tactical.news.magazine

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ASP TAcTicAl BATon FricTion loc 21 SAn MArco FighTing i 10 ASSi Di PicchE test on the field coltelli tattici Most Wanted APrilE 2011 • PErioDico MEnSilE Euro 5,00 RepoRt fRoM lA MiSSionE iTAliAnA A MAlTA special opeRations MAgic FirE WaR Zone rio DE JAnEiro odissea all’alBa la foRZa aeRea della coaliZione MilitaRY • laW enfoRceMent • secURitY neW “Poste ItalIane sPa, sPedIzIone In abbonamento Postale dl 353/2003 (convertIto In legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1 lo/mI” www.TAcTicAlnEwSMAgAzinE.iT • TnM n°4 9 772038 590006 10004 TNM - ISSN 2038 - 5900

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ASP TAcTicAl BATonFricTion loc 21

SAn MArcoFighTing

i 10 ASSi Di PicchE

test on the field coltelli tattici Most Wanted

APrilE 2011 • PErioDico MEnSilEEuro 5,00

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Gli inviati di guerra rischiano volontariamente la vita per informare. Per fare il corrispondente di guerra occorre coraggio e determinazione, ma anche e soprattutto professionalità. Si opera nella piena coscienza del rischio che si deve affrontare per non trovarsi impreparati in situazioni di pericolo. Il giornalista, un tempo giudicato neutrale e intoccabile, è diventato oggi parte in causa, elemento interno al conflitto,

bersaglio della rappresaglia militare. Sia che si tratti di Peter Arnett, inviato della CNN che da un albergo di Baghdad raccontava delle bombe che gli stavano piovendo addosso; sia che si tratti di Daniele Mastrogiacomo, giornalista italiano sequestrato dai talebani nel 2007 e liberato dopo due settimane di prigionia, il reporter di guerra si trova ad essere improvvisamente protagonista delle storie che dovrebbe raccontare. Gli inviati di guerra sono continuamente perseguitati, minacciati, uccisi. In Bosnia i corrispondenti della stampa toglievamo la scritta “Press” per evitare di essere colpiti. Per realizzare una corretta informazione l’inviato di guerra deve essere capace di discriminare gli avvenimenti cercando di realizzare il proprio lavoro con professionalità, capacità di giudizio critico personale e indipendenza. E’ assolutamente essenziale per questo giornalista saper trasmettere le notizie bilanciando le fonti di informazione senza privilegiarne una in modo specifico. La figura di un iviato di guerra è quindi molto particolare, deve saper interpretare la sua professione nel senso più estremo di testimone dall’interno. Apprendiamo al momento di andare in stampa, della morte di due inviati, uccisi in Libia mentre stavano documentando i consueti orrori di una guerra in corso. I giornalisti sono stati raggiunti da un colpo di mortaio mentre si trovavano nel centro della città assediata dalle forze governative.

Tim Hetherington era un fotografo di guerra. Ha vissuto i conflitti in Liberia, Sierra Leone, Nigeria, Afghanistan e per il suo documentario Restrepo, realizzato proprio nel paese mediorientale, aveva ottenuto la nomination agli Oscar e vinto il Sundance Film Festival. Nel 2007 vinse il World Press Photo of the Year 2007.

Chris Hondros era invece un reporter di 41 anni candidato al Premio Pulitzer. Lavorava per l’agenzia Getty Image, aveva vinto il Premio Capa nel 2005 e nel corso della sua vita aveva lavorato in paesi difficili come il Kosovo, l’Angola, la Sierra Leone, l’Iraq e l’Afghanistan.

Inviati di Guerra, fotoreporter, giornalisti , cameraman..a noi piace chiamarli testimoni della storia.

“La presunzione di aver visto è, in realtà, soltanto il primo passo dentro un pericoloso territorio dove, per il reporter, tutto resta invece da scoprire” Daniel Williams (corrispondente di guerra del Washington post)

una guerra la prima vittima è la verità

Mirko Gargiulo

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TACTICAL NEWS MAGAZINEMilitary - Law Enforcement - Securityn°4 - aprile 2011 - mensile

Direttore responsabile: Giuseppe Morabito

Direttore editoriale: Mirko Gargiulo [email protected]

Direttore commerciale: Giovanni Petretta [email protected]

Direttore marketing: Bruno [email protected]

Art director: Matteo Tamburrino

Impaginazione: echocommunication.eu

Collaboratori: Giovanni Piero Spinelli, Fabrizio Pirrello, Fabrizio Bucciarelli, Davide Pane, Alessio Traversa, Maurizio Martucci, Maurice Gavan, Vincenzo Cotroneo, Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Inzaghi Arjang, Pasquale Camuso, Fabio Giangolini, Danilo Siragusa, Gianluca H., Fabio Rossi, Gilberto Pauciullo,Max Scudeler, Fabio Garrafa, Pierpaolo Verre, Galdino Gallini, Lorenzo Prodan, Riccardo Braccini, Marco Maria Bandioli, Carlo Biffani, Giovanni Di Grigorio, Roberto Galbignani,Mike Lima 77

Fotografie: Fabrizio Pirrello, Mirko Gargiulo, ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, OMG, U.S. Navy, LosTempos.com, NATO Multimedia, The National, FN Herstal, Fabio Giangolini, Armed Forces of Malta Press Office, Command Special Naval Warfare Command, Onu Media Press

Ufficio stampa: Marcello Melca [email protected]@tacticalnewsmagazine.it

Redazione: [email protected]

Periodico mensile edito da:CORNO EDITOREPiazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969

Stampa: Reggiani Spavia C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA)

Distributore: Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano

Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010Iscrizione al ROC 20844

Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore

02EDITORIALE

06NEWS

018HOT POINTau revoir mon ami...

020RES GESTAE

022REPORT FROMLa miSSione miLiTareiTaLiana a maLTa

028WAR ZONELa LeGaLiTÁ neLLe maniDi PoCHi uomini

038ARMI MILITARISCHmeiSSermaDe in GermanY

042SPECIAL OPERATIONoPeraZione maGiC Fire

046FOCUS ONnuovo aSSeTTo GeoPoLiTiCoDeL meDiTerraneo

048WAR IN LIBIAuniFieD ProTeCTor

056ONUonu - iL SiSTema Di DiFeSaCoLLeTTivo

064SICUREZZA MARITTIMASiCureZZa Dei PorTi

072ROE

076FIvE SEvENNLa nuova Five Sevenn

080EvACUAZIONEProCeDure Di evaCuaZione

086PMS’CK9 eXPLoSive DoG Team

90TACTICAL FITNESSminimum movemenTmaXimum reSuLT

096TEST BY TNMaSP - TaCTiCaL BaTonFriCTion LoC 21’ CHrome

102INTERvIEWCorPoraTe SeCuriTYmanaGemenT

106FIRE TESTH&K mP5

114MOST WANTEDi 10 aSSi Di PiCCHe

118COLTELLI TATTICISmF01San marCo FiGHTinG

122ARTI MARZIALILa LoGiCa DeL ninjiTSu

126REPLICHE D’AUTORETanFoGLio

INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE

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inDiCe inDiCe inDiCe inDiCe inDiCe inDiCe inDiCe inDiCe

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AROUND THE WORLD

COMMERCIALI

Gaza, ucciso il volontario italiano

Gaza – Strangolato quasi subito dopo il rapimento. È morto così Vittorio Arrigoni 36 anni, il pacifista italiano 36enne, preso in ostaggio nella Striscia di Gaza da un commando ultra-estremista salafita vicino ad Al Qaeda (brigate Mohammed Bin Moslama, sigla sfinora poco nota). Una morte atroce per mano di una frangia estrema di quel popolo palestinese alla cui causa si era dedicato da sempre, anima e corpo, anche a costo di sfidare il carcere israeliano.Il suo corpo è stato ritrovato nell’angolo di una stanza spoglia, riverso su un materasso, in un appartamento del rione Qarama, a Gaza City, usato dai sequestratori come covo. Aveva indosso un giaccone nero, i polsi erano legati, con tracce di sangue sul volto e profondi segni rossastri attorno al collo. Secondo un primo referto medico, sarebbe stato strangolato con un cavo metallico o qualcosa di simile. Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili» ha scritto il capo dello Stato Giorgio Napolitano, in una lettera inviata alla signora Egidia Beretta, mamma del cooperante assassinato. «Spero che si accertino la verità e le responsabilità su quanto è accaduto» ha detto poi il presidente della Repubblica incontrando i giornalisti.

liBano: PassaGGio Di consEGnE Fra il 2° rEGGiMEnto ED il 7° rEGGiMEnto trasMissioni.

shama – Presso la base “Millevoi”, sede del Comando dei Caschi Blu Italiani ha avuto luogo la Cerimonia di avvicendamento tra il Battaglione “Gardena”, del 2° Reggimento, comandato dal Tenente Colonnello Carmine Pino ed il Battaglione “Rolle”, del 7° Reggimento, comandato dal Tenente Colonnello Michele Gagliardi. Con il passaggio della bandiera dell’ONU dalle mani del Comandante cedente, a quelle del subentrante, si conclude il periodo di permanenza nel Teatro d’Operazione Libanese del personale del Battaglione “Gardena”. Alla cerimonia del TOA ( Transfert of Authority) erano presenti il Comandante del Contingente Nazionale e del Settore Ovest di UNIFIL, Generale di Brigata Guglielmo Luigi Miglietta, diverse cariche militari Libanesi e nutrite rappresentanze provenienti da diversi contingenti di UNIFIL. Comincia oggi una nuova esperienza al di fuori dei confini nazionali per il 7° Reggimento Trasmissioni che, con il suo Battaglione “Rolle”, ritorna nella terra dei cedri per la terza volta. Al Battaglione “Gardena” va il merito di aver condotto e garantito per sei mesi i collegamenti telefonici, radio e dati non solo nell’intero Teatro Operativo ma anche con la Madre Patria. Ai suoi uomini e donne, va un affettuoso saluto ringraziamento per il lavoro svolto.

attEntato in aFGanistan

laghman – Attentato in Afghanistan, morti cinque soldati delle forze Isaf e quattro afghani. Sono dieci le vittime di un attacco kamikaze davanti a una base mista militare afghano-internazionale nell’Afghanistan orientale. Oltre all’attentatore suicida, sono morti nell’ esplosione quattro soldati afghani e cinque della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). Ci sono poi otto feriti, tutti militari afghani.In precedenza fonti ospedaliere avevano riferito della morte di quattro persone in un attentato kamikaze contro una base militare afghana nella provincia orientale di Laghman. Rivendicando l’azione il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid aveva affermato che essa aveva prodotto un bilancio di “tre soldati americani uccisi e due feriti”. I militari stranieri morti in Afghanistan sono saliti a 128 dall’inizio dell’anno e a 20 dal primo aprile 2011.

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soMalia: crEscE l’EsoDo DEi civili in FuGa Dalla GuErra

somalia – Dopo l’Afghanistan e l’Iraq, la Somalia è il Paese che genera il più alto numero di profughi al mondo. La popolazione civile cerca rifugio nelle tendopoli sperando nell’aiuto della Comunità internazionale. Una delle più importanti emergenze del momento è quella della popolazione civile in fuga dal dramma della guerra civile in corso in Somalia. Sospesa tra guerra santa, conflitto civile, battaglia tribale e insurrezione patriottica, la Somalia è sconvolta dal compimento della più temuta catastrofe umanitaria del mondo. Per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Unhcr, in Somalia, il collasso dello stato, la spirale di violenza e l’anarchia, sommate alla povertà e siccità, hanno infatti, condotto il paese ad una delle peggiori crisi umanitarie al mondo e a una sofferenze inaccettabili per la popolazione civile. Dopo l’Afghanistan e l’Iraq, la Somalia è il Paese che genera il più alto numero di profughi al mondo. Quella dei profughi nel Paese del Corno D’Africa è una situazione che l’Unhcr sta monitorando da anni. Secondo l’agenzia ONU la situazione è particolarmente delicata nelle regioni meridionali e centrali del Paese africano. In queste aree sono in corso continui combattimenti tra governativi e miliziani islamici. Le città coinvolte sono: Doolow, Bulo Hawo, Luuq, Elwaaq, Dhoobley, Diif e Taabdo. Un conflitto che sta avendo effetti devastanti sulla popolazione civile costringendo un numero sempre maggiore di persone alla fuga. Nel Paese del Corno d’Africa la gente è alla fame e allo stremo. Donne, bambini e vecchi scappano con tutti i mezzi possibili, anche a piedi. Un intero popolo è in fuga dal Paese, ma soprattutto dalla capitale Mogadiscio divenuta ormai un campo di battaglia. Una città devastata da un conflitto e che attende solo che si compia l’ultimo atto del suo destino.

siria: sanquE sulla ProtEsta

siria - In Siria, non si placa il vento di protesta. Nel giorno dell’Indipendenza, le città del Paese sono state nuovamente invase dal popolo al grido di “libertà” e “riforme” e le forze governative hanno ancora aperto il fuoco. E’ di 14 morti e 50 feriti, il bilancio delle vittime registrato a Homs. Tra esse anche esponenti delle forze dell’ordine. A nulla è valsa la promessa di revocare lo stato d’emergenza - presente da 48 anni - dichiarata sabato dal presidente Bashir Al Assad: i timidi tentativi di mediazione del presidente non placano il popolo, deciso a rovesciare il regime bathista. . Tra le vittime, un poliziotto e altri 11, agenti e personale di sicurezza, sono rimasti feriti quando “una banda armata criminale” ha aperto il fuoco contro di loro. Testimoni, invece, riferiscono che sarebbero stati soldati e forze di sicurezza ad aprire per primi il fuoco. Proteste sono scoppiate anche a Daraa, dove la gente sventola bandiere siriane e canta “Vogliamo la libertà”. Testimoni raggiunti telefonicamente hanno riferito che decine di migliaia di persone in marcia al grido di: “Chiunque uccide il suo popolo è un traditore!”. Altri hanno intonato: “Il popolo vuole la caduta del regime”. Una manifestazione con circa 300 persone è iniziata anche nella vicina città di Suweida, a circa 130 chilometri a sudest della capitale Damasco. Testimoni riferiscono che la polizia ha picchiato i manifestanti con manganelli, ferendo diverse persone. I racconti non possono essere confermati in modo indipendente perché la Siria ha imposto serie restrizioni sui media ed espulso i giornalisti stranieri. I manifestanti hanno celebrato il cosiddetto “Giorno dell’Indipendenza”: il 17 aprile del 1946, infatti, i militari francesi lasciarono la Siria che proclamò la sua indipendenza.

straGE in BrasilE

rio de Janeiro – Wellington Menezes de Oliveira, un giovane di 23 anni, ha fatto irruzione in una scuola media di Rio de Janeiro, in Brasile e ha sparato sugli alunni, uccidendone 13 e ferendone una ventina. Le vittime avevano un’età compresa tra 9 e 14 anni. Dopo la sparatoria il giovane si è tolto la vita.La strage è accaduta il 7 aprile di mattina verso le 8, quando gli alunni entravano a scuola. Il ragazzo si era presentato davanti all’istituto indossando un giubbotto anti proiettile e aveva iniziato a sparare fuori e dentro la scuola.“L’omicida pareva allucinato. Indossava un’uniforme militare e ha sparato con due pistole calibro 38 – ha detto Djalma Beltrame, capo della polizia militare.La sorellastra di Wellington ha confermato che il ragazzo era un ex alunno della scuola, un tipo solitario che passava le giornate navigando in Internet.“Si era lasciato crescere la barba lunga e parlava di cose musulmane – ha detto la ragazza – era un poco matto.”

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Francia: “GuErra in liBia si coMPlica”

Francia – Il ministro della Difesa Francese, Gerard Longuet, ha affermato che esiste un certo rischio che il conflitto in libia possa durare a lungo. In un intervista al quotidiano Le parisien, il ministro ha spiegato questo pericolo, sottolineando che il leader libico Muommar Ghedafi e la Libia non sono totalmente prevedibili. Longuet sempre durante l’intervista ha detto:“il conflitto è lungo e complicato, in quanto è complicato e lungo”.

iraq, Ministro EstEri: non si cancElli suMMit lEGa araBa a BaGhDaD

Praga (repubblica ceca) – Hoshyar Zebari, ministro degli Esteri dell’Iraq, ha detto di essere pronto a posticipare il prossimo summit delle Lega araba a Baghdad, ma di non accettare che venga cancellato del tutto. Le nazioni del Golfo avevano infatti chiesto alla Lega araba di eliminare il summit in programma tra il primo e l’11 maggio tra i 22 membri del gruppo, a causa dei disordini politici che continuano a persistere nella regione e che hanno messo in luce crescenti tensioni tra gli Stati arabi sunniti e il governo iracheno sciita. Dopo aver incontrato la sua controparte ceca Karel Schwarzenberg, Zebari ha detto di poter posticipare l’incontro, ribattendo però che “l’Iraq non rinuncerà al suo diritto di ospitare il summit”. Il ministro ha aggiunto che un incontro di emergenza è stato fissato per discutere la situazione, ma non ha fornito ulteriori dettagli. Secondo Zerdari, l’attuale situazione in diversi Paesi richiede “strette consultazioni”.

116 MiGranti salvati DallE ForzE arMatE MaltEsi

Malta – Un gruppo di 116 persone in fuga dalla guerra civile in Libia è stato salvato da due motovedette delle Forze Armate maltesi, quando il loro barcone alla deriva veniva intercettato a 45 MN Sud-Ovest di Malta ed a 47 MN Est di Lampedusa. Il barcone di legno di 50 piedi, pieno di migranti originari del Ciad e della Somalia, stava andando alla deriva senza meta dopo essersi fermato per mancanza di carburante ed avaria al motore. (Comunicato stampa rilasciato dall’ Ambasciata Italiana di Malta): la notte alle del 12 aprile ore 21.15 circa, il Rescue and Co-ordination Centre (RCC Malta) delle Forze Armate maltesi di Luqa Barracks è stato allertato dal Rescue Co-ordination Centre italiano sulla situazione degli occupanti del barcone. Un peschereccio italiano aveva avvistato le persone in pericolo che disperatamente stava bruciando degli indumenti per attirare l’attenzione dei pescatori. La loro situazione era difficile da stabilire a causa del buio, mentre le condizioni del mare in quel momento erano moderate. Le autorità italiane hanno informato RCC Malta che non avrebbero inviato nessuno dei loro assetti navali per assistere al salvataggio, dato che la barca in pericolo veniva localizzata “un poco più vicino” a Malta che a Lampedusa.Le motovedette P-24 e P-51 della Martime Squadron venivano appositamente deviate verso la località del barcone per salvare le persone. Alle ore 00.28 le due motovedette delle Forze Armate maltesi arrivavano sul posto ed iniziavano le operazioni di salvataggio ed aiuto umanitario. Il gruppo era composto da 94 maschi, 18 femmine e 4 minori (3 neonati ed un bambino di 3 anni). Il personale delle Forze Armate maltesi ha anche trovato il corpo di una ragazza di 29 anni a bordo della barca alla deriva.Recuperate tutte le persone, le due motovedette delle Forze Armate maltesi si dirigevano verso la verso la base Haywharf di Floriana, Malta. L’arrivo in porto era previsto per le ore 08.15

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usa, aiuti oPPositori siriani

usa – Il dipartimento di Stato americano avrebbe finanziato segretamente gruppi dell’opposizione siriana in esilio. E’ quanto emerge da alcuni cablogrammi diffusi da Wikileaks, e pubblicati oggi dal quotidiano Washington Post. I dispacci dimostrano come il Dipartimento di Stato Usa abbia finanziato fin dal 2006, con 6 milioni di dollari, alcuni gruppi dell’opposizione in esilio, per la gestione di un canale satellitare con sede a Londra, ‘Barada Tv’, e finanziato attività all’interno della Siria. ‘Barada Tv’ha dato ampio spazio alle proteste contro il regime baathista di Basahr al-Assad.

la Polizia cinEsE arrEsta Di nuovo i FEDEli chE PrEGano n Piazza

Pechino – La polizia ha arrestato i leader e fermato circa 50 cristiani della Chiesa protestante i Shouwang a Pechino, per impedire loro di svolgere all’aperto la funzione domenicale, dopo averli fatti cacciare dai locali dove si riunivano. Cresce la paura di una persecuzione in atto contro le chiese domestiche, in occasione del periodo pasquale. Analisti la ricollegano all’arresto di febbraio di centinaia di dissidenti e attivisti per i diritti umani per impedire una Rivoluzione dei gelsomini. La Shouwang è una delle maggiori chiese domestiche (non riconosciute) del Paese con oltre 1000 membri. Di recente la polizia li ha fatti cacciare dai locali di un ristorante dove si riunivano. Durante l’ultima funzione domenicale, un gran numero di poliziotti ha presidiato la zona di Zhongguancun dove era fissato il servizio liturgico. Decine di fedeli, appena arrivati, sono stati caricati su pullman in attesa e portati a varie stazioni di polizia per essere “interrogati”. La polizia ha anche portato via il pastore Zhang Guangxia della Chiesa di Shouwang, a Zuozhuang nello Shandong, la notte del 16 aprile, e ha arrestato il pastore Zhang Qingan e 3 fedeli che distribuivano opuscoli religiosi.

PiratEria MarittiMa sulla crEsta DEll’onDa, rEcorD Di attacchi nEl PriMo triMEstrE 2011

Pechino – La pirateria marittima ha raggiunto il suo massimo storico nei primi tre mesi del 2011, con 142 attacchi in tutto il mondo. La Camera di Commercio Internazionale (ICC) International Maritime Bureau (IMB), segnala che il forte aumento è stato guidato da un’ondata di pirateria al largo delle coste della Somalia, dove sono stati registrati 97 attacchi nel primo trimestre del 2011, in crescita rispetto ai 35 dello stesso periodo dello scorso anno.A livello mondiale l’IMB ha segnalato che nel primo trimestre del 2011, 18 navi sono state dirottate, 344 marittimi sono stati presi in ostaggio, e sei sono stati rapiti. “Azioni di pirateria e rapine a mano armata in mare negli ultimi tre mesi sono tra le più alte mai registrate nel primo trimestre di ogni anno“, ha detto Pottengal Mukundan, direttore dell’IMB, il cui Piracy Reporting Centre monitora la pirateria a livello mondiale dal 1991 .Nei primi tre mesi del 2011, i pirati hanno ucciso sette marittimi e feriti 34. Mentre solo due feriti furono riportati nel primo trimestre del 2006.

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AROUND THE WORLD

COMMERCIALI

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il MoDEllo zEPhyr Gtx hi, in arrivo in autunno anchE in nEro

Per quasi 90 anni, le scarpe LOWA sono state acclamate come le migliori calzature e ciò e’ ora certificato anche da testatori qualificati. Nella primavera del 2009, LOWA è diventata l’unica azienda produttrice di calzature da trekking al mondo cui sia stato concesso il certificato ISO 9001per l’eccellenza nei processi gestionali e gli elevati livelli di qualità nella propria produzione. Da quasi 10 decadi LOWA produce rispettando rigidamente le normative ambientali, lavorative e di produzione. LOWA mette già in pratica ciò che molte altre aziende fanno solo in modo formale : processi di produzione puliti, scarto minimo, pratiche di lavoro corrette, tutto ciò, fa si che LOWA produca scarpe resistenti.

L’INTERSUOLAIl poliuretano (PU). PU è un ottimo ammortizzatore ed è il materiale attualmente esistente più durevole ed indicato per questa parte della calzatura– ciò significa che le scarpe durano molto di più di quelle prodotte dalla concorrenza che sono quasi esclusivamente prodotte in Eva, (LOWA invece utilizza il “double mould” in Eva (non tossico), solo quando il fattore peso è di primaria importanza).

COSTRUZIONE GORE-TEX DI LOWACosì straordinario, da essere brevettato. Il sistema brevettato che permette di ottenere una fodera in Gore-tex liscia e senza cuciture tale da ridurre i punti di pressione. Il Gore-tex laminate è cucito alla tomaia nel collarino poi incollato alla soletta ed il fondo è sigillato con un nastro in Gore-tex per garantire la perfetta impermeabilità della soletta della scarpa.

SOTTOPIEDE BILANCIATO-uno strato superiore traspirante accoppiato con una schiuma a lento rilascio permette una personalizzazione istantanea.-la soletta trasferisce l’umidità fuori dalla scarpa eliminando punti di pressione.-limita al minimo la frizione tra piede e soletta e riduce l’affaticamento

MONOWRAP® IN PU MONOWRAP® avvolge il piede in questo “telaio” di supporto in PU in modo leggero ma allo stesso tempo deciso. Questo “telaio” permette di ridurre il peso complessivo della scarpa mediante l’utilizzo di tomaie leggere che garantiscono ugualmente la stabilità

laterale necessaria. Lo sviluppo della tecnologia MONOWRAP® ha permesso di progettare specificatamente l’intera

costruzione intersuola/tomaia con una logica specifica per ogni categoria alla quale è dedicata. Mediante il controllo

dello spessore di ogni telaio, LOWA è in grado di regolare i dettagli di performance per ogni tipo di

scarpa.

www.lowa.it

Page 13: Tactical.news.Magazine

siMraD is 2000

Il SIMRAD IS 2000 prodotto dalla SPA DEFENSE, azienda americana leader nella produzione di sistemi optometrici e visori notturni destinati a un professionale. La SPA DEFENSE opera esclusivamente per il settore Mlitary e Law Enforcement. L’azienda annovera all’interno del proprio staff, quasi esclusivamente ex operatori/sniper dello U.S ARMY, ingegneri militari e personale altamente specializzato alla difesa della comunità. Grazie anche a una costante collaborazione con chi opera quotidianamente in teatri operativi, la SPA DEFENSE riesce a creare prodotti con specifiche ben definite. Il SIMRAD IS 2000 è un sistema laser per l’aquisizione dei bersagli, al tempo stesso è un telemetro e un computer balistico. Il sistema può essere interfacciato con una vasta gamma di armi da fuoco, e l’aquisizione del bersaglio va dai 50 ai 2000 m.• Luminosità display

regolabile• Ingrandimento 3,5 X• Temperatura di utilizzo

da - 20° a + 55°.

Il SIMRAD IS 2000 può essere installato su:• sistemi individuali anticarro• Lancia granate da 40mm• heavy maccine gun

www.spa-defense.com

MEchanix MPact2

Mechanix leader mondiale nella produzione di guanti professionali presenta il nuovo Mpact2 dotato di protezioni sul palmo, sul dorso e sulle dita. Specifico per lavori duri, con garanzia di massima precisione. La combinazione di morbidezza e protezione, fa di questo guanto un oggetto indispensabile.

Caratteristiche Prodotto:

• Palmo in Clarino: un cuoio sintetico altamente traspirante e resistente

• Dorso in Spandex: tessuto tecnico elastico e confortevole. Inserti in Lycra® tra le dita per aumentare la traspirazione

• Polsino elastico regolabile grazie ad una chiusura a Velcro.• Cuciture interne nascoste per aumentare il comfort ed

evitare il contatto diretto con la pelle.• Rinforzi sulla punta delle dita per ridurre l’usura ed

aumentare la protezione.• Imbottiture in EVA (schiuma sintetica) su palmo e dorso.• Inserti in gomma termoplastica sulle dita.

Protezioni antisdrucciolo in cuoio Zeus su pollice, indice, medio ed anulare.

• Lavabile in lavatrice• Certificato come Dispositivo

di Protezione Individuale di seconda categoria (protezione dai rischi meccanici, in base alla Normativa 89/686 della Comunità Europea).

• Protezione da taglio, abrasione, lacerazione

e perforazione in base alle Normative EN 388/03 e EN 420/03.

www.mechanix.eu

raiDEr MoDEllo: Ex 1 - la nuova GEnErazionE Di “lEss lEthal wEaPons”

Questa arma non-letale utilizza l’innovativa tecnologia CenturioGroup® Strobe, che si avvale di flash stroboscopico della potenza di 10,000 Lumens, che fuoriuscendo dalla parte anteriore, come in una vera e propria arma da fuoco, riesce a disorientare momentaneamente il soggetto ostile. Il flash stroboscopio che viene emesso è di colore bianco e blu, una tecnologia chiamata “BlueZeus®”, è stato progettato per essere efficace con qualsiasi condizione di luce. La potenza del flash viene emessa da alcuni LED di alta qualità posizionati dietro ad una lente bianca. Sotto l’arma è posizionata una telecamera, che permette di fissare gli istanti antecedenti e posteriori all’utilizzo in modo da poter aumentare la tutela legale dell’operatore. Come deve essere utilizzata in una situazione ad alto

stress? Sul grilletto principale ne è stato collocato un secondo che serve ad attivare la fotocamera. Audio e dati video vengono memorizzati in una memoria interna. L’operatore può scaricare i dati ma non può procedere alla loro cancellazione;

questa operazione può essere eseguita solo da CenturioGroup®. Sono presenti tacca di mira e mirino con riferimenti ad alta visibilità. Il modello di colore nero è di esclusiva vendita alle agenzia di polizia, militari, guardie carcerarie, dogane, Polizie Locali e Municipali. Il modello di colore arancione, la cui potenza dei LED è ridotta a 7,000 Lumens è destinato alla vendita per la difesa personale civile.

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Khs h3 “DarK coMManDEr titan Pro oPEration tiMEr”

Il KHS H3 “Dark Commander Titan PRO Operation Timer™” è un’orologio al top della gamma KHS. L’orologio ed il sistema di illuminazione sono integralmente prodotti in Svizzera .Con il suo vetro zaffiro ad alta resistenza ai graffi, il doppio rivestimento antiriflesso, la cassa e la ghiera completamente in titanio placcati

in PVD nero, il KHS H3 “Dark Commander Titan PRO Operation Timer™” è un orologio leggerissimo, senza compromessi ed è

l’ideale per usi professionali. Per le operazioni che si svolgono nell’oscurità, è molto utile avere una lancetta dei secondi con luci al trizio, in modo da avere la sicurezza che l’orologio funzioni correttamente .I principi funzionali dei diversi colori delle luci al trizio del tipo “Operation Timer™” sono derivate da utilizzi nautici ed aeronautici. Il colore verde sulla ghiera girevole è connesso allo stesso colore della lancetta dei minuti. La

lancetta delle ore in colore arancio fa riferimento al punto luminoso dello stesso colore a ore 12:00 sul quadrante.La lancetta dei secondi è equipaggiata con una luce blu per una

accuratezza al secondo, così come per gli indici tutti di colore blu.’orologio, con tutte queste sue caratteristiche, ha soddisfatto tutti i requisiti richiesti dalla specifica MIL-W-46374F delle

Forze Armate Americane per le Operazioni Speciali.

• cassa in titanio placcato in PVD nero antiallergico• diametro 43 mm, spessore 12 mm

• fondello a vite in titanio• vetro zaffiro con doppio rivestimento antiriflesso (anteriore e posteriore)• impermeabile fino a 200 metri (20 atm)• Movimento Svizzero al Quarzo Ronda 715

www.khsitalia.it

quanDo la sicurEzza PErsonalE è un lavoro...

La Storm è un’arma avveniristica dalle caratteristiche meccaniche uniche (tra le pochissime pistole mitragliatriciad aver passato i severi test NATO), e che ha suscitato l’interesse dei Corpi Speciali di buona parte del mondo. Al modello d’ispirazione (la Sites Spectre) sono state apportate notevoli migliorie:abbandono del fuso in lamiera stampata, scatto di migliore qualità (soprattutto in doppia azione), doppia azione continua, abbandono del caricatore quadrifilare.Il progettista rimane Roberto Teppa (già mente geniale della Spectre). Dietro all’aspetto di una tradizionale pistola con chiusura a massa, si trovano degli accorgimenti molto particolari. In primo luogo è l’unica arma del suo genere dotata di scatto in doppia azione mista per un porto sicuro pur essendo pronta all’uso senza dover azionare alcuna leva. Il funzionamento è semplice e intuitivo: si camera il colpo in canna e si abbatte il cane premendo l’apposita leva situata dietro il grilletto. Ma non solo: la doppia azione è continua comandata dalla sola pressione del grilletto; nel malaugurato caso di un colpo inesploso per un innesco difettoso, possibilità di raddoppiare prontamente la percussione. La qualità dello scatto è ineccepibile, con uno scatto in singola azione netto e di una doppia degna di un ottimo revolver. Particolare degno di attenzione è anche il sistema di rigatura della canna, né tradizionale né poligonale bensì sinusoidale: eccellente sia per ogive al piombo che blindate.Inoltre, adottando un passo particolarmente lungo, si riduce l’attrito della palla con benefiche conseguenze su: rilevamento, rinculo, prestazioni balistiche e vita operativa della canna.

Calibri disponibili: 9x21 IMI, 40 S&WLunghezza canna: 175mm compreso il freno di boccaLunghezza totale: 395mm

Peso: 2400gVersioni disponibili: CM4 (carabina), PM4 (pistola)www.bcmeuropearms.it

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cat GlocK linE

E’ un dispositivo laser di puntamento realizzato in polimero, ad assemblaggio semi-permanente, specificatamente progettato per essere installato come parte integrante della pistola Glock. Si innesta sulla slitta presente sull’arma mantenendo un basso profilo e consentendo all’utilizzatore un rapido accesso tramite un interruttore ambidestro “on-off”. Il micro laser di ultima generazione, contenuto nel modulo, è in grado di essere visibile, in condizioni ottimali, fino a circa 800 metri. L’energia è assicurata da una batteria al litio da 3,0 volt mod.2032, di facile sostituzione e reperibile in qualsiasi negozio di elettronica o hardware. Il dispositivo è completamente regolabile al fine di accuratizzare al meglio il punto d’impatto. Nella confezione sono presenti tutti gli strumenti idonei all’installazione. Prezzo al pubblico $164,99.

