla qualità tangibile piuttosto che sulle componenti sensoriali ed
affettive dell’immagine paese. Sempre secondo l’opinione degli intervistati,
l’attrattività della country image italiana deriva da benefici funzionali
(qualità, personalizzazione, ma anche tecnologia e prezzo basso), benefici
simbolici (sicurezza, tradizione) e affettivi (creatività, fantasia). Chi
61
connota la presunta I.P.O. con la valenza dell’avanguardia tecnologica è
localizzato nella Robot Valley piacentina o comunque in aree votate alle
produzioni ad alto contenuto tecnologico. Sono invece alimentari e
meccaniche le imprese che, nella categoria ‘altro’, indicano con altissima
frequenza (86%) la certificazione come fattore distintivo delle produzioni
italiane (fattore ampiamente riconosciuto dalla domanda estera).
Un altro contributo interessante fornito dalla ricerca attiene al
comportamento che le imprese adottano per la gestione e la valorizzazione
del country of origin effect. A testimonianza della scarsa proattività delle
PMI e dell’incapacità di servirsi di un’adeguata cultura di marketing, le
strategie aziendali si basano sulla continua, e a volte superflua, politica di
innovazione di prodotto (si è comunque visto che l’innovazione di tipo soft
garantisce all’immagine italiana superiorità in molti settori). Ridotta
importanza viene invece data alle altre variabili del marketing mix, in
special modo alla distribuzione e alla comunicazione, volta, quest’ultima,
prevalentemente alla partecipazione fieristica e raramente alla veicolazione
del messaggio pubblicitario.
Le argomentazioni addotte dalle imprese a giustificazione del
mancato ricorso alla valorizzazione dell’I.P.O. sono riconducibili alle ridotte
conoscenze della domanda internazionale (56%), alle limitate conoscenze
di marketing (48%), l’esistenza di preferenze internazionali basate su
fattori diversi dall’I.P.O. (24%), l’orientamento al prodotto quale
strumento principale. Per le piccole imprese eportatrici inoltre la scelta
delle tipologie distributive appare obbligata verso modalità indirette o
vincolate dal ridotto potere contrattuale, mentre per la valorizzazione
dell’I.P.O. anche questa leva andrebbe usata in maniera congrua.
Altrettanto interessante ai fini della tesi è l’opinione delle aziende
circa il supporto delle istituzioni (si affronterà il tema della promozione del
Made in Italy da parte del Sistema Italia nel capitolo 5): gli strumenti
suggeriti dalle imprese per superare gli ostacoli sopra menzionati vengono
rinvenuti, soprattutto, nel supporto esterno per la promozione
62
dell’immagine paese e per il reperimento di informazioni sulla domanda
estera, ma il supporto istituzionale locale non sembra supplire alla carenza
conoscitiva delle possibilità di manovra nella promozione dell’immagine.
Non è menzionata alcuna opinione circa il ruolo delle Istituzioni nazionali
in merito.
In definitiva, Carolina Guerini traccia quattro differenti cluster di
imprese che si caratterizzano per un diverso comportamento. Il primo
gruppo, il più numeroso, contiene i ‘fruitori passivi dell’I.P.O.’: sono quelle
imprese, appartenenti prevalentemente al settore moda ed alimentare,
che dichiarano di essere state avvantaggiate dall’immagine Paese senza
tuttavia aver deliberatamente gestito il suo impatto, se non attraverso
l’indicazione d’origine e avendo mantenuto un elevato livello qualitativo
della produzione. È stato individuato poi il cluster dei ‘fruitori passivi
dell’I.D.O.’, secondo in termini di dimensione, che raggruppa quelle
imprese che ritengono l’immagine distrettuale più rilevante di quella
nazionale; non è un caso che una leggera prevalenza dei rispondenti
appartenga al settore della meccanica, a dimostrazione di una maggiore
rilevanza dell’I.D.O. sull’I.P.O. per i beni industriali rispetto a quelli di
consumo. Il cluster degli ‘attivatori’ comprende invece coloro che hanno
dichiarato di aver gestito sinergicamente il mix di marketing (solo il 15%
circa del totale delle imprese intervistate) con l’intento di evocare ed
esaltare le valenze riconosciute internazionalmente all’I.P.O o all’I.D.O.
Infine, nel gruppo delle imprese definite ‘autonome’, si trovano coloro che
dichiarano di poter (e voler) contare su un’immagine di marca distintiva ed
esclusiva piuttosto che su quella astratta legata alla nazione o al territorio
locale; sono queste imprese leader di distretto, fortemente proiettate sui
mercati internazionali e caratterizzate da una maggiore attenzione agli
aspetti commerciali e di marketing (questa scelta manageriale intrapresa
dall’8% circa del campione non implica che un’azienda leader nel proprio
settore non possa puntare specificamente sulla valorizzazione
dell’immagine del proprio paese d’origine; è semmai logico ritenere che chi
63
detiene una posizione consolidata a livello internazionale possa puntare
come primo strumento sulla propria immagine piuttosto che su quella
comune).
3.2.2 Il danno causato dalla contraffazione all’immagine Paese
Il fenomeno della contraffazione rappresenta ad oggi un vero e
proprio settore dell’economia sommersa; perduta, alla fine degli anni ’70,
la propria dimensione artigianale locale, l’affermarsi della fase ‘matura’
della globalizzazione ha contraddistinto dagli anni ’80 per elevata
industrializzazione e internazionalità anche questo sistema imitativo.
La quantificazione del fenomeno trova nella sua natura clandestina
notevoli ostacoli al suo dimensionamento. Dalle stime più o meno
attendibili fornite a vario titolo da organi statali nazionali e internazionali,
organismi privati e associazioni rappresentative dei vari settori economici,
si ha comunque un’idea dei principali problemi economico-sociali provocati
dalla contraffazione a livello mondiale. Se ne riassume qui un’elencazione
proposta da Guerini (Guerini 2004:104): a livello internazionale, il
fenomeno ha registrato negli anni ’90 un aumento del 1600% e ha
comportato, nello stesso arco temporale, una perdita complessiva di
250.000 posti di lavoro all’anno (di cui 100.000 nell’UE e 150.000 negli
USA); la quota delle vendite di merci contraffatte nell’ambito del
commercio mondiale è pari a circa 450 miliardi di dollari, con un peso
compreso tra il 6 e il 7% (si passa dal 5% dell’industria degli orologi, al
10% della profumeria, al 20% del tessile fino al 35% del software). Il
70% della produzione mondiale proviene dal Sud-Est asiatico mentre il
restante 30% della produzione mondiale di merce contraffatta nasce nel
bacino del Mediterraneo (l’Italia si aggiudica il terzo posto nel mondo e il
primo in Europa per produzione e consumo di falsi). La merce contraffatta
è, invece, destinata per il 60% all’Unione Europea e per il 40% al resto del
mondo.
Le produzioni Made in Italy, come visto in precedenza
64
particolarmente valorizzate dagli intangible assets, vengono pesantemente
penalizzate dai falsi, facilmente reperibili nel mercato tramite svariati
canali. L’aumento dell’importanza degli attributi immateriali è, infatti, la
causa primaria dell’aumento delle contraffazioni, soprattutto nel settore
della moda e del lusso (i prodotti più facilmente imitabili sono quelli a cui è
la marca ad attribuire il vero valore aggiunto, ma l’evoluzione tecnologica
dell’industria abusiva ha ampliato la tipologia delle merci contraffatte,
includendo anche beni di largo consumo quali prodotti per la casa, parti di
ricambio per auto, medicinali, alimenti e bevande alcoliche).
È il pubblico dei consumatori costituito dalle fashion victim e da tutti
coloro che cercano gratificazione sociale tramite il brand che
contribuiscono ad alimentare il business dei falsi. Lo sviluppo della
domanda, non a caso, è positivo durante i cicli economici negativi: in
situazioni di ristrettezza economica, per i consumatori sopra descritti, la
soluzione più opportunistica e conveniente per mantenere il proprio
apparente tenore di vita (senza rinunciare al valore edonistico di
acquistare beni con un elevato valore simbolico) è certamente l’acquisto
del prodotto falso (Guerini 2004:108).
L’acquisto di prodotti contraffatti da parte del consumatore non è
tuttavia sempre dettata da consapevolezza: negli ultimi anni, lo sviluppo
tecnologico, i macchinari innovativi e il più rapido reperimento delle
informazioni consentono all’industria del falso (generalmente gestita da
organizzazioni criminose) di produrre prodotti sempre più simili agli
originali in termini di qualità fisica e di accelerare i tempi di introduzione
dei nuovi modelli imitati nel mercato tramite una rete di commercio che ai
classici canali ambulanti e telematici aggiunge anche regolari punti vendita
presenti sul territorio.97 Al momento, il canale più profittevole è comunque
97 Il giornalista Fabrizio De Feo ha firmato un recente articolo pubblicato in ‘www.ilGiornale.it’ il 20 gennaio 2012 dal titolo ‘Emergenza falsi d’autore: ci fanno perdere 25 miliardi’ . Nell’articolo si sottolinea come la crisi economica contribuisca ad accrescere la contraffazione: secondo questa fonte (basata sulle stime di Confcommercio) le imitazioni hanno un giro d’affari di 60 miliardi nel solo comparto alimentare e impediscono l’impiego regolare di 130 mila posti di lavoro in Italia. Relativamente al canale distributivo, vengono citati vari controlli della Guardia di Finanza,
65
internet: il web conferisce al business una dimensione globale ed è inoltre
il mezzo ideale per occultare ai potenziali acquirenti la natura delle merci
offerte. Con l’e-buy risulta infatti più difficile per i consumatori poter
valutare la qualità prima dell’atto d’acquisto; l’acquirente crede, in genere,
di avere a che fare con un bene originale e si spiega il minor prezzo sulla
base delle caratteristiche del mezzo (Guerini 2004:110).
Specialmente in Italia, elementi favorevoli alla contraffazione
vengono rinvenuti anche nell’offerta, oltre che nelle caratteristiche della
domanda. Il riferimento è al cosiddetto insider counterfeiting, ovvero alla
contraffazione che nasce all’interno del sistema di business del produttore,
precisamente nelle imprese satellite dell’impresa-guida. Come visto in
precedenza, uno dei fattori critici di successo del Made in Italy è la
possibilità di poter contare su un sistema industriale ‘decentrato’, in cui
l’impresa leader collabora con una serie di altre (generalmente medio-
piccole) imprese, autonome sul piano giuridico e patrimoniale, verso cui
vengono decentralizzati alcuni processi produttivi. In alcuni casi, il sistema
reticolare non consente alle imprese leader di avere un pieno controllo
sulle fasi di lavorazione decentrate. Succede così che, ad esempio, il
terzista possa commercializzare i beni dell’azienda leader anche senza il
rinnovo della licenza o che possa produrre in sovrabbondanza,
canalizzando il surplus verso operatori diversi rispetto al detentore della
proprietà intellettuale.
Gli effetti negativi causati dalla contraffazione non coinvolgono
soltanto le imprese, bensì anche i consumatori e lo Stato. I consumatori
che acquistano beni falsi, oltre ad incorrere in illeciti civili e penali,
compromettono la loro tutela, non potendo contare su alcuna garanzia di
alcun genere e, ancor più gravemente, mettendo a repentaglio la propria
impegnata a smascherare negozianti della rete di vendita tradizionale che tentano di vendere merce contraffatta e a volte, inconsapevolmente, ospitano falsi sui propri scaffali. In certe zone di Italia, inoltre, sempre secondo la medesima fonte, c’è il sospetto che le Mafie impongano ai commercianti la vendita di una quota di prodotti contraffatti, potendo così contare su una nuova forma di pizzo collegata alla tentazione di diventare produttori e non solo distributori di falsi.
66
salute (componenti non omologati, beni come medicinali e cibi falsificati
che possono mettere in serio pericolo di vita). Lo Stato vede invece
crescere l’evasione fiscale e l’operosità della criminalità organizzata, con
tutte le implicazioni negative che ne conseguono. Per quanto riguarda le
imprese, i danni economici si considerano ‘diretti’ nel caso in cui
comprendano mancate vendite, perdita di quote di mercato, danni
finanziari derivanti dal ritardato recupero degli investimenti; vengono
chiamati ‘indiretti’ quell’insieme di costi che l’impresa deve affrontare
relativamente alla tutela legale, allo studio di metodi preventivi per la
protezione del marchio, alla comunicazione volta ad informare gli operatori
e gli stessi consumatori sul pericolo della contraffazione e sulle modalità
con le quali distinguere i prodotti originali dai falsi.
L’immagine del paese d’origine di un certo prodotto viene screditata
nel caso in cui la stessa immagine di marca venisse danneggiata (si
ricorda che in alcuni casi l’immagine di marca contribuisce a formare
l’immagine del proprio paese di origine). Ben più grave e diretta è
l’apposizione di una diversa origine geografica su un prodotto contraffatto
o che comunque non sia stato prodotto in conformità con specifiche
adottate da un dato paese: in questo caso viene danneggiato l’intero
aggregato made in e il consumatore (inconsapevole) è indotto a credere
che le produzioni di quel paese non siano qualitativamente elevate.
Nel caso specifico, la percezione e la promozione del Made in Italy in
Cina incontrano un ostacolo da tenere in debita considerazione: in Cina si
produce allo stesso tempo e nella stessa area il prodotto originale e la
rispettiva copia contraffatta, spesso indistinguibili. I consumatori cinesi
sanno perfettamente che, in molti casi, il prodotto che compreranno in
boutique è stato comunque realizzato in Cina, quindi tanto vale comprarlo
in uno degli innumerevoli fakes markets ad un prezzo nettamente inferiore
(d’altronde, per molti di loro, il prodotto di marca rappresenta solo il
simbolo da esibire). La cultura cinese legittima la copia di ciò che viene
ritenuto, per qualità e importanza, un modello (Pietrasanta 2009:101); la
67
contraffazione cinese è stata mossa dall’indubbio fascino che esercita il
Made in Italy ma, se ciò è avvenuto in violazione delle norme
internazionali, è anche vero che una concezione meno rigida del copyright
che affonda le radici in valori artistici presenti da molto tempo in questo
Paese sembrano in parte legittimare la riproduzione illegale. Diventa
pertanto essenziale favorire una cultura repressiva nei confronti del
fenomeno e una sensibilizzazione verso la qualità, il valore della creatività
e dell’origine. “Le autorità cinesi hanno più volte ribadito che esiste un
livello basso di percezione dell’importanza della proprietà intellettuale e del
suo rispetto; per questo motivo si è concordato di elaborare e realizzare
un programma formativo nelle scuole e campagne di comunicazione
rivolte al consumatore”.98
La Cina ha intrapreso azioni volte alla tutela dei diritti di proprietà
intellettuale anche, ovviamente, attraverso la modernizzazione della
propria legislazione. I provvedimenti più significativi sono avvenuti negli
ultimi anni, a seguito dell’ingresso nell’OMC: nell’ambito di uno specifico
Piano d’azione varato nel 2007, la Cina ha lavorato sulla formulazione di
nuovi testi di legge, regolamenti e misure relative al rafforzamento della
tutela dei marchi, diritti d’autore, brevetti e protezione doganale. Il
problema resta l’esecuzione delle sentenze relative appunto alla tutela
giurisdizionale dei vari diritti di proprietà industriale, osteggiati dai gravosi
adempimenti burocratici che vengono richiesti a coloro che presentano
istanza di esecuzione.99
3.3 Lifestyle e valore intangibile in Cina
Considerando le caratteristiche del mercato ed in particolare il
comportamento d’acquisto del consumatore cinese (cfr. par. 2.2), il
prodotto e la sua qualità non sempre rappresentano gli unici fattori critici
98 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, p.35. 99 Ivi, p.34.
68
di successo in Cina. È invece molto importante, più che altrove,
l’immaginario che viene costruito intorno al prodotto e come esso viene
comunicato attraverso il costante e coerente lavoro di marketing
(Pietrasanta 2009:102). È proprio tenendo presente questo presupposto
che, in questa tesi, si intende capire qual è la ‘pàtina’ valoriale che
circonda il prodotto italiano e come questa possa suggerire all’operatore
economico il giusto metodo promozionale.
