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Università degli Studi di Pisa Facoltà di Medicina e Chirurgia Scuola di specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo Tesi di Specializzazione Terapia insulinica con microinfusore nei soggetti adulti con diabete mellito tipo 1: l’esperienza pisana” Candidata Relatori Dott.ssa Isabella Crisci Chiar.mo Prof. Stefano Del Prato Dott. Michele Aragona Anno Accademico 2012/2013

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Università degli Studi di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Scuola di specializzazione in

Endocrinologia e Malattie del Metabolismo

Tesi di Specializzazione

“Terapia insulinica con microinfusore nei soggetti

adulti con diabete mellito tipo 1: l’esperienza pisana”

Candidata Relatori

Dott.ssa Isabella Crisci Chiar.mo Prof. Stefano Del Prato

Dott. Michele Aragona

Anno Accademico 2012/2013

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Ai miei genitori

A Guglielmo e...

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1

Indice

Riassunto

2

Introduzione

4

Epidemiologia del diabete tipo 1

6

Le complicanze croniche del diabete

Nefropatia diabetica

Retinopatia diabetica

Meccanismi fisiopatologici

8

11

12

13

Variabilità glicemica e prevenzione delle complicanze croniche

Variabilità glicemica e danno endoteliale

15

20

Terapia insulinica

22

Terapia infusionale continua sottocutanea di insulina (CSII)

CSII in gravidanza

Il futuro della tecnologia…

29

39

42

Terapia con microinfusore…la realtà in Italia

…la realtà in Toscana

46

50

Scopo dello studio

53

Pazienti e Metodi

54

Analisi statistica

58

Risultati

Attività del Servizio di Diabetologia dell’UO Mal. Metaboliche e

Diabetologia dell’AOUP

Ipoglicemie severe asintomatiche e SAP

Variabilità di HbA1c e rischio di complicanze micro-angiopatiche

59

62

68

70

Discussione

76

Bibliografia

83

Ringraziamenti

97

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2

Riassunto

La terapia insulinica sottocutanea con microinfusore (CSII), nei pazienti adulti affetti

da diabete mellito tipo 1 (DM1), risulta una valida opzione terapeutica in grado di

ridurre non solo l’HbA1c e il numero di ipoglicemie ma anche la variabilità

glicemica. Studi hanno dimostrano l’efficacia del compenso glicemico nella

prevenzione delle complicanze diabetiche. Inoltre, il ricorso alla terapia insulinica

con CSII è in progressivo aumento nel nostro paese e anche nella Regione Toscana.

Scopo di questo lavoro è stato quello di valutare lo stato attuale della terapia con

CSII in Toscana per quanto riguarda il grado di diffusione e, all’interno della nostra

coorte di soggetti affetti da diabete mellito tipo 1, i benefici metabolici di tale forma

di terapia, le ripercussioni sull’evoluzione delle complicanze d’organo e l’utilizzo in

alcune condizioni particolari (come ad esempio pazienti con ipoglicemie

asintomatiche a cui è stato applicato sistema integrato microinfusore-sensore, SAP).

In uno studio retrospettivo longitudinale, sono stati esaminati 208 pazienti (65

uomini e 162 donne), seguiti presso i nostri ambulatori dell’UO di Malattie

Metaboliche e Diabetologia dell’Ospedale di Cisanello (Pisa), con DM1 e in

trattamento con CSII da 6.5±5 aa (età media 36±16 aa; durata del diabete 24±21 aa).

Il 41% presentava retinopatia diabetica, il 19% neuropatia, il 17% nefropatia e il 6%

macroangiopatia.

I risultati di questo studio mostrano una larga diffusione della terapia con

microinfusore nella nostra Regione, con un numero di pazienti trattati che la mette in

linea con altre regioni italiane.

Nella coorte di pazienti seguiti presso il CRRDA, i dati raccolti mostrano che la

terapia con microinfusore è in grado di migliorare il controllo glicemico dei soggetti

che la intraprendono, con una riduzione media dei valori di HbA1c di 1.4 punti

percentuali (HbA1c media pre-CSII: 8.9±1.0% mentre l’HbA1c media con CSII è

7.5±1.4%, p<0.0000) e inoltre abbiamo registrato una riduzione della variabilità

glicemica (HbA1cDS prima del CSII 0.7 ±0.2% vs 0.4±0.1% con CSII). Abbiamo

registrato una minore incidenza di ipoglicemie sia lievi che moderate e severe già a 1

anno (p<0.0000), e tale significatività rimane per tutto il periodo di follow-up, inoltre

abbiamo una riduzione degli episodi di chetoacidosi.

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Non abbiamo, invece riscontrato differenze per quanto riguarda il peso corporeo

durante il trattamento con CSII rispetto al basale, mentre abbiamo registrato una

riduzione significativa del fabbisogno insulinico giornaliero (da 0.7±0,6UI/Kg a

0.6±0.23UI/Kg, p <0.0000).

Nei 13 soggetti in terapia con sistema integrato microinfusore-sensore (SAP)

abbiamo osservato che l’utilizzo di SAP per un tempo > a 80% ha comportato una

riduzione del numero di episodi di ipoglicemie severe asintomatiche ma anche delle

ipoglicemie lievi e moderate e del tempo trascorso in ipoglicemia.

Per quanto riguarda la valutazione dell’associazione della variabilità di HbA1c sulla

progressione della retinopatia e nefropatia diabetica, abbiamo osservato che per

quanto concerne la retinopatia i pazienti in cui si è registrato il peggioramento delle

lesioni retiniche presentavano valori medi di HbA1c basale e in corso di terapia con

CSII e di HbA1cDS più elevati rispetto ai pazienti che andavano incontro a

miglioramento o rimanevano stabili. La variabilità glicemica risulta poi l’unica

variabile indipendente di rischio di peggioramento di retinopatia. Tale osservazioni

non sono invece emersa nel rischio di peggioramento della nefropatia.

Sulla base dei nostri dati, possiamo affermare che la terapia insulinica con

microinfusore rimane una valida alternativa alla terapia MDI, quando questa non è in

grado di determinare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, in pazienti ben

selezionati. Oltre a presentare le indicazioni cliniche, i pazienti devono essere ben

motivati, devono seguire un accurato autocontrollo glicemico, siano ben educati alla

gestione del apparecchio e, possibilmente, seguano un programma di pianificazione

alimentare.

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4

Introduzione

Il diabete mellito tipo 1 è una patologia multifattoriale e poligenica caratterizzata

dalla distruzione specifica e selettiva delle ß-cellule pancreatiche su base

autoimmune con conseguente deficit assoluto di Insulina.

Pertanto, l’insulina è il farmaco salvavita dei soggetti affetti da DMT1 e la gestione

della malattia si basa sulla terapia insulinica intensiva e sull’acquisizione di uno stile

di vita sano che deve comprendere alimentazione corretta e attività fisica regolare.

La terapia insulinica è una “favola” moderna, che ha inizio negli anni Venti con

Banting e Frederick rappresentando una pietra miliare nella storia della medicina e

rivoluzionando il trattamento del diabete mellito.

Nonostante i limiti delle prime preparazioni commerciali (impure, non riproducevano

la fisiologia della secrezione biologica e troppo diluite), la durata media della vita dei

diabetici aumentò molto. Ben presto, comunque, divenne chiaro che l’insulina non

curava il diabete poichè i soggetti diabetici presentavano sempre complicanze,

sebbene con minore velocità di progressione. Elliot Joslin già allora predicava che la

normalizzazione della glicemia era indispensabile per eliminare le complicanze del

diabete e oggi il raggiungimento di obiettivi adeguati è ormai diventato uno standard

della cura della malattia.

Studi quali Diabetes Control and Complications Trial (DCTT) e United Kingdom

Prospective Diabetes Study (UKPDS) dimostrano l’efficacia del compenso glicemico

nella prevenzione delle complicanze micro- e macro-angiopatiche.

L’HbA1c rappresenta un metodo di misura standard del controllo glicemico medio,

ma numerosi dati della letteratura indicano che l’ottimizzazione del compenso

glicemico passa attraverso il controllo della glicemia circadiana e delle sue

oscillazioni. Il DCCT, infatti, afferma che “HbA1c non rappresenta l’espressione più

completa del grado del controllo glicemico”, difatti, altri parametri potrebbero

aggiungere informazioni o modificare il rischio di complicanze come l’entità delle

escursioni glicemiche. Infatti, negli ultimi anni è emersa l’ipotesi che l’instabilità

glicemica possa contribuire, forse più della HbA1c, allo sviluppo di complicanze del

diabete (1).

Pertanto, l’ottimizzazione del compenso glicemico auspicherebbe un approccio

terapeutico specifico, capace di controllare la glicemia in ogni momento della

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giornata piuttosto che un approccio capace di ottenere una buona media delle

glicemie ma con ampie oscillazioni circadiane.

La riduzione della variabilità glicemica è pertanto destinata a diventare uno dei

principali obiettivi di cura della malattia diabetica e la tecnologia con i suoi progressi

ci sta aiutando a raggiungere tali obiettivi.

Negli anni Settanta la terapia insulinica fece un grande passo avanti nella sua

evoluzione con l’avvento della terapia sottocutanea con microinfusore (CSII), nata

dal desiderio di creare un sistema di somministrazione insulinica che simulasse la

fisiologica secrezione del pancreas (2, 3) riducendo le escursioni glicemiche e

rendendo più stabile i profili glicemici circadiani.

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Epidemiologia del Diabete tipo 1

Il Diabete mellito tipo 1 è la malattia cronica più comune dell’infanzia, anche se

ormai è noto che tale malattia può essere diagnosticata a qualsiasi età (4).

Infatti, dati recenti suggeriscono che circa il 50-60% dei pazienti con diabete di tipo

1 ha un’età inferiore ai 16-18 anni alla diagnosi e che tale malattia si verifica, pur se

con bassa incidenza, anche in età adulta. Comunque, la percentuale più alta di

diagnosi di DM1 si ha tra 5-7 anni di età e in prossimità o alla pubertà (5).

Sebbene la maggior parte delle malattie autoimmuni sono più frequenti nelle donne,

il diabete di tipo 1 è leggermente più comune negli uomini (6). Inoltre vari studi

hanno rilevato una stagionalità dell'incidenza del diabete di tipo 1, di fatto molti casi

vengono diagnosticati in autunno e inverno (7), anche se la primavera è la stagione

maggiormente associata ad una più alta probabilità di manifestare il diabete (8).

Anche lo sviluppo dell’autoimmunità (cioè formazione di autoanticorpi insulari) nei

mesi o negli anni precedenti alla comparsa dei sintomi di esordio della malattia

diabetica mostra una certa sincronizzazione stagionale (9). Questi concetti

supportano la teoria che esistano dei fattori ambientali scatenanti o che “guidino” i

processi patogeni del diabete tipo 1. Globalmente, l'incidenza e la prevalenza del

diabete di tipo 1 variano molto (Figura 1) (10). Il diabete di tipo 1 è più comune in

Finlandia (> 60 casi per 100.000 persone/anno) e Sardegna (circa 40 casi per 100.000

persone ogni anno) (11).

Al contrario, tale malattia è rara in Cina, India e Venezuela (circa 0,1 casi per

100.000 persone ogni anno). L'incidenza globale di DM1 è un enigma

epidemiologico; un’ampia differenza di incidenza di malattia è nota tra zone

limitrofe in Europa e in Nord America. Per esempio, in Estonia l’incidenza è

inferiore a un terzo dell’incidenza in Finlandia, anche se i due paesi distano circa 120

Km (12).

L'incidenza di malattia è aumentata negli ultimi anni in tutto il mondo (13). In

Finlandia, Germania e Norvegia, si è registrato un incremento annuale di 2,4%,

2,6%, e 3,3%, rispettivamente (11, 14, 15).

Se i tassi di incidenza continuano ad aumentare, l'incidenza globale potrebbe

raddoppiare nella prossima decade (11).

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7

Vi è una riduzione significativa dell'età di comparsa del diabete, in particolare nei

bambini di età inferiore ai 5 anni. Indicativi sono i dati sulla popolazione svedese e

belga (16, 17). In Svezia dal 1983 al 1998, mentre nella popolazione di età inferiore

ai 34 anni l’incidenza complessiva non è aumentata, l'età media alla diagnosi si è

progressivamente ridotta (16). Risultati simili sono emersi in Belgio, dal 1989 al

2000, nei pazienti di età inferiore ai 40 anni (17). Questa tendenza alla comparsa

precoce della malattia potrebbe essere riconducibile ad una maggiore esposizione a

fattori ambientali scatenanti e/o all’incremento ponderale della popolazione generale

(18, 19). A conforto di ciò sta il dato che la popolazione migrante, in breve tempo,

acquisisce un rischio di malattia uguale alla popolazione autoctona (20). Ciò è

ulteriormente supportata dai dati che l'incidenza crescente della malattia in età

infantile è sempre meno associata al contributo degli aplotipi HLA ad alto rischio per

diabete (21).

Figura 1. Incidenza di DM1 nei giovani di età 0-14 anni, per regione geografica e nel tempo.

A. Incidenza globale stimata di DM1 nel 2011. B. Trend nel tempo dell’incidenza di DM1 in aree con

alti o alto-medio tasso di malattia.

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8

Le complicanze croniche del diabete

Nel corso della sua evoluzione, il diabete mellito, sia tipo 1 che tipo 2, è

caratterizzato dalla comparsa di un danno vascolare che interessa, in misura

variabile, tutti i segmenti del sistema circolatorio. Le complicanze croniche del tipo 1

e tipo 2 sono classificate, infatti, come micro- e macro-angiopatiche.

Il diabete e le malattie cardiovascolari (CVD) appaiono spesso come due facce della

medesima moneta, infatti nella popolazione europea adulta affetta da diabete la causa

principale di morte è la coronaropatia (CAD).

Alcuni studi hanno dimostrato che il rischio di malattia coronaria è, nei soggetti

diabetici, due-tre volte superiore a quella dei non diabetici

(22).

Ci sono notevoli differenze nella prevalenza della CAD nei pazienti affetti da diabete

tipo 1 (23) e tipo 2 (24) ed anche nelle diverse popolazioni (25), ma la malattia

cardiovascolare è diventata la complicanza macro-angiopatica più comune anche nei

soggetti con DM1 poiché vivono più a lungo (26). Infatti, pazienti con DM1 hanno

un rischio dieci volte più alto di eventi cardiovascolari (es. infarto miocardico, ictus,

angina e la necessità di rivascolarizzazione coronarica) rispetto ai soggetti non-

diabetici (27).

Nello studio EURODIAB IDDM Complication Study (28), sono stati arruolati 3250

in 16 paesi europei soggetti affetti da diabete di tipo 1, la prevalenza di CVD era del

9% nei maschi e del 10% nelle femmine, aumentando con l’età, dal 6% nel gruppo di

età tra 15-29 anni al 25% nel gruppo tra 45-59 anni, e con la durata di malattia.

Nel diabete di tipo 1 il rischio di CAD aumenta drammaticamente con la comparsa

della nefropatia diabetica. Più del 29% dei pazienti con diabete tipo 1 insorto

nell’infanzia e con nefropatia, con una durata di malattia di oltre 20 anni,

presenteranno CAD, mentre nei soggetti con DM1 senza nefropatia presenteranno la

malattia coronarica solo nel 2-3% dei casi (29).

Il Pittsburgh Epidemiology of Diabetes Complications Study (30) ha registrato un

aumento dell’1%/anno di eventi cardiovascolari nei diabetici tipo 1 di età inferiore ai

40 anni e tre volte superiore nei soggetti di età superiore ai 55 anni.

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9

Lo studio EDIC atto a definire l'epidemiologia del diabete e delle sue complicanze

croniche (31), ha mostrato che il trattamento intensivo ha ridotto il rischio di eventi

cardiovascolari del 42% rispetto al trattamento convenzionale.

Inoltre studi clinici hanno registrato che i pazienti con diabete tipo 1 hanno una

prognosi più sfavorevole rispetto ai pazienti non diabetici dopo un evento coronarico

acuto, un dato che potrebbe essere spiegato da un recente rapporto che, dopo infarto

miocardico, i pazienti con diabete tipo 1 esprimono anticorpi contro le proteine

cardiache, mentre questo non è stato dimostrato nei pazienti con diabete tipo 2 (32).

Invece è interessante sottolineare che il rischio di complicanze microvascolari (la

retinopatia, la nefropatia e la neuropatia), diminuisce con la terapia insulinica

intensiva. Negli ultimi cinque anni, alcuni grandi studi clinici si sono concentrati

sullo studio della prevenzione delle complicanze micro vascolari (Tabella 1).

Complicanze valutate Risultati ottenuti

Diabetes Control and

Complications Trial

(DCCT)/Pittsburgh

Epidemiology of Diabetes

Complications study (2009)33

Patologia cardiovascolare,

nefropatia, retinopatia.

La frequenza delle

complicanze nel DM1 in

trattamento intensivo è più

bassa rispetto ai dati del

passato.

Finnish Diabetic Nephropathy

(FinnDiane) Study (2009)34

Patologia cardiovascolare,

nefropatia.

Nei soggetti con DM1,

variazioni di HbA1c

predicono l’incidenza di

microalbuminuria e la

progressione a malattia

renale cronica, e l’incidenza

di CVD.

DCCT/Epidemiology of

Diabetes Interventions and

Complications (EDIC) study

(2011)35

Nefropatia

Nei soggetti con DM1 e

microalbuminuria

persistente, il controllo

glicemico intensivo, il

controllo della pressione

arteriosa e del profilo

lipidico riduce il rischio di

complicanze renali.

FinnDiane (2009)36

Nefropatia

Nel DM1 esiste

un’associazione

indipendente tra la presenza

e severità di malattia renale

cronica e mortalità.

Genetics of Diabetes in

Kidney Collection (2009)37

Nefropatia

Identificazione di geni

associati alla suscettibilità di

nefropatia, vicino ai loci

FRMD3 e CARS.

Swedish Renal Registry

(2010)38

Nefropatia

Esistono differenze nel

rischio di nefropatia negli

uomini rispetto alle donne

con DM1, e l’età alla

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10

diagnosi è un fattore di

rischio importante (precoce

è la diagnosi e minore è il

rischio).

DCCT/EDIC (2009)39

Neuropatia autonomica

Pazienti in terapia intensiva

presentano meno neuropatia

autonomica rispetto a quelli

trattati con terapia

convenzionale.

Acetyl-L-carnitine Clinical

Trials (2009)40

Neuropatia

Elevati valori di trigliceridi

sono correlate con la

pregressione di neuropatia.

DCCT/EDIC (2008)41

Retinopatia

La terapia insulinica

intensiva (vs la terapia

convenzionale) riduce

sviluppo e progressione di

retinopatia, con benefici che

persistono almeno 10 anni

(memoria metabolica).

DIabetic REtinopathy

Candesartan Trials (DIRECT;

2008)42

Retinopatia

Candesartan, blocca recettori

dell’angiotensina, riduce lo

sviluppo di retinopatia ma

non la progressione.

Tabella 1. Studi clinici di prevenzione delle complicanze croniche del diabete.

La malattia cerebrovascolare è la causa predominante a lungo termine di morbilità e

mortalità sia in pazienti con diabete tipo 1 che con diabete tipo 2. Già dalle prime

osservazioni, presentate dal Framingham Investigators, diversi ampi studi di

popolazione avevano verificato un’aumentata

frequenza di ictus nella popolazione diabetica. In uno studio prospettico finlandese

con follow-up a 15 anni, il diabete era il più forte fattore di rischio singolo per ictus

(rischio relativo per uomini 3,4 e 4,9 per le donne) (43). Il diabete mellito potrebbe

essere causa di microateromi a carico dei piccoli vasi causando infarto lacunare, uno

dei più comuni sottotipi di infarto ischemico. L’ictus, nei soggetti con diabete o

iperglicemia in fase acuta dell’evento, ha un alto rischio di mortalità, di complicanze

neurologiche e più severa disabilità rispetto a soggetti non diabetici (44).

Ci sono poche informazioni riguardanti il rischio di ictus nel diabete tipo 1 e nel

diabete tipo 2. Il World Health Organization Multinational Study of Vascular

Disease in Diabetes mostrava un aumentata mortalità cerebro-vascolare nei pazienti

con diabete di tipo 1, anche se con notevole variabilità tra i paesi (45). I dati dalla

coorte di più di 5000 bambini finlandesi affetti da diabete tipo 1 mostrano che prima

dei 50 anni, il rischio di un evento acuto cerebrale è pari al rischio per evento

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11

coronarico senza differenze correlate al sesso (46). La presenza della nefropatia

diabetica era il più forte fattore predittivo per ictus, determinando un aumento del

rischio di almeno 10 volte.

La microangiopatia è, per sua stessa natura, ubiquitaria, anche se i suoi effetti si

manifestano con maggiore evidenza in particolari distretti in cui il circolo capillare è

più direttamente collegato con la funzione d’organo. Ciò vale per la retina, in cui il

circolo capillare è essenziale per la conservazione della funzione visiva, per il rene,

la cui funzione emuntoria è condizionata dalla capacità di filtrazione dei capillari

glomerulari e per i nervi periferici ed autonomici la cui velocità di conduzione

richiede l’integrità della struttura e della irrorazione sanguigna attraverso i vasa

nervorum. Quadri tipici della microangiopatia diabetica sono perciò la retinopatia, la

nefropatia e la neuropatia.

Nefropatia diabetica

La nefropatia diabetica (DN) colpisce circa un terzo dei diabetici tipo 1 dopo una

durata media di malattia di circa 20 e rappresenta un importante fattore predittivo di

mortalità (47). Tale dato è stato recentemente confermato nei pazienti con esordio di

malattia sia in età infantile che in età giovanile-adulta (48, 49).