Potenza di uscita: 5,5 mWLunghezza d’onda: 635 a 650 nmDispersione: circa 1 pollice (2,54 cm) a 99 yards (90 mt)Range: 800 yards (730 mt)Batterie: 1 Lithium 3 V (2032) - 160 minuti di utilizzo continuoDisponibile per:Glock: tutti i modelliBeretta: 92FS, 96, Gold, Centuruion, Brigadier, Military M9, StockTaurus: PT92, 99, 100, 101, 915, 940, 945

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Fox o.M.G. KaiMano

Il Kaimano è un modello esclusivo realizzato per la Marina Militare Italiana. Il coltello è stato sviluppato e disegnato con la collaborazione dell’azienda O.M.G. leader nel settore delle forniture di attrezzature subacquee militari. La FOX ha sottoposto il coltello a rigorose verifiche per testare il livello di ossidabilità della lama lasciandolo per oltre un mese immerso nell’acqua salata. I risultati ottenuti hanno convinto la Marina Militare Italiana che ha considerato Kaimano come loro modello ufficiale. Tutte le principali caratteristiche della lama sono state studiate e successivamente testate con la collaborazione Unità Speciali per ottenere un prodotto altamente qualificato che rispetti le specifiche richieste.Il fodero dispone del sistema MOLLE e può essere applicato nei respiratori e GAV utilizzati dalle Unità Speciali della Marina Militare.

www.fkmdknives.com

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DESERT TACTICAL ARMS, In ARRIvo AnChE In ITALIA

Il comunicato stampa utilizzato dall’azienda di Salt Lake City - Stati Uniti- per la promozione delle proprie carabine, la dice lunga ... “ Desert Tactical Arms è stata fondata nel maggio del 2007, la società è stata creata per proteggere la libertà di tutte le nazioni e le persone, fornendo il più compatto, preciso e affidabile sistema d’arma di precisione di tutto il mondo. Desert Tactical Arms sostiene con forza i diritti civili, in particolare il diritto di ogni individuo di possedere armi da fuoco per proteggere la propria persona, la propria famiglia, e le sacrosante proprietà. Ci rendiamo conto che per aiutare a preservare il diritto del possesso di armi ci deve essere una forte rete di rivenditori di armi da fuoco che cerchino di sostenere la nostra rete di vendita con interessanti programmi di vendita, formazione, programmi di consegna puntuali e un servizio clienti ineguagliabile.” Nick Young - Presidente della Desert Tactical Arms

Importatore e distributore per l’ Italia: ADC CUSTOM

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zaino nicE 7500 - nicE FraME

Mystery Ranch è un’azienda nata nel 2000 a Bozeman nello Stato del Montana (USA) dall’evoluzione di una già affermata azienda denominata

Dana, che era leader nella progettazione nel settore della zaineria da oltre 30 anni. L’attuale filosofia è semplice: rendere particolarmente confortevoli e incredibilmente resistenti

i prodotti, specialmente se da questi dipende il confort e la sicurezza

delle persone che li utilizzano. Tutto questo tenendo ben presente

che queste persone dovranno, con molta probabilità, trasportare

materiale molto pesante e dalla forma irregolare come ad esempio:

sci, fucili da caccia, armi automatiche ed apparecchiature militari. Questa

constante ricerca di innovazione richiede sempre nuove idee e la

volontà di trovare e sperimentare nuove tecniche di lavorazione,

materiali e tecnologie, avvalendosi anche dei costanti

feedback dei collaudatori e degli utilizzatori finali.

Si tratta dello zaino più grande adattabile al Nice Frame System prodotto

dall’azienda. E’ studiato per l’utilizzo da parte di guide

escursionistiche, cacciatori e operatori militari che

devono essere impegnati in missione per periodi lunghi.

E’ corredato di cerniere laterali che consentono l’accesso al

vano principale, di un coperchio removibile che può essere convertito in zainetto e da un vano separato, all’interno del

quale, può essere alloggiato un sacco a pelo. E’ disponibile nelle colorazioni coyote – foliage – multicam. E’ noto che le

cinghie di supporto sulle spalle, di qualunque tipologia di zaino, se abbinato ad un corpetto tattico corazzato, potrebbero posizionarsi molto esternamente e creare lesioni alle ascelle, arrivando dopo molte ore anche al

sanguinamento. I designer di Mystery Ranch hanno creato una soluzione aggiungendo una cinghia modulare

denominata Mystery Cinch, che fissata ai pals MOLLE del corpetto e trazionata verso l’interno reindirizza le

spalline dello zaino verso l’interno, allontanandole dalle spalle. Il sistema è provvisto di uno sgancio rapido da

utilizzare in caso di emergenza per liberarsi velocemente del carico.

Volume: 7500 cu-in (123l)Peso: 9 lbs 11 oz (4.4kg) (w/ NICE Frame)

Utilizzo: Load-Hauling, Backpack Hunts, Extended Missions

Telaio di supporto: Nice Frame System

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Di FRANCESCO RiTi - TESTER Di TNM

La leggerezza dell’elio unita alla portanza di un’ala dal disegno innovativo si fondono al meglio nel Nimbus Eos Xi ottenendo un velivolo sicuro e facile da pilotare. Sicurezza, facilità d’uso, stabilità, economicità ne fanno lo strumento ideale per operazioni di sorveglianza e monitoraggio permettendone l’utilizzo oltre che in ambienti rurali, anche in ambiente urbano.

PRINCIPALI CARATTERISTICHE• Sistema integrato di sensori e comunicazioni in grado di fornire costantemente la visione globale dell’operazione• Utilizzo di apparati di comunicazione sicuri nelle missioni di pattugliamento per le comunicazioni con la Centrale Operativa• Capacità di estendere la copertura radio delle squadre presenti nell’area di operazione• Stabilità intrinseca nella struttura.

Grazie alla spinta fornita dall’elio è impossibile, anche a fronte di manovre azzardate, ribaltare il velivolo.

• Facilità d’uso. Galleggiando nell’aria risulta particolarmente semplice il pilotarlo. È in grado inoltre di decollare ed atterrare in pochi metri anche su terreni sconnessi.

La piattaforma innovativa Nimbus EosXi integra in maniera ottimale i sensori, le comunicazioni e il software di gestione per fornire in tempo reale una situazione aggiornata alla squadra e alla centrale operativa permettendo una visione dall’alto degli eventi e estendere la copertura radio a tutte le squadre che operano nell’area. Nimbus EosXi è un prodotto che pur partendo da una base comune facilmente si può adattare alle differenti esigenze del cliente. Per le comunicazioni, per esempio, si potrà disporre di una vasta scelta di soluzioni comprendenti radio HF, VHF, TETRA, WiFi, WiMax.

SORVEGLIANZANimbus EosXi può essere utilizzato dalle Forze di Polizia sia per sorvegliare siti sensibili in occasione di eventi speciali, sia per tenere sotto controllo una determinata zona in occasione di eventi sportivi, manifestazioni, eventi speciali ecc... Grazie all’avanzato sistema integrato di sensori e comunicazioni di cui dispone permette diaccelerare i tempi di intervento avendo sempre la situazione sotto controllo ed estendendo la copertura radio per le squadre in azione.

Eos Xi

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CARATTERISTICHE TECNICHE E PRESTAZIONI

VELIVOLO

Apertura alare: 6,5 mPeso: 55 kgMotore: bicilindrico 210cc 2T Twin spark Potenza: 18 CVElica tripala 28 X 12”Vel Max: 50 km/hVel crociera: 20-30 km/hVel min: 5 km/hAutonomia oraria: 3 hMax altitudine: 300 m AGLMax quota di decollo: 2000 mPayload (oltre al carburante): 8 kgDecollo / atterraggio: 5 m

SENSOR SUITE

Testa giro-stabilizzata brandeggiabile: Sensori elettro - ottici 380k Pixels Zoom ottici 18x-36xSensori IR 324x256 19-50mm 640x480 14-32mmSensore fotografico: Alta risoluzione 14,7 MpixelsSensore di analisi qualità aria: Naso elettronico analisi di 8 sostanze in tempo reale

SISTEMA Composizione:Velivolo senza pilota (UAV)Sensor suite a scelta del ClienteGround Control Station (velivolo e dei sensori)Ground Support EquipmentTrasportabilità: via Strada, ferrovia, nave, aereoTempo di preparazione: 20 min (2 persone)

MONITORAGGIO AMBIENTALEIl controllo del territorio, la prevenzione degli incendi, la gestione dell’inquinamento marino e dei fiumi, il controllo dello smaltimento dei rifiuti, la sorveglianza in seguito a disastri naturali quali inondazioni e terremoti trovano un valido supporto nel Nimbus EosXi. Dotato di sensoristica avanzata permette di controllare agevolmente il territorio con costi contenuti. Essendo un velivolo senza pilota può essere utilizzato anche in caso di contaminazione nucleare o batteriologica per supporto alle comunicazioni o ispezione dell’area.

COMUNICAZIONIPur in maniera differente in funzione delle frequenze e potenze in gioco, la portata delle comunicazioni risulta si riduce notevolmente al perdere della “linea di vista”. Risulta chiaro come, il poter disporre di un ripetitore a bordo del Nimbus EosXi visibile da tutte le squadre impegnate nell’operazione estenda notevolmente la copertura radio.

www.nimbus.to.it

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au revoirmon ami... L’aspettativa dei lettori di TNM riguardo alle recenti vicende libiche, ampiamente affrontate in questo numero, è certamente diversa da quella del lettore tipo di uno dei grandi quotidiani nazionali. I nostri lettori, molto attenti ad aspetti relativi alla tattica ed alla strategia, avranno dopo più di due mesi dall’inizio delle ostilità a Tripoli, già in buona parte

saziato gli appetiti correlati alle missioni svolte dai piloti della coalizione dei volenterosi, alla tipologia di aeromobili ed armamenti utilizzati, all’analisi degli schieramenti sul terreno. Ai nostri lettori non è sufficiente raccontare che la rivolta libica ha connotazione totalmente diversa da quelle che l’hanno preceduta. Non è la rivolta per il pane ed il lavoro esplosa in Tunisia ed Egitto e non è quella legata ad un’esigenza di maggior partecipazione alla gestione della cosa pubblica ed all’esercizio di una vera democrazia che è alla base di quella Algerina o Siriana. Chi acquista TNM sa già che, non vi è nulla di chiaro riguardo a chi davvero siano i referenti del movimento di rivoltosi che hanno preso possesso della Cirenaica e che, senza l’intervento occidentale, sarebbe stato spazzato via dall’apparato militare fedele al Leader. Probabilmente, è a conoscenza del fatto che Inspire, la rivista ufficiale di al-Qaeda nella penisola arabica, si è pronunciata a sostegno degli insorti egiziani e libici, gli stessi verso i quali siamo tutti più o meno velocemente, corsi in aiuto. I nostri lettori sanno che, in attività di questo tipo, prima ancora che i motori dei jet vengano messi in moto e gli aerei si lancino verso l’attacco, decollando da una base del mediterraneo o dal ponte di una portaerei, prima di tutto questo, gli uomini invisibili delle Forze Speciali dei paesi impegnati nelle attività belliche, sono da tempo penetrati nello scenario e guidano, con grande rischio, le azioni dei caccia, l’organizzazione tattica dei ribelli, la creazione di corridoi umanitari attraverso i quali provare

a far esfiltrare il personale diplomatico e delle grandi multinazionali presente sul terreno. Visto però che ci corre l’obbligo di esprimere un parere sulla situazione, allora diciamo pure che la sensazione diffusa ed il commento che più frequentemente si sente fare, sottovoce, nei corridoi dei Comandi militari nazionali ed internazionali, è quella di aver messo su un “pasticcio”, dal quale non si sa in nessun modo come affrancarsi. Le bombe lanciate dagli aerei, non hanno mai deposto nessuno, ed anzi, paradossalmente, in casi come quello libico, potrebbero addirittura rendere più forte il “bombardato”, costringendolo è vero, ad un’attività di rimessa, rendendogli impossibile il movimento in campo libero, ma consolidando fra i suoi, l’idea di un uomo solo che lotta per la libertà e l’indipendenza del suo paese, cosa che a quelle latitudini, tende ad avere una certa importanza. Senza passare al successivo livello d’ingaggio, ovvero alla partecipazione diretta allo scontro sul terreno, non si decideranno le sorti del Colonnello e sul terreno, mi sembra di capire che nessuno dei “volenterosi” voglia scendere con assetti consolidati, ma che si preferisca piuttosto demandare all’outsourcing, incaricando dello svolgimento delle attività belliche sul campo, i soli ribelli. Quello che invece interessa, ne sono certo, a chi segue il nostro approccio a tali argomenti, è il retroscena, la notizia che può offrire un punto di vista privilegiato e sino ad oggi poco esplorato, rispetto alle storie sin qui raccontate dai media mondiali. Ecco un paio di riflessioni, arricchite da qualche particolare sconosciuto ai più. All’origine delle smanie interventiste della Francia, c’è, è vero, la considerazione del fatto che l’Africa francofona, in termini geopolitici, valeva negli ultimi anni quanto un euro bucato, ma vi è anche e soprattutto un’opportunità che si è presentata loro sul finire dello scorso anno, quando l’allora capo del protocollo del governo libico, Nuri Al Mismari, chiese ed ottenne asilo politico in Francia, dopo essere stato raggiunto da un mandato di cattura internazionale emesso dal tribunale di Tripoli per appropriazione indebita di ingenti somme appartenenti al popolo libico e per tradimento degli ideali della rivoluzione. Il diplomatico, che ha interessi anche in Italia, paese al quale lo lega una lunga e consolidata amicizia e nel quale si sarebbe ben volentieri fermato senza dover valicare le Alpi, si trovava a Parigi per curare una non meglio definita patologia cardiaca. La Francia capisce immediatamente l’importanza dell’interlocutore che si consegna loro, personaggio che è stato per 40 anni l’uomo più vicino al colonnello, tessendo i

Di CARLO BiFFANi

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rapporti diplomatici con i principali governanti occidentali ed i più importanti referenti africani. Il diplomatico, all’interno dell’albergo dove è ospite, ed al tempo stesso sorvegliato speciale, incontra una serie di emissari libici che poi risulteranno essere tra i rivoltosi della prima ora e partecipa contemporaneamente ad una serie di riunioni ed incontri con i responsabili della politica estera e dell’intelligence d’oltralpe, riunioni che certamente hanno creato le basi dell’intervento francese nel paese africano. Ecco spiegato come il governo del presidente Sarkozy si sia trovato in enorme posizione di vantaggio rispetto agli altri paesi occidentali, nei contatti con la galassia degli insorti, nell’elaborazione di piani d’attacco alle istallazioni militari libiche e nella creazione di una rete di supporto alle operazioni sotto copertura, posta in essere nelle prime ore dell’attacco al Colonnello. Il fatto che già il giorno 25 febbraio fosse arrivata nelle acque antistanti la città di Bengasi una nave militare nella quale vi erano centinaia d’operatori delle forze speciali e dell’intelligence francese, nave sulla quale sembra viaggiassero anche loro colleghi inglesi, la dice lunga sulla rapidità delle iniziative e delle azioni ideate dai francesi con lo scopo di sfruttare al massimo la posizione di vantaggio derivante dalle informazioni messe sul tavolo dall’ex capo del protocollo. Tutti noi sappiamo com’è finita. Esaurito lo slancio propulsivo nell’azione, derivante dal vantaggio strategico di sapere con chi parlare e dove colpire, la Francia è dovuta scendere a più miti consigli, allineandosi su posizioni condivise in ambito Nato, ma lasciando di se, sul terreno dello scontro e sui tavoli delle diplomazie mondiali, una rinnovata immagine d’interventismo e di decisionismo che potrà forse spendere una volta decise le sorti di questo “pasticcio”, che una volta conclusasi la fase iniziale, sembra destinato a consumarsi in estenuanti scontri fra fazioni e pare indirizzato verso la retrocessione al rango di “guerricciola” piuttosto che di conflitto. Sul nostro ruolo, credo che sia possibile riassumere tutto in un paio di riflessioni. La prima riguarda l’occasione persa, quella cioè di proporci quando c’è stata la possibilità, come attori principali di una trattativa che potevamo tentare di metter in piedi solo noi, forti della posizione di vantaggio che avevamo in essere sino a due mesi fa nei rapporti con il Colonnello. La seconda riguarda invece il fatto che, se i responsabili della nostra Difesa, debbano impegnarsi con sforzi titanici nell’elaborazione di teorie che servano a spiegare, alla preoccupata opinione pubblica che mandiamo si, i Tornado in missione, ma che i nostri piloti stanno ben attenti a non sparare neppure un colpo, così da non essere confusi con i guerrafondai, penso che sia più corretto interrogarsi su cosa vogliamo davvero diventare da grandi. Su quanto si sia disposti a fare per creare un tipo di mentalità, che non contempli l’uso della forza condividendola unicamente seduti al tavolo con i nostri partner strategici, ma che sia davvero in grado di discuterne e motivarla, difendendone le ragioni, anche di fronte alla propria opinione pubblica. Questo principio vale e varrà sempre per noi di TNM che, vorremmo sia chiaro sin da subito, saremo sempre al fianco degli uomini e delle donne che difendono i colori della nostra Bandiera ed i nostri Valori, in ogni luogo e ad ogni latitudine.

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Data di nascita: 1984Data di decesso: 15 ottobre 2009

Età: 25 anniLocalità: Herat (Afghanistan)

Grado: Primo Caporal MaggioreCorpo: 4° Reggimento Alpini Paracadutisti

l 15 ottobre 2009, in seguito al ribaltamento del mezzo sul quale viaggiava, nel corso di uno spostamento Operativo da Herat a Shindad, perdeva la vita il Primo Caporal Maggiore Rosario Ponziano del 4° Reggimento Alpini Paracadutisti effettivo alla CCSL.

Eterno, Immenso Iddio che creasti gli Infiniti spazi e ne misuraste le misteriose profondità,guarda benigno a noi, Alpini Paracadutisti, che nell’adempimento del dovere,

balzando dai nostri apparecchi ci lanciamo sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balzaove la Provvidenza ci ha posto a baluardo della Patria, della Bandiera.

Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga.Proteggici nell’ardimentoso volo. La nostra giovane vita è Tua o Signore!

Se è scritto che cadiamo, sia. Ma da ogni goccia del nostro sangue sorgano gagliardi figli e fratelli in numeri:orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile avvenire.

E Tu, Madre di Dio, candida più della neve,Tu che hai conosciuto le sofferenze e i sacrifici degli Alpini caduti,

Tu che raccogli gli aneliti dei Paracadutisti vivi ed in armi,Tu benedici e sorridi al nostro Battaglione.

Così sia.

rosarioPonzianoPrimo CaPoral maggiore

Di GiANLuCA HeRmANN

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LA MISSIONE MILITARE ITALIANAA MALTA

Di Fabio GianGolini

Gli uomini del nucleo AMI SAR

(Foto Giangolini)

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Tra tutte le missioni italiane presenti all’estero, quella sull’isola di Malta è indubbiamente la meno nota, ma anche la più longeva. Nata agli inizi degli anni ‘70, essa ha operato nel Paese quasi ininterrottamente per circa quattro decadi, concorrendo dapprima alla modernizzazione della nazione e poi allo sviluppo delle sue forze armate. Acquartierata in una palazzina all’interno di Luqa Barracks, sede dell’Armed Forces of Malta (AFM), la Missione è guidata dal Settembre 2009 dal Colonnello Rocco Vastola dell’Esercito Italiano. Dagli anni ‘70 ad oggi, i compiti e le funzioni assegnate alla missione, così come la sua denominazione, sono mutati per riflettere gli accordi di collaborazione siglati di volta in volta fra Malta e l’ Italia.

Dall’assistenza alla cooperazione

La Missione italiana a Malta venne istituita il 1° agosto del 1973, con la firma di un apposito memorandum d’intesa su richiesta del governo maltese e la costituzione della MICTM (Missione Italiana di Cooperazione Tecnica e Militare) in applicazione al progetto di cooperazione speciale nel quadro dell’Accordo Italo - Maltese di cooperazione Scientifica e Tecnica del 1967. Il fulcro su cui poggia l’ accordo tra i due Stati, oggi come allora, è la Missione Militare Italiana: organizzazione interforze alle dipendenze dirette dello Stato Maggiore della Difesa, costituita da specialisti delle tre Forze Armate (Esercito, Marina e Aeronautica, con l’aggiunta del Corpo della Guardia Costiera). Lo scopo originario della Missione era quello di costituire l’impianto di difesa militare maltese, diffondendo la dottrina italiana, e fungendo anche da deterrente verso chiunque manifestasse intenzioni espansionistiche nel bacino Mediterraneo. I compiti erano quelli di addestrare il Pioneer Corps per lavori di pubblica utilità, di migliorare i collegamenti telefonici e telegrafici sia interni che verso l’ estero, e di riordinare il sistema di manutenzione e riparazione dei veicoli di proprietà del Governo maltese. Sin dalla sua

originaria costituzione, la Missione è andata molto oltre gli originali intendimenti, contribuendo in diverso modo negli anni allo sviluppo del Paese. Il compimento delle principali e vitali opere pubbliche (tra cui l’ampiamento della pista dell’aeroporto internazionale e la costruzione delle principali arterie stradali) ne sono testimonianza indelebile. Nonostante il ruolo vitale per Malta ricoperto in quei primi anni di vita dalla Missione, il 28 marzo 1979 essa fu ritirata su richiesta del Governo maltese. è questo un periodo di profondi sconvolgimenti politici e sociali per Malta. L’ allora Primo Ministro ultra socialista Dom Mintoff, era intenzionato ad uscire dall’orbita di influenza occidentale ed avvicinarsi ai regimi totalitari libici, cinesi e nord coreani. Saranno proprio questi Paesi che, in questo periodo, forniranno a Malta armi e mezzi, in parte ancora oggi in uso. A Malta resta in questo periodo solo la componente SAR (Search and Rescue) elicotteristica italiana. La Missione fa il suo ritorno nel 1981, con la sottoscrizione di un nuovo accordo tra i due governi, a seguito del quale nascono due organismi: la DIATM (Delegazione Italiana di Assistenza Tecnico Militare) e la MICTM (Missione Italiana di Cooperazione Tecnica a Malta). Compito della DIATM era quello di addestrare i volontari da inserire nelle forze armate maltesi, nella polizia e di collaborare con la MICTM, nell’attuazione di lavori di genio civile. L’attività di DIATM e MICTM venne sospesa tra il Dicembre 1984 ed il Settembre 1985, fatta eccezione ancora una volta per il servizio SAR. Il 14 luglio 1988 fu firmato un Memorandum di intesa tra il Ministero della Difesa Italiano ed il Ministero degli Esteri Maltese e fu istituita la MIATM (Missione Italiana Assistenza Tecnico Militare), il cui contributo è articolato in due branche maggiori. La prima concorre a garantire il servizio di ricerca e soccorso (SAR) maltese con equipaggi ed elicotteri dell’Aeronautica Militare, compreso la formazione del personale. La seconda si riferisce all’addestramento sia di base che avanzato, di aliquote del personale dell’AFM e dello Special Assignments Group, unità SWAT della Polizia. Per la preparazione specialistica, la Missione ha sempre

Un HH-212 del nucleo AMI SAR(Foto Giangolini)

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fatto impiego di uomini delle forze speciali italiane inseriti al suo interno. Il 25 giugno 2009, l’Italia ha ratificato un nuovo Accordo d’intesa che prevede una diversa modalità di cooperazione tra i due Paesi, confermando le reciproche volontà di mantenere forti i legami tra due Stati, molto vicini per cultura, tradizioni e obiettivi strategici. Con l’ingresso di Malta nell’Unione Europea nel 2004, alcune delle condizioni che determinarono il sostegno dell’Italia a Malta sarebbero dovute decadere in forza del principio della pariteticità tra Stati membri. Il nuovo memorandum, recependo il mutato quadro di situazione, modifica l’assistenza in cooperazione e definisce ambiti di maggiore integrazione delle AFM anche in scenari internazionali. La denominazione della

Missione è quindi stata mutata in MICCD: Missione Italiana per la Collaborazione nel campo della Difesa.

organizzazione

La struttura della Missione è interforze, comprendendo personale dell’Esercito, Marina, Aeronautica, e Capitanerie di Porto, articolate su:

• Capo della Missione/Comandante di Corpo;• Nucleo segreteria e amministrazione;• Coordinatore e Ufficiali responsabili della cooperazione;• Servizio AM SAR.

compiti

A seguito della firma del memorandum d’intesa del 25 Giugno 2009, i compiti sono stati così riassunti:

• fornire all’AFM ogni strumento concettuale volto alla crescita della componente difesa, nel rispetto dei principi della standardizzazione, integrazione e interoperabilità adottati dall’Italia e dall’UE;

• promuovere i programmi italiani del settore della Difesa;• mantenere e rafforzare le interrelazioni bilaterali con la

Repubblica di Malta;• individuare e supportare le professionalità/capacità “a

tempo” da inviare a Malta (Mobile Training Teams delle forze armate italiane);

• collaborare al servizio di ricerca e soccorso (SAR) mediante lo stazionamento a Malta di elicotteri italiani equipaggiati per le operazioni SAR e l’addestramento di equipaggi delle AFM.

Nel contesto della collaborazione nel campo della sicurezza, vengono svolti periodicamente corsi di Tactical Medicine, Helicopter Procedures, Fire Fighting, Merchant Traffic Control, Peace Keeping, Humanitarian Demining, Radio Procedures, Mine Awareness, Room Entry Techniques, Sniper, VIP Protection, Offensive / Defensive Driving, per la conduzione dei quali è spesso richiesta la presenza di figure professionali specifiche provenienti da reparti italiani (è il caso dei corsi svolti con la Brigata Paracadutisti “Folgore” od il “Col Moschin”). L’Italia collabora con Malta al servizio di ricerca e soccorso con due elicotteri tipo HH-212, per 360 giorni all’anno 24 ore al giorno. I voli sono condotti con equipaggi misti italo-maltesi (un pilota ed un operatore di bordo italiani insieme ad un copilota ed un aerosoccorritore maltesi), pertanto la cooperazione SAR comprende anche l’addestramento degli equipaggi maltesi impiegati sugli assetti italiani. Al riguardo, il Servizio AM SAR opera quale CAE (Centro Addestramento Equipaggi), rilasciando anche le abilitazioni/qualifiche ai piloti ed aerosoccorritori dell’AFM. Le principali tipologie di intervento, svolte giorno e notte, su terra e su mare sono:

• ricerca (SEARCH) dispersi/naufraghi;• recupero (RESCUE) ammalati/traumatizzati;• evacuazione medica (MEDEVAC)

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Abitacolo di un HH-212 in dotazione alla Missione (Foto Giangolini)

Il Colonnello Vastola ripreso con il Presidente della Repubblica maltese ed il Comandante dell’ AFM (Foto MICCD)

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La tipologia di interventi per i quali puó essere chiesta la collaborazione dell’assetto AMI SAR, verificata la casistica media d’impiego e fatte salve le valutazioni del Capo Missione, comprende anche:

• sostituzione di equipaggi/assetti SAR maltesi a causa di sopraggiunta indisponibilità/inefficienza;

• attività diverse ad interesse maltese: - per eventi aeronautici e/o del settore Difesa; - per eventi di risonanza nazionale e/o pubblica utilità;• esigenze nazionali di natura addestrativa, operativa,

logistica o relative ad attività chieste per il tramite dello Stato Maggiore Difesa italliano.

Il Servizio AM SAR garantisce anche l’ efficenza dei due vettori HH-212 impiegati a Malta. Nel merito provvede a:

• effettuare le previste ispezioni giornaliere/mensili con il personale specialista italiano;

• garantire una scorta di magazzino di pezzi di ricambio al fine di supportare l’attività manutentiva;

• gestire il materiale Air Ground Equipment;• effettuare tutte le ispezioni al materiale di sopravvivenza

imbarcato a bordo dei velivoli.

L’attività SAR, rappresenta oggi i due terzi di tutte le attività svolte dalla Missione e, a causa del consistente carico di lavoro, gli apparecchi sono sottoposti a stretti controlli, con fermi tecnici effettuati ogni 25 ore di volo. La Missione svolge regolarmente anche esercitazioni ed attività culturali (marce topografiche, esercitazioni di tiro, mantenimento dell’efficienza operativa, visite culturali, seminari) ed attività di pubbliche relazioni con Croce Rossa, Protezione Civile, Università di Malta, scuole locali, e mass media.

conclusioni

Il costante contributo italiano a Malta attraverso la Missione Militare ha consentito il conseguimento di eccellenti

traguardi per le AFM, oggi ad un livello di assoluto pregio. Testimonianza è l’importante obiettivo raggiunto con l’impiego fuori area di un ufficiale maltese presso il contingente Italiano in Libano, prima reale proiezione ed integrazione terrestre di personale dell’AFM in un contesto internazionale. Le esercitazioni aereonavali annuali denominate “Canale”, “Nautilus” e “Nettuno”, continuano a mirare all’incremento della cooperazione, della sicurezza e della stabilita’ nel Mediterraneo. La missioni addestrativa Italo-Maltese “Terra Ferma” è un altro impegno periodico dove l’AFM coopera partecipando a complesse attività simulate, finalizzate al Peace Keeping. Negli anni, oltre allo sviluppo di programmi di formazione ed addestramento, é stato avviato e completato un complesso piano di cessione di mezzi e materiali alle Forze Armate Maltesi, completato nel mese di novembre 2009. Il risultato é stato quello di uniformare taluni equipaggiamenti terrestri, navali e aerei a quelli Italiani, con l’evidente coinvolgimento dell’industria italiana al mantenimento ed al sostentamento degli stessi. A tale fine, costituiscono le fondamenta per futuri rapporti industriali nell’interesse delle due nazioni la cessione di un Pattugliatore Classe Diciotti P61 (costruito da Fincantireri), nave maggiore della Marina Maltese e di unità minori per la vigilanza delle coste e l’avvio di vari progetti di collaborazione con le principali industrie italiane. In conclusione la Repubblica di Malta e l’Italia beneficiano, oggi, dei frutti della lungimiranza di chi questa cooperazione ha voluto, progettato e realizzato ben trentotto anni fa. Grazie alla MIATM, le Forze Armate Maltesi e Italiane parlano oggi un linguaggio comune, fondamentale nel caso di interventi SAR marittimi, ove la capacità di cooperare è la chiave di riuscita di ogni singolo intervento. L’autore desidera ringraziare la Cellula Pubblica Informazione del MICCD nella persona del Comandante Antonio Nasti, ed il Capo Missione Col. Rocco Vastola per la gentilissima assistenza prestata nella stesura di questo articolo.

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Il Colonnello Vastola ripreso con gli uomini delle forze speciali italiane, nel corso dell’ ultimo corso SOTIC tenuto sull’ isola (Foto MICCD)

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Tactical News ha incontrato il colonnello rocco Vastola, che ci ha parlato del suo ruolo di Capo Missione e dei rapporti con le forze armate maltesi.

tactical news magazine: la collaborazione fra la Missione e le forze armate maltesi è uno dei punti saldi del memorandum d’ intesa firmato dai due Paesi. Come, ed in che modo, questa collaborazione si traduce nei rapporti fra lei e la sua controparte maltese?col. Vastola: La missione a Malta ha una storia lunga, ricca di testimonianze solide distribuite su tutto il paese, che ha contribuito a consolidare i rapporti fra i due Paesi. Il rapporto leale e sincero tra i Comandanti sono l’espressione concreta di questi rapporti. Le attività della Missione nascono dal costante dialogo tra il Comandante dell’AFM, il Generale Martin G. Xuereb, ed il Capo Missione. Insieme si individuano le esigenze, si analizzano le soluzioni, si prospettano le proposte. I rispettivi staff lavorano ai progetti esecutivi per l’attuazione ed il controllo dei risultati. A partire dai Comandanti fino ai minimi livelli esiste un rapporto di stima e di fiducia reciproca, che va anche oltre gli ambiti di servizio.

tnm: La Missione può anche essere considerata come un’ ambasciatrice dell’Italia a Malta. Come vi relazionate con i media locali e quali sono le attività di pubbliche relazioni che vengono realizzate per promuovere le vostre attività? col. Vastola: La comunicazione è sicuramente uno strumento strategico che consente di conseguire importanti obiettivi ad ogni livello. La Missione é vicina ai media per veicolare quell’immagine di italianità che ci contraddistingue. Indubbiamente, quando la comunicazione tratta la sfera militare, è necessaria estrema cautela. La Missione assicura comunque anche l’esercizio di attività non esclusivamente militari, come il SAR, alle quali abbiamo deciso di dare maggiore enfasi nei rapporti con i media. In passato la Missione aveva un ruolo di più facile visibilità. Il concorso alla costruzione di opere pubbliche consentiva una maggiore vicinanza con il Paese ed un impatto più immediato con la comunitá maltese, a differenza delle attività odierne rivolte al concetto più allargato di cooperazione nel campo della difesa. Ovviamente, costruire una strada o un ponte, ripristinare un edificio, incrementare le capacità operative di un aeroporto, etc. hanno un effetto sicuramente più vicino alle esigenze dell’opinione pubblica. Oggi, essendo mutati i ruoli della Missione, anche la nostra comunicazione è mutata conseguentemente.

tnm: Quali sono i cambiamenti che, in qualità di Capo Missione, ha progettato di introdurre? col. Vastola: Al mio arrivo a Malta nel Settembre 2009, la Missione si trovava in un momento di cambiamento radicale, in virtù della firma del nuovo memoradum d’intesa, finiva l’assistenzialismo e stava nascendo la collaborazione, che determinava una nuova visione del nostro ruolo a Malta. Questo mi ha aiutato moltissimo, avendo nei miei passati di servizio maturato esperienze nel settore del rinnovamento e operato con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Il nuovo MoU non é uno strumento rigido, consente nell’ambito di una determinata gamma di campi di collaborazione italo maltesi, di selezionare le attività di maggiore interesse, disegnare i percorsi progettuali, quindi procedere all’esecuzione ed al successivo controllo dei risultati. Abbiamo iniziato il nuovo percorso indicato dal Memorandum of Understanding (MoU) operando una riorganizzazione di tutti i settori funzionali della Missione, adeguandoli agli standard nazionali ed al passo dei tempi moderni. A seguire, sono state definite le nuove procedure di lavoro ed il ciclo di cooperazione. Il 2010 è stato per noi transitorio, necessario per rodare il nuovo assetto organizzativo funzionale della Missione e l’anno della chiarezza per individuare le macro-aree di cooperazione ove allocare le future attività. Sicuramente il 2011 sarà l’anno dell’effettivo nuovo cammino italo maltese sulla collaborazione nel campo della Difesa. tnm: Esistono degli obiettivi che si prefigge di raggiungere durante il suo periodo di comando della Missione?col. Vastola: Mi piacerebbe sicuramente completare il processo di transizione della Missione, esaurire le attività ancora collegate con la vecchia assistenza alle AFM e considerare a regime il ciclo di cooperazione previsto dal nuovo MoU. Avere la possibilità di completare questo processo potrebbe essere per me l’obiettivo professionale più qualificante come Capo Missione. Ricordo, tra le altre cose, che al mio arrivo a Malta, la Missione aveva ancora la gestione di un parco mezzi pari a circa una sessantina di unità, tra mezzi tattici, commerciali e del genio. La completa cessione di questi mezzi alle AFM, che ha determinato il completo svuotamento di ogni competenza gestionale attribuita alla Missione, è stato lo start per dedicare ogni risorsa al cambiamento. Spero che come nel passato la presenza italiana a Malta possa continuare a costituire un solido segnale di amicizia e stima tra i due paesi.