Secondo alcuni contributi in merito, 100 nonostante il costante
aumento dei flussi commerciali, prevale fra gli imprenditori italiani una
velata insoddisfazione sull’andamento degli affari, come se la Cina non
mantenesse le sue aspettative. Le difficoltà dell’approccio a questo
complicato mercato asiatico prevalgono ancora sulle opportunità offerte:
non sono poche le aziende italiane che rimandano il loro impegno verso la
Cina dopo una prima esperienza non soddisfacente. Ciò avalla la tesi di
chi101 sostiene che, generalizzando, uno dei fattori limitanti del Sistema
Paese italiano sia proprio la scarsa capacità nella ‘manutenzione’ di ciò che
viene realizzato: “questo atteggiamento spesso si riverbera nel modo in
cui le PMI esportatrici si comportano nei mercati esteri, che è troppo
spesso orientato ad adottare soluzioni temporanee, unicamente per far
fronte a problemi contingenti” (Pratesi 2001:16). Bicchielli102 ribadisce che,
in Cina, “azioni non incisive, parziali e non prolungate nel tempo non
possono che portare al fallimento dell’attività commerciale” (Bicchielli
2010:109).
Le azioni intraprese dalle imprese esportatrici italiane sono dunque
troppo spesso ancora improvvisate e lasciate all’iniziativa individuale, tra
l’altro supportate da un sistema istituzionale frammentato. L’esigenza di
colmare le lacune nella gestione delle leve del marketing e di sostenere
programmi promozionali sinergici deve tenere anche conto delle
100 Cfr. La Cina per le aziende italiane: minacce ed opportunità, Romeo Orlandi, Mondo cinese n.118, 2004; Made for China, Stefano Bicchielli, Gruppo 24ore, 2010, p.109. 101 Cfr. Pratesi 2001. 102 Cfr. Bicchielli 2010.
69
caratteristiche culturali, delle tradizioni e delle nuove tendenze del
consumatore cinese.
Dalle pubblicità delle aziende di successo veicolate in Cina si può
intuire come il valore di un prodotto debba essere espresso soprattutto da
componenti più immateriali rappresentati da cultura, immaginario e
lifestyle. Esemplificativa è una pubblicità su rivista dell’azienda ‘Fotile’
(brand numero uno in Cina per l’arredamento e i componenti per la cucina)
analizzata da Pietrasanta (Pietrasanta 2009:109): nel messaggio
dell’annuncio vengono presi a prestito usi e immaginari di un vivere
occidentale, introducendo aspetti relativi alla protezione e alla salute in
ambito domestico e sul ruolo maschile in cucina. Viene quindi proposto un
lifestyle che suggerisce un diverso modo di arredare e vivere la cucina,
legato alla modernità (i cinesi hanno estrema considerazione per la propria
cucina tradizionale) piuttosto che alle ristrettezze del passato.
I prodotti italiani non possono però contare esclusivamente sulle
tradizioni proprie del contesto nazionale o della tradizione culturale
occidentale; essenziale è entrare in sintonia con la cultura locale e
proporre un lifestyle che catturi l’immaginario di chi è alla ricerca di una
identificazione sociale, trovando nei punti di forza del marchio e del paese
di origine delle valorizzazioni opportune.
Anche se la promozione di carattere pubblicitario non è direttamente
indagata in questa tesi, è innegabile che una corretta veicolazione del
messaggio è indispensabile per soddisfare i requisiti sopra elencati. In
particolare, risulta determinante la corretta traduzione del marchio, intesa
sia a livello linguistico (è vano e deleterio comunicare in modo errato non
tenendo conto delle peculiarità della lingua del ricevente), sia a livello di
mission aziendale. In Cina, anche e soprattutto a livello aziendale, la
creazione di un’immagine integra e coerente (magari pure sostenuta dalle
migliori organizzazioni locali) è condizione necessaria per una successiva
commercializzazione redditizia. Si parla in questo caso di mianzi aziendale,
una particolarità culturale legata al concetto pragmatico di salvare/perdere
70
la faccia, che implica condizionamenti comportamentali pressoché ignorati
in Occidente (verrà approfondito il concetto nel primo paragrafo del cap.
5).
I contributi empirici proposti nel prossimo capitolo sono volti ad
indagare quale sia la percezione dei consumatori cinesi verso la country
image italiana e trovano fondamento proprio nel fatto che il prodotto
estero, in Cina, deve possedere una grande forza d’immagine. Si può
sostenere che in Cina c’è di tutto: ciò che manca sono gli status,
determinati dalle firme e dal costo delle cose (l’acquisto consapevole di
merce contraffatta rappresenta una sorta di compromesso che è
naturalmente presente in un insieme di consumatori molto vasto e
variegato).
La griffe straniera, la sua provenienza, il suo prezzo e, non di meno,
il luogo d’acquisto, sono dunque determinanti. “Come avviene per un
italiano, che non si aspetta di trovare un prodotto di griffe al mercato
rionale e la buona pasta nell’hard discount tedesco, un cinese non
considera originale e di status un prodotto in vendita in uno store per il
loro mass-market, in mezzo a prodotti e a costi cinesi” (Pietrasanta
2009:187).
71
4. La percezione dei consumatori cinesi verso la country image italiana 4.1 Percezione del Made in Italy in Cina
Al di là del fatto che l’effetto del paese d’origine agisce in
concomitanza di altre variabili nell’influenzare le decisioni di acquisto di un
consumatore, per le aziende è indispensabile conoscere la percezione del
target di riferimento verso la provenienza della propria offerta al fine di
adottare (come visto nel precedente capitolo) efficaci politiche di
marketing. In tema di country of origin effect, la percezione proviene da
un’intera popolazione ed è riferita all’immagine di un intero paese e della
relativa produzione industriale. Si ha immediatamente l’idea di quanto sia
necessario soppesare attentamente ogni considerazione in merito:
innanzitutto, l’opinione di un’intera popolazione (che nel caso della Cina
ammonta a circa un miliardo e 330 milioni di individui), così come
l’immagine del paese che ne viene delineata, non può che essere una più
o meno accurata generalizzazione. La percezione di un gruppo di
consumatori verso un paese estero è frutto di un insieme di componenti
cognitive, affettive, esperenziali ed è condizionata da stereotipi che
variano nel tempo, anche a causa di eventi fortuiti non controllabili. I vari
prodotti afferenti ad un certo paese sono, inoltre, passibili di valutazioni
stereotipate legate ai relativi settori di appartenenza: può succedere così
che una casa di moda emergente italiana si avvantaggi dell’immagine
prestigiosa di cui il settore italiano abbigliamento gode nel mondo o, al
contrario, possono verificarsi difficoltà per il prodotto italiano high tech che,
non valorizzato da un’eccelsa reputazione nazionale per i beni di consumo
ad alto contenuto tecnologico, voglia proporsi nei mercati internazionali
(nonché in quello domestico).
Oltretutto, le indagini quantitative volte a determinare la percezione
di un’intera popolazione si basano spesso su tecniche di estrazione del
campione non probabilistiche e su campioni molto ristretti. Queste ricerche
72
possono ugualmente assumere rilevanza scientifica, essendo tuttavia
basate sull’opinione di una parte infinitesimale dell’intero universo di
riferimento.103
È proprio questo il caso delle pochissime ricerche, ad oggi disponibili,
sulla percezione della country image italiana da parte di consumatori cinesi,
ricerche che sono state prese come riferimento per la stesura di questo
capitolo. Due delle indagini in questione, per quanto riguarda
specificamente la percezione del Made in Italy in termini di qualità
produttive e caratteristiche/immaginari riferiti ai beni di consumo, sono
state commissionate dal Comitato Leonardo all’Istituto ISPO e all’Istituto
Piepoli,104 rispettivamente per convegni organizzati dal Comitato stesso nel
2010 e nel 2004. Un’altra indagine, tratta da un saggio di Vittoria Marino e
Giada Mainolfi, 105 riguarda invece in senso più ampio il “capitale
reputazionale” dell’Italia nel mercato cinese prendendo in considerazione
anche fattori legati all’immagine del paese e non solo quelli strettamente
legati alla produzione.
Come detto, sono tutte e tre ricerche basate su campioni ridotti e
non scelti con tecniche probabilistiche; tuttavia, considerata
103 Le indagini quantitative prevedono un disegno della ricerca costruito a tavolino, cioè le operazioni di ricerca sono rigidamente strutturate e ‘chiuse’. La ricerca quantitativa differisce da quella qualitativa, dove invece il disegno della ricerca si modella nel corso della rilevazione. Il metodo quantitativo ripone un’importanza preponderante sulla rappresentatività della società che viene studiata, dunque sulla rilevanza statistica del campione. Spesso però l’universo di riferimento è difficilmente rappresentabile tramite campioni probabilistici (cioè campioni determinati con una tecnica di estrazione casuale o simile); in questi casi, si ricorre a campioni non probabilistici, cioè campioni scelti sulla base di un criterio proprio del ricercatore (ad esempio, campionamento per quote, laddove il campione rispetti la proporzione di genere, età, provenienza geografica dell’universo di riferimento; campionamento a scelta ragionata, quando le unità campionarie sono scelte sulla base di alcune loro caratteristiche; ecc.). 104 Il Comitato Leonardo è stato fondato nel 1993 dall’iniziativa di un gruppo di imprenditori, artisti, scienziati e uomini e donne di cultura con l’intento di promuovere e affermare la “Qualità Italia” nel mondo; ne fanno parte inoltre le più alte cariche dello Stato e, per la sua azione, il Comitato ricorre alla collaborazione di tutti gli Organi Istituzionali preposti alla promozione degli interessi italiani all’estero. ISPO è un istituto di ricerca sociale, economica e di opinione, guidato dal Professor Renato Mannheimer con sede a Milano; è stato fondato nei primi anni ’80 da un gruppo di docenti di diverse università italiane. L’Istituto Piepoli è un’azienda che fornisce supporto marketing e consulenza basata su ricerche di mercato; è nato nel 2003 e ne è Presidente Nicola Piepoli. 105 Marino-Mainolfi 2010.
73
l’autorevolezza degli Istituti di ricerca e delle due Ricercatrici citate (la loro
indagine è stata edita da Franco Angeli), questi lavori sono molto
significativi per questa tesi e si è deciso dunque di assumerne i risultati
come fondamenta veritiere ed attendibili. Ci si propone in ogni caso di
integrare questi contributi pre-esistenti con una nuova indagine (cap. 6) al
fine di poter sviluppare considerazioni finali che tengano conto non solo
della percezione, ma anche della promozione (cap. 5) del Made in Italy in
Cina.
Benché gli obiettivi delle due ricerche Ispo e Piepoli siano
prevalentemente gli stessi, si è deciso, per comodità di trattazione e per
evitare continue citazioni, di suddividere i suddetti contributi in due distinti
sotto-paragrafi.
4.1.1 Sondaggio ISPO106
La ricerca condotta da ISPO è di tipo quantitativo ed ha riguardato
un campione di 301 cinesi. Il gruppo selezionato rispecchia le quote di
genere, macrofasce di età e macroaree geografiche rappresentative della
rispettiva popolazione totale, ma ogni unità è stata selezionata in quanto
almeno in parte interessata all’argomento di indagine. Le interviste sono
state effettuate telefonicamente attraverso l’utilizzo di un questionario
strutturato.
Il primo, generico, dato significativo riguarda la sensazione che
suscita l’espressione Made in Italy: per l’80% dei rispondenti il richiamo
porta verso una sensazione positiva (40% abbastanza positiva, 40% molto
positiva) e solo una minima parte, il 4%, gli attribuisce un’impressione
molto negativa. Il concetto di Made in Italy si caratterizza dopo averlo
messo in relazione con specifici attributi e parole: alla domanda “quanto il
Made in Italy le evoca le seguenti parole” (Figura 2), il maggior riscontro
positivo è stato ottenuto dai sostantivi estetica/bellezza, parole ricorrenti
anche in tutte le altre ricerche. Altre parole evocative per il campione 106 Le strade del Made in Italy: mercati, direzioni e proposte. Istituto ISPO, Milano, 2010.
74
cinese sono state qualità, cultura, creatività, passione, a testimonianza del
fatto che le migliori valenze delle produzioni italiane, anche nella
percezione dei consumatori, risiedono prevalentemente nelle componenti
intangibili del prodotto. Pur con una prevalenza meno netta, anche
innovazione e tecnologia ottengono comunque un discreto successo (cfr.
Figura 2), mentre non è particolarmente evocativo l’attributo durata nel
tempo. Una piccola notazione critica nei confronti di questi primi dati
riguarda il fatto che la richiesta di giudizio è stata avanzata per un
concetto generale e non settorialmente determinato e non ancora posto in
relazione con altre variabili: pare quindi logico aspettarsi un’alta frequenza
di risposte positive, in quanto anche un singolo prodotto o una singola
marca italiana può in questo caso avere la forza di caratterizzare l’intera
produzione nazionale per, ad esempio, qualità, estetica, tecnologia.
Figura 2
Quanto il Made in Italy evoca le seguenti parole
Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO
La percezione viene poi riferita ai singoli settori merceologici del
Made in Italy. Una risposta interessante mostra come solo la metà
dell’aggregato cinese riconduca le qualità intrinseche per le quali è
61
45
41
37
44
40
26
28
22
15
33
35
35
27
30
39
32
30
32
1
3
4
5
3
5
3
3
10
13
10
15
13
15
17
15
23
27
23
26
4
4
7
8
9
10
9
10
15
14
24ESTETICA/BELLEZZA
QUALITA'
CULTURA
CREATIVITA'
IL GUSTO DEL SAPERVIVERE/DEL VIVERE BENE
PASSIONE
INNOVAZIONE
TECNOLOGIA
ATTENZIONE ALL'AMBIENTE
DURATA NELTEMPO/INVESTIMENTO
Molto Abbastanza Non so Poco Per nulla
75
riconosciuto il Made in Italy a tutti i settori dell’industria italiana (49%),
mentre il 47% sostiene che possano essere applicabili solo ai settori
tradizionali.107 Per i cinesi, effettivamente, come indicato dalle risposte ad
un’altra domanda, i settori maggiormente associati al Made in Italy sono
quello della moda e dell’agroalimentare. La moda italiana esercita in Cina
un fascino enorme ed è vista come punto di riferimento ineguagliabile nel
mondo (c’è riscontro anche nelle altre due ricerche citate nel capitolo,
oltre agli altri contributi provenienti dai riferimenti bibliografici). Avendo
avuto una sola possibilità di scelta fra i diversi settori indicati, il 42% dei
rispondenti cinesi ha associato il Made in Italy a ‘moda e accessori’, il 25%
a ‘prodotti alimentari e vini’ e la restante quota si è divisa sostanzialmente
fra ‘arredamento e design’ (10%) e ‘navi, aerei, automobili e moto’
(11%).108 Verrebbe da dire che le specializzazioni dell’offerta italiana siano
state in gran parte identificate, ma è altresì vero che la strutturazione
rigida del questionario non lasciava comunque molta scelta, essendo
indicati soltanto altri 4 settori (le grandi infrastrutture e opere di
ingegneria sono state indicate dall’1% del totale; 2% sia per tecnologie
per energie rinnovabili sia per robotica ed elettronica; nessuna menzione
per impiantistica ed automazione industriale; 7% non ha saputo
rispondere). Inoltre pare totalmente mancato il riconoscimento per il
settore dell’automazione, sostituito (e forse identificato) però logicamente
da consumatori costituenti la domanda finale da un settore comprendente
beni di consumo quali automobili e motocicli (a livello di percezione, è
plausibile sia sfuggita al consumatore la qualità di macchinari che non
fanno parte della propria vita quotidiana, se non dal punto di vista
107 4% non sa. Nel testo della domanda, l’intervistatore aveva suggerito un vestito d’alta moda e una bottiglia di vino pregiato per i settori tradizionali e un auto di Formula 1, progetti di ingegneria, architettura e robotica a rappresentanza di settori non tradizionali. 108 Il settore ‘prodotti alimentari e vini’, pur essendo associato al Made in Italy in prima battuta dal 25% del campione cinese, non riscuote ancora un corrispondente successo nell’export. Come detto al paragrafo 2.3.1, le prospettive di crescita per questo settore sono molto alte; resta però il fatto che, ad oggi, nel sub-settore ‘vini’ la Francia surclassa l’Italia nel valore dell’export in Cina (cfr. paragrafo 2.3.1). Scopo del sondaggio integrativo sarà pertanto anche quello di capire se il prodotto alimentare italiano soffra di qualche condizione sfavorevole per fruibilità o se sia soltanto secondo, a livello di percezione qualitativa, ad altri prodotti alimentari di altri paesi.
