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STUDI NORDICI XIII · 2006 estratto FABRIZIO SERRA · EDITORE PISA · ROMA

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STUDI NORDICI

XIII · 2006

estratto

FABRIZIO SERRA · EDITOREPISA · ROMA

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Direttore/Redaktør/Editor:

Jørgen Stender Clausen (Università di Pisa)

*

Comitato Scientifico/Redaktionskomité/Scientific Board:

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Gianna Chiesa Isnardi (Università di Genova)Per Dahl (Aarhus Universitet)

Carla Del Zotto (Università di Roma)Alessandro Fambrini (Università di Trento)

Fulvio Ferrari (Università di Trento)Steinar Gimnes (Universitetet i Trondheim)

Sven H. Rossel (Universität Wien)Sanda Tomescu Baciu (Università di Cluj)

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Comitato di redazione/Redaktionsudvalg/Editorial Board:

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Massimo CiaravoloJørgen Stender Clausen

Alessandro FambriniFulvio Ferrari

*

Redazione/Redaktion/Editorial Office:Dip. di Linguistica ex Istituto di Letteratura tedesca e di Filologia

germanica, Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere eFilosofia, Via del Collegio Ricci 10, i 56126 Pisa (Italia).Telefono: +39 050 2215031/36. Telefax: +39 050 2215040

e-mail: [email protected]

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LE ORIGINI MEDITERRANEE ED EURASIATICHE DELL’ARTE VICHINGA

casi esemplari dall’islanda

Maurizio Tani

Culture ‘periferiche’

Con l’aggettivo ‘vichinga’ normalmente si intende un’arte ornamentale, fortemente animalista, che dominò le terre ‘norrene’ (Scandinavia, Isole britanniche e Atlantico

del Nord, area baltica e non solo) nell’epoca dell’espansione vichinga, ovvero dalla fine dell’viii secolo d.C. fino al xii secolo, fino cioè a quando – in seguito ad una più generale assimilazione a forme culturali centro-europee – nell’Europa del Nord prende il soprav-vento un nuovo linguaggio artistico detto ‘romanico’.

In storia dell’arte è detta ‘animalista’ ogni forma artistica – attestata in varie epoche e presso varie culture – caratterizzata da motivi zoomorfici variamente stilizzati in compo-sizioni libere e fantasiose. L’arte animalista non è quindi un’esclusiva delle popolazioni scandinave e nordeuropee. In Eurasia le prime espressioni di uno ‘stile animalistico’ vero e proprio risalgono al primo millennio a.C.

Secondo alcuni studiosi quest’arte animalista nascerebbe in realtà sociali ‘di frontiera’, ‘di collegamento’, dove civiltà ‘barbariche’ (spesso nomadiche o seminomadiche, dedite all’animismo, allo sciamanesimo, al culto degli animali) vengono stimolate dal contatto con le civiltà urbane (per lo più di matrice ellenistico-romana) della vicina fascia Mediter-raneo-Vicino Oriente-Iran-India-Cina.

Tale stile trovò sempre grande fortuna tra le popolazioni del Nord europeo e tra quelle nomadi delle steppe eurasiatiche, per le quali l’arte – non percepita come distinta dal quotidiano – esprimeva esigenze di decorazione della persona e quindi si concretizzava in oggetti mobili (per lo più placche, elementi decorativi di armi, finimenti vari). 1

Genti eurasiatiche come gli Sciti, i Sarmati, i Goti, gli Unni, gli Avari, i Khazari, i Bulga-ri, gli Ungheresi, i Cumani, i Peceneghi, i Mongoli, ma anche i Celti, i Germani e gli Slavi, senza distinzione di appartenenza linguistica o religiosa, hanno espresso in varie epoche forme di arte animalista.2

In questa sede cercheremo di presentare le peculiarità dell’arte vichinga tenendo pre-sente questo scenario di continuità nello spazio (lungo i circa 20.000 km che separano il Vinland nordamericano dal fiume Amur, che sfocia nell’Oceano Pacifico) e nel tempo

1 Secondo alcuni studiosi come il viennese Karl Jettmar, lo stile animalistico sarebbe nato nell’ambito di società arcaiche in un momento di grande espansione militare (attacchi pirateschi, invasioni) e commerciale. Jettmar, inoltre, parla dell’arte animalista come di una realtà nata da una « tipica situazione da zona di frontiera » ( Jettmar 1964, 246). Secondo l’afascinante interpretazione di Jettmar quest’arte sarebbe infatti nata dal bisogno decorativo di gruppi no-madici armati a cavallo provenienti dalle steppe eurasiatiche nel momento in cui si misero al servizio come mercenari delle comunità sedentarie della Mesopotamia e dell’Iran.

2 Sugli elementi che accomunano popoli ‘vichinghi’, ‘saraceni’, ‘ungari’ e ‘mongoli’ ci sono vari contributi, che vanno dalle tecniche militari (Kennedy 2002) alla religione (DuBois 1999), all’arte ( Jettmar 1964). Per Jettmar i nor-reni non sono molto diversi dai loro ‘colleghi’ eurasiatici quando, in qualità di ‘Vichinghi’, percorrono per mare e per fiume una vastissima area nel nord del continente eurasiatico, dai suoi limiti più occidentali (Canada, Groenlandia, Islanda) fino alle regioni centrali dell’Asia, mostrando sempre grande abilità nel creare occasioni di arricchimento ai margini delle regioni urbane.

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(lungo i più di 3000 anni che separano le più antiche forme artistiche della Scandinavia dall’arte romanica) in cui inserire la millenaria dialettica tra mondo nord-eurasiatico e mondo delle civiltà urbane sud-eurasiaiche e afro-mediterranee.

I primi contatti con l’arte mediterranea ed eurasiatica

L’arte ‘vichinga’ nasce in una terra che da sempre è in contatto con il resto dell’Eurasia. Questo è particolarmente evidente per le epoche successive all’arrivo, da Oriente, della rivoluzione neolitica e della rivoluzione metallurgica.

Senza i contatti con le vicine regioni del Sud (area egea) e dell’Est (con le quali scam-biava soprattutto ambra), la Danimarca (regione priva di giacimenti di bronzo e oro) non avrebbe mai vissuto la sua grande stagione artistica nell’età metallurgica del bronzo (1800-700 a.C.).

Con l’aumento – in età del ferro (900-450 a.C.) – degli inlussi provenienti da Sud e da Est, tutto il Nord Europa entra in contatto con le più importanti civiltà artistiche centro-europee, nate in stretta simbiosi con le civiltà urbane del Mediterraneo (Etruschi, Greci, Romani) e del Vicino Oriente : le civiltà celtiche di ‘Hallstatt’ e di ‘La Tène’ e quelle dei ‘popoli delle steppe’, descritti nelle fonti mediterranee come ‘Sciti’ e ‘Sarmati’.

Ed è proprio l’interesse per gli animali, insieme alla tipologia di alcuni manufatti (vedi, ad es., i corni di Dalj del vi secolo a.C.) 1 e a quella di alcuni motivi artistici (come la doppia spirale detta ‘celtica’, anche se in realtà deriva dall’arte scitica), che accomuna l’arte celtica e quella scitica, con importanti ricadute sull’arte del Nord Europa.2

A questi inlussi reciproci all’interno del mondo nordeuropeo, intorno al i secolo a.C. si aggiunge un nuovo inlusso, quello proveniente da Roma.

L’arrivo dell’arte romana

Con la conquista romana delle Gallie, di buona parte delle regioni danubiane, di parte della Germania e delle Isole britanniche, il Nord Europa si lega ancor di più al sistema economico, e quindi culturale, creato e difuso dalle civiltà urbane di matrice ellenistico-romana.