INTERVIEW

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LA LEGALITÁDi J.B.SoareS

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LA LEGALITÁNELLE MANI DI POCHI UOMINILa lotta al narcotraffico, una battaglia senza quartiere che ogni giorno vede uomini, in divisa e non, battersi in ogni parte del mondo, pagando un prezzo carissimo, rischiando la propria vita per garantire il rispetto della legalità, contro un flagello difficile da debellare. Le aree di confronto dove si cerca di combattere questo fenomeno criminale fortissimo sono molteplici e distribuite in tutto il mondo. Dalle grandi metropoli nord americane ai villaggi afgani, fino ad arrivare ai più remoti villaggi dell’Amazzonia, il narcotraffico è sempre più forte e difficile da combattere. Data la sua complessità e la sua capacità di movimentare enormi somme di denaro, in grado d’influenzare l’economia e la geopolitica mondiale, c’è addirittura chi considera la lotta al narcotraffico alla stregua della “terza guerra mondiale”. I narcotrafficanti spesso beneficiano di risorse di molto superiori rispetto a quelle delle istituzioni che li combattono. Partendo da quest’analisi, come ufficiale di polizia da anni impiegato nella lotta al narcotraffico, cercherò di condividere con voi la mia esperienza e quella degli uomini che giornalmente combattono al mio fianco nella città di Rio de Janeiro,

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RIO DE JANEIROuna metropoli meravigliosa ma allo stesso tempo protagonista di una guerra asimmetrica che pochi conoscono. Ho accettato di render noto ciò che facciamo anche ai lettori italiani di TNM, invogliato dal mio amico ed istruttore “Gianpiero Spinelli”, che in qualche modo ha condiviso queste esperienze. Lo faccio a dispetto di un mondo ipocrita che senza conoscere realmente quello che facciamo ci chiama in termini dispregiativi “Squadroni della morte”. Rio de Janeiro è sviluppata su strette pianure alluvionali, schiacciate tra le montagne e le colline circostanti. E’ una città bellissima, meta di turismo internazionale, con le sue spiagge ed i grandi hotel, ma anche con 1000 favelas, dove si

addensano circa 13 milioni di persone poverissime. In queste favelas si concentrano la maggior parte delle organizzazioni criminali di Rio, che tengono sotto scacco la popolazione povera, creando dei veri e propri centri di potere paralleli, basati sulla violenza e soprattutto sulla legge delle armi. In questi meandri bui, composti da piccoli vicoli che attraversano costruzioni multipiano fatte in mattoni di laterizio e materiale di circostanza, si annidano i cosiddetti “Commandos”, organizzazioni criminali strutturate a livello paramilitare, armatissime e che gestiscono il traffico della droga nella città di Rio de Janeiro. Organizzazioni meglio conosciute come “Commando Vermelho”, “Amigos dos amigos”, “Terçeiro

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RIO DE JANEIROcommando”, hanno tra le loro fila centinaia d’integranti, suddivisi in una scala gerarchica chiara, ed armati con fucili automatici (M4, AK47, HKG3, etc..) difendono la favelas e la “Boca de fumo” (luogo predestinato allo smistamento e lo spaccio degli stupefacenti) dalle incursioni delle unità specializzate della polizia militare e civile. Queste organizzazioni criminali, grazie alle ingenti disponibilità economiche, hanno la possibilità di arruolare tra le proprie file ex integranti delle forze speciali delle varie forze armate brasiliane e guerriglieri di altre nazioni che decidono di delinquere in cambio di denaro, offrendo la loro perizia e la loro esperienza (angolani ex integranti dell’UNITA’ residenti in Brasile si

stesse forze armate, sviluppassero tecniche e tattiche speciali, per invadere e dominare le favelas e che contribuiscono ad assegnare loro la fama di migliori forze di polizia al mondo nelle operazioni di contro guerriglia urbana. Gli stessi israeliani, negli anni passati, sono rimasti impressionati dal livello di professionalità di questi uomini, riconoscendo loro questo titolo meritato. Il “Bope” della polizia militare ed il “Core” della polizia civile sono le unità in prima linea nella guerra al narcotraffico nelle favelas di Rio de Janeiro. Sono loro che giornalmente invadono le favelas più violente, per catturare i più pericolosi trafficanti e per liberare poliziotti catturati o rimasti imprigionati al loro interno.

sono unite al Comando Vermelho dentro il complesso di favelas di “Marè”). Un esempio noto di questo fenomeno è rappresentato da Marcelo PQD, ex paracadutista della Brigata paracadutisti dell’esercito brasiliano, che disertò dalle forze speciali per legarsi al Comando Vermelho, fino a diventare signore della droga della favelas do Dendé. Una geografia difficile e complessa, il rapporto, non sempre buono, con la gente che vive nelle favelas (questo dovuto alle operazioni d’assistenzialismo che i trafficanti esercitano sulla popolazione che vive nelle comunità più povere, in cambio di consensi) ed un avversario agguerritissimo e ben armato, rendono le operazioni di polizia veramente difficili e caratterizzate da una tipicità unica. Tutto ciò ha fatto sì che le unità d’elite della polizia militare, civile, federale ed anche le

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BOPEBOPE: (Battaglione operazioni speciali di polizia)

Battaglione d’elite della polizia militare dello stato di Rio de Janeiro, fondato il 19 Gennaio 1978, attualmente annovera tra le proprie fila circa 400 poliziotti super addestrati, specializzati nelle operazioni di liberazione di ostaggi ed operazioni contro la criminalità organizzata in ambienti ostili (favelas). Ogni aspirante che vuole entrar a far parte di questa forza d’elite deve sottoporsi ad una selezione spietata, solo il 10 % dei candidati riesce a far parte del battaglione. Il percorso addestrativo ha una durata di circa 8 mesi, durante i quali gli aspiranti devono frequentare e superare diversi corsi, ad esempio il CAT (Corso di azioni tattiche), l’EAT (Stage di azioni tattiche) ed il COESP (Corso per operazioni speciali). Durante

questo percorso gli aspiranti si addestrano ad operazioni di contro guerriglia urbana, operazioni elitrasportate e liberazioni di ostaggi. Il Bope possiede un’unità sniper che vanta una grande esperienza, comandata dal sergente Daniel Roca, oggi il migliore sniper presente in Brasile con decine e decine di operazioni come sniper al suo attivo. Egli è un punto di riferimento importantissimo per le fasi più critiche nelle operazioni per la liberazione di ostaggi, la sua perizia è stata fondamentale per concludere con successo alcune operazioni considerate molto complesse. Esiste all’interno del battaglione un’unità cinofila altamente specializzata, con cani super addestrati alle operazioni anti terrorismo. Negli ultimi anni il livello di specializzazione del BOPE è cresciuto esponenzialmente, collocandolo nella lista delle unità

Bombe a mano sequestrate ai narcotrafficanti durante un’irruzione nella favelas

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C RE

BOPE

speciali d polizia migliori al mondo ed in visione dei giochi Panamericani di Rio 2007, della Coppa del mondo di calcio 2014 e delle Olimpiadi 2016, ha effettuato ed effettua continui interscambi con unità d’elite, forze speciali ed advisor di diversi paesi tra cui anche alcuni italiani. Oggi il BOPE è comandato dal colonnello Wilman Rene Gonsalves Alonso, ufficiale molto competente e specializzato, egli ha dedicato interamente la propria carriera a questo battaglione, portandolo a livelli altissimi.

CORE: (Coordinamento operativo ricorsi speciali)

Unità speciale della polizia civile dello stato di Rio de Janeiro, fondato il 4 Luglio del 1969, attualmente conta circa 300 poliziotti specializzati in operazioni complesse all’interno delle favelas, soprattutto per la cattura di criminali ritenuti fortemente pericolosi.Gli agenti del Core svolgono operazioni molto complesse, coordinate da una sezione d’intelligence ed investigazione. Ogni aspirante poliziotto, che vuole entrare a far parte dell’unità, deve superare una selezione durissima ed una serie di corsi specialistici svolti presso l’Accademia di polizia “Silvio Terra” di Rio de Janeiro e presso strutture delle forze speciali dell’esercito e della Marina, che contribuiscono alla loro formazione. Questo ciclo addestrativo ha una durata di circa 8 mesi con periodici corsi che l’aspirante poliziotto deve svolgere per poter entrare nell’unità. Gli aspiranti svolgono uno speciale addestramento per la conduzione di operazioni speciali all’interno delle favelas, corso sniper, corso per lo svolgimento di operazioni anfibie, corso per operazioni elitrasportate, corso per operazioni marittime. All’interno del suo organico esiste inoltre una sezione speciale denominata GOE (Gruppo di Operazioni Speciali) che si occupa di operazioni anti e contro terrorismo ed è formato dall’elite degli agenti facenti parte dell’unità. Anche il CORE, come il BOPE, ha avuto un grande sviluppo grazie a continui interscambi. Nel 2006, in vista dei giochi Panamericani di Rio, la maggior parte dei suoi integranti partecipò attivamente al primo corso di operazioni anti terrorismo creato in Brasile, in seno ad una segreteria di sicurezza pubblica di stato. La polizia civile, grazie all’opera del delegato dottor Sergio Caldas e del dottor Rodrigo de Oliveira, già comandante del Core e grazie inoltre alle consulenze di Gianpiero Spinelli e del personale dell’US.ATAP americano, crearono il 1º corso COAT, un corso speciale di anti terrorismo, di cui gli integranti del CORE erano il numero più rappresentativo.

Bombe a mano sequestrate ai narcotrafficanti durante un’irruzione nella favelas

Unità antibomba del CORE

Membro del Bobe durante un esercitazione al tiro

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CAvEIRON

TECNICHE & TATTICHE La difficoltà di operare in un ambiente urbano, molto articolato, dove i dislivelli orografici impongono un’architettura caratterizzata da case a più piani, che si arrampicano su colline dove la mobilità è limitata al solo appiedamento, ha fatto sì che queste due unità sviluppassero tecniche e tattiche di combattimento davvero uniche nel loro genere. Spesso l’invasione di una favelas perde il fattore sorpresa perché strettamente vigilata da guardie chiamate “fogheteros” che dall’alto sparano petardi e fuochi d’artificio per allertare i trafficanti ed i loro soldati dell’arrivo della polizia. La perdita del fattore sorpresa e la conseguente accoglienza con pioggia di fuoco sin dall’ingresso della “favelas” obbliga questi poliziotti ad usare mezzi blindati chiamati “Caveiron”, prodotti dalla “Centigon”, che trasportano la truppa fino al punto più vicino ed accessibile dal mezzo blindato. Dopodiché i poliziotti sbarcano ed iniziano una progressione lenta, punto per punto, angolo per angolo, a coppie, coprendo l’uno il movimento dell’altro. Lo stazionamento dietro i pali

dell’energia elettrica è d’obbligo, questo può durare anche lunghi periodi, prima di poter attraversare vicoli strettissimi, spesso bui anche di giorno, quindi difficili anche da controllare visivamente dal personale eli-imbarcato.Le stesse abitazioni molto strette, costruite con mattoni di laterizio e materiale edile di circostanza, non permettono una buona copertura durante le progressioni tattiche. Molte volte i trafficanti, nascosti ed asserragliati all’interno di queste piccole abitazioni, aspettano che i poliziotti si muovano lungo i muri sparando anche attraverso le pareti. Le movimentazioni sono alternate da movimenti lenti e veloci ma sicuramente molto fluidi, sempre in salita, costringendo il poliziotto ad imbracciare il fucile puntando sempre verso un obiettivo alto, non nella classica posizione. Questo induce l’operatore ad uno stress incredibile e necessita di una preparazione fisica specializzata. L’attraversamento di stradine e di vicoli è alternato da azioni di bonifica di piccoli compartimenti, molte volte trappolati con granate. Gli operatori non conoscono il punto esatto dove sono localizzati i trafficanti, perciò devono affrontate

Materiale sequestrato ai narcotrafficanti durante un’irruzione nella favelas

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CAvEIRON

una feroce contingenza fino a stanarli e chiuderli in aree di combattimento sempre più strette, in modo tale che essi, sopraffatti dal numero, dalla superiorità di fuoco e dall’aggressività dell’operazione, siano indotti alla resa o alla morte. La maggior parte di queste operazioni finisce con la morte dei trafficanti. Spesso la difficoltà nella conduzione di queste operazioni è rappresentata dalla presenza di civili innocenti che vivono all’interno delle favelas, abituati a queste situazioni e che anche durante le operazioni continuano a svolgere la loro vita quotidiana. Capita quindi di dover incrociare, durante il superamento di un vicolo, donne che escono dalle abitazioni, scolaresche che ritornano a casa o bambini che giocano a calcio per strada. Molte volte questo capita durante violentissimi scontri a fuoco. Ciò impone un grandissimo autocontrollo, oltre ad un’azione di riconoscimento dei target in tempi compressissimi, perché in nessun modo civili innocenti devono essere coinvolti negli scontri. Spesso i trafficanti sparano anche sui civili in modo che i poliziotti rallentino le operazioni per soccorrere i feriti, agevolando la loro fuga dalle favelas. Per far fronte a quest’eventualità, mentre una coppia si accinge a progredire, ce n’è sempre un’altra pronta a dover evacuare i feriti. Questo tipo di movimentazioni e progressioni tattiche sono una caratteristica delle forze di polizia di Rio de Janeiro, oggi apprezzate ed apprese anche dalle forze speciali di polizia di altri paesi.

ARMI, MEZZI & EQUIPAGGIAMENTI

Il Bope ed il Core hanno armi e mezzi simili, poiché, pur dipendendo da forze di polizie differenti, sono per la maggior parte delle volte coinvolte nelle stesse

Materiale sequestrato ai narcotrafficanti durante un’irruzione nella favelas

Sede del Bobe

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COMPLExODO ALEMAO

Membri del Bobe e del Coredurante le fasi dell’occupazionedel Complexo Do Alemao

operazioni. L’armamento è vario e successivamente ai giochi Panamericani del 2007 ha avuto un ammodernamento generale. Fucili Colt M4 5,56 mm, insieme ai tradizionali Imbel Fall 7,62 mm, sono le armi lunghe d’ordinanza di entrambe le unità. Inoltre sono molto utilizzate le pistole mitragliatrici HK MP5, soprattutto per le operazioni di hostage rescue. Fucili HK G3 e PSG 1 per il tiro di precisione sono in dotazione alle sezioni di tiratori scelti, ma anche fucili a canna liscia cal 12, granate assordanti e lacrimogeni prodotti dalla casa brasiliana “Condor”. L’arma corta è la Taurus serie PT, prodotta su licenza Beretta. I mezzi più conosciuti sono il famoso “Caveiron” del BOPE ed il “Pacificador” in dotazione al CORE. Questi veicoli blindati, prodotti a Sao Paulo dalla “Centigon”, caratteristici di queste unità, hanno una blindatura di livello 7.

OPERAZIONI IMPORTANTI

Sono davvero molte le operazioni, condotte da queste due unità speciali, degne di essere menzionate, non basterebbe quest’articolo per descriverle tutte. L’ultima, condotta presso il complesso di favelas della zona nord, meglio conosciuto come “Complexo do Alemao”, è quella che ha fatto più parlare di sé, sia in Brasile che all’estero. Si è trattato di una mega-operazione, coordinata tra tutte le forze armate e dell’ordine, statali e federali, che hanno inferto un colpo durissimo a quello che era considerato un baluardo inespugnabile del traffico di droga. Tutte le forze in campo hanno svolto un lavoro impeccabile, dopo giorni di battaglia e numerosi morti, il complesso è stato occupato. Il BOPE ed il CORE sono stati i primi ad entrare e gli ultimi ad uscire, così come fanno quotidianamente. Il loro motto è “Se nao conseguimos nos, ninguem vai conseguir” (Se non riusciamo noi, nessuno ci riuscirà).

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COMPLExODO ALEMAO

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ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI M

Di FRANCESCO RiTi - TESTER Di TNM

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Una fase durante la prova di immersionenell’acqua e nella sabbia nel mare baltico

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Universalmente dei tedeschi si apprezza l’affidabilità, la puntualità e la qualità. Sembra un luogo comune, ma effettivamente la qualità dei prodotti teutonici è sicuramente superiore, e chi ha avuto modo di testare prodotti made in germany non può che condividere questo pensiero. Di recente, per motivi di lavoro, ho effettuato un breve viaggio in terra tedesca e ho avuto la possibilità di visitare alcune aziende del settore difesa. In occasione della mia visita presso lo stabilimento della SCHMEISSER, ho avuto modo di consatare che la proverbiale affidibilità e qualità tedesca e stata ampiamente utilizzata anche in campo armiero. Da oltre 20 anni i titolari dell’azienda Thomas Hoff e Andreas Shumacher lavorano nell’industria delle armi. La loro esperienza ha portato alla creazione della azienda Schmeisser la quale porta con orgoglio il nome di Hugo Schmeisser, sicuramente un dei fabbricanti di armi pù conosciuti e innovatori del nostro secolo. Il core bussines dell’azienda, è

la produzione di carabine semiautomatiche di tipo AR -15 per il mercato civile e di carabine automatiche M-16 per il mercato military e law enforcement. La filosofia aziendale è semplice: il prodotto deve rispondere nel miglior modo possibile ai desideri del cliente o del committente in caso di istituzioni pubbliche. I militari e i professionisti della sicurezza hanno esigenze diverse per quanto riguardano i sistemi di armi. La Schmeisser prende in considerazione le loro esigenze ed è in grado cosi di fornire le armi più adatte alle loro specifiche. Un aspetto molto importante della produzione, è che tutti i componenti dei sistemi d’arma, sono fabbricati in germania al fine di garantire un qualità altissima del prodotto finito. La qualità delle armi prodotti dalla Schmeisser

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DMR 5,56 Kit Desert Warfare

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è ulteriormente garantita da un attento e rigoroso controllo durante il processo di fabbricazione. Tutte le carabine prodotte sono realizzate, come da specifica militare, in alluminio 7075 T6, un alluminio ampiamente utilizzato nella produzione aerospaziale caratterizzato da un altissima resistenza una densità bassa e dalle proprietà termiche elevate. Ho avuto modo durante la mia visita di poter provare varie carabine e nonostante possa considerarmi un esperto conoscitore di armi e di averne testate moltissime sia per lavoro che per diletto, di fronte a questo prodotto sono rimasto veramente basito dall’alta qualità che gli ingegneri della Schmeisser hanno profuso nella realizzazione di questi sistemi. La cosa che più mi ha colpito è stato sapere che le armi vengono trattare con la stessa vernice speciale che si usa sugli ingranaggi dell’elicottero Eurocop Tiger (l’unico che può volare 30 minuti senza olio). La molla è un intreccio di tre fili di acciaio studiata e

realizzata per la prima volta nel 1942, il calcio di ogni singola arma è stato migliorato rispetto alla concorrenza per migliorare la stabilità e la silenziosità, lo spinotto dove si basa la molla all’interno del calcio, è completamente stravolto rispetto agli altri cloni disponibili sul mercato, è stato silenziato e stabilizzato per permettere all’operatore una maggiore precisione nel tiro. Ho avuto la possibilità, oltre che a provare le armi all’interno del loro balibedio, di effettuare delle prove di immersione nell’acqua e nella sabbia e devo dire che le carabine Schmeisser dimostrano la massima efficenza in ogni condizione di utilizzo. Nei prossimi numeri di Tactical News Magazine avrete modo di leggere i Fire Test da me eseguiti su quasi tutta la poduzione della Schmeisser.

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Particolare della molla:un intreccio di tre fili di acciaio

studiata e realizzata per la prima volta nel 1942

Nella foto da sinistra: responsabile commerciale Robert Riegel, al centro il nostro collaudatore Francesco Riti, a destra Il Generale Joe Der Hovsepian Consulente militare in Medio Oriente.

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MAGIC FIREDi FABiO GiANGOLiNi

Il massacro degli atleti olimpionici israeliani a Monaco, il 6 Settembre 1972, da parte di un commando terrorista di Settembre Nero, è stato alla base della creazione di buona parte delle odierne unità di salvataggio ostaggi in Europa e nel mondo. Le autorità tedesche, fortemente criticate per la gestione poco professionale dell’operazione, autorizzarono la creazione di un’unità speciale denominata GSG 9 (Grenzschutzgruppe 9) all’interno della Polizia di Confine. Delegato principalmente alla risoluzione di crisi con ostaggi e soggetti armati, il 18 Ottobre 1977, a quattro anni dalla sua creazione, il GSG9 avrebbe avuto modo di dimostrare al mondo intero le proprie capacità operative.

Terrore nei cieli

Il 13 ottobre 1977, alle ore 11:30, il volo Lufthansa LH181 da Palma di Majorca a Francoforte, viene dirottato da quattro terroristi che si identificano come “Commando Martire Halime”,

OPERAZIONE

aderente all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat. Sono tutti appena ventenni ed a guidarli è il palestinese Zohair Youssef Akache, che si fa chiamare “Capitano Martire Mahmud”. Gli altri tre dirottatori sono: la palestinese Suhaila Sayeh ed i libanesi Wabil Harb e Hind Alameh. A bordo dell’apparecchio ci sono ottantasei passeggeri e cinque membri d’equipaggio (due piloti e tre hostess). Sotto la minaccia delle armi, il Capitano Jurgen Schumann ed il copilota Jürgen Vietor, sono costretti a modificare il piano di volo per dirigersi verso l’aeroporto internazionale “Leonardo Da Vinci” di Fiumicino. Il cambio di rotta avviene nello spazio aereo francese e le autorità locali danno inizio alle procedure d’emergenza, rendendo noto il dirottamento. I terroristi chiedono il rilascio dei membri della famigerata banda di terroristi marxisti-leninisti Baader Meinhof, detenuti in una prigione di massima sicurezza nella Germania occidentale, unitamente alla scarcerazione di altri due estremisti in Turchia. I membri del commando sono armati di pistole e bombe a mano e la loro giovane età (23 anni in media), unitamente al loro fervore ideologico, ne fa degli elementi fortemente instabili. Atterrato presso il “Leonardo Da Vinci” per le operazioni di rifornimento, l’apparecchio riparte alla volta di Larnaca (Cipro), dove atterra in serata. L’aereo decolla nuovamente e dopo essersi visto negare il permesso all’atterraggio in diversi Paesi mediorientali, oramai a corto di carburante, alle 01:52 del 14 Ottobre è infine costretto a toccare terra in Bahrein. Nel mentre, a migliaia di chilometri di distanza, le autorità tedesche sono in stato di allerta. Memore del precedente massacro di Monaco, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt attiva immediatamente il GSG9, richiedendo inoltre la consulenza di specialisti britannici. Il Comandante e fondatore del GSG9, Ulrich K. Wegener, ed il suo vice, si recano al numero 10 di Downing Street a Londra, dove, oltre ad alcuni rappresentanti del Governo inglese, incontrano due membri dello Special Air Service: si tratta del Sergente Barry Davies e del Maggiore Alistair Morrison. I due militari vengono affiancati al GSG9 come consulenti ed inviati, in abiti civili, a Dubai via Kuwait City. Il transito dei due operatori attraverso l’aeroporto kuwaitiano, avviene non senza qualche difficoltà. Barries e Morrison trasportano infatti, nelle loro valigie, otto granate stordenti flashbang che, scoperte dal personale di sicurezza aeroportuale, fanno scattare le manette ai polsi dei due. L’intervento di ufficiali della Lufthansa, consente ai militari di proseguire il viaggio verso Dubai, dov’era nel frattempo atterrato l’apparecchio dirottato. Qui, Davies e

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PALMA DE MAIORCA

FRANCOFORTE

ROMA

LARNAKA

DUBAI

BAHRAIN

ADEN

MOGADISCIO

Spagna - 1.55 p.mIl Boeing 737 -200 numero LH1 81 con destinazione Francoforte, decolla con 87 passeggeri e 5 membri dell'equipaggio.

Intorno alle 2.30 p.m Il controllo tra�co aereo di Aix en provence segnala il cambio di rotta del volo Lufhansa.

Fiumicino - 3.45 p.m - 5.45 p.mI dirottatori fanno la loro prima richiesta e l'aereo e�ettua il primo rifornimento di carburante.

Cipro - 8.28 p.m - 10.50 p.mLe richieste dei terroristi non sono ancora state accettate.

Bahrain - 1.52 a.m - 3.24 amDopo essersi visto negare il permesso di atterraggio in vari

paesi del medio oriente, l'aereo atterra a corto di carburante

Yemen - 3.55 p.m - 2.02 amAtterraggio piuttosto temerario, l’apparecchio a corto di carburante,

è costretto a toccare terra sullo sterrato a lato pista. Il Capitano Schumann scende a terra per controllare lo stato del vettore ma una volta tornato a bordo viene ucciso con un colpo di pistola alla testa.

Somalia - 4.34 pmQuando atterrarono, i terroristi scaraventano

il corpo di Schumann sulla pista. 12.05 am

GSG9 fa irruzione all’interno del veivolo, ha inizio l’operazione Magic Fire

Dubai - 5.51 p.m - 12.19 p.mIl Boeing dopo essersi rimesso in

volo riesce ad atterrare all'aeroporto di Dubai. Nello

stesso momento due membri del SAS inglese, in abiti civili,

vengono inviati a Dubai via Kuwait City.

Il Comandante del GSG9 Ulrich K. Wegener, ripreso nel corso di un’esercitazione con i suoi uomini.

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PALMA DE MAIORCA

FRANCOFORTE

ROMA

LARNAKA

DUBAI

BAHRAIN

ADEN

MOGADISCIO

Spagna - 1.55 p.mIl Boeing 737 -200 numero LH1 81 con destinazione Francoforte, decolla con 87 passeggeri e 5 membri dell'equipaggio.

Intorno alle 2.30 p.m Il controllo tra�co aereo di Aix en provence segnala il cambio di rotta del volo Lufhansa.

Fiumicino - 3.45 p.m - 5.45 p.mI dirottatori fanno la loro prima richiesta e l'aereo e�ettua il primo rifornimento di carburante.

Cipro - 8.28 p.m - 10.50 p.mLe richieste dei terroristi non sono ancora state accettate.

Bahrain - 1.52 a.m - 3.24 amDopo essersi visto negare il permesso di atterraggio in vari

paesi del medio oriente, l'aereo atterra a corto di carburante

Yemen - 3.55 p.m - 2.02 amAtterraggio piuttosto temerario, l’apparecchio a corto di carburante,

è costretto a toccare terra sullo sterrato a lato pista. Il Capitano Schumann scende a terra per controllare lo stato del vettore ma una volta tornato a bordo viene ucciso con un colpo di pistola alla testa.

Somalia - 4.34 pmQuando atterrarono, i terroristi scaraventano

il corpo di Schumann sulla pista. 12.05 am

GSG9 fa irruzione all’interno del veivolo, ha inizio l’operazione Magic Fire

Dubai - 5.51 p.m - 12.19 p.mIl Boeing dopo essersi rimesso in

volo riesce ad atterrare all'aeroporto di Dubai. Nello

stesso momento due membri del SAS inglese, in abiti civili,

vengono inviati a Dubai via Kuwait City.

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Morrison, insieme a Wegener, ad altri ufficiali del GSG9 ed a quattro uomini della guardia dell’emiro, si addestrano a bordo di un 737, nel caso in cui fosse stato necessario un intervento d’emergenza. Il grosso del GSG9 era infatti stato costretto a tornare in Germania per ingannare la stampa, ed era in quel momento nuovamente in volo verso Dubai. Wegener non fu per niente contento della decisione di includere le quattro guardie locali. Racconta l’ex comandante del GSG9: “Parlai con gli inglesi e gli dissi: ‘Beh, possiamo solo dimostrargli che non possono riuscirci!’. Organizzammo una dimostrazione ed avemmo ragione sui locali.” A Dubai vengono anche testate le flashbang e si decise di non impiegarle all’interno dell’apparecchio, per paura di scatenare un incendio. La squadra d’assalto, nel frattempo, era venuta a conoscenza del numero esatto di dirottatori a bordo. Il Capitano Schumann aveva infatti fatto cadere sulla pista quattro sigari: due interi a

simboleggiare i dirottatori uomini, e due spezzati a metà per le donne. Alle ore 00:20 del 17 Ottobre, LH181 lascia Dubai per atterrare ad Aden (Yemen). Si tratta di un atterraggio piuttosto temerario, dato che l’apparecchio, a corto di carburante, è costretto a toccare terra sullo sterrato a lato pista, dopo che le autorità negano l’atterraggio. Temendo danni all’aereo, il Capitano Schumann scende a terra per controllare lo stato del vettore ma, attardatosi più del previsto, una volta a bordo viene fatto inginocchiare nel corridoio dell’aereo ed ucciso con un colpo di pistola alla testa. “Uno dei nostri Ministri aveva degli ottimi contatti con alcuni leader arabi” – racconta Wegener - “specialmente con i Sauditi, e così atterrammo a Jeddah. Ottenemmo ulteriori informazioni sui dirottatori dai sauditi, nulla che fosse utile a livello operativo. Mentre eravamo a Jeddah, l’aereo decollò alla volta di Mogadiscio. Quando atterrarono, i terroristi scaraventarono il corpo di Schumann sulla pista.” Wegener ricorda come avesse previsto che la tappa finale dei dirottatori sarebbe stata proprio Mogadiscio. “Quando gli israeliani effettuarono il raid su Entebbe nel 1976, i dirottatori dell’OLP ottennero supporto da un gruppo di loro colleghi a Mogadiscio. All’epoca il Governo tedesco aveva contatti con quello somalo, perché la Somalia, che aveva ricevuto aiuti dal Patto di Varsavia, stava cercando di affrancarsi dall’orbita sovietica, stringendo relazioni diplomatiche con i governi occidentali. Quindi arrivammo proprio nel momento giusto, e ricevemmo una calda ed inaspettata accoglienza dai somali.” Una volta a Mogadiscio, Wegener contatta il resto della squadra, che era atterrata a Creta, ordinando loro di raggiungerlo. I terroristi fissano nel frattempo la scadenza per ottemperare alla liberazione dei membri della Baader Meinhof e dei terroristi in Turchia alle 15:00, estendendola successivamente alle 03:00 del giorno successivo. In attesa dell’arrivo del resto del dispositivo d’assalto, Wegener effettua una ricognizione dell’area in prossimità dell’apparecchio. Anche in Somalia, come precedentemente a Dubai, le autorità locali insistono per prendere parte all’operazione. “Convinsi i somali che non potevano effettuare l’assalto”, ricorda Wegener. “Lo feci con diplomazia, dicendo loro che avremmo comunque effettuato un’operazione congiunta. In uno degli hangar era parcheggiato l’aereo presidenziale di Siad Barre. C’era un unità di Rangers somali e gli chiedemmo di mostrarci come avrebbero attaccato l’aereo, ed ovviamente fallirono. I miei uomini entrarono invece in un attimo. Il Comandante supremo somalo, un Generale a tre stelle, andò quindi da Siad Barre e lo convinse a farci effettuare l’attacco”. Prendeva quindi corpo il piano d’assalto. Il dispositivo si sarebbe avvicinato in linea retta dal retro verso la coda dell’apparecchio, sfruttando il punto cieco offerto dall’aereo. Una volta giunti sotto di esso, gli uomini si sarebbero divisi in quattro sotto sezioni assegnate rispettivamente alle due entrate posteriori ed anteriori ed alle due d’emergenza sulle ali. Dovendo fare irruzione da queste, i pianificatori dovevano necessariamente essere messi al corrente del livello del carburante nell’aereo, dato che un quantitativo troppo basso, avrebbe portato le ali ad oscillare qualora qualcuno vi fosse salito sopra. Per fare irruzione attraverso le due entrate principali, sarebbero state utilizzate scalette d’assalto doppie, così che l’operatore sulla sinistra, utilizzando tutto il suo peso, avrebbe aperto il portellone rapidamente, permettendo a quello sulla destra di fare irruzione nell’apparecchio. Alle 19:00, con l’arrivo degli uomini da Cipro, il GSG9 al completo si prepara all’assalto.

Fuoco magico

Alle 23:00 del 17 Ottobre, un team del GSG9 equipaggiato con

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Il Comandante del GSG9 Ulrich K. Wegener, ripreso nel corso di un’esercitazione con i suoi uomini.

Gli operatori del SAS Morrison (in ginocchio sull’ala) e Davies (sulla scala), assistono il GSG9 nell’evacuazione dei passeggeri dall’aereo.

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apparati per la rilevazione di tracce termiche, viene inviato in ricognizione nei pressi dell’apparecchio. Grazie agli strumenti dei quali sono dotati, gli operatori riescono a conoscere in tempo reale la posizione dei quattro terroristi ed a comunicarla al dispositivo d’assalto. Alle 23:30 Wegener, insieme ad una ventina di uomini, inizia l’avvicinamento (“progressione”, in linguaggio tecnico) verso la coda dell’apparecchio, camminando per circa settanta metri. Davis e Morrison li accompagnano, armati di pistole e granate flashbang. L’intero dispositivo d’assalto è coperto da tiratori somali appostati intorno all’aereo e diretti dal vice comandante del GSG9. Al fine di allontanare i dirottatori dai punti d’entrata, alle 23:45 le forze di sicurezza somale accendono un gigantesco fuoco a 300 metri dal muso dell’aereo. L’evento inaspettato provoca la curiosità del leader del commando terrorista, che si sposta nella cabina di pilotaggio per osservare quanto in corso. Alle ore 00:05 del 18 Ottobre, ha inizio l’assalto. Nello stesso istante in cui vengono aperte le uscite dell’aereo, Davies e Morrison lanciano delle flashbang sopra il tetto ed all’altezza della cabina di pilotaggio, al fine di disorientare i dirottatori. “Pochi secondi dopo aver aperto le porte dell’aereo, la nostra prima squadra colpì il terrorista numero uno nella cabina di pilotaggio ed il numero due nel corridoio”, ricorda Wegener. “Il numero uno venne colpito ed abbattuto da diversi colpi. Il numero due, una donna, fu raggiunta da cinque colpi e con nostra sorpresa, sopravvisse. Il terrorista numero tre stava dormendo in prima classe e fu investito da una pioggia di colpi. Il numero quattro, una donna, si trovava nascosta nella toilette e sparò attraverso la porta. La ammazzammo sul posto. Io entrai con una delle squadre dal retro, in contemporanea con gli altri due elementi, ed incontrammo resistenza dal numero tre in prima classe, che lanciò alcune bombe a mano. Non è che le avesse

proprio lanciate, dato che era già stato ferito mortalmente, le fece rotolare a terra. Fortunatamente le granate esplosero sotto alcuni sedili e solo una delle hostess ed un passeggero riportarono lievi ferite. Quando entrammo dalle porte, gli ostaggi non credevano che fossimo tedeschi, pensavano si trattasse d’israeliani, forse perché urlammo loro ‘Heads down!’ in inglese e solo dopo ‘Runter!’, in tedesco. Uno dei miei venne colpito al collo ma fortunatamente non si trattava di nulla di serio e se la cavò. Quello fu tutto. L’intera operazione, inclusa l’evacuazione di tutti i passeggeri, durò sette minuti. Una volta sulla pista, con l’aiuto della lista fornitaci dalla Lufthansa, controllammo tutti i passeggeri, perché volevamo essere certi che i terroristi non si fossero nascosti tra gli ostaggi.” Ad operazione conclusa, tutto il dispositivo d’assalto venne ritirato dalla Somalia per fare ritorno in Germania e per gli uomini del SAS, ad Hereford. Poche ore dopo la risoluzione del dirottamento, tre membri della Banda Baader Meinhof (Andreas Baader, Jan-Carle Raspe e Gudrun Ensslin) furono trovati senza vita nelle loro celle nella prigione di massima sicurezza di Stammheim, a Stoccarda. Baader e Raspe si erano sparati, mentre Ensslin era stata trovata impiccata. Nonostante gli interrogativi su come i prigionieri fossero venuti in possesso di armi da fuoco, l’inchiesta ufficiale stabilì la morte per suicidio e nessuno ritenne opportuno indagare oltre. Dei quattro dirottatori del volo LH181, solamente Suhaila Andraws, benché gravemente ferita, sopravvisse al blitz. Sarà detenuta a Mogadiscio per oltre un anno e verrà in seguito rilasciata per recarsi rispettivamente a Baghdad ed in Cecoslovacchia, onde curare i postumi delle ferite riportate nello scontro. Rifugiatasi in Norvegia, verrà scoperta solo nel 1993 ed estradata in Germania per esser condannata, nel 1996, a dodici anni di prigione.

