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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE 1 Il Lavoro sommerso nel terzo settore

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Il Lavoro sommerso

nel terzo settore

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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INDICE

Prefazione

(Francesca Ricci, IAL Toscana)

Prima parte

Lavoro sommerso e terzo settore: desk analysis

Capitolo primo

Il lavoro sommerso: definizioni, normativa e aspetti quantitativi

(Sabrina Lemmetti, Associazione Intesa)

1.1 Premessa

1.2 Definizioni e classificazioni

1.3 Il lavoro sommerso in Italia

1.4 Il lavoro sommerso in Toscana

1.5 La disaggregazione del ‘sommerso’ a livello provinciale

1.6 Il quadro normativo italiano del lavoro sommerso

Capitolo secondo

Il fenomeno del lavoro sommerso nel terzo settore

(Sabrina Lemmetti, Associazione Intesa)

2.1 Premessa

2.2 Aspetti quantitativi

2.3 Aspetti qualitativi

2.4 L’incidenza del lavoro sommerso nel “terzo settore” toscano

Seconda parte

Lavoro sommerso e terzo settore: field analysis

Capitolo terzo

L’indagine sul campo: il coinvolgimento dei testimoni privilegiati

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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(Francesca Ricci, IAL Toscana)

3.1 Le modalità di analisi

3.2 Gli obiettivi dell’indagine sul campo

3.3 Il concetto di “terzo settore” nella percezione degli intervistati

3.4 Lavoro “nero” e lavoro “grigio” nel terzo settore

3.5 Le modalità di manifestazione delle forme di lavoro sommerso nel terzo settore

3.6 La presenza del lavoro sommerso nel terzo settore: alcune ipotesi esplicative

3.7 Alcune ipotesi di concentrazione settoriale, territoriale e professionale

3.8 Il fenomeno in una prospettiva di medio periodo

Capitolo quarto

Le modalità di lavoro nel terzo settore

(Francesca Ricci, IAL Toscana)

4.1 Premessa

4.2 I percorsi professionali e le motivazioni

4.3 L’analisi delle condizioni di lavoro

4.4 Il livello di soddisfazione e la percezione della propria condizione

Alcune considerazioni di sintesi

Riferimenti bibliografici

Strumenti di lavoro

1. Traccia di intervista ai testimoni privilegiati

2. Traccia di intervista ai lavoratori del terzo settore

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Prefazione

a cura di Francesca Ricci

Che rapporto esiste fra lavoro sommerso e terzo settore? Quali sono le cause che

possono favorire il ricorso a forme di lavoro non regolare? In che modo si manifesta il

fenomeno? Esistono specificità settoriali, territoriali o professionali? E quali sono le

tendenze di medio periodo o, quantomeno, gli scenari ipotizzabili?

Più in generale, quali sono le modalità di lavoro nel terzo settore? E quali sono le

aspettative e le motivazioni di coloro che si trovano a svolgere il proprio lavoro in

condizioni “non regolari”?

Queste sono le domande che il gruppo di ricerca si è posto in fase di progettazione

dell’indagine.

La questione è estremamente complessa, almeno per due ordini di motivi. Da un lato il

lavoro sommerso, per sua natura, rappresenta un fenomeno estremamente difficile da

indagare. Dall’altro il terzo settore costituisce un ambito di attività relativamente poco

studiato e i cui confini risultano mobili e non universalmente condivisi.

La duplice complessità, sommata alle tecniche di indagine di tipo qualitativo, produce

come conseguenza il fatto che l’analisi realizzata ha valenza essenzialmente

esplorativa. Con il lavoro svolto, infatti, il gruppo di ricerca non pretende di sviscerare il

fenomeno in tutti i suoi aspetti. Si pone piuttosto l’obiettivo di cominciare a gettare un

po’ di luce su una questione, quella delle modalità e delle condizioni di lavoro nel terzo

settore, ancora poco studiata, ma che risulta cruciale e strategica ai fini della crescita

complessiva del sistema e, in ultima analisi, della qualità dei servizi erogati.

Come abbiamo accennato, il gruppo di ricerca ha privilegiato tecniche di indagine

qualitative, inserendosi in questo modo in una tradizione tutta italiana che fino ad oggi

ha dedicato maggiore attenzione alla dimensione qualitativa rispetto a quella

quantitativa del fenomeno del lavoro sommerso.

L’indagine si snoda attraverso tre step successivi. La prima fase, di desk analysis, è

dedicata ad una attività di ricognizione bibliografica, con lo scopo di raccogliere tutto il

materiale prodotto in termini di analisi e normativa sul fenomeno del lavoro sommerso

nel terzo settore.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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La raccolta e la composizione di fonti eterogenee ha permesso di costruire un quadro

d’insieme che, seppure lacunoso e frammentato, è risultato estremamente utile. Da un

lato per calibrare le modalità dell’indagine diretta. Dall’altro per dimensionare e

collocare le informazioni raccolte nelle fasi di indagine sul campo.

I risultati di questa prima fase della ricerca sono riportati nel primo capitolo, nell’ambito

del quale si affronta la questione del lavoro sommerso, e nel secondo capitolo,

dedicato a sviscerare il rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore.

La fase successiva ha avuto come protagonisti gli osservatori privilegiati: esponenti di

associazioni sindacali e datoriali, esperti di terzo settore e rappresentanti di enti

pubblici. Partendo dalla loro esperienza e dalla loro conoscenza del fenomeno, si è

provato a rispondere agli interrogativi posti in apertura.

La fotografia restituita dall’analisi delle interviste realizzate, a cui è dedicato il terzo

capitolo, risulta ricca e rappresenta uno spunto interessante per il dibattito, nella

misura in cui le posizioni raccolte risultano spesso diverse fra loro.

La terza fase dell’analisi è stata infine dedicata ad esaminare le modalità e le condizioni

di lavoro nel terzo settore. Con questo obiettivo, sono state realizzate interviste in

profondità con due gruppi distinti di lavoratori.

Il primo è stato individuato grazie al contributo della CISL, che ha messo a disposizione

del gruppo di ricerca un elenco di lavoratori del terzo settore che, per diversi motivi,

sono entrati in contatto con l’organizzazione sindacale. Il secondo gruppo è stato

individuato a partire dall’attivazione di contatti con i lavoratori di alcune organizzazioni

del terzo settore. In questo caso non era noto, prima di realizzare l’intervista, quali

fossero le modalità di lavoro e se esistessero situazioni di irregolarità formale o

sostanziale. I risultati di questa fase dell’analisi sono illustrati nel quarto capitolo.

Per concludere, il lavoro svolto non ha la pretesa di essere esaustivo. L’obiettivo

perseguito nel corso dell’indagine è stato quello di ottenere una prima fotografia del

fenomeno, che dovrebbe rappresentare non tanto un punto di arrivo quanto un punto

di partenza.

L’indagine svolta mette in luce, infatti, la necessità di avviare un monitoraggio costante

e sistematico delle modalità e delle condizioni di lavoro nel terzo settore, che sia

strumentale alla crescita quantitativa e qualitativa del sistema.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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PRIMA PARTE

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE: DESK ANALYSIS

CAPITOLO PRIMO

IL LAVORO SOMMERSO: DEFINIZIONI, NORMATIVA, E ASPETTI

QUANTITATIVI2

1.1 Premessa

L’economia sommersa3 riguarda le attività produttrici di beni e servizi non rilevate dalle

amministrazioni pubbliche per i seguenti motivi:

- incompletezza del sistema statistico di rilevazione a causa di difficoltà relative

alla definizione e alla misurazione delle attività nascoste (sommerso statistico);

- inosservanza delle normative fiscali e/o contributive (sommerso in senso

economico).

L’economia sommersa non rappresenta quindi un settore separato dell’economia, ma si

integra con l’universo ‘regolare’, operando negli stessi ambiti e interessando talvolta le

stesse imprese e le stesse persone.

Si parla normalmente di economia sommersa in riferimento alle seguenti tre categorie:

1) Economia criminale

Si caratterizza per la produzione o commercializzazione di beni e servizi illegali

(produzione e traffico di droga, rapine, estorsioni ecc.) o esercitata da personale non

autorizzato (scommesse clandestine, scavi archeologici clandestini, ecc.).

2) Economia informale

Rappresenta il lavoro sommerso di natura fisiologica. E’ caratterizzata da microimprese

individuali e familiari, creatisi a causa della frammentazione del tessuto produttivo con

2 Il capitolo è a cura di Sabrina Lemmetti, Associazione Intesa. 3 Le definizioni riportate sono state ricavate principalmente da Unioncamere Toscana, 2002; Campanelli, 2001; Regione Toscana, 2001; Romano–Giorgetti, 2000.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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l’obiettivo di generare reddito ed occupazione. Tali unità produttive si sviluppano con

quantità ridotte di capitale e sulla base di una labile distinzione fra capitale e lavoro.

3) Economia irregolare (comunemente chiamata sommersa)

Si caratterizza per la produzione di beni e servizi legali ancorché non registrati presso

le competenti autorità fiscali e previdenziali. E’ contraddistinta, quindi, dal deliberato

intento di violare una normativa senza però che questa azione rappresenti un illecito

penale.

In questa categoria rientra:

- l’evasione fiscale;

- l’evasione contributiva;

- la non osservanza della normativa contrattuale (ad esempio, relativamente a salario

minimo o agli orari di lavoro) e delle regolamentazioni in materia di salute e sicurezza

sul luogo di lavoro;

- la mancanza di permessi ed autorizzazioni amministrative.

L’economia irregolare è frequente in imprese a basso valore aggiunto che non sono in

grado di pagare salari medi.

L’economia sommersa si presenta in modo diverso in base alla variabilità dei fattori

culturali, sociali, economici, regionali. Tale eterogeneità impedisce di compiere agevoli

generalizzazioni.

1.2 Definizioni e classificazioni

Le attività lavorative svolte nell’ambito dell’economia sommersa originano il lavoro

sommerso in senso stretto, comunemente chiamato “nero”. Il lavoro “nero” si

caratterizza per essere svolto in condizione di totale violazione delle norme fiscali e

contributive (mancata registrazione del lavoratore, con conseguente duplice evasione,

da parte del lavoratore e dell’impresa), e non figura completamente nelle rilevazioni

statistiche.

Si parla invece di lavoro sommerso “grigio” per indicare l’intreccio tra attività lavorative

totalmente regolari e totalmente irregolari, che non risultano, conseguentemente,

invisibili statisticamente. La visibilità è però solo apparentemente “regolare”, perché di

fatto è distorta nel caso di confronto fra le norme contrattuali e la loro effettiva

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applicazione. La limitata irregolarità del lavoro “grigio” deriva dall’essere svolto in

condizioni di parziale osservanza delle norme contrattuali e fiscali, riconducibili sia ad

un uso improprio degli strumenti contrattuali, sia ad un loro ridotto rispetto.

Il lavoro “grigio” è ravvisabile sia nei contratti di lavoro tipici, che in quelli atipici.

Nei contratti di lavoro tipici (lavoro subordinato standard, lavoro a tempo indeterminato

e full-time), il lavoro “grigio” si riferisce:

- al ”fuori busta” per lo straordinario svolto con un contratto a tempo

indeterminato. Il maggior costo del lavoro straordinario e gli oneri fiscali che

gravano su di esso inducono infatti imprese e lavoratori a limitarne il

pagamento regolare, con un accordo che ha come obiettivo, in primo luogo, il

risparmio fiscale e contributivo ottenuto sia dal datore di lavoro che dal

lavoratore;

- al “fuori busta” corrispondente o ad uno straordinario prefissato o ad una

integrazione a nero come maggiorazione della paga oraria. Solo per i lavoratori

che sono dotati di particolare forza contrattuale in virtù della propria

professionalità, il datore di lavoro spesso può soddisfare le richieste del

lavoratore solo se su tale corrispettivo non sia costretto a pagare anche i

contributi.

E’ convinzione assai diffusa che le forme di lavoro flessibile abbiano determinato,

rispetto a quello standard, la crescita occupazionale degli ultimi anni. Per converso, ci

sono i presupposti per ritenere che ogni tipologia di contratto di lavoro atipico abbia

una propria particolare propensione ad essere utilizzata in forma sommersa. Infatti,

anche se il lavoro atipico non è sommerso, certo il sommerso risponde ed esaspera

quelle caratteristiche di flessibilità proprie del lavoro atipico (IRES,2002).

