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Giancarlo 25 anni dopo Speciale Siani educazione alla legalità

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Page 1: Speciale Siani Giancarlo 25 anni dopo - Corriere del Mezzogiorno · 2010. 11. 3. · ciale” in piazza del Plebiscito. Proprio nel maggio del 1985, giusto al centro della piazza

Giancarlo25 anni dopo

Speciale Siani

educazione alla legalità

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Un giovane che sorride. Un ragazzo dall’aria simpatica e spensierata, pro-prio come la sua strana vettura, una sorta di mini fuoristrada ante litteram che porta il nome di un dromedario: “Mehari”. è perlopiù a questa imma-gine che viene associato il nome di Giancarlo Siani, anche perché proprio in quella semplice e spartana vetturetta di colore verde sarà massacrato a colpi di pistola la sera del 23 settembre del 1985, sotto casa, seduto al volante, su-bito dopo aver parcheggiato in piazza San Leonardo, al Vomero. Gli han-no lasciato solo il tempo di spegnere il motore, i fari invece restano accesi, e così li trovano poco dopo gli uomi-ni delle forze dell’ordine. Ed è questa l’altra, terribile icona che i più ricor-dano: la piccola Citröen circondata da persone che guardano quel corpo piegato in avanti, la testa che poggia sullo sterzo, un rivolo di sangue che esce dalla bocca. L’ultima fotografia, dunque, lo ritrae nella sua macchina, che ora appare troppo allegra, troppo aperta, troppo leggera per sostenere il peso di una tragedia così grande, per poterlo difendere dall’assalto delle bel-ve uscite dal buio. Non a caso l’auto-mobile sarà scelta come simbolo da-gli autori e dal regista di “Fortapàsc”, il film dedicato alla storia del giovane giornalista napoletano, pellicola per la verità non proprio riuscita e forse an-che per questo motivo scomparsa pre-maturamente dalle sale. Quattro giorni prima dell’agguato Giancarlo ha com-piuto 26 anni, quattro mesi prima gli avevano fatto firmare un contratto per

di Antonio EmAnuElE PiEdimontE

una sostituzione estiva al suo giornale, il “Mattino” e all’incirca quattro setti-mane dopo, alla fine di ottobre, il di-rettore lo avrebbe assunto come “pra-ticante”, ovvero l’ultima tappa del percorso che conduce al traguardo: di-ventare giornalista professionista, otte-nere il tanto agognato tesserino borde-aux che segna la fine del purgatorio del precariato (l’Ordine dei giornalisti del-la Campania lo assegnerà ugualmente, come gesto simbolico di vicinanza alla famiglia). Siani è il primo giornalista a cadere sotto il fuoco della camorra in Campania. Dopo quell’agguato niente sarà più come prima.

napoli 1985Sono trascorsi venticinque lunghi anni da quella maledetta sera che insangui-nò la città e il mondo del giornalismo. Nel 1985 Napoli è stretta da mille, sof-focanti emergenze e molti dei suoi abi-

tanti sono impegnati più che mai nella lotta per la sopravvivenza: a cinque anni dal sisma, infatti, il dopo-terremoto è appena cominciato. La criminalità, or-ganizzata e non, ha cambiato volto. Le notti cominciano a farsi molto perico-lose, così, dopo il tramonto, i più pre-feriscono evitare le passeggiate, soprat-tutto nel centro storico. è aumentato il numero dei motorini e dunque quello degli scippi. Tra le infinite impalcature di tubi Innocenti e i cortili dei palazzi abbandonati si moltiplicano i drogati che s’infilano l’ago nella vena e poi, con la stessa siringa, minacciano i passanti per rimediare i soldi della nuova dose. Un cielo plumbeo di violenza è calato dopo il terremoto del 1980 e da allo-ra copre ogni cosa dal Vesuvio al mare. I clan della camorra hanno dato vita ad una guerra senza precedenti per la spartizione dei soldi della ricostruzio-ne e quelli del business allora più fio-

l’omicidio 23 settembre 1985, ore 22, agguato a Villa Maio al Vomero

La cronaca della morte di un giovane giornalista napoletano

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rente: l’eroina. Da un lato c’è l’ eser-cito della Nuova camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo, dall’altro le truppe della coalizione di famiglie che si è opposta allo strapotere del boss di Ottaviano con l’appoggio esterno del-la mafia, la Nuova Famiglia. Neppure i processi, normali e maxi, rallentano la mattanza, Napoli e il suo hinterland diventano come Beirut: dall’anno del terremoto al 1985 i morti sono oltre settecento. Una guerra, quella tra le maggiori potenze camorristiche del tempo, che inevitabilmente coinvolge diversi apparati istituzionali, come di-mostreranno (in parte) sia il caso Ciro Cirillo (il rapimento, ad opera delle Br, e le trattative per la liberazione dell’as-sessore regionale democristiano), sia la bomba sul “Rapido 904”, la tristemen-te nota strage di Natale (23 dicembre 1984, il bilancio sarà di 15 morti e 267 feriti); due tra i grandi misteri italia-ni sui quali peraltro si indaga ancora (di recente è stata riaperta l’inchiesta sull’attentato). Anni difficili, dunque,

VIttIMa DeL CLanunico giornalista ucciso

dalla camorra in Campania

ma come accadrà anche in tempi più vicini, basta poco a distrarre l’attenzio-ne della massa, magari un “effetto spe-ciale” in piazza del Plebiscito. Proprio nel maggio del 1985, giusto al centro della piazza-cartolina, le auto hanno dovuto fare un po’ di posto ad una grande fontana; pure lei durerà poco, ma la foto di quei semplici spruzzi

d’acqua tra Palazzo Reale e la basilica serviranno a far passare in secondo pia-no le immagini dei bambini che gioca-no tra le Vele di Scampia. Nelle strade si manifesta per il lavoro, il diritto alla casa e contro la chiusura dell’acciaie-ria di Bagnoli (in prima fila, con l’ex sindaco comunista Valenzi, c’è pure un giovane Bassolino, futuro sindaco post-comunista). Il primo cittadino in carica è il socialista Carlo D’Amato (da poco riconfermato nel secondo man-dato) e in consiglio comunale siede pure Marco Pannella (non per molto: si dimetterà ad ottobre). Ma a distrar-re più di ogni altra cosa dalle dolorose emergenze quotidiane è l’unico, auten-tico oppio dei popoli: il calcio. Perché sul prato del “San Paolo”, per il secon-do anno, si esibisce il “re dei re”: Die-go Armando Maradona. E in una città ancora e sempre più borbonica il talen-to dello scugnizzo argentino si è subi-to trasformato in una sorta di delirio pagano. Ed ancora oggi se solo pochi ricordano lo strazio del povero Enzo Tortora (il più clamoroso caso di mala-giustizia della storia italiana) costretto a deporre nella stessa aula bunker dove si

Il nome di Giancarlo Siani non è mai stato dimenticato. Lo dimostrano i numerosi istituti scolastici, in città ed in provincia, a lui intitolati. Un modo per mantenere vivo il ricordo di un giovane che ha fatto della legali-tà la sua ragione di vita. Questi alcuni dei principali istituti della Campania che portano il suo nome: 1°circo-lo didattico di Quarto, 3°circolo di-dattico di Marano, circolo didattico di Mugnano, 3° circolo didattico di Acerra, scuola media statale di Villa-ricca, istituto tecnico commerciale di via Pietravalle, istituto d’arte di Ca-

salnuovo, liceo scientifico di Aversa, 2°circolo didattico di Torre del Gre-co, 2° circolo didattico di Torre An-nunziata, scuola media statale di Gra-gnano, istituto comprensivo di Sant’ Angelo a Cupolo. A Siani sono state anche dedicate un’aula della scuola di giornalismo dell’università Suor Or-sola Benincasa, un teatro nel comune di Marano, le biblioteche di Cerco-la, Sant’Anastasia e Trentola Ducen-ta, un’aula del Tribunale di Torre Annunziata, la sala riunioni de “Il Mattino”, delle Rampe nel quartiere Arenella. Ari. Sco.

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sarebbe seduto anche un certo Pasqua-le Barra, più noto come “’o animale” per la graziosa abitudine di strappare dal torace e prendere a morsi il cuore delle vittime (nemici del suo clan) ap-pena ammazzate, tutti quanti invece ri-cordano le gesta del “Pibe de oro”, che proprio nel novembre di quell’anno se-gnerà il gol che permetterà al Napoli di battere l’odiata Juventus. Si tifa per il Napoli ma, come al solito, non si tifa per Napoli. Come le dune del deser-to, degrado e malaffare crescono sem-pre di più nel silenzio dei (pochi) giu-sti, e spinti dal vento dell’arretratezza e dell’inciviltà – il vero humus d’ogni ca-morra – sommergono lentamente ogni cosa: le coscienze, la cultura, i palazzi del potere e tutto quel poco che era ri-masto di sano dopo lo tsunami del lun-go dopoguerra.

un ragazzo semplicein una realtà difficileAl suo nome Google risponde con quasi quarantamila voci, tra queste ci sono  anche gli istituti scolastici che gli sono stati intitolati, il teatro comunale

di Marano ed una strada, per l’esattez-za le “Rampe Siani” (già “Rampe Con-te della Cerra”), su via Suarez, a pochi passi da piazza Immacolata e dalla sua casa). Ma chi era Giancarlo Siani? A 25 anni dalla sua morte, infatti, il ri-schio è che ormai per molti ragazzi sia solo il nome di una scuola, il volto di un attore visto in un trailer, o una sbia-dita immagine fotografica in bianco e nero su un giornale sfogliato frettolo-samente. Ed allora è forse giusto ricor-dare chi era quel giornalista ammaz-zato solo perché faceva il suo lavoro: informare. Giancarlo Siani apparte-neva ad una famiglia della borghesia medio-alta napoletana. Dopo aver fre-quentato il liceo classico “Giambatti-sta Vico” – dove incontrerà l’ utopia del movimento studentesco più im-portante, quello del ’77, ma rimarrà fedele alla sua natura di non violento (in quegli anni agitati una scelta corag-giosa) – si iscriverà all’università, ma il sacro fuoco della passione per il gior-nalismo si è era già impossessato di lui e, come accade a quelli nati per questo mestiere, non lo fermeranno né l’as-senza, e poi scarsezza degli introiti né i grandi sacrifici di un impegno quoti-diano che assorbe quasi tutto il tempo e le energie. Inizia a scrivere per alcuni periodici napoletani, mostrando par-

