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SUL DISEGNO DELL’ARCHITETTURA ROMANA DEGLI ANNI VENTI E TRENTA: APPUNTI. ghisi grütter Mentre in Europa nasceva e si diffondeva il Movimento Moderno, in Italia - o meglio a Milano - si manifesta il cosiddet- to Primo Futuriso quale tentativo di rottura nei confronti dell'ac- cademia. È del 1914 la mostra "Nuove tendenze" a Milano su "Città nuova" di Sant'Elia e può essere considerato l'unico con- tributo italiano alle avanguardie storiche. Si ricorda che la prima Guerra Mondiale (del 1914/1918) iniziò in Italia solo nel 1915 mentre quattro anni dopo la conclusione del conflitto ebbe luogo il 28 ottobre la marcia su Roma. L'avvento del fascismo contribuì a bloccare l'evoluzione moderna delle arti italiane, come succede più o meno in tutti i casi di governo totalitario dove i valori "tradizionalisti" prendo- no il sopravvento. Per avere ancora un'idea delle date si ricor- da che il De Stijl, il movimento olandese formato da architetti, pittori, scultori e scrittori, fu fondato nel 1917 con la nascita del- l'omonima rivista di Teo Van Doesburg, il padiglione di Barcellona di Mies è del 1929, la villa a Garches di Le Corbusier del 1927 e villa Savoy del 1931. A Roma, in quegli anni invece, sono ancora vivi gli echi degli stili Art Nouveau e Secessione Viennese. Anche nelle opere di Marcello Piacentini la decora- zione svolge ancora un ruolo importante; nella palazzina di Viale della Regina al n. 270 del 1913, disegna una pianta ad U, con doppio corpo scala e possibilità di affaccio diretto verso l'esterno, di derivazione funzionale ancora ispirata al villino, ma con quattro appartamenti a piano e ciascuno con ingresso di servizio, lunghi corridoi centrali di disimpegno, servizi igienico- sanitari molto stretti e profondi; le due braccia della U sono asimmetriche (dovuto alla configurazione del lotto), mentre la facciata principale su Viale della Regina, perfettamente sim- metrica con un alto basamento a un bugnato leggero, due bow windows con ordine gigante con interposta terrazza, schema compositivo che Piacentini ripete, in molte sue opere. La decorazione risente di riferimenti formali dell'architettura Liberty. Molto più sobria e la decorazione sui prospetti interni e quelli sui distacchi, nel rispetto del principio che solo il "prospet- to principale" dovesse possedere dei requisiti stilistici più ricchi. “Nella trasformazione di Roma si riassumono e confrontano, a partire dagli anni Venti, le varie anime del fascismo: da un lato il richiamo alla tradizione classica, dall'altro l'immagine della rivoluzione; da un lato il mito della civiltà romana, dall'altro la mistica dell'azione squadrista; da un lato i valori della Roma degli imperatori, dall'altro il sottobosco governativo; da un lato 1 Vittorio Morpurgo, palazzina in viale Regina Margherita n. 270; progetto del 1913.

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SUL DISEGNO DELL’ARCHITETTURA ROMANA DEGLIANNI VENTI E TRENTA: APPUNTI.ghisi grütter