In un'ampia coorte di adulti con diabete di tipo 1 la presenza di microalbuminuria,

macroalbuminuria e di malattia renale cronica (End Stage Renal Disease; ESRD) era

associato ad un aumentato rischio di mortalità, rispettivamente di 2,8 , 9,2 e 18,3%

(48). Allo stesso modo, Orchard et al. ha riportato un rapporto standardizzato di

mortalità di 6,4, 12,5 e 29,8% per i soggetti con microalbuminuria, proteinuria e

ESRD, rispettivamente di , in una coorte di diabetici tipo 1 con esordio in età

infantile e seguiti per 30 anni (49).

La storia naturale della DN è cambiata negli ultimi decenni e, mentre in passato era

fondato il dato che i pazienti con microalbuminuria avevano un rischio 60-85% di

progressione a proteinuria entro 6-14 anni (50, 51, 52), studi più recenti hanno

riportato un tasso di progressione del 30% a 10 anni , e un numero crescente di casi

di regressione a normoalbuminuria (dal 31 al 58%) (53).

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La regressione a normoalbuminuria è stato associato ad un miglior controllo

glicemico, della pressione arteriosa ed un miglior profilo lipidico (54, 55). Questi

dati sono incoraggianti e evidenziano l'effetto positivo del miglioramento nel

trattamento, soprattutto glicemico e della pressione arteriosa.

Retinopatia diabetica

La retinopatia diabetica è la principale causa di cecità nei paesi occidentali (56) e la

sua prevalenza aumenta con l'età, si calcola che nel 2005, diabetici con retinopatia

erano circa il 17,7% (57). La malattia retinica può essere diagnosticata già dopo 5

anni dalla comparsa del diabete, e quasi tutti i pazienti mostrano gradi variabili di

alterazioni dopo 20 anni di malattia.

Dati recenti del Wisconsin Epidemiologic Study hanno mostrato che dopo 25 anni la

presenza di alterazioni visive era del 13 %, e una grave compromissione visiva era

del 3%. Dati più recenti dicono che attualmente c’è una minor prevalenza di

alterazioni visive rispetto a quelli diagnosticati in passato, indipendentemente dalla

durata del diabete (58). Questo è in accordo con alcuni altri studi in cui viene rilevato

un decremento della retinopatia e delle altre complicanze micro vascolari (59,60).

Iniziali segni di retinopatia possono essere presenti nei giovani con diabete tipo 1,

come dimostrato da un studio Australiano, dove è stata rilevata retinopatia nel 24%

della popolazione in studio dopo 6 anni di malattia diabetica (61). Allo stesso modo,

in uno studio svedese, la retinopatia era presente nel 27% dei pazienti giovani dopo

13 anni di diabete (62). I bambini con diabete di tipo 1 di età inferiore ai 10 anni

presentano un rischio minimo di retinopatia, ma il tasso di prevalenza aumenta dopo

5 anni dalla diagnosi nella fase post-puberale (63).

È interessante notare che, adolescenti con diabete tipo 1 hanno un rischio maggiore

di retinopatia rispetto agli adulti e questa può peggiorare rapidamente quando il

controllo glicemico è scarso (64). Infine, così come vi può essere una regressione di

nefropatia diabetica, sono stati segnalati casi di miglioramento della malattia retinica

(64).

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Meccanismi fisiopatologici

Come noto, l’iperglicemia cronica attiva diverse vie implicate nel danneggiamento

dei vasi: aumentata produzione di precursori AGE, un aumentato flusso del glucosio

attraverso la via dei polioli e la via dell’esosammina, aumento dello stress ossidativo,

vie che poi stimolano segnali intracellulari che portano alla produzione di fattori di

crescita, citochine e fattori infiammatori (65). Diversi studi epidemiologici hanno

evidenziato un'associazione diretta tra controllo glicemico, espresso da HbA1c, e il

rischio di sviluppare complicanze croniche (66, 67, 68).

Inoltre, HbA1c ha dimostrato di essere un fattore determinante anche di primi segni

di aterosclerosi (69).

Figura 2. Fattori di rischio per lo sviluppo di complicanze vascolari nel diabete tipo 1

Il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) (70) e l’Epidemiology of

Diabetes Interventions and Complications (EDIC) (71) sono gli studi hanno

chiaramente dimostrato l'effetto positivo di uno stretto controllo glicemico nel ridurre

il rischio di complicanze microvascolari e macrovascolari nei soggetti con diabete di

tipo 1. Nella coorte di soggetti adolescenti del DCCT, un effetto positivo è stato

ottenuto dal miglioramento del controllo glicemico sul rischio di complicanze. La

Terapia insulinica intensiva riduce il rischio di sviluppo e progressione di retinopatia

diabetica del 76% e 54%; l’insorgenza di microalbuminuria e proteinuria del 39% e

del 54% e quella di neuropatia del 60% rispetto al gruppo trattato convenzionalmente

(72). Dati dallo Studio DCCT/EDIC ha inoltre mostrato che la terapia insulinica

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intensiva ha ridotto il rischio per qualsiasi malattie cardiovascolari del 42% (31).

L'effetto benefico del trattamento insulinico intensivo nei pazienti con diabete tipo 1

all’esordio in età infantile è emerso anche dallo studio di Oslo (73). Inoltre, lo studio

EDIC ha introdotto l'importante concetto di 'memoria metabolica'; ossia dopo la fine

dello studio DCCT i livelli di HbA1c divennero sovrapponibili fra i gruppi trattati

intensamente e convenzionalmente, ma i pazienti appartenenti al primo gruppo

conservavano un vantaggio in termini di sviluppo e progressione delle complicanze

legato ai precedenti livelli di HbA1c migliori rispetto al secondo gruppo. Pertanto, i

dati EDIC evidenziano la necessità di attuare la gestione intensiva alla diagnosi di

diabete tipo 1.

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Variabilità glicemica e prevenzione delle complicanze

diabetiche

Il raggiungimento di obiettivi adeguati su tutti i fattori di rischio è ormai diventato

uno standard della cura del diabete e l’ottimizzazione del compenso glicemico è uno

degli obiettivi più difficili da raggiungere. Dati della letteratura indicano che

l’ottimizzazione del compenso glicemico passa attraverso il controllo della glicemia

circadiana e delle sue oscillazioni (74).

L’ottimizzazione del compenso glicemico riveste un ruolo fondamentale per la

prevenzione delle complicanze diabetiche. Studi quali Diabetes Control and

Complications Trial (DCTT) (75, 76, 77), United Kingdom Prospective Diabetes

Study (UKPDS) (78) e Kumamoto Study (79) dimostrano nel loro insieme l’efficacia

del compenso glicemico nella prevenzione delle complicanze microangiopatiche e la

difficoltà di un’efficace prevenzione delle complicanze macroangiopatiche.

L’ottimizzazione del compenso glicemico è però difficile da ottenere (Steno Study)

(80) e, nonostante esista una relazione diretta fra HbA1c e complicanze, soltanto i

pazienti che raggiungono un compenso pressoché perfetto hanno risultati preventivi

ottimali (81).

È clinicamente importante indicare la soglia glicemica utile nella prevenzione dello

sviluppo e della progressione delle complicanze microvascolari tipiche del diabete.

Le soglie glicemiche utili per prevenire l’insorgenza e la progressione delle

complicanze diabetiche microvascolari sono: un livello di HbA1c inferiore almeno a

6,5%, una FBG < 110 mg/dl e una glicemia a due ore dopo il pasto < 180 mg/dl. I

valori glicemici soglia suggeriti dallo studio Kumamoto potrebbero però essere

troppo semplificati dal fatto che l’analisi dei dati è stata eseguita su un campione

numericamente piccolo di pazienti. Le analisi epidemiologiche dei dati DCCT e

UKPDS mostrano una relazione diretta tra il rischio di complicanze diabetiche

microvascolari e macrovascolari e i livelli di glicemia, senza valori soglia. Altri dati

epidemiologici suggeriscono che il controllo intensivo dei valori glicemici entro i

limiti normali dovrebbe essere attuato quanto più precocemente possibile (82).

Il DCCT ha dimostrato, in un follow-up medio di 6,5 anni, una riduzione non

significativa, nel gruppo in trattamento insulinico intensivo, degli eventi cardiaci del

78%, degli eventi vascolari periferici del 22% e degli eventi combinati del 42%.

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Inoltre, il trattamento insulinico intensivo riduceva del 39% l’incidenza di

microalbuminuria e del 31% l’incidenza di neuropatia vegetativa, fattori di rischio

cardiovascolare nel diabete di tipo 1.

Una metanalisi (77) dei diversi studi minori e del DCCT sulla prevenzione

cardiovascolare nel diabete di tipo 1 ha evidenziato che la terapia insulinica intensiva

ha determinato una riduzione significativa del 45% di tutti gli eventi vascolari e una

riduzione non significativa del 28% del rischio di primo evento. Non è pertanto

dimostrato un effetto significativo in prevenzione primaria.

In seguito, lo studio EDIC (Epidemiology of Diabetes Intervention and

Complications) ha dimostrato come l’ottimale e tempestivo compenso glicemico

possa prevenire nel tempo anche le complicanze macro-angiopatiche (83). In questo

studio, in un periodo medio di follow-up di 17 anni, il trattamento intensivo ha

ridotto del 42% il rischio di malattia cardiovascolare e del 53% il rischio di infarto

miocardico non letale, di ictus cerebri o di morte per malattia cardiovascolare.

Va sottolineato che il DCCT suggerisce l’uso del trattamento insulinico intensivo per

ottenere il compenso ottimale piuttosto che l’uso di qualsiasi trattamento terapeutico

per la riduzione dei valori di HbA1c.

Oggi l’HbA1c rappresenta un metodo di misura standard del controllo glicemico

medio in grado di predire le complicanze nei pazienti affetti da diabete tipo 1 e 2.

Comunque il DCCT conclude che “l’HbA1c non rappresenta l’espressione più

completa del grado del controllo glicemico”. Altri aspetti del controllo glicemico nel

paziente diabetico, non espressi dall’HbA1c, potrebbero aggiungere informazioni o

modificare il rischio di complicanze, come, per esempio, l’entità delle escursioni

glicemiche. Dunque, studi contemporanei prendono sempre di più in esame le

fluttuazioni dei livelli ematici di glucosio come l’ipoglicemia e l’iperglicemia.

Nella logica dell’ottimizzazione del compenso glicemico per la prevenzione delle

complicanze del diabete, merita particolare attenzione la differenza nell’incidenza di

complicanze fra i due gruppi di trattamento nel DCCT. Come indicato nella figura 3

(84), infatti, bassi livelli di HbA1c si associano a un ridotto rischio di complicanze in

entrambi i gruppi, ma confrontando i pazienti dei due gruppi con livelli di HbA1c

sovrapponibili, emergono differenze statisticamente significative: il rischio di

retinopatia nei pazienti del gruppo di controllo con HbA1c del 9% è

approssimativamente 2,5 volte maggiore del rischio dei pazienti del gruppo in

sperimentazione con lo stesso valore di HbA1c.

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Figura 3. Rischio di retinopatia nei sottogruppi del DCCT in regime convenzionale e insulinico

intensivo.

I due gruppi del DCCT differivano per l’approccio terapeutico: circa il 90% dei

pazienti del gruppo di controllo eseguiva due iniezioni d’insulina NPH al giorno per

coprire i fabbisogni di insulina basale e postprandiale, mentre i soggetti del gruppo

d’intervento eseguivano una terapia basale in boli utilizzando o l’insulina NPH due

volte al giorno e l’insulina regolare ai pasti, oppure le iniezioni multiple giornaliere o

la terapia con microinfusore.

Una rilettura critica dei dati del DCCT suggerisce che i risultati siano da imputare

alla modalità di trattamento e quindi all’impatto della terapia sulla variabilità

glicemica piuttosto che ai risultati ottenuti in termini di riduzione dell’HbA1c.

Alcuni autori si sono concentrati sul ruolo giocato dall’iperglicemia postprandiale e

sul valore clinico di una sua precoce correzione. È importante notare, però, che

l’iperglicemia postprandiale è solo un aspetto della variabilità glicemica, e non

rappresenta la sua totalità. Se si correggesse esclusivamente l’ampiezza di variabilità

glicemica peri-prandiale, ma si lasciassero liberi di fluttuare i valori glicemici in altri

momenti della giornata, probabilmente non si risolverebbe il problema nella sua

totalità.

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In altri termini, l’ottimizzazione del compenso glicemico auspicherebbe un approccio

terapeutico specifico, capace di controllare la glicemia in ogni momento della

giornata piuttosto che un approccio capace di ottenere una buona media delle

glicemie ma con ampie oscillazioni circadiane. La riduzione della variabilità

glicemica è pertanto destinata a diventare uno dei principali obiettivi di cura.

L’HbA1c riflette l’esposizione glicemica globale ed è quindi proporzionale al valore

medio della glicemia nei 120 giorni precedenti, corrispondenti alla vita media dei

globuli rossi: i grandi studi hanno dimostrato la sua relazione con le complicanze

microvascolari del diabete. La percentuale di HbA1c non è invece in grado di dare

indicazioni sulla variabilità glicemica, cioè sulle oscillazioni circadiane, spesso

rapide, della glicemia. In altri termini, un determinato valore di HbA1c può essere

espressione sia di glicemie abitualmente vicine ai valori medi, sia di ampie

oscillazioni glicemiche intorno alla media, nella stessa giornata o in giornate diverse.

Nel DCCT, una HbA1c del 6% corrispondeva a un livello glicemico medio di 135

mg/dl e ogni incremento dell’1% di HbA1c corrispondeva a un aumento della

glicemia di circa 35 mg/dl. Bisogna fare attenzione però nell’interpretazione della

linearità di questa relazione perché l’HbA1c non riflette i livelli di glucosio ematico

dei precedenti 120 giorni in maniera equa. L’HbA1c esprime principalmente il grado

di controllo glicemico del periodo di tempo più recente. Circa il 50% dell’HbA1c è

determinato dai livelli glicemici del mese precedente alla determinazione, il 25% nei

30-60 giorni prima e il restante 25% negli ultimi 60-120 giorni prima della

misurazione.

La misurazione della HbA1c è stato il sistema di misura principale del compenso

metabolico utilizzato nel DCCT, nell’UKPDS, e in molti altri studi. Nel DCCT si è

ottenuta una riduzione dell’HbA1c media dell’1,8% nel gruppo di pazienti di tipo 1

trattato con terapia insulinica intensiva (7,3% vs 9,1%), e questa differenza ha

portato a una riduzione del 75% dello sviluppo di retinopatia e a una riduzione del

39% della microalbuminuria e del 60% dello sviluppo di neuropatia.

Numerosi dati della letteratura indicano che la variabilità glicemica potrebbe

contribuire allo sviluppo delle complicanze croniche del diabete, in aggiunta alla

stretta relazione tra iperglicemia e controllo glicemico.

Il termine ‘variabilità glicemica’ ha diverse definizioni. Molto spesso viene associata

alle oscillazioni glicemiche giornaliere, legata prevalentemente alle escursioni

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glicemiche post-prandiali, ma può anche riguardare oscillazioni della glicemia per

periodi più lunghi come variazioni glicemiche circadiane day-to-day o week-to-week.

Inoltre con il termine variabilità glicemica può essere espressa la variazione di

HbA1c da una visita all’altra (85).

La distinzione tra queste definizioni è importante poiché non ci sono dati concordati

per quanto riguarda la variabilità glicemica a breve termine (nel corso della giornata)

e il rischio di complicanze micro- e macro-angiopatiche. Al contrario, dati sempre

più convincenti dimostrano che oscillazioni a lungo termine determinano un

aumentato rischio di complicanze croniche in associazione al valore di HbA1c medio

(86, 87).

Nel 2008, una re-analisi del DCCT ha dimostrato che la variabilità HbA1c, a

differenza della variabilità della glicemia, è un fattore di rischio aggiunto di

nefropatia e retinopatia, indipendentemente dal valore medio HbA1c, sia nel gruppo

con terapia convenzionale che nel gruppo con terapia intensiva (88).

Anche un recente studio multicentrico condotto in Germania ed Austria (89), in cui è

stata analizzata la variabilità glicemica intesa come variabilità di HbA1c come fattore

rischio di retinopatia diabetica, ha confermato che tale parametro è fattore di rischio

indipendentemente dal controllo glicemico.

Uno studio osservazionale longitudinale finlandese (il Finnish Diabetic Nephropathy

Study Group, FinnDiane) esaminando solo la nefropatia come complicanza

microvascolare, ha mostrato risultati simili nella popolazione di 2.107 pazienti di tipo

1 (90).

Nel 2009, uno studio multicentrico retrospettivo italiano (91) ha confrontato 110

pazienti in terapia con MDI con 110 pazienti in terapia con CSII dopo un periodo di

follow-up di 3 anni, dimostrando che nei soggetti in terapia con CSII si ottiene una

riduzione dell’incrementi di AER.

Marcovecchio et al. (92) in uno studio condotto su 1.232 adolescenti con diabete tipo

1 ha confermato l’associazione tra variabilità del controllo e il rischio di nefropatia

diabetica.

Recentemente lo studio RIACE condotto da Penno et al. (93) hanno dimostrato che,

in una coorte di pazienti con diabete mellito tipo 2, la variabilità di HbA1c influenza

lo sviluppo e progressione della nefropatia diabetica indipendentemente dalla HbA1c

media, ma, al contrario, non è un fattore predittivo di malattia retinica, mentre è

considerata più importante la durata di malattia. Dati che confermano quelli già

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emersi nello studio giapponese Tsukuba Kawai Diabetes Registry 2 (94) e un

progetto thailandese (95).

Sulla base delle prove disponibili, l’ottimizzazione del compenso glicemico, anche

inteso come la sola ottimizzazione dell’HbA1c rende necessario un approccio che

corregga le oscillazioni del controllo glicemico nel medio-lungo periodo. La

variabilità glicemica può aiutare a spiegare perché alcuni pazienti sviluppano le

complicanze della malattia ed altri no, a parità di valore di HbA1c.

Variabilità glicemica e danno endoteliale

Numerosi dati sperimentali (96) e alcuni dati clinici depongono per un ruolo

importante della variabilità glicemica nel determinare il danno endoteliale, attraverso

la generazione di radicali attivi dell’ossigeno (ROS).

Sebbene i ROS non possano essere misurati in maniera diretta, queste molecole

instabili interagiscono con macro-molecole biologiche come proteine, lipidi e DNA

generando numerosi prodotti ossidativi (97). Di questi, la nitrotirosina e l’8-

idrossidesossiguanosina (8-OHdG) sono stati presi in considerazione al fine di

determinare l’entità del danno vascolare indotto dall’esposizione periodica o

continua a livelli glicemici altamente variabili (98, 99). La valutazione degli eventi

che si trovano a valle della generazione dei ROS, come l’apoptosi cellulare,

l’attivazione del fattore nucleare (NF) kB nelle cellule mononucleate (100), la

crescita cellulare e la sintesi del collagene nelle cellule tubulointerstiziali renali

umane in coltura hanno contribuito a dimostrare gli effetti patologici endoteliali

sostenuti dalla variabilità della concentrazione del glucosio ematico. Quagliaro et al.

(99) hanno esaminato il differente effetto che hanno le concentrazioni variabili di

glucosio o, viceversa, un livello costantemente alto sulla generazione di ROS, tramite

la misurazione dei livelli di nitrotirosina e dell’8-OHdG, e i conseguenti effetti dello

stress ossidativo sull’apoptosi cellulare; i risultati hanno dimostrato che l’apoptosi è

marcatamente aumentata nelle cellule endoteliali di vena ombelicale umana

(HUVECs) se esposte a variazioni periodiche della concentrazione di glucosio,

rispetto a quelle esposte a concentrazioni elevate costanti. Inoltre, è stato visto che

l’esposizione a concentrazioni fluttuanti di glucosio induce un maggior incremento

dell’attività della protein-chinasi C (PKC), nota conseguenza della formazione dei

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ROS indotti dall’iperglicemia, rispetto all’esposizione costante ad alti livelli di

glucosio (101).

In uno studio condotto su pazienti affetti da diabete di tipo 2 messi a confronto con

soggetti sani, la nitrotirosina a digiuno era aumentata in maniera significativa nei

soggetti diabetici ed era ulteriormente aumentata dopo i pasti negli stessi pazienti, ma

non nei controlli non diabetici (98). Poiché la nitrotirosina è un marker della

produzione di perossinitriti, radicali liberi altamente reattivi derivanti dal superossido

e dall’ossido nitrico, è plausibile che lo stato glicemico postprandiale, in particolare

nelle persone con iperglicemia pronunciata, possa avere importanti implicazioni

patogenetiche nelle complicanze vascolari del diabete.

Un confronto degli effetti dell’iperglicemia costante o alternante sulle cellule dei

tubuli prossimali (PTCs) e sui fibroblasti corticali (CFs) renali d’origine umana

messi in coltura ha rilevato un aumento delle risposte in termini di crescita cellulare,

sintesi di collagene e secrezione di citochine in seguito all’esposizione a condizioni

di iperglicemia alternante (99), rispetto all’iperglicemia costante.