ticolare attenzione per le problemati-che sociali del disagio e dell’emargina-zione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalan-za della camorra. E proprio alla crimi-nalità organizzata si interesserà sempre di più collaborando con “L’Osservato-rio sulla camorra”, il periodico fondato e diretto dal sociologo Amato Lamber-ti, suo docente alla facoltà di Lettere. Giancarlo Siani è un giovane semplice, allegro, mite ed estroverso, un ideali-sta e pieno di sogni come tutti i ven-tenni, che pensa che si possa cambiare il mondo e non ha paura di provarci. Inevitabilmente bruschi saranno gli impatti con la realtà, dalla collega rac-comandata che briga contro di lui (lo racconta in una lettera alla fidanzata), al clima nella sede centrale del “Mat-tino”, che gli sembrerà un ministero. Nel 1981, infatti, è cominciata la sua carriera di precario nei giornali, la co-siddetta “gavetta” (che, vale la pena ri-cordare, può durare anche dieci anni),

una lunga scala che conduce pian pia-no al cosiddetto “abusivato” e poi, fi-nalmente, all’articolo 1. E al giovane talento vomerese, tutto sommato, non va neanche così male (rispetto ad al-tri), dopo pochi anni ha la possibilità di lavorare per il giornale che ama (il “Mattino”, il più grande quotidiano del Sud), e di poter mettere piede in una redazione, quella di Castellamma-re di Stabia, peraltro con un incarico preciso: corrispondente da Torre An-nunziata. Come in ogni quotidiano di informazione degno di questo nome, la precedenza va sempre alla cronaca. E in quegli anni (come oggi) è quasi soltanto nera. Ovvero la camorra, in primis la guerra tra Nco di Cutolo e la Nuova Famiglia (Nuvoletta, Bardel-

Negli anni Ottanta i clan della camorra diedero vita ad una guerra per la spartizionedei soldi della ricostruzionee quelli del mercato dell’eroina

annI ’80Maradona, caduco placebo

per una città con tanti problemi

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uno strano agguatoA Torre Annunziata i protagonisti della cronaca nera sono quasi esclu-sivamente i “valentini”, ovvero gli ap-partenenti al clan camorristico di Va-lentino Gionta. Il boss è latitante, ma il suo potere è enorme, anche grazie ai rapporti con Lorenzo Nuvoletta, capoclan di Marano, legato alla ma-fia siciliana, in particolare alla fazione vincente, quella dei corleonesi di Totò Riina. Tanto per avere un’idea del cli-ma, basti pensare che quando un co-gnato del padrino è arrestato in spiag-gia, mentre prende la tintarella, nella borsa insieme alle pinne e al costumi-no i carabinieri trovano pure un mitra

lino ed Alfieri, tutti legati a Cosa no-stra). Dunque una realtà difficile e pe-ricolosa, ma nonostante la giovane età Siani dimostra di esser attento e scal-tro instaurando ottimi rapporti con le forze dell’ordine, in particolare con il capitano dei carabinieri Antonio Sen-sales, e diventando buon amico anche del pretore Luigi Gargiulo. Due allea-ti preziosi per uno che non è di Torre Annunziata, due fonti che gli consen-tiranno di scrivere articoli a prova di querela. Tenero e un po’ bambinone con gli amici, sveglio e determinato sul lavoro. Scriverà il collega Goffre-do Buccini: “Giancarlo era un ragazzo multiforme, scafato, adulto, capace di stare fra gli adulti, ma aveva delle leg-gerezze, delle ingenuità che lo rendeva-no adorabile. Era contro il sistema ma era un non violento, faceva il giornali-smo acquisendo le notizie dalla strada, fra le persone. Voleva fare questo me-stiere ma non aveva raccomandazioni: raddoppiava, quindi, il suo impegno”. Impegno che il giovane cronista met-terà poi anche in altre inchieste, come quella dello scandalo delle cooperati-ve di ex detenuti (l’ennesimo) e quello sulla gestione di una casa squillo in via Palizzi, al Vomero, frequentata da da-narosi professionisti napoletani. Due casi che, per un periodo, saranno con-siderati possibili moventi.

e alcune dosi di cocaina (il nécessai-re de toilette di qualsiasi gentiluomo). Nonostante le difficoltà professionali non manchino, ogni mattina si met-te nella “Mehari” e imbocca prima la tangenziale e poi l’autostrada sino a Torre Annunziata. Da corrisponden-te deve seguire un po’ di tutto, com-presa l’attività dell’amministrazione comunale – nel film di Marco Risi è raccontato un burrascoso (quanto in-verosimile) faccia a faccia tra Siani e il sindaco della cittadina durante un’af-follata seduta del Consiglio  –  ma la sua attenzione è giustamente concen-trata soprattutto sulla cronaca nera. Una precedenza che diventa priorità assoluta il 26 agosto 1984. è il gior-no di Sant’Alessandro, una domenica, quando davanti al Circolo dei pesca-tori di Torre Annunziata, a pochi pas-si dalla chiesa affollata di bimbi che devono fare la prima comunione, si ferma un autobus con una scritta sul cruscotto: “Gita turistica”. Dal mez-zo però non scendono dei gitanti ma quattordici killer del clan di Carmine Alfieri, capo del cartello della Nuova Famiglia, che cominciano a sparare all’ impazzata contro chiunque si trovasse in strada. è il massacro che passerà alla storia come la “strage di Sant’Alessan-

dro”. Il bilancio è di 8 morti e 7 feriti. Il fatto è troppo grande per poter esse-re lasciato al giovane corrispondente e da via Chiatamone arrivano gli inviati speciali. Siani si occuperà perlopiù di aspetti secondari e, come sempre acca-de in questi casi, si sentirà frustrato ed amareggiato, ma questo non sminuirà l’intensità del suo impegno. Il 10 giu-gno del 1985, sulle pagine del “Mat-tino”, racconta l’arresto di Valentino Gionta. E formula l’ipotesi  –  dando voce al pensiero comune – che il boss possa esser stato “cantato” (tradito) dai Nuvoletta (l’hanno catturato nella loro zona e disponevano di informa-zioni dettagliate) per poter patteggia-re una tregua con i clan nemici. Uno scenario verosimile, un articolo come tanti altri. Sembra. In realtà, stando a quanto racconteranno i pentiti molti anni dopo, quel pezzo scatenerà l’ira funesta dei Signori di Marano. Una collera biblica: solo quasi quattro mesi dopo, infatti, si trasformerà in una condanna a morte, e dunque nello strano agguato di settembre. Perché

SOLO un GIORnaLIStaun giovane “colpevole” solo

di amare il suo mestiere

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fu un raid decisamente anomalo per gli standard e la prassi della camorra, a cominciare dalla lunga attesa dei sica-ri (per ore sotto casa del cronista), e a finire per i tanti colpi andati a vuoto. La vigliacca imboscata di piazza Le-onardo non disorienta solo gli esper-ti di dinamiche criminali, ma suscita stupore soprattutto tra i colleghi del “Mattino”. Il giovane reporter, tutto sommato, era esposto a rischi margi-nali rispetto ad altri colleghi da anni in prima linea nel raccontare le guerre e gli affari dei clan. Un omicidio ati-

pico, dunque, ma le indagini non lo saranno meno.

L’ inchiesta infinitaNessuno riesce a spiegarsi quell’ag-guato. A cominciare dal direttore del giornale, Pasquale Nonno, che due anni dopo (nella prefazione al volu-me “Morte di un cronista” di Giusep-pe Calise), racconterà: “Ero a teatro romano, i carabinieri vennero a chia-marmi: è stato assassinato un giornali-sta del Mattino. Non ne conoscevano il nome, ma il fatto era avvenuto in piazza Leonardo. Mentre salivo ver-so il Vomero mi vennero in mente i volti dei colleghi che avevano avuto a che fare con le inchieste più scottanti, che erano stati minacciati. Nemmeno per un attimo pensai a Siani. Perciò fin dal primo momento, pur stravolto dalla tragedia, mi fissai, colpito dalla straordinarietà del fatto. Perché Siani? Ce lo domandammo anche dalle pa-gine del Mattino non solo per chiede-re che si trovasse il movente e quindi gli assassini, ma anche per interroga-re noi stessi: perché un piccolo, bra-vo cronista di provincia?”. Anche se il giornalista da qualche mese lavorava a

Napoli, ovviamente le indagini van-no subito nella direzione di Torre An-nunziata, si punta a Valentino Gion-ta, l’unico al quale possono aver dato fastidio gli articoli sulla cosca: la dro-ga, le estorsioni, gli appalti pubblici. Subito viene individuato e fermato un 21enne pregiudicato di Torre Annun-ziata, ma sarà scarcerato dopo qualche mese, poi, dopo una lunga pausa, vie-ne fuori uno scandalo legato alle co-operative di ex detenuti e ai corsi di formazione professionale dalla Regio-ne Campania, quindi un casa-squil-lo al Vomero, infine salta fuori una storia che riguarda il clan Giuliano, l’allora potente famiglia camorristica di Forcella. Ma è solo tempo perso. Una serie di figuracce per la giustizia campana, peraltro già segnata dalla storiaccia del presentatore televisivo Enzo Tortora (del tutto innocente, muore di cancro nel maggio dell’88). Il buio sulla morte del cronista dura fino al 19 agosto del 1993, quando Salvatore Migliorino, 38 anni, affilia-to al clan Gionta, racconta quello che sa e quello che ha sentito. è la svolta. Secondo il pentito, Siani è stato puni-to per quell’ articolo pubblicato il 10 giugno del 1985, dove ipotizzava un possibile tradimento dei Nuvoletta. Insomma, un gesto esemplare per far sapere a tutti (e a Valentino Gionta in particolare), che loro non erano degli “infami”, non facevano la spia, loro erano dei camorristi leali. Insomma, una atroce vendetta. La decisione, va detto, trova la ferma opposizione del boss di Torre Annunziata e, triste pa-radosso, sarà proprio il trasferimento della sede di lavoro di Siani a Napoli a rendere esecutivo l’ordine dei mara-nesi. Il passo che l’avrebbe condotto alla realizzazione del suo sogno pro-fessionale, sarà anche quello che lo porta alla morte. Undici anni dopo l’imboscata di piazza Leonardo, il 15 ottobre del 1996, finalmente comin-cia il processo alle 9 persone ritenu-te coinvolte nel delitto. E nel 2001 la Cassazione mette la parola fine al caso