L’espressione “contratti atipici” è utilizzata per indicare in modo omnicomprensivo tutte

quelle tipologie di rapporto di lavoro che si allontanano dal lavoro tipico: part time,

lavoro interinale, job sharing, lavoro a tempo determinato, formazione lavoro,

apprendistato, stage o tirocinio, parasubordinato comprendente l’associazione in

partecipazione e le collaborazioni (occasionali e coordinate e continuative). Alcune

specifiche caratteristiche normative di questi contratti, che vanno dalla mancanza di

una precisa regolamentazione legislativa fino ai notevoli sgravi in termini di contributi

che offrono, possono aprire spazi di grigio nel senso di un loro impiego al di fuori delle

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condizioni previste dalla normativa.

Nei contratti atipici abbiamo le seguenti infrazioni tipiche, specifiche per ciascuna

tipologia di contratto:

Part time

Tra le forme di lavoro atipico, il part-time è sempre stato considerato quello più tipico:

infatti, le uniche differenze rispetto al lavoro standard riguardano il tempo di lavoro che

è ridotto e la retribuzione, ovviamente commisurata all’orario effettuato.

L’utilizzo del part time ha presentato frequentemente delle anomalie che possono

spiegarsi principalmente con motivazioni imputabili alle imprese. In particolare, si

riscontrano le seguenti quattro tipologie di violazione grigia del contratto di lavoro.

1.Sfondamento del tetto ore

L’irregolarità più frequentemente riscontrata è lo sfondamento del tetto previsto per

l’orario supplementare, con pagamento del corrispettivo fuori busta. Tale prassi è

attribuibile alla necessità delle imprese di garantirsi un margine di flessibilità ulteriore

rispetto a quello che caratterizza l’istituto normalmente. In pratica, il part time così

gestito permette di avere un lavoratore a tempo pieno potenziale, che cioè di fatto

lavora quanto di volta in volta è necessario senza vincoli per l’azienda che riesce così a

coprire le proprie necessità.

Questa esigenza di flessibilità si concretizza anche in una mancanza di un orario di

lavoro prefissato che impedisce al lavoratore di svolgere un’altra attività lavorativa a

tempo parziale.

2. Mancata dichiarazione di ore di lavoro ordinario

Si utilizza il contratto a tempo parziale ai fini dell’occultamento di un rapporto full time,

con retribuzione fuori busta della differenza di orario svolto. Questa pratica di

sommerso non ha, come la precedente, finalità che in parte si rifanno alla ricerca di

flessibilità, ma l’irregolarità è corrispondente al mancato versamento di oneri

contributivi e fiscali, soprattutto a favore dell’impresa, nella misura in cui il lavoratore

sopporta una perdita sul reddito differito maggiore che nel precedente caso, e senza

vantaggi immediati.

Si può avere anche un mancato pagamento delle ore di lavoro non dichiarate a scopi di

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riduzione del costo del lavoro, ma questa volta in danno diretto ai lavoratori che si

concretizza in termini di minori retribuzioni.

Lavoro a tempo determinato

Per il contratto di lavoro a tempo determinato esistono due modalità di utilizzazione

dello stesso che danno luogo più che a violazioni di legge, tranne il caso in cui ci sia un

vero e proprio lavoro “nero”, a irregolarità riguardo alle quali attualmente né la

normativa né la giurisprudenza hanno preso posizione.

1. Proroga del rapporto per più di una volta o per un periodo superiore a quello

stabilito dal primo rapporto.

Spesso si instaurano dei rapporti che, nella sostanza, diventano a tempo indeterminato

con la stessa impresa.

2. Forma di ingresso nel mercato del lavoro, in alternativa al contratto di formazione e

lavoro il quale prevede un tempo talvolta considerato eccessivo.

Lavoro interinale

Utilizzato come metodo di ingresso del lavoratore in azienda, specie per mansioni di

basso contenuto professionale.

Job Sharing

Mancato versamento dei contributi previdenziali.

Formazione lavoro e apprendistato

Le irregolarità si possono far rientrare sotto il comune denominatore dell’assenza di un

reale adempimento degli obblighi formativi previsti.

In sostanza, questi istituti rappresentano più un mezzo di ingresso dei lavoratori nel

mercato grazie agli incentivi fiscali e retributivi previsti dalla normativa, che veri e

propri contratti a causa mista, dove il lavoratore possa acquisire una reale competenza

sulle mansioni per le quali è stato assunto.

Stage o tirocinio

Le irregolarità riguardano solitamente:

1. Durata superiore al periodo previsto.

2. Non integrazione di un reale valore formativo.

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Parasubordinato

Rappresenta una forma di lavoro autonomo-professionale svolto entro forme

organizzative fortemente integrate nelle strutture dell’impresa committente. Si tratta

dunque di una forma che oscilla fra il contratto commerciale (la fornitura del servizio) e

il rapporto di lavoro (l’inserimento in una struttura di impresa e la subordinazione a

vincoli gerarchici).

Tutte le forme di irregolarità riscontrate portano a delineare un utilizzo dell’istituto

come facciata formale di un rapporto che, nella sostanza, assume i connotati del lavoro

subordinato.

Associazione in partecipazione

Raffigura un modo per far figurare il lavoratore come socio. Il socio riceve una

partecipazione mensile agli utili, senza copertura previdenziale. Le retribuzioni sono

basse rispetto ai minimi di categoria e, tenendo conto che i contratti vengono spesso

stipulati per qualifiche basse, non esiste nessuna limitazione formale all’orario di lavoro,

che può essere prolungato senza regole che non siano quelle derivanti dalla

contrattazione personale tra (lavoratore) associato e (datore di lavoro) socio.

Collaborazioni (occasionali e coordinate e continuative)

Le irregolarità riguardano normalmente:

1. Impiego di collaboratori con un orario di lavoro rigidamente prefissato e con

rapporti che si protraggono nel tempo (anche per le occasionali).

2. Retribuzione non vincolata ai minimi di categoria, affidata alla contrattazione

individuale. Essa può pertanto scendere a livelli posizionati molto al di sotto dei

suddetti minimi. Ciò comporta ingenti risparmi per le imprese sia per quanto concerne

la paga percepita dal lavoratore che per il mancato (o limitatissimo) versamento di

oneri contributivi.

E’ utile, a questo punto, fare la seguente classificazione dei lavoratori del sommerso

(Commissione Europea, 1998):

1. Lavoratori che svolgono un secondo lavoro o che hanno più lavori. La maggior

parte del lavoro sommerso è effettuata da persone (in prevalenza maschi) che

svolgono già un’attività regolare. Il fatto di poter partecipare all’economia sommersa,

significa spesso che le persone in questione rispondono ad una domanda di

determinate abilità o qualifiche specifiche.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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2. Le persone “economicamente inattive” (studenti, casalinghe e prepensionati). Esse

sono soggette a minor vincoli temporali e le opportunità tendono a essere maggiori per

coloro che hanno avuto in precedenza un contatto con il mondo del lavoro. Le donne

non rappresentano la maggior parte dei lavoratori del sommerso, ma tendono ad

essere in una posizione più vulnerabile e ufficialmente inattive.

3. I disoccupati.

4. I cittadini di paesi terzi.

I settori maggiormente interessati dal fenomeno del sommerso risultano:

- i settori tradizionali quali l’agricoltura, le costruzioni, il commercio al dettaglio, la

ristorazione e i servizi domestici;

- i settori manifatturiero e quello dei servizi commerciali, nei quali il costo

rappresenta il principale fattore competitivo (ad esempio, il settore tessile con

le sue opportunità di lavoro a domicilio);

- i settori a forte contenuto innovativo (essenzialmente contraddistinti da lavoro

autonomo), nei quali l’uso delle comunicazioni elettroniche e dei computer

agevola la contrattazione e l’esecuzione di servizi in località diverse.

Il primo e il secondo gruppo di settori economici sono quelli in cui si concentra il lavoro

sommerso che, spesso, sfocia in forme più o meno palesi e significative di sfruttamento

dei lavoratori. Il terzo gruppo riguarda, invece, persone altamente qualificate che

scelgono il lavoro nero.

1.3 Il lavoro sommerso in Italia

In Europa e negli Stati Uniti, gli studi empirici sul lavoro sommerso sono stati dominati

da analisi quantitative incentrate sul fenomeno dell’evasione fiscale. In Italia, al

contrario, le ricerche si sono concentrate, specie in tempi meno recenti, sulle specificità

del mercato del lavoro, con maggiore attenzione per la dimensione qualitativa rispetto

a quella quantitativa del lavoro sommerso.

L’analisi svolta sui dati dell’Istat da Brunetta e Ceci (1998), sottolinea il carattere

strutturale del settore sommerso in Italia rispetto a quello di gran parte degli altri Paesi

europei. Se a livello generale vengono indicate come cause del sommerso il dualismo a

base territoriale della struttura economica italiana, una cattiva spesa pubblica e la

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rigidità del mercato del lavoro, vi sono anche fattori più specifici che ne spiegano lo

sviluppo a livello settoriale. Tra questi, la diffusione delle tecnologie leggere

(soprattutto nel campo dei servizi), la ristrutturazione dell’industria (con i noti effetti di

frammentazione dei processi lavorativi in filiere costituite da unità produttive piccole,

fino alle unità di lavoro autonomo e di lavoratori-imprenditori) e, infine, la crescita della

domanda di servizi alle famiglie e alle persone, caratterizzati da una produzione a

basso livello di qualifica e ad alta intensità di lavoro. In particolare, il mercato del

lavoro italiano, secondo Brunetta e Ceci, non ha sviluppato adeguatamente un

segmento secondario con prevalenza di prestazioni flessibili, che vengono quindi

ricercate attraverso i noti meccanismi di elusione dei vincoli normativi, la cui diffusione

è rafforzata dalla forbice tra retribuzioni di fatto e costo del lavoro.

Lo studio prende come riferimento statistico i dati elaborati dall’Istat per il 1999, dove il

lavoro sommerso in Italia risulta del 15,1% con un’incidenza sul PIL del 15,4%: le

stime elaborate vedono, inoltre, il fenomeno in crescita nel ventennio 1970 - 1990 con

un incremento complessivo del 140%.

L’economia sommersa in Italia assume, quindi, dimensioni consistentemente più vaste

rispetto agli altri paesi dell’OCSE.

Un tratto rilevante dell’economia sommersa italiana è la sua distribuzione settoriale. In

termini assoluti, il settore terziario è quello di maggior peso perché genera ben il 75%

del valore aggiunto attribuibile al sommerso, con picchi soprattutto nei comparti del

commercio, dei servizi domestici, dei servizi alle imprese, dei trasporti, degli alberghi e

dei pubblici esercizi.

Ciò è legato sia alla presenza di moltissime unità di piccole dimensioni sia

all’immaterialità di molte prestazioni, aspetti che rendono i controlli ancora più

problematici e aleatori di quanto già non lo siano per gli altri settori. Incrociando i dati

sulla quota di lavoro irregolare per settore con quella per posizione professionale

emerge che nel lavoro dipendente irregolare spiccano anche i servizi sociali e personali

(22%). Il lavoro indipendente irregolare emerge nei comparti dell’istruzione (57%) e

della sanità e servizi sociali (26%).

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Tabella 1 - Distribuzione della irregolarità del lavoro per attività economica e per posizione professionale nel1999

ATTIVITA’ ECONOMICHE

LAVORO

DIPENDENTE

LAVORO

INDIPENDENTE

Agricoltura, silvicoltura e pesca

63% 52%

Industria in senso stretto 6% 4%

Costruzioni 22% 2%

Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 16% 3%

Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed

imprenditoriali

22% 0%

Altre attività di servizi 18% 23%

Istruzione 2% 57%

Sanità e servizi sociali 2% 26%

Altri servizi pubblici, sociali e personali 22% 9%

Servizi domestici presso famiglie e convivenze 76% 10%

TOTALE

16% 10%

Fonte: CNEL, 2002

Se analizziamo le figure sociali coinvolte nel lavoro sommerso, abbiamo il seguente

quadro (Bocciarelli, 2002):

Tabella 2 - Distribuzione delle figure coinvolte nel lavoro sommerso per area geografica nel 2002* Figure coinvolte Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Giovani 87,2 0,2 85,7

92,7 86,45

Casalinghe 40,2 47,4 45,3 34,8 41,92

Disoccupati 83,2 68,7 76,9 97,5 81,57

Lavoratori in mobilità e CIG 66,1 65,7 67,1 86,0 71,22

Pensionati 86,7 88,8 74,4 45,3 73,80

Extracomunitari 95,9 91,7 95,1 87,2 92,47

Occupati regolari del settore privato 32,7 21,5 21,4 34,4 27,50

Occupati regolari del settore pubblico 39,4 43,8 41,1 37,6 40,47

Fonte: Censis, 2002

(*) Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

15

1.4 Il lavoro sommerso in Toscana

Conoscere come il fenomeno del lavoro sommerso caratterizza le realtà territoriali così

profondamente diverse nel nostro Paese, rappresenta un passo di imprescindibile

importanza per arrivare a chiarire anche le dinamiche che stanno alla base di tale

fenomeno.

