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Approfondimenti del workshop "Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti " del 27 giugno 2014, Confindustria Padova Pagina 1 di 21 Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti Approfondimenti (Atti) del workshop "Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti" del 27 giugno 2014, Confindustria Padova (Via E.P. Masini, 2 a Padova). A cura di Confindustria Veneto. PREMESSA Il grado di apertura dei mercati e il livello di concorrenza rappresentano lo stimolo principale a un uso efficiente delle risorse nel sistema economico. Il meccanismo concorrenziale guida la riallocazione del capitale e del lavoro dai settori in regresso a quelli in progresso, dalle imprese meno efficienti a quelle più efficienti, promuovendo una continua riqualificazione del sistema produttivo. L’aumento della competitività italiana passa anche attraverso un coraggioso cambiamento della struttura dei mercati che rimuova le barriere all’entrata, riduca le rigidità e le rendite di posizione. È questo il modo per avviare un circolo virtuoso che assicuri più produttività, più occupazione e sviluppo. La scarsa concorrenzialità di molti settori costituisce un costo che il Paese non può più sostenere. Va superato il dualismo di chi chiede maggiore concorrenza per quanto riguarda gli altri mercati, salvo poi avversarla quando attiene direttamente al proprio comparto di appartenenza. Un profilo problematico della concorrenza nel sistema degli appalti del nostro Paese riguarda le ipotesi di in house providing, cioè di affidamento diretto di appalti di lavori, servizi e forniture a soggetti distinti dalla Pubblica Amministrazione, ma da questa controllati da un rapporto di «dipendenza organica». Questa opportunità, offerta alle amministrazioni pubbliche dalla disciplina comunitaria, deve essere motivata da chiare ragioni di opportunità e di necessità dell’interesse pubblico. Fuori dai casi consentiti (i cosiddetti settori speciali), il ricorso all’in house providing può facilmente degenerare in una pratica chiaramente elusiva della concorrenza, in quanto in grado di sottrarre al

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Approfondimenti del workshop "Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti" del 27 giugno

2014, Confindustria Padova Pagina 1 di 21

Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi

pubblici di gestione dei rifiuti

Approfondimenti (Atti)

del workshop "Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di

gestione dei rifiuti" del 27 giugno 2014, Confindustria Padova (Via E.P. Masini, 2 a Padova). A

cura di Confindustria Veneto.

PREMESSA

Il grado di apertura dei mercati e il livello di concorrenza rappresentano lo stimolo principale a un

uso efficiente delle risorse nel sistema economico. Il meccanismo concorrenziale guida la

riallocazione del capitale e del lavoro dai settori in regresso a quelli in progresso, dalle imprese

meno efficienti a quelle più efficienti, promuovendo una continua riqualificazione del sistema

produttivo.

L’aumento della competitività italiana passa anche attraverso un coraggioso cambiamento della

struttura dei mercati che rimuova le barriere all’entrata, riduca le rigidità e le rendite di posizione.

È questo il modo per avviare un circolo virtuoso che assicuri più produttività, più occupazione e

sviluppo.

La scarsa concorrenzialità di molti settori costituisce un costo che il Paese non può più sostenere.

Va superato il dualismo di chi chiede maggiore concorrenza per quanto riguarda gli altri mercati,

salvo poi avversarla quando attiene direttamente al proprio comparto di appartenenza. Un profilo

problematico della concorrenza nel sistema degli appalti del nostro Paese riguarda le ipotesi di in

house providing, cioè di affidamento diretto – di appalti di lavori, servizi e forniture – a soggetti

distinti dalla Pubblica Amministrazione, ma da questa controllati da un rapporto di «dipendenza

organica».

Questa opportunità, offerta alle amministrazioni pubbliche dalla disciplina comunitaria, deve

essere motivata da chiare ragioni di opportunità e di necessità dell’interesse pubblico. Fuori dai

casi consentiti (i cosiddetti settori speciali), il ricorso all’in house providing può facilmente

degenerare in una pratica chiaramente elusiva della concorrenza, in quanto in grado di sottrarre al

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mercato quote rilevanti di lavori, servizi e forniture, attraverso la creazione strumentale di società

a cui affidarne l’esecuzione.

Il recepimento delle direttive europee può fornire l’occasione per una delimitazione più rigorosa

delle possibilità di affidamento in house, capace di invertire una ingiustificata tendenza

all’elusione del mercato e di aprire alla concorrenza una parte non irrilevante della domanda

pubblica

CRESCITA E PRODUTTIVITÀ: GLI EFFETTI ECONOMICI DELLA REGOLAZIONE

Le barriere al buon funzionamento dei mercati e gli ostacoli alla competitività di un paese sono

spesso dovuti all’intervento dello Stato nel sistema economico.

Lo Stato interviene direttamente nella vita dei vari attori economici e nelle loro interazioni

disegnando le regole del gioco, regolando comportamenti e strutture dei mercati per risolvere

problemi di fallimento dei mercati stessi (condizioni di monopolio naturale, presenza di esternalità

e asimmetrie informative), per produrre servizi pubblici e beni meritori (quali l’istruzione

obbligatoria e la conservazione dell’ambiente), per re-distribuire ricchezza qualora la distribuzione

del reddito generata in maniera concorrenziale non sia socialmente accettabile.

Nell’esperienza di molti paesi industriali, la regolazione delle attività economiche ha ecceduto un

limite «fisiologico». Si sono introdotte norme che si sono sovrapposte nel tempo, risultando

eccessivamente numerose e spesso conflittuali. L’evoluzione economica e sociale e il progresso

tecnico hanno messo in discussione i vincoli normativi imposti dalla regolazione all’attività

d’impresa nei diversi settori.