Siani confermando la pena dell’erga-stolo per i mandanti Angelo Nuvolet-ta e Luigi Baccante, per i killer Ciro Cappuccio e Armando Del Core, e i 28 anni di carcere per i fiancheggia-tori Ferdinando Cataldo, Gabriele Donnarumma e Gaetano Iacolare. La Suprema Corte annulla invece la condanna all’ergastolo per Valentino Gionta perché il capoclan fu messo solo a conoscenza della volontà di as-sassinare il giornalista, ma non ebbe nessun ruolo nell’ideazione e nell’or-ganizzazione dell’imboscata. Quin-

dici anni. Ci sono voluti 15 anni per avere una sentenza definitiva, eppu-re non tutte le domande hanno tro-vato una risposta. E lo stesso si può dire oggi, ad un quarto di secolo dal-la morte di Siani. Come ha ricordato anche il film “Fortapàsc”, sin dal sug-gestivo titolo (citazione di un articolo del cronista), che rende bene il mag-matico caos che ancora regna sovrano nelle terre della Campania felix. Qual è il fortino e chi c’è dentro? Chi sono gli indiani e chi i cow boy? E chi sono i buoni e chi i cattivi? Dal 1985 Na-poli e Torre Annunziata sono sicura-mente cambiate, perlopiù in peggio, e di sicuro il malaffare e il degrado, come il deserto, continuano purtrop-po a crescere. Ma, quello che è peg-gio, sono sempre di meno i cronisti bravi e preparati che hanno il corag-gio di denunciarlo, e sempre di più gli incompetenti, gli ignoranti e i vili che preferiscono scrivere di tutt’altro. An-che per questo va tenuto viva la me-moria di Giancarlo Siani, anche per questo ci manca quel ragazzo che sor-rideva sempre e scorazzava con una curiosa vetturetta verde.

Il primo cittadino è il socialista Carlo D’Amato. Ma a distrarre dalle dolorose emergenze quotidiane è l’unico e autentico oppio dei popoli: il calcio

Le indagini vanno subito nella direzione di Valentino Gionta, l’unico al quale possono aver dato fastidio gli articoli sulla cosca: la pista si rivelerà un errore

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di Bruno dE StEFAno

le indagini Un percorso lungo e cervellotico durato oltre dodici anni

Otto ergastoli, killer e mandanti seppelliti in carcere. L’omicidio di Giancarlo Siani per fortuna non è rimasto impunito: chi ha ordinato ed eseguito l’assassinio del giornali-sta è da tempo rinchiuso nelle patrie galere con la certezza di non torna-re mai più in circolazione. Conside-rando il non trascurabile numero di delitti “eccellenti” ancora senza col-pevoli, è innegabile la soddisfazio-ne di aver consegnato alla giustizia i carnefici del 26enne cronista del Vomero; una soddisfazione doppia se si pensa che il percorso che ha condotto gli inquirenti sulle tracce dei boia di Giancarlo è durato do-dici anni. Un periodo lunghissimo durante il quale si è sprecato tempo prezioso in indagini cervellotiche e inseguendo piste piuttosto impro-babili. A poche ore dall’agguato era stato arrestato Alfonso Agnello, un balordo di Torre Annunziata; pre-sentato come l’esecutore materiale del delitto, fu scarcerato dopo qual-che giorno grazie ad un alibi di fer-ro. Qualche anno più tardi finirono in carcere alcuni esponenti del clan Giuliano di Forcella e un improba-bile killer, un certo Giorgio Rubo-lino: anche quell’inchiesta si rivelò un fallimento: tutti scarcerati con tante scuse. Poi, nel 1993, la svolta grazie al contributo decisivo dei col-laboratori di giustizia.

Agnello, i Giuliano e Rubolino non c’entravano nulla: Siani, dice la sentenza che nel 2001 ha defi-nitivamente inchiodato i colpevo-

li, è stato ammazzato per un arti-colo pubblicato sul quotidiano «Il Mattino» il 10 giugno del 1985, nel quale raccontava i retroscena dell’arresto del capoclan di Torre Annunziata, Valentino Gionta, av-venuto a Marano, proprio nella cit-tà in cui comandava il suo miglior alleato, Lorenzo Nuvoletta, boss af-filiato alla mafia siciliana. Nell’arti-colo, Siani aveva scritto: “Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del superlatitante Va-lentino Gionta. Già da tempo ne-gli ambienti della mala organizza-ta e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse ‘scaricato’, ucciso o arrestato (…). Dopo il 26 agosto dello scorso anno, il boss di Torre Annunziata era diventato un perso-naggio scomodo. La sua cattura po-trebbe essere il prezzo pagato dagli

stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan della ‘Nuova Famiglia’, i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del su-perlatitante che, proprio nella zona di Marano, aveva creduto di trovare rifugio”.

Secondo due collaboratori di giu-stizia, scrivendo quell’articolo Sia-ni aveva commesso l’imperdonabile errore di ipotizzare che i Nuvoletta, per firmare una pax con gli avversa-ri, avevano accettato di liberarsi di Gionta «vendendolo» ai carabinieri, che evidentemente avevano ricevu-to informazioni fin troppo precise sul luogo nel quale si nascondeva il boss di Torre Annunziata. Quella

La Sentenzanel 2001 i colpevoli sono

condannati definitivamente

Ergastolo a killer e mandanti, ma le zone d’ombra restano inquietanti

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di Siani era solo un’ipotesi, sicura-mente fornita da fonti investigative, però era stata considerata sufficiente a far passare i Nuvoletta come de-gli ignobili traditori. E per dimo-strare a Gionta che non erano stati loro a fare gli spioni con gli sbirri, i Nuvoletta (anche su pressioni di Cosa Nostra) decisero di punire con la morte il colpevole di quell’infa-mia. Questo è, in estrema sintesi, il movente consegnato alla storia. Un movente che ha contribuito a con-dannare i colpevoli, ma che tuttavia ha lasciato non poche zone d’ombra ancora inesplorate. E i primi a so-spettare che non tutta la verità sia venuta a galla, sono proprio i fami-liari del cronista che sul sito www.giancarlosiani.it scrivono: “Questa è la verità giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il de-litto, con la collaborazione di alcu-ni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione di Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d’ergastoli. Ma sicuramente dietro l’uccisione del giornalista Siani ci sarà anche dell’altro”.

in ballo ci sono decine di miliardi che fanno gola a tutti, ma il giovane cronista è sempre riuscito a scrivere fatti e circostanze più che documen-tate. A dargli una mano nel reperire delibere e atti pubblici è il docen-te universitario Alfonso De Maio, consigliere regionale del Pci e pro-fondo conoscitore dei meccanismi della burocrazia.

Poi arriva la sera del 23 settembre 1985: Giancarlo esce dalla redazio-ne del “Mattino”, dove lavora per sostituire i colleghi in ferie, si met-te in macchina, arriva in piazza Le-onardo e mentre sta parcheggiando due killer gli sparano, uccidendolo. Dopo diversi buchi nell’acqua, a ri-mettere in moto l’inchiesta è il pen-tito Salvatore Migliorino, compo-nente del clan Gionta. Racconta la storia dell’articolo del 10 giugno e la pressione di Riina, convinto del-la necessità di far fuori il giornalista che aveva messo in dubbio la lealtà dei suoi amici Nuvoletta.

Un movente che non convince completamente perché proprio nel periodo che precede l’omicidio, Sia-ni stava lavorando ad un’inchiesta sugli appalti della ricostruzione, dal-

la quale emergono rapporti molto stretti tra politici e camorristi locali. La prima a riferirlo è Chiara Gratto-ni, amica del giornalista, che inter-rogata nel 1995, racconta: «Ricordo che lamentava spesso il fatto che il giornale lo censurasse, che non gli consentiva di pubblicare tutte le no-tizie che voleva. Mi ha detto che rice-veva minacce telefoniche. Tale con-

Secondo la sentenza, Siani è stato ammazzato per aver scritto sui retroscena dell’arresto del boss di Torre Annunziata Valentino Gionta

Il cronista stava lavorando ad un’inchiesta sugli appalti della ricostruzione post-terremotoe sui rapporti stretti tra politici e camorristi locali

Facciamo un passo indietro. Gian-carlo inizia a scrivere per “Il Matti-no” nel 1981 e soprattutto collabora con l’“Osservatorio sulla camorra”, un bollettino diretto dal sociologo Amato Lamberti, sul quale pubblica diverse inchieste sugli affari dei clan della provincia di Napoli. Alcune riguardano i rapporti tra politica e camorra, un legame che si è conso-lidato durante la gestione degli ap-palti per la ricostruzione post-ter-remoto. è un argomento scivoloso,

fidenza risale alla primavera-estate precedente all’omicidio e si riferiva ad alcune minacce che aveva ricevu-to a mezzo del telefono. Un uomo, con tono intimidatorio, gli diceva di stare attento… Ciò che particolar-mente lo interessava, facendolo an-dare spesso su tutte le furie, era il malaffare che imperava a Torre An-nunziata. Diceva infatti, con toni di rabbia, che a Torre era venuto a co-noscenza di strettissime connessioni fra la camorra e i politici».

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“VaLentInI”Il recente arresto

di un affiliato al clan Gionta

E non è tutto. In una lettera spe-dita alla Grattoni, Siani aveva an-nunciato l’uscita di un volume che avrebbe realizzato insieme al colle-ga Antonio Irlando: «In questi gior-ni sto preparando un libro-dossier, Torre Annunziata: un anno dopo la strage. Ho un sacco di foto bellis-sime e notizie che nessuno ha mai pubblicato. Solo che ancora non ab-biamo trovato i soldi per stamparlo. Appena lo stampiamo ti mando una copia».

La storia delle minacce sarà smen-tita dai colleghi del «Mattino» («lo abbiamo sempre visto sereno e sorri-dente», diranno), mentre Irlando so-sterrà che il libro fu pensato solo per dare voce alla parte sana di Torre An-nunziata ma che alla fine non fu mai realizzato perché «non raccogliem-mo nessun materiale di rilievo».

Ma che Siani stesse lavorando su qualcosa collegato agli appalti, lo ha confermato uno dei suoi più abitua-li “consulenti”, il professor Di Maio. Il consigliere regionale aveva più

volte chiesto di essere ascoltato dai magistrati inquirenti, ma quando riuscì ad aver un incontro con l’al-lora procuratore aggiunto Gugliel-mo Palmeri, l’inchiesta aveva già abbondantemente imboccato altre strade. Tre settimane prima del de-litto, Di Maio aveva ricevuto una te-lefonata nella quale Siani gli prean-nunciava di aver scoperto qualcosa di grosso. Nel corso di una puntata de “La storia siamo noi”, condotta da Giovanni Minoli, l’ex consigliere del Pci racconterà: «Quando mi ha telefonato, una telefonata in cui si notava in parte una gioia, lui ritene-va di aver raggiunto il suo equilibrio al “Mattino”, ma che le mie indica-zioni erano state preziose e che lui aveva lavorato intensamente. Aveva scoperto qualcosa di talmente gros-so che non avrebbe potuto nemme-no utilizzare sul Mattino dell’epoca ma che pensava di poter utilizzare su un grande settimanale nazionale. E voleva incontrarmi per chiedermi ulteriori delucidazioni».