76
lavorativo. Molto più percepibili i beni di consumo menzionati).
Tuttavia, pur avendo polarizzato le proprie preferenze verso moda e
agroalimentare, i cinesi esprimono un giudizio positivo per ogni settore
sopra citato (Figura 3). Anche in questo caso l’interpretazione dei risultati
è soggettiva: un’alta percentuale di giudizi ottimi ricade soltanto sui settori
di specializzazione rinomati, tutti nettamente sopra il 50% tranne il settore
automazione-meccanica per beni di consumo al 40%. Gli altri settori
registrano comunque buone percentuali di giudizi positivi, ma soltanto
“discreti” e non più “ottimi”: crescono sensibilmente in questi comparti,
infatti, giudizi non sufficienti.
Figura 3
Il giudizio di alcuni settori associati al Made in Italy
Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO
La situazione cambia drasticamente quando ai consumatori cinesi è
chiesto di esprimere preferenze fra più made in relativamente ad alcune
caratteristiche dei prodotti. Come sintetizza la Figura 4, il Made in Italy
soffre in questo caso la concorrennza di altre produzioni nazionali di Paesi
avanzati, ricevendo estrema considerazione esclusivamente per la
77
caratteristica estetica/bellezza. Per i consumatori cinesi, il Made in migliore
per qualità, innovazione tecnologica, sicurezza e affidabilità è senza alcun
dubbio quello tedesco. Per quanto riguarda la convenienza, i cinesi
riconoscono nelle proprie produzioni nazionali maggiore economicità.
Anche in questo caso è comunque doveroso specificare che le preferenze
dei rispondenti, vincolati dalla possibilità di una sola risposta, si orientano,
prevalentemente, per ogni categoria verso un solo paese, quasi a
riconoscere ad ogni singolo paese una specifica peculiarità. L’univocità
della scelta dà un risultato di natura quantitativa che non lascia spazio ad
interpretazioni qualitative (in altre parole, il rispondente che ha scelto il
Made in Germany come made in migliore per affidabilità, non è detto che
non reputi gli altri Made in altrettanto validi per questa caratteristica).
Figura 4
Il Made in… migliore per…
Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO
Semmai, è importante notare che per l’attributo ‘innovazione
tecnologica’, sebbene l’opinione dei cinesi sia frammentata nelle scelta fra
i vari paesi, il Made in Italy accusa un netto ritardo in termini di preferenze
9
66
3 4 5 6
66
8
31
4
6466
8 8
21
4
17
811 11
27
57
11
6 7
18
83
79
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Qualità Estetica/bellezza Innovazionetecnologica
Convenienza Sicurezza Affidabilità
Italy Germany USA Japan China
78
rispetto ai concorrenti.
La preferenza forzata fra più scelte valide testimonia tuttavia che
l’effetto del paese d’origine, seppur positivo, all’atto d’acquisto incide
soltanto in maniera marginale, o quantomeno relativa. Naturalmente, per
l’impresa offerente, oltre al prezzo, all’immagine di marca, alla funzionalità,
esercitano un peso importante nelle decisioni d’acquisto del consumatore
anche le immagini del paese di origine dei prodotti concorrenti.
4.1.2 Sondaggio Istituto Piepoli109
Anche il disegno di ricerca di questo questionario è di tipo
quantitativo. La ricerca è stata condotta in Cina e il campione si compone
di 1000 intervistati tramite il sistema CATI (computer assisted telephone
interviewing); non è stato indicato il criterio adottato per garantire la
rappresentatività della popolazione nazionale.
Nel riassumere i risultati di questa ricerca, si intende rintracciare per
primi gli stessi quesiti che sono stati inclusi anche nel sondaggio ISPO:
anche in questo caso, alla domanda “che percezione ha dei prodotti italiani
complessivamente”, il 91% degli intervistati esprime un giudizio positivo
(40% molto positivo, esattamente come la ricerca ISPO; 51% abbastanza
positivo). Si passa poi all’immagine dell’Italia tout court: le risposte a
questa e alle prossime domande qui riportate sono state precodificate dai
ricercatori; ciò significa che gli intervistati avevano delle indicazioni pre-
esistenti fra cui scegliere. Con l’opportunità di indicare più di una
preferenza, il 39% ha scelto ‘abbigliamento’, il 31% ha scelto ‘cibo e vini’ e
‘calcio’ (Figura 5); seguono percentuali a doppia cifra per luoghi e
paesaggi, mentre restano emarginate voci come ‘arte’ e ‘cultura’.
L’unica sostanziale sorpresa che emerge da questa ricerca è la bassa
menzione di ‘arte’ quale elemento evocato dall’Italia; si conferma invece
109 L’immagine dei prodotti italiani in Cina, Russia, Svezia e Stati Uniti. Istituto Piepoli. 2004.
79
nettamente l’associazione dell’Italia con abbigliamento e agroalimentare,
due settori produttivi che più di ogni altra cosa contribuiscono a connotare
l’italianità. La riprova a ciò viene da due domande successive mirate a
scoprire quali prodotti specifici vengono accostati all’Italia (Figura 6): dopo
abbigliamento, pelletteria e scarpe, indicati rispettivamente dal 33%, 27%
e 18% del campione totale, seguono in doppia cifra soltanto prodotti
alimentari. Arredamento e automobili, prodotti rappresentanti gli altri due
settori di specializzazione italiani, appaiono di nuovo più distaccati rispetto
a quelle che i cinesi reputano vere e proprie eccellenze.
Figura 5
Cosa Le evoca, cosa Le fa venire in mente l’Italia?
(% sul totale dei rispondenti per ogni voce)
Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO
Abbigliamento, pelletteria e scarpe sono anche i prodotti che,
secondo il campione, i cinesi preferirebbero acquistare se fossero in buone
condizioni economiche (“se non avesse alcun problema di denaro, quali
prodotti italiani le piacerebbe acquistare?”, questo il testo della domanda);
buone percentuali a riguardo anche per automobili (18%, preferenza
39
31
31
19
13
5
4
3
2
2
2
2
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65
Abbigliamento
Cibo e vini
Calcio
Luoghi ITA
paesaggi
Arte
Cultura
Qualità di vita
Mare, spiagge…
Musica
Crimine organizz.
Cinema
80
probabilmente condizionata dall’influenza del marchio Ferrari) e
arredamento (17%); i prodotti alimentari e i vini vengono citati all’incirca
dal 10% del campione, ma per questi prodotti l’ostacolo legato al prezzo è
relativamente meno determinante.
Figura 6
Quali sono i primi prodotti italiani che le vengono in mente?
(% sul totale dei rispondenti per ogni voce)
Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO
Per quanto riguarda le caratteristiche principali dei prodotti italiani,
prevalgono senza sorprese le componenti intangibili quali design, status
symbol, bellezza (Figura 7). Pare, così come rilevato anche dalla ricerca
ISPO, che i cinesi attribuiscano alle produzioni italiane anche una buona
durata (caratteristica scelta dal 29% del totale dei rispondenti); il dato
assume significato considerando che per altri campioni di altre nazionalità,
specialmente quelli rappresentanti paesi avanzati con un buon apparato
produttivo (le ricerche ISPO e Piepoli hanno indagato la percezione del
Made in Italy sottoponendo lo stesso questionario anche a campioni di
altre popolazioni), la componente ‘durata’ dei prodotti italiani non riscuote
33
27
18
15
15
10
8
7
6
5
4
4
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65
abbigliamento
pelletteria
scarpe
pasta/ salse
pizza
altro tipo di cibo
automobili
arredamento
accessori moda
vino
tecnologia
arte/ design
81
38
32
29
29
28
22
22
16
15
6
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60
Design
Accuratezza particolari
Qualità
Durata
Status symbol
Bellezza
Alto prezzo
Originalità
Fantasia
Sexy
lo stesso successo (solo il 13% del campione statunitense e solo il 4% del
campione svedese ritengono che la durata nel tempo sia una prerogativa
dei prodotti italiani).
In Cina, il prodotto italiano soffre meno lo stereotipo
dell’inaffidabilità (basti pensare che negli USA, almeno fino all’acquisizione
parziale di Chrysler, si è giocato con l’acronimo FIAT proponendo
un’alternativa e irriverente versione in inglese, Fix It Again Tony,
alludendo ai -presunti- frequenti problemi di natura meccanica e
strutturale che si verificavano alle automobili della Casa torinese).
Altre due questioni interessanti affrontate in questa ricerca sono la
reperibilità e la contraffazione dei prodotti italiani; sono, questi, temi da
tenere in debita considerazione nella commercializzazione del Made in
Italy in Cina. Si è visto nei capitoli precedenti che, sia per una politica di
esclusività perseguita dai marchi italiani, sia per vincoli di carattere
burocratico, la reperibilità di molti prodotti italiani si limita ai supermercati
di alto livello, boutiques e negozi prestigiosi delle grandi città.
Figura 7
Tra le seguenti, secondo Lei, quali sono le caratteristiche principali dei prodotti italiani?
(% sul totale dei rispondenti per ogni voce)
Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO
82
Sarebbe dunque interessante capire se il Made in Italy potesse esser
pronto ad allargare il proprio raggio di presenza in Cina, estendendolo fin
nelle città medio-piccole pur mantenendo una coerente politica di
placement. Dal sondaggio Piepoli, il 62% del campione ritiene sia facile
trovare prodotti italiani in Cina (17% molto facile, 45% abbastanza facile);
per una considerevole parte dei rispondenti, il 30%, ciò non appare invece
molto facile. Purtroppo le risposte a questo quesito non sono state
incrociate con altre variabili, quali ad esempio la provenienza geografica
del campione, che avrebbero permesso di capire se la reperibilità dei
prodotti italiani (o quantomeno la percezione dell’esistenza) variasse con il
variare della dimensione delle città o di altri fattori. Inoltre, operando a
livello di percezione, è fondamentale anche distinguere fra prodotti
originali e prodotti falsi. La Cina è un paese in cui i prodotti contraffatti
venduti nei fakes market vengono contraddistinti da una classe che ne
qualifica la bontà della copia.110 Un prodotto di ‘classe A’ sarà pressoché
identico all’originale e il consumatore cinese trova garanzia di affidabilità
soltanto facendo acquisti nei grandi negozi o supermercati (anche il basso
prezzo è normalmente l’indicatore più evidente della falsità di un prodotto).
Il dato che proviene dal sondaggio Piepoli è tuttavia incoraggiante:
l’88% del campione cinese dichiara che i prodotti contraffatti sono peggiori
di quelli originali. In ogni caso, con il questionario integrativo proposto nel
capitolo 6 di questa tesi, ci si propone di indagare in maniera più articolata
sia l’aspetto ‘reperibilità’ sia ‘contraffazione’ del Made in Italy in Cina.
4.2 La country reputation italiana in Cina111
Con questo lavoro, Vittoria Marino e Giada Mainolfi sostengono che
la reputazione del paese di origine può influenzare sia la percezione dei
110 Testomonianza raccolta dall’autore. 111 Marino-Mainolfi 2010.
83
consumatori esteri relativamente ai sistemi di offerta straniera sia il
comportamento d’acquisto dei consumatori stessi. Per country reputation
si vuole intendere un giudizio di valore, relativo ai diversi attributi in cui è
scomponibile il sistema paese, determinato dalle diverse country image
che nel tempo si susseguono e contribuiscono a delineare appunto
l’immagine che una popolazione sviluppa circa un certo paese. Le
caratteristiche intrinseche che consentono ad un paese di sedimentare nel
tempo il proprio capitale reputazionale sono identificabili negli asset
tangibili (come ad esempio infrastrutture, risorse naturali, paesaggi, città
d’arte, ecc.) e in quelli intangibili (capacità e competenze delle risorse
umane qualificate e non, cultura del sistema politico, sociale ed
economico). In questo senso, la reputazione nazionale è attivamente
gestibile dall’operatore pubblico e ha delle ripercussioni decisive sui diversi
ambiti d’azione del Sistema Paese, come ad esempio quelli relativi
all’instaurazione di alleanze con partner esteri, la promozione del turismo
nazionale, l’attrattività degli investimenti. La percezione della reputazione
di un paese estero si riflette di conseguenza sulle scelte che i consumatori
affrontano durante l’atto d’acquisto dei beni di quel determinato paese.
La capacità, da parte di una nazione, di gestire la propria
reputazione rappresenta una vera e propria risorsa pubblica, in grado di
promuovere molteplici interessi nazionali (la promozione del Made in Italy
in Cina a livello istituzionale è l’argomento cardine del capitolo 5).
L’indagine condotta dalle due Ricercatrici si è avvalsa dello
strumento dell’intervista personale: il campione è composto da cento
consumatori cinesi, scelti sulla base di un processo di campionamento non
probabilistico. Tutti e cento gli intervistati risiedono infatti in aree urbane
della Cina orientale, zone considerate -e di fatto- maggiormente dinamiche
ed economicamente avanzate. Il campione si presenta equilibrato per
genere (52 maschi, 48 femmine), variegato per età (il 66% del totale è
costituito da soggetti tra i 25 e i 45 anni, il 20% sotto i 25 anni e il
84
restante 14% sopra i 65 anni) e caratterizzato da un livello di istruzione
medio-alta.
Per esaminare il capitale reputazionale italiano sono stati analizzati i
giudizi dei soggetti cinesi in merito ad un costrutto multidimensionale
costituito dai diversi àmbiti del sistema paese (ambiente fisico, socio-
economico, culturale, politico-istituzionale). L’ambiente fisico, più che per
la dotazione di risorse naturali, è considerato molto importante in termini
di patrimonio storico-artistico: Leonardo da Vinci, l’architettura, il
Rinascimento e la pittura sono fra gli aspetti più indicati.
Per quanto riguarda l’economia italiana, i consumatori cinesi
intervistati ritengono per il 60% che la competitività delle imprese italiane
sia molto (23%) e abbastanza (37%) importante: il dato è comunque da
porre prevalentemente in relazione al settore che i cinesi identificano
maggiormente con l’economia italiana, cioè la moda. Ben il 37% del
campione non ha infatti dubbi nel citare la moda quale settore di punta
italiano, capace di influenzare positivamente anche il settore tessile e delle
pelli.
Da alcuni indicatori legati all’ambiente culturale e sociale si evince
che, per i cinesi, l’Italia è la patria del bello, in cui il design e la creatività
contraddistinguono gran parte dei sistemi di offerta. L’Italia, inoltre, è
giudicata un paese non laico: all’asserzione “l’Italia è un paese laico”, solo
il 5 e l’8% dei giudizi si concentra nelle posizioni di pieno accordo (molto,
abbastanza), mentre maggiore discordanza si verifica quando è stato
chiesto di esprimersi circa il grado di nazionalismo degli italiani e sulla
capacità della società italiana di coesistere con le minoranze etniche.