Infine, i vasi retinici dei pazienti diabetici e i glomeruli renali contengono livelli

aumentati di prodotti finali di glicosilazione avanzata (AGEs). È stato dimostrato che

il legame degli AGEs, come la carbossimetillisina (CML), ai recettori AGE (RAGE)

attiva il fattore pleiotropico di trascrizione NFknB, determinando modificazioni

patologiche nell’espressione genica (102). L’effetto cumulativo della variabilità

cronica dell’iperglicemia potrebbe essere alla base del fenomeno hyperglycemic

memory, per il quale le modificazioni della parete vasale indotte dall’iperglicemia

persistono o addirittura progrediscono durante successivi periodi di normoglicemia

(103, 104). L’applicabilità di questo concetto ai pazienti diabetici è stata confermata

dai risultati dello studio EDIC, che ha dimostrato che i differenti effetti della terapia

convenzionale o intensiva, durante il DCCT sulla progressione delle complicazioni

microvascolari e sullo spessore dell’intima e della media della carotide, persistevano

per 7 e 6 anni rispettivamente, nonostante la sovrapponibilità dei livelli di HbA1c

durante il periodo di osservazione seguito alla conclusione dello studio (103).

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Terapia Insulinica

La terapia insulinica rimane l’unica e più importante pietra miliare nella storia del

diabete e ha determinato un cambiamento della prognosi del diabete tipo 1 che in

epoca pre-insulinica era causa di morte sicura.

La storia della terapia insulinica inizia nel 1921 quando Banting e Best isolarono un

estratto pancreatico dal cane e ne dimostrarono le proprietà ipoglicemizzanti negli

animali da laboratorio, poi isolarono una sostanza con caratteristiche simili dal

pancreas bovino, ed infine confermarono i suoi effetti di riduzione della glicemia

nell’uomo.

La prima insulina regolare aveva una durata di 6-8 ore; era confezionata e

commercializzata a pH acido, necessario per solubilizzare le altre proteine presenti

nell’estratto e proteggere l’insulina dalla degradazione operata dagli enzimi

pancreatici presenti come contaminanti nella preparazione. Nonostante i limiti delle

prime preparazioni commerciali (troppo diluite, impure, poco riproducibili

nell’attività biologica) la durata della vita dei diabetici aumentò di molto, cosi come

la qualità della vita, almeno nei primi anni di malattia (105).

Ben presto divenne chiaro, però, che l’insulina non curava il diabete, perchè

complicanze come cecità, insufficienza renale, gangrena ed infarto del miocardio

erano comunque presenti, sebbene con minore velocità di progressione. Infatti, Elliot

Joslin, già allora, predicava che la normalizzazione della glicemia era indispensabile

per eliminare le complicanze del diabete, ma le prove sarebbero apparse molti anni

dopo (106).

Il problema della durata d’azione, mostratosi precocemente, fu affrontato

aggiungendo additivi per ritardare l’assorbimento dell’insulina. Agli inizi degli anni

Trenta fu prodotta la protamino-zinco, con una durata d’azione più lunga (in teoria

36 ore) ma gravata da frequenti reazioni cutanee e incostanza di assorbimento. Negli

anni quaranta il danese H.C. Hagedorn sviluppò l’isofane, insulina-protamina a pH

neutro, che divenne ben presto il punto di riferimento delle insuline con durata

intermedia (12-14 ore) (NPH). Qualche anno dopo, negli anni Cinquanta, venne fuori

la serie delle insuline lente che utilizzava differenti concentrazioni di zinco per

ottenere insuline con diversa durata d’azione (105).

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La biologia molecolare, negli anni Ottanta, ha permesso di ottenere le prime insuline,

umane nella sequenza e nella conformazione spaziale, utilizzando diversi sistemi

basati sulla tecnologia del DNA ricombinante attraverso l’inserimento del gene della

proinsulina umana in ceppi non patogeni di E.Coli o Saccharomyces Cerevisiae. Ciò

ha permesso di abbandonare le insuline animali con una riduzione delle reazioni

immuno-mediate (107).

Le insuline tradizionali si sono dimostrate ragionevolmente efficaci quando

utilizzate negli schemi di terapia insulinica intensificata con iniezioni multiple.

Purtroppo le insuline regolari, per quanto pronte, agiscono in modo troppo lento

per riprodurre le caratteristiche farmacologiche dell’insulina rilasciata ai pasti da

un pancreas normale. Inoltre, il consiglio di anticipare la dose di insulina

prandiale di 20-30 minuti, nel tentativo di ridurre il “gap” tra picco glicemico ed

effetto insulinico massimale, tende ad essere trascurato, con la maggior parte dei

pazienti che si inietta l’insulina 5-10 minuti prima del pasto. Sull’altro fronte,

l’ipoglicemia può diventare un problema a distanza di 3-4 ore del pasto. Ancora

più problemi offrono le insuline lente ed ultralente con la mancata copertura delle

24 ore e con indesiderati ed imprevedibili picchi di attività, vista l’estrema

variabilità d’azione, che ostacolano la desiderata insulinizzazione basale. A causa

di queste limitazioni la ricerca si è orientata verso lo studio di molecole di insulina

che riproducessero al meglio le caratteristiche basali e prandiali necessarie per

mimare la fisiologia (107).

L’occasione si è presentata quando divenne chiaro che, mutazioni specifiche di

particolari amminoacidi della molecola, potevano produrre insulina con attività

biologica simile a quella umana di partenza, ma con differente velocità di

assorbimento sottocutaneo. La prima insulina modificata, designata con il nome di

analogo a breve durata, che si rese disponibile sul mercato è stata l’insulina lispro

commercializzata nel 1996 negli Stati Uniti. Negli anni successivi, altri analoghi sia

a breve durata (Insulina Aspart e Glulisina) che a lunga durata d’azione (Insulina

Glargine e Detemir), sono stati commercializzati (108).

Gli analoghi a breve durata d’azione sono assorbiti molto più rapidamente in

quanto presenti sotto forma di monomeri o dimeri nel sito di iniezione e hanno un

picco d’azione di circa 1 ora e durata d’azione di circa 4 ore. Queste

caratteristiche di assorbimento spiegano la rapidità di inizio e la breve durata

d’azione, più efficaci nel controllo della iperglicemia post-prandiale e più

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raramente causa di ipoglicemia post-prandiale. L’effetto ipoglicemizzante

ottimale degli analoghi a breve durata si raggiunge quando la somministrazione

viene effettuata nei 15 minuti precedenti il pasto, anche se il procrastinare

l’iniezione subito dopo il pasto non altera eccessivamente il loro effetto (108).

Inoltre dimostrano meno variabilità giornaliera nelle caratteristiche

farmacologiche, il che si traduce in una maggiore prevedibilità dell’effetto

biologico. Sebbene gli analoghi a breve durata d’azione sembrino presentare

vantaggi rispetto all’insulina regolare in termini di convenienza e farmacocinetica,

non sempre gli studi clinici hanno mostrato un miglioramento dei livelli di

HbA1c. Una probabile ragione è da ricercare nella breve durata d’azione

dell’analogo che non riesce a frenare un’iperglicemia post-prandiale tardiva

aggravata dal fatto che manca, ad oggi, nella terapia insulinica multiiniettiva, una

insulina ad azione lenta, che possa creare una insulinizzazione basale ottimale.

L’ostacolo può essere aggirato aumentando l’insulina basale per compensare la

più breve durata d’azione dell’analogo; gli studi clinici, infatti, hanno dimostrato

che l’aggiunta di piccole dosi di insulina NPH all’analogo prima del pasto

produce un miglior controllo glicemico in termini di riduzione di HbA1c e causa

meno eventi ipoglicemici.

L’analogo a lunga durata d’azione, insulina Glargine e insulina Detemir, presentano

una durata d’azione rispettivamente tra le 20-24 ore, la prima, e 12 ore circa la

seconda senza evidente picco insulinico (108). Gli studi che hanno confrontato gli

effetti di una singola dose di insulina Glargine rispetto alla somministrazione serale o

bi-giornaliera di insulina NPH hanno fatto rilevare un controllo glicemico uguale se

non migliore nei pazienti trattati con l’analogo in associazione con un minor rischio

di ipoglicemia notturna (109).

I due analoghi dell’insulina basale attualmente disponibili (l’insulina detemir e

l’insulina glargine) hanno parzialmente soddisfatto i requisiti di sicurezza,

consentendo di avvicinarsi più strettamente ad un profilo fisiologico rispetto ai

precedenti preparati di insulina umana. Per esempio, il loro effetto nel ridurre la

glicemia è caratterizzato da una ascesa e una caduta graduali del profilo d’azione

rispetto al picco pronunciato prodotto dalle insuline più “datate” come l’insulina

NPH (110, 111). La durata d’azione degli analoghi dell’insulina basale esistenti non

sempre però assicura in modo affidabile una copertura dell’effetto per un periodo di

24 ore; quindi alcuni pazienti hanno bisogno di una duplice anziché di una singola

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somministrazione al giorno. In uno studio di clamp euglicemico, condotto in doppio

cieco, in soggetti con diabete tipo 2, la durata media d’azione (a dosi di 0,8 U/kg) per

l’insulina detemir e l’insulina glargine era rispettivamente di 16,8 ore e 19,4 ore

(112), il che le rende adeguate per il dosaggio una volta al giorno in alcuni soggetti,

ma non in tutti (113). Dunque esiste la necessità di un’insulina ad azione ultralenta

adatta all’utilizzo in singola somministrazione giornaliera per tutti i pazienti. Questa

insulina basale sarebbe idealmente in grado di assicurare una “insulinizzazione” in

modo continuo, uniforme e stabile per l‘intero arco delle 24 ore.

Oggi abbiamo a disposizione diversi tipi di insuline a rapida e lunga durata d’azione

(Figura 4) questo però non ha portato ad un eccellente compenso glicometabolico di

tutti i pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 in quando ognuno di loro è un entità

diversa con diversi fabbisogni insulinici giornalieri, sensibilità insulinica ed insulino-

resistenza, attività lavorativa e non e comorbilità associate.

Figura 4. Farmacocinetica delle insuline attualmente in commercio

Prendendo in considerazione le necessità personali appena descritte ma anche i

brillanti risultati del DCCT (114), in primis, ed altri studi che hanno dimostrato

l’importanza del controllo glicemico nel prevenire o rallentare le complicanze micro-

e macrovascolari croniche del diabete negli ultimi anni è stata innescata una onda

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fruttuosa di ricerche volte allo sviluppo di terapie innovative, in particolare sulla

terapia insulinica, in modo da poter personalizzare la terapia e adeguarla alle

necessità cliniche dei singoli pazienti.

Sono in via di sperimentazione, infatti, altri analogi, alcuni ad azione ancora più

rapida, rispetto a lispro, aspart e glulisina, come linjeta® ed altri con durata d’azione

ancora più lenta rispetto a detemir e glargine (Degludec®, LY2605541®). Tutto ciò

per creare un’insulinizzazione sempre più simile a quella endogena (115).

L’insulina Degludec (IDeg) è una nuova insulina con una lunga durata di azione che

può contribuire a risolvere alcuni problemi della terapia insulinica. Differisce dalle

altre preparazioni insuliniche long-acting nell’avere una più lunga emivita, un profilo

tempo/azione piatto (meno rischiosa per le ipoglicemie) e una minor variabilità

giorno per giorno (minor variabilità glicemica) (116). IDeg è da considerarsi la

maggiore innovazione nel panorama delle insuline basali degli ultimi tempi (Figura

5).

Figura 5. Struttura dell’insulina Degludec

Essa agisce formando multi-esameri solubili nel sito di iniezione sottocutaneo. La

differenza tra l’insulina umana e IDeg è la eliminazione del residuo ThrB30 e

l’aggiunta di una catena di acido grasso, esadecandiolo, attaccato a LysB29 tramite

un acido glutammico spaziatore. Una volta che il fenolo nella formulazione

farmaceutica è disperso dopo l’iniezione, l’acile della catena laterale causa

l’autoassociazione di IDeg, che forma grandi multi-esameri solubili, creando un

deposito sottocutaneo. Gli ioni di zinco lentamente lasciano questo complesso,

portando i monomeri di IDeg a dissociarsi e diffondere nel circolo sanguigno con

velocità lenta e costante. I monomeri di IDeg lentamente rilasciati possono fornire un

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effetto tampone contro le variazioni nella velocità di assorbimento (117). Il risultante

profilo farmacocinetico piatto e stabile allo steady state (118) fornisce una più lunga

durata di azione (119) e una minore variabilità intraindividuale rispetto all’insulina

glargine (120,121). Nella pratica clinica questo potenzialmente rende i pazienti

trattati meno suscettibili a ipoglicemia, con una riduzione del 25% del numero di

ipoglicemie notturne (115), o a fluttuazioni nel controllo glicemico (variabilità

glicemica) (122, 123).

D’altra parte c’è anche il tentativo di migliorare l’assorbimento sottocutaneo delle

insuline rapide attualmente in commercio. A tale riguardo viene sperimentata

l’aggiunta alla preparazione insulinica di Ialuronidasi umana da DNA ricombinante

(rHuPH20 Hyaluronidase), utilizzata per interagire con l’acido ialuronico presente

nei tessuti interstiziali del sottocute. La Ialuronidasi, in questo modo, rompe la

barriera che rallenta il flusso dei liquidi nel tessuto sottocutaneo, permettendo

all’insulina di raggiungere i capillari più velocemente. L’assorbimento, così, è molto

più rapido, il picco di concentrazione più alto e la durata d’azione più corta. Tutte

queste caratteristiche farmacocinetiche si potrebbero tradurre in un miglior controllo

delle escursioni glicemiche post-prandiali ed una riduzione delle ipoglicemie post-

prandiali (124).

Dando uno sguardo al futuro prossimo della terapia insulinica, non possiamo non

fare un cenno all’insulina intelligente o smart-insulin, un’insulina la cui risposta

dipende dai valori di glicemia ossia di più con glicemie elevate e meno in caso di

ipoglicemie. La smart-insulin è costituita da un polimero glicosilato coniugato con

insulina (IPC), biocompatibile e biodegradabile, che si lega ad una molecola

ingegnerizzata legante il glucosio (GBM). In presenza di elevate concentrazioni di

glucosio, il polimero IPC, con l’insulina, viene staccato da GBM determinando il

calo glicemico. Pertanto questo tipo di insulina consentirà una migliore

copertura del post-prandiale delle glicemie, andando inoltre a ridurre al minimo

l’incidenza delle ipoglicemie. Il tutto con una sola iniezione al giorno (125).

Sono, inoltre, da diversi anni in fase di ricerca formulazioni di insulina per via

inalatoria, ed i prodotti attualmente esistenti sono in grado di imitare sia la prima che

la seconda fase di secrezione insulinica (125). Exubera della Pfizer è stata

commercializzata in America solo per sei mesi circa, e poi tolta dal mercato per lo

scarso successo terapeutico ed a causa della difficoltà nella titolazione della dose

insulinica. Altre formulazioni di insulina per inalazione sono in fase di sviluppo, e il

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loro assorbimento e l'azione sui profili glicemici sono soddisfacenti. Le maggiori

limitazioni all’uso dell’insulina inalatoria sono come detto la difficoltà di titolazione

della dose esatta necessaria, i potenziali problemi di assorbimento attraverso

l’alveolo e/o la membrana orale, le dimensioni del dispositivo stesso e il potenziale

effetto a livello polmonare provocando ipertrofia o altri problemi non ancora ben

noti. Inoltre, è necessario sottolineare l'insulina basale deve essere sempre

somministrata nonostante l'uso di insulina per inalazione.

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Terapia infusionale continua sottocutanea di insulina

(CSII)

La terapia insulinica ha subito diversi cambiamenti in senso migliorativo puntando

sull’ottimizzazione della terapia del diabete mellito tipo 1, ma tuttavia persistono

ancora le problematiche gestionali del passato. In particolare, vista l’estrema

variabilità della richiesta insulinica nelle 24 ore e a seconda dell’età (Figura 6) (126),

esiste la difficoltà a rappresentare il fabbisogno insulinico basale con un’insulina che,

nelle migliori condizioni, può assicurare una insulinizzazione piatta per tutte le 24

ore.

Figura 6. Fabbisogno insulinico giornaliero in soggetti con diabete tipo 1 con microinfusore.

Un aiuto concreto per la risoluzione di questi problemi può arrivare dalla

somministrazione sottocutanea continua dell’insulina attraverso micro pompe

programmabili chiamati microinfusori (CSII) nata dalla necessità di mimare al

meglio la fisiologica secrezione pancreatica di insulina.

Il microinfusore è una pompa portatile di insulina, che utilizzando l’analogo rapido

di insulina, la infonde attraverso una fine cannula sottocutanea in teflon secondo due

modalità: in modo continuo nelle 24 ore, per l’insulinizzazione basale (notturna ed

interprandiale) e sotto forma di boli pre-pasto, decisi dal paziente stesso

(insulinizzazione prandiale).

Come noto, la terapia intensiva ha un caro prezzo da pagare: l’aumentato rischio di

ipoglicemie.

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Le ipoglicemie ricorrenti comportano una ridotta risposta degli ormoni

controregolatori e una conseguente iniziale perdita dei sintomi fino allo sviluppo

dell’hypoglycemia unawareness (HU), pertanto sono un ostacolo al raggiungimento

del controllo metabolico e un pericolo per la vita.

Le prove che si stanno accumulando indicano che ampie fluttuazioni glicemiche,

specie se accompagnate da ipoglicemia, possano avere un effetto deleterio sia

sull’insorgenza sia sulla progressione delle complicanze diabetiche.

La CSII è il dispositivo che, con miglior approssimazione, mimando il fisiologico

rilascio pancreatico d’insulina, riduce le escursioni glicemiche e rendendo più stabile

il profilo glicemico circadiano con minori episodi ipoglicemici.

Con il microinfusore la frequenza di ipoglicemie si riduce sia nella popolazione

adulta (127, 128) che in quella pediatrica (129, 130) e nel contempo aumenta la

sensibilità individuale all’ipoglicemia e anche degli ormoni della contro-regolazione.

Rispetto alla terapia multi-iniettiva tradizionale, la terapia con CSII permette di

raggiungere valori di HbA1c simili o lievemente inferiori, con una differenza di circa

lo 0,5 % (131,132). Con CSII, rispetto a MDI, la glicemia media, così come la

variabilità glicemica, sono inferiori (131, 133). Recentemente, uno studio spagnolo

(134) condotto su 24 pazienti con DM1 ha confermato che i soggetti con un

variabilità glicemica superiore hanno più benefici con il passaggio dalla terapia

multi-iniettiva alla terapia con CSII con riduzione sia della variabilità glicemica

(MAGE -47 mg/dl vs -20 mg/dl, p =0,01) che della durata delle ipoglicemie.

Una recente meta-analisi, Mitra et al. (135), esaminando 15 studi randomizzati,

hanno osservato negli individui con CSII un miglioramento del controllo glicemico

(riduzione media HbA1c: -0,2%; 95% IC, -0,3, -0,1), mentre non è chiaro l’effetto

positivo sulla riduzione delle ipoglicemie sia severe (pooled odds ratio, 0.48; 95%

CI, 0.23, 1.00) che notturne (pooled odds ratio 0.82, 95% CI 0.33, 2.03). Occorre,

pertanto sottolineare che alcuni studi (134, 136, 137) non hanno dimostrato né una

riduzione del numero di ipoglicemie né un miglior controllo metabolico con il

microinfusore.

Numerosi studi hanno osservato che i pazienti che traggono maggiori vantaggi in

termini di controllo glicemico con CSII sono quelli che presentano il peggior

controllo metabolico iniziale (138, 139), con una riduzione media di HbA1c di 1,7%

(140) dopo 1 anno dall’applicazione. Un dato importante da rilevare, è che gli effetti

benefici della terapia con microinfusore si osservano a lungo termine, questo è stato

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confermato in 3 dei 4 studi non randomizzati che hanno seguito i pazienti per più di

3,5 anni (141, 142, 143) e convalidato da un recente studio condotto da Martolin et

al (128).

Inoltre, confrontando i due tipi di trattamento, non sembrano esserci differenza per

quanto riguarda il peso corporeo (130, 131, 138).

L’uscita in commercio di un analogo a lunga durata d’azione (glargine) ha

modificato le prospettive terapeutiche, infatti le caratteristiche di farmacocinetica e

farmacodinamica di glargine, così simili a CSII, sono risultate un cambio radicale di

terapia insulinica nel DM1.

La disponibilità di glargine ha reso, difatti, necessario il confronto tra CSII e MDI

con glargine come basale, ma per il momento gli studi di confronto non permettono

di trarre conclusioni definitive in merito alla superiorità di uno dei due trattamenti

per quanto riguarda il controllo metabolico. I trial randomizzati sembrano, però,

suggerire che la CSII riduce la glicemia media, la variabilità glicemica e il

fabbisogno insulinico più della MDI con glargine (132, 144, 145).

Da una meta-analisi eseguita da Pickup J et al. (146) in cui vengono presi in

considerazione studi randomizzati di confronto tra CSII e MDI è emerso che con il

CSII si ottiene un miglior controllo glicemico (-0,21%) e un dato simile è stato

indicato in una metanalisi del 2012 da Hsin-Chieh Yeh (riduzione media di HbA1c

0.30%) (147). Nella meta-analisi di Pickup è emerso inoltre che la differenza di

HbA1c è maggiore nei pazienti controllati in modo peggiore con MDI.

Bruttomesso et al nel 2002 (148) che ha valutato l’efficacia della terapia con CSII

nella popolazione del Veneto, prendendo in esame 139 pazienti in terapia con CSII

per un periodo di follow-up di circa 7 anni. La riduzione media di HbA1c è risultata

1.4% e tale riduzione si mantiene inalterata nel tempo.

I pazienti che utilizzano il microinfusore riferiscono una migliore qualità di vita (128,

149, 150, 151): questo è legato alla maggior flessibilità, a un minor timore

dell’ipoglicemia ed a minori fastidi quotidiani legati all’iniezione.