In molti casi, quindi, la regolazione è risultata inefficace, inutilmente vincolante per lo

svolgimento dell’attività economica e per il funzionamento dei meccanismi di mercato,

producendo più costi dei benefici attesi, inducendo molti paesi a riconsiderare il ruolo dello Stato

nell’economia. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, questo processo è stato intrapreso già negli

anni Settanta - Ottanta, anche sotto la spinta del progressivo rallentamento della crescita

economica, nonché per la necessità di adeguare l’impostazione della regolamentazione alle

trasformazioni indotte dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Lo spostamento di enfasi è stato verso l’idea di uno Stato che crei, in primo luogo, regole del

gioco favorevoli alla crescita economica e all’efficienza del sistema. Da queste esperienze è

scaturito un ampio consenso nella comunità accademica e tra policy maker sul fatto che

l’intervento dello Stato non sia sempre necessario e che la concorrenza possa, invece, contribuire a

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promuovere l’efficienza economica del sistema, riducendo le barriere all’entrata e all’uscita dai

mercati, gli oneri e vincoli all’attività d’impresa, le rendite di posizione, i prezzi di beni e servizi a

favore dei consumatori, e incentivando le imprese stesse a crescere e innovare. Un processo

analogo di ripensamento del ruolo economico dello Stato e del suo apparato di regole è avvenuto

nella maggior parte degli altri paesi europei nell’ultimo decennio, quando la bassa performance

economica ha reso evidente il divario dell’Europa rispetto, in particolare, agli Stati Uniti in termini

di crescita e produttività.

Da tutto ciò è derivata una grande attenzione alle possibili determinanti delle diverse performance

economiche. Gli studi intrapresi a partire dagli anni Novanta hanno rilevato che i fattori a

carattere strutturale, più di quelli ciclici e delle divergenze tra le politiche economiche di ciascun

paese, contribuiscono a spiegare la persistenza della bassa performance dell’economia europea.

Tra i fattori strutturali vi sono anche i contesti istituzionali e normativi che regolano diversi

mercati (dei prodotti, dei servizi, del lavoro e così via) e favoriscono una gestione inefficiente

delle risorse per interi comparti di attività economica, influendo sul tasso di crescita e sulle

caratteristiche produttive dei paesi europei. Numerose analisi hanno rilevato l’esistenza di una

relazione inversa tra regolazione economica e una buona performance del sistema o, viceversa, di

una correlazione positiva tra aumenti del livello di concorrenza nel mercato e aumenti di

produttività: nei paesi caratterizzati da un sistema economico competitivo, dove i vincoli

all’attività economica del settore privato sono contenuti, le risorse si allocano in modo efficiente

traducendosi in guadagni di produttività e in crescita economica (e viceversa). In particolare,

alcuni studi OCSE condotti per 18 paesi e 23 industrie (17 del settore manifatturiero e 6 dei

servizi) dimostrano che:

a) un basso valore dell’indicatore di rigidità del mercato dei prodotti – costruito tenendo conto

delle barriere all’entrata poste dalla regolamentazione sull’attività imprenditoriale e dal controllo

diretto dello Stato sull’economia (economicregulation); dei vincoli amministrativi all’attività

economica (administrativeregulation); delle barriere relative al commercio e agli investimenti

diretti (barriers to trade)– è correlato positivamente con un sostenuto tasso di crescita della

produttività del lavoro;

b) regolamentazioni troppo rigide possono incidere negativamente sull’attività

e sulla spesa in Ricerca e Sviluppo delle industrie e dunque sull’andamento della produttività

totale;

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c) riformando il contesto regolatorio sia nel suo complesso sia mediante interventi ad hoc in alcuni

settori industriali, al fine di renderei paesi europei più simili ai paesi più liberali tra quelli

OCSE(come gli Stati Uniti), la produttività totale crescerebbe, nell’arco di un decennio, a un tasso

annuo compreso tra lo 0,1% e l’1,1%. L’effetto complessivo degli interventi di riforma risulta

tanto più incisivo quanto più è rigido il contesto normativo del paese.

È questo il caso dell’Italia (FONTE: Centro Studi di Confindustria )

CONCORRENZA E GESTIONE DEL CICLO INTEGRATO DEI RIFIUTI

Il mercato dei servizi pubblici locali, e della gestione dei rifiuti urbani in particolare, rappresenta

circa 8 miliardi di euro di fatturato, occupa oltre 70.000 addetti e ha un bacino di utenza di oltre

40.000.000 di cittadini.

Il settore ha assunto un ruolo strategico per l'intero sistema economico e rappresenta una parte

consistente del valore complessivo degli appalti di servizi che, secondo gli ultimi dati diffusi

dall'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, hanno fatto

registrare nell'anno 2011 un valore pari a 38,1 mld di euro, pari al 41,1% della domanda

complessiva di contratti pubblici.

Nel corso degli ultimi anni il settore dei servizi pubblici locali è stato troppo spesso al centro di

ripetuti interventi normativi, talvolta in contrasto tra loro, che hanno prodotto un quadro

complessivo frammentario e incerto che penalizza gli operatori del comparto, già danneggiati dal

patologico fenomeno del ritardo nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni. La rapidità con la

quale si sono succeduti i diversi modelli suggeriti dalle norme ha lasciato il settore dei rifiuti privo

di un quadro preciso e determinato ostacolando pertanto l’adozione, da parte degli enti interessati

e dei destinatari di questi interventi normativi, di un approccio culturale univoco anche rispetto

alla concorrenza.

Tali circostanze hanno reso sinora impossibili la programmazione e gli investimenti e hanno

dissuaso le imprese estere dall'accedere al mercato nazionale, oppure hanno indotto quelle

presenti ad abbandonarlo.