Questi due ultimi aspetti sono stati reputati fondamentali nell’eventuale
compromissione della credibilità internazionale del Paese: la gran parte
degli intervistati non ritiene di poter esprimere un giudizio a riguardo e,
anche sulla base delle risposte ottenute, non si è in grado di ottenere
un’indicazione completamente chiara. Questa condizione di confusione e di
85
eterogeneità nelle risposte può essere attribuibile alle diverse vicende che
hanno caratterizzato la società italiana e che hanno calamitato l’attenzione
dei media anche a livello internazionale. A tale proposito, ancor più
sintomatiche appaiono le risposte riguardanti l’ambiente politico-
istituzionale: l’Italia è reputata un paese in cui la corruzione è un
fenomeno ricorrente nella classe politica, così come la limitata trasparenza
è ricorrente nel sistemo finanziario (è possibile ipotizzare un’influenza
determinante degli scandali che hanno coinvolto la classe politica e note
aziende italiane durante gli ultimi anni).
Le ipotesi di partenza trovano fondamento nel fatto che i cinesi
orientano le proprie scelte di consumo verso le categorie merceologiche in
cui si riproduce il capitale reputazionale del Sistema Italia. Ciò è avvalorato
anche dal fatto che le valutazioni sui prodotti italiani sono le medesime
anche in assenza di contatto diretto con l’offerta, ossia con l’acquisto (halo
construct); la reputazione del Paese costituisce dunque un criterio guida
importante per i consumatori. Tra coloro che hanno dichiarato di essere
acquirenti di prodotti italiani (il 69% del campione), il 77% li considera
sinonimo di qualità. Lo stile e il design sono gli elementi alla base della
reputazione produttiva italiana e la domanda cinese è ben disposta a
premiarli in termini di acquisti, con netta predominanza del settore
dell’abbigliamento e delle calzature. Il 31% del campione che non si
dichiara cliente di prodotti Made in Italy indica nella misura del 35% la
difficile reperibilità dei prodotti e in quella del 29% la scarsa convenienza.
Se i prezzi elevati tendono a spostare parte della clientela su offerte
similari, cinesi o estere, che richiamano lo stile italiano, è pur vero che
l’esclusività delle produzioni Made in Italy soddisfano l’esigenza di quella
parte preponderante dei consumatori benestanti che cercano nel prodotto
il conferimento di uno status.
86
5. La promozione del Made in Italy in Cina 5.1 Creare relazioni: guanxi e mianzi
Ai fini di una efficace pianificazione di marketing, oltre che sulla base
delle indicazioni relative alla percezione dei consumatori cinesi verso il
Made in Italy, le scelte in merito alle variabili del marketing mix di una
azienda italiana che volesse interfacciarsi con il mercato cinese dovrebbero
considerare anche i diversi aspetti culturali che caratterizzano la società
asiatica. La politica promozionale è forse quella che, ancor più delle
politiche di prodotto, prezzo e distribuzione, richiede in Cina una maggiore
contestualizzazione. Contestualizzare, piuttosto che standardizzare,
significa adottare scelte differenziate in funzione delle specificità
economiche e socio-culturali di un certo paese.
Tuttavia, in questo capitolo, con la parola ‘promozione’ non si vuole
soltanto intendere l’attività aziendale funzionale alla più ampia
pianificazione di marketing per il singolo prodotto. Viene anche, e
soprattutto, considerata la promozione del Made in Italy a livello di
Sistema Paese e di relazione inter-aziendale. In questa ottica, considerare
alcuni specifici aspetti culturali cinesi significa poter accrescere
notevolmente le possibilità di successo di un’azienda in questo grande e
variegato mercato. In Cina il concetto di politica è fortemente legato al
mondo degli affari (leciti): l‘stituzione governativa è vista come un partner
sicuro e la relazione con essa non è semplicemente auspicabile, bensì
spesso necessaria. Siccome, ovviamente, dietro l’entità astratta di
istituzione governativa risiedono funzionari in carne ed ossa, ogni azienda,
istituzione o organizzazione italiana dovrebbe considerare attentamente i
concetti culturali di guanxi e mianzi nel rapportarsi con un interlocutore
pubblico o privato cinese.
Con ‘mianzi’ si intende la ‘faccia’, cioè la reputazione e l’integrità di
una persona e, nel caso di relazioni commerciali, di un’intera immagine
aziendale. In questo caso dunque la faccia rappresenta un ruolo sociale:
87
nell’assumere un ruolo, una persona (o un’azienda) accetta un set
standardizzato di caratteristiche comportamentali e di aspettative sociali
che non devono ledere la reputazione altrui. L’importanza del ‘salvare la
faccia’, se in Occidente è paragonabile al concetto di rispetto, in Oriente
implica condizionamenti comportamentali altrove inusuali. Concretamente,
perdere la propria faccia (ad esempio tornando su decisioni prese o
venendo pubblicamente smentiti e denigrati), al pari di far perdere la
faccia altrui (ad esempio riprendendo o smentendo un cinese davanti ad
altre persone), significa perdere definitivamente l’appoggio della
controparte.112 Nel mondo cinese infatti, far perdere la faccia è una forma
di aggressione che può creare serie ripercussioni sulla relazione coinvolta.
Difendere la propria faccia, d’altro canto, è così importante che le persone
potrebbero arrivare a mentire per conservarla.
Non è raso il caso in cui un gruppo di lavoro occidentale riceva, ad
esempio, una tiepida approvazione ad un progetto commerciale da parte
di un interlocutore che invece poi non si fa più sentire.113 Questo è dovuto
esclusivamente al fatto che un no diretto cinese alla proposta farebbe
perdere la faccia alla controparte occidentale (questo anche se, per molte
culture, della propria e altrui faccia importa spesso ben poco). Il salvare o
(far) perdere la faccia si manifesta in tante diverse forme di gesti simbolici
così come d’atti sostanziali.
Relativamente all’impresa, la creazione della mianzi aziendale
consiste nella formazione di un’immagine e una reputazione che deve
112 Cfr. Valdani-Bertoli 2007:424. 113 A proposito di questi comportamenti, sotto quella disciplina che viene denominata Pragmatica interculturale, si individuano due principali contesti culturali: quelli, appunto, ad alto e basso contesto. I cinesi vengono classificati entro una cultura ad alto contesto; ciò significa che nella produzione e nell’interpretazione dei messaggi comunicativi danno molta importanza alla situazione e ai comportamenti non verbali, al contrario di un soggetto rappresentante una cultura a basso contesto che premia la sostanza, il discorso esplicito e i fatti. Dalle culture low context l’ambiguità è considerata negativa e il coinvolgimento personale è tenuto tendenzialmente in minore considerazione. Al contrario, nelle culture high context, i legami personali sono molto forti anche nel mondo degli affari e i membri di queste culture investono tempo ed energia nella creazione di un rapporto di fiducia con la controparte, mentre attribuiscono meno importanza ai dettagli dell’accordo.
88
consolidarsi ben prima della fase di commercializzazione. “Purtroppo, non
tutte le società che decidono di proporre al mercato cinese prodotti di
qualità e di lusso hanno la giusta lungimiranza e determinazione
nell’avviare iniziative dedicate inizialmente solo alla creazione
dell’immagine” (Bicchielli 2010:112). In molti casi si teme che certi
investimenti non portino ad alcun ritorno commerciale e pertanto anche la
visione temporale è spesso limitata e parziale (esempi di efficaci azioni di
aziende italiane concertate in Cina con organizzazioni locali verranno citati
nel paragrafo 5.3).
Parzialmente legato al concetto di mianzi è quello di guanxi. Guanxi
letteralmente significa ‘relazione’; in Cina, forse in misura maggiore di
qualsiasi altro paese, le relazioni rappresentano una forma di capitale
sociale, anche nell’ambiente economico. In nome della guanxi si sviluppa e
si governa un sistema a rete di contatti e di relazioni attraverso cui le
persone elargiscono favori e ne ricevono in cambio. In Cina, questo
vincolo interpersonale aggira perfino la scala gerarchica (anche la
gerarchia ha un’importanza notevole nelle interazioni sociali e dunque
anche nelle negoziazioni e negli affari): laddove presente, una solida
guanxi permette anche ad un membro di livello inferiore di chiedere ed
ottenere illimitati favori a chi occupa un ruolo gerarchicamente superiore.
Anche questa peculiarità della cultura cinese andrebbe dunque
opportunamente sfruttata durante il dialogo istituzionale o commerciale fra
aziende e istituzioni. Anche in questo caso però, se è vero che una giusta
guanxi può assicurare il successo di un affare, è pur vero che il tempo
richiesto per coltivarla non è trascurabile e l’obbligazione che ne deriva è
vincolante per il successo di affari futuri.
A volte si tende a scambiare il sistema delle relazioni con quello
corruttivo: effettivamente, nel momento in cui la relazione è usata per
aggirare una norma e ottenere un vantaggio illegittimo, la guanxi sfruttata
impropriamente dà luogo ad una forma di corruzione, pratica ad oggi
89
ritenuta in Cina dilagante. 114 Tuttavia sarebbe riduttivo e offensivo
considerare una guanxi alla stregua di una pratica corruttiva; la cultura
cinese premia il rispetto, l’amicizia e soprattutto la coerenza: secondo un
preconcetto cinese, gli occidentali sono interessati soltanto a rapporti a
breve termine e dai profitti ingenti e veloci.115
Una proficua rete di guanxi può assicurare molte opportunità; da
parte italiana, oltre alle relazioni personali instaurate dai dipendenti delle
varie aziende, i punti di contatto sono garantiti da molteplici attori pubblici
e privati.
5.2 Ruolo e attori delle Istituzioni italiane e di altre Organizzazioni
Si è già detto nel paragrafo 1.3 che i soggetti preposti alla
promozione del Made in Italy all’estero sono molteplici e non sempre
coerenti fra loro nell’attuazione di linee operative. In particolare, le
maggiori difficoltà si riscontrano nel concertare le politiche dei vari governi
locali con quello centrale; la competizione, che oltre alla dimensione
nazionale coinvolge anche i territori, ha spinto diverse regioni italiane ad
instaurare accordi quadro con governi esteri e a dotarsi di autonome
politiche per l’internazionalizzazione che a volte contrastano le misure
prese a livello di governance superiore.116
A livello pubblico nazionale, al Ministero dello Sviluppo Economico
sono demandati i compiti di indirizzo e coordinamento nazionale della
politica economica con l’estero; le proposte si concretizzano nella
predisposizione ed applicazione delle Linee Direttrici per l’attività
114 L’Associazione contro la corruzione Transparency international ha stilato per il 2011 la classifica di 182 paesi per corruzione percepita. Ai vertici sono stati posizionati i paesi più virtuosi: la Cina si è piazzata al 75° posto (l’Italia al 69°). www.transparency.it 115 Cfr. Ramella 2006:43. 116 Per una rassegna dei principali strumenti adottati dalle diverse regioni italiane cfr. Le politiche per l’internazionalizzazione nelle regioni italiane, Brancati-Sensenhauser, in Cina e Made in Italy, Pietroni-Oppedisano-Perini (a cura di), Alinea, 2008.
90
promozionale, un documento indirizzato a tutti gli enti di supporto
pubblico e che trova nell’Istituto per il commercio estero il più significativo
centro operativo. Ma, oltre all’Ice, delle cui attività si parlerà in seguito,
altre società, agenzie ed enti pubblici si occupano di adempiere a specifici
programmi promozionali sui mercati esteri dettati dal Ministero dello
Sviluppo Economico (che provvede ad erogar loro finanziamenti pubblici).
Tra questi, è significativa l’azione di consorzi export, consorzi agro-
alimentari, camere di commercio italiane all’estero, nonché l’attività di
Simest (la società finanziaria pubblica che recentemente ha introdotto due
nuovi prodotti finanziari per le aziende, il primo orientato ad accrescere la
solidità delle PMI esportatrici ed il secondo mirato a promuovere la
partecipazione di imprese italiane in società dell’UE) e SACE (l’Agenzia di
Credito all’Esportazione che ha anch’essa potenziato l’offerta di garanzie
assicurative dedicata alle PMI).117
In chiave nazionale massima attenzione viene posta sulla
concertazione delle politiche promozionali, anche grazie alla sottoscrizione
di accordi di settore con le Associazioni rappresentative delle varie
categorie produttive e con attività in partenariato con Regioni e altri Enti
territoriali. All’estero, considerata anche la crisi economica e il bisogno di
contare su iniziative di impatto che si traducano facilmente in commesse
per le imprese, si è ritenuto appunto prioritario valorizzare l’offerta delle
diverse reti italiane: uffici Ice, Camere di Commercio, banche.
Per far fronte agli effetti ancora persistenti della crisi economica, nel
2010 gli interventi del Programma promozionale sono stati rimodulati dal
punto di vista geografico per favorire gli investimenti nelle aree
economiche in ascesa (fra cui i paesi Bric, quindi anche la Cina). L’Asia ha
assorbito oltre un terzo delle risorse e gran parte delle attività sono state
destinate alla Cina, primo mercato assoluto di intervento con il 14% della
spesa totale.
117 Rapporto Ice 2010-2011, p.331.
91
Con l’obiettivo di sostenere in via prioritaria i settori di vantaggio
comparato dell’export italiano, le risorse promozionali sono state destinate
in misura prevalente al comparto della meccanica-elettronica (ha assorbito
il 25% circa dei fondi) e al comparto dei beni di consumo, ambito moda-
persona-tempo libero (oltre 20%) e dell’agroalimentare (17%).118
Dal punto di vista delle tipologie di intervento, le manifestazioni
espositive hanno assorbito oltre il 40% del budget: questo strumento di
promozione tradizionale incontra da sempre le preferenze delle imprese
perché assicura visibilità esterna e contatto immediato. Oltre all’attività
fieristica, altri strumenti sono i seminari, i nuclei operativi, le task force e i
presìdi costituiti in funzione di specifici progetti. Fra queste ultime attività,
emblematica è l’organizzazione del workshop/convegno, durante il quale
vengono presentate specifiche realtà produttive italiane all’estero e dove si
svolgono anche incontri B2B. Per i beni di consumo, un’altra forma di
attività promozionale è data da azioni di carattere comunicativo e
pubblicitario, quali sfilate di moda, giornate gastronomiche per i prodotti
alimentari ed eventi promozionali presso la grande distribuzione. Alle
molteplici attività di tipo operativo si affiancano poi degli strumenti
comunicativi di supporto: siti web specializzati, cataloghi, newsletter ecc.
Accanto al Piano annuale si affianca, integrandolo, il Programma
straordinario per il Made in Italy, impostato su un’ottica strategica e di
sistema con una previsione di risultato a medio e lungo termine e un
prevalente, se non esclusivo, intervento pubblico (alle imprese che
aderiscono alle iniziative è altrimenti chiesto, generalmente, un contributo
finanziario a titolo di compartecipazione ai costi di realizzazione delle
attività stesse). Anche in questo caso i paesi obiettivo sono individuati nei
paesi Bric, nei mercati maturi e in altri mercati dinamici emergenti. Il 70%
delle risorse totali è destinato alle 4A mentre la restante parte sostiene la 118 Ivi, p.340. La spesa complessiva per l’attività promozionale realizzata dall’Ice nel 2010 è stata pari a 122 milioni di euro. Si ribadisce che tramite l’Ice si realizza la gran parte delle azioni elaborate dal Ministero dello Sviluppo Economico, ma questa non è la cifra complessiva erogata dallo Stato.
92
chimica farmaceutica, il settore diagnostica e biomedicale, audiovisivo e
cinema, nautica, impiantistica, infrastrutture e logistica. La differenza
sostanziale col Piano ordinario è l’uso prevalente di missioni governative di
sistema, cioè missioni commerciali in cui sono coinvolti privati, enti italiani
(insieme all’Ice, generalmente Confindustria e ABI), istituzioni ed autorità
pubbliche del paese estero; in questo modo è assicurata un’integrazione
multilivello fra diversi attori pubblici e privati dei paesi coinvolti e,
soprattutto, la presenza economica italiana è garantita dalla relazione
government to government, una condizione in Cina imprescindibile per
l’accesso e il successo in determinati settori.