Nelle nuove province di Roma nasce (soprattutto ad opera della cosiddetta ‘arte plebea’ romana) la cosiddetta ‘arte provinciale d’Occidente’, ovvero l’« arte europea di Roma » (Bianchi Bandinelli 1970, 129).

Il contesto in cui forse la fusione di elementi artistici romani e ‘barbarici’ è più avan-zato e ricco di frutti è quello dell’esercito romano (la parte più importante di uno Stato romano sempre più militarizzato), in cui soldati di provenienza e cultura ‘barbarica’ abbi-sognano di oggetti decorativi, in cui avviene una mirabile sintesi dei due mondi a contatto (Hicks 1993, 11).

In Scandinavia, raggiunta dai Romani attraverso il Danubio, la foce del Reno e, più tardi, la Vistola, l’arrivo di una gran quantità di beni di lusso romani (argenti, sete e altri tessuti pregiati, spezie e vino, scambiati con ambra, schiavi, pelli e bestiame) ebbe impor-tanti conseguenze sulla società e sull’arte.3

1 Laing 1992, p. 35.2 In questa sede non c’è modo di accennare al rapporto tra civiltà iraniche e greche, che risale ad epoche remote

(cfr. esempi dell’viii secolo in Ghirshman 1964, pp. 334-366). 3 L’imponenza di questi contatti commerciali (mediati ad Est da Marcomanni prima e dai Goti poi) è testimoniata

dal gran numero di monete (usate come simbolo di ricchezza) e oggetti mediterranei ed eurasiatici (Wilson 1976, 24) ritrovati in Scandinavia (oggetti in bronzo – ad es. statuette di divinità romane – e argento, coppe di vetro, fibule), oltre che dalla comparsa della scrittura runica, simile a quella dei popoli delle steppe (Unni, Turchi, Ungari, …) ma di

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La ricchezza tra i barbari portò allo sviluppo di nuove forme di organizzazione sociale e politica, con la comparsa di nuove aristocrazie militari sempre più interessate a sottoli-neare, tramite l’arte, il proprio status sociale.

Maestranze artistiche romane, spostandosi da un luogo all’altro, andarono difondendo nuove mode estetiche (Holmqvist 1955, 11), mentre artisti nordici andavano a formarsi a Roma (Wilson 2003, p. 91).

Quando poi, in epoche più vicine a noi, Roma recluterà sempre più soldati tra le file dei ‘barbari del Nord’ (per i quali il servizio militare sotto l’Impero era un’ottima occasione per procurarsi onori e ricchezze), l’osmosi tra Nord e Sud divenne ancora più intensa. Si calcola che entro il iv secolo d.C. l’esercito di Roma fosse costituito in stragrande maggioranza da barbari del Nord (soprattutto celtici, germanici, iranici, ma anche uralici e altaici).

Mentre i soldati dell’Impero romano decorano le loro cinture con lamine di origine ‘barbarica’ caratterizzate da un gran numero di motivi animalistici sempre più stilizzati (Hicks 1993, p. 11), nel mondo germanico imperversa la moda romana (soprattutto quella dei gioielli), che introduce anche in Scandinavia un gran numero di motivi tipici dell’arte mediterranea : l’intreccio, i viticci, raigurazioni di animali fantastici, certe decorazioni di navi (Baltrušatis 1993, p. 92 ; Hicks 1993, p. 12).

In tutto il Nord Europa si registra una vasta produzione di copie di sculture e vasellame in bronzo e argento, fibule e armi romane (vedi i famosi elmi di Vendel, Uppland, Svezia, vii secolo d.C., e Sutton Hoo, Sufolk, Inghilterra, vii secolo d.C.).

È in questo clima di grande apertura tra Roma e ‘barbari’ che si crea quel patrimonio di conoscenze, tecniche, motivi decorativi di origine ellenistico-romana, che rimarrà di attualità tra i popoli del Nord per tutto il medioevo e l’età moderna. 1

L’arte ‘tardoromana’

Questa ‘koinè romano-barbarica’ che interessa tutti i livelli della società e della cultura europea in epoca tardoantica è alla base della nascita dell’arte germanica prima e dell’arte cosiddetta ‘vichinga’ poi. Un filone artistico, quello germanico-vichingo, che seppe dare importanti frutti fino al xiii secolo e anche oltre (giungendo fino ai nostri giorni grazie all’arte popolare).2

In arte la fusione di elementi ellenistico-romani e ‘barbarici’ viene definita (da Riegl in poi) ‘arte tardoantica’ o ‘tardoromana’ (Spätrömisch). Un’arte, quella tardoromana, che obbedirebbe « ad un Kunstwollen, non classico, e in un certo modo non più nemmeno pro-priamente antico », e quindi – paradossalmente quasi – « Kunstwollen caratteristicamente romano » (Bettini 1953, xxxvi).3

In altre parole : niente di più tipicamente romano dell’arte tardoantica, così debitrice del mondo ‘barbarico’.

probabile origine etrusco-greca. Tra le opere d’arte romana ritrovate in area scandinava ricordiamo il tesoro di Hoby, Lolland, opera di maestranze greche attive a Roma nel i secolo d.C. (oggi al Museo Nazionale di Copenaghen).

1 A tal proposito basterà pensare alle teorie di Riegl (Idem 1998) sulla tecnica del tappeto tessuto ad arazzo, che sviluppatosi on ogni probabilità in area ‘greco-romano-orientale’, sarebbe rimasto attiva nell’ambito dell’economia domestica di alcune ‘regioni periferiche’ della Scandinavia, dell’Est e dell’Oriente per poi ritornare in epoca medievale e moderna – come prodotto esotico dell’Oriente - nei centri che l’avevano originata.

2 Si veda, in particolare, quelle forme artistiche ‘nazionali’ – nate in epoca romantica un po’ in tutta l’Europa del Nord per sottolineare artificialmente diferenze e specificità etniche – che al di là dei vari nomi (‘celtica’, ‘scandinava’, ‘vichinga’, ‘norvegese’, ‘islandese’, ‘svedese’, ‘danese’, ecc…) possono esser ricondotte ad una unica matrice romano-barbarica.

3 Si rimanda agli studi di Bianchi Bandinelli per l’approfondimento di questa teoria che vedrebbe nell’arte romana tardo-antica la più ‘romana’ delle forme artistiche.

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Un linguaggio artistico tardoantico che, nel rifiutare il naturalismo a vantaggio del simbolismo e del decorativo, « porta alla distruzione della connessione organica fra le varie parti dell’immagine », all’« abbandono della prospettiva naturalistica, che viene sosti-tuita da una prospettiva ‘ribaltata’ disponendo le figure in un solo piano frontale anziché in profondità e di scorcio ; all’assunzione di proporzioni “gerarchiche” invece che reali-stiche » (Bianchi Bandinelli 1966, p. 426), alla moda degli animali con gli arti staccati (Baltrušatis 1993, p. 99).

Un’arte tardoromana che sarebbe quindi non più l’ultimo agonizzante pezzo di un mondo al tramonto, ma l’originale sviluppo di un’arte romana maggiormente svincolata da certi modelli greci ed ellenistici.

Un’arte romana matura, aperta a nuove sensibilità di matrice nordeurasiatiche (desti-nate a rimanere alla base di tutta l’arte medievale successiva, dall’arte bizantina all’arte islamica,1 dal romanico al gotico) e che condivide con l’arte germanica e vichinga (espres-sione di società di confine) l’interesse per l’istanza simbolica e decorativa.