Mentre in Europa nasceva e si diffondeva il MovimentoModerno, in Italia - o meglio a Milano - si manifesta il cosiddet-to Primo Futuriso quale tentativo di rottura nei confronti dell'ac-cademia. È del 1914 la mostra "Nuove tendenze" a Milano su"Città nuova" di Sant'Elia e può essere considerato l'unico con-tributo italiano alle avanguardie storiche. Si ricorda che la prima Guerra Mondiale (del 1914/1918) iniziòin Italia solo nel 1915 mentre quattro anni dopo la conclusionedel conflitto ebbe luogo il 28 ottobre la marcia su Roma.L'avvento del fascismo contribuì a bloccare l'evoluzionemoderna delle arti italiane, come succede più o meno in tuttii casi di governo totalitario dove i valori "tradizionalisti" prendo-no il sopravvento. Per avere ancora un'idea delle date si ricor-da che il De Stijl, il movimento olandese formato da architetti,pittori, scultori e scrittori, fu fondato nel 1917 con la nascita del-l'omonima rivista di Teo Van Doesburg, il padiglione diBarcellona di Mies è del 1929, la villa a Garches di Le Corbusierdel 1927 e villa Savoy del 1931. A Roma, in quegli anni invece,sono ancora vivi gli echi degli stili Art Nouveau e SecessioneViennese. Anche nelle opere di Marcello Piacentini la decora-zione svolge ancora un ruolo importante; nella palazzina diViale della Regina al n. 270 del 1913, disegna una pianta ad U,con doppio corpo scala e possibilità di affaccio diretto versol'esterno, di derivazione funzionale ancora ispirata al villino, macon quattro appartamenti a piano e ciascuno con ingresso diservizio, lunghi corridoi centrali di disimpegno, servizi igienico-sanitari molto stretti e profondi; le due braccia della U sonoasimmetriche (dovuto alla configurazione del lotto), mentre lafacciata principale su Viale della Regina, perfettamente sim-metrica con un alto basamento a un bugnato leggero, duebow windows con ordine gigante con interposta terrazza,schema compositivo che Piacentini ripete, in molte sue opere.La decorazione risente di riferimenti formali dell'architetturaLiberty. Molto più sobria e la decorazione sui prospetti interni equelli sui distacchi, nel rispetto del principio che solo il "prospet-to principale" dovesse possedere dei requisiti stilistici più ricchi. “Nella trasformazione di Roma si riassumono e confrontano, apartire dagli anni Venti, le varie anime del fascismo: da un latoil richiamo alla tradizione classica, dall'altro l'immagine dellarivoluzione; da un lato il mito della civiltà romana, dall'altro lamistica dell'azione squadrista; da un lato i valori della Romadegli imperatori, dall'altro il sottobosco governativo; da un lato

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Vittorio Morpurgo, palazzinain viale Regina Margheritan. 270; progetto del 1913.

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2Concorso per il Palazzodelle Società delle Nazioni aGinevra del 1926/27_pro-getti di Armando Brasini e diLe Corbusier.

Disegno di fantasia a car-boncino di AlessandroLimongelli, del 1927.

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il centurione, dall'altro l'impiegato. Fra tali antinomie si trovanoa lavorare gli architetti romani, ben radicati al presente e a cuinon difetta una certa dose di serio cinismo professionale divecchia data, che sembra tramandarsi di architetto in archi-tetto, quando non di padre in figlio. Caratteristica dell'ambien-te romano è infatti la presenza di "famiglie" di architetti, sia nelsenso di piú generazioni di una stessa famiglia, si vedano adesempio i Piacentini o i Busiri Vici (peraltro imparentati fra loro),sia nella accezione di gruppi che si formano all'ombra delpotere politico e religioso. "Famiglie" abili nel muoversi su piúpiani e nel rispondere alle diverse richieste, da quelle retorico-rappresentative a quelle della funzionalità urbana, da quelledella tradizione " popolare " a quelle della " modernità" borghe-se. In definitiva, è proprio l'assenza di un vero capitale industria-le, in grado, in altre città, non solo di far valere le proprie richie-ste quanto e soprattutto di indurre metodi di organizzazione dellavoro, che a Roma è possibile tale gestione "famigliare", dovel'abilità della mano che disegna tende a prevalere sulla capa-cità della mente che progetta. I due estremi di tale ambientesono, negli anni fra le due guerre, Armando Brasini e MarcelloPiacentini. Alla comune anima " romana", empirica e ironica,ricca di inventiva e di approssimazione, furba e insieme inge-nua, un'anima piú apparente che reale in Piacentini, si sovrap-pone in Brasini un'ansia di emulare gli architetti del baroccoromano, Bernini in testa, e di trasformare il "barocchetto", inauge all'inizio degli anni Venti, in barocco scenografico emagniloquente....Mentre alla metà degli anni Venti prendecorpo il dibattito sull'assetto urbano, la città cresce di popola-zione e di dimensione con, dapprima, i quartieri a villini e lepalazzine, poi i quartieri a media e alta densità promossi dal-l'edilizia sovvenzionata dallo Stato, infine le case convenziona-te, grandi intensivi con alloggi piccoli e tipologie a blocco col-locati in zone semiperiferiche della città e realizzati da impreseprivate per conto del Comune o del parastato. Le palazzinecaratterizzano la crescita di Roma contemporanea. Esse defi-niscono, a partire dal primo dopoguerra, il tessuto residenzialedei nuovi quartieri altoborghesi - Pinciano, Salario, Parioli,Aventino - e sono possibili in seguito alla variante del 1920(1926?) al regolamento edilizio, che amplia le cubature e lealtezze dei villini, rendendoli piú adeguati alle reali possibilitàeconomiche del ceto medio-alto e creando, in un momentodi rilancio del settore edile come volano per la ripresa econo-mica, nuove possibilità di investimento da parte di imprese edi-lizie anche modeste, oltre a consentire rapida immissione delprodotto sul mercato e una piú veloce urbanizzazione. Lepalazzine divengono, negli anni trenta, l'occasione di lavoroper molti giovani architetti "moderni". Nello stesso anno in cui siinventa la palazzina, si dà l'avvio in aree lontane dal centro,alla realizzazione di due modi insediamento, una città e un