Il Grafico dell’operazione, con le posizioni dei vari elementi al momento dell’attacco.

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Un’ondata di protesta e ribellione ha colpito, negli ultimi mesi, il mondo arabo che si affaccia sul mediterraneo e nel vicino medio oriente. Dal Marocco alla Siria, fino ad arrivare nel Golfo Persico, nella piccola isola del Barhein, le popolazioni hanno espresso la loro sfiducia ai governi dei rispettivi paesi. In alcuni casi, come ad esempio in Marocco, la ribellione è scemata dopo qualche giorno, ma nelle diverse realtà della Tunisia e dell’Egitto, la protesta ha causato un vero e proprio soverchiamento del potere esecutivo centrale. In realtà, le ribellioni hanno prodotto un vuoto di governo e quindi uno stato di caos “ordinato”. Un caos voluto ed appoggiato anche dalle potenze occidentali. Tutto ha inizio con le rivolte in Tunisia ed Algeria, causate dai forti rincari sui prezzi delle materie prime alimentari, all’interno dei mercati internazionali, nonché alla svalutazione della moneta corrente. La popolazione insorge occupando le strade e nella fase più acuta della propria indignazione, fa decadere il regime di Ben Ali. Questo è solo il primo tassello del quadro geopolitico dello scacchiere mediterraneo, che di giorno in giorno si sta delineando e che coinvolge di riflesso anche molti altri poteri forti e geograficamente vicini. Ed ecco che Mubarak, leader egiziano dal 1981, è costretto alla fuga dai manifestanti che, per numero, sovrastano le forze governative. Anch’esse in seguito appoggeranno

la ribellione. La geografia politica dell’area cambia totalmente ed equilibri, rafforzati ed esistenti da tempo, si sfaldano e mutano. Ma la vera crisi si apre con la Libia, dove il dittatore Gheddafi detiene il potere assoluto dal 1969. Qui gli scontri fra la popolazione e le forze fedeli al leader libico, sono tra più i aspri che il Mondo abbia visto negli ultimi anni, arrivando a contare perdite, in termini di vite umane, numerose quanto in un conflitto bellico. L’esercito interviene a difesa, non più dello Stato e dei suoi cittadini, ma del proprio comandante in capo, utilizzando ogni sorta di mezzo per contrastare l’avanzata della rivoluzione, atta a contrastare vivamente ed efficacemente l’attività di governo e di controllo totalitarista del “colonnello”. L’Europa, in un primo momento, sta a guardare e rimane in attesa degli sviluppi e dell’evoluzione della crisi. Ma gli interessi economici in quella regione d’Africa sono molti ed anche allettanti. In particolare, Francia ed Inghilterra si auto-eleggono paladini della risoluzione della crisi, coinvolgendo tutti gli altri Paesi europei e gli Stati Uniti, mettendo in atto la missione Odyssey Dawn. L’intervento in Libia finora è stato limitato all’imposizione di una no-fly zone e ad un esiguo numero di attacchi a cielo aperto contro le truppe di terra fedeli al leader libico Muammar Gheddafi. Tuttavia l’obiettivo politico, se pur esclusivamente implicito, sembra essere la fine del regime di Gheddafi. Alcuni dirigenti francesi ed inglesi non hanno certo evitato di sottolineare questo punto fondamentale. Gli Stati europei, tuttavia, non sono uniti nelle percezioni degli obiettivi dell’operazione o su come essa debba essere condotta. L’unica cosa che riflette il pensiero comune è l’apparente mancanza di una strategia di risoluzione, venduta come una no-fly zone, simile a quella imposta all’Iraq nel 1997, che in realtà sembra essere una vera campagna d’attacco aereo nei confronti delle forze libiche. In questo caos libico è probabile un’infiltrazione di terroristi di Al Qaida, pronti a portare avanti ed appoggiare le idee anti-occidentali del Colonnello Gheddafi. Inoltre è risaputo che lo stesso dittatore ha l’appoggio di mercenari di provenienza siriana e del Ciad.Come in tutti i conflitti di guerra civile, l’evoluzione delle avanzate e delle ritirate sono veloci, drammaticamente repentine e mutevoli. Al momento, quindi, è del tutto

nuovo assettogeopolitico del mediterraneo

Di Giovanni Di GreGorio - Direttore StuDi StrateGici Del ceSa-Geopolitica

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Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on Focus on

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indefinibile la previsione della fine. Di sicuro c’è che, attualmente, una buona parte della popolazione libica vuole operare una vera e propria transizione verso la democrazia fino a questo momento negata. Ed ecco che subentra la NATO a supporto di questa motivazione, creando sin da subito contatti diplomatici per sostenerli e sfiduciando tutto l’esecutivo del regime. Una delle proposte avanzate, come aiuto ai ribelli, è stata l’idea della fornitura di armamenti, ma la stessa è stata disattesa da una buona parte dei Paesi membri della coalizione, tanto che ciò ha spinto il Presidente Obama a creare uno stato di segretezza per l’invio di forze speciali sul territorio libico, venendo meno alla risoluzione ONU 1973. L’intervento della NATO, allo stato attuale della crisi, risulta fondamentale anche come interfaccia politica in mancanza di potere centrale e di controllo. Secondo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1973, l’obiettivo militare dell’intervento è quello di imporre una no-fly zone nei cieli della Libia e di proteggere, così tutti i civili dalle offese perpetrate dai leali governativi. Il problema di fondo, in questo caso, è che il primo punto non realizza il secondo. Ovvero una no-fly zone non fa molto per fermare le truppe a terra di Gheddafi, ma si limita alla soppressione delle difese aeree del nemico. Non a caso gli aerei francesi diedero il via alla guerra in Libia, attaccando le truppe di terra intorno a Bengasi. L’attacco, non coordinato con il resto della coalizione, secondo alcuni rapporti, aveva lo scopo di segnalare due cose: che i francesi erano in testa e che l’intervento avrebbe cercato di proteggere i civili in un mandato più ampio di una semplice no-fly zone. Andando oltre l’applicazione della no-fly zone, tuttavia, l’azione ha creato divisioni tra la NATO e l’Unione europea per la mancanza oggettiva di un volere comune di carattere politico. La Germania, che ha annullato gli accordi con gli alleati europei, ha votato per astenersi dalla risoluzione 1973, sostenendo che la missione in atto potrebbe costringere la coalizione ad essere coinvolta in una guerra estenuante. Alcuni Paesi dell’est Europea, appena entrati nella NATO, guidati dalla Polonia, sono stati cauti nel fornire un sostegno, ancora una volta influenzati dalla sfera russa. Nel frattempo, la Lega Araba, che inizialmente aveva offerto il proprio sostegno, sembra rinnegare, in quanto ha ritenuto che gli attacchi aerei contro le truppe di terra e degli impianti strategici non facciano parte di un piano no-fly zone. L’Italia, a causa della vicinanza geografica rispetto al teatro libico, è stata coinvolta più di tutte le altre nazioni nella gestione di questa crisi. Inoltre ha ribadito ai leaders degli Stati della coalizione l’importanza di un coinvolgimento della NATO, minacciando, in caso contrario, di ritirare la propria offerta nell’utilizzo delle basi aeree, in modo che, secondo il Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini “nessuna azione militare non concordata sia di rimbalzo al volere dell’esecutivo italiano”. In realtà, il Governo ha percepito, in prima analisi, il timore che l’Italia sia lasciata in balia di se stessa nell’affrontare il caos a poche centinaia di miglia

attraverso il Mediterraneo e che sia costretta a gestire in solitudine l’emergenza immigrazione. L’Italia ha inoltre percepito il pericolo di essere estromessa, dall’alleanza franco-britannica, nella gestione degli interessi post-Gheddafi e di vedere il proprio territorio considerato alla stregua di un “portino”. Sulla fine del Colonnello e su una Libia senza Gheddafi tutti s’interrogano ed azzardano risposte e soluzioni. Come già successo in altre occasioni, è possibile individuare i pericoli di una nazione priva di un Governo saldo e pragmatico. Bisogna fare i conti, anche con coloro che appoggiano attivamente il regime, quali i capi tribù, che fino a questo momento hanno vissuto tra le grazie economiche e di prestigio di Gheddafi. Leali sia per motivazioni politiche, sia per motivazione di carattere culturale. Lo stesso Gheddafi, consapevole di ciò non mostra timore, anzi ne fa propaganda, tanto da spingere le sue truppe fino alle roccaforti ribelli. Sacche di resistenza alla ribellione, che si sviluppano in varie zone dell’area libica, che potrebbero diventare le mine vaganti di guerriglia in caso d’invio di una forza multinazionale di pace. In definitiva, applicando un mandato umanitario in tutta la Libia, attraverso l’esclusivo utilizzo della sola potenza aerea sarà impossibile. Non è chiaro come Gheddafi potrebbe essere deposto operando da 15.000 metri d’altitudine. Fatto sta che solo alcuni Stati europei, Italia in testa, puntano nel cambio di regime, riconoscendo esplicitamente che “non c’è futuro dignitoso per la Libia con Gheddafi al potere”.

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UNifiedProTe cTorDi RiccaRDo BRaccini - FoTo aviopRess

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UNifiedProTe cTor

CF-18 Canadesi pattugliano il cielo libico(Foto Canadian Armed Forces)

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Se pur con una iniziale, atipica, confusione sui ruoli ed i comandi delle varie forze in campo, ormai la macchina organizzativa N.A.T.O. dell’operazione Unified Protector si può considerare finalmente funzionante.Ma le operazioni militari sulla Libia non sono iniziate sotto il comando del patto atlantico, bensì coordinate da una coalizione cosiddetta “di volenterosi” che per far rispettare la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno iniziato autonomamente le missioni sui cieli libici. Una operazione di media scala come quella in corso non si può organizzare dall’oggi al domani ed infatti sia nei giorni immediatamente precedenti che per diversi giorni dopo l’inizio delle ostilità, si è svolta una massiccia fase di detachment di velivoli, personale e materiale logistico verso varie basi

del Mediterraneo. Ma è il 19 Marzo che l’operazione militare ha realmente avuto inizio, operazione chiamata dagli Stati Uniti “Odyssey Dawn”, dalla Francia “Opération Harmattan” e dalla Gran Bretagna “Operation Ellamy”. Doveva ancora terminare il vertice internazionale organizzato in tutta fretta all’Eliseo dal Presidente Nicolas Sarkozy che già la prima ondata di attacco decollava dalla base di Saint Dizier, Francia, verso obiettivi militari nei dintorni di Benghazi. Questo primo raid era composto da 2 Mirage 2000D, 2 Mirage 2000-5, 8 Rafale, 1 E-3F Awacs e 6 aerocisterne C-135F. Da questo primo attacco al momento in cui scriviamo, si sono susseguiti diversi eventi interessanti e di seguito proviamo a riassumerli. Inizialmente la coalizione dei volenterosi, formata da Italia, Stati Uniti, Canada,

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Un Tomahawk viene lanciato dalla USS Barry (foto United States Navy)

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Francia, Regno Unito, si è schierata nella zona di operazioni: 4 Tornado ECR del 155° Gruppo basati a Piacenza si sono rischierati a Trapani insieme a un numero limitato di Tornado IDS del 6° Stormo di Ghedi, supportati logisticamente dai C-130J Hercules II della 46^ Brigata Aerea; stessa destinazione per 4 EF-2000 del 4° Stormo di Grosseto che si sono riuniti con i loro compagni di specialità F-16ADF del 37° Stormo. Sempre a Trapani 6 CF-18 Hornet canadesi del 425th Squadron basati a Bagotville sono arrivati insieme a due tanker A-310; Aviano ha accolto 10 F-15E Strike Eagle del 494th Squadron di Lakenheath, 12 F-16 Fighting Falcon del 480th Squadron di Spangdahlem e almeno 5 EA-18G Growler del VAQ-132 “Scorpion”; Decimomannu ha ospitato 4 EF-18 e 1 B707 spagnoli, mentre a Sigonella la Royal Danish Air Force è presente con 6 F-16. La Francia ha operato direttamente dalle proprie basi nazionali, spostando, per questioni di vicinanza, alcuni assetti sulla base di Solenzara, Corsica, mentre il Regno Unito ha inizialmente sfruttato le missioni di schieramento per svolgere anche missioni operative per poi basarsi, sulla base di Gioia del Colle con Tornardo GR4 e EF-2000. Come dicevamo il 19 Marzo, alle 12.30z (orario UTC, nda), è iniziata l’operazione Odyssey Dawn. Lo scopo della prima missione, e di

quelle immediatamente successive, è stato quello di assumere nel più breve tempo possibile la superiorità aerea. Per far ciò è stato necessario attaccare aeroporti, serbatoi per il rifornimento di velivoli, postazioni contraeree, sia SAM che AAA. Mirage 2000 e Rafale hanno attaccato alle 14.45z i primi obiettivi, presumibilmente con GBU-12 a guida laser e missili aria-terra AASM aria-terra arma guidata. Calata la notte è iniziata la parte conclusiva del primo attacco, con un massivo uso di Tomahawk, 110, lanciati dai cacciatorpediniere lanciamissili USS Stout (DDG 55), USS Barry (DDG 52) e sottomarini USS Providence (SSN 719), USS Scranton (SSN 756) e USS Florida ( SSGN 728) . Dopo il lancio dei TLAM (Tomahawk Land Attack Missiles) sono entrati in azione i Tornado GR4 della Royal Air Force, decollati direttamente dalla base di Marham (UK) che hanno lanciato i missili Storm Shadow su obiettivi della difesa area libica. Questa prima notte ha visto la partecipazione anche di 3 cacciabombardieri stealth B-2 che hanno sganciato 20 bombe convenzionali su obiettivi strategici. Ormai siamo abituati a questo tipo di aereo ed alle sue missioni non-stop dalla base di Whiteman, Missouri, ma questa volta è emerso un dettaglio in più che rende l’idea sull’eterna lotta tra innovazione tecnologica

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Un EA-18 Growler USNavy si rifornisce da un A-310 Canadese (Foto Canadian Armed Forces)

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futuro dei rapporti tra l‘Occidente e il Medio Oriente. Contemporaneamente alla presa di posizione dei vari assetti, le operazioni reali non si sono mai fermate ed anche l’Italia ha iniziato ad operare. La sera del 20 Marzo, 6 Tornado sono decollati da Trapani per la loro prima missione SEAD (Suppression of Enemy Air Defences, nda). La missione “Panther” formata da 4 Tornado ECR armati con missili AGM-88 Harm accompagnati da due Tornado IDS configurati con il sistema Buddy-Buddy per fungere da aero-rifornitori, si sono spinti verso il confine libico scandagliando le frequenze alla ricerca di segnali provenienti da radar nemici, senza rilevarne di significativi, per poi tornare alla base. Nei giorni successivi, mentre la politica internazionale era in fermento, le operazioni si sono concentrate sulla neutralizzazione di mezzi (tank, camion, lanciarazzi mobili) in mano alle truppe regolari libiche ed utilizzate contro i ribelli. Vista la mole di obiettivi in movimento e la necessità di ridurre al minimo la possibilità di avere danni collaterali, l’U.S.A.F. ha messo in campo anche gli E-8C JSTAR, Joint Surveillance Target Attack Radar System, versione militare del B-707 con apparecchiature

militare e la facilità di accesso alle informazioni che internet permette al mondo civile: i B-2, invisibili ai radar ma udibili sulle frequenze radio dei controlli del traffico aereo, sono stati costretti ad utilizzare un nominativo radio solitamente riconducibile a velivoli da trasporto per cercare di confondersi con le decine di aerei di supporto alla coalizione. Usando il nominativo “Reach” hanno tentato di confondere le idee alle migliaia di internauti appassionati che potevano tranquillamente ascoltare su web le comunicazioni radio dei controllori maltesi, ultimo contatto prima della vera e propria zona di guerra. Nei giorni successivi si sono succeduti molti altri schieramenti su basi di Italia, Cipro e Grecia. Novità assoluta di una operazione militare di questa portata è la partecipazione degli Emirati Arabi che operano da Decimomannu con 6 F-16 e 6 Mirage 2000, della Royal Jordanian Air Force, anch’essa operante con F-16 ma dalla base di Aviano mentre uno squadron di Mirage 2000 della Qatar Emiri Air Force si è posizionato a Cipro. Sicuramente la partecipazione di nazioni arabe al conflitto è un messaggio forte ed inequivocabile per Gheddafi e costituisce un precedente importante per il

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EF-18 spagnolo in virata per l’atterraggio a Decimomannu (foto Riccardo Braccini)

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necessarie per compiere le missioni di individuazione ed identificazione di unità terrestri in una zona di 50.000 km quadrati. Al decimo giorno di operazioni finalmente il comando è stato unificato ed è passato sotto l’egida della N.A.T.O., questo ha permesso maggior coordinamento tra le nazioni e quindi anche una razionalizzazione delle missioni, da questo giorno l‘operazione si chiama per tutti Unified Protector. A proposito di missioni, anche gli EF-2000, F-16 ADF e AV-8B italiani hanno cominciato i loro turni di CAP (Combat Air Patrol) per far rispettare la No Fly Zone imposta sull’intero territorio libico, supportati dagli aerei radar E-3 Awacs della N.ATO., U.S.A.F., Royal Air force e French Air Force. Contemporaneamente, nel panorama delle varie missioni svolte, spicca l’impiego di due B-1B Lancer, anch’essi in missione non-stop dagli Stati Uniti, che con la loro alta capacità di carico bellico riescono ad essere molto più efficaci una decina di caccia come F-15E Strike Eagle, basti pensare che ogni “Bone” può sganciare 24 JDAM in ogni missione. Inoltre, durante l’11° giorno di operazioni, un P-3C Orion U.S.Navy, individuata la nave della guardia costiera libica Victoria che sparava su imbarcazioni mercantili civili, ha sganciato una serie di AGM-65F Maverick, colpendo la nave e facendola spiaggiare. Continuando con gli “highlights” ricordiamo gli abbattimenti confermati da parte francese di un caccia Soko Galeb e di 5 elicotteri. In realtà non ci sono stati combattimenti aerei, tutti questi velivoli sono stati abbattuti dopo averli costretti all’atterraggio e difatto distrutti con missili aria-terra. Un’altra violazione della NFZ, No Fly Zone, è diventata un piccolo dilemma: il ventitreesimo giorno di operazioni un MIG-23ML libico, matricola 6472, si è alzato in volo ma è stato subito intercettato da caccia alleati e forzato all’atterraggio. In realtà si è scoperto che il MIG-23 era pilotato dai ribelli e che addirittura era stata chiesta l’autorizzazione alla missione al comando dell’Alleanza Atlantica, che era stata accettata. Il pilota ribelle, prima di essere intercettato, è comunque riuscito a sparare 128 colpi di cannoncino distruggendo un camion di rifornimenti dell’esercito di Gheddafi. Concludendo con la panoramica di situazioni e assetti usati in queste prime settimane dell’operazione Unified Protector, è bene spendere qualche parola sugli aerei utilizzati per le operazioni di intelligence, guerra psicologica e sorveglianza. La zona di guerra è costantemente monitorata da UAV, principalmente RQ-4 Global Hawk, operanti dalla base di Sigonella dove non più tardi di sei mesi fa vennero basati. Sorvolano e scattano foto per svolgere missioni BDA, Battle Damage Results, quindi per studiare gli effetti degli attacchi ad obbiettivi terrestre e per

dall’alto in bassoF-16 ADF del 37° Stormo in decollo con i post-bruciatori inseriti

G-222VS, versione speciale, compie missioni SIGINTUn Tornado ECR armato di AGM-88 Harm in atterraggio

(foto Riccardo Braccini)

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individuare nuovi bersagli, stesso ruolo per gli U-2 DragonLady, che però vengono usati più di rado. La guerra psicologica è svolta da EC-130J che volando vicino la costa trasmettono messaggi radio e televisivi in inglese, francese e arabo sulle frequenze delle principali emittenti libiche, sovrastando di fatto la normale trasmissione con comunicazioni che invitano la popolazione a passare dalla parte dei ribelli oppure invitando direttamente i militari libici a rispettare le risoluzione dell’O.N.U. pena l’intervento armato. Lo studio dei segnali radio del regime libico è invece demandato agli RC-135 Rivet Joint ma anche dal G-222VS del 14° Stormo dell‘Aeronautica Militare, uno dei pochi, se non l’unico G-222 modificato per il SIGINT, SIGnal INTelligence e l’ultimo G-222 volante nella nostra aeronautica. Concludendo, le ragioni che vanno oltre il solo interesse di far rispettare la risoluzione O.N.U., fanno si che Stati Uniti prima e la Francia poi, continuino a diminuire il loro coinvolgimento diretto nelle operazioni militari. Probabilmente in background fervono contatti diplomatici e politici ma al momento in cui scriviamo la notizia del giorno è che la coalizione sembra essere a corto di munizionamento di precisione e i partecipanti più attivi stanno chiedendo a gran voce che gli Stati Uniti si impegnino maggiormente sul campo.

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AV-8B decolla dal ponte della ITS Garibaldi in navigazione nel mediterraneo(foto Riccardo Braccini)

F-16 norvegese si rifornisce da un KC-135 del 100ARW di Mildenhall (foto Riccardo Braccini)

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coMPoNeNTe AereA oPerAzioNi iN LiBiA Stato BaSe tipo appartenenzaCipro RAF Akrotiri E-3D Awacs Royal Air ForceCipro RAF Akrotiri Nimrod R1 Royal Air ForceCipro RAF Akrotiri Sentinel R1 Royal Air ForceCipro RAF Akrotiri U-2 Dragon Lady United States Air ForceFrancia Dijon AB Mirage 2000-5 French Air ForceFrancia Istres AB E-3F Awacs French Air ForceFrancia Istres AB C-135FR Stratotanker French Air ForceFrancia Nancy AB Mirage 2000-5 French Air ForceFrancia Reims AB Mirage F1 French Air ForceFrancia Solenzara AB Mirage 2000-5 French Air ForceFrancia Solenzara AB Rafale B/C French Air ForceFrancia St.Dizier AB Rafale B/C French Air ForceGermania Geilenkirchen AB E-3A Awacs N.A.T.O.Grecia Araxos AB F-16AM Fighting Falcon Belgian Air ForceGrecia Souda Bay AB F-16AM Fighting Falcon Royal Norvegian Air ForceGrecia Souda Bay AB Mirage 2000-5EDA Qatar Emiri Air ForceGrecia Souda Bay AB F-16C Fighting Falcon Hellenic Air ForceGrecia Souda Bay AB EC-130H/J Commando Solo United States Air ForceGrecia Souda Bay AB RC-130V Rivet Joint United States Air ForceItalia Aviano AB F-15E Strike Eagle United States Air ForceItalia Aviano AB F-16CJ Fighting Falcon United States Air ForceItalia Aviano AB EA-18G Growler United States NavyItalia Aviano AB A-10 Warthog United States Air ForceItalia Aviano AB F-16AM Fighting Falcon Royal Jordan Air ForceItalia Cagliari Elmas KDC-10 Royal Netherlands Air ForceItalia Decimomannu AB F-16AM Fighting Falcon Royal Netherlands Air ForceItalia Decimomannu AB EF-18 Hornet Spanish Air ForceItalia Decimomannu AB B-707 Spanish Air ForceItalia Decimomannu AB F-16 E/F Fighting Falcon United Arab Emirates Air ForceItalia Decimomannu AB Mirage 2000 United Arab Emirates Air ForceItalia Gioia del Colle AB Tornado GR4 Royal Air ForceItalia Gioia del Colle AB EF-2000 Typhoon Royal Air ForceItalia NAS Sigonella CP-140 (P-3) Canadian Forces Air CommandItalia NAS Sigonella F-16AM Fighting Falcon Royal Danish Air ForceItalia NAS Sigonella RQ-4B Global Hawk United States Air ForceItalia NAS Sigonella KC-135 Stratotanker United States Air ForceItalia NAS Sigonella KC-10 Extender United States Air ForceItalia NAS Sigonella P-3C Orion United States NavyItalia NAS Sigonella Atlantic French NavyItalia NAS Sigonella JAS-39C Gripen Swedish Air ForceItalia Pisa AB KC-130J Hercules II Aeronautica Militare ItalianaItalia Trapani AB F-16 ADF Fighting Falcon Aeronautica Militare ItalianaItalia Trapani AB EF-2000 Typhoon Aeronautica Militare ItalianaItalia Trapani AB Tornardo ECR Aeronautica Militare ItalianaItalia Trapani AB CF-18 Hornet Canadian Forces Air CommandItalia Trapani AB CC-150 (A-310) Canadian Forces Air CommandItalia Trapani AB Tornardo IDS Aeronautica Militare ItalianaItalia Trapani AB E-3B Awacs United States Air ForceItalia Trapani AB VC-10 Royal Air ForceItalia Trapani AB E-3A Awacs N.A.T.O.Mediterraneo FN Charles de Gaule Rafale M French NavyMediterraneo FN Charles de Gaule Super Etendard French NavyMediterraneo FN Charles de Gaule E-2C Hawkeye French NavyMediterraneo ITS Garibaldi AV-8B Harrier II Marina Militare ItalianaMediterraneo USS Kearsarge AV-8B Harrier II Marines Mediterraneo USS Kearsarge MV-22 Osprey Marines Regno Unito Brize Norton AB VC-10 Royal Air ForceRegno Unito Brize Norton AB Tristar Royal Air ForceRegno Unito Mildenhall AB KC-135 Stratotanker United States Air ForceRegno Unito Mildenhall AB AC-130U Sectre United States Air ForceRegno Unito Mildenhall AB MC-130P Combat Shadow United States Air ForceRegno Unito RAF Marham Tornado GR4 Royal Air ForceSpain Moron AB KC-10 Extender United States Air ForceSpain Moron AB KC-135 Stratotanker United States Air ForceSpain Rota AB E-8C JSTAR United States Air ForceSpain Rota AB P-3C Orion United States NavySpain Rota AB E-3B Awacs United States Air ForceStati Uniti Eielson AFB B-1B Lancer United States Air ForceStati Uniti Whiteman AFB B-2 Spirit United States Air Force

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ONUIL SISTEMADI DIFESACOLLETTIVO

L’organizzazione delle nazioni unite fu fondata dopo la seconda guerra mondiale dagli stati che avevano combattuto contro le potenze dell’asse; fu elaborata la Carta nel 1945, ratificata dagli stati fondatori. Ne sono via via divenuti membri quasi tutti gli stati del mondo (Svizzera no). Possono individuarsi 3 grandi settori di competenza dell’Onu:

• il primo è quello del mantenimento della pace; • il secondo è quello dello sviluppo delle relazioni amichevoli tra gli stati fondati sul rispetto del “principio di uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli”; • il terzo è quello della collaborazione in campo economico, sociale, culturale ed umanitario.

L’attività principale dell’Onu, è quella dell’emanazione di raccomandazioni e della predisposizione di progetti di convenzioni. Sono rari i casi di decisioni vincolanti; un caso (previsto dalla carta), attribuisce all’assemblea il potere di ripartire, tra gli stati membri, le spese dell’organizzazione, ripartizione che approvata a maggioranza di 2/3 vincola tutti gli stati. La Carta delle Nazioni Unite, se da un lato sancisce, all’art. 2, par. 4, il divieto dell’uso della forza nei rapporti internazionali, dall’altro accentra in un organo delle Nazioni Unite, Il Consiglio di Sicurezza, la competenza a compiere le AZIONI necessarie per il mantenimento dell’ordine e della pace tra gli Stati ed, in particolare, l’uso della forza a fini di polizia internazionale.

Di ViNCENZO COTRONEO - FOTO ONU MEDiA-PRESS

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Militari Nepalesi durante un esercitazione aEl Fascher - Sudan (Missione UNAMI)

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Militare Italiano mentre pattuglia lungo la “BLU LINE”, confine naturale tra Libano e Israele

Militare francesi della Missione UNIFIL

Il ConsIglIo dI sICurezza onu

è l’organo delle Nazioni Unite che ha i maggiori poteri, avendo la competenza principale a decidere contro gli stati colpevoli di aggressione o di minaccia alla pace. Lo scopo del Consiglio è stabilito dall’articolo 24 dello Statuto delle Nazioni Unite; è conferita la “responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. Le decisioni del Consiglio necessitano di una maggioranza di almeno nove dei quindici membri e di tutti i cinque membri permanenti, se si tratta di un voto su una questione non procedurale. Il Consiglio è composto da cinque membri permanenti e dieci membri non-permanenti, eletti fra i paesi membri delle Nazioni Unite. L’Assemblea Generale elegge i dieci membri non-permanenti con un mandato di 2 anni a partire dal 1 gennaio. I membri sono scelti dai Gruppi Regionali e confermati dall’Assemblea Generale. Un rappresentante di ogni Paese membro deve essere costantemente presente presso la sede, in modo che il consiglio possa riunirsi in ogni momento. Uno Stato membro delle Nazioni Unite, ma non del Consiglio di sicurezza, può prendere parte alle sedute del Consiglio se esso ritiene che le decisioni prese possano coinvolgere gli interessi del Paese. Il Presidente del Consiglio di sicurezza cambia con una turnazione mensile tra i membri, seguendo l’ordine alfabetico dei Paesi. Anche il Segretario Generale delle

Nazioni Unite ha un seggio presso il Consiglio di sicurezza, ma non ha diritto di voto. I membri permanenti del Consiglio sono cinque, le cinque nazioni uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale: Stati Uniti d’America - Regno Unito - Francia – Cina - Russia. Le decisioni del Consiglio di sicurezza che riguardando “decisioni sostanziali”, come per esempio l’utilizzo di misure dirette per la risoluzione di conflitti, richiedono il voto positivo di nove membri, è però sufficiente il voto negativo di uno dei membri permanenti, il cosiddetto veto, per annullare la decisione. Sebbene la lettera dell’art 27 della Carta delle Nazioni Unite disponga diversamente, l’astensione non è considerata pari al veto. In base ad una norma consuetudinaria, ormai cristallizzata, che ha derogato al trattato, sia l’astensione che il non voto non sono considerati impedimenti all’adozione di una decisione. Dal 1945 i membri permanenti hanno fatto uso del diritto di veto per 279 volte. Per l’elezione dei giudici della Corte Internazionale di Giustizia è sufficiente il voto favorevole di 8 membri e non è necessario quello dei membri permanenti. Il Consiglio può disporre di alcune misure, attribuite dagli artt. 40-42 della Carta delle Nazioni Unite.Misure provvisorie: hanno lo scopo di prevenire l’aggravarsi di una data situazione e sono inviti che però non devono pregiudicare diritti, pretese e posizioni delle Parti interessate. Nonostante opinioni diffuse e contrarie, non

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Militare francesi della Missione UNIFIL

sono atti vincolanti o sanzionatori in senso stretto.Misure non implicanti uso della forza: il Consiglio può indirizzare gli Stati membri dell’ONU verso certi comportamenti, che siano blandi come l’interruzione dei rapporti diplomatici o più efficaci come blocchi economici totali ed embarghi.Misure implicanti l’uso della forza: azione di polizia internazionale prevista espressamente all’art.42, può essere adottata solo contro uno Stato colpevole di aggressione o minaccia di violazione della pace o in uno Stato nel quale sia presente una guerra civile. L’Italia, ad oggi, è stata 6 volte membro del consiglio di sicurezza in qualità di membro non permanente negli anni 1959-1960; 1971-1972; 1975-1976; 1987-1988; 1995-1996; 2007-2008. Il centro, intorno al quale ruota il fondamento giuridico, è dato dal Cap. VII della Carta (art. 39) che prevede le azioni che possono essere intraprese dalle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Ai sensi del Cap. VII, il Consiglio di Sicurezza, accertata l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (art. 39) può decretare, contro uno Stato, misure sanzionatorie (ma non implicanti l’uso della forza) come l’interruzione parziale o totale delle comunicazioni e della relazioni economiche da parte degli altri Stati (art 41), oppure intraprendere azioni armate (art. 42 ss.). Prima di ricorrere alle une o alle altre,

esso può invitare lo Stato o gli Stati interessati a prendere quelle “misure provvisorie” che consideri necessarie al fine di non aggravare la situazione (art. 40). Nell’accertare se sussistano una minaccia, una violazione della pace oppure un atto di aggressione, il Consiglio di Sicurezza gode di un larghissimo potere discrezionale, che può esercitarsi soprattutto con riguardo all’ipotesi di MINACCIA ALLA PACE. Si tratta, infatti, di un’ipotesi molto vaga ed elastica, che si presta ad inquadrare i più svariati comportamenti di uno Stato. Come minaccia o violenza alla pace possono anche venire in rilievo situazioni interne ad uno Stato, sia riguardo ad una guerra civile, sia riguardo a comportamenti dello Stato stesso.

le Tre FasI aTTraVerso le QualI Può Passare l’azIone del ConsIglIo dI sICurezza

• Le misure provvisorie • Le misure non implicanti l’uso della forza • Le misure implicanti l’uso della forza

Al fine di prevenire un aggravarsi della situazione, il Consiglio di Sicurezza (art.40), prima di fare le raccomandazioni o di decidere sulle misure previste all’articolo 41, può invitare le parti interessate ad ottemperare a quelle misure provvisorie che esso consideri necessarie o desiderabili. Tali misure provvisorie non devono pregiudicare i diritti, le pretese o la posizione delle parti interessate. Il Consiglio di Sicurezza prende in debito conto il mancato ottemperamento a tali misure provvisorie; La provvisorietà si ricollega sia allo scopo che siffatte misure possono perseguire (quello di PREVENIRE UN AGGRAVARSI DELLA SITUAZIONE), sia ai limiti posti al loro contenuto, non dovendo esse pregiudicare i diritti o le posizioni delle parti interessate. Una tipica misura provvisoria in caso di guerra, sia internazionale che civile, è il “cessate - il – fuoco”. In ogni caso, tali “inviti” non hanno carattere vincolante. Il Consiglio di Sicurezza (art. 41) può decidere quali misure, non implicanti l’impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche. Quest’articolo prevede che il Consiglio di Sicurezza possa vincolare gli Stati membri dell’ONU e prendere una serie di misure più blande (l’embargo) per lo Stato che abbia, secondo il giudizio insindacabile dell’organo, violato o minacciato la pace. Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite. L’articolo prevede le ipotesi del ricorso alla forza contro uno Stato colpevole di aggressione, minaccia o violazione della pace internazionale oppure

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anche all’interno di uno Stato. Il Consiglio, infatti, può eseguire azioni di polizia internazionale, mediante delibere operative, con le quali non esorta, ma agisce direttamente. Per quanto riguarda le modalità con le quali, secondo la Carta, il Consiglio di Sicurezza può agire, gli artt. 43, 44 e 45 prevedono l’obbligo, per gli Stati membri, di stipulare con il Consiglio degli accordi volti a stabilire il numero, il grado di preparazione e la dislocazione delle forze armate utilizzabili poi dall’organo, totalmente o parzialmente, via via che se ne presenti la necessità. Secondo gli artt. 46 e 47 l’utilizzazione, in concreto, dei vari contingenti nazionali deve far capo ad un Comitato di Stato Maggiore, composto dai Capi di Stato Maggiore dei cinque membri permanenti e posto sotto l’autorità del Consiglio. Gli artt. 43 ss., però, non sono mai stati applicati dal 1945. Il Consiglio è solitamente intervenuto, in crisi internazionali o interne, con misure militari tutte riportabili all’art. 42. Ha creato le Forze delle Nazioni Unite (caschi blu), ma con compiti assai limitati per il mantenimento della pace, (peace-keeping operations), ha aumentato l’utilizzo della forza degli Stati membri, sia singolarmente, sia nell’ambito delle organizzazioni regionali, ed in due casi, ha formato Tribunali internazionali per la punizione di crimini di guerra contro l’umanità.