L’arte ‘romano-barbarica’

Anche con la crisi delle autorità romane in occidente e la formazione (a partire dalla fine del v secolo d.C.) di compagini statali a guida ‘barbarica’ (regno goto-alano/sarmatico sulle coste del Mar Nero, Impero eurasiatico di Attila, Franconia, Italia gota di Teodorico il Grande, Longobardia, ecc…), le occasioni di contatto tra Europa del Nord, Mediterraneo e Oriente non accennano a diminuire (come dimostrano i ritrovamenti in Scandinavia di solidi e vari beni di lusso di origine romana, o della statuetta di Budda, proveniente dal-l’India via Afghanistan).

Il rapporto con modelli romani è chiaro, ad es., nelle fibule, nella raigurazione del cavaliere sulla pietra d Möjbro (Uppsala, Svezia) o nelle cosidette bracteates risalenti al v-vi secolo e trovate a centinaia in varie località scandinave. Queste ultime sono delle sottili la-mine decorate solo da un lato, con al centro raigurata una testa umana (ispirata ai ritratti di imperatori romani), e dotate di un gancio per essere appese addosso.

Dalle steppe eurasiatiche, dove ormai anche i popoli germanici sono di casa (vedi la formazione, tra Dnepr, Bug, Dnestr e Danubio, del ‘regno goto-alano’), continuano ad arrivare nuovi inlussi (come la tecnica degli smalti cloisonné).2

Risale a questo periodo anche l’inlusso dell’arte sassanide (dall’omonima dinastia ira-niana che regnò tra 224 e 641 d.C.), caratterizzata da aristocraticità e finalizzata all’esalta-zione del sovrano (avente carattere divino) e per questo essenzialmente decorativa e sim-bolico-evocativa (anche se meno ellenizzante di altre tradizioni artistiche allora presenti nella regione centro-asiatica e iranica).

È così che tra i secoli v e x nel Nord Europa si raggiunge, grazie anche a questi nuovi contatti con il resto del continente eurasiatico, un livello artistico maturo, di grande sug-gestione, documentato da splendidi manufatti (per lo più in oro) riccamente ornati con tematiche animalistiche, destinate a rimanere ‘obbligatorie’ in tutta l’arte successiva di quelle regioni.

1 Sembra che nel medioevo il termini ‘saraceno’ indicasse semplicemente tutto quello che fosse pagano, e in par-ticolare riferito all’antichità romana (Riegl 1998, p. 29). Un esempio nell’arte islamica di motivi di origine classica potrebbe essere il cosiddetto arabesco, elemento principale dell’arte decorativa islamica fin dal vii-viii secolo, deriva-no dall’arte ellenistica (in particolare da quella dell’Asia Minore), il motivo della mezza-foglia (detto rumi, ‘romano’ : Baltrušatis 1993, p. 121) o quello del tralcio con teste (ivi, 139).

2 Tale tecnica, ovviamente, era ben conosciuta anche in Italia e nel resto del mondo romano-ellenistico. Ma è con i Goti che la tecnica degli smalti cloisonné diventa più frequente nei manufatti artistici italiani, galli e iberici.

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Per questa arte pienamente matura gli storici usano la denominazione di ‘arte germani-ca’, riconducendone la paternità nell’ambito di quel complesso linguaggio figurativo nato dalla fusione di elementi artistici romano-ellenistici e ‘barbarici’ 1 e presto difusasi dalle Isole britanniche alle regione baltiche.

Efettivamente si tratta di un’arte fortemente interessata ai temi animalistici. Basti os-servare come sia frequente sui fermagli e le borchie la raigurazione di quadrupedi e teste di rapaci. In molti esempi non è diicile rintracciare la fonte romana di questi motivi, ma nella maggior parte dei casi il modo con cui i corpi degli animali vengono disgregate rende le forme quasi irriconoscibili.

Gli studiosi si sono dati molto da fare nel ricostruire le vicende di questi motivi animali, elaborando una successione di ‘stili animalistici’, il primo dei quali è detto ‘Stile i’. Que-sto stile, assai difuso nelle Isole britanniche (dal v secolo), in Germania e Longobardia, è caratterizzato da raigurazioni di animali resi singolarmente, dal corpo contorto e dalle membra staccate. In esso sono ancora ben visibili gli apporti romani (ad es., la raigura-zione della mano sul modello del gestus degli imperatori romani), ma l’efetto generale è ormai ‘romano-barbarico’.

Ancor più alto è il livello di contorsione e disgregazione del motivo animale nel cosid-detto ‘Stile ii’, presente in tutta Europa, nato secondo alcuni studiosi in Scandinavia, ma più probabilmente originario della Renania (o del Nord Italia) e arrivato in Scandinavia solo intorno al vi secolo.

L’arte nelle Isole britanniche e in Scandinavia

Un fatto importante nella storia dell’arte dell’Europa nordatlantica avviene nel v-vi se-colo, in seguito all’invasione dell’Inghilterra da parte degli Anglosassoni. Questo even-to, infatti, creò un ponte linguistico, culturale e artistico tra le Isole britanniche (da sempre particolarmente legate a Roma) e la Scandinavia, e quindi tra culture celtiche, romane e germanico-norrene.

Irlanda e Inghilterra dell’Ovest erano, infatti, rimaste strettamente in contatto con il re-sto del continente europeo e con il Mediterraneo anche dopo il ritiro delle truppe di Roma. Via mare continuavano ad arrivare opere d’arte (soprattutto oreficeria, tessuti, …), difon-dendo al Nord nuovi motivi provenienti dall’Africa (opere d’oreficeria copta2 e bizantina), da Costantinopoli, dal Vicino Oriente, dall’Italia e dall’Asia Minore (Hicks 1993, pp. 32-34). Nel vi secolo tali relazioni tra Isole britanniche e resto d’Europa poterono ulteriormente rinforzarsi grazie alla fondazione di missioni irlandesi in Gallia, Renania e Italia.

Una volta giunti in Inghilterra, gli Anglosassoni mostrarono di apprezzare molto gli usi e i costumi delle popolazioni romano-celtiche,3 condividendo con esse la passione per i temi zoomorfi (Hicks 1993, p. 24), spesso ripresi direttamente dall’arte romana (ivi, p. 19).

Dopo la cristianizzazione degli Anglosassoni (vii-viii secolo) e la successiva costruzio-ne di nuovi monasteri (ad opera di monaci irlandesi) in Inghilterra (Northumbria in par-ticolare), nelle Isole britanniche la cultura e le arti fiorirono in maniera impressionante, favorite anche dal clima di assoluto cosmopolitismo,4 alimentato – ad es. – dai continui viaggi in Italia e nel Mediterraneo degli uomini di chiesa (ivi, p. 79).

1 Alcuni autori considerano l’ornato antico-germanico un discendente dello stile animalista scitico. Ad es., la sto-rica dell’arte Tamara Talbot Rice a suo tempo volle trovare inlussi scitici addirittura sulle steli anglosassoni dell’xi secolo, in molti elementi dell’arte popolare slava e nei tessuti contadini lituani del xix secolo. Altri storici sono arrivati a vedere tali inlussi anche nella miniatura medievale. 2 Hicks 1993, p. 77.