Una delle testimonianze che in qualche modo lascia una scia di dubbio sulle ragioni che hanno por-tato alla morte il giovane cronista, è quella di Amato Lamberti. Il so-ciologo e direttore dell’“Osservato-

rio sulla camorra” racconterà di aver ricevuto una telefonata da Siani la sera prima del delitto: «Aveva da dir-mi una cosa ma non poteva farlo per telefono. Perché si trovava al giorna-le, fu la sua evasiva risposta alla mia richiesta. Ero sorpreso del suo atteg-giamento, mai prima di quel giorno era stato così evasivo e misterioso. Aveva fretta di prendere un appun-tamento come se temesse di essere ascoltato. Incuriosito mi sono di-chiarato disponibile a incontrarlo al termine della sua giornata di lavoro, anche nei pressi della sua abitazione. Mi ha risposto che non era in grado di fare previsioni sull’ora del suo ri-entro a casa, perciò ci siamo dati ap-puntamento per l’indomani mattina verso le 10 (…) In realtà io sapevo di quali altre cose si stava occupan-do; era del caso Cirillo, in generale» (“L’abusivo”, Antonio Franchini).

Dunque, l’interesse per gli appal-ti post-terremoto e il caso Cirillo, che per alcuni versi corrono su bi-nari paralleli, potrebbe essere costato caro al giornalista. Ma a prescindere dalle ipotesi e dalle chiavi di lettu-ra dell’omicidio, non si può negare che il caso Siani è ancora circondato da dubbi. Resta da capire, ad esem-pio, perché i killer lo hanno atteso sotto casa per qualche ora, con il ri-schio concreto di farsi riconoscere. In nessun’altra circostanza, infatti, i boia della camorra bivaccano sotto casa della vittima designata. E come mai Siani non è stato trucidato per strada, dove sarebbe stato più faci-le darsi alla fuga? E perché uccide-re un piccolo cronista di provincia quando sarebbe stato forse più che sufficiente un avvertimento o un’in-timidazione? Non è da escludere che Giancarlo sia stato eliminato per quel che sapeva e non per quel che aveva scritto. In carcere ci sono killer e mandanti, ma la sensazione è che la verità non sia stata ancora comple-tamente scritta.

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L’IMPeGnOassicurare ai giovani un futuro

nella nostra regione

legalità Intervista al governatore della Campania Stefano Caldoro

A venticinque anni dall’omicidio di Giancarlo Siani, primo repor-ter a cadere sotto il fuoco della camorra, abbiamo voluto chiede-re al neo governatore Stefano Cal-doro (peraltro anch’egli giornali-sta), quale idea si è fatta di quel tragico evento ed anche una bre-ve riflessione sulla questione lega-lità, tema sempre delicato ed ur-gente per chi siede sullo scranno più alto della Regione e deve dun-que fare i conti con l’antica pia-ga della criminalità (organizzata e non) che in Campania fa registra-re molti primati negativi. Un’altra grossa responsabilità, dunque, per il presidente del Consiglio regio-nale, che non ha caso vi ha dato ampio risalto nel suo programma elettorale.

Questione legalità in Campania: un problema secolare, una piaga endemica. Quale potrà essere il contributo della nuova Regione in questa lunga lotta?

«L’incisiva azione del Governo ha già portato ad importanti risulta-ti sul fronte del contrasto alla cri-minalità. Le operazioni brillante-mente portate a termine dalle forze dell’ordine nella cattura di latitanti e nello smantellamento di organiz-zazioni dedite ad attività criminose testimoniano un’attenzione verso il problema che non ha preceden-ti nella storia repubblicana. Certo

«Le istituzioni devono imprimere la svolta, devono dare un segnale di reale cambiamento, questo però non basta; in questo l’istruzione ha un ruolo prioritario. La culturadella legalità si apprendein famiglia, così come trai banchi di scuola; siamo tutti potenziali insegnantied è di tutti la responsabilità per una società migliore»

di Antonio EmAnuElE PiEdimontE

questo non basta, la Regione deve proseguire sulla strada tracciata dal governo centrale e farsi protagoni-sta di una politica nella quale il ri-spetto delle regole e il contrasto ad attività malavitose siano la priori-tà».

Lei è un politico giovane, appar-tiene ad una generazione che ha dimostrato una diversa sensibi-lità al problema. Crede che que-sto possa essere utile ad imprime-re una svolta nuova nell’impegno

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«La tragica vicenda di Giancarlo Siani purtroppo è ancora molto attuale in una Campania difficile nella qualeè necessaria una svolta»

CaSO SIanI«Il simbolo di ciò che non

sarebbe mai dovuto accadere»

dell’istituzione che rappresenta?«Io credo nelle giovani genera-

zioni, oggi più di ieri vi è una sen-sibilità diffusa verso il problema. Le istituzioni devono imprimere la svolta, devono dare un segnale di reale cambiamento, questo però non basta; in questo l’istruzione ha un ruolo prioritario. La cultura della legalità si apprende in fami-glia, così come tra i banchi di scuo-la; siamo tutti potenziali insegnan-ti ed è di tutti la responsabilità per una società migliore».

Al di là del suo ruolo istituziona-le, quale opinione si è fatto sulle ragioni per cui il cancro-camorra sopravvive da cinque secoli nella nostra regione? E, dunque, quali potrebbero essere i rimedi per de-bellarlo definitivamente?

«Come dicevo, l’istruzione ha un ruolo fondamentale in que-sto. Sicuramente una piaga della nostra società è la mancanza di lavoro. Questa forse è una del-le sfide più importanti della no-stra Regione: creare occupazione, dare un’opportunità di lavoro.

le risorse necessarie per assicurare ai giovani un futuro nella nostra terra, dobbiamo salvaguardare i laureati che spesso sono costret-ti a portare le loro competenze all’estero, con grandi sacrifici e impoverendo di fatto anche la no-stra regione. Dobbiamo però of-frire anche opportunità di lavoro a chi, non conseguendo la laurea, persegue altri percorsi formativi, raggiungendo competenze e capa-cità da mettere a regime».

Cosa pensa della tragica vicen-da di Giancarlo Siani e dei punti oscuri rimasti anche dopo la fine dell’iter processuale?

«Giancarlo Siani è il simbolo di quello che non sarebbe mai dovu-to accadere. Un giornalista, un pro-fessionista impegnato nel racconta-re gli aspetti più oscuri delle verità che lo circondavano, soprattutto un ragazzo che ha immolato la sua vita sull’altare della legalità e della coraggiosa denuncia. La sua tragica vicenda purtroppo è ancora molto attuale in una Campania difficile nella quale è necessaria una svol-

ta, bisogna dare un forte segnale di cambiamento nella direzione della legalità».

Ha letto “Gomorra”? E, in ogni caso, che opinione si è fatto del-la recente querelle culturale e me-diatica scatenatasi intorno al li-bro e al suo autore?

«Si, l’ho letto, è un libro che tra-scrive i problemi che ci sono nel-la nostra regione. è innegabile che quello che Saviano descrive sia un pezzo vero, reale e drammatico della situazione che vive la nostra regione. La sua è un’azione di ve-rità. Cosa diversa è pensare che la Campania sia solo questo, ma non è compito di Saviano dirlo, è com-pito nostro distinguere una verità terribile con la quale  facciamo i conti tutti i giorni, e le straordi-narie energie che la nostra regione possiede».

Noi abbiamo nel Sud un proble-ma drammatico di tensione socia-le, con il 25% di disoccupazione. Abbiamo risolto il problema della Grecia, anche violando i regola-menti e le tradizioni europee. Il Sud ha gli stessi indicatori della Grecia, se si è intervenuti sulla Grecia credo che il Governo deb-ba riflettere, come tra l’altro sono convinto che farà, su un grande piano per il rilancio del Mezzo-giorno. La Regione, dal canto suo, deve mettere in campo tutte

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di dAvidE cErBonE

Più volte parlando di Giancar-lo, Paolo Siani ha ribadito: «Mio fratello non era un eroe. Ma ogni mattina con carta e penna batteva le strade di Napoli alla ricerca del-la verità».

Giancarlo che fratello era? Cosa ricorda del vostro rapporto e del-la vostra crescita insieme?

«Eravamo molto uniti, la nostra famiglia era molto unita, una nor-male e semplice famiglia degli anni ’80. Molti interessi in comune, le stesse scuole frequentate, anche le stesse sezioni, la mitica sezione B del Liceo Vico, la stessa passione per lo sport e per il calcio, le do-meniche allo stadio, le lunghe par-tite a Subbuteo, la pallavolo (lui divenne anche allenatore, e ricordo che allenava una squadra femmini-le di pallavolo). Poi in lui si svilup-pò una forte passione per il giorna-lismo, in modo inaspettato per noi in famiglia. Ma la sua passione, la sua caparbietà la spuntarono e ini-ziò a scrivere. Anzi prima di scrive-re iniziò a leggere. Leggeva per una radio la rassegna stampa cittadina. Si alzava la mattina prestissimo, comprava la “mazzetta di giornali” e andava in radio per la sua rasse-gna stampa».

E che giornalista era?«Marco Risi in Fortapàsc lo de-

finisce “giornalista-giornalista” e

non “giornalista-impiegato”. Chi ha visto il film capisce il senso. Ne-gli anni ’80 eravamo davvero in un altro mondo, non c’erano i cellu-lari, né il computer, e neppure in-ternet ovviamente: i giornalisti do-vevano “scarpinare” con penna e taccuino per cercare le notizie. E lui a bordo della sua Mehari anda-va dal Vomero a Torre Annunziata per raccogliere notizie. E di noti-zie ne ha raccolte tante, lo testimo-niano i suoi quasi mille articoli che abbiamo raccolto nel libro “Parole di una vita” curato dal prof. Raffa-ele Giglio ed edito dalla Phoebus».

Quando ebbe la folgorazione per la professione?