PeaCe-KeePIng oPeraTIons

Lo scopo fondamentale delle Nazioni Unite, così com’è enunciato nel primo paragrafo dell’art. 1 della Carta di San Francisco, consiste nel mantenere la pace e la sicurezza internazionale ed allo stesso tempo, di agire affinché altri conflitti già in corso giungano ad una soluzione, per quanto possibile, pacifica. In altre parole, l’Organizzazione è stata costituita per dare concreta attuazione allo “jus contra bellum”. I fatti hanno dimostrato che le Nazioni Unite sono da sempre impegnate a favorire lo sviluppo del diritto internazionale umanitario, vale a dire la parte preponderante del diritto bellico (jus in bello), che ha come scopo principale quello di limitare l’impiego della forza nei conflitti armati e la protezione dei non combattenti e dei civili. Con l’inizio della guerra fredda e l’opposizione tra i due blocchi, è cominciato un periodo in cui le Nazioni Unite non sono più riuscite a svolgere un ruolo determinante nel mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. Il Consiglio di Sicurezza non ha potuto realmente dare attuazione al sistema di sicurezza collettiva, previsto dalla Carta, a causa delle profonde divergenze politiche che si manifestavano al suo interno. Ecco che, per far fronte alle esigenze di sicurezza, sono stati posti in essere dei “meccanismi operativi ibridi”, il cui scopo principale sarebbe quello di “congelare la situazione conflittuale e favorire il regolamento concordato tra i belligeranti”: le c.d. operazioni per il mantenimento della pace (peace-keeping operations) che rappresentano, il principale strumento con il quale vengono affrontate, in maniera concreta, le situazioni di crisi in grado di minacciare la pace e la sicurezza internazionale. La caratteristica principale delle “peace-keeping operations” è costituita dalla delega del Consiglio al Segretario generale in ordine, sia al reperimento, attraverso accordi con gli Stati membri,

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Generale Gnakoude Berena (a destra), Comandante della Missione ONU in Costa d’Avorio. (Missione UNOCI)

Il Generale di Brigata Claudio Graziano, ex Comandante della missione AD INTERIM delle Nazioni Unite in Libano (Missione UNIFIL)

28 marzo 2011- Il presidente della Repubblica Italiana Giorgio

Napolitano, parla dei problemi relativi la crisi in Libia, durante

l’assemblea generale dell’ ONU.

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sia al comando delle forze internazionali. Le Forze, inoltre, operano con il consenso della Stato o degli Stati, nel cui territorio sono dislocate, anche se quest’elemento spesso è puramente fittizio. E’ opportuno precisare che tali forze per il mantenimento della pace costituiscono, essenzialmente, forze cuscinetto destinate solo a dividere i contendenti ed aiutarli a ristabilire e mantenere condizioni di pace e di sicurezza, senza poter adoperare le armi, di cui pure sono dotate, anche se non al massimo, per legittima difesa. La loro funzione, insomma, sarebbe di PEACE KEEPING e non di PEACE ENFORCEMENT. In ogni caso, è fuor di dubbio che tali forze realizzino l’azione di polizia internazionale prevista dall’art. 42.

auTorIzzazIone dell’uso della Forza da ParTe deglI sTaTI MeMBrI

Talvolta, il Consiglio, anziché agire direttamente come prescrive l’art 42, o tramite il Segretario generale, ha autorizzato singoli Stati ad usare la forza contro un’altro Stato (o all’interno di uno Stato), rimettendo nelle loro mani, e sotto la loro autorità, il comando ed il controllo delle operazioni militari. Occorre tener conto del fatto che, sempre più frequentemente, il Consiglio tende a delegare l’utilizzo della forza ai singoli stati, mantenendo comunque il controllo sulle operazioni e che, con maggior frequenza, ciò avviene in situazioni di guerra civile, ossia in situazioni che è impossibile riportare all’art. 51 (mancando una precedente aggressione armata). Questo comportamento del Consiglio non incontra opposizioni. Si può ritenere pertanto che la delega agli Stati sia prevista da una regola non scritta che si è ormai consolidata nella prassi.

IsTITuzIone deI TrIBunalI PenalI ad HoC Si tratta dei due tribunali per i crimini di guerra e contro l’umanità, commessi nell’ex Jugoslavia e nel Ruanda, creati rispettivamente con la ris. 25.05.1993 n. 827 e 1.07.1994 n. 935; La legittimità di tale istituzione dovrebbe riportarsi all’art. 42. In effetti la possibilità di punire i criminali di guerra è stata sempre considerata come un diritto

dei belligeranti e secondo la migliore dottrina, anche il Tribunale di Norimberga del 1945 trovò la sua giustificazione in tale articolo.

le aMMInIsTrazIonI TerrITorIalI In sITuazIonI PosT-ConFlITTualI

Si tratta di vere e proprie amministrazioni a carattere temporaneo, istituite in situazioni post-conflittuali. è questo il caso dell’amministrazione civile del Kosovo dopo la guerra del 1999, condotta dalla NATO. La funzione di quest’amministrazione è quella, tra l’altro, di provvedere allo sviluppo di istituzioni provvisorie democratiche e di autogoverno, in attesa di una soluzione politica della crisi, nonché di controllare il trasferimento dei poteri da dette istituzioni provvisorie a quelle che saranno stabilite all’atto della soluzione della crisi.

organIzzazIonI regIonalI

Fanno parte anch’esse del sistema di sicurezza collettiva facente capo al Consiglio di Sicurezza e sono create sia per sviluppare la cooperazione tra Stati membri, sia per promuovere la difesa comune verso l’esterno. Appaiono come “organi decentrati delle Nazioni Unite”. Le organizzazioni regionali più importanti esistenti sono:

osa- organIzzazIone deglI sTaTI aMerICanIche unisce Stati Uniti e America Latina ueo - unIone eurPea oCCIdenTalecostituisce l’alleanza definitiva dell’Unione Europea naToorganIzzazIone del TraTTaTo del nord aTlanTICocreata nel 1949 tra le Potenze Occidentali (Patto Atlantico) l’a.nz.ussorta tra Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti oua Organizzazione per l’Unità Africana la - lega deglI sTaTI araBI L’organizzazione degli Stati dei Carabi Orientali.

Pattugliamento nel Sud del Darfur(missione UNAMID)

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sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza

sicurezza Dei POrTi:L’ausPicaBiLe creaziONe Di uNa FOrza sPeciaLe

Di Marco BaNDioLi

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sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza MariTTiMa sicurezza

Reparto aeronavale della Guardia di Finaza, formato da elicottero A109 e motovedetta,

durante un controllo nel Mar Tirreno

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IL CONTESTO GENERALE

Come noto, all’inizio del nuovo millennio si è dovuto prendere atto del dissolvimento dei vecchi e consolidati equilibri di forze, dissolvimento che ha dato alla luce nuovi ed inaspettati scenari geopolitici, producendo, in un iniziale clima di ottimismo e di generica euforia, nuove forme di minaccia e nuovi conflitti.Tra queste minacce, subdolamente, primeggia il nuovo terrorismo transnazionale che presenta altresì numerose e correlate attività, più o meno palesi, tese ad indebolire o sgretolare sia le società sia gli

ordinamenti statuali. Al riguardo, sono da tempo emersi nuovi concetti e nuove dottrine operative non specificatamente del mondo “militare”. Hanno preso infatti corpo e consistenza particolari tipologie di attività (per alcune Nazioni considerate peraltro come veri e propri “atti di guerra”) quali le “Non Military War Operations” (NMWOs), ovvero le “Operazioni di Guerra Non Militari”, che già negli anni novanta risultavano complementari alle ben più note “Military Operations Other Than War” (MOOTW), ovvero le “Operazioni Militari al di fuori della guerra”, guerra che, nella pervicace ipocrisia del “politicamente corretto”, non esiste più!

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Le NMWOs sono “attività” che possono risultare gestite sia da governi che da organizzazioni civili/private/non governative e quindi, per l’appunto, “Non Military”, e sono orientate a creare varie forme di destabilizzazione in uno specifico Paese preso come obiettivo. Si tratta di attività e di sistemi di varia natura, tesi, per esempio, a garantire l’impunibilità di criminali e delinquenti, a garantire il traffico di stupefacenti, di uomini e di armi, la manipolazione delle informazioni, l’uso improprio di aiuti umanitari, la difesa politica di presunte identità etniche o il diffondersi di teorie politico/religiose, finalizzate al sostegno di ideologie ostili e così via.

Le nazioni occidentali, in ragione dei propri pregressi storici, del retaggio culturale, degli interessi economici, del famoso “sentire comune” e soprattutto della volontà politica, affrontano tali spinose questioni in modi molto differenti, talvolta anche negando platealmente la realtà degli eventi occorsi.

LA REALTA’ NAZIONALE

Anche in Italia, dopo i noti eventi dell’11 settembre 2001, si è sentita la necessità di dover rivedere e migliorare i numerosi settori afferenti la cosiddetta “Sicurezza nazionale”. In via preliminare, è opportuno evidenziare che, nei pluri-significati che può avere la parola “Sicurezza”, nel presente contesto ci si riferisce ovviamente ad un criterio generico che è relativo alla tutela di una particolare “condizione” in cui non siano presenti rischi o pericoli. Una condizione che si viene a creare grazie alla messa in atto di specifiche misure e conseguenti predisposizioni, che assicurino la Difesa e la Protezione (funzione Protect & Defend) di “un qualche cosa di interesse” garantendo, per quanto possibile, un assetto che prevenga e/o contrasti lo svilupparsi di atti o di azioni ostili e che, all’occorrenza, sia pienamente in grado di neutralizzare una eventuale minaccia.Qui subentrano i due requisiti fondamentali per la valenza di un’azione di contrasto: la reale capacità tecnico-operativa di attuare al meglio, in modo incisivo e professionale, il contrasto stesso nonché la reale possibilità di attuare legittimamente il detto contrasto avendo la copertura politica e legale sia per garantire l’implementazione di regole di ingaggio credibili che per garantire, in caso di necessità, l’impiego della forza.Parallelamente, il comparto industriale, con finalità ovviamente commerciali, si è immediatamente orientato alla produzione di sistemi di videosorveglianza con numerosissime e costose opzioni. Tale proliferazione tecnologica ha comunque garantito, di fatto, per chi può permetterselo, l’attuazione di una certa qual forma di deterrenza. Al momento attuale sia un vasto numero di Istituzioni che di Privati si sono dotati di sistemi di monitoraggio per la sorveglianza ed il controllo di siti, aree, zone ed edifici ritenuti “sensibili”, ovvero oggetto di possibili azioni ostili di varia natura. Certamente questa necessità di sicurezza, molto impopolare e molto costosa sia per le Istituzioni che per i Privati, è difficilmente perseguibile in modo ottimale anche in ragione delle ristrettezze economiche in cui l’intero Paese sta versando.. il che si traduce nel fatto che forse bisognava pensarci prima.. nel periodo delle cosiddette “vacche grasse”. Permangono inoltre, sul territorio nazionale, frange di irriducibili che tendono a scatenare l’isterica suscettibilità dei sostenitori della “protezione dei dati personali”, meglio nota come “privacy”: è inevitabile, e ben lo sanno gli addetti ai lavori, che la Sicurezza possa pienamente convivere con la privacy, soprattutto se questo concetto è percepito in modo integralista. In particolare nella società

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Elicottero EH 101 della Marina Militare in un esercitazione anti pirateria nel golfo di La Spezia

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introdotto il delicato argomento del contrasto e della sua copertura legale.

UNA NUOVA NECESSITA’ “MARITTIMA”

Se risulta complesso il controllo continuo, di giorno e di notte, di un sito unicamente “terrestre”, generalmente con punti d’accesso/varco ben definiti, risulta ancor più complesso il controllo di un sito che presenti anche una minima parte esposta verso il mare, ovvero che ci sia il cosiddetto “fronte a mare”. Se poi si prende in considerazione un porto militare, più correttamente chiamato “Base Navale”od un porto civile, più propriamente chiamato “Porto”, le cose si complicano ulteriormente. In particolar modo, il Porto, presenta una realtà molto complessa, fatta di zone variegate, con le specifiche “acque interne” ed “acque esterne”, con infrastrutture e fabbricati particolarmente disuniformi ed articolati. Un traffico di natanti di natura e dimensioni estremamente differenti, in ingresso ed in uscita, in sosta od in transito, ormeggiati presso diverse banchine a seconda di che cosa trasportano (passeggeri, containers, carichi delicati e pericolosi, granaglie, carichi pesanti, combustibili…), con natanti ancorati alla fonda o fermi alla boa, natanti intenti in

contemporanea, dove è diffuso il sospetto che esista una qualche bieca e perversa trama da parte delle Istituzioni nei confronti dei cittadini onesti. Nel momento in cui viene installata da qualche parte una telecamera per la videosorveglianza, c’è sempre qualcuno che ritiene gli venga negato qualche imprescindibile diritto esistenziale! In tale “ottica”, scusando il gioco di parole, quale potrebbe essere allora un “giusto controllo”? Prendendo ispirazione principalmente dal buon senso, si potrebbe individuare in una forma di controllo mitigata, che risulti essere un equilibrato compromesso tra un “controllo inesistente”, quale può essere ad esempio il controllo all’ingresso di un supermercato, ed un “controllo totale”, quale era sicuramente in passato l’accesso ad una fortezza inespugnabile! Ipotizzando ora, sempre in termini estremamente generici, che un determinato sito sia oggetto di un’intrusione, il relativo sistema di videosorveglianza (in concomitanza ad altri sensori), dovrebbe far scattare il famoso “allarme” e contestualmente, si dovrebbe attivare il Piano Difensivo specifico del sito in questione, che prevede l’adozione di misure e provvedimenti difensivi, per poi passare, nel minor tempo possibile (detto “tempo di reazione”) alla vera e propria azione di contrasto per il contenimento e l’eliminazione della minaccia. E quindi viene qui

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Membri del GROM (forze speciali Polacche) durante un operazione di controllo nel porto di

Umn Qusr - Iraq (operation Iraqi Freedom)

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operazioni di carico o scarico merci, di rifornimento (combustibili, merci, viveri, vettovaglie), in attività di riparazione o di trasbordo di personale, in attività diportistiche, sportive.. e così via. Senza dimenticare il fatto che, in un Porto, si possono anche svolgere attività non necessariamente correlate con la realtà marittima, come ad esempio convegni, mostre, fiere, incontri, manifestazioni, anche magari inaspettate e/o non autorizzate.. e finalizzate a verificare la capacità, la validità e l’efficienza degli uomini e dei sistemi preposti alla sorveglianza ed al controllo del Porto di interesse. La comunità internazionale, molto sensibile al problema dei traffici marittimi, ha realizzato, già a suo tempo, la vastità della problematica di un’eventuale minaccia terroristica proveniente dal mare. Nel luglio 2004, tramite l’IMO (International Maritime Organization) e l’IMS (International Maritime Security), è stato implementato il famoso Codice ISPS (International Ship and Port facility Security code). Tale codice, attraverso una serie di certificazioni, sia per le Navi che per i Porti, cerca in pratica di creare un meccanismo per il quale una nave certificata sicura può entrare solamente in un Porto certificato sicuro, e viceversa. Anche qui, la burocrazia ha avuto la sua parte, ma il grande entusiasmo iniziale dei burocrati delle grandi compagnie assicuratrici si è immediatamente ridimensionato non appena si è scoperto che non tutte le tipologie di nave trovano effettivo riscontro nel citato codice, con grande sollievo per i burocrati delle compagnie armatrici, ma con grande preoccupazione per coloro che sono i diretti responsabili della sicurezza delle navi e delle banchine dei porti ove le navi devono ormeggiarsi.Veniamo all’aspetto pratico. In termini generali, è evidente che il Porto è un ambiente in cui è difficile attuare un controllo realmente meticoloso anche in considerazione del fatto che, tra le varie criticità, bisogna anche tenere presente il fattore “tempo a disposizione”: non è infatti pensabile fermare, rallentare o prolungare, per esempio, le giacenze di merci deperibili o creare particolari disagi nelle partenze o negli arrivi di turisti, anche per le ovvie ripercussioni economiche che si verrebbero talvolta a creare.Inoltre, al di là di tutte le certificazioni che possano attestare la sicurezza di un Porto o di una nave, c’è da chiedersi quali siano le reali capacità e possibilità difensive, di protezione e di contrasto che si possano esprimere in un ipotetico Porto senza dovervi penalizzare all’interno, o nelle immediate vicinanze, le connesse molteplici attività che si svolgono quotidianamente in tale tipologia di sedime. Inoltre, da non sottovalutare,

la questione del “conflitto di competenze”, ovvero delle “sfere di intervento” o delle “pertinenze istituzionali” nell’ambito delle quali le varie componenti delle Amministrazioni dello Stato, presenti nel Porto, potrebbero trovarsi “ad agire”, o peggio ancora “a non agire”, soprattutto in caso di una emergenza non prepianificata o in caso di emergenze concomitanti, magari volutamente predisposte quali atti diversivi, prima o durante lo svolgimento di un effettivo atto ostile, attentato, sabotaggio od attacco terroristico che dir si voglia. Un buon numero di Paesi si è recentemente dotato di nuove e specifiche unità speciali, appositamente addestrate e ben equipaggiate, per affrontare e contrastare un’eventuale minaccia che si possa presentare nell’ambito delle Basi Navali, dei Porti, delle Piattaforme Marine e, per chi li ha, dei Porti fluviali. Tali unità, principalmente militari, ma in taluni casi anche di Polizia, hanno, in alcuni ordinamenti statuali, anche la competenza operativa e le capacità di proiezione in teatri lontani, al fine di assolvere compiti sia di “Port Security” e “Ship Security” (in ambito civile) che di “Harbour Protection” e “Force Protection” (in ambito militare).

PERCHE’ UNA “FORZA SPECIALE”

Quando si va a vedere la consorteria militare internazionale delle cosiddette “Forze Speciali”, non si può non notare che esistono numerose tipologie delle medesime. Di primo acchito, potrebbero sembrare tutte più o meno simili, se non addirittura dei doppioni inutili. In realtà, dopo un’attenta analisi, si scoprirà che ognuna di esse ha una valida ragione per esistere ed operare in modo autonomo. Le principali differenze dipendono dalle necessità storiche per cui sono state costituite e soprattutto, dalle finalità per le quali la loro creazione è stata concepita. Tali finalità si esplicitano in un ampio ventaglio di compiti specifici, come l’infiltrazione in territorio nemico per azioni di

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Motovedetta dei Carabinieri presso il porto di Mazzara

del Valle.

Membri del GROM (forze speciali Polacche) durante un operazione di controllo nel porto di

Umn Qusr - Iraq (operation Iraqi Freedom)

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interesse. Per evitare confusione, è doveroso ricordare anche le “Forze per Operazioni Speciali”, che sono Forze istituzionalmente non definite Speciali ma comunque particolarmente addestrate, armate ed equipaggiate per effettuare Operazioni Speciali, sia in modo pienamente autonomo e sia in supporto alle Forze Speciali ufficialmente stabilite. Tanto premesso, bisogna anche calarsi nella realtà nazionale, dove la presentazione della realtà stessa risulta frequentemente “ovattata” dai mezzi di comunicazione. Per fare un banalissimo esempio, è sufficiente vedere un qualsiasi telegiornale per scoprire che quello che una volta era “un incallito criminale, un vero pendaglio da forca” ora viene assurto a nobiltà definendolo come “elemento di spicco della criminalità organizzata”! E’ pertanto evidente che in questo presepe permanente in cui viviamo è sicuramente impopolare proporre la costituzione di qualcosa di “offensivo”. Niente paura! Qui si sta parlando di attività di difesa di un Porto, rientrando quindi nell’ambito di misure e di predisposizioni eminentemente “difensive”, di anti-terrorismo.A questo punto qualcuno potrebbe obiettare, ricordando

sabotaggio contro obiettivi di alta valenza, le azioni di guerriglia per il disturbo ed il logoramento del nemico, l’acquisizione di informazioni di carattere operativo o strategico, la distruzione o parziale inutilizzazione di vasti impianti industriali in territorio nemico, le attività di guerra psicologica, le attività di contro-terrorismo tese a colpire i terroristi quando sono ancora al sicuro “a casa loro” nei loro Paesi, le attività di contrasto nei confronti di organizzazioni criminali e di narcotrafficanti e molte altre disparate attività. Per dette Forze esistono tuttavia anche delle caratteristiche comuni. Tra queste si evidenzia il carattere offensivo delle missioni da portare a termine, ovvero di azioni attive contro il “nemico”, qualunque esso sia, unitamente ad un’alta valenza, generalmente strategica, imputabile alle missioni stesse. Altre caratteristiche comuni sono anche il fatto che tali unità, militari o paramilitari che siano, sono specificatamente organizzate, addestrate ed equipaggiate per effettuare “Operazioni Speciali”, ovvero operazioni dirette a conseguire obiettivi di natura militare, politica, economica o informativa in ambienti ostili, ad alto rischio o aree sensibili o di specifico

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Membri del U.S. Coast Guarddurante un’esercitazione nell’Oceano Pacifico

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che già esistono dei corpi e delle forze preposte al controllo, alla difesa ed alla sicurezza di un Porto, per cui verrebbe proposto in questa sede un qualcosa di ridondante. L’osservazione è pertinente, ma non tiene conto del fatto che qui si sta parlando di situazioni non comuni, situazioni in cui si scopre la necessità di dover fronteggiare un’emergenza “non convenzionale”, che potrebbe essere anche una minaccia non immediatamente appurabile o riconoscibile, se non da personale specificatamente preparato. Chiunque abbia dimestichezza con il “mondo marittimo” e con tutte le sfaccettature che esso può presentare (da quelle legali a quelle illegali), sa bene che esiste una “zona grigia” di possibili situazioni in cui non è facile stabilire se l’intervento debba considerarsi di carattere militare o di carattere civile. La specificità ambientale dei sedimi portuali richiede capacità d’intervento particolari, adottando specifiche procedure che solo un corpo specializzato può fornire, garantendo sia una rapidità di intervento che un’efficace azione di contrasto nei confronti di un’eventuale minaccia. In conclusione, una Forza impiegabile in tale contesto dovrebbe possedere determinate prerogative che, guarda caso, risultano proprio essere quei requisiti tipici che, in termini generali, attestano l’ascrivibilità di un’unità militare alla particolare famiglia delle Forze Speciali:• dipendenza diretta da uno Stato Maggiore, per

garantire un’immediatezza d’impiego senza la dilatazione dei tempi dovuta all’autorizzazione di comandi intermedi;

• definizione dei termini d’impiego, di dottrina operativa e tattica ed approfondimento degli aspetti giuridici di intervento e di uso della forza;

• capacità d’integrazione con unità di Intelligence e di Polizia in ambito nazionale ed internazionale;

• disponibilità di una specifica Centrale Operativa e di Pianificazione, con elevate capacità di comunicazione, in grado di gestire e ridislocare, ove ritenuto necessario, teams operativi della Forza stessa;

• disponibilità di una “banca dati” relativa alle possibili minacce provenienti dal mare, con particolare riferimento all’aspetto marittimo (pirateria, terrorismo, traffico illecito, naviglio sospetto, ecc.);

• specifica preparazione sulle dottrine, sulle tattiche e sulle tecnologie impiegate nell’ambito della Difesa e Protezione delle installazioni sensibili;

• impiego di armi, mezzi ed equipaggiamenti idonei all’assolvimento di diverse tipologie di missioni difensive, prevedendo anche l’impiego di armi non letali per particolari circostanze;

• impiego in determinate situazioni in cui sia necessaria la presenza di una Forza quale deterrenza e quale effettiva “moltiplicatrice di sicurezza”;

• conoscenza e capacità di utilizzo dei sistemi di sorveglianza e di allarme;

• sviluppo di capacità operative di controincursione,

controinfiltrazione e controsorveglianza;• capacità d’intervento con tempistiche ridotte e con

modalità compatibili alla forma d’emergenza o minaccia in atto;

• formazione professionale degli operatori sia dal punto di vista tattico che tecnico, particolarmente addestrati per l’intervento in ambiente portuale, lacustre, fluviale o su naviglio di differenti caratteristiche, e con possibilità di utilizzo di abiti civili quando ritenuto necessario per l’assolvimento della missione;

• capacità di mantenimento di un’elevata prontezza operativa della Forza, prevedendo una ciclica alternanza tra periodi di esclusivo addestramento e periodi di esclusiva disponibilità operativa dei teams della Forza stessa (in termini pragmatici significa che le comandate e le eventuali attività di rappresentanza vengono espletate unicamente da teams in addestramento e non da teams in periodo di “combat readiness”).

Naturalmente la disamina è affrontata in termini generici, in quanto ulteriori approfondimenti potrebbero sconfinare in tematiche che, in questa sede risulterebbero particolarmente noiose, ed andrebbero anche a coinvolgere settori permanentemente tutelati da alte classifiche di segretezza.

ULTERIORI CONSIDERAZIONI

Porti ritenuti non sicuri dalla comunità dei traffici marittimi, fanno inevitabilmente spostare le navi su altre rotte per raggiungere porti ritenuti più sicuri e più affidabili. Come direbbe uno specialista: una nave certificata di livello di sicurezza 2 può attraccare solo in un Porto che garantisca una sicurezza di livello 2. Quindi è evidente l’importanza di avere porti ritenuti effettivamente sicuri, e non solo “certificati” sicuri. Ma quanto siamo disposti a pagare questa sicurezza? E’ una classica questione di costo-efficacia. Una Forza Speciale che contribuisca a fornire un reale “valore aggiunto” alla sicurezza ha ovviamente un costo. Tale costo dipende sia dalla struttura che dalla consistenza che si vuole dare alla Forza stessa. E’utile premettere che, tale Forza, si potrebbe appoggiare a strutture già preesistenti e potrebbe essere costituita con risorse relativamente contenute in ragione delle possibilità di usufruire parzialmente d’equipaggiamenti, armi e mezzi già presenti nel ciclo logistico delle Forze Armate. Qualcuno, politicamente poco corretto, ha calcolato che la costituzione di una Forza del genere, con una consistenza media di 500 uomini, verrebbe a costare quanto mantenere nel lusso per un anno 5 o 6 calciatori di serie A. Il criterio di paragone appare abbastanza calzante, se ne potrebbero fare anche molti altri però, come spesso accade, si tratta principalmente di mentalità e, conseguentemente, di priorità.

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REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO

DAL DECALOGO

DEL SOLDATODi Vincenzo cotroneo

REGOLA NR.3

LA LEGITTIMITà DEI MEzzI DI cOMbATTIMENTO. NoN impiegare armie muNizioNi proibite,NoN modificare armameNto e muNizioNi iN dotazioNe

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REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO

Quando si parla di mezzi di combattimento, s’intende parlare di armi (o sistemi di arma) utilizzate dalle forze combattenti durante le ostilità. Un’arma od un sistema di arma può essere utilizzato nel corso delle ostilità, solo se il suo impiego rientra all’interno dei limiti di legalità stabiliti dal diritto internazionale dei conflitti armati. Un’arma, infatti, legittimamente detenuta ed utilizzata da un combattente, può diventare illegale a seconda dell’utilizzo che lo stesso detenente, di fatto ne fa. L’armamento convenzionale, può diventare illegale, per esempio, nel caso in cui venga utilizzato per provocare sofferenze inutili (vietate dalle convenzioni internazionali) o per un uso improprio, per esempio utilizzare armi senza capacità di discriminazione durante un attacco, nel quale presumibilmente potrebbe esserci una forte presenza di civili coinvolti. In realtà esistono poche limitazioni in merito al tipo di armi che possono essere utilizzate (quando sono utilizzate correttamente); Solo le armi private, con il relativo munizionamento, non possono (…potrebbero) essere utilizzate durante le ostilità, e per quanto riguarda le armi sottratte alle forze nemiche, va sempre verificata la legalità d’impiego.

Armi convenzionAli e non convenzionAli

Con questa dicitura, si fa riferimento alla Convenzione del 1980 su “ Divieto e limitazione dell’impiego di talune armi classiche, capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato”. Questa Convenzione, nota anche come “Certain Conventional Weapon” si compone anche di un annex di 5 protocolli inerenti ad armi convenzionali, che recano mali superflui e sofferenze inutili:

• Schegge non localizzabili ai raggi X;• Mine, trappole e altri dispositivi esplodenti;• Armi incendiarie;• Armi laser accecanti;• Residuati bellici esplosivi;

Questi annex alla Convenzione, danno il reale significato di

quanto sia impegnativo il percorso relativo alla limitazione degli armamenti, rivolto ad una nuova codificazione. Esempi d’impegno in questo senso sono le Convenzioni sulle mine antiuomo del 1997 e sulle cluster munitions del 2008.

ArmAmento vietAto

Proiettili esplosivi/incendiari inferiori a 400 grammi di peso. Tale divieto risale alla Convenzione di San Pietroburgo del 1868. Considerato armamento valido per i combattimenti aerei, il divieto è circoscritto all’utilizzo come arma antipersona, in quanto provoca inutili sofferenze.Pallottole Dum-Dum. Munizionamento in grado di schiacciarsi e/o dilatarsi nel corpo umano. L’uso di tali pallottole è vietato dalla Dichiarazione dell’Aja, in quanto provoca ferite gravi e persistenti a causa della frammentazione della munizione al momento dell’impatto.Schegge non rintracciabili attraverso raggi X. L’utilizzo di armi che rilasciano schegge non rintracciabili attraverso i raggi X, è vietato dal I° Protocollo aggiuntivo alla Convenzione del 1980. La difficile localizzazione della scheggia, provoca ovviamente sofferenze inutili al combattente.Mine antiuomo. Il protocollo CCW (Certain Conventional Weapon) prevede l’utilizzo limitato di tale armamento, solo contro obiettivi militari e con tutte le precauzioni utili per evitare danni alla popolazione civile (cosa che si dovrebbe concretizzare nella segnalazione dei campi minati e nella successiva opera di sminamento e bonifica). Sono attualmente al bando le mine prive del congegno di autodistruzione o di auto-disinnesco, sono previste forti sanzioni penali per le aziende che producono tale armamento senza i dispositivi di sicurezza appena citati. Nel 1997, con la Convenzione di Oslo-Ottawa, è stata dichiarata la proibizione all’uso, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e la loro distruzione. I Paesi firmatari di tale Convenzione non possono utilizzare questo tipo di armamento, e possono detenerne un quantitativo limitato a scopo d’istruzione del personale

DAL DECALOGO

DEL SOLDATO

Esempi di Cluster Mine

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destinato allo sminamento.Trappole esplosive. Considerate armi inumane, sono spesso associate a segni ed emblemi di protezione, o comunque celate all’interno di oggetti innocui (giocattoli, bevande, apparecchi domestici…). Considerato reato di perfidia, le vittime sono da considerarsi più numero nel settore civile, piuttosto che tra i combattenti (che sono istruiti sulle modalità di precauzione e riconoscimento della minaccia).Armi laser accecanti. Sono vietate le armi destinate a provocare la cecità permanente o disturbi visivi permanenti nei confronti dei soggetti contro i quali l’arma è puntata. Tale protezione di legge, cessa però quando questo tipo di armamento è utilizzato verso soggetti che utilizzano visori notturni o particolari strumenti ottici per migliorare la visione.Cluster munitions. Armamento utilizzato per rendere inutilizzabili piste aeroportuali, porti e vie di comunicazione, per distruggere blindati o impedire la percorrenza a convogli. Le cluster sono formate da un involucro che contiene una quantità variabile di sub-munizioni. L’involucro, una volta lanciato a sua volta sgancia le sub-munizioni che esplodono al contatto con il terreno. Tuttavia una percentuale consistente di sub-munizioni non deflagra a contatto, diventando di fatto una mina anti-uomo, vietata dalla convenzione di Ottawa. La convenzione, adottata a Dublino nel 2008, vieta l’uso di bombe a grappolo il cui utilizzo, sviluppo,

produzione, deposito o trasferimento possa provocare ai civili danni non accettabili. Le cluster oggi permesse devono rispondere ad una precisa codificazione sulle sub-munizioni, che devono:

• essere inferiori a 10 unità;• avere un peso superiore ai quattro chilogrammi ciascuna

per assicurare la deflagrazione a contatto con il terreno;• essere dotate di sistemi di riconoscimento degli obiettivi;• essere dotate di sistemi di auto-distruzione e di auto-

disattivazione.

il cAso del fosforo biAnco

Il Willy Pete (dalle iniziali di White Phosphorus) è un agente chimico utilizzato per caricare gli ordigni incendiari come il napalm, oppure come illuminante/tracciante/fumogeno degli ordigni. E’ impiegato come arma per la sua notevole facilità d’infiammabilità (combustione spontanea a 35°) ed è notevolmente tossico. L’impiego di fosforo bianco è considerato:

• Lecito - per sistemi d’illuminazione e segnalazione negli inneschi degli ordigni (in questo caso l’incendio è considerato fortuito);

• Non lecito - quando è utilizzato come arma chimica per colpire persone ed ambiente sfruttando le sue proprietà tossiche e caustiche;

Mina anti uomo

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Di MiKE LiMA 77

La FN nasce nella città di Herstal, vicino a Liegi in Belgio. La “Fabrique Nationale d’Armes de Guerre” (Fabbrica Nazionale d’armi da Guerra) venne fondata nel 1889 per fabbricare 150.000 fucili Mauser, commissionati dal governo belga, e rimane una delle aziende produttrici di armi più conosciute, sebbene per qualche tempo (la prima metà del XX Secolo) sia stata la più importante industria di motoveicoli del Belgio. La nuova Five SevenN, grazie alla notevole capacità (20 colpi più uno in canna), è una pistola con chiusura a masa meccanicamente ritardata (camera flottante), ed è esclusivamente in doppia azione con sicure automatiche e senza sicure manuali offre una valida alternativa a tutte le pistole sino a ora in commercio ed è adottata dai corpi speciali di mezzo. La commercializzazione è prevista per il solo settore militare e del law enforcement. Nella nuova versione gli organi di mira sono stati completamente modificati: non sono più in plastica, ma in acciaio e a differenza del primo modello che gli vedeva come parte integrante del carapace in polimero avvolgente il carrello in mettallo, ora gli organi di mira vengono direttamente ancorati alla parte mettallica del carrello-otturatore. La pistola della Fabrique nationale di Herstal, tecnologicamente, è quanto di più avanzato si sia mai visto: 700 g di peso complessivo, castello, carrello e caricatore sono realizzati in polimero, solo la canna e i leveraggi, per ovvi motivi, sono in acciaio. L’aspetto ergonomico è curato in ogni dettaglio,

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Five SevenN700 GrAMMi di purA poteNzA

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la pistola viene correttamente impugnata d’istinto e portata in mira perfettamente in asse con il bersaglio senza aggiustamenti in deriva. La trazione, dotata di una corsa di circa 20 mm, è estremamente fluida e progressiva sino a raggiungere i circa quattro chilogrammi necessari per sganciare il percussore. L’aumento progressivo del peso elimina quasi completamente il rischio di strappi. Con un buon allenamento, perciò, è possibile ottenere ottimi risultati anche nel tiro istintivo. Le nuove guide a profilo “pycatinny” possono ospitare gruppi di puntatori ottici e luminosi anche a sgancio rapido. La canna, in acciaio, ha otto rigature ad andamento destrorso con un passo di un giro in 9 pollici: estremamente corto se si considera che normalmente le pistole hanno passi di circa 1:20. La Five SevenN funziona a corto rinculo di canna con chiusura a massa

ritardata (delayed blowback). A ogni colpo, canna e carrello, grazie a una molla di riarmo estremamente dura, arretrano solidali fra loro per meno di un centimetro.