Le iniziative degli Enti territoriali italiani in Cina (molto attivi nel 2010
in occasione dell’EXPO universale a Shanghai con 12 Regioni presenti
presso il Padiglione italiano) sono supportate dal Programma MAE-Regioni-
Cina, un nuovo strumento volto alla realizzazione di accordi di partenariato
con province cinesi (Guangdong, Zhejiang e Jiangsu le più importanti).
Come detto, la valenza principale delle varie iniziative intraprese
dagli Enti pubblici, organizzazioni private e imprese è quella di muoversi
all’unisono facendo sistema, assicurando così alla produttività italiana
solidi e dinamici supporti di natura istituzionale, finanziaria e culturale. In
Cina, nel 2010, le iniziative sotto forma di seminari, missioni, mostre, desk
informativi, forum e conferenze sono state numerose;119 ciò che è tuttavia
importante definire è un’impronta comune, una sorta di ‘marca Italia’ che,
pur salvaguardando e valorizzando le specifiche particolarità territoriali,
possa comunicare coerentemente i valori, le tradizioni, le capacità tipiche
dell’intera Nazione e soprattutto il modo in cui vengono create le
produzioni Made in Italy, forse uno dei pochi veri elementi culturali
caratterizzanti l’italianità da veicolare all’estero.
Fra le Organizzazioni senza fini di lucro che svolgono un ruolo molto
importante di promozione del Made in Italy in Cina spicca la Fondazione
119 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, pp.39-44.
93
Italia Cina, costituita a Milano nel 2003 dalla partecipazione di Ministeri,
Regioni, Confindustria e importanti aziende e gruppi finanziari italiani.120
La Fondazione, con sede in Cina a Pechino, si occupa di assistere gli
operatori italiani in progetti di penetrazione del mercato, consulenza
strategica e legale, oltre che promuovere gli scambi culturali fra i due
paesi. Si attiva con le autorità italiane e cinesi al fine di instaurare strette
relazioni economiche e, fra le varie attività, rientrano appunto anche le
missioni settoriali.
L’associazione principale che si occupa di favorire lo sviluppo di
relazioni commerciali, industriali e culturali fra operatori, imprenditori ed
organizzazioni economiche italiane e cinesi è in ogni caso la Camera di
Commercio italiana in Cina. Gli scopi, dichiarati esplicitamente nello
Statuto della Camera, riguardano: lo sviluppo di collaborazioni economiche
e tecniche fra imprese ed organizzazioni italiane e cinesi; la raccolta e la
fornitura ai soci di informazioni di carattere economico, finanziario, sociale
e legale circa il mercato cinese; l’organizzazione di missioni, seminari,
conferenze, mostre ed ogni altra attività atta a sviluppare relazioni fra i
due paesi; la collaborazione con le Autorità diplomatiche e la
sensibilizzazione degli organi governativi e delle amministrazioni pubbliche
in relazione a questioni di interesse comune dei Soci.
Dall’Italia, un tentativo per progettare una campagna comunicativa
pro Made in Italy in Cina di carattere pubblicitario si è verificato nel 2009,
quando la ‘Direzione Generale per le politiche di internazionalizzazione e la
promozione degli scambi’ del Ministero dello Sviluppo Economico aveva
bandito una gara d’appalto per l’ideazione e la realizzazione di una
campagna di comunicazione integrata finalizzata a promuovere il Made in
Italy e l’immagine dell’Italia in Cina. L’obiettivo era quello di “rafforzare la
credibilità e la reputazione dell’Italia quale partner privilegiato della RPC,
promuovendo il sistema di valori del Paese e i settori industriali e
120 www.italychina.org
94
commerciali di maggiore rilievo. L’immagine che si intende promuovere
agli occhi dei target di riferimento è quella dell’Italia come Paese del
futuro”. 121 Purtroppo, con un Decreto del Direttore Generale del
Dipartimento in questione,122 il Bando è stato revocato nel 2010 a causa,
si legge nel Decreto, di “sopraggiunti elementi di valutazione economica e
di opportunità non noti al momento della pubblicazione del bando”. La
campagna di comunicazione era rivolta a due tipi di target, l’elite e la
business & financial community cinesi e i giovani consumatori (20-35 anni)
delle maggiori aree metropolitane. Nelle intenzioni di chi aveva progettato
la campagna, i messaggi relativi al primo target sarebbero stati veicolati
da canali televisivi, comunicazione editoriale inflight e su stampa,
organizzazione di eventi, pubbliche relazioni e azioni di pubblicità mirata;
per il secondo target, quello dei giovani, era previsto un uso strategico dei
nuovi mezzi di comunicazione. I contenuti del messaggio e i suoi elementi
creativi sarebbero potuti essere per la prima volta un esempio di corporate
identity del Made in Italy in Cina.
5.3 Altri canali della promozione del Made in Italy in Cina
L’obiettivo del governo cinese di far aumentare i consumi e
l’oggettivo incremento dei redditi medi della popolazione si concilia con il
desiderio e la necessità di emancipazione di un popolo che si vuol sentire
moderno e che vuole proporre modelli economici e socio-culturali di
riferimento. La voglia di riscatto anima questo popolo che si è sentito da
sempre, nell’epoca contemporanea, avulso dai centri propulsivi delle
vicende economiche e culturali internazionali. Questo spirito di rivalsa non
è biecamente chiuso e basato sulle proprie tradizioni: c’è, anzi, la voglia di
scoprire, capire e far entrare nel proprio paese nuovi concetti e modelli
121 http://www.sviluppoeconomico.gov.it 122 http://www.mincomes.it/circ_dm/circ2010/settembre_10/decreto_170910.pdf
95
che configurano una sorta di melting pot comportamentale. La promozione
deve tener conto anche di questo: sapere che un quinto della popolazione
mondiale è in fermento e alla ricerca di un contatto di qualsiasi natura
oltre i propri confini nazionali, implica a chi vuole farsi conoscere ed
accettare, nella fattispecie l’Italia e le sue produzioni, di fare la propria
parte, cioè proporsi ed essere presenti.
Le iniziative di carattere istituzionale elencate nel precedente
paragrafo sono senz’altro qualitativamente encomiabili; d’altra parte però,
il grande pubblico in Cina è raggiungibile solo grazie al sistema dei mezzi
di comunicazione di massa che, seppur posto sotto un attento controllo
dello Stato, rappresenta un veicolo di comunicazione potente e in crescita.
Comunicare alla massa sarebbe oggi un tentativo comunque azzardato: è
vero che usi e costumi stanno gradualmente cambiando per la
contaminazione con la cultura occidentale, ma è pur vero che la società
cinese “sta uscendo da una fase di assorbimento passivo e sta elaborando
nuovi modelli che congiungono il nuovo e la tradizione” (Pietrasanta
2009:144), per dar luogo a nuovi stili che sarebbe sbagliato pretendere di
conoscere ed individuare in poco tempo da parte di chi comunica
dall’esterno.
Per il momento, come detto nel capitolo 2, l’obiettivo di chi si
propone dall’esterno è quello di far parte di un mondo fatto di apparenze,
soddisfare consumatori che usano icone e miti che provengono da lontano
e che conferiscono status e valore estetico. Oggi ad esempio, per il grande
pubblico interessato alla moda, il canale privilegiato è sia il magazine,
fondamentale nel dare indicazioni su come ci si abbiglia e in cui la marca
dà senso al nuovo stile proposto, sia il luogo d’acquisto delle griffe
accessibili a pochi, veri e propri templi del lusso che contribuiscono a
promuovere se stessi e l’immaginario che ruota loro attorno.
Non a caso, relativamente all’Italia, sono la moda ed il lusso ad aver
più popolarità in Cina, poiché gli interpreti di entrambi i settori sono riusciti
96
a penetrare da tempo fra le maglie serrate di una cultura e una società in
evoluzione e che assorbe ancora prestigiosi modelli esteri.
Con l’aumento del reddito pro capite è altresì cresciuto il consumo di
prodotti culturali e dei media in generale. Il mezzo di comunicazione più
pervasivo dal punto di vista commerciale è, anche in Cina, la televisione:
nel sistema televisivo cinese, un ruolo molto importante viene svolto dalle
emittenti straniere; già dalla fine degli anni Ottanta infatti, il governo
cinese ha gradualmente liberalizzato il mercato televisivo permettendo ad
emittenti estere di trasmettere in determinate zone del paese (Guangdong
è stata la prima provincia a sperimentare le riforme economiche e la
ricezione di canali esteri via satellite). La ricezione è comunque
strettamente regolamentata dal Governo: per uso privato non si possono
installare parabole satellitari e la programmazione di canali via satellite,
non potendo essere ricevuta direttamente, è ritrasmessa agli utenti finali
via cavo (Lupano 2010:25). Alcune emittenti televisive straniere riscuotono
tra l’altro maggior successo presso il pubblico e godono di un livello di
reputazione superiore a quello di Cctv, l’emittente di stato (tacciata di
essere ancora direttamente la voce del Governo e ritenuta faziosa nella
diffusione delle informazioni) nata nel 1958 e che oggi vanta comunque
ben 16 canali tematici, tra i quali Cctv 9, canale internazionale in lingua
inglese.
Relativamente al mezzo televisivo, la problematica principale nel
veicolare il messaggio, oltre allo stile comunicativo e ai costi, è proprio
quello di trovare il giusto canale. Occorre considerare che disperdere il
budget per veicolare un messaggio in un mezzo a diffusione nazionale
potrebbe essere inutile nel caso in cui la distribuzione del prodotto
reclamizzato non abbia ancora coperto un’area significativa; al contrario,
non bisogna dimenticare che un mezzo a diffusione locale può comunque
garantire il raggiungimento di un numero elevatissimo di contatti: basti
pensare che, ad esempio, l’impero da audience milionario rappresentato
97
dalla tv pubblica è stato curiosamente battuto nel 2005 da una piccola tv
locale, la Hunan tv, che trasmettendo la finale di un concorso canoro
basato su un format inglese ha bruciato ogni record di ascolto con 400
milioni di telespettatori (Pietrasanta 2009:158). Questo a testimonianza
anche della volubilità delle preferenze di un pubblico non ancora ben
fidelizzato e dunque difficilmente segmentabile anche per quanto riguarda
la fruizione dei mezzi di comunicazione.
La pubblicità in tv ha fatto registrare negli ultimi anni (i dati
disponibili vanno dal 2003 al 2007) 123 una crescita esponenziale degli
investimenti, da 620 milioni a 5,20 miliardi di euro. Dal punto di vista del
messaggio dello spot (diverso è il caso degli annunci a stampa, molto più
allineati con la struttura occidentale), si riscontra una fruizione affascinata
ed entusiastica che in Occidente risulterebbe superata ed immatura. Di
fronte ad uno spot veicolato in Cina si può assistere spesso ad
un’esagerazione rispetto alla promessa e ai benefit di un prodotto, con
cambiamenti miracolosi che, agli occhi del consumatore occidentale
abituato da tutta la vita a doversi difendere dal ‘bombardamento’
pubblicitario, appaiono ridicoli: shampoo che mostrano allungamenti
istantanei dei capelli, pelli che si sbiancano e ringiovaniscono
immediatamente in una rappresentazione narrativa quasi comica e
grottesca, bevande che dopo esser state bevute trasformano
miracolosamente il seno di una donna (Pietrasanta 2009:164). La forza
della comunicazione commerciale in Cina è molto grande, e solo il fatto di
esser presenti in certi circuiti assicura credibilità al prodotto.
Esaminando la ripartizione della spesa pubblicitaria sul mezzo
televisivo per i settori merceologici, sono i cosmetici a realizzare il più alto
volume di investimento pubblicitario, seguiti da medicinali, generi
alimentari, settore commercio e servizi, bevande, ecc.124
Sia a livello nazionale che a livello locale è inoltre molto utilizzata la 123 Cfr. Lupano 2010:25. 124 Ivi, p.27.
98
radio; i quotidiani sono altrettanto innumerevoli e, ancora, solo il settore
abbigliamento/lusso trova nella carta stampata dei magazine italiani rivolti
principalmente ad un pubblico femminile e tradotti in lingua cinese un
opportuno mezzo di comunicazione.
A livello giornalistico, una funzione di raccordo equiparabile a quelle
delle istituzioni e organizzazioni citate nel precedente paragrafo viene
svolta dalla redazione AgiChina24; presente a Roma e Pechino e on line
con un portale dedicato, rappresenta un collegamento informativo e
autorevole fra la Cina e l’Italia su temi che spaziano dall’economia, alla
politica, mercato, costume e società.
L’affissione è ancora poco organizzata a livello di impianti e
diffusione; quella dinamica, cioè quella sui mezzi di trasporto e sulle aree
ad essi collegate è in uno stato iniziale, anche se in rapido sviluppo
(Pietrasanta 2009:166); ciò non significa che un tale mezzo di
comunicazione non possa già esser preso in considerazione dalle aziende
italiane che, anzi, potrebbero sfruttare la capillarità dell’affisione statica e
dinamica per comunicare il prodotto distribuito dapprima in aree ristrette.
È invece, come detto nel paragrafo 2.2.1, già molto considerevole la
presenza degli internauti cinesi nel web: da qui l’esigenza per le aziende
che intendono affacciarsi al mercato cinese di essere raggiungibili on line e
dotarsi di un sito web in lingua.
Per concludere questo capitolo, si è ritenuto importante riportare
alcune concrete iniziative ed esperienze di promozione del Made in Italy in
Cina, non tanto come casi da analizzare criticamente ma come esempi di
attività virtuose. A livello pubblico, la Rai ha instaurato dei rapporti molto
interessanti e culturalmente proficui con alcuni media cinesi: grazie
all’attività di RaiTrade e di alcuni agenti in loco, Rai è riuscita a vendere i
diritti di diverse fiction italiane a Shanghai Television, come ad esempio
Incantesimo, Cefalonia e L’uomo che sognava le aquile (la serie Nonno
Libero è stata rifiutata in quanto propone il tema della famiglia allargata
99
che contrasta con la campagna demografica sul controllo delle nascite).
Intensa è anche la collaborazione fra Rai e Cctv: l’emittente cinese ha
acquistato programmi italiani, come lo speciale in sei puntate sulla Sicilia
del programma Lineablu (la Sicilia, dai risultati emersi dal sondaggio
inedito organizzato per questa tesi, è una delle regioni italiane più
conosciute in Cina). Altrettanto interessanti sono delle co-produzioni sino-
italiane fra cui una serie televisiva, Love in Sicilia, realizzata per Cctv-8 e
altri cartoon dedicati ai bambini che si ispirano alla vita di Marco Polo. Fra i
due operatori pubblici è stato inoltre siglato nel 2006 un accordo di
scambio che prevede la messa in onda del canale Cctv-9 sul Multiplex B
del Digitale Terrestre Rai in cambio di 3 ore e mezzo alla settimana di
programmi Rai (doppiati o sottotitolati in cinese) trasmessi in onda sui
principali canali della Cctv. Un secondo accordo, con la partecipazione del
MAE, è stato raggiunto nel 2009 fra Rai e Cctv per la creazione di una
società mista per la realizzazione di 16 canali regionali in lingua cinese in
Europa e la promozione del Made in Italy in Cina e della produzione
audiovisiva italiana (Lupano 2010:51).
Un altro esempio è dato da una testimonianza di Vittorio Renzi,
direttore generale della Scavolini: 125 Scavolini, dalle parole di Renzi,
intercetta la domanda collegata a un mercato immobiliare in forte
espansione di una nuova classe di ricchi affascinati dal Made in Italy,
investendo importanti risorse a sostegno dell’immagine aziendale per
consolidare la posizione del brand che rappresenta di fatto il massimo
riferimento per quanto riguarda l’approccio alla cucina. Gli investimenti,
continua il Direttore, sono stati allocati sia su testate importanti sia su
testate più mirate, destinate allo sviluppo di alcune relazioni
particolarmente utili nell’ambito dell’interior design. Il problema più grande
riscontrato nella gestione della campagna pubblicitaria è stato quello di
calcolare il costo/contatto, a causa dell’assenza di enti in grado di
125 Cfr. Pietroni-Oppedisano-Perini 2008:81.
100
quantificare le copie distribuite (è un problema che riguarda tanti paesi
non particolarmente evoluti nell’ambito della trasparenza pubblicitaria).