E' unanimemente riconosciuto che una reale liberalizzazione dei servizi pubblici locali

contribuirebbe a promuovere una fase di crescita per il nostro Paese con effetti benefici tanto sul

sistema economico quanto sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini. Un'opportunità ormai non

più rinviabile

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Il già articolato processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, su cui più volte il nostro

Paese è stato sollecitato da pressanti richieste dell'Unione Europea, è continuamente minacciato

dalla burocrazia amministrativa che rischia di frenare l'apertura del mercato e anzi di legittimare in

maniera ingiustificata la prosecuzione degli attuali affidamenti in house. L'attuale situazione, oltre

a danneggiare il Paese, penalizza gli operatori economici del comparto, peraltro già fortemente

danneggiati dal patologico fenomeno del ritardo nei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni.

La Corte costituzionale ha più volte chiarito che la tutela della concorrenza rientra nelle

competenze trasversali riservate allo Stato e pertanto, ogni disposizione che promuove o tutela la

concorrenza prevale su disposizioni adottate dagli enti territoriali che, al contrario, impediscano o

non favoriscano l’attuazione dei principi concorrenziali.

l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avuto più volte modo di ribadire che

l’affidamento di un servizio pubblico mediante gara costituisce uno strumento essenziale per il

corretto funzionamento del mercato e che le condizioni che consentono il ricorso all’affidamento

diretto in deroga al principio generale dell’evidenza pubblica devono essere interpretate ed

applicate in senso restrittivo.

In particolare, lo strumento dell’affidamento diretto acquisisce un chiaro carattere residuale solo

conseguente alla impossibilità di rivolgersi efficacemente ed utilmente al mercato; quest’ultima

circostanza deve trovare il proprio fondamento nelle peculiari caratteristiche economiche, sociali,

ambientali e geomorfologiche del contesto di riferimento.

Lo scorso 2 ottobre 2012 l’Antitrust ha inviato una segnalazione a Parlamento e Governo con la

seguente dichiarazione. “Un mercato dei servizi locali in cui solo il 40% degli affidamenti del

servizio di gestione rifiuti avviene con gara non è concorrenziale”.

Nelle proposte di riforma concorrenziale in vari settori contenute nella segnalazione, l'Authority,

con riguardo ai servizi locali, ha rimarcato il ricorso eccessivo agli affidamenti diretti del servizio

gestione rifiuti a società in house e ha proposto delle soluzioni normative. L'Autorità propone

inoltre di cambiare il termine di 15 anni di durata dell'affidamento del servizio da termine minimo

a termine massimo. ritenendo fondamentale dare concreta applicazione all'articolo 206-bis del

Dlgs n. 152/2006 attraverso l’attivazione ed il funzionamento dell'Osservatorio nazionale dei

rifiuti.

È necessario quindi che tutte le parti siano interessate a promuovere servizi efficaci ed efficienti e

che investano le proprie risorse nella promozione della concorrenza nella gestione dei servizi al

fine di favorire il più ampio sviluppo delle dinamiche della concorrenza per il mercato ed al fine di

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far percepire alle parti che “Un servizio non é pubblico perché l'ente pubblico lo svolge, ma

perché lo regola”

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DOCUMENTO DI ANALISI E PROPOSTE SULLA DISCIPLINA DEI SERVIZI

PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA.

I. ANALISI

1. Le leggi approvate e i disegni di legge presentati, da entrambi gli schieramenti politici, in

questi ultimi anni individuano la medesima finalità per la disciplina dei s.p.l. di rilevanza

economica.

Sia le norme di legge approvate sia le proposte di legge presentate in questi ultimi anni, sia dal

centrodestra che dal centrosinistra, ponevano come obiettivo della disciplina dei servizi pubblici

locali di rilevanza economica, tra cui annoveriamo i servizi idrici integrati, il trasporto pubblico

locale urbano ed extraurbano, i servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani ed

altri di minor rilevanza, i principi e valori comunitari della più ampia diffusione dei principi di

concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori

economici interessati alla gestione dei servizi di interesse economico generale di rilevanza

economica in ambito locale.

In questo senso si segnalano non solo l’art. 23-bis comma 1°, quale norma approvata da un

maggioranza di centrodestra, ma altresì l’art. 1 del d.d.l. Lanzillotta.

D’altra parte la stessa esistenza di una disciplina statale in materia è condizionata dall’avere come

obiettivo la tutela della concorrenza, perché è a tale titolo che il Parlamento statale può dettare una

legislazione che si imponga ai legislatori regionali. E infatti lo stesso art. 113, comma 1° del d.lgs.

n. 267 del 2000 statuisce che “Le disposizioni del presente articolo che disciplinano le modalità di

gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali concernono la tutela della concorrenza e sono

inderogabili ed integrative delle discipline di settore”.

In sostanziale sintonia, il vigente art. 34, comma 20 del d.l. 179 del 2012 pone alla normativa la

finalità di “assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori,

l’economicità della gestione e garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento”.

Infine, anche la nuova disciplina degli ambiti territoriali ottimali contenuta nell’art. 3-bis, comma

1, del d.l. n. 138/2011, è posta, anzitutto, a tutela della concorrenza.

Dunque, si deve cercare di costruire una normativa che non contraddica ma sia coerente con tali

obiettivi fissati dalla legge.

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2. Lo sviluppo e la crescita del Paese possono essere favorite solo da politiche industriali di

liberalizzazione dell’economia e volte a favorire la ripresa produttiva.