«Il suo insegnante delle scuo-le medie gli affidò il giornalino di classe che lui preparava con molta attenzione e dedizione. Credo che lì, in quegli anni ci fu la “folgora-zione”».

Se la sente di raccontare quella sera, di ricostruirla?

«Ho cercato di cancellarla dalla mia mente quella terribile sera, ma sta lì impressa in modo indelebile e inaspettatamente ogni tanto ritor-na a galla. Non si potrà cancella-re mai come sanno tutti i parenti delle vittime innocenti di crimina-lità».

Cosa pensa dei film e dei libri re-

intervista Parla Paolo Siani, fratello del giovane giornalista ucciso

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alizzati su Giancarlo? Ce n’è qual-cuno che le è piaciuto in modo particolare? E qualcuno che inve-ce l’ha delusa?

«Il film che meglio racconta Giancarlo è senza dubbio Fortapà-sc di Marco Risi. L’ho capito quan-do Marco mi fece leggere in via del tutto riservata la prima sceneggia-tura: non riuscii in nessun modo a trattenere le lacrime, leggevo e rivedevo Giancarlo, la sua vita, la nostra vita e mentre piangevo capii che sarebbe stato un bel film.

Poi l’applauso lungo, intermina-bile, da brividi alla prima del film al San Carlo è stato un vero suc-cesso per Giancarlo. Se lo meritava proprio quell’applauso.

lo credeva. Veramente un articolo o un libro possono dare tanto fa-stidio?

«I giornalisti minacciati sono tanti in Italia. Otto giornalisti sono stati uccisi in Sicilia negli ultimi quarant’anni. Sono proprio tan-ti. è una strage che non ha eguali in nessun paese occidentale, come afferma Alberto Spampinato re-sponsabile dell’“Osservatorio per-manente sull’informazione gior-nalistica e sulle notizie oscurate in Italia”, in sigla Oss.i.g.e.n.o, realiz-zato dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dall’Ordine

Nazionale dei Giornalisti.Sono centinaia i giornalisti ita-

liani intimiditi, minacciati, fat-ti oggetto di ritorsione, costretti a tacere. Questo vorrà pur dire qual-cosa».

Che cosa manca di più di Gian-carlo a suo fratello e alla sua co-munità?

«Ci manca proprio lui, così com’era e non ci possiamo rassegna-re all’idea che ci è stato portato via in quel modo così brutale. No, non ci possiamo proprio rassegnare».

In tutti questi anni abbiamo te-nuto vivo il ricordo di Giancarlo, specialmente tra i giovani, con ini-ziative mai retoriche o solo com-memorative, ma anzi raccoglien-do la sfida del suo insegnamento di vita, quella non di un eroe, ma di un ragazzo appassionato del suo mestiere, cronista per la veri-tà. Migliaia di studenti ne hanno parlato nelle aule e nelle assemblee e gli hanno perfino scritto lettere, che abbiamo pubblicato. “L’Isola dei ragazzi” ha edito il libro per le scuole “Giancarlo, giornalista per la verità”. Quest’anno cade il ven-ticinquesimo anniversario. Stia-mo preparando alcune iniziative. Intanto ci è sembrato importante condividere, come Associazione e Comitato promotore del Premio, la proposta avanzata dall’Osserva-torio Ossigeno, promosso da Al-berto Spampinato, e dalla FNSI di un convegno dedicato ai giornali-sti minacciati in Italia. Ci sembra un modo adeguato ed attuale per onorare il sacrificio stesso di Gian-

carlo, ucciso per “colpire la liber-tà di stampa”, come è inciso nella scultura in ferro di Mimmo Palla-dino, collocata nella Sala riunioni de Il Mattino.

Geppino FiorenzaPresidente onorario dell’Ass. Siani

e referente regionale di Libera per la Campania

Mercoledì 22 settembreOre 17.00 alla LibreriaFeltrinelli di Piazza dei Martiri

Presentazione del libro di Raffa-ele Sardo “Al di là della notte. Sto-rie di vittime innocenti di crimi-nalità”.

Giovedì 23 settembreOre 10.00 nella Sala riunioni de “Il Mattino” in Via Chiatamone

Convegno sui giornalisti minac-ciati in Italia.

Ore 12.00Cerimonia di assegnazione dei

Premi da parte della Giuria, presie-duta quest’anno da Marco Risi.

«Ho cercato di cancellare dalla mia mente quella terribile sera, ma sta lì impressa in modo indelebile e ogni tanto inaspettatamente torna a galla»

Però voglio segnalare un’altra opera su Giancarlo realizzata da un giovane artista napoletano, Salvato-re Manzi, il cortometraggio “Other World” edito dalla Phoebus, molto efficace, diretto. Da proiettare nel-le scuole».

Sono diverse le scuole intitolate a Giancarlo Siani: cosa può fare l’istruzione nell’educazione alla legalità? Quello che si fa oggi è sufficiente?

«Il ruolo della scuola, ma anche della famiglia e di tutte le agenzie che si occupano dei ragazzi hanno un’azione decisiva nell’educazione alla legalità. Ma più delle parole servono i comportamenti, i ragazzi guardano come gli adulti si com-portano».

Saviano parla spesso del potere delle parole. Una forza nella qua-le probabilmente anche Giancar-

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FOtO DI GRuPPOGiancarlo Siani

con alcuni colleghi

premio siani Il 23 settembre nella sede del “Mattino” la settima edizione

La settima edizione del Premio gior-nalistico intitolato a Giancarlo Siani riveste un significato ancora più forte rispetto alle precedenti edizioni. As-sieme al fratello Paolo e a tutti i com-ponenti del Premio, che si svolgerà come sempre la mattina del 23 set-tembre nella sala a lui intitolata nella sede del “Mattino”, abbiamo deciso di dare un significato sempre più na-zionale all’iniziativa invitando come presidente di giuria il regista Marco Risi, autore di Fortapàsc. A venticin-que anni dalla scomparsa di Giancar-lo, ucciso dalla camorra per aver lavo-rato con coraggio e determinazione a Torre Annunziata sull’intreccio tra politica e malavita organizzata, ab-biamo inoltre stabilito di ampliare l’edizione 2010 ospitando un conve-gno sui cronisti minacciati in Italia, promosso dall’Ordine dei Giorna-

A via Chiatamone un convegno sui cronisti minacciati in Italia, promosso dall’Ordine dei giornalisti della Campania con l’osservatorio “Ossigenoper l’informazione”.Impegnati nell’organizzazione anche il direttore del quotidiano Virman Cusenzae altri colleghi tra i qualiRosaria Capacchione

di ottAvio lucArElli * listi della Campania con l’Osserva-torio “Ossigeno per l’informazione” guidato dal collega Alberto Spam-pinato e da altri enti e associazioni che stiamo coinvolgendo. Durante il convegno sarà presentato il Rappor-to 2010 di “Ossigeno”, che traccia il quadro di cinquanta giornalisti mi-nacciati in Italia negli ultimi dodici mesi, e pone il problema di come as-sicurare una maggiore protezione dei cronisti, anche sul piano normativo. Rapporto che quest’anno sarà diffuso anche in inglese, per soddisfare l’in-teresse emerso a livello internaziona-le per il caso italiano.

Per l’iniziativa abbiamo già chie-sto il Patrocinio del Presidente del-la Repubblica Giorgio Napolitano e

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sentenza in cui, oltre alla pena de-tentiva, si condannano i Giuliano a risarcire sia Capezzuto con 10 mila euro sia l’Ordine della Campania con ulteriori 25 mila euro. Somme che abbiamo già deciso di destinare interamente a progetti per il quartie-re di Forcella. Un risultato ottenuto

avanzeremo richiesta formale di una sua partecipazione. L’intervento del Capo dello Stato avrebbe un gran-de significato morale, ci aiuterebbe a rompere il muro dell’indifferenza e della disattenzione che circonda questo tema di drammatica attuali-tà, per il quale il nostro Presidente, in varie occasioni, ha mostrato sen-sibilità e attenzione. Nel nostro pa-ese, soprattutto in Campania e nel Mezzogiorno, si registrano numero-si episodi di minacce e intimidazio-ni nei confronti dei giornalisti, ma a volte manca l’adeguata attenzione da parte dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica.

Al progetto del convegno sto lavo-rando con Alberto Spampinato, Pa-olo Siani, il direttore del “Mattino” Virman Cusenza e altri colleghi tra i quali la giornalista del “Mattino” Rosaria Capacchione che, dopo nu-merose minacce, vive anche lei sot-to scorta. Non hanno invece la scor-ta altri colleghi minacciati. Uno per tutti Arnaldo Capezzuto del quoti-diano free press “Il Napoli” del grup-po E-Polis che ha ricevuto nel 2009 dall’associazione Aricolo 21 il pre-mio nazionale intitolato a “Paolo Giuntella”, assegnato anche all’Ordi-

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Uno per tutti Arnaldo Capezzuto, che cinque anni fa fu minacciato dai Giuliano durante il processo per l’omicidio di Annalisa Durante

Durante il convegno sarà presentato il rapporto 2010che traccia il quadro di cinquanta giornalisti minacciati in Italia negli ultimi 12 mesi

PReMIazIOne 2009alberto Solmi, vincitoredella sezione “Scritti”

lo non era un eroe ma un giornali-sta”. Non era un eroe Giancarlo, non sono eroi ma bravi, ottimi giornali-sti, i cronisti suoi eredi che in ogni angolo della Campania lavorano tutti i giorni in territori di frontiera rischiando, subendo minacce e vio-lenze, per raccontare la cronaca della nostra regione. Dove i clan massacra-no, violentano, minacciano anche i giornalisti. è accaduto a Rosaria Ca-pacchione, cronista del “Mattino”. è accaduto ad Arnaldo Capezzuto che oggi lavora per “E-Polis” ma che cin-que anni fa era nel quotidiano “Na-polipiù”, poi chiuso. Minacciato dai Giuliano, il clan di Forcella, perché seguiva senza sosta per il suo quoti-diano il processo per l’omicidio del-la giovanissima Annalisa Durante, massacrata da un rampollo dei Giu-liano nel cuore di Forcella. Arnaldo Capezzuto non è un eroe ma uno di quei giornalisti che non mollano la presa, che non si fanno condiziona-re o intimidire. Non lo hanno con-dizionato o intimidito i Giuliano, lui li ha denunciati, l’Ordine dei giorna-listi della Campania ha deciso di co-stituirsi al suo fianco parte civile. E assieme abbiamo vinto, con un for-te momento di emozione e grande compostezza in aula mentre il giu-dice Spagna leggeva il verdetto. Una

Un’edizione del Pre-mio Siani, dunque, impegnativa. Come giuria siamo già opera-tivi da alcune settima-ne per esaminare libri, tesi di laurea e video arrivati da tutta Italia. Lavori di grande quali-tà, di altissimo livello.