Studio di aggregazioni perla nuova tipologia architet-tonica della palazzina, diDario Barbieri.

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Giuseppe Capponi, palazzi-na a lungotevere Arnaldoda Brescia, 1928, sottoAlessandro Limongelli,Studio per il “grattacielo ita-liano” del 1927.

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sobborgo giardino, a Monte Sacro e alla Garbatella. Entrambirealizzati con la diretta partecipazione di Giovannoni, i dueinterventi rimangono esempi isolati di intervento suburbano,anche se divengono un punto di riferimento per il linguaggioarchitettonico. Qui, infatti, si sperimenta il "barocchetto", un lin-guaggio che assorbe le diverse valenze formali della Roma sto-rica e popolare, attuando un mimetismo che allude esplicita-mente alla città vecchia e alla tradizione romana, almenocome la intende Giovannoni. Un linguaggio, che conferisce

Case INCIS a viale QuattroVenti, progetto di AlbertoCalzabini, del 1929/30.

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"dignità " alle case piú modeste e che viene subito adottatoanche per dare decoro ai quartieri a media e alta densità pro-mossi dall'Istituto Case Popolari, l'Icp, sulla scia di quelli realizza-ti dall'Istituto romano case per impiegati dello Stato, l'Ircis, poiassorbito dal corrispondente nazionale, l'Incis. L'Icp, ristrutturatodal fascismo con l'eliminazione delle rappresentanze politichee democratiche, raccoglie i finanziamenti statali dispersi invarie iniziative e realizza grandi intensivi per la media e piccolaborghesia dell'impiego pubblico, mostrando ancora una voltacome il fascismo rimanga inizialmente attento ai problemi deiceti medi, considerati a Roma gli alleati più sicuri per i quali ènecessario predisporre abitazioni decorose, in aree non troppolontane dal centro e a prezzi contenuti. Gli interventi alTrionfale, su progetto di Innocenzo Sabbatini, fra il 1919 e il 1927,quelli a piazza d'Armi, ancora di Sabbatini, del 1925-28, quelli inpiazza Perin del Vaga, al Flaminio, di Alessandro Limongelli, del1924-26, trasformano rapidamente le zone suburbane in parti dicittà." 1

Il passaggio dagli anni Dieci ai Venti, in termini linguistici, si puòsintetizzare come una perdita dell'ornamento applicato sullafacciata per un una maggiore articolazione volumetrica:aggetti o rientranze, balconi con alti parapetti, bow windowspiù o meno equilibrati compositivamente, coperture a tetto oa terrazza. Il termine palazzina deriva da un manufatto edilizio,di piccole dimensioni, presente nelle ville patrizie romane. Lanascita della palazzina è un fenomeno prettamente romano;una delle motivazioni risiede nella crisi delle abitazioni venutasia creare intorno agli anni '20 (come sempre dopo le guerre)che decretò la trasformazione di alcune zone destinate a villinidel piano Sanjust di Teulada del 1909, in palazzine con lavariante generale di piano del 1926. La definitiva istituzionaliz-zazione avviene poi con il piano del 1931, quando le normati-ve già proposte con la variante del 1926, vengono conferma-te in maniera definitiva . Per il villino era previsto un solo allog-gio a piano con "carattere di spaziosa signorilità", con possibili-

Hugh Ferriss, The Metropolisof Tomorrow, vista dalBussiness Center e case-ponte, 1927/29.

sopra Antonio Sant’Elia,casamento con ascensoriesterni su tre piani stradalidel 1913.14 e, di lato, pro-spettiva di InnocenzoSabbatini per PiazzaSempione del 1919 circa.