Come osservato nell’Introduzione della Rassegna Normativa – Servizi Pubblici Locali, di recente

elaborata da Invitalia sulla base del Protocollo di intesa tra la stessa ed il Ministero dello Sviluppo

Economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento Affari Regionali e quello

delle Politiche Europee, “l’attuale situazione economica pone al centro delle misure per favorire

lo sviluppo e la crescita del Paese, per contrastare la crisi e uscire dalla fase recessiva le

politiche di liberalizzazione dell’economia ……………” e in questo quadro “La revisione del

quadro normativo e regolamentare risulta il presupposto ineludibile per sviluppare un ambiente

imprenditoriale favorevole, promuovere l’efficienza delle gestioni e favorire gli investimenti in

infrastrutture anche attraverso il coinvolgimento di capitali privati”.

La normativa vigente infatti determina alcune evidenti criticità, che impediscono che il settore dei

servizi pubblici locali possa rappresentare un volano di sviluppo dell’economia del Paese.

Il documento soprarichiamato può rappresentare un preziosissimo punto di riferimento per una

corretta e approfondita analisi della questione.

In particolare, le “Linee guida per gli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza

economica “ offrono una illuminante illustrazione delle motivazioni che gli Enti Pubblici devono

dimostrare ( in sede di elaborazione della Relazione ex art. 34 D.L. 179/2012 ) affinchè possano

essere derogate le regole della concorrenza, in primis le ragioni che precluderebbero il

raggiungimento dell’interesse pubblico qualora si adottassero procedure di evidenza pubblica.

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3. Si consolida una evidente disparità di modello industriale e produttiva tra Nord e Sud,

con una impossibilità di sviluppo unitario di questo settore economico nel Paese.

Nel Sud del Paese si è consolidato un sistema economico dominato da società pubbliche indebitate

e inefficienti. Basti considerare alcuni casi nel meridione di Italia (Palermo, ad esempio nel settore

dei rifiuti e Napoli nel trasporto pubblico locale), solo per citare i più clamorosi. Si tratta di società

che operano con tariffe assai elevate per i cittadini, erogando servizi di non eccellente qualità,

spesso coinvolte in vicende di assunzioni clientelari e di incarichi legati a vicende puramente

politiche. Tali Società, è bene precisare, sono prevalentemente mono utility e pertanto la

situazione contabile finanziaria è si disastrosa ma al tempo stesso estremamente definita.

Quanto al Nord del Paese, invece, si deve distinguere .

In vaste parti si stanno non solo consolidando ma altresì espandendo le gestioni in capo alle

Società pubbliche quotate in Borsa. Si tratta di società che, pur operando in possibile contrasto con

i principi del diritto comunitario, sono state fino ad ora beneficiate da norme speciali di diritto

transitorio che ne hanno garantito la continuità di esercizio.

Il contrasto con il diritto comunitario è dato dalla circostanza che esse, pur non essendo affatto

società in house in quanto quotate in borsa e dunque con azionisti privati, godono e continuano a

godere di affidamenti diretti, ossia rilasciati a loro favore senza procedura ad evidenza pubblica.

Tali società hanno sfruttato tale disciplina non solo per continuare a godere di affidamenti diretti

in contrasto con il diritto comunitario, ma altresì per espandere e consolidare le loro gestioni anche

con attività che nulla hanno a che vedere con i servizi pubblici che ne hanno determinato la

nascita, in settori e mercati aperti alla libera concorrenza.

Una misura della distorsione del sistema è data dalla recentissima sentenza della Corte di

Cassazione a sezioni unite n. 26283/2013, che nell’affermare la giurisdizione della Corte dei Conti

sulle soc. in house ha ribadito la necessità che tali società non posseggano alcuna autonomia

gestionale e non effettuino attività al di fuori dei servizi pubblici loro affidati dagli Enti soci, salvo

attività “accessorie e strumentali”ai servizi stessi.

Tali società, dicevamo, incentivano i Comuni soci a mantenere e potenziare detta modalità

gestoria distribuendo agli stessi elevati dividendi: ma non si tratta di altro se non delle tariffe

pagate dai cittadini e dalle imprese. In concreto, si tratta di una pressione tributaria mascherata

messa in atto attraverso un sistema contorto. L’impresa pubblica, quando realizza dei

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miglioramenti gestionali, invece che abbassare le tariffe agli utenti, distribuisce i dividendi così

incassati ai Comuni soci, i quali utilizzano quelle somme per far quadrare i propri bilanci o

sanare altre problematiche gestionali . In altri casi, le aziende pubbliche mettono a riserva quelle

somme e le utilizzano per fare “shopping” su altre imprese o per entrare in altri business finalizzati

alle stesse logiche di potere . Se invece le cose vanno male, l’assenza di fine di lucro diventa il

pretesto per rivedere i Piani Economici attraverso ritocchi ( ovviamente in aumento ) delle tariffe

oppure per farsi ripianare i bilanci dagli Enti soci. Da annotare che il meccanismo adottato

correntemente dalle società in house prevede che gli enti soci approvino l’affidamento diretto sulla

base di un corrispettivo apparentemente conveniente, ma non fisso ed invariabile per l’intera

durata dell’affidamento medesimo come invece avviene nei contratti di appalto ad imprese private

(per le quali il prezzo per la durata contrattuale varia solo in base all’aggiornamento ISTAT).

Ricevuto l’affidamento, le società in house adottano il sistema della approvazione annuale dei

piani economici preventivi e consuntivi grazie ai quali riescono ad ottenere corrispettivi ben più

elevati di quelli originariamente approvati. Il meccanismo è tanto evidente quanto pericoloso:

l’effetto è che in un momento di crisi economica vi è un ulteriore impoverimento netto di famiglie

e imprese.