Un’edizione parti-colarmente impor-tante. Come ricor-da spesso Paolo Siani, come lui stesso ha det-to un anno fa al Festi-val del Giornalismo di Perugia, “Giancar-

ne della Campania che è al suo fian-co. Il convegno tratterà i seguenti temi: chi sono, quanti sono e come vivono i giornalisti minacciati; come si manifestano intimidazioni e cen-sure; il caso Napoli da Giancarlo Sia-ni a oggi; cosa succede negli altri pa-esi; idee, testimonianze e proposte in campo; quanto è grande il campo delle notizie oscurate con la violenza e i motivi che impediscono di parlar-ne; cosa fare per proteggere i cronisti.

anche grazie alla stretta collaborazio-ne che abbiamo avviato con l’Ordine degli avvocati il cui presidente napo-letano Francesco Caia ci ha patroci-nato gratuitamente assieme al consi-gliere penalista Giuseppe Vitiello che ha ottenuto l’importante risultato di far riconoscere dal giudice il reato di violenza e non solo di minacce da parte dei Giuliano.

* Presidente dell’Ordinedei Giornalisti della Campania

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Salesiano e referente campano di Libe-ra, l’associazione contro le mafie fon-data da don Luigi Ciotti, don Tonino Palmese è uno dei più attivi testimoni di legalità in Campania.

Don Tonino, cosa ha lasciato in ere-dità Giancarlo?

«Sono molto legato alla famiglia. Per questo, anche se non ho conosciuto Giancarlo so che in lui c’era forte la ri-cerca della verità e il coraggio. E la sua condizione lavorativa non era facile. Il messaggio che ci lascia Giancarlo è quello del coraggio e della generosità. Il coraggio di cercare la verità contro ogni pericolo, la generosità di essere precario e fare comunque il proprio lavoro con piena coscienza. Valori di cui oggi ab-biamo bisogno: allora i giornali segui-vano delle idee».

Che idea s’è fatto sul piano umano di Giancarlo?

«Da quello che mi hanno detto i suoi familiari, il temperamento di Giancar-lo è stato reso molto bene da Marco Risi in Fortapàsc. Ma dal film emerge l’immagine di un giovane normale, in-namorato delle idee, dello sport, della musica. Innamorato della vita. Allena-va una squadra di pallavolo, era appas-sionato di musica. La sera in cui fu uc-ciso doveva andare a vedere il concerto di Vasco Rossi. Per lui quel concerto saltò. Abbiamo bisogno di giovani così, di giovani normali».

Nei ragazzi di oggi scorge la tensione morale che animava Giancarlo?

«Molti giovani sono storditi dalle in-formazioni. I media offrono più gossip che cronaca, più pettegolezzi che appro-fondimenti. Non è solo la droga ad an-nebbiare le menti, ma anche una disin-formazione che si propaga a vari livelli».

Si fa abbastanza contro le mafie?«Il lavoro della magistratura è impor-

tante, ma a luglio, negli stessi giorni in cui a Castellammare si discuteva del delitto di Tommasino, giovani da tut-ta Italia stavano ristrutturando proprio lì un appartamento confiscato alla ca-morra, ora abitato da donne immigra-te. Penso sia importante che accanto all’antimafia del delitto ci sia quella del diritto. E in questo senso i fermenti, i segni concreti non mancano».

intervista Don Tonino Palmese, responsabile dell’associazione Libera

di StEFAno lucAtiEri

Invece i giovani che lei incontra ogni giorno come sono?

«Desiderano anche loro un mondo altro, ma non hanno gli strumenti cul-turali per cercarlo. Non voglio colpe-volizzarli. Piuttosto, dovremmo pro-

«Il messaggio che ci lascia Giancarlo è quello del coraggio di cercare la verità contro ogni pericolo e la generosità di lavorare in piena coscienza»

porre loro modelli positivi da emulare. E Giancarlo, morto per amore di veri-tà, è un esempio da seguire».

Vede ombre nella verità giudiziaria?«No, credo che sia stata fatta giustizia.

Chi l’ha ucciso o è morto o sta in carcere».

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C’è una speranza di venirne fuori?«La speranza va alimentata con gli

investimenti sull’educazione, che non sono mai troppi. Tagliare quelle voci significa tagliare le gambe alla speranza e alimentare la rassegnazione. E la ras-segnazione viaggia di pari passo con la sudditanza».

Che tipo di sudditanza?«Voglio dire che spesso, soprattutto

qui al Sud, si chiede come favore ciò che spetta di diritto. è il frutto di una mentalità radicata, che bisogna assolu-tamente scardinare. La gente dovrebbe

«La rassegnazione viaggiadi pari passo con la sudditanza. Soprattutto al Sud si chiede come favore ciò che spetta di diritto:la gente dovrebbe ribellarsi»

avere la forza di ribellarsi e di pretende-re ciò che le spetta senza chiedere favori a nessuno».

Lei è un salesiano. La chiesa fa abba-stanza nell’educazione alla legalità?

«Nella chiesa va fatto un distinguo tra l’esplicito e l’implicito. L’esplicito è quello che appare in tv o sui giorna-li, dove è necessario dare segni di tra-sparenza. L’implicito è fatto delle opere che si fanno tutti i giorni per lenire la sofferenza della gente. In questo senso, nel Sud la chiesa ha sempre di più un ruolo alternativo, di supplenza».

La politica non fa quello che dovreb-be?

«A volte no. Il centrosinistra, per esempio, non ha sostenuto il proget-to dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, realizzata poi a marzo con il centrodestra al governo. Invece, abbia-mo stabilito un’interlocuzione positiva con il presidente Caldoro. Ho fiducia che la nuova giunta regionale sia com-posta da donne e uomini di buona vo-lontà».

Un bando per tutti gli istituti del Meridione

Piantare un seme di legalità in ogni scuola. è l’idea che sta alla base di “Le(g)ali al Sud”, l’iniziativa che punta a promuovere un’ampia e significativa progettazione sui temi dell’educazione alla legalità, all’intercultura, all’ambien-te, ai diritti umani.

Ogni istituzione scolastica statale di qualsiasi ordine e grado (ad esclusione della scuola dell’infanzia) situata nelle re-gioni dell’Obiettivo Convergenza (Ca-labria, Campania, Puglia, Sicilia) potrà presentare un progetto articolabile in uno o due moduli. Alle attività dei moduli potranno essere iscritti gli alunni di tut-te le classi dell’istituzione scolastica parte-cipante, scelti con criteri predeterminati, fissati dal collegio docenti in relazione agli obiettivi, alle caratteristiche ed ai tempi di realizzazione del progetto che s’intende presentare. Entro il 30 settembre le isti-tuzioni scolastiche interessate potranno presentare la richiesta per la realizzazione di un progetto, utilizzando la procedura predisposta sulla piattaforma “Gestione degli interventi”, che si può trovare sul sito web del Pon Istruzione 2007/2013.

Promossa dal Ministro dell’Istruzione nell’ambito della manifestazione “Un Patto per la Legalità” , l’iniziativa è stata presentata in occasione del Percorso di Educazione alla Legalità promosso dal MIUR e dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, in tutte le scuole d’Italia, per sensibilizzare i giovani al ri-spetto dei valori in cui i magistrati Gio-vanni Falcone e Paolo Borsellino hanno creduto: il valore delle regole, il rispetto delle leggi, l’importanza della giustizia e l’amore verso la Costituzione, al fine di contribuire alla diffusione della cultura della legalità tra le nuove generazioni.

«A nostro avviso si deve mantenere una necessaria ed insostituibile trasver-salità, attingendo alla ricchezza dei sa-

peri disciplinari, pur sapientemente co-niugati con quelli derivanti da momenti educativi non formali», dicono don To-nino Palmese e Geppino Fiorenza, re-ferenti campani di Libera, convinti del fatto che intorno alla tematica dell’“ado-zione” di una vittima di criminalità, di un bene confiscato, di un diritto si pos-sano costruire significativi percorsi di cambiamento. E sono diverse le espe-rienze di scambi e i viaggi d’istruzione che è possibile collegare a questi temi: dal 21 marzo, giornata nazionale della memoria e dell’impegno, alle Giorna-te per Falcone e Borsellino; dai tour nei beni confiscati al “treno della memoria”.

«Ci arrivano quasi ogni giorno richie-ste di collaborazione, a vario titolo, nella programmazione sulle tematiche della legalità», dicono i responsabili di Libera in Campania.

L’appuntamento per i docenti interes-sati all’argomento è fissato per giovedì 9 settembre alle 10 presso la Sala Riunioni dell’Isola A6 al Centro Direzionale. Un incontro che, secondo Fiorenza e Pal-mese, sarà «un’utile occasione per scam-biarsi informazioni e per programmare possibili intese di collaborazione».

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Il suo osservatorio, quello con l’iniziale minuscola, da qualche anno l’ha stabi-lito in una stanza al terzo piano della fa-coltà di Sociologia, nel cuore di Napoli. E in fondo, forse, gli sta bene così. Per-ché Amato Lamberti, che pure uomo pubblico lo è stato, conserva un pudore accademico che lo porta a eludere la ri-balta. Fondatore dell’“Osservatorio sul-la camorra” e apprezzato studioso del fenomeno, il sociologo napoletano è stato assessore comunale e, per due vol-te, presidente della Provincia di Napoli. Ma prima ancora è stato il professore e direttore di Giancarlo Siani.

Professor Lamberti, Siani scrisse i suoi primi articoli per il periodico “Osservatorio sulla camorra”, che lei dirigeva: come ricorda il vostro in-contro?

«Giancarlo era iscritto a Lettere mo-derne e frequentava i miei corsi, ma fu alla Fondazione “Colasanto” che ebbi l’opportunità di conoscerlo meglio. Lì c’era la redazione de “Il lavoro nel sud”, il giornale per cui scriveva. Si interessò subito a quello che facevamo con l’Os-servatorio».

Cos’altro ricorda di quel periodo?«Partecipammo a diverse manifesta-

zioni pubbliche. Poi mi aiutò in un corso di giornalismo che si teneva al li-ceo Umberto, chiamava alcuni colleghi a parlare con i ragazzi. Molti lo hanno conosciuto lì. Per l’Osservatorio realiz-zò un articolo su Torre Annunziata, io gli chiesi di andare un po’ più in pro-fondità. Non ebbe il tempo di farlo. Il pezzo uscì sul numero di settembre, il mese in cui fu ucciso».

di dAvidE cErBonE

giornale”, disse. Il giorno dopo lo uc-cisero.