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tà di affaccio per tutti gli ambienti verso il perimetro esterno delfabbricato, mentre, per la palazzina, gli alloggi potevano esse-re da due a quattro a piano, più raramente tre per oggettivedifficoltà di esposizione, il che richiedeva la presenza di chiostri-ne per l'aerazione e l'illuminazione dei servizi igienico-sanitari.Gli architetti che, negli anni Venti, operano a Roma, cercandocon la loro opera di qualificare il passaggio dal villino allapalazzina e dal "barocchetto" al razionalismo, rappresentano ilmeglio della Scuola Romana; attraverso la sperimentazione ela ricerca di nuovi linguaggi espressivi, applicati proprio sullapalazzina, contribuiscono all'affermazione delle nuove "regole"promosse dal razionalismo di tipo europeo. In effetti, questomomento segna il passaggio dalle posizioni conservatrici deilinguaggi architettonici, legati alle cornici e ai timpani curvilineio triangolari intorno e sopra le finestre, alle fasce continue chesegnano il marcapiano e/o il marcadavanzale, all'ordinegigante in facciata scandito da semicolonne semplici o bina-te, al forte bugnato nella parte basamentale e sugli spigoli del-l'edificio, ai balconi con il parapetto realizzato con balaustre, aiforti cornicioni aggettanti, in molti casi con tanto di metope etriglifi stilizzati, ai nuovi criteri del funzionalismo fatti di unaaggregazione equilibrata dei volumi e di una decisa articola-zione di pieni e vuoti sui prospetti.Il lento ma progressivo procedere dell'architettura italiana

Schizzi di architettura diPietro Aschieri.

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sopra disegni di progetti diAdalberto Libera del 1927/29e, di lato, prospettiva diLuciano Baldessari per l’E 42.

7verso un linguaggio moderno produce un per-corso di asciugamento delle tecniche grafichedi rappresentazione dei progetti allontanandoi disegni dalla descrizione del dettaglio e dellesovrastrutture ornamentali, per concentrarsi suivolumi e sulle masse plastiche, attraverso l'utiliz-zo di carboncini prima e, successiamente, dirappresentazioni a tempera tendenti a ogget-tivizzare sempre più l'edificio, isolandolo dalcontesto e rendendolo compiuto in sé. Cosìscrive Moretti nel 1937: "[...] II concepirsi grafi-camente è il modo naturale nell'esprimersi del-l'architettura contemporanea. Oggi la costru-zione è una pura e semplice proiezione delgrafico, e non, come dovrebbe essere e comeè sempre stato, il grafico una proiezione dellacostruzione. E tanto ciò è vero che i diversimomenti attraverso i quali l'architettura moder-na è passata in pochi anni si potrebbero distin-guere mediante le varie tecniche del disegno.Così dalla carbonella di Limongelli e dal Wolf diAschieri (il Wolf è un carboncino raffinato); sipassa alla tempera (Libera, Ridolfi, ecc., iostesso me ne sono servito durante un certotempo), e finalmente al tiralinee e alla pennache caratterizzano la scuola di Le Corbusier.Insomma l'architettura è nata sulla carta, vi èvissuta e vi morirà infallibilmente [...].2

Nel quadro di questa tendenza grafica, maanche linguistica, si sviluppa la figura autono-ma del "rappresentatore", del professionista

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della rappresentazione (delineator negli Stati Uniticon back-ground architettonico_Hugh Ferriss_men-tre in Italia prevalentemente pittore) che interpreta,spesso a tempera, i progetti degli architetti. La rap-presentazione a carboncino è anche lo strumentoper una spinta verso il cambiamento linguistico conun progressivo svuotamento degli edifici del tradi-zionale apparato decorativo applicato, con unpercorso che tende a valorizzare sempre più il valo-re plastico dell'edificio, la sua consistenza volumetri-ca, la drammaticità dell'edificio come massa, e, atal fine, i tratti spessi del carbone non possono cheincontrare il favore di quegli architetti che caratte-rizzano in tal senso la loro esperienza progettuale.Questo strumento infatti non consente virtuosismigrafici nella definizione di capitelli, stucchi, ecc.ma, al contrario, separa nettamente sul foglio lemasse disegnate, accentuandone il peso grazieall'uso del chiaroscuro che, proprio con questomezzo grafico ottiene i migliori risultati. Da Piacentini

Mario De Renzi e Alberto Calzabini, palaz-zina Castelli in via Cerveteri e palazzinaFurmanik a lungotevere Flaminio 1935;sotto Adalberto Libera, abitazioni popola-ri per una coperativa a Tor di Quinto, incoll. con Ridolfi, 1929-30

a destra Libera e De Renzi, PadiglioneItaliano all’Esposizione Mondiale diChicago del 1935.