LA MUNIZIONE

La FN Five SevenN è camerata nel calibro FN 5,7x28, denominata militarmente NAto SS190,ossia la palla standard di utilizzo militare per uso antipersonale. Questa palla pesa 31 grani ed è costituita da un nucleo anteriore in acciaio e uno posteriore di lega di alluminio.

il calibro 5,7x28 si distinque per tre caratteristiche:

• L’alta velocità (oltre 600 nella Five SevenN)• L’alta penetrazione• un Minor rinculo (dovuto al basso effetto

contrario alla propulsione balistica)

il 5,7x28 è in grado di penetrare facilmente un giubetto antiproiettile in classe 3A sino alla distanza di 200 metri.

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EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE

PRocEDuREDi EvacuazioNEDa uN TERRiToRio oSTiLE

Di carlo biffani

Nelle pagine che gli amici di TNM hanno, onorandomi, deciso di concedermi, ho immaginato potesse essere di interesse affrontare e proporre di volta in volta, argomenti correlati alla pianificazione ed allo svolgimento di attività in ambito security, sia in campo nazionale che fuori dai confini patri. In questo primo pezzo desidero proporre un argomento di stringente attualità, collegato ai più recenti fatti di cronaca, ovvero quello dell’evacuazione. Inizierò subito con una riflessione. Si è abituati a pensare all’evacuazione come ad un momento nel quale, in una situazione di crisi conclamata ed irreversibile, gli espatriati vengono fatti uscire dal paese nel quale si trovavano e portati, con ogni mezzo possibile, al sicuro. Ragionando in questo modo, si perde di vista l’aspetto principale dell’intera vicenda, ovvero il fatto che la situazione appena

rappresentata, descrive invero solo l’ultimo passaggio di una procedura di fatto molto più complessa che comporta aspetti di valutazione, di emanazione di norme e di controllo costante di una serie di dati e di segnali. Di fatto, a mio avviso, sarebbe molto più appropriato parlare di progetto d’evacuazione anziché, come siamo soliti fare, di piano d’evacuazione. Vediamo allora in cosa consiste e da cosa debba essere composto tale progetto.

Progetto d’evacuazioneIl Piano d’evacuazione è di fatto un progetto, nel quale si propongono le soluzioni necessarie ad abbandonare, nel minor tempo possibile e nelle condizioni di maggiore sicurezza, un determinato territorio dal quale arrivino segnali di una possibile crisi. Tale documento ha

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EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE EvacuazioNE

PRocEDuREDi EvacuazioNEDa uN TERRiToRio oSTiLE

caratteristiche di dinamicità in relazione all’evoluzione del contesto al quale è riferito. Non dovrà essere mai quindi, un documento polveroso all’interno di una busta appesa in qualche ufficio dell’azienda, ma piuttosto un piano al quale mettere mano in termini d’integrazione, ad ogni possibile variazione dello scenario. Per poter compiere correttamente tale attività, che è in buona parte previsionale, avremo bisogno di:• conoscere il posizionamento esatto, le modalità di

comunicazione con tutto il personale affidatoci e la sua effettiva presenza sul terreno.

• poter disporre di una rete di contatti tale da garantirci un corretto ed aggiornato flusso informativo.

• emanare disposizioni scritte che producano strategie di facile interpretazione ed attuazione, aggiornandole

continuamente a seconda del variare delle condizioni tattiche e dello scenario, nazionale e regionale.

• suddividere i compiti in maniera tale che tutti quelli che abbiamo ritenuto opportuno coinvolgere nel progetto siano in grado di comprendere le peculiarità del loro ruolo e siano stati responsabilizzati rispetto all’importanza delle mansioni che svolgeranno.

I presupposti senza i quali nulla può funzionare sono quelli relativi alla capacità di poter comunicare, sempre ed in ogni situazione possibile, con il personale a noi assegnato e della sostenibilità del PdE. Per rendere sempre attuabile la necessità di comunicare, sarà essenziale poter contare su quanto di più affidabile e diversificato è reperibile sul mercato. Chi scrive, è un nemico della ridondanza, perché è ben consapevole del fatto che l’azienda, in linea generale, accetta malvolentieri soluzioni che portino automaticamente ad investimenti non previsti, spesso percepiti come inutili. Su una cosa vi invito però ad essere inflessibili, ovvero sulla necessità di potervi dotare di mezzi di comunicazione che siano differenziati e che possano sempre mettervi in condizione di parlare con le persone con le quali avete necessità di dialogare, persone dalle quali dovete ottenere le informazioni necessarie a prendere decisioni o verso le quali dovete emanare disposizioni operative. Sarebbe auspicabile in tal senso, poter contare su apparati di comunicazione telefonica sia GSM che satellitari, su collegamenti via radio e su connessioni internet che consentano anche l’utilizzo del sistema Skype. Se doveste trovare ostacoli all’approvazione di una richiesta di spesa di questo tipo, provate a porvi in maniera tale da far comprendere al management dell’azienda che vi ha dato l’incarico, l’importanza di poter parlare sempre e comunque con gli espatriati che eventualmente si trovassero in difficoltà anche a centinaia di km dalla sede centrale. A tale proposito, nella recente vicenda libica, ci è capitato di dover dare supporto ad una azienda che, pur trovandosi con un numero ingente di espatriati in un sito isolato dal resto del paese, non si era dotata di una struttura in grado di produrre un progetto d’evacuazione e comunicava con i suoi dipendenti solo attraverso una connessione internet che andava e veniva, a seconda delle circostanze e ad una serie di telefoni GSM locali, rete che alle prime scaramucce è risultata inutilizzabile. Abbiamo poi fatto riferimento in questa prima parte, ad un altro aspetto, ovvero a quello della sostenibilità. Mi riferisco ad una particolare necessità correlata alla consapevolezza di una serie di fattori che sono d’importanza fondamentale nella preparazione del progetto, fattori che debbono avere immediata fruibilità pratica anziché giustificazione puramente teorica. Il primo riguarda l’ansia generata dall’emergenza e dalla corsa contro il tempo, aspetto questo che può degenerare in alcuni soggetti, in vere e proprie crisi di panico. Per questa ragione le stime nel piano orario previsto per la realizzazione dell’evacuazione debbono essere sempre generose e quindi sostenibili anche da chi non è particolarmente predisposto a sopportare situazioni di crisi, se non addirittura di rischio personale. La sostenibilità è poi correlata all’utilizzo di risorse che siano compatibili con la quantità di persone da evacuare, alla

Gli elicotteri chinook vengonospesso utilizzati per l’evacuazione dei civili

dai teatri di guerra

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metodologia ed ai vettori scelti per effettuare lo scampo, alla possibilità che la fase di uscita sia realmente garantita in termini di sicurezza da FFAA e da compagnie militari o di sicurezza private, ed anche al fatto che vi sia sempre la possibilità di disporre delle autorizzazioni burocratiche necessarie al movimento sul terreno ed all’uscita dal paese. Nella progettazione e nella pianificazione delle azioni che sarà necessario svolgere prima e durante un’evacuazione d’emergenza, bisognerà sempre tenere conto del fatto che il personale al quale ci si rivolge, non è composto da professionisti del rischio, come nel nostro caso, ma da manager, tecnici e spesso loro familiari, che hanno poca o nessuna familiarità con le crisi internazionali, con i rovesciamenti di potere e con le rivolte armate e che quindi bisognerà mettere in conto e prevenire, reazioni disordinate da parte del personale a noi affidato. Bisognerà poi predisporre una serie di disposizioni tali da garantirci l’attuazione di almeno una delle soluzioni previste, quella appunto più sostenibile, rispetto allo scenario che si è, via via andato concretizzando.

immaginare scenari e Prevedere soluzioni. evacuazione Parziale o totale. Per quanto riguarda l’aspetto previsionale, va detto che

esistono degli indicatori d’allarme che determinano quale sia il grado di sicurezza e stabilità del paese nel quale ci troviamo. A seconda della situazione potremmo assistere ad un’escalation più o meno rapida e violenta nella reazione del governo centrale di fronte ad una possibile minaccia ed a tale proposito sarà indispensabile poter contare su una rete di contatti locali ed internazionali con i quali confrontarsi, anche rispetto ad aspetti meno eclatanti ma altrettanto importanti nell’elaborazione di una valutazione dello stato di rischio. Ovviamente la circolazione o meno di informazioni sui canali ufficiali di comunicazione, rappresenta un primo indice di valutazione sullo stato di stabilità del paese, come anche la ricezione di notizie apparentemente contrastanti, ma non vanno mai sottovalutati aspetti correlati alla quotidianità, circostanze dal significato importante anche se non dotate di dignità accademica. Il fatto ad esempio, che determinate merci arrivino o meno nella base ove vi trovate ad operare, oppure l’improvvisa assenza sul posto di lavoro di risorse locali, può essere indice di difficoltà legate alla libera circolazione od a proteste in corso in aree distanti dalla vostra. A volte, nella valutazione dello stato di rischio, possono essere più d’aiuto i racconti fatti dal vostro autista o dal traduttore locale, che le analisi proposte dal think tank con il quale la vostra azienda ha sottoscritto

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Boing Hercules C130 delle forze canadesi utilizztai per l’evacuazioni di civili dalla Libia

un abbonamento e che vi arrivano puntualmente sulla scrivania. Tornando ai punti essenziali della nostra disanima sui principi dell’evacuazione e continuando a tener bene a mente che un’evacuazione ben progettata e ben realizzata si compie prima che inizino a sparare i fucili e che siano sospese le garanzie costituzionali del paese nel quale vi trovate, andrà poi specificato che tale attività può essere parziale o totale, ovviamente in relazione agli scenari che si vanno delineando ed alle opportunità di scampo che si prefigurano. In un’evacuazione parziale, il personale non strettamente necessario al funzionamento degli apparati produttivi, come nel caso dei familiari dei dipendenti o di coloro i quali occupano ruoli non decisionali od operativi, viene rapidamente fatto allontanare dalla zona di maggiore pericolo e se possibile riunito in punti di raccolta prestabiliti, evitando così un’eccessiva disseminazione sul terreno ed esercitando di conseguenza una maggiore capacità di controllo. Proviamo anche a considerare un aspetto in tal senso fondamentale. Se il dipendente che si trova in quel determinato paese con la propria famiglia, si accorge del fatto che l’azienda ha a cuore in primis le sorti dei suoi cari e si preoccupa di mettere per primi in salvo i suoi familiari, sarà particolarmente ben disposto nei confronti delle cose che successivamente gli verrà chiesto di fare,

anche se le stesse dovessero avere carattere restrittivo nei confronti della sua liberta di scelta e di movimento. Togliere ad un dipendente-genitore, l’incombenza di doversi preoccupare dei suoi cari, oltre che essere un obbligo etico, significa anche cementare il rapporto di fiducia fra l’azienda ed il collaboratore e metterlo, lo ribadiamo, nelle condizioni di accettare molto meglio le disposizioni successive. In questa fase, l’esperienza mi suggerisce di consigliarvi di approntare sempre una dotazione di oggetti che possano servire a tenere impegnati i bambini, distraendoli dalla situazione di rischio. Per far tornare il sorriso ai più piccoli e conseguentemente ai loro genitori, può essere sufficiente conservare in magazzino una scatola con confezioni di colori, album da colorare e dvd di cartoni animati. Se avrete accentrato il personale in punti di ricovero, vi accorgerete del fatto che distribuendo album e colori ai più piccoli o facendogli vedere un cartone su un laptop si allenterà immediatamente la tensione e tornerà il sorriso anche fra i più grandi, permettendovi di lavorare più serenamente. Nelle prime fasi di allerta generale, in un momento d’incertezza sugli sviluppi della situazione, può essere sufficiente chiedere al personale di rimanere nelle abitazioni, invitandolo a non recarsi al lavoro, a tenersi a stretto contatto con il responsabile della sicurezza

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Anche le unità navali vengono spesso utilizzate per le evacuazioni

ed a verificare la fruibilità delle risorse necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari (acqua-cibo-medicinali) e di quelle utili a garantire successivamente, se necessario, il movimento verso il punto di raccolta finale dal quale sarà effettuata l’uscita dal paese. Nella fase d’allarme e d’evacuazione parziale, sarà indispensabile tenersi frequentemente in contatto con il personale a noi assegnato, per essere certi che tutti sappiano cosa fare se la situazione dovesse volgere al peggio e fosse dato loro l’ordine di evacuare. Il contatto continuo sarà utile inoltre per ricevere quante più informazioni possibili dalle zone nelle quali si trova il personale nelle sedi distaccate. Il nostro fine sarà sempre quello di essere portatori di calma, di trasmettere positività e di prospettare soluzioni ai problemi, soluzioni che non saremmo in grado di proporre se non le avessimo preventivamente pianificate immaginando l’evoluzione degli scenari. Appare evidente che una corretta pianificazione non possa prescindere da un’attività formativa ed informativa sulle procedure che saranno adottate in caso di evacuazione, formazione nella quale è opportuno che s’inseriscano test, valutazioni e simulazioni. Se poi la situazione tendesse ancora al peggioramento sarà necessario, avendo accentrato il personale in punti di raccolta, passare alla fase d’evacuazione vera e propria.

evacuazione totaleGiunti a questo punto, come appena ricordato, l’accuratezza dello studio del progetto, l’aver effettuato riunioni mirate ed avere, laddove possibile, svolto prove pratiche e simulazioni, potrà fare la differenza fra un risultato mediocre ed un’evacuazione perfettamente riuscita. Avendo precedentemente provveduto all’uscita dalla zona di pericolo dei familiari e delle persone non indispensabili alla mission aziendale, ed alla realizzazione del progetto d’evacuazione, giunti a questo punto avremo già individuato e pianificato una soluzione in termini di trasporto verso altro paese. Si provvederà inoltre al trasporto fuori dalla zona di rischio dei materiali, dei documenti sensibili ed all’eventuale distruzione di ciò che non si vorrà lasciare sul terreno.L’esperienza ci porta a considerare come essenziale l’aver previsto la disponibilità di un team di operatori di security, allertato già nelle fasi precedenti, in attesa “sulla soglia” ovvero sul confine del paese nel quale la crisi si sta manifestando pronto ad intervenire dandoci manforte, in grado quindi di supportarci nei momenti più complicati

dell’evacuazione. Tale risorsa risulterà irrinunciabile qualora si dovesse far uscire dal paese numeri consistenti d’espatriati, la cui gestione non potrebbe essere affidata unicamente al solo responsabile della sicurezza aziendale. Il team a supporto dovrebbe essere composto, per almeno due unità, da personale locale, od almeno della stessa etnia o religione di quella maggiormente presente nel paese nel quale è previsto debba intervenire. Proviamo ad immaginare di dover gestire l’imbarco a bordo di un aeromobile, degli espatriati accampati insieme ad altri loro colleghi dipendenti di altre aziende, assiepati ai lati di una pista nel deserto. Immaginate di dover impedire l’accesso a bordo di chi non fa parte del vostro gruppo, di favorire quello del personale a voi assegnato. Ne converrete che la necessità di poter contare sull’aiuto di qualcuno che sia in grado di gestire momenti di concitazione, esplosioni di rabbia o di panico, sia essenziale per la buona riuscita dell’operazione. Per poter movimentare decine di persone sarà indispensabile agire con tempestività, evitando di prendere decisioni tardive avendo già posto in essere accordi con broker assicurativi, in grado di mettere a disposizione il vettore più adeguato per il trasporto fuori dalla zona di pericolo. A tale proposito va considerata sempre, se possibile, l’opzione del trasporto via mare. La nave offre, infatti, garanzie di affidabilità, di capienza, di elevato standard nei servizi proposti agli ospiti, ed inoltre ha il vantaggio di potersi posizionare al limite della zona di pericolo e di poter rientrare senza costi aggiuntivi di trasporto, una volta ristabilitasi la situazione. Chi scrive, nelle settimane scorse ha dovuto confrontarsi con il problema del trasporto aereo per e dall’Egitto e dalla Libia, con quello delle clerance, delle assicurazioni e degli aeroporti che aprivano e chiedevano nel volgere di qualche ora. Credetemi quando affermo che mai come nel caso dell’evacuazione, prevenire è molto meglio che curare.

Quale raPPorto con le autorità nazionaliUna volta ottenuto il mandato da parte dell’azienda che vi darà incarico di elaborare un progetto d’evacuazione, sarà vostro dovere, ancora prima di recarvi in zona di operazioni, prendere immediatamente contatto con l’Unità di Crisi e successivamente, una volta giunti sul posto, contattare la locale rappresentanza diplomatica, registrarvi presso la locale ambasciata od al consolato, chiedere un appuntamento con qualcuno dei massimi rappresentanti diplomatici e spiegare il motivo della vostra presenza nel paese. Quando avrete poi effettuato la valutazione sul rischio e preparato il progetto d’evacuazione, vi suggerisco di tornare nella nostra sede diplomatica e di lasciare copia dello stesso ad un incaricato, così come importante sarà che vi confrontiate sempre con l’Unità di Crisi che potrà essere coinvolta nella vicenda evacuazione, qualora questa si rendesse necessaria. Ho sempre constatato come, rapporti basati sul rispetto dei ruoli, sulla collaborazione e sulla fattiva disponibilità, abbiano sempre dato ottimi risultati. Non dimentichiamoci mai però che sul terreno ci siete voi e non aspettatevi un aiuto che a volte potrebbe non arrivare per giorni. Meglio sarebbe se foste in grado, con la vostra preparazione e con la professionalità cui dobbiamo sempre aspirare, di essere incasellati fra le soluzioni e non fra i problemi.

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NUoVa PiattaFoRma aDDestRatiVa PRo-taRGet RaNGe

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K9EXPLOSIVE DOG TEAMIN HOSTILE ENVIRONMENTOPERATIONS

Di Gianpiero Spinelli

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Il cane è universalmente riconosciuto quale migliore amico dell’uomo, non ci sono dubbi, ma nel caso specifico delle operazioni delle force protection, è considerato un elemento indispensabile ed unico per la salvaguardia dell’operatore (e non solo). In Iraq ho avuto modo di verificare cosa, questi animali meravigliosi, riescono a fare e soprattutto quante vite giornalmente salvano grazie al loro lavoro, considerato vitale ed indispensabile. Queste unità specializzate, chiamate in gergo K9 team, composte da cani altamente addestrati, condotti da accompagnatori a loro volta professionalmente preparati, vengono utilizzati all’interno delle operazioni di difesa e sicurezza negli ambienti considerati non permissivi per diversi incarichi. Effettuano servizi di ricerca e riconoscimento di ordigni esplosivi, vigilanza e protezione dei perimetri e degli ingressi fino alla protezione vip, inseriti all’interno di team di close protection. Il loro servizio non può essere considerato ausiliario a quello dell’uomo ma assolutamente indispensabile, perché questi cani hanno la capacità di capire ed agire con estremo raziocinio, autocontrollo e cognizione di causa. La capacità di percezione del pericolo, che trasmettono preventivamente al loro conduttore, li rende veri e propri operatori a quattro zampe. È importante partire da un presupposto importantissimo, il cane ha un olfatto che è superiore a quello di un uomo per ben 800 volte, che consente all’animale di percepire molecole odorose anche se presenti nell’ambiente in micro-quantità. Anche le alterazioni della superficie del terreno possono essere rilevate grazie all’olfatto, questo gli consente di percepire e riconoscere sostanze esplosive, anche se coperte con odori molto forti o ben occultati. Queste capacità rendono il cane un deterrente fortissimo per chiunque pianifichi un attentato con l’uso di sostanze esplosive di qualsiasi natura. Nel momento in cui, un cane addestrato ha detectato e riconosciuto l’esplosivo, ne indica la presenza al suo conduttore attraverso una gestualità precisa, dopodiché il conduttore richiama il cane ed attiva immediatamente le squadre EOD che si occupano della bonifica e della distruzione dell’ordigno rilevato. Il periodo d’addestramento necessario a formare un cane, per questo tipo di operazioni, dura in media due anni, durante i quali, sotto forma di gioco, viene addestrato a riconoscere i vari tipi di esplosivi. Un buon cane, dopo un addestramento specializzato, è in grado di detectare e riconoscere una moltitudine di esplosivi tipo RDX. TNT, PETN, SEMTEX, IED di varia natura , UXO, Detonators & Squibs, Dynamites, Ammonium Nitrate, Water Gel, Keno Pouch, Tovex, Potassium & Sodium Chlorates,

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Nitromethane, Blackpowders, Firearms & ammunition, Land Mines, Homemade Bombs, Backpack/suitcase & Vehicular Delivery Systems, Improvised & Concealed Configurations, Classified & Foreign Materials. Le sue capacità di combattimento vengono messe in evidenza nei servizi di protezione ed anti-terrorismo, dove, inserito all’interno di un team di protezione, rappresenta un deterrente psicologico fortissimo. Grazie alla sua velocità d’azione, tengo a ricordare, che un cane perfettamente addestrato può facilmente raggiungere i 45 km/h durante un attacco lanciato per 50 mt, sviluppando una forza di morso di circa 300 kg. Quest’azione combinata è in grado di uccidere un uomo in tempi brevissimi.

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Nonostante l’uomo sia addestrato a difendersi, avrebbe sicuramente la peggio contro un cane preparato e soprattutto consapevole della propria forza e delle proprie scelte d’attacco. All’interno di un team di protezione, i cani, vengono posizionati all’interno del secondo cerchio protettivo, uno all’altezza del team leader, per la precisione sul lato destro e l’altro all’altezza dello shift leader, sul lato sinistro. In caso di avvicinamento di una sospetta ostilità, avvertendo la situazione, sia i cani che i conduttori, ingaggiano la minaccia, coperti da due shooter, permettendo al team di chiudersi a riccio. L’attacco del cane è bloccato, lo stesso viene richiamato dal suo conduttore, sempre controllando l’ostilità in caso i PSD si rendano conto che non esiste più nessun tipo di pericolo. È importante ricordare che questi cani devono possedere un equilibrio ed una resistenza formidabile perché devono essere abituati ad operare anche in climi estremi, in situazioni anomale, che spaventerebbero qualsiasi altro animale, come ad esempio un conflitto a fuoco. In questo caso il cane deve essere in grato di non spaventarsi con rumori assordanti, improvvisi e continuativi come in un confronto armato, dove più persone sparano contemporaneamente. Il cane deve soprattutto, in queste situazioni, essere in grado d’interfacciarsi perfettamente con il suo conduttore, non essendo di intralcio all’operazione, ma muovendosi in coordinazione e sempre in base ad ordini prestabiliti. Anche nei servizi di sicurezza planimetrica, al seguito di unità di static security, i

cani vengono utilizzati costantemente. In questo tipo di servizio i cani vigilano i perimetri e grazie al loro udito (l’udito del cane riesce a registrare frequenze Max di 35000 vibrazioni/secondo a differenza dell’uomo che può registrarne max 20000), riescono a percepire la presenza di un uomo in avvicinamento anche a lunghe distanze, allertando il personale di sicurezza e preparandosi ad un eventuale scontro, nel momento in cui l’ostilità entri nel suo settore di controllo. Oggi, molte PMS’C allevano ed addestrano cani di varie razze, da impiegare nei più svariati servizi di sicurezza. La selezione è molto accurata ed affidata ad esperti d’altissimo livello. Le razze principalmente selezionate per questo tipo di servizi sono rappresentate dai cani da pastore, come il pastore tedesco ed il pastore belga malinois, che in questi ultimi anni ha sbalordito per la sua duttilità e per la capacità di apprendimento. Molte altre razze sono sapientemente utilizzate per lo scopo. Molti cani saranno utilizzati prossimamente anche nelle operazioni di sicurezza marittima, imbarcati su navi mercantili ed in grado d’impedire qualsiasi azione d’abbordaggio ed invasiva da parte di potenziali pirati. I-Protego Defense & Technologies, in collaborazione con uno dei più grandi esperti del settore K9, l’americano Alex Dunbar, ex Marines Recon, oggi titolare di CQBK9 e di altri esperti italiani, sta elaborando soluzione integrate uomo/tecnologia/cane, per trovare soluzioni intelligenti atte a fronteggiare il problema della pirateria con l’aiuto dei nostri amici a quattro zampe.

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MiniMuM MoveMent MaxiMuM result

Di Decimo AlcAtrAz

A sinistra Alberto Gallazzo a destra Arik Goldenberg, direttore dipartimento arti marziali dell’Accademia anti terrorismo LOTAR

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Il mondo militare è ricco di motti affascinanti, dal piglio a volte retorico ma animati da valori semplici, forti ed assoluti. Nel campo del combat corpo a corpo, sviluppato per esigenze militari e law enforcement, gli israeliani sono sempre sul filo del rasoio, sospesi tra la prevenzione degli attacchi e la repressione, che non può prescindere dal valore personale e dal coinvolgimento fisico diretto degli operatori di sicurezza. All’accademia LOTAR, sede delle forze antiterrorismo dell’IDF, ogni giorno, si modificano le tecniche d’allenamento e d’ingaggio nel combattimento, in base agli attacchi subiti, alle reazioni espresse ed ai risultati conseguiti. La testimonianza diretta di chi è coinvolto negli scontri, le riprese delle migliaia di telecamere piazzate ovunque a scandagliare ogni metro di strada ed ogni secondo di attività, la capacità analitica e la volontà statistica del personale impegnato nell’information gathering, sono le fonti a cui attingere per definire i nuovi metodi e sistemi. Arik Goldenberg, al LOTAR, è direttore del dipartimento di sviluppo combat ed arti marziali ed istruttore capo delle unità speciali israeliane e straniere. Il suo approccio è riassumibile in un motto,

che ha il sapore dell’esperienza e del sangue: “minimo movimento, massima efficacia”. Il sistema che Arik ha sviluppato ha un nome secco come la sabbia del deserto: “Stay Safe”. Come preparazione fisica di base per addestrare i team spec ops di mezzo mondo ha scelto il Tacfit e si è certificato istruttore di primo livello a Firenze, nel corso del mese di marzo. I due metodi, sembrano quasi una contraddizione in termini, se osservati superficialmente: perché un combat sviluppato per gli ambienti chiusi, per le distanze impenetrabili, per i movimenti ultra essenziali, chiede supporto per il condizionamento fisico specifico alla disciplina, che nel massimo range di mobilità articolare ricerca l’alta intensità più esasperata? La risposta è semplice e funzionale, come tutto ciò che Arik ricerca e propone, con la convinzione che corpo e cervello, sotto stress violento ed immediato, recuperano e reagiscono efficacemente, solo se possono attingere da riserve estremamente facili da attivare. Il krav maga che Arik insegna è sviluppato per poliziotti e militari, uomini e donne, professionisti, equipaggiati con una quantità tale di apparati, che ne limitano pesantemente

Addestramento US Marines Corp

in preparazione della missione in

Afghanistan

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i movimenti. Se funziona per loro nelle situazioni di massimo rischio, si adatta perfettamente alle necessità dei civili, meno skillati mentalmente e fisicamente, ma sicuramente più liberi da impacci e più sciolti nei movimenti. Torniamo ai militari e cerchiamo di capire come Tacfit e Stay Safe Krav Maga si supportano a vicenda. La domanda che Arik ed il suo team d’istruttori si sono posti per anni viene dall’osservazione diretta sul campo di centinaia d’aggressioni e di altrettante reazioni: perché personale professionistico addestrato ad agire sotto stress, nel momento dell’ingaggio reale, a volte reagisce in maniera scomposta, altre volte attua comportamenti opposti a quelli richiesti ed altre ancora non reagisce? E’ il sistema di combat che presenta delle lacune? Oppure è la preparazione e la selezione fisica che non definisce dei parametri sufficienti a dare buone garanzie? La risposta è nella fisiologia dell’organismo umano e nei processi neurologici che s’innescano sotto stress. Lo stress da combattimento è stato definito come la percezione di un immediato ed imminente rischio riguardo un grave danno, fino alla possibilità di morte, per sé stessi o per una terza parte che si deve proteggere, in condizioni in cui il tempo di risposta e di decisione è drammaticamente breve. Benché gli effetti del combat stress siano conosciuti da centinaia d’anni – vista a tunnel, diminuzione della capacità uditiva, perdita di abilità motorie basilari, comportamento irrazionale ed incapacità a leggere con chiarezza la

realtà circostante - pochissime ricerche sono state condotte per capire il perché del deterioramento di queste performance. Tutto ciò avviene a causa dell’attivazione del Sistema Nervoso Simpatico (SNS), che si accende quando il cervello percepisce un pericolo per la sopravvivenza, con il risultato di un’immediata scarica di ormoni dello stress (cortisolo, aldosterone, adrenalina). Questa massiccia scarica prepara il corpo per quella reazione che viene definita “fight or flight”, combatti o scappa. I sintomi più evidenti sono dati dall’incremento del battito cardiaco e della pressione sanguigna, dall’afflusso di sangue ai muscoli più grandi, dalla vasocostrizione soprattutto delle estremità, dalla dilatazione delle pupille, dalla cessazione dei processi digestivi e da tremori muscolari. L’attivazione dell’SNS è automatica e virtualmente incontrollabile: è un riflesso incondizionato alla percezione del pericolo. Sono state individuate sei diverse variabili, che hanno un impatto immediato sul livello di attivazione dell’SNS: il livello di pericolo percepito, l’intento dell’aggressione, l’escalation dal rischio di ferimento all’eventualità della morte, il tempo necessario a reagire, il livello di confidenza nelle capacità personali e nel proprio addestramento, l’esperienza nel gestire pericoli specifici ed il rapporto tra affaticamento fisico e stato di ansia. La cosa certa è che, una volta attivato, il SNS scatena una serie di cambiamenti fisiologici, il primo dei quali è l’incremento del battito cardiaco, che

Addestramento US Marines Corp

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nel giro di un secondo, dai livelli normali di circa 70 battiti/minuto, schizza ad oltre 200. Questo provoca un collasso dei tre sistemi primari di sopravvivenza di ogni essere umano: la capacità visiva, i processi cognitivi e le abilità motorie. Ecco dunque il nesso forte tra Stay Safe Krav Maga e Tacfit: prima si riesce a resistere e poi a recuperare dallo stress indotto, più crescono le possibilità di poter attuare quei movimenti immediati, in grado di sorprendere l’avversario, quanto più imprevedibili e vari, seppur semplici.• fine motor skills: i collegamenti occhio/mano e

ancor più la reattività delle dita, indispensabile ad esempio per tirare il grilletto e quindi fare fuoco

• complex motor skills: tutti quei link che comandano la piccola muscolatura del corpo indispensabile per garantire stabilità, bilanciamento e coordinazione e determinano quindi l’efficacia della reazione immediata a corta e cortissima distanza

• gross motor skills: la grande muscolatura di petto, schiena e gambe che attiva le percussioni di braccia, i calci, le cariche a testa bassa.