Sono tantissimi, inoltre, gli Enti soci che possiedono quote solo simboliche nelle società in house

cui affidano i propri servizi pubblici. Ebbene, come recentemente affermato da una recentissima

sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, detti Enti debbono esercitare il

controllo analogo sulle partecipate attraverso la partecipazione diretta agli organi direttivi della

Società, cosa che in realtà non accade quasi mai. Questo fenomeno, sebbene sia riconosciuto

legittimo agli occhi della più recente giurisprudenza pur con tutte le condizioni anzidette, sta di

fatto snaturando il principio della autoproduzione del servizio il quale non a caso viene definito

“in house”, vale a dire fatto “ in casa “. Quando però a gestirsi in casa il servizio sono

congiuntamente una miriade di Enti pubblici, molti dei quali possiedono solo quote simboliche, si

può tranquillamente affermare che il principio ha subito una mutazione di forma e di fatto: da

servizio “ in house “ è diventato servizio “in village”.

E inoltre, nelle soc. In house ad azionariato plurimo il cd Controllo Analogo viene esercitato dai

Comuni soci attraverso Consigli di Sorveglianza o soggetti analoghi formati dai Sindaci. Un

siffatto sistema di controllo è del tutto inefficace poiché risente di influenze esterne sulle soc.

partecipate. Il controllo sulle attività delle soc. in house compete ai Dirigenti degli Enti Soci, non

ai Sindaci.

Da non sottovalutare poi il ricorso ingente che queste società (al pari delle pubbliche non quotate)

fanno al sistema Cooperativo , metodo che non produce alcun effettivo risparmio per i cittadini

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atteso che le stesse finiscono per agire alla stregua di intermediari (non rinunciando infatti al

relativo aggio). Peraltro, attraverso

il ricorso alle cooperative sociali di tipo B, accedono ai vantaggi conseguenti all’applicazione di

contratti di lavoro meno gravosi e con fiscalità agevolata, supportando il tutto da una apparente

attenzione alla solidarietà sociale.

Pertanto, il risparmio che ne deriva si traduce in un impoverimento della forza lavoro a causa di

una retribuzione inferiore e in depauperamento dell’erario attraverso un minor gettito fiscale.

L’affidamento siffatto del servizio è una forma di esternalizzazione del servizio che la società

municipalizzata attua sia attraverso affidamenti diretti che attraverso gare.

Con il meccanismo delle esternalizzazioni si assiste ad un “allungamento della filiera” del ciclo

integrato del servizio con un doppio effetto paradossale: gli Enti titolari dei servizi pubblici, per

ragioni di convenienza e opportunità spesso solo apparenti, sottraggono al libero mercato e alla

concorrenza i servizi stessi per affidarli ad una società di cui detengono una partecipazione

azionaria . Una volta ricevuto il servizio in house, la società municipalizzata vuoi perché non è in

grado di erogare parti dei servizi acquisiti o perché non ritiene conveniente gestirli direttamente , li

fa eseguire a cooperative, sulle quali l’Ente titolare non ha possibilità di esercitare alcun controllo,

con la conseguente ripetizione degli utili di impresa a carico della collettività.

La domanda che emerge spontanea è la seguente: ma perché il Comune invece di affidare in house

servizi che vengono poi vengono esternalizzati a loro volta violando il principio del controllo

analogo non si affida al mercato per scegliere il fornitore migliore? Se il Comune affida in house

un servizio ad un’azienda partecipata, oltre ad ottemperare tutti requisiti previsti dalla normativa,

deve pretendere che tale società eroghi il servizio in modo diretto, completo oltre che efficiente.

Alle aziende private è permesso subappaltare i servizi in misura massima del 30% per motivi

legati al controllo ed all’efficienza dell’ente appaltante; nel caso dell’ affidamento in house il

subappalto riguarda spesso la totalità dei servizi. Di fatto,

invece di applicare il controllo analogo il Comune spesso autorizza un subappalto incontrollato

che alimenta un circolo vizioso che elude la concorrenza provocando inefficienze e crisi

economica locale.

È chiaro che il tutto si presta ad una distorsione delle normativa che regola gli affidamenti in

house, i subappalti, l’utilizzo improprio di cooperative sociali senza utilizzare criteri che premino

il merito. In tutto il territorio presidiato da tali società quotate ogni forma di concorrenza anche

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solo per il mercato è impossibile. Non vengono mai fatte e non verranno fatte per molti anni a

venire gare per tali servizi. Da ultimo, il comma 21°del già citato art. 34 del d.l. n. 179 del 2012

prevede che gli affidamenti diretti in capo alle società pubbliche quotate possano durare

indisturbate fino al 31 dicembre 2020.

Per consentire uno sviluppo concorrenziale del settore, dunque, appare fondamentale riportare

tali società alla legalità comunitaria, facendo cessare i loro affidamenti diretti illegittimi.

Tali società potranno sì godere di un regime di salvaguardia per uno o due anni, per organizzarsi a

partecipare alle gare, ma comunque per tale periodo ad esse andrà impedito di sfruttare gli

affidamenti diretti di cui illegittimamente godono, né per partecipare a gare che venissero nel

frattempo bandite, né per espandersi comprando (o fondendosi con) altre società così da

aumentare ancora di più la quantità di affidamenti diretti illegittimi.

In altre zone del Nord del Paese, invece, come ad esempio in una realtà importante quale il

Veneto, il panorama è caratterizzato dal consolidarsi di una pluralità di società in house medio-

piccole, le quali frequentemente fanno ricorso al sistema delle esternalizzazioni e ai processi

espansionistici di cui innanzi, alla stregua delle soc. quotate. Per il loro consolidamento sta

operando (purtroppo) il legislatore regionale, che con riferimento al settore rifiuti sta ritagliando i

nuovi ambiti territoriali ottimali per la gestione del servizio proprio sulla base dei confini delle

esistenti società in house.