3 I contatti tra cultura ‘celtica’ e ‘germanica’ risalgono all’epoca del bronzo.4 La provenienza degli oggetti ritrovati in tesori come quello di Sutton Hoo (vii secolo) dimostrano l’alto grado di

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Il nuovo corso cristiano efettivamente non fa altro che dare nuovi significati ai vecchi e collaudati temi animalistici, ai quali se ne aggiungo di nuovi, spesso provenienti dal Mediterraneo (vedi, ad es., gli animali nelle agiografie medievali e gli animali-simbolo degli evangelisti). 1

I prodotti più belli di questo felice momento artistico sono i magnifici codici miniati, frutto della collaborazione tra monaci irlandesi e anglo-sassoni, attivi fianco a fianco nelle nuove fondazioni (Laing 1992, p. 156).2

In questi codici miniati anglo-sassoni-celtici – riconoscibili per la tipica ‘decorazione a tappeto’ fatta di intrecci, spirali e figure di animali – troviamo elementi iconografici e stilistici provenienti da tutti gli angoli dell’Eurasia : da quelli di origine bizantina (spesso di origine italo-bizantina, come nel così detto Codex Amiatinus della Biblioteca Laurenziana di Firenze, in cui sono evidenti i rapporti con il Manuale dell’artista)3 a quelli di derivazio-ne mediterranea (come nel Libro di Lindisferne, ad es.) da quelli ‘nordeurasiatici’ (come negli animali-simbolo degli evangelisti nel Libro di Durrow ;4 cfr. Laing 1992, p. 153) a quelli ‘orientali’ (parallelismi con le decorazione di tessuti e tappeti del Vicino Oriente), ovvero persiani (vedi la croce di Dacre, Cumbria)5 e sassanidi.6

Oltre ai libri (strumenti principali di evangelizzazione), l’arte celtico-anglo-sassone di questo periodo produce imponenti pietre tombali riccamente scolpite e rainati gioielli smaltati e filigranati. Anche nell’oreficeria e nella scultura troviamo lo stesso rifiuto del naturalismo, la preferenza per l’astrazione delle figure, l’interesse prettamente decorativo per l’arte.

Dal contatto tra arte scandinava e arte celtico-anglo-sassone delle Isole britanniche na-sce il cosiddetto ‘Stile iii’, che sarà anche il primo degli stili propriamente ‘vichinghi’.

Contatti internazionali in epoca vichinga

In epoca vichinga, quando (tra ix e xi secolo) gli Scandinavi – in qualità di pirati, predoni, mercanti (di beni e schiavi) e mercenari (vedi la guardia variega di Costantinopoli) – si spo-stano in un spazio amplissimo (dalle Isole britanniche e dalla Franconia all’Impero roma-no di Costantinopoli, all’Armenia, ai califati dell’Asia occidentale, alla Russia, al Khazar, a Bulgar, ecc. …), i collegamenti tra il Nord Europa e il resto del continente eurasiatico si intensificano ancor di più.

Durante l’epoca vichinga, infatti, i commerci crescono sia con l’esterno che all’interno della Scandinavia7 (con la Svezia notevolmente favorita dalla sua posizione strategica, a metà strada tra mondo vichingo atlantico-occidentale e quello baltico-orientale).8

I Norreni d’epoca vichinga riescono bene ad inserirsi nel commercio eurasiatico, che in quel momento si interessa molto ai tessuti grezzi, ai coloranti, alle stofe finite e alle

integrazione dell’elite inglese con il resto del continente. Vi sono infatti vasellame d’argento e bronzo proveniente dal Mediterraneo orientale, cucchiai e un piatto bizantini, uno scudo svedese, monete e armi dalla Franconia, oreficeria locale (con predilezione per temi zoomorfi, vegetali e geometrici).

1 Spesso gli animali esotici del sud venivano ricondotti ad animali più comuni al nord, come ad es. l’elefante (fre-quente nei manufatti bizantini), che al Nord (ad es. nelle Isole britanniche) veniva interpretato come un felino dalla lungo naso (Hicks 1993, p. 188).

2 Spesso risulta diicile per gli storici stabilire se un certo manufatto artistico provenga dall’Irlanda o dal Northum-bria. 3 Hicks 1993, pp. 184 e 230.

4 Negli animali del Libro di Durrow sono forti anche gli elementi più tipici dell’arte ‘celtica’.5 Hicks 1993, p. 128. 6 Ivi, pp. 132 e 154.7 Molto richiesti, ad es., i manufatti in pietra saponaria dalla Norvegia.8 L’importanza di questi commerci è testimoniata dalla gran mole di monete straniere ritrovate nell’area del Bal-

tico (200.000 dirham d’argento di provenienza islamica centroasiatica). In Svezia, ad es., sono state scavate 80.000 monete islamiche, contro le 58.500 provenienti dalla Franconia e le 30.000 di origine anglo-sassone.

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spezie (beni che costituiscono anche un valido metodo di tesaurizzazione della ricchezza, sia nei paesi esportatori che in quelli importatori e di transito).

Ad occidente, i Vichinghi creano insediamenti stabili in Scozia, in Irlanda, in Inghilterra, alle foci del Reno, in Francia, poi anche in Islanda, Groenlandia e America. Agli inizi del x secolo – e poi nuovamente agli inizi dell’xi secolo (col regno di Canuto il Grande, sovrano che nel 1026 si recò anche a Roma) – il Nord-Est dell’Inghilterra cade sotto il controllo degli Scandinavi.

Ad oriente, i Vichinghi – sfruttando i laghi e i fiumi dell’attuale Russia 1 – raggiungono Bulgar e Khazar2 e l’Armenia, 3 il Caucaso, Samarcanda, la strada della seta, Bagdad e tutto l’Oriente (dove la tessitura – che in Europa del Nord era in crisi – fioriva ad un livello qua-litativo straordinario, dall’Egitto delle stofe copte all’Iran dei tessuti sassanidi).4

Contemporaneamente a tutto ciò, la Scandinavia stessa – soprattutto nelle città com-merciali di Ribe, Aggersborg, Hedeby e Birka – si popola di mercanti inglesi, tedeschi, arabi, turchi, ecc.

Con questa espansione economica e politica i Norreni entrano in stretto contatto con moltissimi popoli, lingue e tradizioni (slavi, ugro-finni, turchi, arabi, iranici, sogdiani, ci-nesi…). Nuove parole,5 nuove tecniche architettoniche (fortificazioni sul modello bizanti-no, ad es.), nuovi oggetti d’arte6 (soprattutto tessuti) e – forse – nuove religioni,7 entrano nel mondo norreno.

Ed è in questo contesto di grande apertura che si colloca la così detta ‘arte vichinga’.

La prima arte scandinavo-vichinga

Nelle opere d’arte della prima età vichinga dominano i temi animalistici – in particolare i motivi dell’animale nastriforme con la testa piccola e il corpo che si gonfia e si assottiglia, aprendosi spesso in ampi squarci e quello del gruppo di animali intrecciati e aggrappati gli uni agli altri (Wilson 1976, 123) – e sono ben visibili gli elementi di origine continentale.8

Altrettanto forti sono i prestiti esterni nel cosiddetto ‘stile Oseberg’ (dal nome del fa-moso luogo di sepolture nel Sud della Norvegia), fiorito agli inizi e a metà del ix secolo in tutti i Paesi scandinavi e in Islanda.9

Tra gli elementi tipicamente mediterranei che ritroviamo nell’arte vichinga dobbiamo

1 Questa strada via Russia del Nord risale al vi secolo (nel ix sarà trasferita più ad Est).2 Con i suoi mercati, il Kaganato di Khazar attraeva venditori e acquirenti slavi, scandinavi, centroasiatici, arabi

(che arrivavano via Armenia).3 L’Armenia allora era uno Stato molto importante e prospero, grazie anche alle carovane dalla Cina che vi arriva-

vano. A metà tra mondo ellenistico e persiano-arabo, gli Armeni svilupparono una grande arte, sia a livello archiet-tonico che di miniature.