La fenomenologia del sommerso, infatti, si declina in modo diverso a seconda delle

specificità territoriali analizzate.

In Toscana, nel corso degli ultimissimi anni, si è assistito ad uno sforzo sia di carattere

politico- amministrativo che di tipo investigativo volto a realizzare una mappatura

dell’economia sommersa nella regione.

Dalle indagini condotte dall’Irpet (Regione Toscana, 2001), sulla base della

metodologia introdotta dall’Istat, risulta che la Toscana ha un’incidenza complessiva

delle unità di lavoro sommerso più elevata della media italiana (16,7% contro 15,2%),

e concentrata soprattutto nella tipologia di lavoro dipendente.

Castellucci e Bovi (2001), con una metodologia diversa, giungono a risultati

comparabili: l’incidenza delle unità di lavoro sommerso in Toscana, nel 1995, è pari al

18,7%, superiore di meno di un punto rispetto al 18,0% della media nazionale.

Secondo una indagine del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps del 2001, la

Regione Toscana è al quarto posto per numerosità di aziende irregolari (72%) e al

sesto per numerosità di lavoratori in nero (9.805).

I dati dell’Irpet permettono di dire qualcosa di più rispetto alla semplice dimensione

quantitativa. La quota del sommerso complessivo coperta dal lavoro dipendente

sommerso è ben superiore a quella italiana (21% della Toscana contro 18,1%

dell’Italia), mentre l’incidenza del sommerso sul lavoro indipendente è ben inferiore in

Toscana che, complessivamente, nel Paese.

Dalla disaggregazione settoriale emerge una struttura del sommerso regionale molto

diversa da quella media nazionale. In particolare, emerge una nettissima maggiore

incidenza del sommerso nell’industria (in senso stretto) che arriva ad una quota di oltre

l’80% superiore a quella media nazionale. Valori lievemente superiori alla media

nazionale si registrano per il credito e le assicurazioni, il commercio e gli altri servizi.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Tabella 3 - Unità di lavoro non regolari sul totale di settore. Confronto Toscana-Italia, 1997. ATTIVITA’

ECONOMICHE

TOSCANA

ITALIA

% TOSCANA

SU ITALIA

Dip. Indip. Tot. Dip. Indip.

Tot.

Dip. Indip. Tot.

Agricoltura 37,0 5,9 13,5 55,4 13,8 29,2 66,8 42,8 46,2

Industria 12,5 4,2 10,7 6,5 3,1 5,9 192,3 135,5 181,4

Costruzioni 20,0 8,0 14,4 23,5 7,6 16,8 85,1 105,3 85,7

Commercio, turismo

e comunicazioni

31,4 7,6 20,9 27,3 8,4 18,9 115,0 90,5 110,6

Credito, assicurazione,

servizio imprese

31,0 1,2 19,6 23,5 1,0 14,8 131,9 120,0 132,4

Altri servizi 16,0 24,3 17,2 15,3 20,8 16,0 104,6 116,8 107,5

TOTALE

21,0 7,9 16,7 18,1 8,6

5,2

116,0 91,9 109,9

Fonte: IRPET, 2001

Altra condizione peculiare è rappresentata dal fatto che il sommerso toscano non si

presenta tanto nella forma del cosiddetto lavoro nero, che si caratterizza per essere

svolto in condizione di totale violazione delle norme fiscali e contributive che può di

frequente essere associata alla sommersione dell’impresa stessa. Il sommerso toscano

si presenta piuttosto come lavoro grigio.

La predominanza dell’occultamento di lavoro subordinato viene attuato attraverso l’uso

di contratti atipici, come del resto nel Centro-Nord.

Analizzando brevemente l’incidenza occupazionale del lavoro atipico in Toscana

(Regione Toscana, 2002), nel 2000, abbiamo che i lavoratori atipici sono inclusi fra le

230 e le 330.000 unità circa.

In particolare, l’utilizzo del part time si assesta sopra la media nazionale (il 9,8%

rispetto all’8,4%), così come si ripete da alcuni anni, e la differenza sembra sempre più

accentuarsi. L’incremento percentuale delle donne (sempre dal 1997 al 2000) è

superiore alla media nazionale, mentre il dato relativo agli incrementi negli uomini è

percentualmente inferiore ai dati italiani.

Il maggior tasso di incremento dell’occupazione, rispetto al dato italiano, è dovuto in

Toscana ad un incremento del tempo determinato (apprendistato, contratti di

Page 17: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

17

formazione lavoro e a tempo determinato veri e propri). Dal 1999 al 2000, su un

incremento dell’occupazione dipendente del 2,5%, il 22,7% è dovuto a quella a tempo

non indeterminato. Incide per il 6% sull’occupazione complessiva e si ricorre a tale

forma in misura inferiore rispetto all’Italia per la componente maschile, mentre

rappresenta in Toscana il 77,9% di tutti gli avviamenti femminili. Tra queste forme,

l’apprendistato è sempre una forma usata, in Toscana come in Italia, in quanto vi è

una sorta di “tradizione” che in parte sta per essere lasciata a favore di altre tipologie.

Rappresenta inoltre, più per gli uomini che per le donne, uno strumento di accesso al

lavoro (uomini 15%, contro il 13% delle donne).

I contratti di formazione lavoro sono gli unici a subire un calo, sia nel numero di

avviamenti, sia nel peso sul totale, in Toscana come nel resto dell’Italia. Più interessati

a questo strumento sono comunque gli uomini rispetto alle donne.

I contratti a tempo determinato veri e propri rappresentano, nel 2000, il 60,5% di tutti

gli avviamenti in Toscana. Anche in questo ambito si assiste ad una femminilizzazione

negli avviamenti, così come in tutta la Toscana.

Gli occupati con lavoro interinale sono 3.604 nel 2000 in Toscana, con una percentuale

femminile del 41%.

Stage e tirocini sono 1.568, di cui il 62% donne, con una crescita a favore della

componente maschile.

Il lavoro parasubordinato nel 2001 (INPS, 2001) è costituito da oltre 180.000 persone,

di cui quasi 160.000 collaboratori puri, poco più di 5.000 collaboratori/professionisti,

17.000 professionisti puri.

1.5 La disaggregazione del ‘sommerso’ a livello provinciale

A livello provinciale i dati sul lavoro sommerso ci vengono forniti dall’Inps per il 1999 e

il 2000 (Unioncamere Toscana, 2002).

I dati Inps fotografano una distribuzione del lavoro sommerso concentrata nelle

province di Firenze e Prato, con una quota complessiva del 35,5%. Le province di

Lucca, Livorno e Pisa detengono complessivamente il 38,7% del lavoro irregolare. I

dati relativi alla distribuzione riflettono ovviamente il diverso peso occupazionale delle

province. Se però calcoliamo il tasso di irregolarità (occupati non regolari su totale

degli occupati) emerge un quadro non dissimile. In particolare, esce confermata la

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

18

situazione di Prato con il 2,53% di irregolari accertati, seguito da tutte le province

costiere, con l’eccezione di Grosseto, con valori compresi tra 1,5% e 1,8%. Risulta

invece ridimensionato il peso di Firenze.

Sono particolarmente evidenti la riduzione del peso della provincia di Livorno - che

scende dalla quota di sommerso più elevata del 1999 alla quinta posizione nel 2000 - e

la crescita del peso della provincia di Prato, che sale al secondo posto dal quinto.

Tabella 4 - Distribuzione territoriale del lavoro sommerso in Toscana. 1999-2000

Province

Distribuzione territoriale del lavoro sommerso e del

lavoro regolare

Tassi di irregolarità

Inps

1999

Inps

2000

Sommerso

Irpet

Lavoro regolare

1999

Occupati

irregolari/

totali Inps 2000

Tassi di

irregolarità

Sl-IRPET

Arezzo 4,5 4,6 8,8 9,2 0,61 16,1

Firenze 16,0 18,9 32,8 31,5 0,80 17,3

Grosseto 5,9 2,8 5,7 5,4 1,04 17,5

Livorno 19,0 10,9 9,3 8,2 1,80 18,5

Lucca 13,6 14,1 9,4 10,1 1,78 15,8

Massa Carrara 5,6 5,7 3,8 4,6 1,83 14,1

Pisa 17,0 13,7 12,5 10,9 1,56 18,7

Pistoia 7,7 9,1 6,7 7,6 1,71 15,0

Prato 8,7 16,6 4,5 6,8 2,53 11,8

Siena 2,0 3,6 6,2 5,7 0,59 17,9

TOTALE

100

100

100

100

1,28

16,7

Fonte: ORML-DSE, elaborazioni su dati Ispettorato del lavoro Orml-Irpet, elaborazioni

su dati Inps

L’immagine risultante dalla precedente tabella non è dissimile dalla situazione che

emerge dai dati IRPET (Regione Toscana, 2001), calcolati a livello provinciale, che

consentono di evidenziare la presenza di tre principali raggruppamenti di territori.

In primo luogo, notiamo che le aree dove assume un ruolo di rilievo il settore turistico

(siano esse di lunga tradizione oppure no, inserite in aree urbane o meno sviluppate)

sono quelle dove più diffusa è la presenza di lavoro non regolare. Siamo

tipologicamente di fronte a sistemi occupazionali ad alta intensità di lavoro, così come

in agricoltura, con bassi livelli di innovazione tecnologica e bassa crescita di produttività

e a flussi di opportunità lavorativa di carattere temporaneo e di riserva che presentano

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

19

potenziali rischi di precarietà.

In modo diverso, e per certi versi opposto, si comportano i sistemi locali con elevati

tassi di industrializzazione. In questo secondo ambito spiccano soprattutto alcune aree,

di piccola e anche di grande impresa, che sono accomunate da una lunga e consolidata

tradizione industriale quali l’area pratese, quella di Massa Carrara, la Val di Cornia,

l’area aretina, l’area lucchese, l’area pistoiese. Sembra valere l’ipotesi che la tradizione

di sviluppo industriale abbia generato maggiore rispetto delle regole nell’ambito della

partecipazione lavorativa.

Se si considera il tasso di irregolarità, emerge però una differenza non trascurabile per

quanto riguarda Prato. Nei dati IRPET, Prato ha la minore incidenza di lavoro

sommerso, mentre nei dati Inps ha la quota più elevata di irregolarità accertate.

L’ultimo gruppo è rappresentato dalle aree di media presenza di lavoro non regolare

che accomuna sistemi locali dai caratteri economici profondamente diversi: da quelli

marginali, a quelli industriali, fino a quelli urbani. In questo ambito vale la pena di

sottolineare il caso delle aree urbane di Firenze e Siena, le cui zone di espansione

mostrano elevati livelli di irregolarità, quasi a suggerire una forma di decentramento

delle condizioni lavorative meno strutturate.

I doppi lavori tendano a presentarsi in misura percentualmente più elevata all’interno

delle principali aree urbane (Firenze, Siena, Pisa e Livorno), così come nelle altre aree

sviluppate della regione.

Per quanto riguarda la presenza di stranieri non residenti, notiamo che essi sono diffusi

in modo pressoché uniforme in tutti i SEL (Sistemi Economici Locali) della regione ma,

in particolare, nelle aree urbane (le città e le loro aree di più immediata influenza)

vediamo che sono prevalentemente concentrati nel settore delle costruzioni.

Il lavoro irregolare è convogliato, in sintesi, nell’area fiorentina (32,8%) e nelle

province di Livorno, Pisa e Lucca (complessivamente 31,2%).

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

20

1.6. Il quadro normativo italiano del lavoro sommerso

Per completare l’analisi generale del fenomeno, è utile riportare nella tabella successiva

gli estremi dei principali provvedimenti legislativi ed amministrativi in tema di lavoro

sommerso.

Tabella 5 - Quadro normativo del lavoro sommerso (2002)

Tipologia di

atto N° Anno Argomento

Legge 341 1995

Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 23 giugno 1995, n. 244,

recante Misure dirette ad accelerare il completamento degli interventi

pubblici e la realizzazione dei nuovi interventi nelle aree depresse

Decreto

Legge 510 1996

Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a

sostegno del reddito e nel settore previdenziale

Legge 608 1996

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 ottobre 1996,

n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di

interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale

Legge 448 1998 Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo

Deliberazion

e 26 1999 Progetto vigilanza sulle entrate ed economia sommersa

Legge 488 1999

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello

Stato (legge finanziaria 2000)

Decreto

legislativo 61 2000

Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a

tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES

Legge 388 2000

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello

Stato (legge finanziaria 2001)

Circolare 88 2001 Norme per incentivare l'emersione dell'economia sommersa

Deliberazion

e 100 2001

Programma di emersione per i lavoratori subordinati, ai sensi della legge n.