Per quanto riguarda l’ambito pediatrico, la terapia con CSII inizialmente è stata poco

usata a causa dei costi, delle dimensioni dei primi strumenti, delle difficoltà

psicologiche legate al fatto di indossare uno strumento visibile a tutti e della

incertezza circa l’efficacia dell’ottimizzazione del controllo glicemico. Da alcuni

anni, dopo i risultati del DCCT e grazie anche ai miglioramenti tecnologici degli

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strumenti, la terapia del DM1 nei bambini e negli adolescenti si avvale sempre più

frequentemente della CSII (130).

Il Benefit Adolescent Control (ABC’s) Study condotto da Grey e al. (152) ha

confrontato retrospettivamente gli effetti dei due tipi di trattamento insulinico in

adolescenti con DM1 tra i 12 e 20 anni, e ha dimostrato una superiorità di CSII in

termini di riduzione di HbA1c (media 0,9%) e delle ipoglicemie severe rispetto a

terapia intensiva multi-iniettiva.

Molti studi confermano il miglioramento del controllo metabolico con il passaggio

da MDI a CSII, dimostrando che con il microinfusore si ha una riduzione

dell’HbA1c (da 0,2% a 0,9%) (153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 130) e una minore

incidenza di ipoglicemie sia lievi che moderate e severe (133, 139, 147, 160, 161,

162).

Inoltre è stato valutato l’utilizzo della pompa insulinica dal momento della diagnosi e

uno studio randomizzato condotto su 30 bambini (età media) di nuova diagnosi ha

osservato che dopo 2 anni di terapia si registravano valori di Hba1c inferiori nel

braccio con la CSII rispetto al braccio della terapia multi-iniettiva (163). E’ stato

interessante, peraltro, notare che la CSII è stata ben accettata dai piccoli pazienti.

Ovviamente, i primi CSII erano meno tecnologicamente avanzati (unica velocità di

somministrazione e set infusionali metallici) rispetto a quelli attualmente in uso (fino

a 48 diverse velocità di infusione basale, possibilità di impostare microdosi

insuliniche, possibilità di utilizzare funzioni avanzate volte a migliorare il controllo

glicemico, set infusionali biocompatibili).

I microinfusori di ultima generazione (Smart Pumps) inoltre sono dotati di diverse

funzioni avanzate che, se ben utilizzate, possono aiutare il paziente a gestire in modo

sereno ed efficace la terapia insulinica (164). Si caratterizzano per la notevole

precisione, per la sicurezza nell’erogazione, per la presenza di numerosi allarmi e per

essere dotate di una serie di funzioni superiori (boli di diverso tipo, calcolo

dell’insulina residua, calcolatore di bolo pasto/correzione, profili alternativi, velocità

estemporanee) che permettono al paziente una gestione facilitata e una maggiore

precisione. Inoltre le Smart Pumps possono “parlare” con i glucometri, ossia ricevere

da questi i valori glicemici registrati.

Questi microinfusori sono dotati di una funzione di supporto decisionale che

consente al paziente di ricevere, al momento della somministrazione del bolo o

supplemento insulinico, un consiglio razionale, sulla quantità d’insulina necessaria al

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raggiungimento del target glicemico. Questo consiglio si basa sul valore glicemico

riscontrato all’autocontrollo e sul quantitativo di carboidrati che si desidera

introdurre con il pasto. L’ipotesi che un supporto decisionale, fosse un metodo valido

per migliorare il controllo glicemico postprandiale, è stato accertato in uno studio

randomizzato in cross-over, della durata di 4 settimane (165). Al termine dello studio

entrambe le modalità di valutazione del bolo (calcolatore di bolo e bolo

convenzionale) si sono dimostrate in grado di raggiungere il target glicemico, ma

l’utilizzo del calcolatore di bolo ha consentito di ottenere l’obiettivo glicemico

postprandiale con un numero inferiore di correzioni insuliniche o di integrazioni di

carboidrati. Inoltre, in seguito, uno studio condotto da Klupa et al. (166) ha

confermato che il calcolatore di boli migliora sia la glicemia pre- che post-prandiale

andando a ridurre così la variabilità glicemica.

Alcuni autori hanno valutato, inoltre, le ripercussioni della terapia con microinfusore

sulla qualità delle vita dei pazienti. Una review della Cochrane conclude che i

pazienti preferiscono la terapia insulinica con microinfusore rispetto a quella multi-

iniettiva, sia per quando riguarda la soddisfazione terapeutica, ma anche per la

qualità della vita e la percezione della salute generale e mentale di questi pazienti

(167).

Questo tipo di trattamento viene prescritto in pazienti ben selezionati che, nonostante

una buona gestione della terapia insulinica multiniettiva, presenta alcuni problemi nel

controllo della loro malattia (Tabella 2).

Classe 1 Classe 2 Classe 3

● DM instabile (escursioni

glicemiche compresi, ricorrenti

DKA)

● Fenomeno alba

● Frequenti ipoglicemie severe

e/o unawareness, elevata

sensibilità insulinica.

● Popolazioni speciali (ad es.,

programmazione gravidanza,

bambini, adolescenti con

problemi alimentari, atleti

competitivi).

Pazienti con DM1 con terapia

insulinica MDI ottimizzata,

indipendentemente dal loro livello

di controllo glicemico che, dopo

attenta considerazione, viene

ritenuta opportuna terapia con

CSII.

Pazienti DM2 insulino-trattati che

soddisfano qualsiasi o tutti i

seguenti requisiti:

• C-peptide positivo, ma senza

controllo ottimale

•Fenomeno alba

• Stile di vita irregolare (ad es.,

frequenti viaggi, turno di lavoro,

orari imprevedibili con difficoltà

di mantenere i tempi deipasti)

• Insulino-resistenza

Pazienti con altri tipi di diabete

(ad es., post-pancreasectomia).

Tabella 2. Criteri di valutazione per intraprendere terapia insulinica con microinfusore

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Per avere successo in questa forma di terapia è, comunque molto importante che i

pazienti siano molto motivati, eseguano accurato autocontrollo glicemico mediante

glucostick, seguano un programma di pianificazione alimentare, siano seguiti da un

team medico-infermieristico-dietistico specializzato, e che siano ben educati alla

gestione delle apparecchiature e alla risoluzioni di eventuali problemi intercorrenti

come, per esempio, risoluzione di una ipoglicemia, correzione di una iperglicemia,

gestione della terapia nel caso di malattie concomitanti, nel caso di esercizio fisico o

nel caso di guasto dell’apparecchiatura.

I medici devono essere disposti a interrompere la terapia con microinfusore quando

questa non riesce a fornire al paziente i benefici previsti, ad esempio, nel raro caso di

"abusi pompa" che amano la loro pompa, ma hanno cronicamente e gravemente

livelli di glucosio incontrollati.

Come su detto, l’automonitoraggio glicemico, nei pazienti in terapia insulinica, è lo

strumento fondamentale per il controllo metabolico in quanto ci consente di accertare

o correggere un episodio di iper- o ipo-glicemia e conseguentemente di modificare la

dose di insulina.

La registrazione glicemica domiciliare è effettuata mediante glucometro, purtroppo

tale metodo non offre una valutazione completa dell’andamento glicemico

giornaliero. Pertanto, da molti anni l’attenzione è stata rivolta alla messa a punto di

sistemi di registrazione per il monitoraggio continuo del glucosio (CGM), che

consistono nella rilevazione continua attraverso specifici sensori dei livelli di

glucosio nel fluido interstiziale. Il monitoraggio in continuo può essere l’arma in più

da utilizzare per ridurre sia l’HbA1c che la variabilità glicemica poiché consente di

entrare più in dettaglio nelle dinamiche del controllo glicemico rispetto all’utilizzo

del solo automonitoraggio mediante sticks.

Il sensore contiene l’enzima glucosio ossidasi che trasforma il glucosio in segnale

elettrico (2 e-) proporzionale alla concentrazione di glucosio.

Una volta che il sensore è nel sottocute il liquido interstiziale inizia a bagnarlo.

L’elettrodo deve essere completamente bagnato prima di iniziare il processo di

inizializzazione.

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Il glucosio interstiziale (G2) è in stretta correlazione con il glucosio ematico (G1).

Il monitoraggio in continuo può essere attuato in due modalità: retrospettivo e Real-

time (RT-CGM). Quest’ultimo più orientato al paziente al fine di interpretare i dati in

reale quale base per la gestione della malattia ed ottimizzare il trattamento.

Poiché l’aggiunta del sistema di CGM alla SMBG aggiunge dei costi di gestione

della malattia diabetica, negli ultimi 10 anni sono stati eseguiti numerosi studi al fine

di determinare i costi/benefici di questo tipo di gestione indipendentemente dal

trattamento insulinico seguito.

Numerosi studi hanno mostrato che nel DM1 l’uso di CGM riduce in modo

significativo la frequenza delle ipoglicemie severe (168, 169), e determina un

miglioramento del controllo metabolico (HbA1c) (170, 171).

Interessante notare che il miglioramento di HbA1c è stato rilevato non solo nei

pazienti con diabete mal controllato, ma anche in soggetti con un buon controllo

glicemico. In uno studio multicentrico promosso dalla Juvenile Diabetes Research

Foundation (JDRF) (172) la superiorità di CGM su SBGM in termini di riduzione di

HbA1c è stato osservato sia nel trattamento MDI sia con CSII, inoltre il

miglioramento del controllo glicemico si è ottenuto con l’uso prolungato e costante

del sensore.

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Simili dati sull’efficacia di CGM sono stati presentati da Choudhary et al. (173),

questi autori hanno condotto uno studio in cui il CGM è stato posizionato su 35

pazienti con DM1 con ipoglicemie asintomatiche. In questi pazienti è stata valutata la

frequenza di ipoglicemie al basale e dopo 12 mesi. Durante il periodo di

osservazione l’HbA1c non è variata (7,9 2,7 vs 7,9 2,2%) mentre si è osservata

una riduzione del numero di ipoglicemie severe da 3,8 4,1 a 0,9 1,6 episodi/anno.

Questi dati sono un’ulteriore conferma che il CGM può essere utile per ridurre le

ipoglicemie ed i rischi ad essa correlati.

Nonostante le innumerevoli potenzialità di questa tecnologia e la continua

produzione di evidenze di efficacia clinica, l’adozione del real-time CGM in Italia

rimane limitata ed eterogenea tra le diverse regioni e all’interno della stessa regione

tra i diversi Servizi di diabetologia. In un ottica di sempre maggiore attenzione

all’ottimizzazione delle risorse economiche e organizzative, trattandosi di una

metodica costosa e time-consuming, la mancata individuazione di indicazioni precise

e adeguatamente circostanziate sul suo utilizzo potrebbero generare ulteriori ostacoli

alla diffusione. Al fine di superare queste barriere, negli ultimi anni numerose società

scientifiche hanno adottato approcci evidence-based mirati alla elaborazione di

indicazioni all’utilizzo e/o di linee guida che garantiscano un utilizzo efficace ed

efficiente del RT-CGM.

Recentemente un gruppo di esperti italiani (174), attingendo oltre che alle evidenze

cliniche anche alla pratica clinica quotidiana, ha cercato di individuare, alla luce dei

diversi pattern metabolici, schemi di trattamento, stili di vita ed evidenze cliniche

disponibili, i criteri di identificazione dei pazienti eleggibili al trattamento con RT-

CGM. Sono state suddivise in 3 macro-categorie: pazienti pediatrici/adolescenti,

pazienti adulti e donne in gravidanza o nel pre-concepimento.

Pazienti con DM1 di età < 18anni:

in terapia con CSII;

con ipoglicemia: severa RT-CGM fortemente raccomandato; frequente, ricorrente,

inavvertita RT-CGM raccomandato;

con più di 10 SMBG al giorno;

con elevata variabilità glicemica, indipendentemente dal valore di HbA1c;

con HbA1c <7% in cui si renda necessario minimizzare il rischio di ipoglicemia.

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Adulti con DMT1:

in terapia con microinfusore e HbA1c > 8% (> 64 mmol/mol), o

con ipoglicemia: • severa → RT-CGM, fortemente raccomandato;

•frequente, ricorrente, inavvertita → RT-CGM, raccomandato;

con diabete instabile per cui si rendono necessari frequenti accessi al pronto soccorso

e ospedalizzazioni;

in presenza di discrepanza tra i valori glicemici riscontrati con SMBG e il valore di

HbA1c.

Donne in programmazione di gravidanza con HbA1c > 7,0% (> 53 mmol/mol) e

donne in gravidanza con HbA1c > 6,0% (> 42 mmol/mol). (Indicazione per cui

l’evidenza clinica e ancora in sviluppo e per cui risulta più determinante il parere del

gruppo di esperti).

Attualmente sono disponibili sistemi di monitoraggio continuo del glucosio

indipendenti e sistemi di monitoraggio integrati con il microinfusore d’insulina.

Il sistema integrato Sensor-Augmented Pump (SAP), rappresenta la soluzione più

evoluta nella gestione del Diabete tipo 1 (DMT1) e appare di grande rilevanza per

migliorare l’effetto “altalena” della glicemia. Questo sistema è costituito da un

sensore sottocutaneo per il controllo in continuo della glicemia (CGM) collegato a un

trasmettitore telemetrico che invia automaticamente al CSII le misurazioni

glicemiche. Inoltre sulla base della tendenza glicemica e con l’ausilio di allarmi

sonori e visivi, aiuta a prevenire eventuali episodi di ipo- o iperglicemia.

Uno studio che ha confrontato CSII con e senza CGM ha evidenziato benefici

maggiori nei soggetti che utilizzavano in CGM per un tempo >70% (175,176).

La Cochrane Collaboration ha recentemente pubblicato una revisione degli studi

condotti fino al 2011 (177). Le considerazioni emerse possono essere sintetizzate

come segue.

Bambini: rispetto al SMBG, il RT-CGM consente a un maggior numero di pazienti

di ridurre l’HbA1c di almeno 0,5% già dopo i primi 3 mesi di utilizzo. L’entità della

riduzione è tanto più importante quanto maggiore è la compliance al monitoraggio

continuo, cioè quanto più tempo viene utilizzato il sensore.

Adolescenti: in pazienti che utilizzano il microinfusore per insulina, il RT-CGM

consente dopo 12 mesi di ridurre l’HbA1c dello 0,4% in più rispetto al SMBG.

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Adulti: rispetto al SMBG il RT-CGM dimostra un miglioramento della HbA1c

significativamente maggiore sia nel breve che nel lungo periodo. Anche in questi casi

il risultato è correlato alla compliance.

Gli autori hanno concluso che, in pazienti scarsamente controllati, il sistema

integrato SAP è più efficace della sola terapia con CSII nel determinare un

miglioramento della HbA1c.

Lo studio STAR 3 (Sensor-augmented pump Therapy for A1c Reduction) (178), nato

per dare una risposta chiara al quesito sulla reale efficacia del sistema integrato SAP

in confronto al più moderno schema di trattamento multi-iniettivo con analoghi

dell’insulina rapidi e lenti, ha dimostrato che l’utilizzo del sistema integrato era

associato ad una riduzione della HbA1c di 0,8% rispetto al basale ed a una differenza

di 0,6% rispetto a MDI. Questo miglioramento della HbA1c non era associato ad un

incremento dell’incidenza di ipoglicemia, indicando quindi l’efficacia del sistema di

ridurre significativamente l’iperglicemia.

Risultati analoghi sono emersi nello studio SWITCH (Sensing With Insulin pump

Therapy to Control HbA1c) (179), in cui è stata valutata l’efficacia del CGM su 153

pazienti con DM1 in terapia con CSII non adeguatamente controllati. Questi pazienti

sono stati randomizzati a 6 mesi di CGM attraverso un sensore e a 6 mesi di non

CGM con 4 mesi di intervallo tra le due fasi, con l’obiettivo primario di valutare la

variazione di HbA1c tra il periodo con e senza sensore. Alla fine dello studio la

differenza di HbA1c tra il periodo con e senza sensore è stata di -0,41% (p<0,001)

negli adulti e -0,46% (p< 0,001) nei bambini. Non si sono osservate differenze nel

numero di ipoglicemie, anche se il tempo passato con glicemie <70mg/dl è risultato

inferiore nei 6 mesi in cui è stato usato il sensore (19 vs 31 min/die; p=0,009).

Questo studio suggerisce, quindi, che il CGM possa portare ad una riduzione di

HbA1c e ad una riduzione del tempo passato in ipoglicemia. Nel medesimo studio

inoltre è stato dimostrato che durante i 6 mesi di SAP aumentava il numero di boli

tradizionali, di boli Wizard e il numero di velocità basali temporanee, così come

l’utilizzo della modalità di sospensione dell’infusione.

Dimostrando pertanto come il CGM porta anche ad una maggiore consapevolezza

della propria glicemia da parte del paziente che è portato ad adeguare la terapia

insulinica sulla base dei valori glicemici riscontrati. Inoltre gli stessi autori hanno

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riscontrato che CGM aumenta anche il grado di soddisfazione dei pazienti poiché

migliora la qualità della vita.

Al contrario, studi hanno osservato che la qualità della vita con CGM non cambia

rispetto a SMBG, in quanto i pazienti hanno manifestato con il sensore un senso di

frustrazione, troppe informazioni da ricordare.

Il sistema integrato SAP è stato studiato anche in età pediatrica rilevandosi un

sistema sicuro ed efficace con miglioramento della HbA1c (solo nei pazienti con

HbA1c iniziale > 7,5%) e una riduzione del numero di ipoglicemie (180).

Il sistema integrato porta, quindi, la gestione del diabete a un nuovo livello, e per la

prima volta il sistema è dotato di un meccanismo di sospensione automatica di

erogazione dell’insulina (low glucose suspend; LGS) in caso di ipoglicemia

(Paradigm Veo, Medtronic). L’esperienza di tale dispositivo è ancora limitata, ma

recenti dati sulla riduzione delle ipoglicemie sono incoraggianti. Infatti Ly et al.

(181) hanno dimostrato che il sistema SAP con LGS riduce il numero di ipoglicemie

severe e moderate nei pazienti con DM1 e ipoglicemie asintomatiche.

Un studio condotto da Choudhary et al. ha esaminato l’utilità del sistema di

sospensione sugli eventi ipoglicemici nel corso di due periodi consecutivi: durante il

periodo iniziale di 2 settimane non è stato attivato il sistema di sospensione di

insulina, successivamente, durante un secondo periodo di 3 settimane, il LGS è stato

abilitato. I risultati hanno mostrato che, nei pazienti ad alto rischio di ipoglicemia, la

funzione LGS ha ridotto significativamente la durata delle ipoglicemie notturne

senza rimbalzo iperglicemico o chetosi (182); tali dati sono stati confermati dal

recente studio ASPIRE (183).

Inoltre, risultati simili sono stati riportati in un altro studio condotto in bambini e

adolescenti diabetici (184).

CSII in gravidanza

Le raccomandazioni internazionali di cura del diabete sottolineano la necessità di un

controllo metabolico ottimale fin dal concepimento e per tutta la gravidanza per un

outcome materno-fetale favorevole. Infatti, i risultati del DCCT (185) (che hanno

dimostrato una riduzione dell’abortività e delle malformazioni nelle gravidanze di

pazienti con diabete tipo 1 in trattamento intensivo) e le raccomandazioni

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internazionali di cura del diabete (186) “impongono” un buon controllo metabolico

(HbA1c < 7,0%) dal concepimento e per tutta la gravidanza, per un esito favorevole

sia per la madre sia per il figlio (187).

Nonostante la scarsità di studi clinici in gravidanza, il microinfusore di insulina

(continuous subcutaneous insulin infusion, CSII) rimane tuttora, per alcuni esperti, la

prima scelta nel trattamento del diabete di tipo 1 e può essere uno strumento efficace

in donne gravide altamente selezionate. È stato dimostrato che le donne in terapia

con microinfusore in gravidanza nel periodo successivo al parto mantengono un

migliore controllo glicemico. Gli studi dimostrano che le donne in trattamento con

CSII durante la gravidanza rispetto alle donne in terapia insulinica multiniettiva

(multiple daily injections, MDI), ottengono il miglioramento metabolico più

velocemente, presentano un fabbisogno insulinico inferiore e un ridotto numero di

ipoglicemie, e al termine della gravidanza presentano un controllo metabolico

migliore.

I dati in letteratura circa la sicurezza e l’efficacia dell’utilizzo del microinfusore di

insulina in gravidanza forniscono risultati contrastanti, ma è importante sottolineare

che molti studi sono stati eseguiti nei primi anni ottanta, quando la terapia insulinica

continua veniva applicata con CSII meno tecnologicamente avanzati (unica velocità

di somministrazione e set infusionali metallici) di quelli attualmente in uso (fino a 48

diverse velocità di infusione basale, possibilità di impostare microdosi insuliniche,

possibilità di utilizzare funzioni avanzate volte a migliorare il controllo glicemico,

set infusionali biocompatibili). Recentemente Gonzalez-Romero et al. (188) hanno

condotto uno studio su 64 donne in gravidanza affette da DM1. Non sono emerse

differenze tra il gruppo che utilizzava CSII ed il gruppo in terapia insulinica multi-

iniettiva per quanto riguarda controllo metabolico ed outcome fetale. Allo stesso

modo, una nostra osservazione (189) che ha confrontato retrospettivamente gli effetti

dei due tipi di trattamento in donne con DM1, non ha mostrato differenze nei

parametri del controllo metabolico e dell’outcome della gravidanza.

Sebbene gli studi pubblicati apparentemente dimostrano che la terapia con CSII non

è superiore al MDI nel DM1, numerosi studi portano ulteriori dati confortanti: in

donne con DM1 pregravidico in trattamento con CSII le ipoglicemie sono meno

frequenti, la stabilizzazione del controllo glicemico si ottiene con maggiore facilità e

soprattutto non si evidenziano gli outcome potenzialmente avversi legati a una classe

White più elevata.