4 Nell’Impero romano di Bisanzio la tessitura aveva avuto uno sviluppo eccezionale, soprattutto a partire dai tempi di Giustiniano, che impose ai tessitori bizantini (soprattutto donne, impiegate in manifatture di Stato) modelli ellenistico-egiziani e sassanidi (lo strangolatore di leoni, l’elefante, lo stambecco, il Senmurv-drago, i leoni afrontati presso l’albero della vita) oltre che siriaci (aquila araldica) e islamici (motivi fitomorfi e zoomorfi di grande vitalità). L’arte islamica poi ha voluto continuare, volgendola in direzione aniconica (coerentemente con i suoi presupposti monoteistici), la tradizione ellenistico-romana (a livello di architettura, tessitura, lavorazione degli avori, ecc.), senza mai perdere il contato con il substrato asiatico (Baltrušatis 1993, 134).

5 Forse risale a questa epoca l’ingresso nelle lingue scandinave della parola fill, ‘elefante’ (ancora usata in islandese moderno), che sembra essere di origine iranica.

6 Alcuni puntali di cintura molto simili a quelli della Khazaria (o comunque dalle regioni delle steppe eurasiatiche) sono stati ritrovati anche in Islanda. Cfr. Roesdahl, Wilson 1992, 257, 260.

7 A tal proposito sarà interessante richiamare le storie dei gruppi di Norreni che si convertirono all’ortodossia slavo-bizantina e all’Islam (Piltz 1998, 114).

8 Tale prima fase dell’arte vichinga viene ricondotta dagli studiosi al cosiddetto ‘Stile iii’ dell’arte germanica.9 Si veda, ad es., le due fibule ovali del tipo cosiddetto ‘di Berdal’ del Museo Nazionale d’Islanda (inv. 5030 ; cfr.

Svienbjarnardóttir 1996, 443).

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citare l’acanto 1 e il tralcio di vite (giunti in area norrena probabilmente dalla Franconia), entrambi alla base di molti nuovi motivi iconografici sorti localmente in epoca successi-va.2

Non mancano inlussi ‘stranieri’ (come nel motivo iconografico dell’animale che guar-da indietro ; cfr. Wilson 1976)3 neppure nel cosiddetto ‘stile Borre’ (dall’omonima località norvegese), in cui vediamo una netta preferenza per le forme geometriche (spesso dispo-ste a formare tra di loro contrasti e giustapposizioni) e l’uso della figura dell’animale raf-figurato frontalmente ed in cui si alternano motivi ‘statici’ a motivi più dinamici – spesso ordinati in sequenze compositive ripetute, dette « catena di anelli » (Wilson 1976, p. 125).

Non meno forti sono gli inlussi provenienti dal resto del continente eurasiatico nello stile detto ‘Jelling’ (dall’omonima località danese dello Jutland sede della famosa necropo-li reale, dove intorno al 960-985 il re Harald Gormsson fece erigere – seguendo una moda inglese – un singolare monumento al padre).4 Contemporaneo dello stile di Borre, il Jel-ling è riconoscibile soprattutto dal motivo dell’animale nastriforme a forma di ‘S’.5

Il mondo pagano nordeurasiatico

Di fronte a questa predilezione dell’arte vichinga per i temi animalisti, sorge spontanea la domanda : come spiegare queste preferenze iconografiche ? Che tipo di ipotesi possiamo fare sul significato che i Vichinghi attribuivano a queste scene di animali ?

Se in passato si puntava a ricondurre l’arte vichinga alla letteratura norrena medievale (poemi scaldici, saghe) e ad una presunta ‘cultura dei popoli indoeuropei’, oggi si tende invece a collegare l’« iconografia vichinga » ad esperienze culturali più generalmente « eu-ropee » e nordeurasiatiche (Fuglesang 1993, p. 697).

Da tempo etnologi come l’ungherese Gábor Lükő (Idem 2003, p. 19) hanno mostrato l’utilità di indagare la cultura di una data civiltà non solo tra i popoli linguisticamente più vicini, ma anche tra quelli apparentemente più ‘lontani’ culturalmente.6

Oggi ormai lo studio della cultura norrena di epoca vichinga avviene sempre di più in un’ottica nordeurasiatica, senza artificiali distinzioni tra ‘Indo-Europei’ (Germani, Slavi) e ‘Ugro-Finnici’ (vedi, ad es., gli studi di mitologia condotti da Thomas A. DuBois).7 Tra gli elementi che unificano il Nord eurasiatico troviamo, ad es., lo ‘sciamanesimo’, la cui presenza è stata rilevata sia nella cultura tradizionale scandinava e islandese (Hermann Pálsson 1996) che in quella anglo-sassone (Glosecki 1989), celtica e nordeuropea in ge-nerale (Hoppál, Pentikäinen eds. 1992).

Ma per capire i significati più profondi dell’arte vichinga, con il suo significato magico-

1 Tipica pianta mediterranea (achantus spinosus) riprodotta in tutta l’arte classica romano-ellenistica (vedi, ad es., il capitello corinzio e composito).

2 Come quello raigurante animali quadrupedi nastriformi, con fianchi in forma di poligoni, retrospicienti, a volte resi frontalmente e annodati su se stessi in modo tale da disegnare forme simili ad un pretzel (quel biscotto secco e salato che va ancora di moda nell’Europa settentrionale, centrale e orientale).

3 Lo ‘stile Borre’ ebbe grande fortuna anche nelle varie terre raggiunte dalla migrazione vichinga, dall’Islanda (so-prattutto puntali di cintura e fibule, sia circolari che ovali e trilobate) all’Inghilterra, alla Russia. Per quanto riguarda l’Islanda, gli esempi più belli di fibule in stile Borre furono trovati in una sepoltura nella località di Daðastaðir, nel nord dell’isola (cfr., ad es., inv. 15691 del Museo Nazionale d’Islanda).

4 Il celebre monumento, su cui si trova raigurato il motivo del leone che lotta contro serpente e – caso unico in area scandinava – un Gesù in croce (avvolto dai racemi), ebbe un ampio inlusso sulla storia dell’arte nordica.

5 Lo stile Jelling – per il quale si è insistito molto sui legami con il mondo anglo-sassone – si trova ben rappresentato anche in Inghilterra (vedi, ad es., le croci di pietra a York) e Islanda (documentato attraverso alcuni oggetti quali else di spada e fibule ovali, a disco e a forma di lingua).

6 Lükő ha dimostrato, ad es., come si trovino moltissimi elementi di cultura ungherese nel patrimonio culturale rumeno (spesso più conservatore di ‘ungheresità’ dello stesso patrimonio culturale ungherese).

7 DuBois 1999, p. 56.

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religioso ( Jankuhn 1963, 555) e la sua funzione sociale ( Jettmar 1964, 262), occorre tener presente anche il contesto storico-culturale di riferimento, ed in particolare il ruolo avuto dal cristianesimo nella storia sociale e culturale (e quindi artistica) del mondo norreno.

Gli esordi del cristianesimo in terra scandinava

Nel tentativo di comprendere più a fondo l’arte norrena non possiamo non proporre un’analisi dei suoi temi iconografici in chiave mitico-religiosa, ovvero in chiave cristiana. L’arrivo del cristianesimo, sempre da quel mondo ellenistico-romano che già tanto aveva dato al mondo nordico, inluenzò in maniera pesante lo sviluppo dell’arte nei Paesi nor-reni. Il contatto con le società già cristianizzate d’Europa e d’Asia, iniziato già in epoca antica ed intensificatosi soprattutto con il vi secolo, alla lunga finì per cambiare il gusto estetico delle popolazioni della Scandinavia.