383/2001

Decreto

Presidente

Repubblica 287 2001

Disposizioni in materia di ordinamento degli uffici territoriali del Governo,

ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300

Decreto

Legge 350 2001 Disposizioni urgenti in vista dell'introduzione dell'euro

Legge 383 2001 Primi interventi per il rilancio dell'economia

Page 21: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

21

Decreto

Legge 12 2002

Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di

attività detenute all'estero e di lavoro irregolare

Circolare 17/E 2002

Norme per incentivare l’emersione dell’economia sommersa. Capo I della

legge 18 ottobre 2001, n. 383 e successive modifiche. Ulteriori chiarimenti

Delibera 36 2002 CIPE

Delibera 38 2002 CIPE

Circolare 49 2002

Dichiarazione di emersione di lavoro irregolare e versamento della

contribuzione sostitutiva. Istruzioni e modalità operative.

ODG 55/CIV 2002 INPS

Circolare 56/E 2002

Norme per incentivare l’emersione dell’economia sommersa. Capo I della

legge 18 ottobre 2001, n. 383 e successive modifiche e integrazioni.

Circolare unitaria interamministrativa

Circolare 65/E 2002

Norme per incentivare l’emersione dell’economia sommersa. Capo I della

legge 18 ottobre 2001, n. 383 e successive modifiche e integrazioni.

Ulteriori chiarimenti

Legge 73 2002

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 22 febbraio

2002, n.12, recante disposizioni urgenti per il completamento delle

operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di lavoro irregolare

Decreto

Legge 210 2002

Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di

rapporti di lavoro a tempo parziale

Legge 266 2002

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 25 settembre

2002, n.210, recante disposizioni urgenti in materia di emersione del

lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale

Fonte: nostre elaborazioni

Page 22: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

22

CAPITOLO SECONDO

IL LAVORO SOMMERSO NEL TERZO SETTORE4

2.1. Premessa

Le organizzazioni del Terzo Settore assumono la configurazione, in molti casi, di vere e

proprie imprese interessate quindi a produrre utili, a valorizzare il loro capitale e ad

espandere la loro presenza sul mercato, nel perseguimento dei loro fini istituzionali e

operando nel rispetto del vincolo della non distribuzione dei propri avanzi di gestione. I

beni e servizi prodotti da queste organizzazioni, anche quando sono socialmente utili,

possono essere, e spesso sono, oggetto di normali transazioni di compravendita sul

mercato.

Da ciò deriva che le classificazioni, le dinamiche e le problematiche affrontate nel

precedente capitolo che si riferiva in generale al lavoro sommerso, possono essere

declinate, con opportuni adattamenti anche al terzo settore, atteso che in quasi tutti gli

ambiti produttivi analizzati possono operare organizzazioni senza dirette finalità di lucro

(non profit).

E’ vero anche che tra tutte le tipologie imprenditoriali, quelle del Terzo Settore

perseguono per statuto la tutela degli interessi deboli, tra cui vi rientrano anche quelli

dei lavoratori. Ma il fatto che ci si prenda un impegno non significa necessariamente

che lo si rispetti. Non c’è nessuna differenza di principio, su questo aspetto, tra una

impresa sociale e qualsiasi altra. Tutto si gioca sul contenuto degli impegni che si

assumono e sul rispetto degli impegni nei comportamenti concreti.

Non ci risulta che siano stati effettuati studi in grado di definire e quantificare il

fenomeno del lavoro sommerso nel Terzo Settore.

Questo è sicuramente dovuto alle difficoltà che si moltiplicano analizzando un settore

poco delineato.

Ci sono però anche ragioni opportunistiche che impediscono di controllare,

obiettivamente, le sacche di irregolarità celate. Non c’è infatti interesse a ‘stuzzicare’ un

settore che persegue scopi economici ma anche sociali. Infine, non esiste

4 Il capitolo è a cura di Sabrina Lemmetti, Associazione Intesa.

Page 23: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

23

generalmente una forte concorrenzialità con il settore for profit che incentivi la

regolarità sul lavoro.

2.2. Aspetti quantitativi

Il settore dei servizi sociali (che comprende i servizi alla persona e alla comunità; i

servizi assistenziali o di cura in senso stretto; i servizi sanitari, educativi e culturali),

rappresenta un settore nel quale vi è una elevata presenza di organizzazioni non profit.

Nel 1998 è stata effettuata una ricerca (Borzaga, 2000) finalizzata a conoscere le

caratteristiche degli occupati nei servizi sociali pubblici e privati, for profit e non profit.

Questa ricerca è importante perché è l’unica in Italia che affronta, tra gli altri aspetti, in

modo scientifico, diretto e sotto un profilo quantitativo, le problematiche relative al

lavoro sommerso nel Terzo Settore.

Dall’indagine emerge anche che i lavoratori nel settore dei servizi sociali sono in

crescita: tuttavia, i nuovi posti di lavoro sono spesso precari, insufficientemente

remunerati e, più in generale, di bassa qualità, soprattutto nelle organizzazioni di più

recente costituzione (come ad esempio le organizzazioni non profit).

E’ oggettivamente difficile creare nel settore dei servizi sociali un mercato del lavoro

con caratteristiche simili a quelle prevalenti nella produzione di beni e servizi privati. La

contiguità con il lavoro informale (sia di familiari che di lavoratori irregolari) e la

diffusione di forme non mercantili di scambio tra amici e familiari, di forme di auto-

aiuto e di lavoro volontario, rendono difficile stabilire un confine tra l’offerta di servizi

lavorativi a titolo oneroso e non, che costituisce il prerequisito al formarsi di un

mercato del lavoro “regolare”.

I lavoratori nel settore non profit intervistati – nel corso della suddetta indagine - sono

stati 1.246. Le ore di lavoro di questi soggetti intervistati sono state poste a confronto

(distinguendo quelle effettuate per contratto da quelle effettuate realmente).

Si riporta, nella tabella successiva, un confronto anche con i valori degli enti pubblici e

delle organizzazioni for profit (imprese).

Page 24: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

24

Tabella 6 - Orario contrattuale ed orario effettivo per tipologia organizzativa (1998)

Organizzazione non profit Totale Tipologia di

organizzazione

Orario

Ente pubblico Organizzazione

for profit laica religiosa V.A. V.%

Coincidenza 63,2 73,0 65,1 72,0 671 66,4

Orario effettivo

inferiore

3,4

5,9

5,1

3,6

49 5

Orario effettivo

superiore

33,4 21,1 29,7 24,4 290 28,7

TOTALE 497 152 817 193 1010 100

Fonte: elaborazioni ricerca (Borzaga, 2000)

Non è confermata l’ipotesi secondo cui le organizzazioni non profit ricorrerebbero

maggiormente a forme di flessibilità, richiedendo ai lavoratori di prestare un numero di

ore superiore a quello stabilito contrattualmente, con o senza remunerazione.

Nelle organizzazioni non profit laiche, la percentuale di occupati che dichiara di fare

straordinari risulta infatti allineata a valori medi, mentre nelle organizzazioni del terzo

settore religiose è perfino inferiore.

Page 25: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

25

Tabella 7 - Modalità di trattamento degli straordinari per tipologia organizzativa (1998)

Organizzazione non profit Totale Tipologia di

organizzazione

Straordinari

Ente pubblico Organizzazione

for profit laica religiosa V.A. V.%

Coincidenza

29,4

64,5

36,3

2,2

233

37

Parzialmente remunerati 7,4 8,4 4,6 2,4 27 4

Totalmente recuperati 29,4 15,0 20,2 12,0 120 19

Parzialmente recuperati 11,4 0,9 13,9 7,2 82 13

Parzialmente remunerati

e parzialmente

recuperati

18,0

8,4

7,9

4,8

46

8

Né remunerati, né

recuperati

4,4

2,8

17,1

31,3

118

19

TOTALE

367

07

545

3

626

100

Fonte: elaborazioni ricerca (Borzaga, 2000)

Dalla ricerca risulta inoltre che i sistemi organizzativi non profit appaiono come quelli

nei quali i lavoratori presentano un più corretto equilibrio tra contributi e incentivi. Ciò

sembra contraddire la visione tradizionale che considera il lavoratore degli organismi

del terzo settore come un soggetto che dà (contributo) più di quanto riceve (incentivi

materiali e immateriali).

A supporto dei risultati rilevati con questa ricerca, il Terzo Settore viene considerato

(Ministero del Lavoro, 2000) come quel settore in grado di dare un contributo

significativo anche all’emersione di quella parte di sommerso che interessa i servizi alla

persona. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad una crescita di attività informali e

irregolari (svolte spesso da persone immigrate) anche nel settore dei servizi alla

persona (assistenza ad anziani e bambini, soprattutto). In questo caso, tuttavia, non si

tratta tanto di fare emergere imprese, piuttosto di indirizzare verso le imprese del

Terzo Settore la domanda oggi insoddisfatta da prestazioni irregolari e dai lavoratori in

esse occupati, agendo soprattutto sulla convenienza delle famiglie a orientare la

Page 26: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

26

domanda verso organizzazioni regolari.

2.3 Aspetti qualitativi

Nella prassi operativa del Terzo Settore, spesso viene trascurata la gestione e il

controllo integrato di alcune variabili organizzative tra le quali assume un ruolo

importante il personale. Le risorse umane rappresentano infatti la prima ricchezza di

ciascuna organizzazione, con o senza finalità di lucro, e non sempre se ne ha questa

percezione.

I problemi inerenti la definizione della struttura o dell’assetto organizzativo sono spesso

trascurati proprio per l’importanza attribuita ai valori e al coinvolgimento delle persone.

Sicuramente le ragioni ideali di comunanza con gli scopi dell’ente sono di fondamentale

importanza per la scelta di operare in una organizzazione non profit ma a giocare un

ruolo importante è anche la necessità di lavorare.

Spesso, infatti, la domanda di lavoro che attira l’organizzazioni non profit è poco

specializzata (o erroneamente considerata tale), prevalentemente femminile

(componente meno sensibile al problema del lavoro irregolare), con impegni

universitari da assolvere o già pensionata.

Ciò va evidentemente in senso contrario ad una corretta gestione “amministrativa” del

personale.

In molte organizzazioni, l’importanza dei volontari è sottovalutata poiché vengono

considerati di “seconda scelta” rispetto alle forze lavoro stipendiate, ritenute invece di

“prima scelta”. I volontari, in alcuni casi, si utilizzano solo perché non ci si può

permettere di avere personale retribuito. Non ci si domanda, invece, se

nell’organizzazione non ci siano aree, funzioni e ruoli in cui i volontari, proprio in qualità

di volontari, siano più efficaci e dove non rappresentino solo un risparmio di costi

(Melandri, 2001).

A volte può anche succedere che i dipendenti subiscano una certa "dittatura" da parte

della dirigenza, specie se questa coincide con il gruppo fondatore. Infatti, inizialmente

una organizzazione si regge normalmente con il contributo esclusivo dei lavoratori

volontari; se, e quando sorge l'esigenza di avere personale retribuito, si crea il

pregiudizio che il compenso sia un sovrappiù. Da ciò risulta non lineare stabilire i limiti

Page 27: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

27

tra partecipazione attiva e lavoro stipendiato, e si possono imporre condizioni di lavoro

intollerabili. Si possono così creare per i dipendenti carichi di lavoro elevati, sopportabili

sulla scorta di un entusiasmo pionieristico e volontaristico, ma ridimensionati dalla

continuità di sacrificio che può essere sostenuta difficilmente per lunghi periodi.

Purtroppo, non sono rari i casi di organizzazioni non profit che sono tali solo

formalmente perché gli utili, pur non dando luogo a dividendi, si traducono in veri e

propri guadagni per i dirigenti e/o danno luogo ad accumulazione di potere economico

(anche sotto forma di vere e proprie holding finanziarie).

Conseguentemente, queste organizzazioni sono associate a regimi lavorativi e fiscali,

sostanzialmente, se non formalmente, illegali e selvaggi: vi si possono annidare perciò

sacche di sfruttamento di lavoro sottopagato mascherato da volontariato.