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A parità di controllo glicemico, la CSII potrebbe risultare preferibile alla MDI perché

facilita la gestione della nausea mattutina e dell’iperemesi gravidica, riduce la

frequenza degli episodi ipoglicemici, riduce la variabilità glicemica, facilita il

trattamento del dawn phenomenon, che aumenta in gravidanza, e semplifica la

gestione della terapia insulinica nel postpartum.

L’uso del microinfusore in gravidanza ha registrato negli ultimi anni un progressivo

incremento ed il suo impiego viene raccomandato specie in fase di programmazione.

Tuttavia, Gadde et al. (190) hanno dimostrato che è possibile introdurre, in modo

sicuro, il CSII durante la gravidanza. Inoltre, sottolinea che la CSII potrebbe essere

particolarmente utile in gravidanza perché con il microinfusore il bolo può essere

modificato in modo da rispondere al più lento assorbimento di nutrienti associato con

il ritardato svuotamento gastrico presente in gravidanza (Tabella 3).

Tabella 3. Vantaggi dell’uso del microinfusore durante la gravidanza

Il National Institute for Clinical Exellence (191) raccomanda l’uso del microinfusore

in previsione o durante la gravidanza in pazienti con diabete tipo 1 che non abbiano

raggiunto l’obiettivo metabolico (HbA1c > 7,5% o, se presente microalbuminuria, >

6,5%) con la terapia MDI, ma a patto che siano seguite da un team specializzato

(medico esperto in CSII, infermiere e dietista “dedicati” alla cura del diabete). Così il

Position Statement dell’American Diabetes Association (ADA) (192) ne indica

l’impiego in gravidanza in pazienti che vogliano migliorare il controllo metabolico o

che desiderino una maggiore flessibilità nei pasti e nelle attività.

1. L’infusione continua di insulina, rispetto alla terapia multiiniettiva, riduce le escursioni

glicemiche

2. La possibilità di regolare finemente la velocità dell’infusione basale di insulina può ridurre

il rischio di ipoglicemia notturna o di iperglicemia al risveglio

3. La paziente ha maggiore libertà nel proprio stile di vita e maggiore flessibilità con la dieta

4. Le gravide spesso presentano uno svuotamento gastrico ritardato che può essere

compensato somministrando boli a onda quadra

5. Aumenta la soddisfazione della paziente e si intensifica il contatto con il team che la segue

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Raccomandazioni Fonti

Programmazione di gravidanza o gravidanza di pazienti con un controllo

metabolico non soddisfacente (HbA1c > 7,5% o, se microalbuminuriche, >

6,5%), se follow-up intensivo sotto il controllo di un team specializzato

(medico esperto in CSII, infermiere e dietista “dedicati” alla cura del diabete).

National Inst Clinical

Excellence 2003

Pazienti che desiderano una maggiore flessibilità nello stile di vita e nella

dieta Pazienti con un controllo metabolico non soddisfacente

ADA 2004

Non c’è ancora molta esperienza sull’uso del CGM in gravidanza. In letteratura

esiste solo uno studio prospettico britannico (193) che ha valutato l’efficacia del

monitoraggio in continuo della glicemia in gravidanza sul compenso glicemico

materno e sugli outcome gravidici. Secondo gli autori i nuovi dispositivi di

monitoraggio consentirebbero di ridurre le complicanze gravidiche grazie ad un

miglior controllo delle escursioni glicemiche post-prandiali, ma non vi sono dati

dell’uso del sistema integrato in gravidanza ne dati certi sul suo ruolo nel prevenire

le ipoglicemie asintomatiche, anche nei soggetti non in gravidanza. Infatti, alcuni

lavori non mostrano la superiorità del sistema SAP rispetto alla terapia MDI in

termini di riduzione delle ipoglicemie asintomatiche mentre altri lavori, in

particolare, report più recenti, mostrano dati incoraggianti.

Il futuro della tecnologia….

Come detto attualmente il CGM e il microinfusore possono essere combinati a

formare un “sistema integrato” (sensor augmented pump, SAP) dove il

microinfusore, oltre a infondere insulina attraverso il set da infusione, funge anche da

ricevitore per le glicemie lette real-time, dal sensore, e trasmesse al microinfusore via

radiofrequenza.

Da tempo c’è l’idea di rimpiazzare la funzione beta-cellulare deficitaria con il

pancreas artificiale, cioè con un sistema automatico in grado di regolare la

somministrazione di insulina in base ai valori glicemici, senza la supervisione del

paziente.

Il pancreas artificiale, noto anche come sistema di infusione ad ansa chiusa (closed

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loop), è un sistema costituito da 3 componenti interconnessi: un sensore per la lettura

in continuo della glicemia, un microinfusore che infonde insulina e un algoritmo

matematico di controllo (Figura 7).

Figura 7. Componenti del Pancreas Artificiale

La componente chiave del pancreas artificiale è l’algoritmo di controllo che

stabilisce l’infusione di insulina in base ai livelli glicemici tenendo conto di possibili

errori di misura intrinseci e ritardi di cinetica.

Lo sviluppo del pancreas artificiale è stato ostacolato da una non ottimale

accuratezza e affidabilità dei dispositivi per CGM, dal relativamente lento

assorbimento dell’insulina somministrata sottocute e dalla mancanza di algoritmi che

tenessero in conto di queste imperfezioni e anche della variabilità tra e intra-soggetti.

Uno dei maggiori ostacoli per il closed loop è una non ottimale accuratezza e

affidabilità dei dispositivi CGM.

Il sensore per il CGM misura il glucosio nello spazio interstiziale, mentre il

glucometro misura il glucosio nei vasi sanguigni. Poiché queste due aree sono

fisicamente separate il glucosio impiega tempo a passare dall’una all’altra. Quando i

livelli di glucosio sono stabili, come a digiuno, i livelli di glucosio sono pressoché

identici nello spazio interstiziale e nei capillari. Quando invece i livelli di glucosio

cambiano rapidamente, come dopo i pasti, il sensore del glucosio potrebbe avere un

ritardo rispetto al glucometro per via del tempo che impiega il glucosio a passare dai

capillari allo spazio interstiziale. Questo ritardo, chiamato lag-time, è dovuto in parte

al ritardo fisiologico cui abbiamo accennato (sensore indipendente), in parte a un

ritardo tecnologico (tecniche di elaborazione dei dati) (194).

Dal punto di vista del closed loop più importanti delle differenze temporali sono le

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deviazioni transitorie e persistenti tra i valori glicemici misurati dal sensore e gli

effettivi valori glicemici plasmatici. Le deviazioni transitorie si manifestano nell’arco

di 1-4 ore e potrebbero essere correlate a una transitoria perdita o aumento di

sensibilità del sensore e a perturbazioni meccaniche, incluso lo sposizionamento

temporaneo del sensore. Quando il sensore del glucosio sottostima i valori glicemici

plasmatici si parla di drop out. Durante il closed loop potrebbe verificarsi

temporaneamente una riduzione nella somministrazione di insulina, ma è

improbabile che si manifesti un’iperglicemia protratta perché, non appena i livelli del

sensore riprendono, può essere somministrata insulina addizionale.

Le deviazioni persistenti sono causate principalmente da errate calibrazioni fatte con

la glicemia capillare, da un algoritmo di calibrazione inappropriato, da un

cambiamento di sensibilità del sensore. Quando, durante il closed loop, il sensore

sovrastima il valore glicemico plasmatico, le deviazioni persistenti rappresentano un

grande problema perché potrebbe verificarsi un eccessivo rilascio di insulina con

conseguente ipoglicemia.

Le deviazioni persistenti si verificano generalmente tra due calibrazioni successive e

potrebbero durare anche fino a 12-48 ore a seconda del momento previsto di

calibrazione (195).

Dopo la somministrazione di un bolo di analogo ci vogliono circa 90-120 minuti

perché l’insulina raggiunga il suo massimo effetto ipoglicemizzante, e la sua azione

può continuare ben oltre questo picco. La somministrazione di molteplici boli di

correzione in stretta sequenza causa accumulo di insulina e un alto rischio di

ipoglicemia che, se non considerato dall’algoritmo di controllo, può diventare una

vera sfida per i sistemi closed loop (196). Alti livelli glicemici potrebbero dover

essere normalizzati lentamente anche durante la somministrazione in closed loop,

rendendo più complicato il controllo glicemico post-prandiale. Il controllo durante e

dopo l’attività fisica può richiedere l’assunzione preventiva di carboidrati o il

trattamento biormonale per eliminare il rischio di ipoglicemia.

Nonostante questi problemi, la via sottocutanea è la via di somministrazione

insulinica privilegiata nei modelli correnti di pancreas artificiale, anche grazie al

fatto che vi è una crescente popolazione di pazienti in terapia con microinfusore sulla

cui esperienza ci si può basare.

L’assorbimento e l’azione dell’insulina variano nello stesso individuo e tra un

individuo e l’altro, rendendo ardua l’identificazione individuale del fabbisogno

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insulinico ottimale (197). È stato visto che la farmacocinetica degli analoghi rapidi

può variare fino a 4 volte tra soggetti diversi e fino al 50% nello stesso soggetto in

determinate occasioni.

La variabilità del fabbisogno insulinico tra soggetti è attribuibile a fattori che

influenzano la sensibilità insulinica come il peso corporeo, l’età, il sesso, l’attività

fisica e il fumo. La variabilità intra-soggetto include variazioni dell’insulino-

sensibilità da un giorno all’altro e da un’ora a un’altra a causa di ritmi circadiani,

fenomeno dell’alba, attività fisica, malattie intercorrenti, stress ecc. (195).

Queste variazioni si possono verificare anche durante il closed loop e vanno perciò

compensate.

Nonostante risultati clinici incoraggianti, serviranno ancora molti trial clinici prima

che il pancreas artificiale possa diventare una realtà. Ci sono però ancora molte sfide

da superare. Dal punto di vista tecnologico, oltre all’affinamento degli algoritmi in

uso, il futuro porterà miglioramenti negli strumenti CGM, i cui punti deboli attuali

sono la calibrazione, la capacità di “leggere” cambi rapidi dei livelli di glucosio, una

scarsa sensibilità ai livelli bassi di glucosio. Anche le pompe e le formulazioni

insuliniche dovranno migliorare se si vorranno raggiungere livelli soddisfacenti di

precisione nel controllo.

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Terapia con microinfusore…la realtà in Italia.

La terapia insulinica sottocutanea continua mediante microinfusore (CSII)

ampiamente utilizzata nella pratica clinica: si calcola che nel mondo vi siano più di

200.000 diabetici in terapia con microinfusore (stima approssimativa in base alle

vendite), più di 130.000 solo negli Stati Uniti (198).

Il ricorso alla CSII cambia peraltro da paese a paese. Infatti vi sono Nazioni come gli

Stati Uniti o la Germania, che hanno registrato, dal ’93 al ’99, un incremento annuo

di pazienti in CSII pari al 40% (199), e ve ne sono altre, come per esempio

l’Inghilterra, dove, il trattamento, nonostante un notevole incremento della richiesta,

è ancora limitato a poche centinaia di pazienti (200), probabilmente per motivi

economici.

In Italia esiste fin dal 1988 una disposizione nazionale atta a uniformare su tutto il

territorio nazionale la terapia con CSII. Tale disposizione prevede che il

microinfusore sia erogato da parte del SSN, che la terapia con CSII sia prescritta solo

a pazienti appropriatamente selezionati che devono poter disporre da parte della

struttura diabetologica di “un rapporto di consulenza” in pronta disponibilità, anche

telefonica, 24 ore su 24. Tale disposizione, più volte modificata, è variamente

applicata nelle diverse regioni, cosicché accanto a regioni particolarmente attive in

questo ambito (201), ve ne sono altre in cui la CSII rimane negletta.

Una indagine nazionale pubblicata nel 2003 (202) aveva mostrato che, dopo una fase

iniziale caratterizzata da una crescita lenta, il numero di pazienti trattati con pompa

stava aumentando con velocità crescente passando da 640 alla fine del 1998 a 1513

all’inizio del 2002 (un aumento di 2,4 volte in 37 mesi).

L’ultima foto sulla diffusione di tale terapia nel nostro paese non è recentissima e

risale al 2006 (203), poiché in Italia manca un registro nazionale dei pazienti trattati

con CSII.

Tali dati sono stati raccolti attraverso un questionario inviato sia ai responsabili delle

strutture diabetologiche (reparti, servizi o ambulatori di Diabetologia) presenti in

Italia, come fatto nella precedente indagine del 2003, sia a quelle che si sono

avvicinate successivamente alla CSII. Queste ultime sono state identificate con

l’aiuto delle industrie che vendono microinfusori in Italia (Medtronic Italia, Movi-

Animas, Roche Diagnostics).

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Alla fine di aprile 2005, su 628 strutture diabetologiche, 179 seguivano pazienti in

CSII. Di queste 179 unità 145 hanno risposto al questionario, per un totale di 2702

pazienti. Tra le unità che hanno risposto, 24 (17%) seguivano pazienti pediatrici, per

un totale di 608 pazienti. Alcune unità pediatriche continuavano a seguire i loro

pazienti anche in età adulta. D’altro canto alcuni centri per adulti seguivano anche

pazienti in età pediatrica.

La distribuzione dei pazienti in terapia con microinfusore tra le diverse regioni

d’Italia era disomogenea. Alcune regioni come Lombardia, Lazio, Sardegna, Emilia

Romagna e Veneto si distinguevano per un elevato numero di pazienti.

La distribuzione dei pazienti restava eterogenea anche esprimendo i dati come

numero di pazienti in CSII per 100.000 abitanti. Infatti in Sardegna c’erano 17,4

pazienti in pompa ogni 100.000 abitanti. In Lombardia, Friuli Venezia Giulia,

Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo e Marche i pazienti in

CSII ammontavano a 5-8 per 100.000 abitanti. In Piemonte, Trentino Alto-Adige,

Puglia, Campania e Calabria vi erano 2-4,9 pazienti in CSII per 100.000 abitanti. In

due regioni (Liguria, Sicilia) vi erano veramente pochi pazienti in CSII (< 2 per

100.000 abitanti) e in tre regioni (Basilicata, Molise, Valle d’Aosta) la CSII non

pareva essere usata (Figura 8).

Figura 8. Numero di pazienti in terapia con microinfusore per 100.000 abitanti (ISTAT 2001).

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Il numero di pazienti seguiti dalle singole strutture variava di molto. Infatti, il 24%

delle strutture seguiva meno di 5 pazienti ciascuna, il 20% seguiva da 5 a 9 pazienti,

il 24% seguiva 10-19 pazienti, il 15% seguiva 20-29 pazienti, il 7% seguiva 30-49

pazienti, il 9% seguiva 50-99 pazienti. Solo 2 strutture (Padova e Brescia) avevano

più di 100 pazienti.

Come già noto, vi era una notevole differenza nell’uso della CSII tra le diverse

regioni. La discrepanza può dipendere da vari motivi: a) differenze nell’incidenza del

diabete di tipo 1, come in Sardegna dove il diabete di tipo 1 ha un’incidenza di 3-5

volte maggiore rispetto al resto d’Italia; b) differenze nell’interesse personale dei

curanti verso la CSII; c) il desiderio di evitare i costi elevati in regioni con problemi

di budget; d) mancanza di personale; e) mancanza di esperienza, abilità e

conoscenze. A tal proposito sono stati pianificati corsi nazionali di formazione alla

gestione della CSII.

Molte strutture sembrano avere poco personale. È importante che ci sia un approccio

multidisciplinare alla CSII che coinvolga l’esperienza del diabetologo,

dell’infermiera e della dietista. Queste figure professionali devono avere una

profonda conoscenza di tutti gli aspetti della terapia insulinica intensiva oltre che

della CSII. Al momento dell’indagine le strutture pediatriche sembravano meglio

equipaggiate dal punto di vista del personale dedicato alla CSII, ma vi sono ancora

alcune strutture (sia per adulti sia pediatriche) dove un solo medico è dedicato alla

CSII, senza altro personale.

Per estendere e ottimizzare l’uso della CSII sarebbe necessario più personale

specificatamente dedicato, una formazione specifica dello stesso e uno snellimento

delle procedure burocratiche al fine di dare così a molti pazienti, ove indicato, la

possibilità di dare un’alternativa alla terapia insulinica multiiniettiva.

Renard E. nel 2010 (204) ha mostrato l’andamento dell’uso della terapia con

microinfusore in Europa, mostrando che in Italia circa dei pazienti con DM1 in

terapia con CSII sono circa il 12%, posizionandosi all’ottavo posto (Figura 9).

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Figura 9. Frequenza di applicazione di CSII nei paesi Europei

Le linee guida pubblicate dal NICE raccomandano l’utilizzo del microinfusore nei

bambini di età >12 anni con frequenti episodi di ipoglicemia o inadeguato compenso

glicemico (HbA1c>8,5%). Condizione indispensabile è che i pazienti siano

seguiti sia confermato solo a fronte di un miglioramento del compenso

glicemico e una riduzione del numero degli episodi ipoglicemici. Tali indicazioni

sono riprese negli standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito 2009-2010

pubblicati da AMD-SID (205).

Poiché le linee guida internazionali suggeriscono indirizzi leggermente diversi tra di

loro. Pertanto, la Regione Lazio è l’unica regione italiana che ha redatto delle proprie

linee guida sull’utilizzo del microinfusore. Sono interessati a tale tipo di

trattamento pazienti con diabete mellito in trattamento insulinico intensivo che

necessitano di terapia insulinica mediante infusione continua sottocutanea e che

siano stati sottoposti ad un periodo di trattamento di prova per obiettivare il

miglior compenso metabolico e l’accettazione continuativa dell’apparecchio da

parte del team di cura che ha in carico il paziente (206). In tale documento le

indicazioni all’uso del CSII sono: il controllo glicemico inadeguato, malgrado

terapia insulinica intensiva multi-iniettiva (HbA1c >8.5%), anche nei bambini di

età inferiore a 12 anni; le ipoglicemie (inavvertite, notturne, severe), estrema

sensibilità insulinica (terapia insulinica <20 UI/die o < 0,4 U/kg); programmazione

della gravidanza o gravidanza in atto; necessità di flessibilità per lo stile di vita;

gastroparesi; trapianto renale. frequenza elevata di ospedalizzazioni o di visite

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ambulatoriali urgenti per episodi di scompenso acuto; difficoltà ad accettare le

iniezioni multiple (soprattutto in pediatria).

Per quanto riguarda l’impiego del monitoraggio continuo della glicemia è stato

ritenuto appropriato: per l’ottimizzazione metabolica: un utilizzo “real-time” in casi

selezionati (bambini, donne diabetiche in gravidanza, pazienti con ipoglicemia

asintomatica o frequenti ipoglicemie); per la valutazione del profilo glicemico:

un utilizzo “retrospettivo” (nei pazienti in compenso non ottimale, in presenza

di ricorrente iperglicemia al risveglio, nel sospetto di “hypoglycemia

unawareness”, nel sospetto di gastroparesi). Inoltre tale Regione ha redatto un

‘contratto di cura’ con l’impegno di ottenere un miglioramento del controllo

glicemico, eseguire l’automonitoraggio glicemico e l’impegno a controlli minimi

presso il servizio con l’autorizzazione a richiamare il paziente se non si presenta

alle visite di controllo.

…la realtà in Toscana

Il ricorso alla terapia insulinica sottocutanea continua con microinfusore (CSII) come

alternativa terapeutica alla terapia insulinica multiiniettiva (MDI) nel diabete mellito

tipo 1 (T1DM) è in progressivo aumento anche nella Regione Toscana. Nella nostra

Regione tale forma di terapia è regolata, da oltre un decennio, da una delibera

Regionale (n° 400 del 13/04/2001) nella quale si afferma che: “Le Aziende USL di

residenza dell’assistito forniscono gratuitamente in comodato d’uso i microinfusori

per somministrazione continua sottocutanea d’insulina e relativo materiale di

consumo a quegli assistiti in possesso delle autorizzazioni rilasciate dai Centri

Regionali di Riferimento (CRR) (Azienda Ospedaliera Meyer, per l’età infantile, e

l’Azienda Ospedaliera Pisana, per l’età adulta). I CRR oltre al rilascio delle

autorizzazioni al prelievo dei microinfusori, provvedono all’addestramento del

paziente e dei familiari all’uso delle apparecchiature”. Sulla stessa delibera si legge

inoltre che: “I CRR, in casi particolari….possono chiedere la collaborazione delle

strutture specialistiche di Diabetologia e Malattie del Ricambio”.