Chissà quante volte si sarà doman-dato cosa volesse dirle. Quali rispo-ste si è dato?

«Non saprei, posso solo dire che era tranquillo. Tranquillo e contento. E che intorno al “Mattino” non voleva farsi vedere».

Dell’inchiesta che cosa pensa?«Io sono convinto che fu un delitto

politico. La magistratura non ha per-corso tutte le strade, soprattutto a Tor-re Annunziata».

Le modalità dell’agguato non sem-brano quelle tipiche della camorra.

«Per niente. Uno non aspetta tre ore sotto casa, con quelli del palazzo che per poco non chiamano i vigili. E i kil-ler non solo si erano fatti vedere, ma si erano fatti notare, perfino orinan-do per strada. La camorra lo avrebbe

il racconto Amato Lamberti e il suo rapporto con il Siani studente e giornalista

Poche ore prima di essere ucciso, Sia-ni le fece una telefonata.

«Si, era il pomeriggio prima del de-litto. Mi chiamò prima di tutto per informarmi del fatto che probabil-mente lo avrebbero assunto al “Matti-no”. Era molto contento. Io gli risposi che mi faceva piacere e gli ricordai che stavo ancora aspettando il suo nuo-vo articolo. Lui mi promise che per la fine del mese me l’avrebbe dato. E poi aggiunse che mi doveva dire una cosa».

Le sembrò preoccupato? «No, non era preoccupato. Però

quando gli chiesi di parlarne al te-lefono mi rispose che era meglio da vicino. Ed anche quando proposi di vederci al bar sotto la sede del “Mat-tino” disse che eravamo troppo vici-ni al giornale, per cui pensai che la cosa riguardasse il lavoro. Così ri-mandammo al giorno dopo: “Vengo da te verso le 10, prima di andare al

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dossier, ma non ne sappiamo niente. All’Osservatorio stavamo già lavorando su Torre Annunziata per capire quali fossero i collegamenti tra politica e ma-laffare, il controllo dei settori economi-ci, l’acquisizione dei fondi europei».

Funziona così ancora oggi?«Il problema centrale è capire come

la criminalità condiziona l’economia e la politica, favorendo l’emersione di certi personaggi. I camorristi in molti casi influenzano le decisioni politiche, in qualche modo fanno la politica. Io, da presidente della Provincia, sono sta-to messo in croce perché bisognava fare una strada in un’area che aveva com-prato qualcuno del clan Fabbrocino».

Che cosa pensa dei film girati sul ca-so-Siani?

«In ognuno c’è un pezzo di veri-tà. Quello di Risi forse è il più com-pleto. Non mi è piaciuto come è stato reso Giancarlo, però. Perché nella real-tà lui aveva ottimi rapporti, discuteva, si informava. Non era semplicemente uno sbarbatello ingenuo col taccuino, come si vede sullo schermo».

Sulla camorra c’è una grande produ-zione di parole scritte e parlate. I fat-ti, invece, sono ancora insufficienti?

aspettato vicino la macchina o per stra-da».

Cosa la colpì di Siani? Quali erano le sue doti principali?

«Giancarlo era un ragazzo intelligen-te e idealista. Lui era sveglio, pulito, sempre allegro. Aveva dentro una forte legge morale, quel “coraggio della cro-naca” che a molti oggi manca. Ecco, forse è questo l’insegnamento che Giancarlo ci ha lasciato».

Che giornalista sarebbe oggi, nel 2010?

«Mah, alla fine uno è il giornalista che i giornali gli permettono di essere. Le ca-pacità ce le aveva, gli mancava lo spazio. Ricordo che se la prese tantissimo in oc-casione della strage di Sant’Alessandro: lui sapeva tanto ma non gli fecero scrive-re niente se non dei trafiletti sulle mani-festazioni studentesche. Gli inviati, però, si facevano raccontare le cose da lui».

Roberto Saviano e Giancarlo Siani: ravvisa qualche nesso nel loro modo di usare la parola contro il crimine?

«Giancarlo faceva l’abusivo, il corri-spondente senza contratto. Quello che gli facevano scrivere, scriveva. L’unico pezzo un po’ più articolato lo fece per me. Si disse che stava preparando un

«Tutto sta nell’intendersi sull’uso del-le parole. C’è la criminalità organizzata, quella disorganizzata, poi c’è la mafia, che ha come caratteristica quella di ten-dere a sostituirsi allo Stato poiché pun-ta al potere e dunque all’occupazione delle istituzioni. Ecco, io parlo di mafia e di camorra quando c’è una joint tra pubblica amministrazione, imprendito-ria e criminalità organizzata. Se si vuo-le costruire un ipermercato e per farlo è necessaria una variante urbanistica difficile da far approvare, per esempio, bisogna controllare un consiglio comu-nale, un consiglio provinciale. In questo caso, si può parlare di camorra».

I tanti arresti degli ultimi mesi sono un segnale importante.

«Se non altro c’è un’attenzione da par-te dello Stato sul versante della criminalità organizzata. I Casalesi sono crimine orga-nizzato, che nasce sempre dalle estorsioni e diventa calcestruzzo e movimento terra. Poi c’è la droga, denaro che viene investi-to, riciclato. Ma pensare che il crimine or-ganizzato venga smantellato soltanto con le attività repressive è un po’ illusorio».

Lei ha sostenuto che il malaffare è governato dalla politica: la pensa an-cora così?

«Si. Il salto di qualità di queste or-ganizzazioni, nel Mezzogiorno, è che si saldano con la politica. Il problema è: chi ha il bastone del comando? Se uno legge Saviano, si fa l’idea che il basto-ne del comando ce l’hanno i criminali. Non è vero niente: il bastone del co-mando ce l’ha la politica».

Il suo libro “Napoli, dov’è l’uscita” analizza il momento della città. In quale direzione si dovrebbe andare?

«Come diceva Guido Dorso, baste-rebbero 100 uomini di ferro per cam-biare il Mezzogiorno. Ma finché nel Sud la politica sarà una professione, la strada attraverso la quale si cerca la re-alizzazione sociale, il problema non si potrà mai risolvere».

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COLPeVOLIa 25 anni dal delittorestano troppi dubbi

intervista Il pentito Giacomo Cavalcanti: «Commessi errori nelle indagini»

Dall’altro capo del telefono la voce arriva ovattata, come se l’esilio vo-lontario di Giacomo Cavalcanti fos-se lontano anni-luce. In realtà la sua nuova vita il “camorrista-poe-ta”, indicato da alcuni pentiti come un elemento importante del clan di Fuorigrotta tra gli anni Ottanta e Novanta, l’ha stabilita ad alcune centinaia di chilometri da Napoli, in una cittadina del nord Italia.

«Sono andato via da 20 anni, ven-go da una tragedia infinita e solo 4 mesi fa ne sono venuto fuori. Servi-va un capro espiatorio e mi hanno usato. Sono diventato uno strumen-to in mano a dei mascalzoni. Ma adesso è tutto passato», mette subi-to in chiaro l’ex-boss, che oggi però è anche uno scrittore. Tra le pagine del suo quarto libro, “Viaggio nel si-lenzio imperfetto”, edito da Pironti e in uscita a giorni, Cavalcanti, 58

Il collaboratore di giustizianel suo libro “Viaggio nel silenzio imperfetto” svela nuovi particolari sul caso:«La morte di Siani è collegatacon l’omicidio di piazzetta Immacolata che sarebbe avvenuo un paio di mesipiù tardi. La politica?Non c’entra niente»

di dAvidE cErBonE anni, racconta più di un particola-re del caso-Siani, ricordando che un detenuto gli confessò in lacrime di essere l’autore del delitto. «Mi dis-se che da quel giorno non fumava più le Merit, poi mi raccontò tut-to», ricorda Cavalcanti. Un partico-lare non da poco, poiché sul luogo dell’omicidio gli investigatori rin-vennero decine di mozziconi di siga-rette proprio di quella marca, segno che i killer attesero per ore l’arrivo della vittima sotto il suo palazzo. Se-condo Cavalcanti, l’uomo avrebbe indicato anche il nome del compli-ce, morto negli anni scorsi. Un’ipo-tesi che riaprirebbe la pista delle co-operative di ex detenuti, all’epoca abbandonata dagli inquirenti.

«Certo, ho parlato del caso-Siani, ma il mio libro è una storia lettera-

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Un detenuto gli confessò in lacrime di essere l’autore del delitto. «Mi disse che da quel giorno non fumava più le Merit, poi mi raccontò tutto»

ria, un romanzo. Non è e non vuo-le essere un dossier. Anzi, ho do-vuto usare la fantasia per non farlo sembrare una raccolta di atti pro-cessuali. Inoltre, la mia paura è che nel raccontare queste storie si possa pensare che io voglia aiutare qual-cuno. Niente di più falso: per me ognuno paga le conseguenze di ciò che fa. Certa gente può anche mori-re all’inferno».

Che idea s’è fatto dell’omicidio di Giancarlo Siani?

«La storia, secondo me, è tutt’al-tro che chiusa. C’è stato un grosso errore nelle indagini. Da quello che ho dedotto io, quel povero ragazzo è stato ucciso inutilmente. Un suo amico, che era anche un suo infor-matore, a sua insaputa lo ha mes-so in mezzo ad una storia. La mor-te di Siani è strettamente legata all’omicidio di piazzetta Immacola-ta, avvenuto un paio di mesi dopo. Quell’ipotesi fu anche avanzata, ma poi venne abbandonata. La politica? No, non c’entra niente».

Qual è lo spunto del libro?«Guardi, sono poco più di 100

pagine nelle quali racconto in for-ma romanzata una serie di errori che accomunavano quattro storie. Teoremi sbagliati, con protagonisti e conclusioni frutto di errori. Per questo ho intitolato il libro “Viag-gio nel silenzio imperfetto”. An-che nel mio caso i magistrati che mi hanno inquisito hanno sbaglia-to. Alla fine, però, ho dimostrato che non c’entravo niente. Hanno scritto che il Tribunale del riesame mi ha fatto scarcerare perché scri-vo poesie e fiabe. Cavolate. La veri-

tà è che non c’era pericolo di fuga né di inquinamento delle prove, né di reiterare un reato commesso 25 anni fa».

Da cosa dipendono secondo lei gli errori processuali?