I tradizionali sistemi di condizionamento fisico per il CQB (Close Quartier Combat) lavoravano in maniera pressoché esclusiva su queste ultime capacità motorie, considerando funzionalmente perdute, intenibili od ingestibili le prime due, sotto l’effetto del SNS, se si considera che al 75% del

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Membri del Gruppo K9 dell’Israeli Defence

Force

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massimo range cardiaco i fine motor skills vengono normalmente azzerati ed i complex motor skills ridotti al 20% della loro funzionalità originaria. La grande rivoluzione del Tacfit, nel condizionamento tattico professionale, sta nell’aver elaborato un sistema che allunga il tempo di resistenza cardiaca ad una soglia non limite, ma soprattutto nell’aver individuato un sistema di recupero più rapido di qualsiasi altro e che garantisce quindi un reintegro delle capacità motorie di base nel loro complesso. Questo è il segreto che Arik Goldenberg ha colto, sperimentato e che oggi utilizza nell’addestramento dei soldati scelti, che da tutto il mondo affluiscono al LOTAR di Tel Aviv per migliorare le proprie performance nel combattimento corpo a corpo. Incontro Arik a T-Lab, una palestra del quartiere San Frediano, nel centro storico di Firenze. Pochi convenevoli e subito tre ore secche di training. Il krav maga, evoluzione Stay Safe, rappresenta il vertice alto di un triangolo letale, alla cui base stanno le parole sorpresa e creatività, mentre al suo interno è inscritto un solo concetto base: la semplicità. Durante l’allenamento con Arik, una cosa la capisco. Semplicità di movimento, essenzialità della forma, rapidità di scelta e di cambiamento dipendono dal cuore. E una volta tanto non solo inteso come coraggio, ma proprio come muscolo involontario, il cui battito può assordare i sensi oppure esaltarli. Alla

Counter & Anti Terror Academy dell’Israeli Defence Force, dove ogni settimana i corpi più speciali del mondo fanno visita per impratichirsi nelle moderne tecniche del combat corpo a corpo, hanno scelto di assegnare al Tacfit il compito di migliorarne i tempi ed i modi di recupero. Con un solo scopo dichiarato: salvare almeno una vita in più di ieri nei mille conflitti che attraversano questo pianeta. “Come militare ricerco tutto ciò che è funzionale per sopravvivere. Il combat Stay Safe rappresenta l’evoluzione del krav maga in base alla realtà più esasperata che oggi ci troviamo ad affrontare. Avevo bisogno di un sistema di condizionamento che lavorasse funzionalmente per le nostre esigenze, non esclusivamente fisiche, ma anche neurologiche e psicologiche. Il Tacfit mi garantisce questo, oltre a permettermi di diminuire il numero di operatori che s’infortunano durante il training fisico e consegnarmene un elevato numero davvero preparato ad affrontare le sfide del training operativo e poi gli scontri sul campo. Abbiamo bisogno di recuperare in fretta dai più alti livelli di stress, sia per migliorare le performance durante l’ingaggio, sia per poter tornare operativi nel minor tempo possibile. Dobbiamo economizzare il dispendio di energie, attingere a tecniche semplici ed efficaci, recuperare la normalità delle funzionalità organiche e fisiologiche”. Minimo movimento, massimo risultato: semplice!

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Addestramento US Marines Corp

in preparazione della missione in

Afghanistan

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L’ASP Tactical Baton Friction Loc 21’ Chrome, è un distanziatore di sicurezza telescopico il cui utilizzo è indirizzato alla difesa personale dell’operatore di polizia. Questa tipologia di prodotti sono in uso da oltre 20 anni negli USA e nei paesi facenti parte del Commonwealth e recentemente sono stati adottati dalle forze di polizia francesi e spagnole.

L’AZIENDA

La ASP - Armament System and Procedures - ha sede ad Appleton, nel Wisconsin (USA) ed è un’affermata azienda fondata nel 1975 da Kevin PARSONS. E’ ufficialmente fornitrice delle agenzie di polizia e militari di oltre 80 paesi nel mondo ed ha all’attivo la produzione di svariate categorie di prodotti dedicati al settore del Law Enforcement, ma ha raggiunto livelli di leader nella produzione dei tactical baton estensibili, dei simulacri da addestramento riproducenti armi denominati “Red Gun”, di varie tipologie di manette e tactical led lights. Per ASP fallire è un’opzione non contemplata, non possono esserci margini d’errore nella produzione ed assemblaggio dei prodotti, in quanto servono “a proteggere coloro che ci proteggono”.

STRUTTURA

Il distanziatore è prodotto interamente in acciaio AISI 4140, ad alto tenore di carbonio, materiale che possiede maggiori caratteristiche di elasticità, anticorrosione e resistenza, superiori del 25% rispetto agli acciai al Cr-Ni. Questo tipo di acciaio non viene prodotto negli USA ma importato dalla Germania e successivamente, su specifiche ASP, lavorato e trasformato da un’azienda americana. Si tratta, infatti, della stessa tipologia d’acciaio utilizzato nella costruzione delle pistole mitragliatrici Heckler & Koch MP5. La finitura della superficie esterna è composta da un trattamento cromato lucido che ne conferisce un’alta percezione di visibilità in caso di utilizzo. Il distanziatore chiuso è composto da tre segmenti telescopici, di diverso diametro, a scorrimento interno; la lunghezza, da chiuso, è di circa 19 cm, mentre

La “FErrari” dELLE “LESS LEThaL wEapoNS” ad uSo di poLizia.

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aSpDi FABiO ROSSi

TacTical BaTon FricTion loc 21’ chrome

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la lunghezza totale in estensione è di circa 50 cm ed il peso è di 460 gr. Il segmento di diametro maggiore, che forma l’impugnatura, è di struttura cilindrica, presenta un foro posteriore filettato, al cui interno è alloggiata la clip di ritenzione, alla quale è affidato il compito di mantenere il distanziatore in posizione chiusa di riposo. Un tappo, al quale possono essere applicati dei loghi personalizzati, chiude ermeticamente questo lato del segmento. Sulla parte opposta è presente un’altra apertura attraverso la quale, per mezzo dell’energia cinetica sviluppata dall’estensione del braccio dell’operatore, fuoriescono gli altri due segmenti. Quello centrale ha una sezione troncoconica, appositamente studiata e calibrata, per determinare il perfetto fissaggio delle porzioni, prossimale e distale, in posizione di completa estensione. Il segmento terminale ha sezione cilindrica e termina con un puntale, sempre in acciaio, a forma di “fungo”, completamente privo di spigoli vivi che potrebbero creare lesioni da taglio durante l’impatto. Il puntale, inoltre, viene utilizzato per la chiusura del distanziatore, che si ottiene facendolo urtare violentemente, con direzione verticale, contro una superficie dura. L’impugnatura è rivestita da un materiale spugnoso di colore nero ad elevato grip, che può essere facilmente sostituito qualora si deteriori per l’usura.

MODULARITA’

L’ASP Tactical Baton è disponibile in tre lunghezze: 16, 21 e 26 pollici e può essere facilmente personalizzato in 36 configurazioni in base al piacimento, all’utilizzo ed al

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contesto lavorativo dell’operatore di polizia, attraverso specifici accessori e finiture come meglio evidenziato nella foto annessa all’articolo. Sotto al tappo posteriore può essere aggiunto un frangi-vetri, composto da tre piccole punte di ceramica, utile in caso d’emergenza, per procedere ad una rapida rottura del vetro di un veicolo. Alcuni accessori tattici possono essere addizionati per elevare ulteriormente le potenzialità operative del prodotto. Il tappo posteriore può essere sostituito con altri, di dimensioni maggiorate, che ne aumentano la ritenzione, impedendo la perdita accidentale del distanziatore durante l’utilizzo. Lo stesso tappo può essere sostituito con un modulo contenente un piccolo erogatore di gas OC o con una piccola tactical led lights dalla potenza di 170 lumens. Sul puntale anteriore, invece, può essere posizionato un piccolo specchio di forma circolare, utile per poter ispezionare luoghi di difficile accesso, come la parte inferiore di un veicolo od il vano motore dello stesso.

REPORT DELLE PROVE E CONCLUSIONI

Il prodotto oggetto della recensione è utilizzato da circa 2 anni per lo svolgimento di corsi per la formazione di operatori di polizia e militari e non ha mai manifestato alcun tipo di problema strutturale o difetto. Ad ogni sessione di training è stato aperto e chiuso violentemente per decine di volte, richiedendo, saltuariamente, la regolazione della clip di ritenzione, alloggiata sotto al tappo posteriore. Per le prove è stato più volte immerso in acqua e, successivamente, lasciato asciugare all’aria

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aperta, senza riscontrare tracce d’ossidazione. In un secondo tempo è stato coperto con sabbia ed una volta estratto è stato aperto e chiuso senza mostrare alcun malfunzionamento. Lo stesso risultato è stato ottenuto, dopo averlo posizionato aperto sotto la ruota anteriore di un’autovettura, avendo cura di far gravare l’intero peso del motore e dell’avantreno sul punto d’incastro del secondo e terzo segmento. In conclusione, i summenzionati risultati hanno permesso di confermare che il prodotto testato si differenzia dagli articoli similari, reperibili in commercio, per le sue caratteristiche di altissima qualità ed affidabilità, per lo screening dei materiali e per la realizzazione davvero accurata dell’assemblaggio. E’ quindi possibile attestare che ci troviamo di fronte ad un valido ausilio difensivo non letale, che può essere trasportato al cinturone dell’operatore, all’interno dell’apposita fondina, con un basso profilo di impatto sull’opinione pubblica. La rapida apertura, in caso d’emergenza, verso l’alto o verso il basso, invece, può determinare, attraverso il caratteristico schiocco metallico, un notevole effetto deterrente nei riguardi di un possibile aggressore. La rigidità dei materiali impiegati permette di poter immobilizzare o disarmare un soggetto ostile, attraverso l’impiego di pochi colpi, accuratamente direzionati e destinati a far collassare le grandi fasce muscolari del corpo umano e cioè gambe e braccia. E’ convinzione dello scrivente che, tutte le categorie di “less lethal weapons”, debbano essere necessariamente associate a serie ed approfondite sessioni di training dell’operatore di polizia, impostate, non solo sulla mera esecuzione materiale della tecnica o sulla descrizione del prodotto, ma anche sulla gestione delle situazioni di pre-conflitto e post-conflitto e delle chiare regole d’ingaggio correlate all’applicazione dell’art 53 del C.P. sull’ ”uso legittimo delle armi”.

Si ringrazia:Mad Max & Co di Formello (Roma) importatore nazionale dei prodotti ASP e responsabile dell’organizzazione del Training ASP in Italia. www.madmaxco.com

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Di Giovanni Di GreGorio - Direttore StuDi StrateGici Del ceSa-Geopolitica

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Un aspetto importante per tutte le società operanti all’estero è la gestione delle emergenze in aree di crisi. Spesso le aziende devono salvaguardare i propri interessi economici in Paesi definiti “caldi”, dove la situazione politica e sociale interna ha riscontri tragici. Rivolte e ribellioni possono minare le economie di uno Stato, ma anche rapporti commerciali con aziende internazionali. A tal fine, le principali holdings, operano sul campo direttamente con managers di estrema capacità organizzativa e gestionale. Non solo organizzando effettivamente la sicurezza del presidio, ma svolgendo una vera e propria attività d’intelligence, atta ad assicurare la mission

aziendale. Creare una rete di collegamenti in modo da avere supporto locale in caso si manifestano situazioni d’emergenza. Della figura di Security manager parliamo con il dott. Domenico Di Petrillo, con esperienza pluriennale in società che operano all’estero nel settore energia e servizi. Già Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri presso la Presidenza del Consiglio, maturando una lunga esperienza operativa nella sicurezza dello Stato, in campo antiterrorismo - interno ed internazionale - lotta alla criminalità organizzata.

Dott. Di Petrillo sappiamo che alcune Società italiane del settore petrolifero operano in tutto il mondo con grande successo, anche dove altre società straniere dello stesso settore hanno fallito. In particolare, quando Lei ha diretto la funzione security in queste realtà ha fatto in modo che l’azienda raggiungesse i propositi prefissati, qual’è il suo segreto?

Non c’è un vero e proprio segreto! La Security aziendale è una funzione che potremmo definire “delicata”, “custode” dell’identità aziendale, che deve riuscire ad esplicare la sua attività in maniera corretta, trasparente e riconosciuta all’interno dell’azienda stessa, in coerenza con il codice etico che ormai quasi tutte le grandi aziende hanno. Questo è un aspetto di base molto importante, anche per sfatare gli effetti di recenti cronache, anche giudiziarie, sull’argomento, che hanno sanzionato comportamenti anomali e come dimostrato nei fatti, veramente dannosi per l’azienda stessa. Partendo da quest’assunto di base, posso aggiungere che in un’azienda, specie se essa opera in campo internazionale, la “Security” è una delle funzioni che deve operare in maniera “trasversale” a vantaggio/supporto di tutte le altre funzioni interne. Sono veramente pochissimi i settori in cui la security aziendale opera da sola, perché in un modo o nell’altro non può che interferire con materie di competenza di altre funzioni. Una delle attività che compie da sola è il monitoraggio delle situazioni di rischio: tra queste di rilievo, ad esempio, l’analisi della situazione socio-politico-economica dei Paesi in cui si opera e dei fenomeni che in essi possano riflettersi. Un’azione d’intelligence molto importante, che consente di prevenire criticità, di organizzarsi per tempo e gestire al meglio l’emergenza. La Security è insomma un “consulente” operativo interno. Di norma è collocata in staff al top management da cui riceve commitment e ruolo interno. Opera in base ad una “policy” di security, di norma edita dal Consiglio di Amministrazione della Società, in cui è esplicitato l’approccio che si intende dare per la gestione di questo tipo di attività, in coerenza – come detto sopra – con il codice etico. I principi basilari di una policy di security sono: prevenzione del rischio, piani e procedure, monitoraggio e formazione di security mediante l’informazione. Fattori questi che dovrebbero coinvolgere il personale aziendale, a tutti i livelli, e favorire così l’abitudine a considerare anche gli aspetti di security nelle scelte e nell’operatività. Organizzazione,

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quindi, e costante “manutenzione” del sistema. Solo così il Cliente interno sarà ben supportato e soddisfatto e troverà “utile” coinvolgere la security aziendale nei suoi problemi. Ma la security, in effetti, se avrà fatto un buon lavoro di monitoraggio si farà trovare pronta al supporto se non addirittura già in campo. Posto quanto sopra, un formidabile fattore di successo va ricercato nella capacità, per le aziende, di integrarsi correttamente con le comunità locali dei Paesi in cui si opera, anche mediante attività “non profit” a loro vantaggio. Preferibilmente non mera dazione di danaro, ma piuttosto attività quali ambulatori medici, scuole, corsi di formazione, sponsorizzazione di attività economiche sul territorio tese a favorire la competenza sul lavoro, ecc.., che, utili alla crescita sociale, favoriscano il buon vivere locale. Ne deriva, peraltro, una reale ed effettiva sicurezza “indotta” per il personale e per le installazioni. A tal proposito, anche in rispetto alla disciplina internazionale per la tutela dei diritti dell’uomo (di norma ben recepita nel Codice etico e nella policy di security delle aziende) l’insediamento nel Paese sarà tanto più virtuoso quanto più sarà caratterizzato dal dichiarato rispetto, oltre che delle leggi locali, anche degli usi e costumi, favorendo il dialogo per la risoluzione delle controversie e limitando la necessità dell’”uso della forza” (sempre e solo da parte delle Autorità locali) solo allorché vi sia pericolo per la sicurezza fisica del personale dipendente.

Attualmente quali sono le nazioni estere a rischio dove operano aziende petrolifere italiane? Le conflittualità internazionali in atto sono molteplici e di diversa natura. Tra queste talune croniche e “molto” rappresentative quali:

• la crisi israelo-palestinese, che è alla base di molte criticità di carattere confessionale che contrappongono l’occidente, in particolare USA e UK, ai Paesi islamici;

• le crisi in Iraq ed Afganistan che contribuiscono ad innalzare il livello di scontro ideologico e politico che, insieme al primo, è alla base dell’esportazione del terrorismo nei Paesi occidentali.

Quelle più attuali sono localizzate nel Nord Africa e Medio oriente ove muovono venti infiammati di libertà e giustizia sociale. Questi conflitti sono interni e non esprimono pericoli diretti nei confronti delle aziende straniere e del personale espatriato, che può essere coinvolto solo se incappa in manifestazioni violente. In altri Paesi quali l’Arabia Saudita, lo Yemen, il Pakistan, ecc. esistono conflittualità di carattere estremistico confessionale, che espongono oggettivamente il personale espatriato e le stesse infrastrutture fisiche aziendali ad azioni terroristiche. In altri ancora, quali Venezuela, Messico, Paesi del centro America, ecc.., insistono forti implicazioni di criminalità comune ed organizzata, con esposizione del personale a sequestri di persona e rapine. La Nigeria è afflitta da criticità peculiari e composite, caratterizzate localmente nella regione del Delta da una forte criminalità che agisce in base ad un diffuso malcontento determinato dallo stato di indigenza e dalle promesse mai mantenute da parte dei Governi locali, di riversare su quelle stesse popolazioni i maggiori proventi derivanti dal petrolio; nella parte nord del Paese è fortissimo lo scontro tra cristiani e musulmani che spesso causa vere e proprie stragi.

Parlando di gestione delle emergenze in Paesi “caldi”, quali sono le metodologie da adottare per mitigare il pericolo e la salvaguardia dei propri dipendenti?

Ricollegandomi alla prima domanda, ribadisco che le aziende possono difendersi mitigando notevolmente i rischi mediante adeguate misure di sicurezza fisica alle installazioni, effettiva organizzazione di emergenze mediante piani e procedure di diversa natura, sensibilizzazione del personale mediante continua informazione ed educazione comportamentale. La predisposizione di piani d’evacuazione, strutturati con previsione di più livelli di criticità, cui corrispondano diverse azioni preventivamente pianificate, costituiscono la base e lo strumento di gestione delle emergenze. Al riguardo, se l’azione di monitoraggio viene effettuata accuratamente l’osservazione dell’innalzamento delle criticità porta al graduale assottigliamento delle presenze di personale espatriato, in modo da arrivare alla fase d’evacuazione con strutture ormai “leggere” e di più facile gestione. Spesso, all’azione propria, va associato il raccordo con l’Unità di Crisi del Ministero Affari esteri, per quegli aspetti di tutela diplomatica eventualmente necessari.

I media, spesso, hanno parlato di sequestri di persona da parte di ribelli, come in Niger, come affronta questo problema? Nella mia esperienza professionale ho avuto modo

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di gestire molti sequestri di persona, con ruoli professionali differenti. Tra questi, uno in Colombia nel 1996, con il sequestro di un dipendente espatriato da parte di una formazione guerrigliera locale. Il contratto con il Cliente prevedeva la proibizione di avere contatti con formazioni ribelli e soprattutto di pagare riscatti. La gestione dell’evento doveva quindi essere rivolta sia alla salvaguardia ed al recupero del dipendente sia, se possibile, alla protezione degli interessi aziendali. Non posso dire molto in dettaglio, ma la scelta vincente fu una corretta ed efficace integrazione con le Istituzioni locali, accompagnata da una buona azione di mediazione con i guerriglieri e da un costante “basso profilo” tenuto in ogni circostanza. In 6 mesi (in quel periodo il trend dei sequestri era molto più lungo) siamo riusciti a portare a casa il collega sano e salvo ed a proteggere il contratto. Questo comporta una certa esperienza professionale accompagnata da un’adeguata organizzazione aziendale.

A suo parere sarebbe opportuno che il personale operante in aree di crisi, effettui dei corsi preventivi per capire come poter affrontare tale emergenza?

In Italia, ma credo nel mondo, non esistono corsi idonei a gestire eventi del genere. Vi sono corsi universitari che consentono di acquisire una formazione di base sulle possibili metodologie da utilizzare, ma ritengo che sia l’esperienza, ed in particolare la maturità professionale, a fornire effettività a questo tipo di attività. Soprattutto per coloro che sono a capo di queste strutture. Analizzando con attenzione le citate cronache giudiziarie, si constata che gli eventi sono stati provocati da carenze di qualità di direzione che hanno finito per danneggiare l’immagine di tutto l’ambiente della security aziendale.

La convivenza con la popolazione locale, spesso risulta problematica per motivi di diversa natura. Un’azienda che opera in queste aree cosa dovrebbe fare? Mi riporto a quanto esplicitato nella parte finale della mia risposta alla prima domanda, ribadendo che ovunque nel mondo, in occasione delle criticità più diverse, l’approccio per mezzo di dialogo e del coinvolgimento, tipicamente “italiano”, nelle diverse tipologie di intervento, si è sempre confermato vincente ed alla lunga, più efficace. Aggiungerei anche più “umano” e rispettoso delle diversità. A quest’aspetto positivo di base va però aggiunto l’aspetto organizzativo adeguato, che dà effettività all’azione da intraprendere e proprio per questo, comporta credibilità.

Immagino che avrà avuto modo di confrontarsi con realtà di colleghi stranieri. Secondo lei, la figura di security manager in Italia ha sviluppato un’importanza degna del suo ruolo o bisogna ancora fare qualcosa? E che cosa? In Italia non è ancora sviluppato adeguatamente un sistema Paese radicato ed affidabile e da ciò ne deriva

uno “scollamento” tra Istituzioni statali ed aziende, anche nel campo della security. Dal punto di vista interno la funzione non è neppure presente in molte aziende, è anzi considerata un costo piuttosto che un investimento, ed altrettanto spesso è affidata a persone di scarso valore professionale, frequentemente relegate a ruoli di guardia piuttosto che di globale tutela degli interessi aziendali. Il tutto anche in presenza di normative quali la legge 231, che dovrebbero sollecitare livelli di organizzazione aziendale più strutturati a fronte di corrispondenti responsabilità anche penali, oltre che amministrative. In questo la security può dare un contributo fortissimo. Dal punto di vista esterno non vi è un raccordo informativo con le Istituzioni di sicurezza dello Stato, neppure in quelle aree del Paese caratterizzate da forte presenza di organizzazioni criminali di stampo mafioso. In tale ambito, i contatti con le Prefetture, non possono essere esaustive delle più stringenti necessità di scambio informativo. Nei casi più felici il raccordo tra security manager e membri delle Istituzioni è determinato da rapporti personali, piuttosto che da strutturate e trasparenti forme di collaborazione. Anche le aziende, tuttavia, si comportano in maniera reticente, pretendendo risposte dallo Stato senza, a loro volta, organizzarsi adeguatamente. La questione allora andrebbe regolata e l’iniziativa, in questo caso, non può che partire dallo Stato, in quanto unica entità socialmente competente a migliorare il sistema Paese citato. In molti Paesi stranieri, anche europei, la situazione è spesso migliore ove un sistema Paese è ben più radicato all’interno di una coscienza nazionale più diffusa che in Italia.

Infine, quali sono gli studi o che iter formativo dovrebbe seguire un individuo che voglia intraprendere la professione di security manager? E che consiglio darebbe? Tradizionalmente in Italia, i responsabili di security provengono dalle forze di Polizia o di sicurezza dello Stato. Portano in dote il loro bagaglio formativo e d’esperienza che va, però, adeguato alle diverse logiche che muovono in azienda. E questa versatilità non è affatto scontata, perché si può essere un ottimo carabiniere ma un pessimo responsabile di security, se non si è capaci di spogliarsi dalle vecchie logiche operative per assumere un diverso approccio ai medesimi problemi. Questo è in sostanza, ripeto, alla base della maggior parte delle citate cronache giudiziarie, oltre che di gratuiti e dannosi esercizi muscolari autoreferenziali di pretese grandi capacità di tutelare interessi aziendali legittimi. Quindi piedi ben piantati per terra e spirito autocritico. Molte Università stanno creando corsi specifici, in collaborazione con security manager più anziani, per (ove è possibile) trasmettere quella formazione di base necessaria che, tuttavia, poi va consolidata e testata “sul campo”.In ultima analisi, si delinea che la figura del Security Manager ha assunto un’importanza dirigenziale e strategica per lo sviluppo economico dell’azienda, anche quando essa si pone ad operare in situazioni di crisi o ad alto rischio.

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H&K MP5Di ROBERTO GLORiA E FABiO GARRAFA

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Il 30 aprile 1980 un gruppo di terroristi ha messo sotto sequestro l’ambasciata iraniana a Londra. Uomini in tuta nera e con maschere antigas (che li fanno sembrare dei grossi topi), irrompono dalle finestre e dalle cantine ed in un’operazione lampo neutralizzano i terroristi. Gli uomini dello Special Air Service, nell’operazione NIMROD, consacrano l’immagine dell’antiterrorismo con uomini vestiti di nero ed armati con MP5, da allora ogni corpo speciale li ha in dotazione. L’HK MP5 ha una lunga e blasonata discendenza. Nel 1930 Edward Steke brevettò il sistema per la moderna mitragliatrice MG42, l’arma che si adattò al nuovo concetto di guerra, da statica a Blitz Krieg (battaglia lampo), basandosi sul concetto di mobilità d’avanzamento e capacità di fuoco. Il concetto di movimento rese necessario disporre di armi automatiche, in particolare di mitragliatrici, che fossero in grado di essere mosse da un solo uomo, per poter avanzare rapidamente, al contrario di quelle fino ad allora utilizzate che erano in pratica simili a pezzi di artiglieria. La MG42 continua il servizio ancora oggi e speriamo tutti che resti operativa ancora per molto tempo, visti i risultati che in sì lunga carriera ha portato. Oltre l’MG42, anche le altre armi dovevano adattarsi al nuovo concetto, quindi si passò dal Mauser K98 alla dotazione di armi automatiche come l’Mp 40 e fucili d’assalto come lo Stg 44, rivoluzionando il concetto di fuoco. La fame di armi (da produrre in gran numero) richiese nuove tecniche di produzione. Si passò quindi dalle complesse fasi delle lavorazioni “per asportazione da macchina utensile” all’utilizzo della lamiera stampata, simile ad una catena di montaggio automobilistica. Dal progetto MG42 derivarono l’avveniristico Stg44 ed il prototipo Stg45, in seguito, le sorti della guerra e lo sbando della Germania portarono ad anni di dissesto e fughe di cervelli da una Germania divisa in due dal blocco comunista. Il dr. Vorgrimmler, di provenienza Mauser, nel 1949 in Spagna creò la CETME, realizzando il magnifico fucile omonimo. Automatico, a canna fissa e con sistema a rulli camerato inizialmente per il 7,92x39 (8kurz) e successivamente per il 7,62x51 e 5,56x45. Nella nuova Germania del 1950, ad Oberndorf-Neckar, dalle esperienze della Mauser, nasceva l’H&K, fondata dagli ingegneri Edmund Heckler e Theodor Koch, il cui motto aziendale, coerente con la mentalità teutonica, è “Niente compromessi”. L’HK dopo un iniziale periodo di ri-orientamento, durante il quale produsse macchine utensili e strumenti di precisione, nel 1956 presentò il fucile G3, di chiara derivazione CETME e nel 1965 presentò la “regina” delle machine pistol: il modello MP5 in 9x19. Successivamente arrivarono le varianti MP5K, MP5K-PDW, MP5SD, MP5N, MP5/F, MP5/10 ed MP5/40. L’MP5, mantenendo le medesime ristrettive specifiche costruttive, oggi viene prodotto, su licenza, in molti paesi: in Pakistan ed in Turchia, dove l’HK ha due immensi stabilimenti, in Saudi Arabia, in USA ed in Messico.

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L’arma L’MP5, a prima vista, ricorda l’MP40, calcio a stampella, corpo in lamiera, copri mirino tagliato all’indietro, stessa manetta d’armamento a sinistra con bloccaggio arretrato in asola sul fusto. Le similitudini tuttavia si fermano qui, perché se il primo ha il ritardo d’apertura a rulli e spara ad otturatore chiuso, il secondo lavora con un otturatore a massa e spara ad otturatore aperto. Il sistema consente di funzionare con un otturatore molto leggero, proprio perché non aggravato dal peso dell’otturatore e del contrasto di molla degli omologhi con funzionamento Blow back. Sparando ad otturatore chiuso, non essendoci masse in movimento (se non quella del cane), si ottengono maggiori benefici in termini di precisione e controllabilità. L’affidabilità del sistema consente di utilizzare munizionamento con le più svariate pressioni d’esercizio (dalle più fiacche alle più potenti). Il cuore del sistema è l’otturatore, composto in due pezzi, che scorre, dentro il corpo di lamiera, su delle guide preformate e su un’astina assiale alla molla di ritorno. La parte anteriore dell’otturatore provvede al bloccaggio della testa otturatrice tramite due rulli in acciaio, spinti nelle sedi laterali dalla parte posteriore dell’otturatore stesso. Al momento dello sparo, prima che l’otturatore arretri, i due rulli ruotano verso l’interno, spingendo indietro il porta-percussore. Il tempo in cui avviene questo ritardo d’apertura consente alla palla di abbandonare la canna e far si che la pressione in camera di scoppio scenda a zero prima di aprirsi espellendo il bossolo. Il limite di un’arma a raffica ad otturatore chiuso è il problema del “cook off”, che si manifesta quando, per effetto del fuoco continuato, la temperatura di camera raggiunge i 250°: la munizione che permane camerata per circa un minuto esplode da sola. Le soluzioni adottate, per quanto noto, esclusivamente dall’HK, sono: il dimensionamento della canna pari al fusto, nella zona di camera di scoppio (quindi con maggior capacità di dissipazione termica) e la realizzazione di una serie di sottili scanalature della camera di scoppio, lungo il senso della munizione, per dissiparne il calore verso l’esterno, ponendo l’arma in grado di reggere il fuoco prolungato senza inconvenienti. La stessa soluzione la troviamo nella serie G3 in 7,62 nato.

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HK MP5 usata per la prova

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La costruzione In un modo o nell’altro si torna alle esperienze belliche, che videro la nascita del concetto di lamiera stampata e rulli. Pur sembrando un concetto banale, dietro a questo sistema, vi è uno dei più sofisticati studi ingegneristici: basti pensare al dimensionamento dei rulli in funzione delle quote d’arretramento del corpo otturatore. Il timing di funzionamento è quanto mai complesso, anche se il risultato ottenuto può far sembrare il contrario. Pensando all’MG42, pur usando parte dei gas di sparo, si ha idea di come l’insieme dia garanzia di funzionamento, che

potremmo definire ad oltranza. Per evitare che l’otturatore possa rimbalzare in chiusura e dare maggior tenuta termica la testa dell’otturatore, questa è stata addizionata con 32 grammi di tungsteno. Il trattamento termico delle singole parti e la scelta di materiali sofisticati, rispettano la tradizione germanica della qualità senza compromessi. La realizzazione dell’arma avviene in sole 19 fasi di lavorazione, durante le quali la lamiera stampata viene sagomata e piegata su dime e “fermata” ai pezzi di collegamento con punti di saldatura elettrica. Ciò costituisce il corpo su cui si assemblano, per mezzo di tre perni rimovibili, le parti principali dell’arma: l’astina di presa anteriore, l’impugnatura ed il calcio. La canna, anteriormente sagomata per tornitura al diametro del fusto, viene fissata con un perno fermato con punto di saldatura e rappresenta l’unica componente che necessita di armaiolo per essere smontata. Sopra la canna vi è un tubo in lamiera che supporta il mirino anteriore ed al suo interno scorre la manetta d’armamento, che può essere bloccata in posizione arretrata con una rotazione verso l’alto. Non è presente l’old open, che lascia aperto l’otturatore dopo l’ultimo colpo. Si tratta di una precisa scelta di semplificazione: dopo l’ultimo colpo, la manetta di armamento si arretra manualmente e la si ruota in alto, bloccandola nell’asola. Fatto ciò si cambia il caricatore e si abbassa la manetta che, spinta dalla molla di ritorno, camera il colpo. Nella parte posteriore s’incastrano il calcio e l’impugnatura, entrambi fermati con perno rimovibile. L’impugnatura, nella parte anteriore, viene fermata prima del caricatore con un altro perno rimovibile. L’otturatore, in due pezzi, si infila nella parte posteriore previa rimozione del calcio. L’impugnatura, in materiale plastico, accoglie l’intero gruppo di scatto che viene tenuto dalla sicura. Il gruppo di scatto, con la sola aggiunta o rimozione di pochi pezzi, permette la configurazione a colpo singolo, a raffica da 2 oppure 3 colpi o raffica continua. Il calcio, in materiale plastico, può essere sostituito con altri collassabili o ribaltabili lateralmente, secondo le preferenze dell’operatore. Il tubo sopra la canna ricorda le prese di gas, ma in questo caso ha due funzioni: far sì che l’asta tubolare all’interno possa spingere l’otturatore all’indietro per poter armare il primo colpo e bloccare l’otturatore in posizione aperta (ruotando la manetta in alto). Durante il fuoco la manetta rimane al suo posto perché non vincolata all’otturatore. Il ritorno dell’otturatore in batteria avviene per azione della molla assiale al guida-molla, che agisce sulla sua parte superiore fungendo da terza guida. Il sistema è simile anche nel G3 di cui mutua, oltre alla minuteria, anche gruppo di scatto ed impugnatura. La resistenza alla corrosione in ambienti salmastri, tipici dell’ambiente operativo di reparti speciali che operano anche in mare (come ad esempio i Navy Seals e corrispettivi in tutto il mondo), ha imposto trattamenti superficiali ad alta resistenza come il gun kote, che dà resistenza ad agenti corrosivi, vapori salmastri ecc. La Brugger & Thomet svizzera, si specializzò nell’assemblaggio delle parti trattate con questa resina e nella costruzione di silenziatori con innesto rapido sul tri-lug della canna.

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Otturatore chiuso visto di lato e otturatore chiuso con rulli in fuori

Otturatore in apertura visto di lato e otturatore in apertura con rulli in fuori

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configurabile secondo esigenze operative e preferenze dell’operatore, con illuminatori, designatori laser e con sistemi di puntamento ottici. Inizialmente è stata utilizzata l’ottica Zaiss o Hensoldt 4x32 che ha reticolo german post, ma oggi i più utilizzati sono i sistemi olografici tipo Eotech, che consentono l’utilizzo con visori notturni oppure tipo Aimpoint, a punto rosso. Il sistema d’aggancio dell’ottica può essere il claw mount HK o su una slitta a standard NATO, compatibile con l’attacco integrale alla parte superiore del fusto. Il calibro 9mm, quando sparato in canne lunghe, offre buona capacità d’invalidazione, con un raggio d’azione di 100mt, entro cui la velocità di ripetizione del colpo ed il volume di fuoco consentono di coprire le esigenze operative. Il calibro 9mm consente inoltre il trasporto un numero consistente di colpi. Sono inoltre sono disponibili caricatori con capacità fino a 100 colpi. La scelta del cal 9x19 è valida in funzione della potenza espressa se usata in canne lunghe. Facendo riferimento al “power factor”, esso raggiunge valori maggiori rispetto alle armi corte in pari calibro. Il caricamento classico del 9mm è con palla da 115grs, normalmente utilizzata in azioni di polizia. Per poter contare su una maggiore potenza invalidante, in particolare nelle lunghe distanze, viene utilizzata (specialmente in USA) la Winchester 147grs Hallow Point. Ciò è dovuto al maggior peso ed all’azione espansiva della palla. Se utilizzata con armi silenziate, dà maggior efficienza del silenziatore.