Nei primi anni di applicazione di tale delibera, i potenziali candidati a tale forma di

terapia della Regione Toscana venivano inviati, pertanto, presso il nostra Centro, per

effettuare la valutazione, l’eventuale autorizzazione alla fornitura del microinfusore e

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relativo materiale di consumo, l’educazione alla gestione di tale terapia,

l’applicazione del microinfusore e relativo follow-up o re-invio ai Centri di

Diabetologia di appartenenza. Nel corso degli anni, però sono emerse alcune

criticità. In particolare si è notato una disparità di trattamento dei pazienti residenti

nelle provincie più distanti da Pisa. Questi ultimi, appunto, come risulta da uno

studio condotto nel 2008 (207) volto a valutare l’attività dei Centri Diabetologici

della Regione Toscana, relativamente a tale forma di terapia, ricorrevano meno

frequentemente all’uso del microinfusore, fatta eccezione per alcune realtà, come

Siena e Prato, dove l’applicazione dei microinfusori e relativo follow-up veniva

effettuato dai medici dei suddetti centri, previa nostra autorizzazione, già al

momento della pubblicazione della delibera regionale. In tale studio sono stati inviati

ai Centri Diabetologici delle 12 ASL della Toscana, questionari per la raccolta dei

dati anamnestici e clinici dei soggetti portatori di microinfusore e facenti riferimento

ai singoli Servizi di Diabetologia. Al 31 dicembre 2007, i pazienti con Diabete tipo 1

in età adulta, in terapia con CSII nella Regione Toscana, sono risultati 303, così

suddivisi per ASL: 15% a Pisa, 14% a Siena, 13% a Firenze, 11% a Prato, 11% a

Livorno, 9% a Empoli, 7% a Massa, 4% a Lucca, 4% a Pistoia, 4% ad Arezzo, 4% a

Grosseto, 4% a Viareggio. L’età media dei pazienti era di 34.6±12 anni, con una

durata di diabete di 17.5±10.7 anni, un BMI pre-CSII di 25.2±3.9 kg/m2 ed un

fabbisogno insulinico giornaliero pre-CSII di 49.8±18.2 UI. Prima dell’applicazione

della pompa presentavano una glicemia basale di 229±88 mg/dl ed una HbA1c di

8.6±1.3%. Il follow-up medio è stato di 3.7±2.7 anni. Nella popolazione esaminata la

prevalenza di complicanze d'organo era: retinopatia diabetica 37%, neuropatia 23%,

nefropatia 11%, macroangiopatia 5%. Le indicazioni all’uso del microinfusore erano:

scompenso glicometabolico nel 51% dei casi, gravidanza 19%, instabilità glicemica

13%, fenomeno alba 6%, richiesta di maggiore flessibilità terapeutica 6%, frequenti

ipoglicemie o hypoglycaemia unawareness 5%. L’HbA1c dopo posizionamento del

microinfusore risultava significativamente ridotta già a 6 mesi (7.4%, p<0.0000

rispetto al periodo pre-CSII), e tale miglioramento manteneva la stessa significatività

anche a 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7 anni (rispettivamente HbA1c 7.7%, 7.4%, 7.4%, 7.5%,

7.5%, 7.7% e 7.5%). Il numero delle ipoglicemie (lievi, moderate e severe) e gli

episodi di chetoacidosi si sono ridotti significativamente (p<0.0000) dopo l’inizio

della terapia con microinfusore, così come il fabbisogno insulinico giornaliero (da

49.8 a 43.9 UI/die; p<0.0000), a fronte del mantenimento del peso corporeo iniziale.

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52

I risultati di questo studio indicano che, nell’esperienza Toscana, la terapia con CSII

è capace di migliorare significativamente il controllo metabolico del diabete, ridurre

il numero di ipoglicemie e chetoacidosi, e ridurre il fabbisogno insulinico, senza

favorire l’incremento ponderale.

I dati di questa indagine mostravano, rispetto ad un analoga valutazione svolta nel

2000, una sempre più larga diffusione della terapia con microinfusore nella nostra

Regione (208).

Sulla scorta di quanto sopra esposto, il nostro CRR ha organizzato, con cadenza

triennale dei corsi formativi per team (infermiere, dietista e diabetologo) rivolto ai

professionisti degli altri centri di diabetologia della Regione Toscana. Pertanto,

benché l’autorizzazione all’applicazione del microinfusore sia sempre competenza

del Centro Regionale di Riferimento, in questi ultimi anni numerosi Centri

Diabetologici della Toscana hanno acquisito le competenze necessarie

all’applicazione di questi strumenti, all’educazione e alla formazione dei pazienti ed

al loro successivo monitoraggio.

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53

Scopo dello studio

Scopo di questo lavoro è stato quello di valutare lo stato attuale della terapia

insulinica con microinfusore, in soggetti affetti da diabete mellito tipo 1, nella

Regione Toscana, sia per quanto riguarda il suo grado di diffusione che, all’interno

della coorte dei pazienti seguiti presso l’U.O. Malattie Metaboliche e Diabetologia

dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP), attuale Centro Regionale di

Riferimento per la Cura del Diabete dell’età Adulta (CRRDA), degli effetti

metabolici, le ripercussioni sull’evoluzione delle complicanze d’organo e l’utilizzo in

alcune condizioni particolari.

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54

Pazienti e Metodi

I soggetti valutati in questo studio sono tutti affetti da diabete mellito tipo 1,

precedentemente trattati con insulina secondo schema basal-bolus, con difficoltà a

raggiungere gli obiettivi glicemici prefissati, inviati per valutare l’idoneità

all’utilizzo del microinfusore per la terapia insulinica. La valutazione è stata eseguita

tenendo conto delle linee-guida internazionali e SID-AMD.

Gli aspetti valutati nel nostro studio sono stati:

1. Attività dei vari centri diabetologici della Regione Toscana, valutata come

numero di pazienti avviati alla terapia con microinfusore.

2. Nella coorte di pazienti seguiti presso il CRRDA,

a. Indicazioni alla terapia con microinfusore

b. Capacità gestionale dei pazienti

i. Utilizzo delle funzioni avanzate del microinfusore

ii. Utilizzo di tecniche di pianificazioni alimentari

1. Dieta a contenuto fisso di carboidrati

2. Dieta libera con Calcolo dei carboidrati

c. effetti metabolici a lungo termine della terapia insulinica con CSII

i. HbA1c

ii. N° ipoglicemie

iii. Episodi di chetoacidosi

iv. Fabbisogno insulinico

v. BMI

vi. Prevalenza delle complicanze micro- e macro-angiopatiche e

loro evoluzione

d. Eventuali sospensione della terapia e sue motivazioni

e. L'utilità dell’associazione, alla terapia con CSII, del monitoraggio in

continuo della glicemia, con sistema integrato (sensor-augmented

pump; SAP), in soggetti con ipoglicemie asintomatiche.

f. Correlazione tra controllo glicemico e variabilità della HbA1c ed

evoluzione di retinopatia diabetica e nefropatia diabetica.

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55

I dati relativi all’evoluzione prescrittiva dei microinfusori sono stati desunti dal

database del CRRDA. Per i soggetti seguiti presso il CRRDA i risultati ottenuti sono

stati paragonati ai dati rilevati nel periodo di terapia multiiniettiva (MDI) precedente

al posizionamento del microinfusore.

Per quanto riguarda lo studio delle complicanze micro-angiopatiche, la retinopatia è

stata studiata mediante foto con retinografo non midriatico e classificata in accordo

con lo studio EURODIAB in: assenza di retinopatia, retinopatia non proliferante e

retinopatia proliferante e/o laser trattata. Il miglioramento o peggioramento della

malattia retinica definita come variazione di almeno un livello della classificazione

EURODIAB.

La nefropatia, invece, definita, come proposto dalla National Kidney Foundation

(209) (Tabella 4.) dalla presenza di anomalie strutturali o funzionali del rene che

perdurano per oltre 3 mesi e che si manifestano come: danno renale, con o senza

diminuzione del FG, inteso come anomalie isto-patologiche renali o presenza di

marcatori urinari o ematici di danno renale oppure presenza di alterazioni

evidenziabili con metodiche di imaging; eGFR <60 ml/min/1,73 m2

con o senza

danno renale.

Stadio Descrizione GFR (ml/min/1,73

m2)

1 Danno renale* con GFR normale o

aumetato

90

2 Danno renale* con GFR lievemente

ridotto

60-89

3 IR moderata 30-59

4 IR severa 15-29

5 Insufficienza renale terminale < 15

* il danno renale è definito dalla presenza di albuminuria, anormalità del sedimento urinario o

ematochimiche o degli esami strumentali

Tabella 4. Stadi della malattia renale cronica secondo la National Kidney Foundation

La valutazione dell’escrezione urinaria di albumina (AER) valutata con la

misurazione su urine “early-morning” del rapporto albuminuria/creatinuria (albumin-

to-creatinine ratio, ACR) e definita:

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56

AER

(mg/24 ore)

AER

( g/min)

ACR

( g/mg

o mg/g)

Normoalbuminuria < 30 < 20 < 30

Microalbuminuria 30-299 20-199 30-299

Macroalbuminiria 300 200 300

Il miglioramento o peggioramento della nefropatia è definito come il passaggio da

normoalbuminuria a micro- o macro-albuminria, o riduzione di eGFR.

L’ipoglicemia è definita come valori di glicemia < 70 mg/dl, e in base alla presenza

di sintomi. È stata classificata in lieve, moderata, severa e asintomatica (Tabella 5)

ed il numero di episodi di ipoglicemia lieve, moderata e severa è stato desunto dal

diario dell’autocontrollo glicemico, cartaceo o elettronico, dei pazienti esaminati,

mentre le ipoglicemie severe erano documentate da referti medici.

Lieve presenti i sintomi autonomici (ossia i sintomi di allarme dell’ipoglicemia) che il paziente

è capace di riconoscere e trattare.

Moderata con sintomi sia autonomici che neuroglicopenici.

Severa condizione temporaneamente disabilitante che richiede l’intervento da parte di terzi,

l’uso di glucagone, glucosio ev fino al ricovero in ospedale

Asintomatica misurazione della glicemia < 70mg/dl in assenza di sintomi.

Tabella 5. Classificazione delle ipoglicemie

Relativamente alle ipoglicemie severe asintomatiche, una minoranza di pazienti, già

al momento della valutazione per stabilire l’idoneità all’uso del microinfusore, o

durante il trattamento con microinfusore, presentando delle ipoglicemie

asintomatiche documentate da certificazione medica, sono stati avviati alla terapia

con sistema integrato microinfusore + monitoraggio continuo della glicemia (sensor-

augmented pump; SAP).

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57

Abbiamo ritenuto opportuno utilizzare Paradigm VEO, Medtronic Italia Spa, poichè,

al momento della valutazione, era l’unico con la funzione di sospensione automatica

del basale in occasione di ipoglicemie gravi e prolungate. Per lo scarico dei dati

relativi al monitoraggio glicemico continuo è stato utilizzato CareLink® Medtronic

MiniMed, Inc. Northridge USA.

Come per le ipoglicemie severe asintomatiche, anche gli episodi di chetoacidosi

erano documentate da referti medici.

La variabilità glicemica è stata espressa come deviazione standard dei valori di

HbA1c raccolti durante il follow up (HbA1cDS) (range di valori di HbA1c presi in

considerazione 4-18).

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58

Analisi statistica

I risultati sono espressi come media±deviazione standard.

E’ stato usato l’ANOVA per valutare le differenze univariate nelle variabili continue.

Valori di p inferiori a 0,05 sono stati considerati statisticamente significativi.

L’analisi della regressione logistica è stata impiegata per stimare l’associazione fra la

variabile dipendente (il verificarsi di un evento, come ad esempio il peggioramento

delle complicanze croniche) e le variabili indipendenti (HbA1c, media e DS, e altri

fattori di rischio, AUC per glicemie >140 mg/dl e <70 mg/dl). I risultati di questa

analisi sono espressi come odds ratio (OR) con il 95% di intervallo di confidenza

(CI). Tutte le analisi statistiche sono state effettuate usando il software StatView

(SAS Institute; Cary, NC).

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59

Risultati

Dal Database del CRRDA risulta che, inizialmente, dal momento dell’entrata in

vigore della Delibera Regionale n° 400 del 13/04/2001, i microinfusori utilizzati in

regione Toscana erano prescritti e applicati quasi esclusivamente dal CRRDA

mentre, successivamente, anche altri servizi di Diabetologia hanno intrapreso

quest’attività. Fino al 2001, data di entrata in vigore della suddetta Delibera

Regionale, il numero di microinfusori prescritti e applicati era 13.

Dal 2001 al 2013, il numero di nuove prescrizioni per anno, nella Regione Toscana, è

risultato il seguente: 8 nel 2001, 49 nel 2002, 26 nel 2003, 38 nel 2004, 79 nel 2005,

61 nel 2006, 76 nel 2007, 62 nel 2008, 61 nel 2009, 67 nel 2010, 58 nel 2011, 75 nel

2012, 77 nel 2013 per un totale di 750 nuove prescrizioni (Figura 10), che

corrisponde a 20.4 microinfusori ogni 100.000 abitanti.

13 854 26 38

89 86 85 73 83 92 79 111 121

958

13 849 26 38

79 61 76 62 61 67 58 75 77

750

0 0 5 0 0 10 25 9 11 22 25 21 36 44

208

0

200

400

600

800

1000

1200

Prescrizioni cumulative per anno Regione Toscana

TOTALI NUOVI RINNOVI

Figura 10 . Prescrizioni cumulative per anno effettuate in Regione Toscana

Le prescrizioni cumulative effettuate, invece, per i soggetti seguiti presso il CRRDA

sono risultati i seguenti: 8 nel 2001, 42 nel 2002, 23 nel 2003, 28 nel 2004, 52 nel

2005, 29 nel 2006, 50 nel 2007, 29 nel 2008, 21 nel 2009, 15 nel 2010, 9 nel 2011, 8

nel 2012, 10 nel 2013 per un totale di 336 nuove prescrizioni (Figura 11).

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60

Figura 11. Prescrizioni cumulative per anno effettuate presso il CRRDA (AOUP)

I dati relativi all’attività prescrittiva (nuove prescrizioni per anno) effettuata presso

gli altri servizi di diabetologia della Regione Toscana è riportato nella tabella 6 e

figura 12. Da questi risultati si evince che i servizi di diabetologia con un più elevato

numero di prescrizioni risultano quei servizi che ricadono nelle 3 città della Toscana

sede dell’Università (Pisa, Firenze e Siena). Da sottolineare, comunque, che mentre a

Pisa tale tipo di attività viene svolta solo dal Servizio diabetologico dell’AOUP, nel

caso di Firenze i dati fanno riferimento, complessivamente, a 4 servizi di

diabetologia (uno con sede nell’Ospedale San Giovanni di Dio, uno presso

l’Ospedale Pediatrico Meyer e gli altri due presso l’Ospedale di Careggi). Nel caso di

Siena, invece, i Servizi sono due, entrambi presso l’Ospedale Le Scotte.

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61

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Tot

Massa 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 8 5 13

Lucca 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 6 6

Pistoia 0 0 0 0 0 0 0 2 3 3 2 1 2 13

Prato 0 0 1 4 8 2 1 4 5 9 7 8 5 54

Pisa 8 42 23 28 52 29 50 28 21 15 9 8 10 336

Livorno 0 0 0 0 0 0 0 0 0 4 4 4 3 15

Siena 0 4 0 0 12 14 9 9 12 11 5 18 7 101

Arezzo 0 0 0 0 0 0 0 0 3 7 7 4 5 26

Grosseto 0 0 0 0 2 1 1 4 0 2 5 4 4 23

Firenze 0 0 1 2 3 11 12 13 17 15 16 12 21 123

Empoli 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 5 6 11

Altri 0 3 1 4 2 4 3 2 0 1 3 3 3 29

Totale 8 49 26 38 79 61 76 62 61 67 58 75 77 750

Tabella 6. Numero di nuove prescrizioni/anno effettuate dai vari Servizi di Diabetologia della

Regione Toscana

Figura 12. Numero complessivo di nuove prescrizioni effettuate dai vari Servizi di Diabetologia della

Regione Toscana

20,4 microinfusori/100000 abitanti

AO SGDD

66 1133

5544

112233

2266

110011

2233

1155

1111 333366

1133

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62

Attività del Servizio di Diabetologia dell’U.O. Malattie Metaboliche e Diabetologia

dell’AOUP

A fronte di 336 microinfusori prescritti e applicati in questi anni, il numero

complessivo di pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 (DM1), in terapia con CSII,

da almeno 6 mesi, sono attualmente 208. Considerando che presso il Servizio di

Diabetologia dell’AOUP, attualmente, afferiscono 1398 soggetti, il numero di

pazienti in trattamento con CSII rappresenta circa il 15% del totale.

Il 27% del totale dei pazienti avviati alla terapia con microinfusore (90 pazienti),

dopo l’avvio alla terapia con microinfusore, per vari motivi (logistici, lavorativi,

ecc.) sono ritornati presso i Servizi di Diabetologia da cui provenivano o hanno

cambiato residenza. Il 10.7% (36 pazienti), invece, sono ritornati alla terapia

insulinica multiiniettiva (MDI) mentre due soggetti (0.6%) sono deceduti per cause

apparentemente estranee alla malattia diabetica. Le cause che hanno portato alla

sospensione della terapia con CSII sono riportate di seguito.

Le caratteristiche dei pazienti, al momento dell’applicazione del microinfusore, sono

riportate nella Tabella 7.

Tabella 7. Caratteristiche basali dei pazienti

Il 27.7% dei pazienti presentava altre malattie autoimmunitarie (il 24.7% era affetta

da tiroidite, L’1.3% da celiachia e l’1.8% presentava sia la tiroidite che la celiachia).

Le indicazioni all’uso del microinfusore erano: nel 52% dei casi persistente

scompenso glicometabolico, nel 16% dei casi programmazione di gravidanza o

Caratteristiche pazienti Media±DS

Sesso (M/F) 55/154

Età (anni) 36±16

Durata di diabete (anni) 20±21

Durata CSII (anni) 6.5±9.9

BMI pre CSII (kg/m2) 24±1.0

Fabbisogno insulinico pre CSII (UI/Kg) 0.8±0.6

HbA1c pre CSII (%) 8.9±1.0

HbA1c DS pre-CSII (%) 0.7±0.2

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63

gravidanza in corso, nel 24% dei casi frequenti ipoglicemie lievi e/o severe o

ipoglicemie inavvertite o marcata instabilità glicemica, nel 7% dei casi fenomeno

alba, nell’ 1% dei casi richiesta di maggiore flessibilità terapeutica (Figura 13).

52%

24%

16%

7% 1%

Indicazioni all'uso del microinfusore

Scompenso Glicemico

Ipoglicemia

Gravidanza

Fenomeno Alba

Flessibilità Terapeutica

Figura 13. Indicazioni all’uso del microinfusore tra i pazienti seguiti presso il Servizio di

Diabetologia dell’AOUP.

Durante il periodo di osservazione, vi è stata la sospensione della terapia con

microinfusore in 36 pazienti (10.7% dei pazienti avviati alla terapia con

microinfusore). Le cause che hanno portato alla sospensione sono le seguenti:

sospensione volontaria nel 34% dei casi, sospensione da parte del medico per scarsa

compliance del paziente e per non raggiungimento degli obiettivi terapeutici,

rispettivamente nel 18% e nel 37% dei casi, l’6% dei casi sono stati sottoposti a

trapianto d’organo.

Relativamente alla gestione della terapia insulinica con microinfusore, per

l’adeguamento dell’insulina pre-prandiale, il 56.8% dei pazienti in trattamento,

seguiva la conta dei carboidrati, utilizzando il suggeritore di bolo, il rimanente 43.2%

riferisce di seguire una dieta a contenuto fisso di carboidrati. Dopo 6 mesi di

trattamento, inoltre, tra le funzioni avanzate del microinfusore, il 79% utilizzava, la

riduzione temporanea del basale e l’81% usava l’opzione dei boli pre-prandiali (bolo

prolungato e/o bolo a onda doppia o multiwave)

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64

Nella popolazione esaminata, al momento dell’applicazione del CSII, la prevalenza

di complicanze d'organo era: retinopatia diabetica nel 41% dei casi, neuropatia nel

19% dei casi, nefropatia ne 17% dei casi, macroangiopatia nel 6% dei casi.

L’HbA1c, indicativa del grado di controllo glicemico, dopo posizionamento del

microinfusore, rispetto al valore basale (8.9±1.0%) risultava significativamente

ridotta già a 6 mesi (8.0±1.3%, p<0.005 rispetto al periodo pre-CSII), ma il

miglioramento diventava netto ad 1 anno (7.3±1.1%), e mantenendo la stessa

significatività negli anni successivi (a 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 anni l’HbA1c risultava

rispettivamente: 7.4±0.5%, 7.7±0.5%, 7.8±1.1%, 7.4±0.3%, 7.5±0.8%, 7.7±0.5%,

7.7±0.5%, 7.6±0.8, e 7.8±1.3; tutti i valori risultavano significativamente inferiori

rispetto al periodo pre-CSII; p<0.005). Durante tutto il trattamento con CSII, inoltre,

l’HbA1c media risultava 7.5%±1.4 mentre la deviazione standard (DS) dell’HbA1c

risultava 0.4±0.1.

La percentuale di pazienti che, dopo trattamento con CSII, raggiungevano il target di

HbA1c raccomandato (≤7%), risultava il 27 %.

Mettendo in correlazione, con una regressione lineare semplice, il valore di HbA1c

basale con l’entità di riduzione del valore medio di HbA1c, ottenuto dopo

trattamento con CSII, abbiamo osservato una reazione lineare con una pendenza

della curva di 0.777 (SE: 0.031). Più elevato era il valore di HbA1c di partenza,

quindi, tanto maggiore era la riduzione di HbA1c registrata con il microinfusore.

-2

-1

0

1

2

3

4

5

6

7

Rid

uz H

bA

1c

4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

HbA1c bas

Y = -5,416 + ,777 * X; R^2 = ,787

Regression Plot

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65

Selezionando solo i pazienti avviati al microinfusore per scompenso glicemico i dati

relativi alla HbA1c risultavano i seguenti: 9.2±1.2% (104 pazienti) al basale,

7.8±0.8% (101 pazienti), 7.4±0.5% (96 pazienti), 7.5±0.7% (76 pazienti), 7.6±0.7%

(66 pazienti), 7.6±0.7% (58 pazienti), 7.6±0.7% (51 pazienti), 7.6±0.6% (42

pazienti), 7.6±0.5% (37 pazienti), 7.8±0.7% (24 pazienti), 7.5±0.7% (13 pazienti) e

7.7±0.9% (10 pazienti), rispettivamente 6 mesi, 1 anno, 2 anni, 3 anni, 4 anni, 5 anni,

6 anni, 7 anni, 8 anni, 9 anni e 10 anni dopo l’applicazione del microinfusore. I valori

dopo l’applicazione del microinfusore risultavano tutti significativamente inferiori

rispetto al valore basale (p<0.005).