Per rafforzare la comunicazione di Scavolini in loco, è stata incrementata
la disponibilità di materiale promozionale in lingua cinese e sviluppata la
nuova versione in cinese del sito web aziendale. Grande è anche
l’attenzione alla distribuzione: sono stati aperti negozi estremamente
sofisticati, con superfici molto importanti, arredati con grande cura (sono
negozi esclusivi che servono sì a vendere ma, aggiunge Renzi, anche a
comunicare l’italianità e la riconoscibilità del brand nell’ambito della
cucina). I clienti principali di Scavolini in Cina non sono tuttavia i
consumatori finali, bensì i costruttori che vendono appartamenti già
arredati con arredi italiani e che desiderano comunicare un certo tipo di
status.
Un’altra testimonianza proviene da Barbara Pietrasanta (Pietrasanta
2009:188), consulente per un gruppo di imprenditori cinesi ed italiani che
nel 2006 stava valutando e organizzando la creazione di una piattaforma
commerciale a Dalian, città che conta 6,5 milioni di abitanti in una
provincia che ne conta circa 50, zona turistica e di mare di alto pregio.
L’idea è stata quella di proporre, tramite il sostegno della Provincia di
Milano, l’Assessorato al Lavoro del comune milanese e delle Autorità cinesi,
un accordo tra Italia (Milano) e Cina (Dalian) per veicolare verso il mercato
cinese le eccellenze del settore lusso-abbigliamento italiane, supportando
la CIGF (la China International Garment & Textile Fair, la Settimana della
Moda e textile più vecchia in Cina con sede appunto a Dalian) con la
partecipazione di importanti e prestigiosi marchi della moda italiani. La
municipalità di Dalian pretende la partecipazione delle aziende italiane per
garantire lustro e visibilità alla fiera in Asia e nel mondo; d’altro canto,
all’interno della fiera nasce una piattaforma commerciale tutta italiana, che
non promuove soltanto la moda ma anche altre eccellenze, a partire da
design, food and beverage, arte e turismo.
101
6. Sondaggio sulla percezione del Made in Italy in Cina e considerazioni finali 6.1 Sondaggio
La percezione della country image italiana in Cina e le dinamiche
promozionali attuali e potenziali costituiscono degli elementi imprescindibili
nell’elaborazione di strategie di marketing per le aziende italiane che
vogliano interfacciarsi con il mercato cinese. Al fine di giungere a delle
considerazioni finali, si è ritenuto importante, per questa tesi, svolgere un
ulteriore indagine su un campione cinese per indagare ulteriormente qual
è la considerazione di essi circa l’Italia e le produzioni Made in Italy.
L’intento è stato quello di confermare alcuni punti fermi emersi dai
sondaggi citati nel capitolo 4 e integrare gli stessi sollecitando i rispondenti
cinesi su temi particolari che erano sfuggiti all’analisi degli altri ricercatori.
In particolare, un obiettivo del nuovo questionario sottoposto al campione
cinese è quello di far emergere elementi tipici dell’italianità che possano
rappresentare il lifestyle italiano e che possano veicolare al meglio i
prodotti italiani nel Paese asiatico. Inoltre, un altro scopo è quello di capire
qual è la considerazione che i cinesi hanno del cibo italiano, quali sono le
tipicità che riconoscono e quali sono state le loro esperienze di consumo in
Cina. Il settore alimentazione è stato particolarmente preferito agli altri
settori caratteristici del Made in Italy in quanto relativamente poco
indagato dagli altri sondaggi; inoltre, nel sollecitare i rispondenti su
domande riguardanti il cibo, l’esigenza è stata anche quella di capire come
mai la cucina italiana riscuote in Cina un buon successo a livello di
immagine (capitolo 4) ma non riesce ancora ad imporsi come vera e
propria esperienza di consumo (paragrafo 2.3).
Ancora, in un’ottica di promozione di immagine distrettuale e/o
territoriale, si è voluto capire qual è il grado di conoscenza delle città e
delle regioni italiane; questo poiché, affiancare il nome di una città, luogo
specifico o regione ad un prodotto potrebbe portare dei benefici al bene
102
(si pensi alla forza che Milano, come nome e città, esercita nel settore
moda) qualora il territorio sia noto e magari riconoscibile per determinate
particolarità. Altri temi toccati dal questionario proposto sono stati la
reperibilità dei prodotti italiani (dato che, avendo a disposizione le
caratteristiche socio-demografiche dei rispondenti è stato messo in
relazione con variabili determinanti, quali ad esempio la grandezza delle
città di appartenenza), il fenomeno della contraffazione, l’effetto della
delocalizzazione produttiva sulla percezione del prodotto e la
considerazione più o meno marcata del consumatore cinese verso la
tradizione e gli anni di attività di un’impresa (a fronte di aziende
occidentali che vantano anche più di un secolo di storia, l’imprenditoria
cinese è molto giovane e può avere alle spalle una ventina di anni al
massimo). Infine, è stato chiesto di qualificare l’Italia sotto il profilo
produttivo con dei voti a degli attributi significativi dei prodotti.
I limiti di questa ulteriore ricerca riguardano la rappresentatività del
campione intervistato: il questionario è stato trasmesso via e-mail a dei
cittadini cinesi tramite una rete di conoscenze dell’autore che ruotano, per
interesse ed esperienze, attorno all’Università per Stranieri di Perugia.
Tuttavia, le persone intervistate sono contatti che risiedono
esclusivamente in Cina e possono esser stati condizionati soltanto in
maniera marginale da tale rete di conoscenze; inoltre, le domande sono
state formulate in modo tale da minimizzare l’eventuale influenza
trasmessa dal contatto della rete di conoscenze dell’autore. Si crede che,
pur non essendo un campione rappresentativo (come del resto non lo
sono nemmeno quelli delle indagini citate nel capitolo 4), i rispondenti non
siano stati particolarmente condizionati dall’esperienza avuta dai contatti a
monte della rete (coloro cioè che hanno avuto un’esperienza di studio
presso l’Università perugina e che hanno provveduto a inoltrare verso
propri contatti il questionario predisposto dall’autore della tesi): solo in un
caso su 70, infatti, è stata citata Perugia fra le città conosciute dal
rispondente, così come in un solo caso su 70 è stata indicata l’Umbria fra
103
le regioni italiane conosciute. Un’altra limitazione che è doveroso
menzionare riguarda il fatto che non c’è stato diretto controllo dei
rispondenti durante la compilazione del questionario: in questo caso però
ci si appella alla buona fede di chi ha partecipato, visto che era stato
chiesto loro di rispondere con sincerità e basandosi esclusivamente sulle
proprie conoscenze.
Il questionario prevede 9 domande a risposta chiusa (1 delle quali
con la possibilità di scegliere più di una preferenza), due domande a
risposta aperta (è stato chiesto di menzionare nomi di determinate
categorie relative all’Italia conosciuti) e l’attribuzione di un voto da 1 a 10
per ogni caratteristica (pre-codificata) delle produzioni italiane.
Una volta compilato, è stato chiesto di re-inviare il questionario via
mail per l’elaborazione. Il campione si compone di 70 soggetti, 42,9%
maschi e 57,1% femmine; l’età è compresa per il 58,6% nella fascia fra i
25-30 anni, per il 32,9% fra i 17-24, 7,1% fra i 31 e i 45 anni e solo
l’1,4% del campione ha più di 45 anni. Il livello di istruzione dei
rispondenti è alto: il 95,7% dichiara di svolgere o aver compiuto studi a
livello universitario; il campione è geograficamente molto diversificato (i
70 soggetti del campione risiedono in 23 diverse città cinesi che si
posizionano lungo l’intera direttrice nord-sud della parte est del paese) e
la provenzienza, come variabile, verrà incrociata in seguito con alcune
risposte per verificare eventuali influenze; dal punto di vista occupazionale,
il 54,2% del campione dichiara di lavorare, il 18,6% è studente, il 2,9%
discoccupato e il 24,3% del totale non indica.
Di seguito è riportata una copia del questionario tradotto in italiano.
Questionario
Per favore, risponda alle domande basandosi solo sulle Sue conoscenze. Digiti una X accanto alle risposte desiderate o scriva le parole quando richiesto. Una volta terminato, salvi il file. Grazie. INFORMAZIONI PERSONALI
104
a) Sesso a-1) Maschio [ ] a-2) Femmina [ ] b) Fascia di età b-1) 17-24 [ ] b-2) 25-30 [ ] b-3) 31-45 [ ] b-4) 46-70 [ ] c) Professione …… d) Istruzione d-1) Media inf. [ ] d-2) Media sup. [ ] d-3) Laurea [ ] e) Città …… INIZIO QUESTIONARIO f) Parlando di Italia, può scrivere cosa Le viene in mente per ogni categoria sotto riportata? f-1) Città …… …… ……
f-2) Regioni …… …… ……
f-3) Personaggi famosi …… …… ……
f-4) Eventi storici, manifestazioni …… …… ……
f-5) Brand …… …… ……
g) Durante la sua vita quotidiana, con quale frequenza Le capita di sentir parlare dell’Italia? g-1) Mai [ ] g-2) Raramente [ ] g-3) Frequentemente [ ] h) Se Le capita, a cosa si riferiscono le notizie di cui sente parlare? (da 1 a 6 risposte) h-1) Cronaca [ ] h-2) Politica [ ] h-3) Economia [ ] h-4) Prodotti e industria [ ] h-5) Sport [ ] h-6) Cultura [ ] i) Crede che i prodotti italiani siano reperibili nella Sua città? i-1) Per niente [ ] i-2) Poco [ ] i-3) Abbastanza [ ] i-4) Molto [ ] l) Considera un prodotto di un brand italiano fabbricato in Cina, più italiano o più cinese? l-1) Più italiano, perché il progetto e il design nascono in Italia [ ] l-2) Più cinese, perché di fatto viene realizzato in Cina [ ] l-3) Un po’ italiano, un po’ cinese [ ]
105
m) Ha difficoltà a riconoscere un prodotto originale italiano da un finto prodotto italiano? m-1) Spesso ho difficoltà [ ] m-2) A volte ho difficoltà [ ] m-3) Non ho mai difficoltà [ ] n) Se avesse disponibilità economica, sarebbe disposto a pagare un prezzo molto più alto pur di avere un prodotto originale e garantito piuttosto che un falso? n-1) No, non mi interessa se è falso [ ] n-2) No, meglio spendere poco [ ] n-3) Sì, però solo per qualche prodotto [ ] n-4) Sì, sempre [ ] o) Reputa la cucina italiana parte della cucina occidentale in genere, o le attribuisce delle caratteristiche distintive? o-1) Cucina occidentale [ ] o-2) Cucina distintiva [ ] p) Saprebbe nominare alcuni prodotti tipici dell’alimentazione italiana? ...... …… …… …… q) Ha mai mangiato in un autentico ristorante italiano in Cina? q-1) No, la cucina italiana non mi attrae [ ] q-2) No, la cucina italiana è troppo costosa [ ] q-3) No, non ci sono autentici ristoranti italiani nella mia città, ma vorrei provare [ ] q-4) Sì, ma non mi è piaciuto [ ] q-5) Sì, mi è piaciuto [ ] q-6) Ho mangiato in un ristorante con cucina italiana, ma non credo fosse autentico [ ] r) Secondo Lei, un’azienda che vanta decenni di attività alle spalle è migliore di una appena nata? r-1) No, per molti prodotti non è un particolare importante [ ] r-2) Sì, per prodotti tecnologici e alimentari l’esperienza conta [ ] r-3) Sì, è sempre preferibile [ ] s) Valuti con una scelta fra 1 a 10 (1= assolutamente non rilevante; 10= molto rilevante) questi attributi delle produzioni italiane s-1) Innovatività ……
s-2) Design ……
s-3) Qualità artigianale ……
s-4) Affidabilità/durata ……
s-5) Contenuto tecnologico ……
s-6) Economicità ……
Con la prima parte del questionario (f), si è cercato di provocare un
richiamo spontaneo di nomi italiani nella mente dei rispondenti: per ogni
categoria è importante la percentuale dei non rispondenti, cioè di coloro
che non hanno saputo menzionare alcun nome e che dunque ignorano del
106
tutto luoghi, protagonisti, eventi e/o brand italiani. Nel riportare i risultati,
sono state citate soltanto le principali e più significative risposte. Lo scopo
di questa prima parte è stata quella di capire quanto e cosa i cinesi
conoscono dell’Italia per ogni categoria considerata: ciò è potenzialmente
utile nella valorizzazione di un prodotto che si serva di un elemento tipico
dell’italianità per richiamare ed esaltare la propria origine.
Questionario, domanda-f
Parlando di Italia, può scrivere cosa Le viene in mente per ogni categoria sotto
riportata?
Non risp Indicazioni espresse in percentuale sul totale dei rispondenti
CITTÀ 7,1% Roma 83,1%
Milano 72,3%
Firenze 43,1%
Venezia 41,5%
Torino 20%
REGIONI 60% Sicilia 46,4%
Lazio 46,4%
Lombardia 39,3%
Toscana 35,7%
Emilia-Romagna 17,9%
PERSONAGGI FAMOSI 20%
L. da Vinci 55,4%
Calciatori 41,1%
S. Berlusconi 30,4%
Dante 25%
L. Pavarotti 19,6%
EVENTI STORICI, MANIFESTAZIONI
25,7% Rinascimento
63,5% Eventi calcistici
40,4%
Settimana della Moda milanese
15,4%
Opera 13,5%
Impero romano 13,5%
BRAND 15,7% Lusso 72,9%
Automobili 52,5%
Abbigliamento 27,1%
Alimentazione 6,8%
L’analisi dei risultati mostra che, per quanto riguarda le città italiane,
soltanto il 7,1% del totale non sa nominarne alcuna. Le città più indicate
da chi risponde sono Roma e Milano, che vantano una distanza
percentuale considerevole da Firenze e Venezia; più staccata Torino,
mentre altre città sono menzionate soltanto da una percentuale del
campione irrilevante. In un’ottica di promozione territoriale in cui le città
possano sostituire l’entità nazionale comunicando tratti d’italianità
caratteristici, è bene dunque tenere presente che solo 2 città italiane
(Roma e Milano appunto) danno garanzia di riconoscibilità in alte
percentuali. Venezia e Firenze sono senz’altro luoghi tipici a cui, nel caso
della città toscana, viene accostato un periodo storico che, come si vedrà,
è per i cinesi uno dei momenti storico-culturali italiani (e non solo) più
prestigiosi: il Rinascimento.
107
Le conoscenze dei cinesi calano drasticamente quando sono
chiamati a menzionare le regioni italiane: il 60% del campione non
risponde; Sicilia, Lazio, Lombardia e Toscana sono fra le più conosciute,
probabilmente grazie alla loro fama di mete turistiche (la quinta regione
menzionata in ordine di peso percentuale è l’Emilia Romagna con il 17,9%)
e grazie alla presenza al loro interno di eventi, dinamiche, luoghi e
produzioni contingenti. Dall’emersione di questi dati, sembrerebbe
ragionevole ritenere che una comunicazione promozionale per i beni di
consumo che voglia far leva sulla valenza territoriale debba tenere in
maggior considerazione (per la Cina) la sola dimensione nazionale italiana,
tralasciando le peculiarità regionali e, casomai, puntando solo su alcune
città caratteristiche che possano identificarsi col prodotto commercializzato.