L’eccessiva dipendenza dalle amministrazioni pubbliche, rischia inoltre di portare i

soggetti coinvolti ad un processo di deresponsabilizzazione reciproca, nel quale

l’istituzione si accontenta di aver risparmiato sui costi (chiedendo la

regolarità/correttezza formale del rapporto contrattuale, che è resa possibile solo

attraverso il ricorso al lavoro grigio), senza considerare attentamente la qualità delle

prestazioni e i risultati, e l’organizzazione non profit si accontenta di sopravvivere,

senza effettuare una attenta analisi sul carattere pubblico, sociale, dei problemi e dei

beni che essa tratta.

Non necessariamente però la qualità del servizio offerto dall’organizzazione non profit è

in diretta relazione con la regolarità del lavoro, per cui anche le gare d’appalto

effettuate sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa (nelle quali si tiene

conto degli aspetti qualitativi oltre che di quelli relativi al costo) non ostacolano, in linea

di principio, il ricorso al lavoro sommerso.

In generale, si giustifica la non eticità del lavoro sommerso, in quanto vi ricorrono le

organizzazioni non profit ma anche, indirettamente, la pubblica amministrazione.

Le teorie sull’organizzazione hanno da tempo rilevato che tutte le organizzazioni sono

costitutivamente esposte al rischio di perdere di vista gli scopi per i quali sono sorte e

operano concentrandosi soprattutto sui mezzi.

Nel caso di organizzazioni non profit questo rischio appare forte, probabilmente anche

in ragione dell’elevato grado di incertezza in cui esse svolgono la propria attività. La

loro finalità sociale (pubblica, collettiva) potrebbe essere dimenticata, o soltanto

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

28

evocata in forme ritualizzate, in nome del superiore imperativo della sopravvivenza (De

Leonardis, 1998).

Il rischio conseguente è che proprio il Terzo Settore, cioè il luogo dove più forte e

strutturata dovrebbe essere la lotta alla marginalità e all’esclusione, si trasformi esso

stesso in produttore di precarietà esistenziale e marginalità per i lavoratori.

Per contrastare il fenomeno andrebbero introdotti, ad esempio, sistemi di monitoraggio

degli appalti e la certificazione sociale che vuole dire controllo della regolarità (formale

e sostanziale) del lavoro svolto.

Il fenomeno del lavoro sommerso nel Terzo Settore può essere analizzato anche in

riferimento ai seguenti tre rapporti contrattuali:

- socio lavoratore

- volontario

- lavoratore atipico

1. Socio lavoratore

La situazione del lavoro nelle cooperative sociali, come nel resto del Terzo Settore, è

comunque fuor di dubbio confusa; questo soprattutto per le molteplici figure che si

possono ritrovare.

Accanto al socio lavoratore, abbiamo i lavoratori subordinati alle dirette dipendenza

della cooperativa, i soci svantaggiati, i soci volontari previsti dall’art.3 della L.381/1991

che prestano la loro attività gratuitamente ed ai quali può essere corrisposto solo il

rimborso spese, i collaboratori coordinati e continuativi ed i prestatori occasionali di

lavoro.

Il socio lavoratore è colui che lavora attivamente in una organizzazione di terzo settore

(tipicamente, all’interno di cooperative sociali) e che, allo stesso tempo, ne è anche

socio. Rappresenta quindi una figura a metà strada tra il dipendente e l’imprenditore.

E’ evidente che si viene così a configurare una tipologia lavorativa, differente dal lavoro

subordinato tipico, assai diffusa nel Terzo Settore. Essendo l’attività svolta dal socio

lavoratore funzionale al perseguimento dei fini sociali dell’organizzazione, si può

sostenere che in sé essa non dà luogo ad un rapporto di lavoro dipendente, anche se è

sempre più diffusa l’applicazione dei contratti collettivi, che in definitiva finiscono per

configurare rapporti di lavoro di fatto non troppo dissimili da quelli dei lavoratori

standard.

Page 29: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

29

Nell’ambito delle cooperative sociali la figura del socio lavoratore è spesso vista dal

sindacato come una formula giuridico-contrattuale che consente alle cooperative di

utilizzare mano d’opera giovane, retribuendola in modo inadeguato e non

garantendone benefici come indennità di malattia, ferie, contributi previdenziali, ecc.

Questa posizione ha alimentato un dibattito acceso, in particolare, nel 1997 dall’allora

leader della CGIL Sergio Cofferati al quale hanno preso parte molti esponenti del Terzo

Settore cercando di rispondere alle provocazioni dell’intero mondo sindacale.

Le sollecitazioni poste, anche se corrette se si guarda all’esigenza di porre un

interrogativo sulla questione, poggiavano forse su un preconcetto, e cioè che vi fosse

una forma di svolgimento del lavoro e di inquadramento contrattuale che dovesse

essere presa a modello nel regolamentare i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Si

trattava ovviamente della modalità di lavoro dipendente a tempo pieno e

indeterminato.

Successivamente, la Funzione Pubblica della CGIL, nel 1998, ha auspicato un contratto

unico per il Terzo Settore affinché venissero date più garanzie ai lavoratori coinvolti e

venissero eliminati i meccanismi di concorrenza al ribasso.

Nel 2001, con la Legge n.142 del 3 aprile, è stata introdotta per le cooperative (anche

quindi per quelle sociali) la nuova disciplina sul socio lavoratore identificandone, in

particolare, i diritti (in termini anche di trattamento economico) e i doveri.

La normativa prevede inoltre che le cooperative stendano ed approvino un

regolamento sulle tipologie di rapporto che l’impresa intende attuare con i soci

lavoratori.

2. Volontario

La caratteristica dell’azione volontaria è che sia offerta “in modo personale, spontaneo

e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro,

anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà” (L.266/91, art.2, co.1). Da

questa definizione legislativa fornita dalla legge quadro sul volontariato, si deduce che

la gratuità e la spontaneità sono caratteristiche essenziali dell’azione volontaria, che

deve esclusivamente perseguire fini di solidarietà. L’affermazione previene anche i

possibili rischi di abuso dell’opera del volontario, che potrebbe tradursi in “lavoro nero”,

nel caso fosse utilizzata per supplire a carenze di personale, o di sfruttamento di

persone in difficoltà. Infatti, nel corso degli anni molti volontari che all’inizio del loro

servizio erano sinceramente partecipi dei valori solidali del gruppo, hanno in seguito

preteso il riconoscimento del loro rapporto come lavoro subordinato (Comolli, 1998). A

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

30

riprova di quanto affermato, si nota che sono sempre più le persone che, dopo qualche

tempo di attività gratuita presso organizzazioni non profit, decidono di stabilizzare il

rapporto, trasformandolo in un vero e proprio impiego retribuito. Secondo il terzo

rapporto annuale sulle organizzazioni di volontariato della Fondazione Italiana per il

Volontariato, su 5 milioni di persone a diverso titolo interessate o coinvolte in attività di

volontariato, solo 500 mila possono essere definiti volontari doc, in senso stretto

(Frisanco, 2002).

Non sono pochi infatti i casi di soggetti che decidono di svolgere gratuitamente una

certa attività per un determinato lasso di tempo presso una organizzazione di

volontariato (ma ancor più il fenomeno è sviluppato nelle cooperative sociali dove i

“soci volontari” sperano di ottenere incarichi di lavoro continuativi e retribuiti) in

cambio della promessa, ovviamente non formalizzata, di una sistemazione lavorativa

successiva (Grasso, 2002).

Proprio per tale utilizzo dei volontari, vengono previste forme di “retribuzione” sotto

forma di piccoli incentivi economici/indennizzi quali rimborsi spese “forfetari”, “gonfiati”

o gettoni di presenza. A volte si utilizzano tale forme perché le rigidità normative non

consentono di incentivare il volontariato distribuendo somme di denaro in modo più

chiaro e trasparente.

Bisogna “evitare il proliferare di forme di semivolontariato attuato mediante la

corresponsione di somme inferiori di quelle proprie di una normale retribuzione: il

lavoro semigratuito non può essere ammesso; l’aspirazione solidaristica della

prestazione non può giustificare l’abbassamento delle garanzie proprie del lavoro

subordinato (Menghini, Rapporto CNEL, 2000)”.

La coesistenza di volontariato e di personale retribuito, inoltre, può favorire forme di

lavoro sommerso per le seguenti ragioni:

- spesso, si tratta di forme di lavoro che sono a cavallo tra la formalità e l’informalità,

c’è una prossimità fra lavoro retribuito e lavoro volontario: non è un semplice rapporto

di lavoro, è un rapporto ‘caldo’, non ‘freddo’,

- clima di connivenza fra datore di lavoro e lavoratore che implica una probabile

maggiore difficoltà ad aprire una vertenza sul lavoro,

- informalità dominante nei rapporti (e, nelle relazioni, in generale) di lavoro.

3. Lavoratore atipico

L’Istat rileva che nel Terzo Settore lavorano circa 80.000 addetti con contratto di

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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collaborazione coordinata e continuativa (Patete, 2002). Il lavoro atipico viene utilizzato

nel Terzo Settore nella stessa misura che negli altri settori (10%).

Esiste inoltre una realtà di cosiddetto “semilavoro” nella forma di stage e tirocini. La

situazione varia molto da mansione a mansione, ma anche tra il Nord e il Sud del

Paese.

Spesso si ha a che fare con organizzazioni che stanno nascendo, o ancora troppo

fragili. Così, trattandosi di attività all’inizio del loro sviluppo che non hanno la garanzia

delle entrate, queste organizzazioni non si impegnano su contratti di lavoro stabili e di

medio e lungo periodo.

E’ però una flessibilità occupazionale che spesso non nasce da una libera scelta. Non

esistono forme di lavoro adeguate per l’impiego in questo settore, per questo si è

costretti ad utilizzare forme di lavoro che non le sono proprie. Infatti, dal momento che

nel Terzo Settore il lavoratore non ha interessi divergenti da quelli dell’organizzazione

ma ne condivide gli obiettivi, applicare un contratto di lavoro dipendente sembra

piuttosto anomalo.

Inoltre, spesso, nell’ambito dei servizi alla persona, il lavoro è molto parcellizzato con la

conseguenza che vi è una maggiore difficoltà da parte del datore di lavoro, che non ha

la percezione del rischio, a regolarizzare una persona per un impegno orario limitato o

che desidera forme di lavoro in nero per ottenere un compenso maggiore (in quanto

non ha la percezione del danno economico prodotto da un lavoro irregolare a livello, ad

esempio, di certificazione delle competenze e di trattamento pensionistico).

2.4. L’incidenza del lavoro sommerso nel “terzo settore” toscano

L’IRPET non ha mai svolto ricerche specifiche sulla presenza di lavoro irregolare nel

terzo settore.

Tuttavia, dalle ricerche effettuate, finalizzate a delineare composizione, peso

economico ed occupazionale del terzo settore, sono emerse le seguenti caratteristiche

riconducibili, in parte, a questa problematica:

1. Le organizzazioni che appartengono al terzo settore sono molto eterogenee, le

tipologie principali sono costituite da associazioni genericamente culturali-

ricreative, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali (di tipo A e B).

2. Un significativo apporto di tipo occupazionale si verifica solo nel caso delle

cooperative sociali (che rappresentano solo una parte molto ridotta del terzo

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

32

settore), mentre per le altre categorie è netta la quasi esclusività del ricorso al

lavoro volontario.

3. L’occupazione creata dalle cooperative sociali è caratterizzata da alti livelli di turn

over, prevalenza di età giovanili, frequenza di titoli di studio medio-alti, forte

presenza femminile. La compresenza di tali caratteristiche fa pensare

all’occupazione nella cooperazione sociale come prima esperienza lavorativa per i

giovani in ingresso sul mercato del lavoro.

4. Per l’intenso rapporto esistente tra cooperative sociali e pubblica amministrazione e

l’evoluzione sperimentata dalle modalità di svolgimento delle gare di appalto

(progressiva sostituzione del criterio del costo più basso con valutazione

complessiva dei progetti) si suppone di poter escludere una presenza sistematica

del lavoro irregolare nel terzo settore.

Sembra invece più probabile che le cooperative sociali di tipo A, collaborando con

la Pubblica Amministrazione possano contribuire a far emergere quella parte di

lavoro irregolare che interessa il settore dell’assistenza alla persona (che è il tipico

settore di attività del terzo settore), lasciato all’iniziativa privata delle famiglie.

Per cercare di quantificare il peso in Toscana del lavoro sommerso nel terzo settore,

dobbiamo considerare tale settore per gran parte incluso nella voce ‘altri servizi’ delle

stime effettuate (ad esempio dall’ISTAT).