Tra i primi elementi cristiani ad entrare nell’arte scandinava, la croce, ad es., apparve per la prima volta (proveniente dall’Est) 1 già nel vi secolo, in Svezia e Finlandia, dove però era popolare anche tra i ‘pagani’ (i quali sembra che la identificassero con il martello di Thor).

Con le missioni organizzate dai re carolingi e ottoniani di Franconia a partire dalle città tedesche di Amburgo e Brema, il cristianesimo guadagnò terreno fino a diventare – durante il x secolo – la religione dei re di Danimarca, Norvegia e Svezia, per i quali (sul modello di Carlo Magno)2 l’organizzazione ecclesiastica romano-cattolica era il più im-portante strumento da usare nella costruzione del potere statale.

È in questa fase storica che i re e i missionari cristiani promuovono a tappeto la croce, di per sé simbolo ancora utilmente ‘ambiguo’, come emblema – alla maniera dell’impera-tore romano Costantino – del costituendo potere regio.3

Anche se tra x e xi secolo la chiesa scandinava è organizzata soprattutto ad opera di missionari tedeschi e inglesi, non dobbiamo sminuire l’apporto celtico (in Islanda, ad es., il 15-20% dei coloni è composta da celti cristiani), greco-ortodosso (in Karelia e Gotland giungono missionari ortodossi, mentre tra Russia e Scandinavia sono numerosi i matri-moni principeschi) e ‘armeno’ (vedi i riferimenti a sacerdoti ‘armeni’ in varie fonti islan-desi, tra le quali la raccolta di leggi detta Grágás).

A livello culturale ed artistico questa cristianizzazione porta in tutto l’estremo Nord europeo una serie di importanti novità (proveniente soprattutto da Franconia e Isole bri-tanniche), dalla scrittura4 all’architettura monumentale.

Ormai anche in Scandinavia sono i luoghi e gli oggetti legati alla nuova religione gli ele-menti principali del sistema di produzione artistica, che viene riorganizzato sul modello dei paesi già assimilati al cristianesimo romano-ellenistico.

Così la cristianizzazione trasferisce dall’Europa carolingio-ottoniana e italo-bizantina al Nord Europa una gran quantità di opere d’arte finite (libri miniati, gemme intagliate, tes-suti, oreficeria, …), modelli, motivi decorativi, tecniche (da quelle architettoniche a quel-le dei tappeti), reliquie, oltre a maestranze di miniatori, scultori, carpentieri e pittori.

1 Purtroppo non siamo in grado di valutare fino in fondo il contributo delle chiese orientali alla cristianizzazione del Nord, mancando fonti e avendo l’Occidente svolto un’opera di occultamento sull’argomento a causa di divisioni successive tra cattolici e ortodossi.

2 Nel sistema carolingio, esteso anche all’Italia dopo la caduta del potere longobardo, il vescovo era di fatto un ‘feudatario’ con diritti di governo diretto su un territorio assai ampio.

3 Tra i primi re a promuovere l’uso regale della croce traviano Canuto il Grande, Olaf il santo (1015-1030), Sigurður il Crociato (regna dal 1103 al 1130).

4 Con la scrittura arrivano i libri (spesso riccamente illustrati, anche con illustrazioni di origine greco-italica), della cultura ellenistico-romana : la Historia Naturalis di Plinio, la Collectanea Rerum Memorabilium di Solinus, il Physiologus finiscono nelle biblioteche di conventi e cattedrali.

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Gran parte di questo traico d’arte e di cultura passava per York, la città inglese afac-ciata sul Mare del Nord che in epoca vichinga fu il centro economico e culturale d’area anglo-scandinava più importante, essendo stata – tra 867 e 954 – controllata dai Danesi. 1

La cristianizzazione del Nord non distrugge però completamente la cultura tradizio-nale locale.

Grazie anche al carattere relativamente tollerante verso le tradizioni locali e alla sua natura policentrica, il cristianesimo dell’epoca (meno burocratizzato e centralizzato di quello che si sarebbe avuto più tardi) non si chiude all’arte norrena tradizionale. Non deve quindi stupirci il fatto che l’‘arte vichinga’ (soprattutto con gli stili detti ‘Urnes’ e ‘Ringe-rike’) abbia trovato ampio impiego nel nuovo contesto cristianizzato.

L’arte bizantina e lo stile ‘iberno-norreno’

Durante il periodo ‘vichingo’ e della prima cristianizzazone del Nord, nei Paesi norreni particolare fortuna riscuote l’arte bizantina, che sotto la dinastia macedone (867-1056) e comnena (1057-1204) vive un vero e proprio rinascimento. Per gran parte dell’Eurasia – soprattutto area Mediterraneo, Balcani, Russia e Caucaso – la ‘nuova Roma’ è ancora il punto di riferimento nel campo dell’arte.2

In generale l’arte nel Nord Europa di questo periodo è ricca di contributi esterni, anglo-sassoni, continentali (ottoniani), eurasiatici (persiano-sassanidi) 3 e mediterranei (bizanti-ni).

Nell’arte vichinga i temi animalisti tornano di attualità : il leone (simbolo cristiano di incarnazione e resurrezione), il cammello, il grifo (molto difuso anche nell’arte bizanti-na), il drago, l’amphisbaena (drago a due gambe con coda lunga terminante in testa di ani-male), il senmurv (detto anche ‘cane-uccello’, mitico drago alato molto popolare nell’arte sassanide), il centauro, il cavallo alato.

È su questo rinnovato incontro tra arte vichinga e arte ‘internazionale’ cristiana (di prevalente matrice anglo-sassone e celtica)4 che si fonda un nuovo stile, definito ‘iberno-norreno’ e che trova nel monumento lapideo a forma di croce (famoso, ad es., quello di Gosorth, Cumberland) una delle sue più autorevoli realizzazioni.

L’arte scandinava nel tardo periodo vichingo

Come ulteriore risultato di questa nuova apertura verso l’esterno, in Scandinavia, nel-la seconda metà del x secolo, si sviluppano nuove forme animalistiche caratterizzate da proporzioni più naturalistiche (vedi, ad es., il leone raigurato sul monumento lapideo eretto dal re Harald Gormsson a Jelling). Si tratta del cosiddetto ‘stile Mammen’, variante (coeva) del cosiddetto ‘stile Jelling’. Una delle caratteristiche di questo nuovo stile è l’ab-bondanza (per la prima volta nella storia dell’arte vichinga) di elementi fitomorfi (acanto soprattutto), mutuati dal mondo anglo-sassone e continentale e interpretati con grande padronanza.

Altri cambiamenti stilistici nell’arte norrena si registrano intorno all’anno 1000, con 1 Numerose opere d’arte risalenti ai secoli ix-x dimostrano quanto la cristianizzazione della Scandinavia rinforzò i

legami artistici, già intensi, tra Isole britanniche e Paesi norreni (Hicks 1993, 196).2 In ambito cristiano il prestigio delle opere bizantine era dovuto anche al fatto che la gente credeva (fino ad epo-

che relativamente recenti) che tali opere fossero coeve di Cristo, se non addirittura ritenute manufatti di angeli o di san Luca, il santo pittore ritrattista del Messia (cfr. Bacci 2005, 59).

3 Ad es.o nel Gotha Codex Aureus, un evangelario realizzato nel x secolo per Ottone III, un’intera pagina imita diret-tamente i motivi di tessuti sassanidi (file di animali esotici afrontati, compresi leoni). Cfr. Hicks 1993, 254.