Tra i personaggi famosi rappresentativi dell’identità nazionale
italiana spicca con il 55,4% delle indicazioni Leonardo da Vinci, l’eclettico e
geniale esponente del Rinascimento; quest’ultimo periodo storico pervade
la percezione dei cinesi riferita all’Italia, tanto che altri due artisti
dell’epoca (Michelangelo e Raffaello) così come un uomo di scienza
(Galileo) sono citati in maniera spontanea rispettivamente dal 14,3%, il
10% e l’8,6% del totale dei rispondenti. Il Rinascimento è, come detto, il
periodo storico più menzionato nella categoria ‘eventi storici,
manifestazioni’: ciò dimostra il prestigio e la considerazione dell’arte
rinascimentale italiana, anche in Cina oggetto di particolare ammirazione.
L’Italia, agli occhi dei cinesi, non è ovviamente però solo arte e
cultura: il 41,1% di chi menziona almeno un nome nella categoria
‘personaggi famosi’ nomina un calciatore (dato curioso, Roberto Baggio è
tuttora il calciatore italiano più famoso in Cina); lo sport, e il calcio in
particolare, è un elemento identificativo importante e sembra essere
l’evento italiano attuale più seguito ed ammirato dai cinesi: le vicende
calcistiche delle squadre di calcio e della Nazionale italiana (vittorie dei
Mondiali di calcio, Serie A, derby) sono citate dal 40,4% dei rispondenti,
una percentuale consistente che, a livello di ‘evento’, distanzia fortemente
108
la Settimana della moda milanese (15,4%) e l’opera (13,5%). Del resto,
come si dirà di seguito, lo sport è l’argomento principale a cui si riferiscono
le notizie che i cinesi dichiarano di ricevere in Cina riguardo l’Italia.
Anche l’opera dunque, come manifestazione moderna, è un discreto
elemento identificativo dell’italianità, capace di precedere in termini di
notorietà ed evocazione spontanea eventi quali le Guerre mondiali (11,5%)
ed eguagliare l’emblema della Civiltà latina, l’Impero romano (13,5%).
Conferma ne è la celebrità di Luciano Pavarotti, il tenore italiano maggior
interprete di questo genere teatrale e musicale nominato dal 19,6% dei
rispondenti per la categoria ‘personaggi famosi’.
È spinto dalle vicende della scena politica italiana e da altri fatti di
cronaca ed attualità, anche in Cina, il nome di Silvio Berlusconi, secondo
personaggio italiano in assoluto più conosciuto dal campione cinese (nella
tabella riepilogativa -parte f- si trova al terzo posto poiché la voce
‘calciatori’ è un aggregato composto da più nomi), le cui peripezie
giudiziarie sono finite nella misura del 4,3% anche nella categoria ‘eventi
storici, manifestazioni’.
Intramontabile invece, con il 25% delle indicazioni, il poeta
fiorentino Dante Alighieri.
La moda, altra grande icona italiana in Cina, oltre ad essere esaltata
dalle sfilate milanesi, trova un riscontro alla sua notorietà nei brand
nominati dal campione cinese: il 72,9% dei marchi italiani citati
appartengono ad aziende del settore lusso e, fra questi, le griffe più
famose sono Gucci (74,4% di indicazioni da parte di chi nomina un brand
del settore lusso), Prada (55,8%), Armani (39,5%, che ha una grande
storia in Cina ma che gode evidentemente di meno appeal da parte del
giovane campione cinese), D&G (27,9%) e Versace (18,6%). È questo il
gotha del lusso italiano che ha aperto la strada e veicola in Cina il settore
moda Made in Italy.
I brand più nominati appartengono anche al settore auto (52,5% del
totale) fra cui si distingue in primis il marchio Ferrari; buone percentuali
109
anche per Fiat e Lamborghini. Il settore abbigliamento (non di lusso)
annovera il 27,1% dei brand menzionati dal campione cinese (ottima
notorietà per il marchio KAPPA), mentre i marchi dell’agroalimentare sono
scarsamente conosciuti (6,8% del totale).
Dalla domanda -g- il questionario assume una struttura chiusa: le
domande sono cioè a risposta pre-codificata e, salvo la domanda -h-,
prevedono una sola scelta possibile.
Questionario, domanda-g
Durante la Sua vita quotidiana, con quale frequenza Le capita di sentir parlare
dell’Italia?
2,8%
78,6%
18,6%
Mai Raramente Frequentemente
Questionario, domanda-h
Se Le capita, a cosa si riferiscono le notizie di cui sente parlare? (da 1 a 6 risposte)
17,9%
23,9%
37,3%
40,3%70,1%
58,2%
Cronaca Politica Economia Prodotti e industria Sport Cultura
A quanto pare, si sente parlare raramente dell’Italia in Cina e,
quando accade, le informazioni percepite dai cinesi riguardano
110
prevalentemente lo sport; altre due voci significative scelte dal campione
cinese sono cultura e produzioni industriali: anche in questo caso, il mix di
conoscenze dei cinesi è costituito da una base culturale acquisita con
molta probabilità durante gli studi (il campione consta quasi interamente
di soggetti con un alto titolo di studio), dai successi e dal fascino
esercitato dallo sport e dai prestigiosi brand italiani.
Con la domanda -i- si è inteso affrontare il tema della reperibilità dei
prodotti italiani in Cina; in realtà questa è la domanda che più risente della
non rappresentatività del campione: le città di provenienza dei rispondenti
sono infatti quasi tutte relativamente medio-grandi (oltre i 5 milioni di
abitanti). Dovrebbero essere queste le città dove la distribuzione del Made
in Italy è già parzialmente avviata, tuttavia, dati alla mano, la reperibilità
dei prodotti italiani dichiarata dal campione cinese è, per più della metà
dei rispondenti, bassa. Effettivamente, incrociando le risposte con la
variabile della provenienza geografica, si nota che il 79% circa di chi
reputa abbastanza e molto reperibili i prodotti italiani risiede in città con
più di 8 milioni di abitanti.
Questionario, domanda-i
Crede che i prodotti italiani siano reperibili nella Sua città?
4,3%
55,7%
28,6%
11,4%
0,0%
20,0%
40,0%
60,0%
80,0%
100,0%
Per niente Poco Abbastanza Molto
Le interpretazioni delle risposte alla domanda -i- possono essere
molteplici, così come le conseguenti considerazioni; ciò che pare evidente
è che la distribuzione sarà nei prossimi anni un aspetto da non
111
sottovalutare per il soddisfacimento dei crescenti bisogni degli abitanti
delle grandi aree urbane dell’Est del Paese (paragrafo 2.3).
Per l’elaborazione di efficienti strategie internazionali, tra cui la
configurazione delle attività che compongono la catena del valore
dell’impresa e le modalità di ingresso nel mercato, molto interessanti e
significative sono le risposte alla domanda -l-, di seguito riportata:
Questionario, domanda-l
Considera un prodotto di un brand italiano fabbricato in Cina, più italiano o più
cinese?
24,2%
50,0%
25,8% Più italiano, perché il
progetto e il design nascono
in Italia
Più cinese, perché di fatto
viene prodotto in Cina
Un po' italiano, un po' cinese
Il prodotto fabbricato in Cina viene percepito a tutti gli effetti cinese
dal 50% del campione: è questa una percentuale sorprendentemente alta
che rischia di inficiare, specialmente nelle produzioni manufatturiere dei
settori tradizionali, l’ottima reputazione detenuta dai produttori italiani
qualora questi ultimi delocalizzassero le proprie produzioni all’estero. Ad
esempio, il prodotto di lusso italiano (il capo di abbigliamento soprattutto)
prodotto in Cina perderebbe gravemente quelli che sono i tratti
caratteristici della propria essenza, percepita e molto apprezzata oltretutto
dallo stesso consumatore cinese: stile, tradizione e competenza artigianale,
originalità ed esclusività. Questo aspetto deve dunque esser tenuto in
considerazione da qualsiasi azienda che intenda trasferire al proprio
prodotto una netta identità nazionale e che voglia altresì trasferire la
produzione al di là dei confini domestici: minori costi di produzione
potrebbero comportare minore valore percepito dal cliente.
112
Si è cercato poi di capire qual è l’approccio dei cinesi alla
contraffazione. È stato detto precedentemente (paragrafo 3.2.2) che la
Cina è uno dei punti nevralgici a livello mondiale di produzione di prodotti
contraffatti; si è detto poi che l’uso del brand da parte del consumatore
cinese è spesso funzionale alla ricerca di gratificazione sociale e che
dunque, più che la bontà del prodotto, è importante il simbolo da esibire,
vero o falso che sia. Queste sono senza dubbio generalizzazioni dalle quali
però sarebbe azzardato trarre delle indicazioni per l’elaborazione di precise
strategie aziendali: ciò che appare oggettivo e incontrovertibile è semmai
la difficoltà che i cinesi hanno nel riconoscere un prodotto originale dalla
copia contraffatta.
Questionario, domanda-m
Ha difficoltà a riconoscere un prodotto originale italiano da un finto prodotto
italiano?
30,4%59,5%
10,1%
Spesso ho difficoltà A volte ho difficoltà Non ho mai difficoltà
Il 90% circa del campione dichiara di aver difficoltà (spesso o a volte)
nel riconoscere un prodotto originale. Manca senz’altro l’abitudine e
l’esperienza in un mercato che si è aperto recentemente all’estero e che
ingloba un turbinio di marche e modelli che vengono proposti ad un
consumatore non ancora sensibile al dettaglio e non del tutto accorto
verso la scelta dei luoghi d’acquisto. Il consumatore cinese ha imparato a
basarsi sul prezzo (più è alto, più è garanzia di autenticità) e
113
sull’esclusività del punto vendita. Questi fattori tuttavia potrebbero non
bastare, specialmente in ottica futura, quando non tutte le aziende
potranno permettersi di commercializzare i propri prodotti in negozi
monomarca o in grandi e prestigiosi centri commerciali. Al di là della
contraffazione, ci sono anche tante aziende estere che si appropriano di
alcuni elementi che richiamano l’Italia (ad esempio un brand name che
suona italiano pur con evidenti dissonanze fonetiche che sarebbero
riconoscibili immediatamente da un italiano) e propongono prodotti
sfruttando appunto il country of origin effect esercitato dall’Italia. È per
questo che, oltre che sul piano normativo, le aziende e il Sistema Paese
italiano devono necessariamente farsi conoscere e comunicare
incessantemente la propria identità, magari (a livello di Sistema)
adottando un’unica e coerente country image per l’estero. Un’altra
soluzione, forse la più importante, resta la qualità.
Questionario, domanda-n
Se avesse disponibilità economica, sarebbe disposto a pagare un prezzo molto più
alto pur di avere un prodotto originale e garantito piuttosto che un falso?
5,8% 5,8%
65,2%
23,2%
0,0%
10,0%
20,0%
30,0%
40,0%
50,0%
60,0%
70,0%
80,0%
90,0%
100,0%
No, non mi interessa se
è falso
No, meglio spendere
poco
Sì, però solo per
qualche prodotto
Sì, sempre
Parlando di qualità infatti, si rovescia la medaglia e si affronta l’altra
faccia della contraffazione, cioè la scelta (questa volta consapevole) del
consumatore che si trova a dover decidere se compiere o meno un certo
sacrificio economico per un prodotto originale. La domanda-n sollecita i
114
rispondenti proprio su questo punto: i cinesi sembrano voler premiare
l’autenticità dei prodotti, anche a costo di un ingente sacrificio economico;
si tratta però prevalentemente di un sì con riserva, cioè una disponbilità a
certe condizioni (sì, però solo per qualche prodotto). La condizione
potrebbe essere appunto la qualità del prodotto, il suo possesso di
caratteristiche esclusive e il conferimento di prestigio al consumatore,
attributi per i quali il cinese è disposto a premiare il prodotto estero e a
spendere un prezzo alto.
Il questionario ha poi affrontato specificamente il settore
agroalimentare italiano. Innanzitutto, è stato chiesto al campione se la
cucina italiana è considerata distintiva o parte della cucina occidentale in
genere (domanda-o); ovviamente una percezione di carattere distintivo
permetterebbe di sfruttare strategie di differenziazione che
determinerebbero un vantaggio considerevole sulla concorrenza. Il 47,8%
del campione reputa la cucina italiana distintiva, mentre il 52,2% la
considera parte della cucina occidentale in genere. Si intende valutare
queste percentuali come un risultato positivo, o quantomeno incoraggiante,
per il settore agroalimentare italiano, anche alla luce delle risposte alla
domanda-q che delineano un quadro altamente eterogeneo per quanto
riguarda le esperienze di consumo e le preferenze culinarie dei cinesi.
Questionario, domanda-p
Saprebbe nominare alcuni prodotti tipici dell’alimentazione italiana?
Non risp Numero di preferenze espresse in percentuale sul totale dei rispondenti
22,9% Pasta 94,4% Pizza 51,9% Risotto 14,8% Tiramisù 13% Carne 11,1% Caffè 7,4%
La pasta è il piatto tipico per eccellenza, il prodotto che forse più di
qualunque altro può sfruttare la valenza della propria origine geografica.
La pizza è considerata un prodotto tipico dal 51,9% dei rispondenti, un
ottimo risultato se si pensa che tante esperienze di consumo, per questo
prodotto, in Cina sono state offerte da multinazionali americane (paragrafo
115
2.2.2). A quanto pare, potrebbero essere questi due alimenti a fungere da
‘apripista’ per l’agroalimentare italiano in Cina e fare da ponte fra una
vasta e variegata offerta perlopiù sconosciuta ed un mercato altrettanto
vasto e ricettivo (anche il vino, con la sperimentazione di modelli di
consumo occidentali quali l’happy hour, potrebbe rappresentare un valido
veicolo dell’agroalimentare italiano. Il vino è stato menzionato da una
percentuale molto ridotta del campione, ma questa carenza è stata
probabilmente dovuta dalla natura della domanda).
Questionario, domanda-q
Ha mai mangiato in un autentico ristorante italiano in Cina?
15,7%
5,7% 7,1%
17,2%20,0%
34,3%
0,0%
10,0%
20,0%
30,0%
40,0%
No, la cucina
italiana non
mi attrae
No, la cucina
italiana è
troppo
costosa
Sì, ma non mi
è piaciuto
Sì, mi è
piaciuto
Ho mangiato
in un
ristorante
con cucina
italiana, ma
non credo
fosse
autentico
No, non ci
sono
autentici
ristoranti
italiani nella
mia città, ma
vorrei
provare
Con la domanda-q si è cercato di capire quali sono le possibilità di
successo per l’avvio di un’attività di ristorazione italiana in Cina, anch’essa
potenziale precorritrice di una conseguente esportazione dall’Italia verso la
Cina di prodotti del settore agroalimentare. Le interpretazioni delle
risposte sono molteplici: innanzitutto, le occasioni di consumo. Il 24,3%
del campione (sì, ma non mi è piaciuto + sì, mi è piaciuto) dichiara di aver
mangiato in un autentico ristorante italiano nel proprio paese; chi non lo
ha fatto, invece, dichiara di essersi recato in un presunto ristorante
italiano che ha propinato piatti non autentici (20%), di non aver avuto
116
occasione di mangiare italiano poiché nella propria città non sono presenti
ristoranti autentici (34,3%) e di non aver provato per mancanza di
interesse (15,7%) e mancanza di convenienza (5,7%). La seconda
interpretazione delle risposte riguarda appunto la stima del mercato
potenziale al netto dell’interesse che la cucina italiana suscita fra i
consumatori cinesi: una percentuale non irrilevante del campione, il 28,5%
(no, la cucina italiana non mi attrae + no, la cucina italiana è troppo
costosa + sì, ma non mi è piaciuto) non sembra costituire un gruppo di
potenziali clienti della cucina italiana. Il dato percentualmente più
importante segnala tuttavia la mancanza di autentici ristoranti italiani nelle
città cinesi: l’incrocio di queste risposte con la variabile geografica non ha
mostrato particolari discrepanze; è cioè percepita l’assenza dei ristoranti
italiani sia nelle città di residenza del campione più piccole sia in quelle più
grandi. Ci sono comunque buone ragioni per reputare efficienti
investimenti i futuri insediamenti di attività di ristorazione italiane in Cina:
a fronte di una fisiologica mancanza di interesse verso la cucina italiana,
l’impedimento attuale ad un consumo abituale pare essere la mancanza di
reperibilità dell’offerta, sfruttata in buona misura da sostituti locali non
autentici.