Sulla base di questa forzatura, possiamo affermare che il grado di diffusione del lavoro

sommerso nel terzo settore in Toscana è probabilmente consistente, soprattutto

nell’ambito del lavoro autonomo. Tendenzialmente nelle aree urbane, in cui sono più

sviluppati gli ‘altri servizi’, che sono quelle che attirano una maggiore percentuale di

lavoro irregolare.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

33

SECONDA PARTE

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE: FIELD ANALYSIS

La prima parte di questo lavoro è stata dedicata a ricomporre il quadro del fenomeno

del lavoro sommerso nel terzo settore a livello nazionale e nel dettaglio regionale.

Il tentativo di una lettura critica del fenomeno attraverso la composizione di fonti

eterogenee ha permesso di ricostruire un quadro di insieme che, seppure lacunoso e

frammentato, risulta estremamente utile. A priori per calibrare le modalità dell’indagine

diretta; a posteriori per dimensionare e collocare le informazioni raccolte nelle fasi di

analisi sul campo.

Nell’ambito del progetto, l’attività di analisi sul campo si è articolata in due moduli

distinti. Da un lato, il gruppo di ricerca ha scelto di acquisire informazioni sul fenomeno

del lavoro sommerso nel terzo settore in ambito regionale, coinvolgendo alcuni

osservatori privilegiati.

In una fase successiva si è indagato il punto di vista di coloro che operano, con diverse

qualifiche e tipologie contrattuali, nell’ambito del terzo settore.

A questo scopo sono stati intervistati due gruppi distinti di lavoratori del terzo settore.

Il primo gruppo è stato individuato grazie al contributo della CISL, che ha messo a

disposizione del gruppo di ricerca un elenco di lavoratori del terzo settore che, per

diversi motivi, sono entrati in contatto con l’organizzazione sindacale. Nello specifico di

questo primo gruppo di lavoratori, le informazioni acquisite a priori hanno evidenziato

l’esistenza di forme di lavoro irregolare e, più in generale, il mancato rispetto, nelle

forme più diverse, del contratto di lavoro.

Il secondo gruppo di lavoratori è stato individuato in maniera del tutto casuale, a

partire dall’attivazione di contatti con i lavoratori di alcune organizzazioni del terzo

settore.

Per questo secondo gruppo di lavoratori non era ovviamente nota a priori né la

tipologia del rapporto di lavoro instaurato con l’azienda né l’eventuale esistenza di

situazioni di irregolarità.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

34

Per la scelta del secondo gruppo di intervistati è stata privilegiata la disponibilità dei

lavoratori a prendere parte all’indagine, dedicando del tempo a raccontare la loro

esperienza e a descrivere le condizioni e le modalità del loro lavoro.

Le interviste agli osservatori privilegiati e ai lavoratori sono state analizzate e

rielaborate dal gruppo di ricerca.

Nel terzo capitolo si propone una lettura di quanto emerge dall’analisi delle interviste ai

testimoni privilegiati. Nel quarto capitolo si presentano i risultati delle interviste in

profondità con i due gruppi di lavoratori individuati.

Ciò rappresenta, a nostro avviso, una lettura del fenomeno parziale, che non pretende

di esaurire la complessità dell’argomento ma intende offrire uno spunto utile ai fini di

un necessario dibattito sulle modalità e sulle condizioni di lavoro nel terzo settore e, più

in generale, sul rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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CAPITOLO TERZO

L’INDAGINE SUL CAMPO: IL COINVOLGIMENTO DEI TESTIMONI

PRIVILEGIATI5

3.1 Le modalità di analisi

Uno dei maggiori problemi emersi in sede di progettazione dell’indagine è

rappresentato dalla scelta delle tecniche di analisi da utilizzare per indagare un

fenomeno, quello del lavoro sommerso nel terzo settore, che racchiude in sé una

duplice complessità.

Da un lato vi è il problema del lavoro sommerso che, per sua definizione, sfugge a

tentativi di analisi e di stima. Dall’altro vi è la questione del “terzo settore”, che

rappresenta un ambito di attività ancora poco studiato e i cui confini risultano mobili e,

soprattutto, non universalmente condivisi.

Lo studio del fenomeno del sommerso è stato storicamente affrontato con due

approcci metodologici diversi: i metodi diretti e i metodi indiretti.

I metodi indiretti, seppure diversi fra loro, sono accomunati dall’idea di fondo che sia

possibile misurare l’entità del sommerso attraverso indicatori che contengono

informazioni indirette.

Tali metodi possono basarsi sull’analisi delle transazioni monetarie; sull’analisi degli

input fisici di produzione; su modelli con variabili non osservate; sulla discrepanza fra

fonti statistiche che misurano la domanda e l’offerta di lavoro6 .

I metodi diretti, per contro, indagano il fenomeno attraverso il coinvolgimento di

soggetti economici direttamente interessati - imprese e lavoratori - o di soggetti

economici e/o istituzionali che, seppure non coinvolti direttamente, risultano informati.

Nel caso dell’impiego di metodi diretti, le tecniche di indagine utilizzate possono essere

di tipo quantitativo, attraverso la somministrazione di questionari a risposta chiusa a

campioni rappresentativi di soggetti, oppure di tipo qualitativo. In quest’ultimo caso le

indagini si basano sulla somministrazione di interviste in profondità a campioni non

5 Il capitolo è a cura di Francesca Ricci, IAL Toscana.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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statisticamente rappresentativi dell’universo, ma selezionati sulla base di alcune

variabili che si ritengono rilevanti.

Nello specifico di questa analisi, il gruppo di lavoro ha privilegiato l’impiego di tecniche

di indagine qualitative che, pur sacrificando il criterio della rappresentatività,

presentano alcuni vantaggi.

La realizzazione di interviste in profondità attraverso la somministrazione “face to face”

di questionari semistrutturati consente di acquisire informazioni estremamente ricche e

di ampio dettaglio relativamente ai meccanismi di funzionamento del fenomeno

indagato.

E questo aspetto è certamente cruciale in tutti quei casi in cui le informazioni sul

fenomeno esplorato sono scarse o per la natura del fenomeno - ed è certamente il

caso del lavoro sommerso - o per la ridotta disponibilità di analisi e studi preesistenti.

E, come è emerso dall’attività di ricognizione bibliografica, il tema del lavoro sommerso

nello specifico del terzo settore risulta ad oggi relativamente poco indagato.

Il coinvolgimento, in qualità di osservatori privilegiati, di persone che sono a

conoscenza di attività sommerse senza parteciparvi direttamente evita il problema della

reticenza nel fornire informazioni in merito.

Tale prassi di ricerca è stata ampiamente utilizzata nel nostro Paese in molte indagini

sul lavoro sommerso e sul lavoro irregolare, sia nella sua versione “originale” – ovvero

il metodo delle persone “informate”, utilizzato per la prima volta nel 19737 – sia in

versioni successive.

L’individuazione di testimoni privilegiati nell’ambito del terzo settore è stata

un’operazione piuttosto complessa. Come è emerso implicitamente sin qui, infatti, il

terzo settore rappresenta, proprio per la sua recente costituzione, un ambito

relativamente poco studiato, soprattutto per quanto attiene alle modalità organizzative

e alle forme di lavoro.

Per questo motivo le interviste sono state realizzate sia con referenti locali che con

referenti nazionali. Il coinvolgimento di osservatori che operano su scala nazionale, e

6 Cfr. Schneider e Enste, “Shadow Economies: Size, Causes and Consequences”, Journal of Economic Literature, XXXVIII (2000). 7 Si veda, in proposito, Bergonzini, “Casalinghe o lavoranti a domicilio?”, in Inchiesta, aprile-giugno 1973.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

37

che quindi hanno una percezione del fenomeno di più ampio respiro, rappresenta per

alcuni versi un limite.

E di ciò il gruppo di ricerca è stato consapevole fin dall’inizio, se è vero, come è vero,

che il “dibattito italiano sul lavoro sommerso è caratterizzato da una tendenza molto

netta verso la spiegazione locale del sommerso: sono le condizioni del mercato del

lavoro e delle istituzioni locali che determinano la varietà di forme e di diffusione del

sommerso nel nostro Paese8”

Nell’ambito dell’indagine sono stati coinvolti in qualità di testimoni privilegiati esponenti

di organizzazioni sindacali e datoriali, che operano a livello nazionale e locale, soggetti

pubblici ed esperti del terzo settore.

8 Cfr. Unioncamere Toscana, Lavoro sommerso e contratti atipici, in Impresa Toscana, n.1/2002.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

38

3.2 Gli obiettivi dell’indagine sul campo

Gli obiettivi che il gruppo di ricerca si è posto nella fase di coinvolgimento degli

osservatori privilegiati sono molteplici9.

In primo luogo si è cercato di integrare e approfondire le informazioni raccolte nella

fase di desk analysis.

In secondo luogo si sono individuate e definite le caratteristiche del lavoro sommerso

nell’ambito del terzo settore.

In terzo luogo il gruppo di ricerca si è soffermato sull’analisi del comportamento dei

committenti, con riferimento alle modalità di controllo delle attività e dei livelli

contributivi.

Infine si sono raccolte indicazioni sulle tendenze di medio periodo, cercando di capire

se il rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore ha, nella percezione degli

intervistati, una connotazione “fisiologica” o una connotazione “patologica”.

Allo scopo di raggiungere gli obiettivi, le interviste “face to face” con gli osservatori

privilegiati hanno affrontato una serie di questioni. In primo luogo si è chiesto agli

intervistati di dare una definizione di terzo settore, per far emergere in maniera

esplicita la pluralità di posizioni che caratterizzano il dibattito in corso nel nostro Paese.

Quindi si è tentato di analizzare il rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore,

esplorando una serie di aspetti: quanto e come le organizzazioni del terzo settore

ricorrono al lavoro sommerso; qual è la forma di lavoro sommerso maggiormente

diffusa a livello regionale; quali possono essere le cause che spingono all’impiego di

forme di lavoro sommerso nel terzo settore; quali sono, se esistono, le specificità

settoriali del terzo settore nell’ambito delle quali il lavoro sommerso si concentra

maggiormente; quali sono, se esistono, le specificità locali nell’ambito delle quali il

lavoro sommerso si concentra maggiormente; quali sono le forme attraverso le quali il

lavoro sommerso si manifesta e si concretizza nel terzo settore; con quale frequenza le

imprese del terzo settore ricorrono al lavoro sommerso.

Si è cercato, nel corso delle interviste, di indagare il rapporto fra gli enti finanziatori e

le organizzazioni del terzo settore, allo scopo di far emergere eventuali meccanismi di

distorsione e di controllo.

9 Si veda, in proposito, la traccia di intervista ai testimoni privilegiati.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

39

Sono state quindi analizzate le dinamiche di medio periodo. In particolare, si è chiesto

agli intervistati di delineare degli scenari probabili sulla base del dibattito in corso e

della produzione legislativa.

Inoltre si è focalizzata l’attenzione sul rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore in

prospettiva, cercando di valutare la natura “fisiologica” o “patologica” del rapporto.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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3.3 Il concetto di “terzo settore” nella percezione degli intervistati

Il primo aspetto affrontato in sede di intervista con i testimoni privilegiati - su cui a

nostro avviso è interessante soffermarsi - è rappresentato dalla percezione che gli

intervistati hanno del “terzo settore”.

Come è stato correttamente rilevato, infatti, “il termine terzo settore viene utilizzato

per indicare qualcosa di altro dallo stato e dal mercato. Quindi, tale definizione,

comprende organizzazioni e realtà estremamente eterogenee10”.

La richiesta di dare una definizione di terzo settore ha portato alla luce posizioni

diverse, sia su ciò che si debba intendere per terzo settore sia sulla natura e sulla

tipologia dei soggetti economici da includere e da escludere.

Da una lettura attenta delle informazioni raccolte, si rileva che la molteplicità di

posizioni emerse nel corso delle interviste può essere ricondotta a due grandi gruppi.

Per alcuni intervistati, vi è la convinzione che esista una perfetta coincidenza fra terzo

settore e mondo non profit.

Secondo questa posizione, il terzo settore si compone di tutti quei soggetti che

“statutariamente o per mission svolgono le loro attività non a fini di lucro...tutti gli utili

sono recuperati per nuovi investimenti, per creare nuova ricchezza, per favorire nuova

occupazione e nuovi servizi in una visione che è quella di interesse della comunità” .

Sulla base di questa impostazione, tutti quei soggetti privati che operano “in campo

sanitario, sociale, assistenziale e quant’altro con finalità tipiche dell’impresa

privata...non possono far parte del terzo settore”.