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a De Renzi, che prenderanno strade moltodistanti negli anni successivi a questa fasecosiddetta "Novecentista", l'attenzione pro-gettuale più evidente è quella volta a definirel'edificio attraverso la sua composizione volu-metrica e quindi esso viene rappresentato agrossi tratti, le pareti mostrano più la trama deimateriali di rivestimento, la grana delle asperi-tà. Questo nuovo stile di rappresentazione sirapporta con alcune interessanti esperienzegrafiche di artisti noti in quel periodo e diappartenenza alla cosiddetta "scuola roma-na". Uno dei principali capiscuola di questainnovazione nel gusto della rappresentazioneè senza dubbio Alessandro Limongelli (la cuiarchitettura è sempre soggetta a suggestioniscenografiche) secondo Luigi Moretti l'inven-tore della tecnica a carboncino. È colui chemaggiormente si rapporta al disegnoPiranesiano, producendo una serie di "fanta-sie architettoniche" e di ricostruzioni di monu-menti romani che costituiscono una aderenterivisitazione dell'opera del maestro seicente-sco: "...negli studi sulla architettura romana edegiziana... egli ha andava cercando la reli-gione del numero, il segreto dei vuoti e deipieni, la radice della potenza espressiva, mal-grado ciò non fosse fatto in modo rigoroso.Evidentemente egli sperava, nel mescolare glielementi delle più disparate tradizioni (qual-che volta nel confonderle), di ritrovare unbandolo restato vivo ed utile tempo..."'. Ciònon toglie che anche nei disegni più propria-mente progettuali, come quelli per il cosid-detto "grattacielo italiano" o quelli di corredoal progetto di concorso per il Palazzo delleSocietà delle Nazioni di Ginevra, l'utilizzo delcarboncino e dei tagli prospettici sopradescritti non sia mera imitazione di uno stiledisegnativo oramai consolidato nel suo stu-dio. 3

Il passo immediatamente successivo, verso ilrazionalismo architettonico, pur con tutte leaccezioni particolaristiche proprie del pano-rama italiano, è quello della rappresentazioneoggettiva, del disegno a penna, scarno,asciutto, che tratta l'oggetto architettonicocome un componente meccanico, che svuo-ta di pittoricità e di interpretazione la resa gra-

Istituto per le Case Popolari al Flaminio, in PiazzaMelozzo da Forlì; progetto di E. Wittinch, A.Limongelli, M. De Renzi, 1925/27, pianta di pro-getto e foto attuale di Piazza Perin del Vaga.

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fica per concentrarsi sull'oggettività scientifica del pro-dotto progettato. È il boom delle rappresentazioni algraphos, degli abachi, delle assonometrie e degli esplo-si.

1 Giorgio Ciucci, Gli architetti e il fascismo, Architettura e città 1922-1944, Einaudi, 1989. 2 Cfr. Carlo Mezzetti, Il villino diventa grande. Dalle disposizioni del1920 al P.R.G. del 1931, in AA.VV., Il disegno della palazzina roma-na, Kappa, Roma 2008.3 Cfr. Salvatore Santuccio, Il disegno razionale in AA.VV., Il Disegnodell'architettura italiana nel XX secolo, Kappa 2003, a cura di CarloMezzetti.

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Edifici postali di Armando Titta inViale Mazzini, di Adalberto Libera eM. De Renzi, a via Marmorata; sottole poste di Mario Ridolfi a piazzaBologna e disegno di GiuseppeSamonà per le poste di Via Taranto,via La Spezia. Quattro soluzionidiverse per quattro diversi contestiurbani del concorso del 1933.

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Giuseppe Capogrossi, Piena sul Tevere, 1934

Mario Mafai, Demolizioni, 1936Corrado Cagli, Veduta allegorica di Roma, 1937

Giacomo Balla, La città che avanza, 1942

Giacomo Balla, La fila per l’agnello, 1942

Renzo Vespignani, Periferia con gasometro,1946

Alberto Ziveri, Porta Portese, 1949

La “scuola romana”11