Alla luce delle risposte date alle 3 domande (o-p-q) inerenti il
comparto agroalimentare italiano, pare in ogni caso necessaria una
promozione specifica del settore che possa ‘educare’ il consumatore e
stimolare la sua curiosità prima che i ristoratori o gli stessi prodotti
facciano il loro ingresso sul mercato.
I cinesi si mostrano sensibili e bendisposti verso la tradizione e la
storia di un brand: il 74,3% (r-2 65,7%; r-3 8,6%) ritiene migliore
un’azienda che vanta decenni di attività alle spalle piuttosto che una
appena nata. In alcuni casi, come testimonianza di esperienza e successo,
potrebbe premiare comunicare il numero di anni trascorsi dall’inizio della
propria attività.
Il questionario si conclude con una votazione ad alcuni attributi in
117
grado di qualificare l’Italia sotto il profilo produttivo. Questo metodo è
usato nella letteratura di marketing per formulare un costrutto
multidimensionale che rappresenta, dal punto di vista produttivo appunto,
l’immagine paese.
Questionario, domanda-s
Valuti con una scelta fra 1 a 10 (1=assolutamente non rilevante; 10=molto
rilevante) questi attributi delle produzioni italiane
4,76
6,46
7,79
8,36
8,51
6,62
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Economicità
Contenuto tecnologico
Affidabilità/Durata
Qualità artigianale
Design
Innovatività
I cinesi premiano particolarmente, e questa è solo una conferma, il
design delle produzioni italiane. L’effetto paese positivo si ha inoltre con
quei prodotti che richiedono fasi di lavorazione artigianale, mentre per i
prodotti ad alto contenuto tecnologico non si registra una significativa
rilevanza produttiva. Così come nel sondaggio dell’Istituto ISPO,
l’affidabilità e la durata del prodotto italiano godono di una buona
considerazione. I prezzi dei prodotti italiani inoltre, per i cinesi, sono alti: si
è detto che questo aspetto tuttavia è tutt’altro che negativo.
6.2 Considerazioni conclusive
L’effetto paese esercitato dall’Italia in Cina è senz’altro positivo per i
prodotti dei settori tradizionali del Made in Italy. L’opportunità maggiore è
data proprio dalla necessità delle imprese italiane di puntare sulla qualità e
di riposizionare i propri prodotti in uno spazio percettivo di alto livello
qualitativo. A livello di domanda finale, i consumatori cinesi con un reddito
118
medio-alto sono disposti a premiare le produzioni che affiancano alla
componente tangibile un elevato valore immateriale. L’effetto paese
tuttavia svanisce o è comunque poco rilevante per i beni del settore
automazione, destinati alla domanda intermedia e, ad oggi, costituenti il
50% circa del totale delle esportazioni italiane in Cina. Per il successo
dell’export italiano in Cina, altri fattori sono dunque determinanti: fra quelli
afferenti le dinamiche interne all’impresa è decisiva una continua e attenta
innovazione, oltre ad una consapevole pianificazione di marketing e all’uso
sinergico ed efficace delle politiche di marketing mix. Circa i fattori
determinanti del mercato cinese sono rilevanti invece gli accordi
commerciali, il sostegno istituzionale e la conoscenza dei vincoli burocratici
che assicurino una presenza mirata e possibilmente stabile in Cina (anche
solo a livello di immagine).
L’effetto del paese d’origine, benché riesca a premiare alcune
produzioni tipiche italiane, non può dunque essere da solo un elemento di
successo per il Made in Italy; in Cina, la promozione ha il ruolo essenziale
di sostenere e valorizzare quanto già percepito positivamente e di
costruire nel tempo una solida reputazione nazionale che si pensa potrà
ripagare nei prossimi anni, quando il mercato cinese sarà con molta
probabilità il polo mondiale dei consumi. La promozione deve correre
lungo due coppie di binari, quello autonomo aziendale e quello comune
istituzionale, che a volte devono incrociarsi e fondersi in un unico percorso
verso la stessa meta.
Per la singola azienda, condividere gli obiettivi con un partner locale
potrebbe rappresentare il primo passo verso una presenza duratura in
Cina; a fianco poi del sostegno istituzionale dei due paesi è indispensabile
anche sviluppare un’immagine autonoma e una politica di comunicazione e
di prodotto che, se in sintonia con un effetto paese positivo, deve basarsi
su elementi che richiamano l’italianità e, in ogni caso, l’esclusività.
A livello di Sistema invece, l’esigenza è quella di definire una
strategia promozionale coerente e comune fra tutti gli enti locali che
119
operano in svariate forme sul territorio cinese, oltre naturalmente a fornire
la consulenza e il sostegno finanziario idoneo per le PMI esportatrici.
L’attività promozionale istituzionale deve anche poter contare su una
solida cooperazione politica fra i due paesi; nondimeno, gli scambi culturali
rappresentano un ulteriore veicolo promozionale e il turismo deve poter
rappresentare il primo punto di contatto fra il patrimonio storico-artistico
italiano (riconosciuto ed apprezzato in Cina) e l’offerta Made in Italy.
L’integrazione, la conoscenza della cultura e delle tradizioni italiane
aiutano oltretutto il consumatore cinese a riconoscere le specialità del
Made in Italy e a fargli compiere delle scelte consapevoli che premiano
l’autenticità dei prodotti.
A proposito della modalità di ingresso sul mercato, al di là di una
valutazione di carattere economico, per i beni di consumo è auspicabile
per quanto possibile il mantenimento delle produzioni in Italia, al fine di
sfruttare appieno i vantaggi derivanti dal country of origin effect. È invece
consigliata una presenza in loco sotto forma di società commerciale con
una quota partecipativa propria, ufficio di rappresentanza o rete di vendita,
al fine di presidiare e conoscere meglio il mercato, piuttosto che affidarsi a
terzi come intermediari. Un fattore critico di successo è la reperibilità dei
prodotti e, nel prossimo futuro, quando anche le città cinesi di medie
dimensioni costituiranno un potenziale sbocco redditizio, sarà essenziale
assicurare un’adeguata presenza dei prodotti sul mercato.
120
Appendice
Questionario in lingua cinese 请基于您的认知回答以下问题。请在你的选项旁边标记 X 或者在需要回答的问题下面写出答案。 个人信息 性别性别性别性别 男性 【】 女性 【】 年龄段年龄段年龄段年龄段 17~24 【】 25~30 【】 31~45 【】 46~70 【】 职业职业职业职业 …… 教育程度教育程度教育程度教育程度 中学 【】 高中 【】 大学 【】 城市城市城市城市 …… 开始问卷调查 谈到意大利谈到意大利谈到意大利谈到意大利,,,,您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物? 城市: …… …… …… 大区: …… …… …… 著名人物: …… …… …… 著名事件(历史,文化,体育,文艺): …… …… …… 品牌: …… …… …… 著名产品: …… …… …… 在日常生活中在日常生活中在日常生活中在日常生活中,,,,您听到人们谈论意大利的频率是您听到人们谈论意大利的频率是您听到人们谈论意大利的频率是您听到人们谈论意大利的频率是? 从不 【】 很少 【】 经常 【】 当您听到人们谈论意大利时当您听到人们谈论意大利时当您听到人们谈论意大利时当您听到人们谈论意大利时,,,,会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息?((((给出给出给出给出 1~~~~6个答案个答案个答案个答案)))) 时事 【】 政治 【】 经济 【】 工业和产品 【】 体育 【】 文化 【】 您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗? 没有任何意大利产品 【】 很少 【】 比较多 【】 很多 【】
121
您觉得在中国制造的意大您觉得在中国制造的意大您觉得在中国制造的意大您觉得在中国制造的意大利品牌的产品利品牌的产品利品牌的产品利品牌的产品,,,,更加算是意大利产品还是中国产品更加算是意大利产品还是中国产品更加算是意大利产品还是中国产品更加算是意大利产品还是中国产品? 更算是意大利产品,因为产品设计是在意大利完成 【】 更算是中国产品,因为在中国完成生产 【】 相比而言,更加算是意大利产品 【】 您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗???? 经常会遇到困难 【】 有时会遇到困难 【】 不会遇到困难 【】 如果经济条件允许如果经济条件允许如果经济条件允许如果经济条件允许,,,,您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品???? 不会,我不在乎是否是正品 【】 不会,花的钱越少越好 【】 是的,但是仅限于一些产品 【】 是的,一定会 【】 您觉得意大利菜属于您觉得意大利菜属于您觉得意大利菜属于您觉得意大利菜属于:::: 西方菜系的一种 【】 有特色的一个独立菜系 【】 您能说出一些意大利菜的名称吗您能说出一些意大利菜的名称吗您能说出一些意大利菜的名称吗您能说出一些意大利菜的名称吗???? …… …… …… …… 您在中国吃过正宗的意大利菜吗您在中国吃过正宗的意大利菜吗您在中国吃过正宗的意大利菜吗您在中国吃过正宗的意大利菜吗???? 没有,我不感兴趣 【】 没有,意大利菜太贵了 【】 没有,我的城市中没有正宗的意大利餐馆,但我想吃正宗的意大利菜 【】 有吃过,但我不喜欢 【】 有吃过,我很喜欢 【】 我在意大利餐馆吃过,但我不觉得那是正宗的意大利菜 【】 根据您的看法根据您的看法根据您的看法根据您的看法,,,,一家有很多年历史的意大利公司比一家刚一家有很多年历史的意大利公司比一家刚一家有很多年历史的意大利公司比一家刚一家有很多年历史的意大利公司比一家刚刚诞生的意大利公司更好吗刚诞生的意大利公司更好吗刚诞生的意大利公司更好吗刚诞生的意大利公司更好吗???? 不,对于很多产品来说这并不重要 【】 是的,对于一些科技产品和食品公司来说经验很重要 【】 是的,对于所有的产品都是这样 【】 请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分 1~~~~10分分分分((((1分是根本没有此类特点分是根本没有此类特点分是根本没有此类特点分是根本没有此类特点 10分此类特点很显著分此类特点很显著分此类特点很显著分此类特点很显著)))) 创新 …… 设计 …… 手工质量 …… 可靠和经久耐用性 …… 科技含量 …… 经济性 …… 调查结束。您可以将您的问卷发送到 [email protected] 谢谢谢谢谢谢谢谢
122
Riferimenti bibliografici
Libri
BICCHIELLI, Stefano
2010 Made for China. Come vendere prodotti e servizi italiani in Cina, Milano, Gruppo24ore
CATTANEO, Eleonora; GUERINI, Carolina; USLENGHI, Anna
2006 Effetto country of origin e mercati internazionali. Conta davvero l’origine geografica nella promozione internazionale dell’offerta italiana?, Milano, Egea
COLLOTTI PISCHEL, Enrica
1994 Storia dell’Asia Orientale, Roma, Carocci
GUERINI, Carolina
2004 Made in Italy e mercati internazionali. La valorizzazione del ‘made in’ nelle strategie di marketing delle imprese italiane, Milano, Egea
HILL, Charles W.L.
2008 International Business, Milano, Hoepli
LUPANO, Emma (a cura di)
2010 Media in Cina oggi. Testimonianze e orientamenti, Milano, Franco Angeli
PIETRASANTA, Barbara
2009 L’ideogramma al neon. Pubblicità, comunicazione e lifestyle in Cina, Milano, Lupetti
PIETRONI, Lucia; OPPEDISANO, Federico; PERINI, Pierfrancesco (a cura di)
2008 Cina e Made in Italy: le esperienze del sistema imprenditoriale marchigiano, Firenze, Alinea
123
PRATESI, Carlo Alberto
2001 Il marketing del Made in Italy. Nuovi scenari e competitività, Milano, Franco Angeli
RAMELLA, Flavio
2006 Comprendere la Cina. Suggerimenti pratici per avvicinarsi al mercato cinese, Milano, Edizioni Voices
VALDANI, Enrico; BERTOLI, Giuseppe
2007 Mercati internazionali e marketing, Milano, Egea
Articoli di riviste
Anonimo, “L’Italia sale al terzo posto tra i Paesi UE”, Diplomazia Economica Italiana, n.9 giugno 2011
BERTOLI giuseppe, “Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese”, Impresa Progetto – Rivista on line del DITEA, n.1 2008
MARINO Vittoria e MAINOLFI Giada, “Valutazione e analisi del processo di country branding. La percezione del capitale reputazionale dell’Italia nel mercato cinese”, Mercati e competitività, n.4 2010, Franco Angeli
ORLANDI Romeo, “La Cina per le aziende italiane: minacce ed opportunità”, Mondo cinese, n.118 gennaio-marzo 2004
Atti di convegni, Rapporti, Ricerche, Bollettini economici
AMBASCIATE, UFFICI ICE ESTERO, “Rapporti Paese congiunti”. 1° semestre 2010
ASSOCAMERESTERO, “Business Atlas. Guida agli affari in 50 mercati per il business italiano”. 2011 BERTOLI Giuseppe, BUSACCA Bruno, MOLTENI Luca, “Consumatore, marca ed ‘effetto made in’: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti”. Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale. Paper numero 47. Novembre 2005 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA IN CINA, “Bollettino economico Repubblica Popolare Cinese. Secondo semestre 2010”. 2011
124
EDISON, SYMBOLA (Fondazioni), “Italia. Geografie del nuovo Made in Italy”. 2009 FONDAZIONE ITALIA CINA, “La Cina nel 2010. Scenari e prospettive per le imprese”. 2010 GUIZZO Silvia, “Cina. Focus economia”. Intesa Sanpaolo Servizio Studi e Ricerche. 2010 ICE, “Fare affari in Cina. Guida alle normative cinesi sugli affari”. Marzo 2010 ICE, “Rapporto Ice 2010-2011. L’Italia nell’economia internazionale”. Supervisione e quadro d’insieme a cura di Roberto Pasca (Università la Sapienza di Roma); www.ice.gov.it ISPO (Istituto), “Le strade del Made in Italy: mercati, direzioni e proposte”. Ricerca dell’Istituto ISPO presentata in occasione del IX Forum Annuale del Comitato Leonardo. 2010 ISTAT, “8° Censimento generale dell’Industria e dei Servizi. Distretti industriali e sistemi locali del lavoro”. 2001 MARIANERA Manuela, “Cina: nuovi ricchi concentrati nelle aree urbane costiere”. Confindustria – Nota dal C.S.C., n.1. 2011 MASI Manlio (Fondazione), “La sfida della qualità. Il futuro delle aziende italiane sui mercati internazionali”. Rapporto predisposto dalla Fondazione Manlio Masi (con la collaborazione di Luiss Lab e dell’Ice) per il Comitato Leonardo. 2007 PIEPOLI (Istituto), “L’immagine dei prodotti italiani in Cina, Russia, Svezia e Stati Uniti”. Istituto Piepoli, ricerca commissionata dal Comitato Leonardo. 2004 S3 STUDIUM, “2010. Il volto dell’Italia. Come evolverà il valore intangibile del Made in Italy e della marca Italia”. Coordinamento scientifico di Domenico De Masi e Innocenzo Cipolletta. Ricerca S3 Studium presentata in occasione del VI Forum Annuale del Comitato Leonardo. Ottobre 2006
Siti web – Articoli e altro materiale
www.ice.gov.it L’interscambio Cina-Italia. Italian Trade Commission Shanghai Office www.ice.gov.it Programma Straordinario di promozione del Made in Italy www.agichina24.it Le opportunità per i prodotti italiani in Cina
125
www.firstonline.it Cina: non solo fabbrica, ma anche mercato www.osservatoriodistretti.org 2° Rapporto Osservatorio Nazionale Distretti Italiani www.investment.gov.cn Catalogue for the Guidance of Foreign Investment Industries www.mincomes.it / www.sviluppoeconomico.gov.it Bando di gara appalto campagna comunicazione Italia in Cina www.transparency.it Corruption Perception Index 2011