Accanto a questa impostazione, che individua una perfetta coincidenza fra terzo settore

e mondo del non profit, se ne può individuare un’altra, che si caratterizza per il fatto di

includere una tipologia di soggetti più ampia.

Secondo questa posizione, infatti, “terzo settore non vuol dire necessariamente non

profit...ci possono e ci devono essere anche degli spazi in cui il privato può avere un

suo diritto di cittadinanza, a certe condizioni”.

Questa impostazione, dunque, allarga i confini e, soprattutto, la tipologia di attori che

agiscono nel terzo settore.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Tuttavia, è importante rilevare che, anche fra i sostenitori di questa impostazione, è

abbastanza condivisa l’idea che “il non profit rappresenta pur sempre lo zoccolo duro di

questa realtà [ndr. il terzo settore]”.

Più in generale, facendo riferimento ai criteri proposti da Lunaria11 per definire e

circoscrivere le organizzazioni del terzo settore, il primo gruppo di intervistati pone

l’accento essenzialmente sul principio della non distribuzione degli utili.

L’impossibilità di ridistribuire gli utili fra i soci e i lavoratori, né direttamente né

indirettamente, rappresenta il principale criterio discriminante per definire la linea di

confine e, soprattutto, i soggetti da includere e da escludere dal terzo settore.

La seconda impostazione individuata fra gli intervistati privilegia invece, fra l’insieme

dei criteri definiti, quello dell’utilità sociale. Le organizzazioni del terzo settore sono

dunque tutte quelle organizzazioni che lavorano per la promozione della persona e

svolgono attività di pubblica utilità.

E tutto ciò, aggiungiamo noi, a prescindere, anche se con dei limiti, dalla forma

giuridica e/o dalle modalità di distribuzione degli utili.

Qualunque sia la definizione adottata, quella più ampia o quella più circoscritta, gli

intervistati concordano sul fatto che gli attori che si muovono nel cosiddetto terzo

settore rappresentano una realtà estremamente frammentata e disomogenea.

Le organizzazioni del terzo settore, infatti, si differenziano in primo luogo per ambito di

attività e tipologia di servizi erogati.

“Si possono individuare, anche se con molte difficoltà, almeno cinque distinte aree di

attività: l’area sanitaria, l’area socioassistenziale, l’area di educazione e formazione,

l’area della cultura e, da un po’ di tempo a questa parte, l’area amministrativa e

gestionale”.

Le differenze rilevabili fra le organizzazioni del terzo settore non si fermano all’ambito

di attività economica e alla tipologia di servizi erogati, ma vanno ben oltre.

10 Cfr. Lunaria, Forme di lavoro nel terzo settore. Ed. Lunaria, Roma, 1998. 11 Lunaria, partendo dalla definizione della John Hopkins University e cercando di sottolineare la peculiarità del settore come produttore di utilità sociale, ha proposto alcuni criteri per individuare le organizzazioni del terzo settore: la formalità; la natura privata dell’organizzazione; il principio della non distribuzione degli utili (né diretta, né indiretta); l’autogoverno; la struttura democratica dell’organizzazione; la presenza del volontariato; la produzione di utilità sociale eterodiretta. Cfr. Lunaria, Forme di lavoro nel terzo settore. Ed. Lunaria, Roma, 1998.

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Come rileva Lunaria12 per il livello nazionale - e come è emerso frequentemente in sede

di intervista per il livello regionale – le organizzazioni del terzo settore differiscono fra

loro “per dimensioni, obiettivi, struttura, natura giuridica, tendenze politiche e

culturali”.

Le riflessioni contenute nel paragrafo richiamano dunque ad una questione nota e

ancora ampiamente dibattuta, che in questa sede non pretendiamo di sciogliere.

Tuttavia, ciò che ci preme sottolineare è che la mancanza di delimitazioni chiare e,

soprattutto, condivise di ciò che si debba intendere per terzo settore rappresenta uno

dei principali problemi con cui deve misurarsi chiunque voglia indagare il fenomeno

delle modalità di lavoro.

Più nel dettaglio, e con riferimento alla questione specifica della nostra indagine, le due

diverse impostazioni rilevate nella fase di coinvolgimento degli osservatori privilegiati,

hanno, come vedremo più avanti, implicazioni dirette e precise sulla questione del

lavoro sommerso nel terzo settore.

12 Cfr. Lunaria, Forme di lavoro nel terzo settore. Ed. Lunaria, Roma, 1998.

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3.4 Lavoro “nero” e lavoro “grigio” nel terzo settore

Ma che rapporto esiste fra lavoro sommerso e terzo settore in ambito regionale?

Intorno a questa domanda chiave si è sviluppata l’intervista realizzata con i testimoni

privilegiati.

Gli studi realizzati sul lavoro sommerso nel nostro Paese evidenziano che l’entità e le

modalità di diffusione del fenomeno sono fortemente correlate alla dimensione locale e

alla tipologia di attività economica.

Se è vero, com’è vero, che il sistema economico nel suo complesso è pervaso da forme

di lavoro sommerso e irregolare, è plausibile sostenere che anche il sistema del terzo

settore non sia estraneo al fenomeno.

Tuttavia, ciò che risulta difficile - e che costituisce uno degli obiettivi a cui ha teso

questo lavoro - è cercare di valutare l’incidenza del fenomeno nelle organizzazioni del

terzo settore e, soprattutto, le modalità di manifestazione.

Rispondere al quesito iniziale, ovvero capire che rapporto esiste fra lavoro sommerso e

terzo settore in ambito regionale, è difficile per almeno due ordini di motivi.

In primo luogo, come è stato rilevato nel corso di più di un’intervista, “per riuscire a

rispondere in maniera esaustiva a questa domanda, sarebbe necessario essere in

possesso di dati statistici di dettaglio, che ad oggi ancora non esistono”.

Oltre alla difficoltà di misurazione del lavoro sommerso, a cui peraltro si è cercato di

dare risposta attraverso processi di stima13, una delle questioni ancora oggi

ampiamente dibattuta è rappresentata dalla misurazione dei soggetti che fanno parte

del terzo settore e del loro impatto occupazionale.

Nel corso degli ultimi anni, infatti, sono state tentate numerose rilevazioni nel nostro

Paese, con lo scopo di valutare la consistenza quantitativa delle organizzazioni del terzo

settore, sia in termini di base produttiva, sia in termini di impatto occupazionale.

Tuttavia, i risultati a cui hanno condotto le ricerche sono discordanti fra loro, a

conferma del fatto che a differenti definizioni corrispondono differenti risultati14.

13 Si veda, in proposito, Rapporto sul lavoro sommerso in Toscana, IRPET, 2001. 14 Cfr. Sciclone, L’analisi economica del terzo settore in Toscana, IRPET, 2001.

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E questo sia perché le stime prodotte non permettono di scendere in un dettaglio

settoriale e territoriale così spinto, sia perché le ricerche e le indagini che fino ad oggi

sono state realizzate si sono focalizzate su ambiti territoriali circoscritti.

A ciò si aggiunge un’altra difficoltà, in cui si imbatte chiunque intenda indagare le

modalità di lavoro nel terzo settore. Il lavoro nel terzo settore non può essere letto con

gli stessi schemi concettuali delle altre forme di lavoro perché, come avremo modo di

vedere più avanti, si caratterizza per peculiarità che non si rintracciano altrove.

Le persone che lavorano nel terzo settore condividono spesso gli scopi e gli obiettivi

sociali dell’organizzazione di cui fanno parte. Molte delle organizzazioni del terzo

settore sono strutture democratiche, dove i lavoratori hanno un certo controllo sulle

decisioni prese. Nell’ambito delle organizzazioni del terzo settore, infine, si rilevano

modalità di interazione fra volontariato e lavoro retribuito che non sono riscontrabili in

altri ambiti di attività economica15.

La mancanza di stime effettive della quota di occupazione nel terzo settore e la

connotazione del tutto particolare che il concetto di lavoro assume implicano che in

questa sede la valutazione del rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore non può

che essere dedotta dalla percezione qualitativa degli intervistati che, pur confortata da

una profonda conoscenza del contesto economico di riferimento, non è suffragata da

dati quantitativi, né ufficiosi né ufficiali.

Entrando nel merito dell’analisi, l’idea abbastanza condivisa, seppure con qualche voce

fuori dal coro, può essere sintetizzata dalla risposta secca e precisa di uno degli

intervistati.

“Penso che si possa quasi del tutto escludere il lavoro nero...il lavoro grigio penso di sì,

e anche in quantità rilevanti”.

Dunque, un primo elemento di rilievo emerso dalle interviste riguarda il fatto che gli

osservatori privilegiati, sulla base della loro conoscenza del fenomeno, escludono

l’esistenza su larga scala in Toscana di forme di lavoro nero, cioè di situazioni in cui

“non sono garantiti al lavoratore nemmeno i diritti fondamentali”.

15 Cfr. Lunaria, Forme di lavoro nel terzo settore. Ed. Lunaria, Roma, 1998.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Secondo gli intervistati, “non si può parlare di presenza di lavoro nero nella sua

accezione più tipica, cioè di lavoratori che lavorano al di fuori di ogni regola, quindi con

evasione contributiva, previdenziale e assistenziale”.

Gli intervistati concordano nel ritenere che “esistono certamente delle nicchie di lavoro

nero vero e proprio, come peraltro in tutti i settori di attività economica...ma il

problema più rilevante per il terzo settore in Toscana è rappresentato dalle situazioni di

grigio”.

Come approfondiremo meglio nel paragrafo successivo, quando ci occuperemo di

capire in che modo si concretizza il fenomeno, dall’analisi delle risposte degli

osservatori privilegiati sembrerebbe essere confermata una tesi dimostrata da altre

ricerche svolte in ambito regionale.

Le analisi qualitative e quantitative realizzate in Toscana hanno infatti contribuito a

mettere in luce l’esistenza di forme di sommerso molto diverse da quelle studiate in

altre aree del Paese.

Sulla base di questi studi, si evince che il fenomeno del lavoro sommerso in ambito

regionale è da collegarsi soprattutto ad attività sommerse. Tale forma di lavoro è stata

definita, appunto, di “lavoro grigio”16.

Se dunque, non è possibile stimare l’incidenza del lavoro sommerso nel terzo settore e

porla a confronto con il dato relativo ad altri ambiti di attività economica, un elemento

utile emerso in sede di indagine e su cui ci pare interessante riflettere è costituito dal

fatto che nel terzo settore si rilevano fenomeni isolati di lavoro nero e situazioni molto

più diffuse di lavoro grigio, cioè di situazioni in cui la violazione delle norme che

regolano il contratto fra lavoratore e azienda non è totale, ma parziale.

E questo conferma in buona sostanza, quanto emerso da altre indagini realizzate in

ambito regionale, secondo le quali il lavoro sommerso presente in Toscana rappresenta

in larga misura un fenomeno collegato soprattutto ad attività emerse..

Al margine di questo paragrafo, ci pare interessante rilevare un aspetto emerso dalle

interviste realizzate con i testimoni privilegiati.

Ad eccezione dei casi di lavoro nero, vi è la convinzione generale, che l’impiego anche

consistente di forme di lavoro grigio non è dettato da finalità “speculative”.

16 Cfr. Unioncamere Toscana, Lavoro sommerso e contratti atipici, in Impresa Toscana, n.1/2002.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Se, infatti, si escludono i casi di “cooperazione spuria”, cioè di quelle situazioni in cui la

forma cooperativa viene scelta con il deliberato intento di aggirare le norme che

regolano il rapporto fra lavoratore e datore di lavoro, molte delle organizzazioni che

ricorrono a forme di lavoro grigio nascono con finalità di utilità sociale, per coprire una

domanda di servizi a cui, altrimenti, non verrebbe data altra risposta.

I rapporti di lavoro non regolari, dunque, si collocano nella maggior parte dei casi in

organizzazioni che hanno come obiettivo primario quella di produrre utilità sociale.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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3.5 Le modalità di manifestazione delle forme di lavoro sommerso nel terzo

settore

Come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, gli intervistati concordano nel

ritenere che, salvo alcune eccezioni, il terzo settore in Toscana si caratterizza

soprattutto per la presenza di forme di lavoro grigio.

In sede di analisi, è emerso in maniera evidente che le modalità di manifestazione del

lavoro sommerso nell’ambito del terzo possono essere molteplici e sembrano essere

correlate essenzialmente a due variabili: la natura dell’organizzazione e la tipologia del

rapporto di lavoro.