4 A cavallo tra x e xi secolo, l’arte irlandese vive un periodo di grande sviluppo, grazie anche all’inlusso prove-niente dalla Scandinavia.

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lo sviluppo del cosiddetto ‘stile Ringerike’, in cui abbondano i viticci, il motivo del così detto ‘grande animale’ e il motivo del serpente. Chiari inlussi anglosassoni (per esempio nel recepire il motivo del viticcio) e ottoniani (gruppi di piccoli viticci), suggeriscono per questo nuovo stile una probabile origine danese di ambito ecclesiastico. 1

L’ultimo degli stili artistici vichinghi risale al secondo quarto dell’xi secolo ed è detto ‘Urnes’, dal nome dell’omonima località norvegese dove si trova una stavkirke mirabil-mente decorata con soggetti animalisti (quadrupedi estremamente stilizzai, animali na-striformi, serpenti e draghi alati, caratterizzati spesso da una piccola testa, spesso poco più che una semplice terminazione),2 molti dei quali già tipicamente ‘romanici’. Difuso in tutto il mondo nordeuropeo e caratterizzato da una varietà di scuole locali (molto attiva quella irlandese degli inizi del xii secolo), l’ultimo stile vichingo viene anche detto stile ‘Urnes-romanico’.3

L’assimilazione alla cultura romano-cattolica

e l’influsso lombardo

Il periodo xii-xiii secolo coincide con la pressoché completa assimilazione da parte del mondo norreno (Islanda compresa) alla cultura romano-cattolica.4 Tra le tappe principali di questo processo possiamo ricordare la fondazione (avvenuta nell’anno 1104) dell’arci-vescovato indipendente di Lund e l’istituzione dei vescovati di Niðaróss (1152) e Uppsala (1164). Con la creazione di una gerarchia ecclesiastica norrena indipendente, afrancata dal controllo dell’arcivescovato tedesco di Brema, il rapporto tra Scandinavia e Roma, l’Italia e l’area mediterranea diventa ancora più forte.

L’elevazione al soglio pontificio, col nome di papa Adriano IV (1154-1159), del cardinale Nicholas Breakspear, già legato pontificio in Norvegia, fu salutato come il simbolo dell’in-tegrazione completa di un Nord Europa ‘maturo’ nella cristianità latina.

Nel secolo xi si ebbe anche la fondazione, in Danimarca (con responsabilità – su model-lo inglese – di gestire anche la eventuale locale cattedrale), dei primi conventi (benedettini ed agostiniani).

Con queste nuove fondazioni e i sempre più numerosi viaggi a sud,5 il lusso di opere d’arte (reliquiari, paramenti liturgici) e modelli iconografici dal Mediterraneo, dall’Italia, dalla Francia e dalla Germania, dai Paesi Bassi, si intensificò.

In tutto il mondo norreno finì quindi per prendere il sopravvento l’arte romanica (in-trodotta soprattutto da maestranze della Renania, della Lombardia e dell’Inghilterra).6 L’inlusso lombardo sembra particolarmente forte nella seconda parte dell’xi secolo (come dimostrerebbe la fortuna di certi motivi di origine norditaliana).7

1 La fortuna dello stile Ringerike è strettamente legata alla difusione della chiesa cristiana, comprese Islanda, Dublino e il Sud dell’Inghilterra (dove inluenza anche il cosiddetto stile Winchester, legato al regno di Canuto il Grande).

2 Lo stile Urnes, che rielabora comunque motivi degli stili precedenti, sarà adoperato fino alla fine del xii secolo in tutto il mondo norreno, con una benefica azione rivitalizzante sull’arte irlandese del tardo xi-inizi xii secolo.

3 In tal senso, lo stile Urnes sarebbe quindi una fase di transizione al romanico.4 Tra le cause di questo fatto, gli storici hanno individuato la formazione di monarchie sempre più forti e il deli-

nearsi di un’organizzazione ecclesiastica sempre più capillare (grazie anche ai monasteri) e centralizzata (intorno al vescovo).

5 Sempre più scandinavi partecipano, ad es., ai pellegrinaggi, recandosi soprattutto a Santiago, Roma, Lucca, Bari, Gerusalemme (anche come partecipanti alle così dette ‘Crociate’).

6 Questo è vero soprattutto per la cattedrale di Lund (iniziata nel 1103) e per tante stavkirke scandinave.7 Ad es., il motivo della palmetta, quello delle due spirali vegetali legate insieme da un anello e un particolare uso

dell’acanto nelle colonne dei portali delle stavkirke.

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Nuovi influssi orientali

Intanto, grazie alla ripresa dei commerci tra le due sponde del Mediterraneo e alla unifi-cazione dell’Asia operata dai Mongoli,1 l’Europa rinnova i suoi contatti con le tradizioni artistiche dell’Eurasia orientale e dell’Islam.

Nuovi elementi vegetali (come il fiore di loto) entrano nel linguaggio ornamentale europeo, mentre – soprattutto con il xiii secolo – tutta l’Europa viene pervasa (non solo a livello artistico) da una generale moda islamizzante.2

Tessuti, vasellame, tavole dipinte, facciate di chiese e palazzi si animano di mostri fan-tastici, afrontati e addossati, stemmi araldici, leggende orientali (Alessandro portato in cielo dai grifoni, ad es.), motivi vegetali, medaglioni polilobati (Baltrušatis 1993, 110) di provenienza orientale.

Si tratta dell’ennesimo rinascimento animalista che dette un’impronta decisiva su tutta l’arte romanica e che continuerà anche in quella gotica ed oltre (fino ai nostri giorni).3

Anche il gotico, con il suo rinnovato interesse per l’iconografia animalista, farà buon uso di questo patrimonio orientale.

Casi esemplari dall’Islanda

Di tutta questa storia troviamo testimonianza anche in Islanda, isola che – data la sua lon-tananza dal continente eurasiatico – uno potrebbe pensare esser stata immune da contatti e inlussi esterni.

In Islanda, infatti, troviamo molte opere d’arte di epoca vichinga che testimoniano l’al-to grado di integrazione di quella terra con il resto dell’Europa medievale.

L’Islanda d’epoca medievale poteva vantare un mercato artistico interno non indife-rente, alimentato anche dall’usanza di pagare la decima ecclesiastica con manufatti arti-stici (ricami, sculture e intagli in legno e pietra, oreficeria), realizzati soprattutto da donne nell’ambito dell’economia domestica tradizionale (e tradizionalista).

In questo tipo di produzione artigianale domestica, ad es., non è raro trovare caratteri-stiche tipiche dell’arte tardoantica, romano-germanica, bizantina.

Raggiunta forse già dai Romani (ritrovamenti di monete del iii secolo d.C. e vasellame in tutta l’Isola), frequentata più o meno stabilmente da gruppi di celtici provenienti dalle Isole britanniche (pirati e monaci), l’Islanda fu colonizzata soprattutto ad opera di gruppi norreni norvegesi e britannici a partire dal ix secolo, nel pieno dell’epoca vichinga.

Gli stili dell’arte vichinga sono quindi tutti ben rappresentati, dal Borro (fibule triloba-te) al Jelling (fibule a forma di lingua), dal Mammen al Ringerike,4 fino all’Urnes (come la

1 Grazie alla pax mongolica, garantita da un Impero che dal xiii secolo si estende dal Danubio alla Cina, l’Oriente è vicinissimo all’Europa come non lo era stato mai.