Disegnare oggi gli ambiti territoriali ottimali sulla base delle gestioni in house in essere

determinerà quindi che, anche in Veneto, per molti anni a venire non si attiverà alcuna dinamica

concorrenziale e di sviluppo economico in questo settore.

Dunque, appare fondamentale e strategico che le Regioni operino la delimitazione degli ambiti

effettivamente sulla base dei chiarissimi criteri fissati nell’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, e non

sulla base di pressioni localistiche e corporative delle società pubbliche locali.

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2014, Confindustria Padova Pagina 13 di 21

4. Importanza strategica per favorire lo sviluppo economico di una delimitazione degli

ambiti territoriali ottimali che consenta una dinamica concorrenziale tra imprese.

Come indicato anche nella già citata Introduzione della Rassegna Normativa – Servizi Pubblici

Locali, appare cruciale per l’efficienza produttiva nel settore e dunque anche per sviluppare una

dinamica concorrenziale, individuare lotti di affidamento dei servizi che favoriscano il ricorso alla

gara.

Ciò impone anche di considerare il contesto economico, ossia la dimensione delle imprese italiane

che già operano nel settore e di quelle che potrebbero aspirare a entrare in esso una volta che si

aprisse alla concorrenza.

Ci si riferisce, per esempio, a imprese che volessero abbandonare mercati produttivi in crisi (es.

edilizia) e non rassegnarsi al fallimento e alla chiusura. Per favorire la dinamica concorrenziale e

dunque lo sviluppo economico, appare fondamentale evitare due situazioni:

- In primo luogo, che gli ambiti ottimali siano ritagliati su misura rispetto alle gestioni in

house esistenti: questo cristallizza per il futuro le gestioni esistenti e rappresenta un grave

ostacolo alla concorrenza;

- In secondo luogo, evitare che gli ambiti ottimali siano eccessivamente vasti: questo

impedirebbe alle imprese private italiane che operano nel settore, o che potrebbero entrare

nel settore, di partecipare alle gare: tali imprese infatti sono tutte di dimensione medio -

piccola, e dunque rimarrebbero tagliate fuori da gare per ambiti troppo grandi, a favore delle

imprese pubbliche o straniere.

Le imprese private del settore, infatti, non essendosi mai aperto il settore alla concorrenza su vasta

scala, hanno sempre potuto partecipare a gare per ambiti territoriali medio - piccoli e circoscritti,

in un settore in cui i grossi Comuni sono più o meno sempre stati gestiti tutti da società pubbliche

in regime di affidamento diretto.

In Italia si contano sulle dita di una mano i capoluoghi di regione gestiti (nel comparto rifiuti ad

esempio) da imprese private,

Svolgere gare per ambiti troppo grandi dunque ostacolerebbe la concorrenza e lo sviluppo

economico del Paese.

Indicativamente, sotto il profilo quantitativo,

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2014, Confindustria Padova Pagina 14 di 21

gli ambiti che possono favorire una concorrenza effettiva in Italia sono quelli che contano dai

centomila ai duecentomila abitanti.

Come indicato anche nella già citata Introduzione della Rassegna Normativa – Servizi Pubblici

Locali,

l’ottimizzazione della dimensione organizzativa non necessariamente coincide con quella

gestionale. Gli ambiti di organizzazione e regolazione del servizio possono essere ben più vasti,

fino a poter arrivare a comprendere l’intero territorio regionale.

Per la promozione della concorrenza, quello che conta è che i lotti di affidamento abbiano le

dimensioni sopra indicate, che consentirebbero a una pluralità di imprese italiane di partecipare

alle gare.

Peraltro, la normativa recente va proprio nella direzione della divisione in lotti degli affidamenti,

chiedendo appunto alle Stazioni Appaltanti di motivare la mancata suddivisione.

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2014, Confindustria Padova Pagina 15 di 21

5. Importanza strategica per favorire lo sviluppo economico del ripristino di un regime

transitorio di cessazione anticipata degli affidamenti diretti in essere: solo un riallineamento

delle nuove gare può consentire lo sviluppo di una dinamica concorrenziale.

Se si vuole effettivamente determinare uno sviluppo della dinamica concorrenziale in questo

settore è necessario non solo reintrodurre la regola della gara, ma anche fare sì che le gare, nel

giro di uno o due anni, partano su tutto o almeno una grande parte del territorio nazionale.

Appare dunque decisivo reintrodurre un regime transitorio, di anticipata cessazione degli

affidamenti diretti in essere assentiti nel passato senza gara.

Come già detto, tale cessazione anticipata deve necessariamente riguardare anche le società

pubbliche quotate in borsa, pena la mancata concorrenza in vastissime e strategiche zone del nord

del Paese.

Si precisa che la reintroduzione dell’obbligo di affidamento con gara non è affatto precluso dalla

sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 2012, in quanto siamo in una nuova legislatura e

dunque l’esito referendario e la sentenza della Corte non può più essere considerato vincolante per

il Parlamento.

Ancora, per non falsare dette gare appare altrettanto necessario che le imprese che vogliono

partecipare alle gare debbano contestualmente e immediatamente rinunciare agli affidamenti

diretti di cui siano ancora titolari. Partecipare ad una gara sapendo di poter contare su affidamenti

diretti in corso rappresenta un vantaggio competitivo illegittimo.

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6. L’obiettivo della normativa deve essere la liberalizzazione dei servizi, non la

privatizzazione delle società pubbliche di gestione. Una privatizzazione che voglia favorire il

mercato deve avere ad oggetto i rami d’azienda, non le quote azionarie.