«Fino a quando saranno i collabo-ratori di giustizia a determinare l’an-damento dei processi, si continuerà a sbagliare. Nel caso dei “mostri di Ponticelli”, per esempio, ci sono ra-gazzi che stanno pagando per colpe non loro. Li accusano di aver sevi-ziato e ucciso due bambine, men-tre il vero colpevole ce l’avevano tra le mani. E anche sull’omicidio di Franco Imposimato, fratello del giudice Ferdinando, sono stati com-messi errori».

Però è in carcere che ha comincia-to a scrivere.

«Veramente ho sempre avuto la passione per la scrittura, ma in carcere è nato il mio primo libro. Quando sei dentro fai mille flessioni al giorno e preghi il Signore che ti dia la forza di andare avanti. Adesso, al quarto libro, posso definirmi un piccolo scrittore. Con questo, però, ho chiuso il ciclo che parla di questa maledetta prigione. Altrimenti re-sterò sempre il delinquentuccio che si diletta a scrivere, il fenomeno da baraccone. Invece sto già lavorando a un nuovo libro che parla della mia vita, della mia famiglia. Vorrei pub-blicarlo sotto altro nome, con Mon-dadori o Feltrinelli. Perché finora a nessuno è interessato il dramma del-la mia vita, mentre noi siamo gente normale».

Com’è ora la sua vita?«Faccio le cose che ho sempre

fatto: scrivo, dipingo, scolpisco. Io sono diplomato in arti grafiche, sono un grafico pubblicitario. Ora sto facendo una statua che raffigura una testa, è il soggetto che più mi piace. Sto usando una tecnica nuo-

va, uso materiali riciclati come creta, polistirolo, legno».

Quali differenze ha notato con la sua terra di origine, vivendo al Nord?

«Qui la gente è più ricca, lavorano tutti. In una famiglia con due figli ci sono almeno tre stipendi. E poi c’è più civiltà, i ragazzi fanno sport, mica stanno a perdere tempo sotto il palazzo. Se questa mentalità austro-ungarica fosse applicata anche giù al Sud, forse le cose migliorerebbero. Comunque io sono venuto al Nord perché sapevo che se mi fossi allon-tanato avrei visto cadere le mura di Gerico sulle teste di quelli che han-no pilotato i miei processi, e così è stato. E qui mi sono riappropriato della mia identità, della mia vita. Andare via è stata la mia salvezza».

Come vede il futuro di Napoli?«Penso che Napoli possa risorge-

re, tutti possiamo ricominciare e io sono un esempio lampante. D’altra parte, nessun malavitoso aspira a far fare ad un figlio la stessa vita che fa lui. Però servirebbe una classe diri-gente fatta di galantuomini».

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di tErESA mAncini

“Era un ragazzo allegro che amava la vita e il suo lavoro, e cercava di far-lo bene. Aveva il difetto di informar-si, di verificare le notizie, di indaga-re sui fatti”. Marco Risi parla così di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso a Napoli nel 1985, e alla cui vicenda umana e professionale ha dedicato il suo ultimo film, “Fortapàsc”, uscito a marzo 2009. Il regista romano si era appassionato da tempo al dramma di questo giovane uomo, unico cronista ucciso dalla camorra, innamorato del proprio mestiere e della verità, e per nulla impressionato dai potenti. Ma il progetto di un film continuava a presentare ostacoli, tra inciampi e ri-mandi continui. Già nel 2003, infatti, l’autore di “Mery per sempre” era in uno stadio avanzato della preparazio-ne di un lungometraggio, poi sfuma-to. Il materiale della storia, composto e ricomposto più volte dagli sceneg-giatori  –  lo stesso Marco Risi, Jim Carrington e Andrea Purgatori  –  è stato fatto “rinascere” circa tre anni fa, “grazie a Rai Cinema e ad Angelo Bar-bagallo, un produttore libero e corag-gioso che mi ha messo in condizione di girare il film esattamente come vo-levo”, spiega il regista.

Ma qual è il film che voleva realiz-zare Risi? Per l’autore era importan-te provare a raccontare “’o sistema” com’era venti anni fa, descrivere gli ultimi mesi della vita di Siani e so-prattutto la sua personalità, le inquie-tudini, le amicizie, anche gli amori. Ebbene, pur consapevoli della ogget-tiva difficoltà di realizzare un prodot-to di fiction sulla intricata realtà che

Da “In nome di Giancarlo” a “Fortapàsc”: la tragedia vista sul grande schermo

generò l’omicidio, bisogna probabil-mente partire dal percorso stentato della pellicola, come si diceva, tenuta nel cassetto troppo a lungo, per co-gliere i limiti di una scrittura che fini-sce per generare un corto circuito tra intenzione e azione. Per cominciare, il regista mira a realizzare un’opera che vuole ispirarsi a un cinema clas-sico e testimoniare l’urgenza di impe-gno civile (“In ‘Fortapàsc’ – dichiara Risi – c’è anche un piccolo omaggio a Francesco Rosi ed al suo capolavo-ro “Le mani sulla città”) raccontando la camorra. Ma resta imbrigliato in un cliché abbastanza pericoloso, che liquida soggetti criminali di potere (come lo erano già all’epoca dei fat-ti rappresentati) in guappi esibizioni-sti, più che parti di un sistema corrot-to penetrato in profondità nei gangli della società e del governo del Paese. Così l’immersione nel dramma, che si compie con la costruzione dell’in-

ferno di Torre Annunziata, regno del boss Valentino Gionta, finisce per re-stare una descrizione di superficie, che accontenta forse chi non conosce la realtà di quei luoghi e lo sviluppo degli eventi.

La storia non sembra voler sonda-re l’evidente, profonda solitudine del giornalista, che emerge solo in qual-che fugace sprazzo. E, cosa ancor più opinabile, pare anche che Giancarlo Siani – impersonato da Libero De Ri-enzo  –  non sia stato mai sufficiente-mente consapevole della gravità della situazione e della condanna che pen-deva sul suo capo. Un atteggiamento che mostra un’ingenuità francamente eccessiva. Un ritratto che ha fatto stor-cere il naso a molti colleghi di ieri e di oggi. E se giustamente affiora quanto difficile sia esercitare una professione che richieda etica e rigore – fuggendo dunque dal giornalismo “impiegati-zio” che ignora le proprie responsabi-

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IMMaGInI DaL Setnel 2009 Marco Risi

ha girato “Fortapàsc”

lità  –  appare tuttavia pittoresca l’im-magine della redazione periferica del “Mattino”, dove Siani aveva lavorato, tra creature boccheggianti noia davan-ti alla macchina da scrivere: dall’im-probabile caporedattore (interpretato da Ernesto Mahieux), evidentemente sopra le righe, che invita i suoi giorna-listi ad una sorta di “tiriamo a campa-re”; sino al collega, Rico, personaggio di fantasia (che troviamo nel libro di Antonio Franchini, “L’abusivo”) che fa da contraltare a quello di Giancarlo. Una forzatura narrativa che indica una specie di ossessione di un certo cinema per la verità romanzata, piuttosto che per la costruzione su fatti documenta-ti o testimonianze dirette (fatta salva, naturalmente, la libertà di elaborare in senso cinematografico il racconto).

La recitazione di De Rienzo, che opta per una fisicità minimale (ma

dei festival), ricostruendo il contesto e tutto quello che ruotò intorno al gior-nalista, compresa l’ottica dei camorri-sti, dei potenti, e affrontando proprio maggiormente il rapporto con i colle-ghi della redazione de “Mattino”, su-scitando per questo un terremoto di polemiche (si scrisse di “trasposizioni fantasiose”).

L’uscita nelle sale di “Fortapàsc” (il cui esito è stato modesto), tuttavia, ha avuto l’effetto di rilanciare quella pel-licola del 2003. Fiume, napoletano, classe 1961, aveva iniziato ad occuparsi sin dal 1987 di Siani, dedicandogli un soggetto e una sceneggiatura dal tito-lo “In nome di Giancarlo” (vincitrice del premio “Cinema Democratico”, che nel 1991 diventa un docu-drama. “Sono voluto andare oltre la verità giu-diziaria – dice Fiume –  e i dati della cronaca senza dire verità nascoste. Ho portato sullo schermo la mia conoscen-za del personaggio e gli eventi come li ho percepiti in maniera diretta, dopo aver incontrato Siani durante un cor-so di giornalismo nel 1984”. L’inten-to del film secondo l’autore, che lo ha anche autoprodotto con la sua società Icaroweb, è “scavare tra i fatti, ravvivare la memoria e parlare ai giovani, tenen-do presente che Siani non è un eroe, ma un uomo che ha svolto scrupolo-samente il suo mestiere e per questo ha pagato”.

Nel 1999, invece, esce il cortome-traggio “Mehari”  –  che sarà presen-tato agli “Incontri internazionali di cinema di Sorrento” e, l’anno dopo, a Taormina, dove riceverà la menzio-ne della stampa specializzata al nastro d’argento. Opera non priva di limiti e tuttavia assai interessante, scritta da un collega di Siani, il cronista del “Matti-no” Maurizio Cerino, diretta e prodot-ta (costerà oltre 100 milioni di lire) da Gianfranco De Rosa. Un’altra preziosa testimonianza sulla vita di un giovane cronista di ordinaria straordinarietà e su questo Far West del terzo millennio che sia chiama Napoli.

tradisce un fastidioso accento roma-nesco), fa trasparire anche l’umani-tà gioiosa di Siani, la cui personalità tuttavia appare meno strutturata di quanto non rilevino quanti l’hanno conosciuto (il film, va detto, ha avu-to però il placet totale del fratello di Giancarlo, Paolo Siani). Per Marco Risi è una “pellicola vitalissima, no-nostante la tragedia che si compie”. Nelle intenzioni, “Fortapàsc” si di-stingue per questo da “Gomorra” di Matteo Garrone, “un’opera che ho amato tanto – dice il regista –, rap-sodica, segmentata, bellissima, ma nella quale la speranza emerge solo in qualche sporadico guizzo. La sto-ria di Giancarlo Siani, invece, vuole proiettare, nonostante tutto, un rag-gio di luce”. Luce che però scarseggia, soprattutto sul fronte del rapporto tra Siani e i colleghi del “Mattino”. Un tema importante e delicato che, va ri-cordato, prima di Risi un altro regi-sta, Maurizio Fiume, aveva affrontato con “E io ti seguo”, film di scarsa vi-sibilità e poca fortuna (se si escludo-no i lusinghieri riscontri nel circuito