Fire test

Abbiamo provato l’arma nel poligono di tiro A.T.F. (Action Tactical Fire) di Cerveteri, in occasione del corso d’aggiornamento per istruttori ASO della Beretta (Accademia di Sicurezza Operativa), grazie alla cortesia del titolare Andrea Pellegrini, ex Maresciallo Tuscania. Nostro collaboratore fire tester, oltre lo scrivente, è stato Roberto Gloria, Istruttore ASO, ex Tuscania, membro del gruppo alto rischio Resurgit,che come al solito si è gentilmente prestato alla prova, fornendo la sua esperienza operativa ed il proprio know how. L’arma in questione è la versione MP5SFA3, (adottata per prima dall’FBI) che consente il solo tiro in modalità singola e che viene adottata dalle forze di polizia. L’assenza di fuoco

i caricatori

Il primo modello di caricatore da 30 colpi era configurato dritto, ma per migliorare l’alimentazione della 9mm, che ha profilo conico, è stato sostituito con altro a profilo curvo. Attualmente sono prodotti caricatori in materiale plastico trasparente che consentono di vedere il numero di munizioni residue, sono del 30% più resistenti di quelli in acciaio, hanno peso inferiore e sono accoppiabili, ad incastro, come quelli svizzeri del Sig 551.

La sceLta tattica

I reparti speciali preferiscono utilizzare una P.M. (Pistol Machine) che sia facile da trasportare, leggera, rinculo assente, facilmente

MP5 smontato

MP5 smontato ed accessori

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automatico può essere vista da molti come uno svantaggio, ma ricordiamo che, mentre i reparti militari possono aver necessità di disporre di un’arma a raffica, con cui fare fuoco di copertura, per le forze di polizia il fuoco a raffica è assolutamente non idoneo. Nell’uso di polizia o di intervento antiterroristico le qualità da ricercare sono la quantità di fuoco disponibile (numero di colpi a disposizione) e la massima precisione piuttosto che il volume di fuoco. (vedi anche la tabella del “Qualification Test”, utilizzato universalmente da militari e polizie e necessario per poter essere operatore abilitato con quest’arma). Che poi in Italia sia in uso per le forze di polizia la PM Beretta M12 è ben altro discorso. Come abbiamo detto l’arma è configurabile nelle varie versioni con la sostituzione del solo pacchetto di scatto. La versione con raffica controllata di 2 colpi per uso di polizia e di 3 colpi per uso militare, è stata scartata dallo US Navy, a seguito di un incidente. Questo ha comportato l’eliminazione della sola cammes a due o tre denti e relativo alberino d’ingaggio. Noi riteniamo inutile ogni sistema del genere, poiché un operatore addestrato dev’essere in grado di gestire da solo il numero di colpi da esplodere. La prova si è articolata in tiri veloci, in movimento, a 15 e 25mt e mirati a 25mt, con solo appoggio anteriore di fortuna, cercando di riprodurre un appoggio reale in fase operativa. L’arma è stata dotata di collimatore Aimpoint, che consente tiri precisi ma meno veloci in acquisizione di quanto possa consentire il reticolo Eotech. Complessivamente abbiamo esploso 300 colpi, durante i quali non si sono verificati inceppamenti. La cadenza in colpo singolo non fa ricercare il tiro automatico. Per testare il comportamento con le varie munizioni abbiamo mischiato nel caricatore: munizioni con palla da 115grs blindate Fiocchi, 124 grs flat noise Fiocchi, 125grs ramate, 124 grs Winchester. Non si sono verificate variazioni sensibili nel punto d’impatto o sensazioni

Roberto Gloria mentre ingaggia la sagoma a 10mt

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differenti nello sparo. Questo grazie soprattutto all’ottimo rompi-fiamma che livella le pressioni, dissipando efficacemente i gas di sparo, compensando le munizioni con carica più forte. La precisione è stata al di sopra delle aspettative e l’assenza di rinculo consente di non perdere mai di vista il punto mirato, con sequenze di tiro veloci sulla sagoma FIAS/IDPA. Nel tiro alla testa del bersaglio la rosata risente del movimento in camminata del tiratore ma nessun colpo è andato fuori bersaglio. Anche l’utilizzo della cinghia tattica è risultato veloce e comodo, poiché riduce il peso dell’arma. L’MP5 è dotato di un occhiello in lamiera sul lato sinistro del bocchettone di alimentazione, per il porto con la cinghia ad un solo punto di aggancio. Con questa cinghia è possibile la rotazione dell’arma a riposo, in posizione dietro la schiena, oppure permette di estrarre l’arma da fianco in maniera agevole non intralciando i movimenti dell’operatore.

aspetti negativi

Gli aspetti negativi dell’MP5 sono il costo (pari a quello di un Colt M4 in 5,56) e la diffusione sempre maggiore di protezioni balistiche che rendono il cal 9mm poco idoneo allo stopping power (a meno che si utilizzino munizioni speciali perforanti). Per questo motivo vi è la tendenza a preferire il 5,56 oppure la nuova generazione di PM, come ad esempio la P7 (che utilizza appunto una nuova munizione perforante). In operazioni clandestine ed in incursioni rimane la miglior scelta tattica. Nel CQB, viste le ridotte distanze

d’utilizzo, è da preferirsi al 5,56, anche in presenza di protezioni balistiche, perché entro i 5-8 metri, 3 o 4 colpi in zona toracica mettono fuori combattimento, temporaneamente, anche con vest balistici. Quindi, in questo caso, la silenziazione dell’arma e la ridottissima possibilità di rimbalzi sono da preferirsi rispetto ad armi in 5,56.

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Rosata effettuata a 15mt

speciFiche

Calibro9 mm Parabellum, .40 S&W, 10 mm AutoMeccanismosemiautomatica/automatica (A1, A2, A3)semiautomatica/automatica/raffica (A4, A5)Cadenza di tiro650 colpi/minutoPeso a vuoto2,540 kg (A2, A4), 2,88 kg (A3, A5)Peso con caricatore da 30 colpi2,710 kg (A2, A4), 3,05 kg (A3, A5)Lunghezza49 cm (A1), 68 cm (A2, A4), 49/68 cm (A3, A5)Lunghezza della canna22,5 cmCapacitàCaricatore da 15 o 30 colpi, caricatore doppiabile da 2×30 colpi, esistono anche drum da 100 colpi

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Rosata effettuata a 25mt

hK internationaL training Division mp5 QuaLiFication course

Range Rounds Position Fire Mode Reps Total Rounds

Time

50m 2 Kneeling Semiauto 3 6 3.0 sec

50m 2 Prone Semiauto 2 4 3.0 sec

25m 2 Standing Semiauto 3 6 2.0 sec

25m 2 Kneeling Semiauto 2 4 2.0 sec

25m 4 Standing Semi/Reload Drill

1 4 8.0 sec

15m 2 Standing Semiauto 3 6 1.5 sec

10m 3 Standing Fullauto 2 6 1.5 sec

7m 4 Standing Fullauto 2 8 2.0 sec

5m 3 Standing Fullauto 2 6 1.5 sec

Total Rounds: 50

START “LOW READY” POSITION/ PASSING SCORE = 80 2 PTS PER HIT.

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MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED

i 10 assidi picche

Le agenzie di polizia di tutto mondo hanno sempre realizzato e divulgato delle liste, a livello locale o nazionale, contenenti persone ricercate a causa dei loro efferati crimini. L’elenco denominato “Federal Bureau of Investigation’s Most Wanted 10 Fugitives List” è stato creato nel 1950 ed è il più famoso del suo genere. Con la globalizzazione della criminalità, la formulazione di una lista internazionale dei soggetti maggiormente ricercati, ricopre un’importanza sempre maggiore. La rivista d’economia e finanza “Forbes”, con la collaborazione e le informazioni fornite dalle forze dell’ordine statunitensi e del mondo, ha stilato un elenco contenente i “curriculum”

di dieci persone. Ciascun membro della lista è stato selezionato, in quanto risultato di grande “spessore criminale”, accusato o condannato per gravi reati anche a livello internazionale, soprattutto perché considerato una pericolosa minaccia per il mondo.

Osama Bin Laden

è attualmente l’uomo più ricercato al mondo e s’ipotizza sia nascosto in Pakistan, forse nella regione del Waziristan. Per molti anni è stato in grado di eludere la più grande caccia all’uomo nella storia internazionale,

Di FABiO ROSSi

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MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED

trovando sicuro rifugio nelle zone tribali ribelli lungo il confine fra Pakistan e Afghanistan. Bin Laden è nato in Arabia Saudita ed ha probabilmente poco più di 50 anni, è il leader di Al Qaeda ed è il più importante personaggio nel mondo del terrorismo internazionale. E’ stato incriminato dal Tribunale Federale di New York per gli attentati del 1998 alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania, che hanno provocato la morte di oltre 200 persone. E’ inoltre accusato di aver cospirato per uccidere cittadini americani al di fuori dagli Stati Uniti e soprattutto, per aver rivendicato la responsabilità per gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro il World Trade Center di New York, evento che ha causato circa 3.000 vittime. Il Dipartimento di Stato USA ha promesso una ricompensa di 25 milioni di dollari per la sua cattura, vivo o morto.

JOaquin Guzman

è il trafficante di droga più potente del Messico, gestisce la maggioranza del traffico internazionale di stupefacenti che in passato era monopolio dei colombiani, come Pablo Escobar. Guzman, soprannominato “El Chapo”, o “Shorty”, è il capo del Cartello di Sinaloa, specializzato nell’importazione di cocaina dalla Colombia e del successivo contrabbando negli Stati Uniti; attività che avvengono molto spesso attraverso l’utilizzo di tunnel scavati in prossimità del confine. Spietato e determinato, Guzman è emerso in seguito ad una sanguinosa lotta di potere che ha provocato migliaia di morti. E’ evaso da un carcere messicano nel 2001 dopo che il tribunale l’aveva dichiarato estradabile negli Stati Uniti per essere incriminato. Da allora è latitante ed il governo americano ha emesso una taglia 5 milioni dollari.

semiOn mOGiLevich

è un criminale di origine ucraina, anche noto come “Don Semyon” e “The Brainy Don” (per denotare il suo acume per gli affari). Le agenzie di polizia americane ed europee lo indicano come il “capo dei capi” di gran parte delle ramificazioni della mafia russa nel mondo, nonché “il più pericoloso mafioso a livello internazionale”. Sembra, inoltre, che controlli la compagnia RosUkrEnergo, azienda titolare del trasporto di gas naturale dal Turkmenistan ai paesi dell’Est europeo ed attivamente coinvolta in alcune dispute circa il controllo del prezzo di vendita del prodotto tra Russia ed Ucraina. Il 22 ottobre 2009 fu inserito dall’FBI nella lista dei dieci criminali più ricercati ed attualmente vive a Mosca.

aLimzhan TOkhTakhOunOv

Originario dell’Uzbekistan, noto come “Taiwanchik” per i suoi tratti asiatici, è uno dei volti che maggiormente s’identifica con la mafia russa moderna. Il Governo americano lo definisce come “figura di spicco a livello internazionale della criminalità organizzata euroasiatica”, è coinvolto nel traffico internazionale di droga, armi e veicoli rubati. Controlla le scommesse sportive ed è sospettato di corruzione nell’ambito degli eventi correlati ai XIX Giochi Olimpici Invernali svoltisi a Salt Lake City (Utah) nel 2002. E’ accusato di aver corrotto i giudici della specialità del pattinaggio artistico per favorire la squadra francese, derubando i canadesi Jamie Sale e David Pelletier della medaglia d’oro nella competizione a coppie. Gli Stati Uniti ne richiesero l’estradizione dopo il suo arresto in Italia, ma venne rimesso in libertà e scomparve, attualmente con molta probabilità si trova in Russia.

Osama Bin LadenJoaquin Guzman

Dawood Ibrahim Kaskar

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MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED

dawOOd iBrahim kaskar

è l’uomo più ricercato in India ed è a capo della D-Company, un gruppo della criminalità organizzata che ha il suo quartier generale a Mumbai. Figlio di un poliziotto, dirige attualmente un impero criminale coinvolto in ogni tipo d’attività illecita internazionale, tra cui il traffico di droga, la contraffazione, il contrabbando di armi e l’omicidio. E’ sospettato di aver organizzato nel 1993 alcuni attacchi dinamitardi a Bombay, che hanno portato all’uccisione di 257 persone ed al ferimento di 713. Si pensa anche che sia associato ad Al Qaeda. E’ stato dichiarato dagli Stati Uniti “terrorista globale” e le Nazioni Unite hanno cercato, con scarso successo, di congelare i suoi beni. Ibrahim, che oggi ha circa 55 anni, si trova nascosto probabilmente in Pakistan, anche se quel governo lo nega. Si ritiene che abbia stretti legami con i Servizi di Intelligence pakistani e che usufruisca per i suoi spostamenti di passaporti dell’India, dello Yemen, e del Pakistan. Voci affermano che sia stato sottoposto ad un intervento di chirurgia plastica per alterare il suo aspetto.

maTTeO messina denarO

Classe 1962, soprannominato Diabolik, è figlio di Francesco Messina Denaro (detto don Ciccio), storico capo del mandamento di Castelvetrano. Ricercato dal 1993 per associazione di stampo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto ed altro. Nel 2002 è stato condannato, in maniera definitiva, all’ergastolo nell’ambito del processo sulle stragi del 1993, quando la mafia cercò di costringere lo Stato ad una trattativa su alcune leggi, attaccando il patrimonio artistico Nazionale. Gli attentati furono quelli di Via dei Georgofili a Firenze, Via Palestro a Milano, Piazza San Giovanni in Laterano e Via San Teodoro a Roma. Attacchi che provocarono 10 morti e 93 feriti

nonché la distruzione di alcune opere d’arte a Milano ed a Firenze. La sua “carriera” inizia ufficialmente nel 1989 quando viene denunciato per associazione mafiosa. Nel 1993, assieme al padre, entra in regime di latitanza. Da quel momento in poi sarà prima il reggente e, poi, dal 1998 (in seguito alla morte per arresto cardiaco del padre) il capo ufficiale del mandamento di Castelvetrano. In seguito alla cattura di Vincenzo Virga avrà il controllo dell’intera provincia di Trapani. Dopo l’arresto di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, avvenuto nel 2007, si ritiene, che possa essere considerato il nuovo capo di Cosa Nostra. Dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, Messina Denaro può vantare importanti contatti con i cartelli sudamericani ed è considerato dall’FBI uno dei maggiori esponenti nel commercio mondiale della droga. I suoi interessi si muovono però

anche nell’ambito del traffico di armi e della macellazione clandestina, nonché nello sfruttamento d’importanti cave di sabbia del trapanese. Il 3 giugno 2010 i Servizi Segreti italiani hanno offerto una taglia di un milione e mezzo di euro in cambio d’informazioni che possano portare alla sua cattura. Il 27 luglio 2010, il pentito Manuel Pasta, in alcune sue dichiarazioni ha asserito che, nonostante la taglia che pende su di lui, le estenuanti ricerche ed arresti, egli avrebbe assistito, con alcuni esponenti della mafia palermitana, alla partita di calcio Palermo-Sampdoria giocata in casa allo stadio Renzo Barbera, del 9 maggio 2010.

FeLicien kaBuGa

è l’uomo più ricercato d’Africa in quanto accusato di essere stato la “forza trainante ed ispiratoria” di uno dei peggiori genocidi della storia umana. Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda sta ricercando Kabuga per “gravi violazioni nell’ambito della Convenzione di Ginevra, crimini contro l’umanità e genocidio”, in relazione al massacro di oltre 800.000 donne, uomini e bambini nei 100 giorni di terrore del 1994. Il ricco uomo d’affari è accusato di aver finanziato le milizie Hutu che si sono macchiate degli omicidi. Kabuga è il promotore della propaganda e dell’ideologia estremista Hutu ed ha incitato alla violenza contro la popolazione Tutsi del Ruanda. Si pensa che possa essere nascosto in Kenya.

PedrO anTOniO marin

Conosciuto come Manuel Marulanda, Marin è da molto tempo il leader delle FARC - Fuerzas Armadas Revolucionaria Colombia, un gruppo marxista istituito nel 1960 nello spirito delle ideologie di Fidel Castro. Attualmente è anche accusato di avere creato “business” nel traffico illecito degli stupefacenti ed in altre attività criminali, come i rapimenti con finalità di riscatto. Il

Semion MogilevichMatteo Messina Denaro

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MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED MOST WANTED

governo americano asserisce che i terroristi delle FARC controllano la maggior parte della produzione di cocaina in Colombia e forniscono più della metà della cocaina mondiale. Il governo americano ha emesso una ricompensa di 5 milioni dollari sulla sua testa. Notizie non confermate ne attestano la morte alla fine maggio 2008 a causa di un attacco di cuore.

JOsePh kOny

è considerato il capo della “Lord’s Resistance Army” (Esercito di Resistenza del Signore), un gruppo religioso di guerriglieri che ha cercato, con la forza, di instaurare un governo teocratico in Uganda. Sotto il suo comando, l’LRA ha commesso migliaia di omicidi, ha deportato 2 milioni di persone ed ha portato a termine il più alto numero di sottrazione di minori nel mondo. Kony ha diretto il rapimento di 60.000 persone, di cui 30.000 bambini, costringendoli a combattere nella sua campagna di omicidi, stupri, mutilazioni e schiavitù sessuale. La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura incriminandolo per 33 capi di imputazione tra cui crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

James BuLGer “whiTey”

Leader della Winter Hill Gang, una famiglia irlandese del panorama criminale americano con ha la sua sede a Boston. Famiglia che si occupa di racket, estorsioni e che controlla il commercio illecito di droga a South Boston. L’FBI lo sta ricercando da oltre un decennio per i suoi presunti ruoli in numerosi omicidi. Il suo patrimonio è stimato tra i 30 e i 50 milioni di dollari ed è ritenuto associato ad importanti imprese criminali in tutto il Nord America ed in Europa, tra cui l’Esercito Repubblicano Irlandese. Il quasi ottantenne, assieme alla sua fidanzata storica, sta utilizzando la ricchezza accumulata ed i suoi contatti per garantirsi la

latitanza. L’FBI ha emesso una ricompensa di 5 milioni dollari per la sua cattura.

Omid TahviLi

Tahvili è il cardine di una famiglia persiana dedita al crimine organizzato in Canada, ha collegamenti con le Triadi cinesi ed altri gruppi criminali a livello mondiale. Conosciuto come “Nino”, è recentemente evaso da un carcere di massima sicurezza in British Columbia dopo aver corrotto una guardia con la promessa di 50.000 dollari. Era in attesa di giudizio a seguito della condanna per sequestro di persona e violenza sessuale. Il governo americano lo ricerca in quanto è coinvolto in una megatruffa, perpetrata da una azienda di telemarketing, accusata di aver sottratto 3 milioni dollari ad anziane vittime americane.

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Alimzhan Tokhtakhounov Felicien Kabuga

Joseph KonyJames Bulger “Whitey”

Omid Tahvili

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SMF01San Marco FightingtnM ••• 118

coLtELLi tattici coLtELLi tattici coLtELLi tattici coLtELLi tattici coLtELLi tattici coLtELLi tattici coLtELLi tattici co

Di Fabrizio Pirrello

SCHEDA TECNICA SMF01 SAN MArCo FIgHTINg

Lama: acciaio inossidabile - RWL34Durezza: 59-60HRCSpessore: 5,8 mm - 0.228”Peso: 285 g - 10.05 ozrivestimento lama: IDROGLIDER GOLD® BlackMateriale manico: Mescola PP e TPELunghezza coltello: 26,5 cm - 10.43”Lunghezza lama: 14,5 cm - 5.70”Fodero: Cordura® 1100 + PP, 225 g - 7.93 oz

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SMF01San Marco Fighting

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Disegnato e realizzato in Italia dalla MAC di Maniago, azienda specializzata in lame d’autore. Come ogni progetto tutto nasce da un’idea: creare un’arma polivalente per utilizzo anfibio con delle funzionalità anche da survival. Il disegno è opera di Sandro Martinelli e Marco Bellani, esperti in arti marziali e tecnice di close combat. Nel progetto del San Marco fighting è trasfusa tutta la loro esperienza. Esaminando nel dettaglio il coltello ci accorgiamo subito dell’importanza dei dettagli e dei piccoli accorgimenti studiati appositamente per creare qualcosa di veramente unico. Il fodero in materiale plastico è appositamente disegnato per la lama del SAN MARCO, si tratta di un sistema estraibile ed utilizzabile separatamente per operazioni subacquee. Il fodero è infatti dotato di sistema di ritenuta per la lama e di alloggiamenti per una coppia di cinghioli in gomma sempre forniti in dotazione. Nella sua configurazione essenziale il SAN MARCO diventa un eccellente coltello da impiego subacqueo alloggiabile su polpaccio. I cinghioli in gomma aiutano ad ottenere un posizionamento estremamente stabile grazie al grip del materiale sulla muta da immersione. Nell’impiego di superficie il fodero in polimero nero, spogliato dei cinghioli in gomma, viene inserito in un alloggiamento in Cordura appositamente realizzato. Il fodero in Cordura è del tipo multi posizione, quindi, per fissaggio in cintura con sgancio rapido, alla coscia con distanziale e fascia elastica oppure con

sistema Molle. Un occhio a dettagli che aumentano l’ergonomia e la funzionalità del coltello SAN MARCO: il fissaggio della lama è ambidestro. Una serie di ritenzioni ambidestre e rimovibili completano la dotazione rendendo il sistema estremamente flessibile. La parte superiore del fodero in Cordura presenta un ulteriore alloggiamento che può contenere un multi tool o un caricatore da pistola o ancora un coltellino pieghevole di back-up. La chiusura è realizzata in velcro di ottima qualità.

LA LAMA

Unica lastra in acciao inox sinterizzato RWL 34 nello spessore di 5,8 mm con trattamento antiriflesso nero PTFE (durezza 59 HRC). La lama presenta un profilo a freccia con la parte bassa affilata a rasoio e la parte dorsale predisposta per affilatura,questo per quasi la metà della lunghezza della lama. La lama prosegue nella parte concava con seghettatura fino quasi alla guardia inferiore. In prossimità della guardia troviamo un altro dettaglio che denota estrema attenzione nel progetto: un incavo per l’indice nella posizione di presa avanzata del coltello. L’impugnatura smontabile a mezzo di viti denota una progettazione polivalente dell’arma. Le guancette dell’impugnatura sono in polimero nero con un grippaggio molto elevato, è possibile applicare un paracord in sostituzione delle guancette per ottenere un ulteriore configurazione dell’arma. I fori delle viti possono essere anche utilizzati per fissare la lama ad un asta trasformando il sistema in una picca.

NoTA DI DESIgN

L’impugnatura rappresenta una testa stilizzata di leone, simbolo del Battaglione Serenissima, come nel coltello San Marco utilizzato dai Lagunari nella II Guerra Mondiale. Uno stile inconfondibilmente italiano, dove il design si sposa perfettamente alla funzionalità.

VALUTAZIoNI

Eccellente prodotto per impiego in operazioni anfibie con particolare riguardo all’utilizzo subacqueo grazie alla qualità dei materiali impiegati. Il coltello è realmente un attrezzo polivalente potendo essere tranquillamente utilizzato sia nel combattimento che nel survival.

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ARTI MARZIALI ARTI MARZIALI ARTI MARZIALI ARTI MARZIALI ARTI MARZIALI ARTI MARZIALI ARTI MARZIALI ARTI MARZIAL

Quando qualcuno ci chiede perché, fra tutte le discipline possibili, abbiamo scelto proprio il Ninjitsu, siamo soliti rispondere che a volte “E’ meglio essere una pecora nera, che una pecora con la cintura nera!”. Questo non per offendere le altre arti marziali, che invece amiamo, rispettiamo e soprattutto pratichiamo, ma per chiarire fin dall’inizio che la nostra è un’arte diversa, basata su schemi e dinamiche notevolmente differenti da quello che è stato fino ad ora il “modus operandi” delle discipline marziali maggiormente conosciute. Del resto, anche dal punto di vista storico queste ultime erano finalizzate alla formazione di un Samurai, parola che letteralmente significa “colui che serve”, mentre le discipline secolarizzate con il nome di ninjitsu tendevano all’ottenimento di individui liberi da qualsiasi schema e fedeli solo a leggi legate ad una forma di armonia cosmica basata sul bilanciamento delle forze naturali. Infatti la prima cosa che colpisce di quest’arte è l’assenza di gerarchie. Nel ninjitsu si è tutti ugualmente importanti, dall’ultimo allievo al primo dei maestri. Questa disciplina non ha mai lasciato un virtuale campo di battaglia, e cioè non ha mai “stilizzato” il combattimento, continuando ad usare logiche la cui validità è stata comprovata da migliaia di anni di esperienza, che danno uguale importanza, al fine della sopravvivenza di un gruppo, sia all’operato della sentinella che a quello del generale che lo dirige. Anche il rituale del saluto, infatti viene effettuato in cerchio

e non con il maestro che fronteggia gli allievi. E quando necessitano ruoli di “comando”, ogni compito viene sempre affidato al più idoneo del gruppo in un regime estremamente meritocratico. Qualsiasi forma gerarchica in qualsiasi situazione è dunque del tutto naturale e basata su una pura logica operativa che da una parte rende quasi impossibile la nascita di conflitti, dall’altra impedisce la cristallizzazione delle posizioni, poiché chiunque abbia raggiunto un determinato livello, per mantenerlo deve continuare ad esprimere l’abilità richiesta dal livello stesso, qualora non avvenisse, l’individuo verrebbe sostituito con un altro maggiormente capace. Nel ninjitsu di conseguenza si vale per ciò che si “è” e non per ciò che si “è stati”, e per continuare ad “essere” è indispensabile continuare a “migliorare”. Non solo da un punto di vista fisico, ma anche e soprattutto da un punto di vista psicologico. Il ninja è sempre stato per metà “filosofo” e per metà “guerriero”, e non gli sarebbe stata sufficiente una sola di queste qualità per diventare leggenda. Quindi anche in una scuola moderna come la nostra, in cui il fine ultimo è la formazione umana, questa caratteristica è ritenuta fondamentale e la crescita nelle abilità mentali è stimolata allo stesso modo di quella nelle abilità fisiche. Infatti, da un punto di vista psicologico, “cercare un maestro” vuol dire “mettersi in discussione” e cioè volersi paragonare a qualcuno che possieda soluzioni migliori delle nostre. “Aver

ORgANIZZATI cON WeLLTOuR

gLI deLLA “KOshIKI Ryu”

Di Giuseppe Morabito

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trovato un maestro” vuol dire aver trovato effettivamente queste soluzioni, e cioé “crescere” assorbendole, e questo processo è più semplice quando avviene in termini paritetici, in un dialogo da uomo ad uomo, senza le pregiudiziali di un rapporto gerarchico uomo-semidio. In questo modo si giunge a definire con maggiore chiarezza i propri obiettivi esistenziali e cioè ad “evolversi” fino a raggiungere la capacità di “continuare a perseguirli” che è la massima espressione della “maturità psicologica”. Ma anche se la duplice evoluzione fisica e psichica può sembrare, da una parte, un punto di forza del ninjitsu, dall’altra ne rappresenta un limite di diffusione, in quanto molti di quelli che si rivolgono alle discipline del combattimento vogliono solo essere “ammaestrati” fisicamente. Non tanto perché non sentano la necessità di un’evoluzione interiore quanto perché ne hanno un certo reverenziale timore. Nietzche diceva che gli uomini sono più innamorati dei loro sogni che della realizzazione dei medesimi, è infatti molto più facile “sognare di essere” un maestro che “essere” un maestro, poiché ciò comporterebbe l’assunzione di una vasta serie di responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri, che solo pochi sono disposti ad accettare. E mentre in molte altre discipline esiste un percorso agonistico oppure estetico fine a se stesso che può da solo giustificarne la pratica, nel ninjitsu l’acquisizione delle capacità inerenti al coordinamento di un gruppo od alla trasmissione della propria conoscenza sono una tappa obbligata dell’evoluzione di un praticante, e ciò crea una grandissima selezione. Un ninja è un uomo soprattutto libero, e per poterlo essere deve possedere una piena ed autonoma capacità di gestione della propria libertà nel rispetto di quella altrui e delle regole della società in cui vive, così da non essere mai “pericolo” ma “punto di riferimento” per gli altri. Caratteristiche non comuni e forse non ottenibili da chiunque, poiché richiedono: intelligenza, logica, maturità e tecnica, nello stesso ordine di importanza in cui sono state enunciate. Quello che stupisce

è che la tecnica sia solo al quarto posto, mentre tutti pensano che debba essere posta al primo, solo perché è la più appariscente. Ma quanto senso può avere “l’apparire” nell’arte stessa “dell’invisibilità”? La tecnica è solo il fattore esterno di un’arte che si muove soprattutto all’interno dell’uomo, tanto è vero che per molti lati può essere annoverata fra le discipline esoteriche. Un’arte la cui logica non è facilmente comprensibile alla mentalità occidentale, molto spesso “portatrice sana” di un positivismo scientifico che doveva spiegare tutto, ma che tutto non ha spiegato.

“KoshiKi Ryu” stages estivi 2011Per tutti coloro che vogliono avvicinarsi a questa disciplina sono stati organizzati, in collaborazione con WellTour, quattro splendidi appuntamenti: il primo all’Annabelle Village di Creta dal 29 maggio al 5 giugno, il secondo al Welltour Club Porto Paros a Paros dal 17 al 24 giugno, per poi seguire con Welltour Club La Noria a Minorca dal 17 al 24 luglio e concludere con il Welltour Club Cala Llenya a Ibiza dal 28 agosto al 4 settembre, in cui si potrà unire una bellissima vacanza ad un corso di “Difesa personale e Psicologia del Confronto” tenuto dai migliori docenti della scuola. Il corso è aperto a uomini, donne e ragazzi dai 14 anni in poi, anche senza precedenti esperienze nelle discipline marziali. Avrà un costo estremamente limitato (250 Euro, escluse le spese di permanenza nei villaggi) e tutto il materiale occorrente (kimono, nunchaku, dispense didattiche, ecc.) verrà fornito gratuitamente dalla scuola e rimarrà di proprietà dei partecipanti. I posti disponibili sono limitati a 10 per settimana quindi è consigliabile prenotare con un certo anticipo. Per maggiori informazioni su può consultare il sito www.koshikiryu.it oppure contattare la segreteria operativa (Email: [email protected] - Tel. 335 5921122).

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Cybergun Italia Srl è la sede italiana del Gruppo Cybergun SA Francia che include: Inokatsu, Spartan Imports USA, Palco Sports USA, Soft Air USA, Spartan Imports Denmark, Cybergun Germany, Cybergun Hong Kong, Cybergun Tokyo, Tech Group Hong Kong, Tech Group UK, Tech Group USA.

Il Gruppo Cybergun è una società pubblica quotata sul NYSE Euronext con il simbolo CYB.PA e come tale i nostri report fianziari sono a disposizione del pubblico.

Collaboriamo per la produzione dei nostri prodotti con la Tokyo Marui, King Arms, Guay Guay G&G e molti altri. La Cybergun è l’unica azienda che produce prodotti in fabbriche con licenze ufficiali del governo Cinese.

I prodotti del Gruppo Cybergun sono distribuiti in Italia esclusivamente dalla Cybergun Italia Srl.

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Tanfoglio GOLD CUSTOM ERIC 2007TNM ••• 126

Di M. g.

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Eric Grauffel campione del Mondo e d’Europa cat. Open, collabora con Tantfoglio da oltre 20 anni

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PESO: 1297 gLUNGHEZZA: 213 mmCARICATORE DA: 18 BBsRAIL SPECIALE: incluso

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Eric GrauffEl & TanfoGlio

Eric Grauffel collabora con Tanfoglio dalla fine degli anni ‘90. Dal 1999 fino ad oggi si è confermato Campione del Mondo e d’Europa cat. Open ad ogni edizione dei campionati internazionali. Il rapporto tra Eric Grauffel e la famiglia Tanfoglio rappresenta una partnership preziosa per l’attività di ricerca e sviluppo che l’azienda porta avanti ed è caratterizzata da stima reciproca e da una comune passione

per l’evoluzione continua e la competitività delle pistole Tanfoglio nel mondo.

Tanfoglio GOLD CUSTOM ERIC 2007

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Nel 1993 Jérôme Marsac e Vincent Bouvet iniziarono il loro business partendo dal mercato francese e creando dal nulla la CYBERGUN. La CYBERGUN, a distanza di quasi 20 anni, è un colosso mondiale per quanto riguarda la riproduzioni di AEG (Air Electric Gun). Il successo di questa azienda è basato su un’idea semplice, che nel tempo si è rivelata essere geniale, e cioè quella di ottenere le licenze dai produttori di armi reali,

per rendere le repliche esteticamnete simili a quelle vere. Smith & Wesson® ha firmato il primo contratto nel 1997, seguita da COLT®, Sig Sauer®, Desert Eagle ™ e molti altri. Oggi il portafoglio comprende oltre venti licenze in esclusiva mondiale. Il 2010 è stato un anno di crescita organica e di acquisizioni strategiche. A gennaio CYBERGUN ha firmato un accordo di partnership a lungo termine con SPORTS JT, con sede a Bentonville, Arkansas, una figura chiave nel mercato paintball da oltre venti anni. Nel mese di maggio il gruppo ha acquisito INOKATSU, azienda taiwanese, leader nella produzione di repliche di alta fascia per il soft air. Un’altra recente aquisizione è stata portata a termine per il leggendario marchio Fratelli Tanfoglio. La Fratelli Tanfoglio snc è un’azienda specializzata nella produzione di armi corte che vanta una gamma di oltre 30 modelli di pistole da difesa e per uso sportivo. In ambito sportivo i modelli tanfoglio hanno dato la

possibilità a numerosissimi tiratori di primeggiare sui campi di tiro di tutto il mondo, in particolare, dal 1998 in poi il modello Tanfoglio Gold Custom si conferma campione del mondo e campione europeo di tiro dinamico I.P.S.C. I modelli da difesa Tanfoglio, apprezzati in tutto il mondo, sono in continua evoluzione per incrementare ergonomia, sicurezza e precisione. Essi rappresentano uno strumento ottimale per l’uso professionale e per la difesa personale; oltre ai modelli costruiti in acciaio, grande successo hanno ottenuto i modelli con fusto in polimero. L’operazione di acquisizione dei diritti di utilizzo del marchio rappresenta, per il mercato italiano, una vera novità, in quanto Tantfoglio è la prima azienda italiana produttrice di armi ad averne concesso l’utilizzo. La replica realizzata da CYBERGUN, su licenza Fratelli Tanfoglio, è la GOLD CUSTOM ERIC 2007, stessa arma utilizzata dal campione mondiale categoria open Eric Grauffel. La cessione dei diritti d’utilizzo del marchio Tanfoglio, come già abbiamo detto, rappresenta in italia una vera svolta commerciale e siamo convinti che a breve, altre blasonate aziende italiane produttrici di armi, possano seguire lo stesso esempio. Avere la possibilità di brandeggiare una replica di un AR/70 90 su licenza beretta, non ha prezzo... per tutto il resto c’è Tactical News Magazine.

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Stefano Valentini, CEO della Cybergun Italia presso il loro stand al’EXA 2011 di Brescia

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