2 Uno degli esempi più importanti è quello della tessitura, che in Italia e poi anche in Francia e Germania (soprat-tutto a Ratisbona e Colonia) cerca di imitare il più possibile lo stile bizantino e islamico.

3 Anche l’elemento decorativo gotico dell’intreccio vegetale sembra riprende l’intreccio islamico (Baltrušatis 1993, 113). Il gusto per lo stile animalista lo ritroviamo anche nel rinascimento e nel barocco (basti pensare agli animali – leoni soprattutto, ma non solo – che si trovano sulle facciate degli edifici, nelle miniature e nelle incisioni, nella scultura, nella decorazione dei mobili), oltre che nell’arte popolare.

4 Tra gli esempi più interessanti di stile Ringerike troviamo i quattro pannelli – provenienti da Flatatunga (inv. 15296 a-d del Þjóðminjasafn Íslands) – decorati, nella parte superiore, con forme tipiche di questo stile e, nella parte inferio-re, con una teoria di santi cristiani. Secondo alcuni studiosi questi pannelli sarebbe una delle più antiche decorazioni provenienti da una chiesa norrena (Pulsiano 1993, 696). Un altro esempio di commistione di tradizione norrena e nuove esigenze estetiche di matrice continentale è il portale della chiesa di Valtþjófsstaður, risalente al 1200 (inv. 11009 del Þjóðminjasafn Íslands) e decorato da due grandi scene circolari. Nella scena superiore troviamo alcuni episodi della storia, allora popolare in tutta Europa, del cavaliere che salva il leone e uccide il drago, mentre in quella inferiore sono rappresentati quattro draghi alati che si mordono la coda a formare un cerchio.

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bella fibula d’argento traforata proveniente da Tröllaskógur 1 in cui riconosciamo il tipico animale assottigliato e intrecciato con due serpenti).

Non mancano neppure le opere in stile ‘iberno-norreno’ come l’anello ritrovato a Gra-nagiljum (nel Skaftártunguhreppur) o i molti spilloni ad anello (ad es. quello da Gnupve-rjaáfréttur, nel Nord dell’Isola).2

Tra i reperti di provenienza orientale troviamo cinque monete islamiche e un puntale di cintura del secolo xi recante un tipico motivo eurasiatico, probabilmente originario – via Baltico – della Russia o dell’area pontica (Khazar).

Risale invece al periodo successivo alla cristianizzazione del Paese (e al conseguente intensificarsi dei rapporti religiosi e culturali con Roma,3 l’Europa e alcune città come Brema, Lincoln, Lund e Parigi), una gran quantità di opere d’arte di provenienza meridio-nale, soprattutto inglese e franco-germanica, ma anche italo-bizantina.

Esempi di opere d’arte ispirate a modelli bizantini sono la croce d’argento da portare sul petto di provenienza ignota (cat. 2033 del Museo Nazionale)4 e un impressionante Giudizio Universale su tavola degli inizi del xii secolo di cui rimango però solo alcune parti rinvenute a Bjarnastaðhlíð,5 nel Nord del Paese. Con ogni probabilità il grande dipinto – realizzato secondo la critica da maestranze locali – decorava (a mo’ di iconostasi) la cattedrale di Hólar, nel Nord del Paese. Sembra comunque assai probabile che alla base di questa opera ci siano dei modelli giunti dall’Italia bizantina o bizantineggiante, forse portati in Islanda dal vescovo Jón Ögmundsson il santo (morto nel 1121) di ritorno dal suo soggiorno romano (Ágústsson 1989, pp. 13-111).

Anche lo stile romanico è ben rappresentato da diverse opere del xiii secolo, in cui sono evidenti i contatti con la tradizione inglese, renana e lombarda (vedi, in particolare, le modanature di portali di chiese decorate a rilievo con fregi a motivi vegetali organizzati in campi circolari6 e alcuni calici d’argento).7 In epoca romanica l’Islanda poteva vantare numerose chiese in legno, le principali delle quali erano le cattedrali di Skálholt e Hólar, che non avevano niente da invidiare (in termine di ricchezza e dimensioni) a quelle del resto d’Europa.

Il livello di integrazione artistica dell’Islanda con il resto d’Europa (ed in particolare con l’Inghilterra) rimarrà costante anche nelle epoche successive, in cui l’impoverimento e l’isolamento del Paese assumeranno non di rado livelli drammatici.8

Ma anche nei momenti di maggior diicoltà economica, gli Islandesi continuarono a coltivare con ostinazione il linguaggio figurativo dell’età vichinga e romanica, rinnovan-do nell’arte popolare (ed in particolare nella tessitura, nei ricami, nelle incisioni e nelle sculture in legno) alcuni dei temi iconografici (soprattutto animalisti) più antichi e più tipici dell’arte eurasiatica e mediterranea.9

1 Inv. 6524 del Þjóðminjasafn Íslands. 2 Inv. 5396 del Þjóðminjasafn Íslands.3 Tra i molti Islandesi che potrebbero aver freqentato, soprattutto per esigenze educative, Roma ricordiamo il

primo vescovo d´Islanda Ísleifr (intorno al 1053-1054), il santo vescovo Jón Ögmundsson (agli inizi del xii secolo), il grande erudito Sæmundur fróði Sigfússon (intorno al 1076-1083), il futuro vescovo di Hólar Kygri-Björn (intorno al 1214). Cfr. Vésteinsson 2000.

4 Eldjárn 1956, p. 383. 5 Inv. 8891 del Þjóðminjasafn Íslands.6 Come quelli di Hrafnagil (inv. 782, 1080, 4883, 5365-5367 del Þjóðminjasafn Íslands) e di Laufás (inv. 395).7 Inv. 6859 del Þjóðminjasafn Íslands.8 A tal proposito si rimanda alla ricca produzione miniaturistica islandese d’epoca gotica, in cui forti sono i contatti

con le scuole inglesi e irlandesi, franco-tedesche, iberiche e italiche ( Jónsdóttir 1971, pp. 24-27).9 Uno degli esempi più clamorosi di persistenza di modelli antichi è costituito dai seggi vescovili prodotti da mae-

stranze femminili ancora nel xvii secolo secondo forme che ricordano molto quelle bizantine (pensiamo alla famosa cattedra del vescovo di Ravenna Massimiano (546-556), realizzata a Costantinopoli su commissione dell’imperatore romano Giustiniano).

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SOMMARIO

Jørgen Stender Clausen, Prefazione 9

studi

Giorgio Capecchi, L’esistenzialismo ingenuo di Erlend LoeQuella nausea un po’ naïf di Erlend Loe 13La faccia triste del postmoderno in L di Loe 26

Sara Culeddu, Aperture sul vuoto in Fame di Knut Hamsun: il romanzo dell’assenza 41Jonas Holst, Beskedne betydninger. Nihilisme og etik i Peter Seebergs skønlitterære for-

fatterskab 51Jens Viggo Nielsen, I Balzacs hule. Balzac som prisme for Georg Brandes og Strindberg

i deres syn på forfatterrollen og kunsten 63Maurizio Tani, Le origini mediterranee ed eurasiatiche dell’arte vichinga. Casi esempla-

ri dall’Islanda 81

recensioni

Massimo Ciaravolo, Rec. a Bjarne Thorup Thomsen, Lagerlöfs litterære landvin-ding. Nation, mobilitet og modernitet i Nils Holgersson og tilgrænsende tekster 99

Andrea Meregalli, Rec. a Tommaso M. Milani, Debating Swedish. Language Po-litics and Ideology in Contemporary Sweden 102

Giorgio Capecchi, Rec. a Peter Asmussen, Studi per esseri umani 105