Se la normativa introducesse oggi l’obbligo di privatizzazione delle società pubbliche di gestione,

nessun imprenditore privato italiano del settore avrebbe la forza economica di comprare tali

imprese.

Dunque, le azioni verrebbero comprate da investitori non imprenditoriali ( pubblico-privati quali

la CDP o Fondi ) , con la conseguenza che per incentivare tali acquisti la normativa dovrebbe

garantire una prosecuzione degli affidamenti diretti in essere, come è già avvenuto per le società

esecutrici di servizi strumentali, e con nessun concreto effetto positivo per il sistema-paese . E così

la volontà di privatizzare rappresenterebbe un ostacolo alla liberalizzazione e allo svolgimento di

gare nel settore. Per avviare le gare e contestualmente consentire ai Comuni soci di rientrare

positivamente del loro investimento, lo strumento potrebbe essere il seguente:

assieme all’affidamento del servizio viene messo a gara anche il ramo d’azienda della società

pubblica che operativamente gestisce tale servizio.

In altre parole, chi vuole gestire il servizio deve fare un’offerta che comprenda l’affidamento del

servizio e l’acquisto del ramo d’azienda. In questo modo si può introdurre immediatamente un

confronto concorrenziale, che porti a una

diminuzione delle tariffe a carico di cittadini e imprese ( si ritiene non inferiore al 20%) ,

valorizzando altresì la proprietà comunale delle società pubbliche di gestione e determinando

entrate straordinarie nelle casse comunali.

Del resto, l’impresa privata che intende svolgere quel servizio non potrebbe farlo se non

investendo in mezzi, macchinari, attrezzature, sedi logistiche necessarie a svolgere le attività.

Nulla cambierebbe per lui se gli venisse imposto di rilevare le risorse appartenute al gestore

uscente, ovviamente a condizioni di mercato.

Nessuna differenza apporterebbe destinare le nuove entrate ad una riduzione del debito pubblico

nazionale. Si rimarca altresì che lo svolgimento di gare siffatte non produce alcun inconveniente

sul fronte occupazionale, in quanto l’aggiudicatario che si aggiudica il servizio e il ramo d’azienda

automaticamente assume anche tutto il personale impiegato in tale ramo d’azienda.

Come detto innanzi per la delimitazione dei lotti di affidamento, anche i rami di azienda possono

(ed essendo rami sarebbe meglio dire che debbono ) essere venduti per lotti, in modo da essere

interessanti per la maggior parte del marcato imprenditoriale disponibile.

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2014, Confindustria Padova Pagina 17 di 21

In sintesi, la privatizzazione dei rami d’azienda contestuale all’aggiudicazione con gara dei

servizi determinerebbe:

- un abbassamento delle tariffe per cittadini e imprese;

- un entrata straordinaria per le casse comunali (o di riduzione del debito pubblico ) ;

- una dinamica concorrenziale per esistenti e nuove imprese del settore;

- una piena tutela dei livelli occupazionali.

L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA DI GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI

URBANI NELLA REGIONE VENETO

QUADRO NORMATIVO

A) L’art. 3 bis, comma 1, del d. L. 13 agosto 2011, n. 138, “misure urgenti per la stabilizzazione

finanziaria e per lo sviluppo”, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, fa obbligo alle

regioni di organizzare “lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza

economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da

consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio e

istituendo o designando gli enti di governo degli stessi […]”.

Tali bacini, prosegue la norma, devono essere di dimensione “non inferiore almeno a quella del

territorio provinciale”, salvo che, sulla base di “criteri di differenziazione territoriale e socio –

economica e in base ai principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle

caratteristiche del servizio” la regione non individui “specifici bacini territoriali di dimensione

diversa da quella provinciale”.

Il successivo comma 1 bis, aggiunto dall’art. 34, comma 23, del d. L. 18 ottobre 2012, n. 179,

convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221, precisa che “le funzioni di organizzazione dei

servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei

rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per

quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate

unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o

designanti ai sensi del comma 1 del presente articolo”.

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L’art. 34, comma 20, del d. L. n. 179 del 2012, precisa, inoltre, che “per i servizi pubblici locali di

rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli

operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di

riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata

sul sito internet dell’ente affidante, che da conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti

previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta”.

B) La Regione Veneto, in attuazione della citata previsione, ha promulgato la Legge regionale 31

dicembre 2012, n. 52, “nuove disposizioni per l’organizzazione del servizio di gestione integrata

dei rifiuti urbani”, ai sensi della quale:

1. art. 2, comma 1, “ai fini dell’ottimale organizzazione, coordinamento e controllo del servizio

di gestione integrata dei rifiuti urbani, l’ambito territoriale ottimale[…] è il territorio

regionale” (AMBITO REGIONALE, gestito da un Comitato di Bacino Regionale);

2. art. 3, comma 1, “entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente

legge (avvenuta il 1 gennaio 2013, ndr.), la Giunta regionale approva il riconoscimento dei

bacini territoriali per l’esercizio in forma associata delle funzioni di organizzazione e

controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani a livello provinciale” (più

BACINI TERRITORIALI);

3. art. 3, comma 2, “su proposta motivata degli enti locali interessati, la Giunta regionale può,

altresì, approvare il riconoscimento di bacini territoriali di diversa dimensione”;

4. art. 3, comma 4, “gli enti locali ricadenti nei bacini territoriali provinciali, infraprovinciali

o interprovinciali […] esercitano in forma associata le funzioni di organizzazione e

controllo diretto del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani attraverso i consigli di

bacino”;

5. in particolare, l’art. 3, comma 6, precisa che “i consigli di bacino … esercitano le seguenti

attività: […] c) indizione della procedura di affidamento del servizio di raccolta, trasporto,

avvio a smaltimento e recupero […]”;