Selezionando, invece, solo i pazienti avviati al microinfusore per altre motivazioni,

escludendo i pazienti scompensati e con valori di HbA1c>9.5%, i risultati sono i

seguenti: HbA1c: 8.0±0.9% (96 pazienti) al basale, 7.1±0.8% (53 pazienti),

7.1±0.7% (77 pazienti), 7.1±0.7% (72 pazienti), 7.2±0.6% (71 pazienti), 7.2±0.7%

(57 pazienti), 7.2±0.7% (46 pazienti), 7.2±0.6% (41 pazienti), 7.3±0.7% (31

pazienti), 7.4±0.7% (23 pazienti), 7.3±0.6% (20 pazienti) e 6.9±0.5% (11 pazienti),

rispettivamente 6 mesi, 1 anno, 2 anni, 3 anni, 4 anni, 5 anni, 6 anni, 7 anni, 8 anni, 9

anni e 10 anni dopo l’applicazione del microinfusore. I valori dopo l’applicazione del

microinfusore risultavano tutti significativamente inferiori rispetto al valore basale

(p<0.002). L’entità della riduzione di HbA1c risultava 0.9±0.7%.

Mettendo in correlazione, con una regressione lineare semplice, il valore di HbA1c

basale di quest’ultimo gruppo con l’entità di riduzione del valore medio di HbA1c,

ottenuto dopo trattamento con CSII, abbiamo osservato una reazione lineare con una

pendenza della curva di 0.612 (SE: 0.065). Per cui, anche in questo gruppo, maggiore

era il valore di HbA1c di partenza, maggiore era la riduzione di HbA1c registrata con

il microinfusore.

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66

-2

-1,5

-1

-,5

0

,5

1

1,5

2

2,5

3

diff

HbA

1c

5 5,5 6 6,5 7 7,5 8 8,5 9 9,5 10

HbA1c Basale

Y = -4,036 + ,612 * X; R^2 = ,518

Regression Plot

A questo punto abbiamo selezionato solo i pazienti con un valore di HbA1c basale

compreso tra 6.5% e 8.5% (68 pazienti). La riduzione media di HbA1c è risultata

0.8±0.5% ed effettuando la regressione lineare semplice abbiamo osservato, ancora,

una reazione lineare con una pendenza della curva di 0.543 (SE: 0.112).

-1

0

1

2

3

4

diff

HbA

1c

6,6 6,8 7 7,2 7,4 7,6 7,8 8 8,2 8,4 8,6

HbA1c Basale

Y = -3,477 + ,543 * X; R^2 = ,292

Regression Plot

Abbiamo, poi, messo in relazione il valore di HbA1c media, di tutti i pazienti trattati,

al tipo di programmazione alimentare: dieta a contenuto fisso di carboidrati o dieta

con conta dei carboidrati. Quest’ultima, rispetto alla dieta fissa, non condizionava il

valore assoluto di HbA1c (7.4±0.6 nei pazienti a dieta fissa e 7.3±0.6 nei pazienti che

effettuano la conta dei carboidrati; p=0.72), mentre condizionava significativamente

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67

la variabilità misurata come HbA1cDS (0.45±0.2 nei pazienti a dieta fissa e 0.36±0.2

nei pazienti che effettuano la conta dei carboidrati; p=0,02). Non risultavano

significative differenze tra i pazienti che utilizzavano o meno le funzioni avanzate

del microinfusori (7.3±0.6, nei pazienti non utilizzavano funzioni avanzate e 7.3±0.6,

nei pazienti che utilizzavano la riduzione temporanea del basale o l’opzione boli;

p=0.97).

In tutti i pazienti trattati risultavano significativamente ridotti gli episodi di

ipoglicemia lieve e moderate-severe già a 1 anno (p<0.0000), e tale significatività

rimaneva per tutto il periodo di follow-up (Figura 14 e 15).

0

1

2

3

4

5

Basale 1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6 anni 7 anni 8 anni 9 anni 10 anni

Ipoglicemie lievi

N. episodi/settimana

Figura 14: Ipoglicemie lievi; numero di episodi a settimana.

0

0,5

1

1,5

Basale 1 anno 2 anni 3 anni 4 anni 5 anni 6 anni 7 anni 8 anni 9 anni 10 anni

Ipoglicemie moderate-severe

N. episodi/mese

Figura 15: Ipoglicemie moderate-severe; numero di episodi al mese.

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68

Relativamente alle ipoglicemie asintomatiche, 5 pazienti, già al momento della

valutazione per stabilire l’idoneità all’uso del microinfusore, presentavano delle

ipoglicemie severe asintomatiche documentate da certificazione medica, mentre, altri

8 pazienti presentavano tali episodi nel corso del trattamento con microinfusore.

Questi soggetti, pertanto venivano avviati alla terapia con sistema integrato

microinfusore + monitoraggio continuo della glicemia (sensor-augmented pump;

SAP). I risultati ottenuti con l’utilizzo della SAP saranno illustrati di seguito.

Durante terapia con CSII, inoltre, si registrava una riduzione del numero di

chetoacidosi per anno, infatti al momento dell’applicazione erano stati documentati 8

episodi di chetoacidosi, mentre dopo un anno il numero si era già ridotto a 2 episodi

per anno e successivamente una media di 1,5 episodi/anno fino alla fine del follow-

up.

Si osservava inoltre la riduzione significativa del fabbisogno insulinico giornaliero

già dopo 1 anno (da 0.7±0,6UI/Kg a 0.6±0.23UI/Kg, p <0.0000) e tale riduzione

mantiene la significatività nel tempo. L’entità della riduzione corrisponde al 15% del

basale. Relativamente al peso corporeo non si evidenziavano modifiche significative

del BMI iniziale (BMI basale 25±3 kg/m2 per passare a 1 anno a 25± 4 kg/m

2, a 2

anni 24.8±0,4 kg/m2, a 3 anni 25,3±1 kg/m

2, a 4 anni 26±1,8 kg/m

2, a 5 anni 25±4.4

kg/m2, a 6 anni 25.2 kg/m

2, a 7 anni 25.9±1.5 kg/m

2, a 8 anni 25±1.5 kg/m

2 e

rimaneva tale anche a 9 e 10 anni; p=0.3).

Ipoglicemie severe asintomatiche e SAP:

Dal 2008 al 2012 venivano selezionati 13 soggetti con DMT1 (M/F: 7/6) che per

ipoglicemie severe asintomatiche, intraprendevano terapia con sistema integrato SAP

(Paradigm VEO, Medtronic Italia Spa). Cinque dei 13 pazienti, al momento della

valutazione erano in terapia MDI, mentre gli altri 8 pazienti avevano presentato tali

episodi nel corso del trattamento con microinfusore. Le caratteristiche cliniche dei

pazienti sono riportate nella tabella sottostante:

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69

Al momento della valutazione per eventuale terapia con SAP, presentavano oltre a

numerose ipoglicemie lievi e moderate (6.5±1.4/settimana) anche episodi di

ipoglicemie severe asintomatiche (2.0±1.4/anno).

L'utilizzo di SAP per un periodo maggiore dell’80% del tempo, comportava una

significativa riduzione sia del numero di ipoglicemie lievi+moderate che delle

ipoglicemie gravi asintomatiche come riportato nella seguente tabella:

Basale 6 mesi 12 mesi 24 mesi p

HbA1c 7,8±1.2 7.7±0.9 7.5±1.0 7.4±0.9* 0.02*

Ipoglicemie lievi+moderate

(num/sett)

6.3±1.4 3.4±1.4 2.9±2.0 2.3±1.0 <0.0001

Ipoglicemie severe

asintomatiche (num/anno)

2.0±1.4 0.5±0.4 0.2±0.3 0.1±0.1 <0.0001

AUC <70mg/dl 0.5±0.3 0.2±0.2 0.2±0.2 0.1±0.1 0.002

AUC >140mg/dl 42.2±17.3 34.0±17.6 32.2±16.2 31±16 n.s

L’HbA1c, rispetto al valore al momento dell’applicazione del sistema integrato, si

riduceva senza differenze significative a 6 e 12 mesi, mentre a 24 mesi raggiungeva

la significatività (7,8±1.2 vs 7.4±0.9, P=0.02). Per quanto riguarda il numero di

ipoglicemie lievi e moderate, si osservava una riduzione significativa rispetto al

Caratteristiche Media±DS

Sesso (M/F) 7/6

Età (anni) 39.0±10

Durata Diabete (anni) 17±12

Durata CSII (anni) (8 paz con CSII) 5.2±3.7

Durata SAP (anni) 2.2±1.1

BMI (kg/m2) 25.8±2.4

Fabbisogno insulinico (UI/Kg) 0.5±0.1

HbA1c pre SAP(%) 7.8±1.2

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70

basale (6.3±1.4 episodi/settimana) sia a 6 mesi (3.4±1.4 episodi/settimana, p

<0.0001), che a 12 mesi (2.9±2.0 episodi/settimana, p<0.0001) e a 24 mesi (2.3±1.0

episodi/settimana, p<0.0001). Il numero di ipoglicemie severe asintomatiche

(episodi/anno) al basale erano 2.0±1.4, mentre si riducevano significativamente sia a

6 mesi (0.5±0.4; p<0.0001 verso il basale) che a 12 e 24 mesi (rispettivamente

0.2±0.3, 0.1±0.1, entrambi p<0.0001 vs basale). L'AUC per glicemie <70 mg/dl

passava, rispettivamente, da 0.5±0.3 a 0.2±0.2 a 0.2±0.2 a 0.1±0.1 sia 6 che a 12 e 24

mesi (p=0.002). L’AUC per glicemie <140mg/dl non si modificava in maniera

significativa (basale 42±17 vs 6 mesi 35±18 p=0.3; basale 42±17 vs 12 mesi 32±16

p=0.5; basale 42±17 vs 24 mesi 33±16 p=0.4). Inoltre, non si osservavano variazioni

significative del fabbisogno insulinico giornaliero (UI/Kg) (basale 0.5±0.1 vs 6 mesi

0.4±0.2 p=0.07; basale 0.5±0.1 vs 12 mesi 0.4±0.2 p=0.06; basale 0.5±0.1 vs 24 mesi

0.46±0.14 p=0.1).

Variabilità di HbA1c e rischio di complicanze micro-angiopatiche:

Nella valutazione dell’andamento delle complicanze micro-angiopatiche siamo

andati ad analizzare la percentuale di pazienti che in corso di trattamento con CSII

mostrava un peggioramento o miglioramento sia della retinopatia che della

nefropatia diabetica.

Non abbiamo analizzato l’evoluzione della neuropatia diabetica, di difficile

interpretazione, tenuto conto che solo un numero esiguo di pazienti aveva eseguito

approfondimenti diagnostici confrontabili (Elettroneurografia ed Elettromiografia)

così come anche per la macroangiopatia presente solo in un numero limitato di

soggetti in terapia con microinfusore (6% del totale).

Per quanto riguarda la retinopatia, abbiamo preso in esame 191 pazienti della nostra

coorte che hanno eseguito, nel corso del tempo, il controllo del fondo oculare

mediante retinografo non midriatico presso il nostro ambulatorio per lo Screening

della Retinopatia Diabetica. Dopo una media di circa 7 anni di trattamento con CSII

abbiamo osservato nella popolazione in studio, una prevalenza di retinopatia

diabetica, nelle sue varie forme, del 41% (vs 43%, al momento dell’applicazione del

microinfusore), ed un cambiamento dell’andamento della RD così come riportato

nella figura 16.

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71

Figura 16. Prevalenza della retinopatia diabetica al basale e dopo trattamento con microinfusore; No

RD: Assenza di Retinopatia Diabetica; RDNP: Retinopatia Diabetica non proliferante; RDP/Laser:

Retinopatia Diabetica proliferante e/o laser-trattata.

Pertanto, siamo andati ad analizzare la percentuale dei pazienti che in corso di

trattamento con CSII mostravano peggioramento o miglioramento della malattia

retinica registrando che la RD rimaneva stabile nel 85% dei casi, migliorava nel 10%

dei casi mentre andava incontro a peggioramento nel 5% dei casi (Figura 17).

85%

10%5%

Evoluzione Retinopatia

Stabili Migliorati Peggiorati

Figura 17. Evoluzione delle retinopatia diabetica

Pre

va

len

za

56,8%A

27,6%

15,6%

No RD RDNP RDP/Laser1133

Pre-CSII CSII

58,9%

24,8%

16,2%

No RD RDNP RDP/Laser

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72

Al fine di analizzare i fattori di rischio che pesano maggiormente nell’evoluzione

della RD abbiamo quindi suddiviso la nostra popolazione in 3 gruppi: il gruppo che

migliorava (M), il gruppo che peggiorava (P) ed il gruppo che rimaneva stabile (S).

Nei 3 gruppi (S, M e P), come illustrato nella tabella 8, non c’erano differenze

significative relativamente ad età (S: 40±10 anni; M: 38±5 anni; P: 44±10 anni;

p=NS), durata del diabete (S: 23.0±11anni; M: 22.0±5 anni; P: 26.5±9 anni; p=NS),

durata di CSII (S: 8±3 anni M:8±3 anni; P: 8±4 anni; p=NS). Colesterolo totale (S:

186±29 mg/dl; M: 198±31 mg/dl; P: 190±42 mg/dl; p=NS), Colesterolo LDL (S:

110±41 mg/dl; M: 105±33 mg/dl; P: 115±23 mg/dl; p=NS), Colesterolo HDL (S:

64±12 mg/dl; M: 65±13 mg/dl; P: 64±11 mg/dl; p=NS), Trigliceridi (S: 86±43

mg/dl; M: 83±27 mg/dl; P: 111±54 mg/dl; p=NS).

Il gruppo P presentava HbA1c basale significativamente maggiore di S (10.1±1.2% e

8.7±1.1% rispettivamente; p=0.0009) e M (10.1±1.2% e 8.8±0.7% rispettivamente;

p=0.006). Nessuna differenza significativa risultava tra S e M. Il gruppo P presentava

un valore di HbA1c, in corso di terapia con CSII, significativamente maggiore di S

(8.3±0.5%e 7.6±0.8% rispettivamente; p=0.005) e M (8.3±0.5% e 7.5±0.6%

rispettivamente; p=0.003). Nessuna differenza significativa risultava tra S e M.

Relativamente all’HbA1cDS con CSII, il gruppo P presentava un valore

significativamente maggiore di S (0.7±0.27% e 0.4±0.19% rispettivamente;

p<0.0001) e M (0.7±0.27% e 0.29±0.08% rispettivamente; p<0.0001). Esisteva una

differenza significativa anche tra S e M (0.4±0.19% e 0.29±0.08% rispettivamente;

p=0.003). Inoltre non vi erano differenze significative nei 3 gruppi per quanto

riguarda l’assunzione di farmaci come: ACE inibitore (e/o sartano) e statina.

Nessuno di loro assumeva fibrati. (Tabella 8).

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73

Tabella 8. Alcuni parametri analizzati nei soggetti che hanno mostrato evoluzione della retinopatia o

che sono rimasti stabili.

Una regressione logistica in cui abbiamo inserito come fattori di rischio per la

retinopatia diabetica: durata di malattia, durata di terapia con CSII, uso di ACE

inibitore (e/o sartano), uso di statina, controllo glicemico, valutato come valore

medio di HbA1c sia prima che in corso di terapia con microinfusore, HbA1cDS nel

corso della terapia con CSII, risultava che, nel gruppo con peggioramento della

retinopatia diabetica, l’unica variabile indipendente associata all’evoluzione negativa

della retinopatia diabetica risultava essere l’HbA1cDS (p=0.007) (Tabella 9).

Tabella 9. Correlazione tra alcuni fattori di rischio e l’evoluzione della retinopatia diabetica.

Peggiorati

(n°9)

Migliorati

(n°19)

Stabili

(n°163)

ANOVA

analisi post-hoc con

test di Scheffè

p

P vs S P vs M M vs S

Età (anni) 44±10 38±5 40±10 n.s n.s n.s

Durata Diabete (anni) 26.5±9 22.0±5 23.0±11 n.s. n.s n.s.

Durata CSII (anni) 8±4 M:8±3 8±3 n.s. n.s n.s.

C- Tot (mg/dl) 190±42 198±31 186±29 n.s n.s n.s.

C-LDL (mg/dl) 115±23 105±33 110±41 n.s n.s. n.s.

C- HDL(mg/dl) 64±11 65±13 64±12 n.s. n.s. n.s.

Trigliceridi (mg/ml) 111±54 83±27 86±43 n.s n.s n.s.

HbA1c pre CSII (%) 10.1±1.2 8.8±0.7 8.7±1.1 0.0009 0.006 n.s.

HbA1c CSII (%) 8.3±0.5 7.5±0.6 7.6±0.8 0.005 0.003 n.s.

HbA1c-DS CSII (%) 0.7±0.3 0.3±0.1 0.4±0.2 <0.0001 <0.0001 0.03

OR (95% CI) P

Durata Diabete (anni) 1.096 (0.910-1.282) 0.9

Durata CSII (anni) 1.161 (0.844-1.478) 0.4

ACE-inibitore/sartano 1.193 (0.532-1.855) 0.5

Statina 0.762 (0.165-1.931) 0.8

HbA1c pre-CSII (%) 1.048 (0.473-1.117) 0.7

HbA1c media CSII (%) 0.985 (0.844-0.927) 0.9

HbA1cDS (%) 1.102 (1.014-1.190) 0.007

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74

Nella stessa coorte di pazienti siamo andati ad analizzare con le medesime modalità

anche l’evoluzione della nefropatia diabetica.

Anche per la nefropatia, abbiamo osservato una modificazione dell’andamento

durante la terapia con CSII rispetto al basale, anche se meno evidente rispetto alla

retinopatia, visto il ridotto numero di pazienti che al basale e durante trattamento era

affetto da nefropatia (17% dei casi al momento dell’applicazione del microinfusore e

13% durante il follow up). (Figura 18)

0

20

40

60

80

100

Nefropatia Assente Micro-albuminuria Macro-albuminuria IRC Dialisi

83,1%

12,3%

1,0% 1,6% 1,0%

86,7%

9,0% 0,6% 1,4% 1,6%

Pre

vale

nza

(%

) Pre-CSII CSII

Figura 18. Prevalenza della nefropatia nella coorte di soggetti trattati con microinfusore.

Pertanto, si osservava che nel 91,3% dei casi la malattia renale rimaneva stabile, nel

5,5% dei casi andava incontro a miglioramento e il 3,2% dei casi si aveva un

peggioramento.

Suddividendo la nostra popolazione in 3 gruppi, come per la retinopatia diabetica, al

fine definire al meglio i fattori di rischio che maggiormente influenzano l’evoluzione

della malattia renale, si osservava che nei 3 gruppi (S, M e P) non c’erano differenze

significative relativamente a controllo glicemico prima e durante il trattamento con

CSII. Il gruppo M è in terapia con CSII da più tempo rispetto al gruppo S (12.1 ±3.4

anni e 10.7±3.2 anni, rispettivamente; p=0.0006) e al gruppo P (12.1±3.4 anni e

6.8±3.8 anni, rispettivamente; p=0.02). Relativamente alla HbA1cDS post-CSII, il

gruppo P presentava un valore significativamente maggiore di S (0.6±0.3% e

0.4±0.2%, rispettivamente; p=0.01) e di M (0.6±0.3% e 0.3±0.1%, rispettivamente;

p=0.02). Nessuna differenza significativa risultava tra S e M.

Inoltre il gruppo M rispetto al gruppo S è in terapia sia con ACE inibitore (p=0.01),

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75

che con statina (p=0.03). (Tabella 10)

Tabella 10. Alcuni parametri analizzati nei soggetti che hanno mostrato evoluzione della nefropatia o

che sono rimasti stabili.

In una regressione logistica, nessuno dei parametri considerati come eventuali fattori

di rischio per il peggioramento della nefropatia diabetica, risultava come variabile

indipendente associata a rischio di peggioramento di nefropatia diabetica (Tabella

11).

Tabella 11. Correlazione tra alcuni fattori di rischio e l’evoluzione della nefropatia diabetica.

Peggiorati

(n°6)

Migliorati

(n°10)

Stabili

(n°171)

ANOVA

analisi post-hoc con

test di Scheffè

p

P vs S P vs M M vs S

Durata CSII (anni) 6.2±3.3 11±3.4 7±3.2 n.s. 0.02 0.0007

C-Tot (mg/dl) 167±30 167±24 189±31 n.s n.s n.s.

C-LDL (mg/dl) 92±23 94±22 110±43 n.s n.s. n.s.

C- HDL(mg/dl) 65±10 60±4 65±12 n.s. n.s. n.s.

Trigliceridi (mg/ml) 97±46 73±22 88±46 n.s n.s n.s.

HbA1c pre CSII (%) 9.7±1.4 9.4±1.7 8.9±1.1 n.s n.s n.s.

HbA1c CSII (%) 7.8±0.5 7.6±0.6 7.3±0.5 n.s n.s n.s.

HbA1c-DS CSII (%) 0.6±0.3 0.3±0.1 0.4±0.2 0.001 0.002 n.s

OR (95% CI) P

Durata Diabete (anni) 0.811 (0.618-1.066) 0.1

Durata CSII (anni) 0.875 (0.544-1.434) 0.5

ACE-inibitore/Sartano 1.082 (0.422-1.743) 0.7

Statina 1.071 (0.197-1.945) 0.7

HbA1c pre-CSII (%) 0.412 (0.096-1.774) 0.2

HbA1c CSII (%) 1.703 (0.404-1.511) 0.2

HbA1c DS (%) 1.043 (0.997-1.091) 0.07

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76

Discussione

L’uso del microinfusore per insulina (CSII) rappresenta una valida alternativa nel

trattamento del diabete tipo 1 ed è una proposta terapeutica che sempre più

frequentemente viene oggi presentata alle persone con diabete tipo 1.