6. art. 4, comma 1, “gli enti locali ricadenti in ciascun bacino territoriale approvano una

apposita convenzione”, la quale, ai sensi del successivo comma 2, prevede: “a) la

costituzione di un’assemblea di bacino, presieduta da un presidente espresso dalla

maggioranza dei componenti l’assemblea e formata dai rappresentanti degli enti locali

partecipanti al consiglio di bacino […]”;

7. art. 4, comma 3, “l’assemblea di bacino […] nomina fra i suoi componenti un comitato di

bacino, composto dal presidente dell’assemblea e da due membri. Il comitato di bacino è

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2014, Confindustria Padova Pagina 19 di 21

organo esecutivo dell’assemblea e svolge le funzioni che vengono definite dalla

convenzione”.

L’art. 5, comma 8, della l. reg. n. 52 del 2012, disposizioni transitorie, nell’intento di evitare

soluzioni di continuità nel mentre la riforma entra a regime, ha previsto che gli enti locali

subentrino nelle posizioni degli enti responsabili di bacino e delle autorità d’ambito “rispetto alle

concessioni ed ai contratti di servizio in essere, di affidamento della gestione operativa relativa

alla raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani, rilasciate e stipulate dagli enti stessi enti

responsabili di bacino ed autorità d’ambito, qualora le concessioni ed i contratti di servizio in

essere siano compatibili con la normativa europea vigente … con particolare riferimento alle

modalità di affidamento del servizio”.

L’art.13 del D.L. nr.150 del 2013 prevede che la mancata istituzione o designazione

dell’Ente di Governo dell’Ambito Territoriale Ottimale ovvero la mancata deliberazione

dell’affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l’esercizio dei poteri sostitutivi

da parte del prefetto.

SUDDIVISIONE IN LOTTI: PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA VENETO

Al fine di favorire la concorrenza ed il libero mercato nei servizi pubblici locali, in relazione alla

definizione dei Bacini Territoriali da parte della Regione Veneto, Confindustria Veneto auspica

che i Consigli di bacino, dotati di autonomia funzionale ed organizzativa per lo svolgimento delle

attività connesse alle funzioni di programmazione, organizzazioni, affidamento e controllo del

servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani, applichino la suddivisione in lotti nella

fase di affidamento come previsto dai seguenti riferimenti normativi:

A) L’art. 13, della legge 11 novembre 2011, n. 180, norme per la tutela della libertà d’impresa.

Statuto delle imprese, fa obbligo alle stazioni appaltanti, “nel rispetto della normativa dell’Unione

europea in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle micro, piccole e medie

imprese”, “purchè ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari”, di “suddividere, nel

rispetto di quanto previsto dall’articolo 29 del codice dei contratti pubblici … gli appalti in lotti o

lavorazioni”.

B) L’art. 2, comma 1-bis, del Codice dei Contratti Pubblici, modificato, da ultimo, dall'art. 26-bis,

comma 1, del d. L. 69 del 2013, cd. decreto “del fare”, precisa che “nel rispetto della disciplina

comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie

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imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente,

suddividere gli appalti in lotti funzionali. Nella determina a contrarre le stazioni appaltanti

indicano la motivazione circa la mancata suddivisione dell’appalto in lotti. I criteri di

partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese”.

SINTESI DELLE PROPOSTE DA PARTE DI CONFINDUSTRIA

1. Reintrodurre la regola della gara per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza

economica;

2. Reintrodurre un regime transitorio di cessazione anticipata per gli affidamenti diretti in

essere;

3. Estendere tale regime transitorio di cessazione anticipata alle società pubbliche quotate;

4. Reintrodurre il divieto di partecipare a gare e comunque di estendere il proprio ambito di

gestione alle società che godono di affidamenti diretti, comprese le società pubbliche

quotate;

5. Istituire il divieto per le società in house di eseguire attività diverse dai servizi pubblici

loro affidate dagli Enti soci, salvo attività accessorie e strumentali ai servizi stessi;

6. Individuare degli ambiti territoriali ottimali di governo che consentano una organizzazione

e regolazione efficace;

7. Individuare in tali ambiti dei sub-ambiti/lotti di gara di dimensioni tali da favorire una

effettiva concorrenza tra imprese italiane anche private;

8. In caso di volontà o necessità di privatizzazione delle imprese pubbliche, impostare le gare

in modo che esse abbiano ad oggetto, assieme all’affidamento del servizio a tariffe

inferiori di almeno il 20%, anche il relativo ramo d’azienda della società pubblica attuale

gestrice, con passaggio automatico altresì dei dipendenti;

9. Vietare agli Enti pubblici di affidare servizi in house a società partecipate che non sono in

grado o che non intendono erogare i servizi con proprie risorse al fine di evitare

allungamenti di filiera ed esternalizzazioni che violano il controllo analogo da parte

dell’Ente Pubblico stesso, nonché la ripetizione degli utili di impresa;

10. Fissare criteri restrittivi e inderogabili di elaborazione della Relazione ex art. 34 D.L.

179/2012;

11. Regolamentare i casi residuali di affidamento in house prevedendo che il Controllo

Analogo sia esercitato dai Dirigenti degli Enti soci e che le soc. In House Multiutility

abbiano bilanci separati per ciascun servizio pubblico erogato;

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12. Incentivare gli Enti locali ad aumentare la concorrenza e a mettere in campo strumenti

efficaci di ricerca dell’evasione ed elusione dei tributi locali, in modo da calmierare gli

effetti negativi derivanti dalla introduzione della TARI (attuale tassa sui rifiuti)