Purtroppo, mancano dati controllati recenti sulla diffusione di tale forma di terapia

nel territorio italiano. Se consideriamo i risultati dell’ultima analisi nazionale

sull’argomento, risalente al 2006, si evidenziava una crescita nel numero di soggetti

in trattamento con CSII impressionante rispetto all’inizio degli anni 2000. Infatti i

pazienti in terapia con CSII, dal 1999 al 2005 risultavano aumentati del 468%.

Specularmente, anche nella regione Toscana, fino al 2005 si è registrato un notevole

aumento del numero di nuove prescrizioni, passando da 8/anno del 2001 a 79/anno

del 2005. Da quel momento il numero medio di microinfusori per anno è rimasto

stabile (67±7.6/anno). Una possibile spiegazione di questo può essere ricercata nella

maggiore diffusione, avvenuta in quegli anni, della terapia insulinica con glargine

(arrivata sul mercato italiano nel 2003). In effetti, nella nostra coorte di pazienti,

prima di ricorrere al microinfusore, si preferisce fare un tentativo con le nuove

insuline, come del resto suggerisce di fare anche il National Institute for Clinical

Excellence (NICE).

I risultati di questo studio mostrano, comunque, una larga diffusione della terapia con

microinfusore nella nostra Regione, con un numero di pazienti trattati che la mette in

linea con altre regioni italiane, la cui esperienza in questo campo è pluridecennale

(Veneto, Umbria, ecc.) (203). Un altro dato rilevante è quello che, benché

l’autorizzazione all’applicazione del microinfusore sia sempre competenza del

Centro Regionale di Riferimento, in questi ultimi anni, grazie anche al ruolo svolto

dal CRRDA nell’organizzare, con una certa cadenza, corsi formativi (nel 2002, 2004,

2006, 2008 e 2013), grazie alla pressione esercitata dalle Associazione dei pazienti

Diabetici sui Servizi di Diabetologia, e grazie all’interesse, sempre crescente, di

questi ultimi verso la tecnologia applicata al diabete, quasi tutti i Centri Diabetologici

della Toscana hanno acquisito le competenze necessarie per selezionare i pazienti da

avviare alla terapia con microinfusore, per l’applicazione di questi dispositivi,

l’educazione dei pazienti ed il loro successivo monitoraggio. Ciò ha permesso di

ridurre le differenze, che inizialmente si stavano creando (208), circa il numero di

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77

pazienti trattati nelle varie ASL toscane. Naturalmente i paziente che più facilmente

potevano beneficiare della terapia con CSII erano quelli residenti nell’ASL 5 di Pisa,

sede del CRRDA, e ASL limitrofe oltre a qualche isolato microinfusore applicato a

Siena e Prato, previa autorizzazione del CRRDA.

Nella coorte di pazienti seguiti presso il CRRDA, i dati raccolti confermano che,

indipendentemente dall’indicazione all’uso della terapia con microinfusore,

quest’ultima è in grado di migliorare il controllo glicemico dei soggetti che la

intraprendono, con una riduzione media dei valori di HbA1c di 1.4 punti percentuali.

Eseguendo una regressione lineare semplice tra il valore basale di HbA1c e l’entità

della riduzione di HbA1c ottenuta con il microinfusore si ottiene un rapporto lineare

(pendenza della curva 0.777) per cui, più elevato era il valore di HbA1c di partenza

tanto maggiore è la riduzione di HbA1c registrata con il microinfusore. Ciò è in

accordo con quanto dimostrato da Pickup nel 2008 (127), lavoro in cui la pendenza

della curva risultava leggermente inferiore (0.52). Sulla scorta di ciò abbiamo

separato i pazienti che hanno ricorso al CSII per scompenso glicemico, non

migliorabile con una buona gestione della terapia insulinica MDI, e quelli che hanno

ricorso al microinfusore per altre motivazioni (gravidanza, ipoglicemie o instabilità

glicemica, fenomeno alba, ecc). Tra questi ultimi, inoltre, sono stati esclusi quei

pazienti con HbA1c basale > 9.5%. I risultati ottenuti, mostrano, come atteso, che nel

primo gruppo (pazienti scompensati) l’entità della riduzione di HbA1c è molto

elevata (-1.6% rispetto al basale) ma tale parametro non è trascurabile nemmeno nel

secondo gruppo (-0.9% rispetto al basale). Selezionando, infine solo i pazienti con

un valore basale di HbA1c compreso tra 6.5% e 8.5%, la riduzione media

dell’HbA1c risultava ancora significativa (-0.8% rispetto al basale). Questo risultato

ci spinge ad affermare che, a differenza di quanto è riportato nel NICE (191), non

esiste un valore soglia al di sotto del quale, il microinfusore non determini una

riduzione significativa del valore di HbA1c (il NICE suggerisce, infatti,

l’applicazione del microinfusore, in assenza di ipoglicemie, solo con valori di HbA1c

> 8.5%).

Nella metanalisi pubblicata da Pickup nel 2008 (139), quando venivano presi in

considerazione gli studi randomizzati di confronto CSII vs MDI, si registrava una

riduzione media di HbA1c molto contenuta (0.21%) e un dato simile è stato indicato

in una metanalisi del 2012 da Hsin-Chieh Yeh (riduzione media di HbA1c 0.30%)

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(176). Ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che, generalmente, nell’attività clinica

quotidiana, la selezione dei pazienti da avviare alla CSII, passa attraverso la

valutazione della capacità del singolo nel gestire la tecnologia. Alcuni pazienti, pur

avendo le indicazioni cliniche all’uso del microinfusore, non vengono selezionati

perché incapaci di gestire tale forma di terapia. Mentre negli studi randomizzati, i

pazienti da avviare alla terapia MDI o CSII, vengono scelti a caso.

Recentemente lo stesso Pickup (210) afferma che gli studi osservazionali, pur

essendo a più alto rischio di bias, valutano informazioni supplementari sull’efficacia

del microinfusore che non sono ottenibili dai trials randomizzanti, in quanto i primi

coinvolgono spesso un numero maggiore di pazienti, hanno una durata maggiore e

sono più rappresentativi di quello che si intende per terapia insulinica con

microinfusore.

Ecco perché Pickup, nella stessa metanalisi sopracitata (139), oltre ai trials

randomizzati e controllati, prende in considerazione anche gli studi osservazionali

definiti come studi before/after, dove ogni paziente è controllo di se stesso. In questo

caso la riduzione media di HbA1c risultava maggiore (0.72%; range 0.55-0.90%).

Mettendo assieme entrambe le tipologie di trial, la riduzione media di HbA1c

risultava essere 0.61%.

Un lavoro simile a quello da noi condotto, inoltre, è stato pubblicato nel 2002 da

Bruttomesso (148) che aveva preso in considerazione l’efficacia della terapia con

CSII nella popolazione del Veneto. Erano 139 pazienti, seguiti per circa 7 anni e con

un valore di HbA1c basale di 9.3±0.2%. Anche in questo caso, come nella nostra

osservazione, la riduzione media di HbA1c risultava 1.4% e, come osservato nella

nostra coorte, anche tra i pazienti veneti la riduzione dell’HbA1c, si manteneva

inalterata nel tempo. Da sottolineare inoltre che i nostri pazienti, come quelli del

Veneto, ottengono i risultati sopraesposti, pur non essendo parte di uno studio. In

quest’ultimo caso, infatti, la popolazione in esame potrebbe essere più motivata e

sottoposta a controlli più frequenti e ciò potrebbe inficiare il risultato.

Nella nostra popolazione, inoltre, il numero di pazienti con un valore di HbA1c a

target (≤7%) risulta non estremamente elevato (27% dei pazienti trattati) ma

sicuramente al di sopra della percentuale di tutti i soggetti con Diabete tipo 1 in Italia

(23% come riportato negli Annali AMD 2012) e di poco inferiore ai risultati ottenuti

con la SAP, dopo un anno di trattamento, nello STAR 3 Study (28% a target vs 10%

dei pazienti in MDI) (178)

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Oltre alla riduzione dell’HbA1c, i nostri dati, inoltre, in accordo con numerosi studi

presenti in letteratura, confermano che il miglioramento del controllo glicemico

ottenuto con il passaggio da MDI a CSII, si accompagnava ad una minore incidenza

di ipoglicemie sia lievi che moderate e severe (139, 148, 176). Tutto ciò si

accompagnava ad una riduzione degli episodi di chetoacidosi. Non si riscontravano,

invece, differenze per quanto riguarda il peso corporeo durante il trattamento con

CSII rispetto al basale, mentre si registrava una riduzione significativa, del 15%, sul

fabbisogno insulinico giornaliero. Quest’ultimo dato conferma quanto era già stato

riportato da Pickup et al. (131), il quale segnalava come la terapia con CSII

determinava una riduzione del 14% delle unità di insulina rispetto alla terapia MDI.

Questo è dovuto soprattutto al fatto che con nel CSII si utilizza solo analogo rapido

che ha una velocità di assorbimento meno variabile, rispetto alle insuline basali.

I microinfusori, sono, inoltre dotati di diverse funzioni avanzate che, se ben

utilizzate, potrebbero aiutare il paziente a gestire in modo efficace la terapia

insulinica. Alcuni studi mostrano, infatti, che l’utilizzo di tali funzioni possa

contribuire, non solo a ridurre la variabilità glicemica, ma anche il valore di HbA1c.

Nella nostra coorte, però, tale dato non è stato confermato. Ciò probabilmente è da

ricondurre al fatto che circa l’80% dei pazienti della nostra coorte era in grado di

utilizzare le funzioni avanzate come la riduzione temporanea del basale e l’opzione

bolo mentre la minoranza di pazienti che non le utilizza, il più delle volte non ha

indicazione a farlo o perché già in buon controllo glicemico senza ipoglicemie o

perché il loro stile di vita non lo richiede. Relativamente alla pianificazione

alimentare dei pazienti, abbiamo osservato che quelli che eseguivano la conta dei

carboidrati, utilizzando la funzione avanzata del suggeritore di bolo, rispetto a quelli

con dieta a contenuto costante di carboidrati, non hanno presentato miglioramenti

significativi in termini di HbA1c, ma quello che migliorava è la variabilità del

controllo valutata come HbA1cDS. Ciò, in parte, concorda con i dati della letteratura

(165, 166) che hanno dimostrato che l’utilizzo del calcolatore di bolo consente di

ottenere l’obiettivo glicemico sia pre- che post- prandiale, e quindi, probabilmente,

va a ridurre la variabilità delle glicemie.

Negli ultimi anni, i progressi realizzati nel campo della microinfusione e del

monitoraggio glicemico continuo, hanno portato alla combinazione dei due sistemi in

un sistema integrato di monitoraggio glicemico continuo e microinfusione (SAP).

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In letteratura è riportato, inizialmente, che tale sistema migliora il controllo

metabolico riducendo l’HbA1c senza aumentare il rischio di ipoglicemia. Certamente

appare di fondamentale importanza il tempo in cui il paziente indossa il sensore

(178). Recentemente però, con l’avvento di nuove funzioni a carico di questi sistemi,

come la sospensione automatica del basale in occasione di ipoglicemie importanti e

durature (low-glucose suspend: LGS) e gli allarmi di tendenza (allarmi che avvisano

dei cambiamenti repentini della glicemia con lo scopo di prevenire sia le ipoglicemie

che le iperglicemie), l’utilizzo di tali sistemi ha determinato una riduzione

significativa anche delle ipoglicemie sia severe che moderate (181) e ridotto il

numero di ipoglicemie notturne (182). É per questo motivo che in una piccolo coorte

dei nostri pazienti con ipoglicemie severe asintomatiche, documentate da referti

medici, abbiamo ricorso alla terapia con SAP. I nostri dati mostrano una netta

riduzione del numero di episodi di ipoglicemie severe asintomatiche ma anche delle

ipoglicemie lievi e moderate e del tempo trascorso in ipoglicemia (valutato come

AUC <70 mg/dl). Tali risultati si ottenevano con un utilizzo del sensore per un

tempo > 80% e venivano registrati già dopo 6 mesi di trattamento senza portare ad

un peggioramento del controllo glicemico generale che, addirittura, dopo 2 anni,

risultava significativamente migliorato. Non abbiamo, invece, rilevato differenze

significative per quanto riguarda il tempo trascorso in iperglicemia (AUC>140

mg/dl) né per quanto riguarda il fabbisogno insulinico giornaliero. Questi dati

concordano in parte con quanto recentemente pubblicato da Ly TT et al. (181). In

tale trial, anche se viene coinvolto un numero consistente di pazienti (n°95), per metà

randomizzati a CSII e l’altra metà a SAP, ha coinvolto soggetti più giovani e con

minore durata di malattia, per cui meno a rischio di ipoglicemie asintomatiche;

inoltre la durata dell’osservazione è molto breve (6 mesi) e, a differenza della nostra

piccola casistica, non vedono alcun miglioramento del controllo glicemico, ottenuto,

invece nella nostra popolazione, dopo 2 anni di trattamento.

Come sopra indicato, i risultati ottenuti con il CSII in termini di miglioramento del

controllo glicemico e riduzione degli episodi ipoglicemici e rischio di chetoacidosi,

sta ad indicare che i pazienti trattati dovrebbero presentare una maggiore stabilità

dell’andamento glicemico come in parte dimostrato dalla riduzione significativa

dell’HbA1cDS. Un crescente livello di evidenza suggerisce che la HbA1cDS,

rappresenti un significativo fattore di rischio per lo sviluppo delle complicanze

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micro-angiopatiche (retinopatia e nefropatia diabetica) in aggiunta ai livelli di

HbA1c e alla predisposizione genetica. Nessuno studio, però, ha analizzato

l’andamento della retinopatia e nefropatia in corso di terapia con microinfusore

rispetto al momento dell’applicazione e l’associazione quindi di HbA1cDS con il

miglioramento o peggioramento delle complicanze. Nel nostro studio abbiamo preso

in considerazione la progressione della retinopatia diabetica e della nefropatia

diabetica e siamo andati ad analizzare, appunto, la percentuale di pazienti che

andavano incontro a modificazioni delle stesse.

Per quanto riguarda la retinopatia diabetica al momento dell’applicazione il 43%

della nostra popolazione presentava la malattia per poi passare durante la terapia con

CSII al 41%, con una percentuale di miglioramento del 10% e di peggioramento del

5%. I pazienti in cui si registrava il peggioramento delle lesioni retiniche

presentavano valori medi di HbA1c basale più elevati rispetto ai pazienti che

andavano incontro a miglioramento o rimanevano stabili. Inoltre, pur registrando un

netto miglioramento del controllo glicemico in corso di terapia con CSII, nel gruppo

che peggiorava, i valori medi di HbA1c si mantenevano più elevati rispetto agli altri

2 gruppi. Pertanto anche nel nostro studio, in accordo con quanto detto dal DCCT, si

conferma la stretta dipendenza della retinopatia dal grado di controllo metabolico. La

variabilità del controllo glicemico, intesa come HbA1cDS, risultava, anche questa,

significativamente maggiore nel gruppo che va incontro a peggioramento, risultando,

in una regressione logistica, l’unica variabile indipendente di rischio di

peggioramento. Ciò dimostrerebbe, che la le oscillazioni del controllo glicemico a

medio-lungo termine, potrebbero rappresentare un rischio aggiuntivo importante di

progressione della retinopatia diabetica. Quanto risulta dalla nostra osservazione, è in

accordo con Kilpatrick et al., che nel 2008, in una re-analisi del DCCT mostravano

che HbA1cDS, a differenza della variabilità della glicemia, è un fattore di rischio

aggiunto sia di nefropatia che di retinopatia diabetica, indipendentemente dal valore

medio di HbA1c, sia nel gruppo con terapia convenzionale che nel gruppo con

terapia intensiva (88). Sulla scia di questo, anche un recente studio multicentrico

condotto in Germania ed Austria (89), in cui era analizzata la variabilità glicemica,

intesa come HbA1cDS, come fattore rischio per retinopatia diabetica, ha confermato

che tale parametro possa essere un fattore di rischio indipendentemente.

Per quanto riguarda la nefropatia diabetica, invece, dai nostri dati emerge che tra i

fattori di rischio che pesano maggiormente sul peggioramento della nefropatia

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diabetica, risulta una correlazione significativa solo con la variabilità glicemica, ma

tale dato, anche se per poco, perde di significatività, con l’analisi di regressione

logistica. Nella nostra popolazione, vista l’esiguità del numero di pazienti con

nefropatia, al momento dell’applicazione del microinfusore (17% del totale, ai vari

stadi di malattia), i dati osservati non sono, comunque, sicuramente conclusivi. In

letteratura, al riguardo, troviamo dati contrastanti. In alcuni trials, comprensivi di un

numero elevato di pazienti, viene documentata una correlazione tra HbA1cDS e

nefropatia diabetica (88, 90, 92) mentre altri, più recenti, in cui si è valutato oltre che

l’HbA1cDS anche altri parametri di variabilità glicemica (MAGE, Lability index,

ecc) non sono riusciti a confermare tale dato (211) sia nei pazienti con MDI che con

CSII.

Concludendo possiamo affermare, sulla base dei nostri dati, che la terapia insulinica

con microinfusore rimane una valida alternativa alla terapia MDI, quando questa non

è in grado di determinare il raggiungimento degli obiettivi prefissati. La CSII, infatti,

nei pazienti ben selezionati, determina un miglioramento netto e duraturo del

controllo glicemico, con una riduzione significativa degli episodi ipoglicemici e

senza aumentare il rischio di chetoacidosi o di incremento ponderale. Inoltre è stata

in grado di determinare una riduzione della variabilità glicemica valutata come

HbA1cDS, parametro non trascurabile, visto il probabile ruolo svolto sulle

complicanze microangiopatiche, come sembrano indicare anche i nostri risultati sulla

progressione della retinopatia diabetica e, solo in parte, della nefropatia diabetica.

L’ottenimento di questi risultati, passa come è noto, attraverso una buona selezione

dei pazienti che, oltre a presentare le indicazioni cliniche, devono essere ben

motivati, devono seguire un accurato autocontrollo glicemico, siano ben educati alla

gestione del apparecchio e, possibilmente, seguano un programma di pianificazione

alimentare e regolari controlli con il team dedicato.

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Ringraziamenti

…incredibile sono già passati 5 anni!!! Il tempo vola!!!

Forse questa è la parte più difficile di questa tesi perché scrivere i ringraziamenti

vuole proprio dire che è finita la specializzazione e quindi vi devo salutare!!!

Sono stati 5 anni FANTASTICI in cui ho potuto far parte di questa GRANDE

FAMIGLIA che si chiama DIABETOLOGIA.

Il primo ringraziamento ovviamente va a chi ha permesso questo mio percorso

formativo, accettandomi prima come tesista, e poi come specializzanda: il Prof.

Stefano Del Prato che mi ha offerto la possibilità di frequentare una scuola di

specializzazione unica nel suo genere.

Un GRAZIE alle due persone che più di tutti hanno segnato, in momenti diversi,

questo mio percorso di crescita personale e professionale. Due figure che pur

essendo molto diverse tra loro, hanno in comune la stessa dedizione verso il paziente

e la professione.

Il dott. Miccoli, detto il “Babbo”, il quale è stato il primo a credere in me ed a darmi

fiducia; mi ha sostenuto ed incoraggiato in questi anni di specializzazione,

insegnandomi che prima di tutto c’è il paziente e poi il resto… Una persona di poche

parole che con un cenno riesce a farti capire se stai facendo la cosa giusta oppure no.

Un professore nel DNA!!

Il mio “MAESTRO” il dott. Aragona, che mi ha sopportato in questa seconda ed

ultima parte del mio percorso affiancandomi nella stesura e compilazione di questo

lavoro di tesi. Un ottimo medico che mi ha insegnato tutti i segreti della tecnologia

ed un grande amico che mi ha supportata nei momenti di maggiore difficoltà,

donandomi mille piccole attenzioni affettuose che spaziano dal semplice passaggio in

auto alla fornitura di gustosi itinerari eno-gastronomici!

Un affettuoso ringraziamento a tutti gli strutturati che quotidianamente, nel corso di

questi anni, hanno saputo trasmettermi non solo la loro esperienza ma soprattutto la

loro umanità, dando vita ad un ambiente tanto stimolante quanto positivo.

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E poi… come dimenticare i compagni di viaggio: ringrazio tutti i colleghi

specializzandi, vecchi e nuovi, per aver diviso gioie e dolori. Un GRAZIE di cuore ai

miei compagni di avventura Dario e Margherita…è stato un piacere far parte dei “3

moschettieri”…uno tutti e tutti per uno!

Grazie a tutti gli infermieri, la vera anima e cuore pulsante di questa Famiglia con cui

ho condiviso tanti momenti diurni e notturni!

Grazie al gruppo dei podologi…ho scoperto non solo dei bravi professionisti ma

soprattutto degli Amici!

Infine, per ultimi, ma primi nel mio cuore, ringrazio i miei genitori e Guglielmo, per

aver sempre creduto in me anche quando io non riuscivo a farlo, per avermi

SUPPORTATO incondizionatamente e sempre…e soprattutto per aver

SOPPORTATO tutte le mie ansie e paure!!!

Così si conclude definitivamente questa tesi e questo capitolo della mia vita….ma

ben presto se ne aprirà un altro, più grande ed impegnativo… e così questa Famiglia

si allargherà!!!

GRAZIE DI CUORE

Isabella