Il primo aspetto interessante è dato dal fatto che a forme organizzative diverse si

possono associare diverse modalità di lavoro ‘sommerso’. Le infrazioni che si possono

riscontrare nelle organizzazioni di volontariato sono, ad esempio, diverse da quelle che

possono verificarsi nel sistema cooperativo.

Allo stesso modo, la tipologia di contratto che regola il rapporto fra lavoratore e

organizzazione del terzo settore influisce sulle modalità di manifestazione del lavoro

sommerso.

In particolare, le interviste realizzate evidenziano che le irregolarità riscontrate nei

rapporti di lavoro dipendente sono diverse da quelle che possono verificarsi in presenza

di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Partiamo dalle situazioni di lavoro “classico”, cioè da tutti quei casi in cui il rapporto di

lavoro fra lavoratore e azienda è normato da un contratto di lavoro dipendente.

Una prima questione emersa in molte delle interviste è rappresentata dal fatto che la

frammentazione e l’eterogeneità delle organizzazioni che operano nel terzo settore

produce come conseguenza quella di “una vera e propria giungla retributiva”.

In particolare, per quanto attiene all’area sociosanitaria esistono ben 10 contratti di

settore, con la conseguenza che “operatori che svolgono mansioni simili o addirittura

identiche possono avere sensibili differenze retributive con riferimento alla paga base”.

Il panorama contrattuale si complica ulteriormente se si considera il fatto che, non

raramente, le organizzazioni del terzo settore possono applicare ai propri dipendenti

contratti di altri settori di attività economica, soprattutto quelli del terziario.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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L’analisi dei contratti collettivi applicati evidenzia inoltre che le differenze medie fra

contratti del pubblico e contratti del privato sociale si aggirano intorno al 30%.

Un secondo problema, per questo gruppo di lavoratori i cui rapporti con l’azienda sono

regolamentati da un contratto di lavoro dipendente, è rappresentato dal fatto che in

alcuni casi si rileva “la non osservanza di tutte le norme e gli obblighi contrattuali che il

sistema impone”.

Più nel dettaglio, si possono verificare situazioni in cui “si registra l’assenza del

riconoscimento di alcuni istituti previsti dal contratto, quali le ore di straordinario, il

lavoro su turni, le indennità festive e la reperibilità”.

Le forme di sommerso che possono essere insite nei rapporti di lavoro dipendente,

tuttavia, seppure gravi, non rappresentano la questione più rilevante.

Nell’ambito del terzo settore, infatti, “i lavoratori dipendenti sembrano non

rappresentare la maggioranza rispetto al totale degli occupati”, soprattutto con

riferimento ad alcuni ambiti di attività economica.

In effetti, uno dei fenomeni più rilevanti nella percezione degli intervistati sembra

essere rappresentato, a conferma di quanto emerso da altre indagini, dal rapporto che

esiste fra diffusione di nuove forme di lavoro e lavoro grigio.

Più in generale, secondo alcuni, vi sono situazioni che generano forti elementi di

ambiguità. In particolare, gli aspetti di criticità sono rappresentati da: “l’apporto del

volontario, l’apporto del socio nelle imprese cooperative e il fenomeno delle

collaborazioni coordinate e continuative”.

Il fenomeno del volontariato e il ruolo del socio rappresentano due aspetti intimamente

connessi con il terzo settore. Le collaborazioni coordinate e continuative, per contro,

pur rappresentando un fenomeno trasversale ad altri settori di attività economica,

hanno avuto nel terzo settore un impatto rilevante, non tanto in termini di stock,

quanto in termini di flussi.

Con riferimento alla questione delle collaborazioni coordinate e continuative, l’idea

condivisa dagli intervistati è che, pur in assenza di conferme quantitative, “la presenza

delle collaborazioni in tutti gli ambiti, dalle cooperative alle associazioni, si fa sempre

più rilevante”.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Anche nel caso del terzo settore, infatti, “il contratto di collaborazione coordinata e

continuativa dovrebbe regolare un rapporto di lavoro di professionalità medio alte e

con caratteristiche specialistiche”.

In particolare, gli accordi di applicazione nel campo dei servizi sociosanitari ne

dovrebbero circoscrivere l’impiego a situazioni in cui “vi sia un rapporto alla pari di

erogazione fra un libero professionista ed un ente committente; non esista un orario di

lavoro rigidamente strutturato; il lavoratore non impieghi, per svolgere il proprio

servizio, strumenti di proprietà della ditta”.

Contrariamente a quanto enunciato, invece, gli intervistati rilevano come molte

organizzazioni del terzo settore ricorrano a rapporti di collaborazione coordinata e

continuativa anche in quelle situazioni in cui ci sarebbero i presupposti per

l’instaurazione di rapporti di lavoro dipendente, determinando fenomeni di parziale

evasione contributiva.

“Un caso non raro è, ad esempio, quello di lavoratori che lavorano su turni con

contratti di collaborazione coordinata e continuativa”.

Per concludere, quindi, l’impiego di contratti di collaborazione coordinata e

continuativa, fenomeno in decisa espansione soprattutto in alcuni ambiti di attività

economica, rappresenta uno dei fattori che, anche nell’ambito del terzo settore,

contribuisce a determinare un incremento delle opportunità per l’utilizzazione di lavoro

grigio.

E’ in effetti abbastanza evidente, come è stato dimostrato da una recente indagine, che

quando la normativa diventa più complessa e la giurisprudenza di più difficile

applicazione, le imprese e i lavoratori tendono a muoversi più liberamente nel mercato

del lavoro, affiancando all’uso legale dei nuovi strumenti contrattuali nuove forme di

sommersione del lavoro.

Un altro elemento di ambiguità, rilevato in sede di interviste, è rappresentato dalla

questione del socio lavoratore. In particolare è emerso come, in alcuni casi, “vi è una

grossa ambiguità nella flessibilità dell’apporto lavorativo del socio alla cooperativa”.

Si tratta, peraltro, di una questione ampiamente dibattuta, che contrappone due

posizioni diverse. Da un lato, infatti, vi è l’idea che “debba essere salvaguardata

l’autoimprenditorialità del socio che, in quanto imprenditore, deve scegliere i tempi e i

modi della propria prestazione lavorativa”.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Dall’altro, si riscontrano molte situazioni in cui per una serie di cause la componente di

lavoratore prevale su quella di socio, “con la conseguenza di possibili deroghe

all’applicazione integrale dei contratti collettivi”.

Ciò si verifica, secondo gli intervistati, in tutti quei casi in cui vengono posti in atto da

parte delle imprese comportamenti che “tendono ad escludere la partecipazione del

socio dalle scelte imprenditoriali”.

Le probabilità che ciò accada sono più frequenti quando la cooperativa assume

dimensioni rilevanti e quando le decisioni strategiche d’impresa sono definite in contesti

territoriali distanti dagli ambiti di operatività dei soci lavoratori.

Nelle situazioni in cui la figura del lavoratore tende a prevalere su quella del socio, si

possono rilevare alcune modalità di manifestazione di lavoro sommerso.

Rappresentano forme di lavoro grigio tutte quelle le situazioni in cui “al socio lavoratore

viene chiesto di rinunciare ad una parte della retribuzione; a lavorare intensificando o

riducendo le proprie ore di lavoro sulla base di esigenze produttive”.

Per concludere, un altro aspetto emerso riguarda l’ambiguità a cui può dare origine il

ruolo del volontario, che è previsto sia nelle associazioni di volontariato che nelle

cooperative sociali.

Dalle interviste realizzate emerge come in alcuni casi il diritto ai rimborsi spese previsto

per i volontari si trasformi in opportunità di violazione delle norme contributive.

In alcune situazioni, infatti, si è riscontrato che il rimborso spese rappresenta una

modalità di remunerazione non tanto di apporto volontario, quanto di lavoro vero e

proprio nell’ambito delle organizzazioni.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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3.6 La presenza del lavoro sommerso nel terzo settore: alcune ipotesi

esplicative

Quali sono le cause che, in generale, originano il fenomeno del lavoro sommerso? Ci

sono delle specificità relative al terzo settore? Il dibattito in letteratura è ampio e i

contributi, sia a livello internazionale sia a livello nazionale, sono molteplici.

Le analisi svolte in ambito internazionale possono essere ricondotte a due posizioni,

che peraltro risultano non in contrasto, ma complementari fra loro.

Secondo la prima impostazione, la crescita della pressione fiscale e l’aumento del peso

dei contributi sociali, accompagnate dall’intensità e dalla complessità dei sistemi

regolativi, incidono sul comportamento fiscale di imprese e lavoratori, inducendoli ad

occultare parte del lavoro svolto17.

Il secondo filone di analisi che si è sviluppato nel corso dei decenni individua le cause

della presenza del lavoro sommerso in economia nelle anomalie e nella complessità del

funzionamento del mercato del lavoro.

In particolare, l’idea che si è sviluppata è che la presenza di meccanismi regolativi

particolarmente rigidi si possa scontrare con il sistema di scelte razionali dei lavoratori,

favorendo lo sviluppo di attività sommerse18.

Il dibattito sulle cause della presenza di lavoro sommerso è particolarmente ricco anche

in Italia. In particolare, un recente lavoro del CNEL19, raccogliendo e sistematizzando

l’insieme dei contributi preesistenti, mette in luce come la presenza di forme di lavoro

sommerso all’interno dell’economia italiana sia da imputare ad una serie di fattori

eterogenei.

Secondo l’analisi sviluppata, infatti, i fattori che incidono sulla diffusione del lavoro

sommerso sono molteplici: la frammentazione del tessuto produttivo; le condizioni di

arretratezza dell’organizzazione sociale e produttiva rilevate in alcune aree del Paese;

la posizione di debolezza nei confronti del mercato di alcune fasce di lavoratori; la

17 Si veda, in proposito, Schneider e Enste, “Shadow Economies: Size, Causes and Consequences”, Journal of Economic Literature, XXXVIII (2000). Johnson, Kaufmann, Lobaton, “Regulatory Discretion and the Unofficial Economy”, American Economic Review, 1998. Friedman, Johnson, Kaufmann, Lobaton, “Dodging the Grabbing Hand: the Determinants of Unofficial Activity in 69 Countries, Journal of Public Economy, 2000. 18 Cfr. Hunt, “Has work-sharing worked in Germany?”, The quarterly journal of economics, 1999. 19 CNEL, Rapporto sull’economia sommersa, 2001.

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risposta del sistema produttivo all’eccesso di carichi fiscali e rigidità regolamentari;

l’accettazione culturale e la carenza di riprovazione sociale nei confronti del fenomeno;

la gravosità degli obblighi amministrativi; le specificità locali e settoriali.

L’acquisizione delle ipotesi esplicative del fenomeno sviluppatesi in ambito nazionale e

internazionale hanno permesso al gruppo di lavoro di indagare tale aspetto con gli

osservatori privilegiati in maniera “informata” e di collocare le posizioni raccolte

nell’ambito di un dibattito più complessivo.

I soggetti coinvolti nell’indagine hanno fornito una pluralità di ipotesi esplicative della

presenza del lavoro sommerso, in tutte le sue forme, nel terzo settore.

Alcune delle ipotesi risultano coerenti con le posizioni riscontrate in letteratura; altre

rappresentano invece un contributo più “originale”.

Una prima ipotesi che emerge dall’analisi sul campo mette in relazione la presenza di

forme di lavoro sommerso con la recente nascita del terzo settore e, soprattutto, con la

sua espansione rapida e spesso fuori controllo.

Il ricorso al lavoro sommerso nelle sue diverse gradazioni sarebbe dunque da imputare

al fatto che “il terzo settore è un settore relativamente giovane, sia per quanto attiene

alle dinamiche delle relazioni sindacali, sia per quanto attiene al sistema delle regole di

controllo”.

E’ evidente che il terzo settore si è sviluppato rapidamente, sia con riferimento ai

soggetti economici sia con riferimento ai livelli di occupazione. Il processo di

espansione del tessuto produttivo e della base occupazionale è stato estremamente

rapido e ciò è avvenuto, nella percezione di alcuni intervistati, nell’ambito di un quadro

relativamente poco normato.

Questa tesi risulterebbe in contrasto con un filone ricorrente nelle indagini sulla

presenza di lavoro sommerso nelle economie. Come abbiamo rilevato in precedenza,

infatti, se una delle cause del ricorso al sommerso è rappresentata dall’eccesso delle

norme di regolamentazione, la situazione iniziale in cui si sono mossi gli operatori del

terzo settore avrebbe dovuto disincentivare il ricorso all’impiego di lavoro sommerso.

Accanto a questa prima tesi, se ne individua un’altra, che in qualche modo risulta

collegata alla precedente.

Nell’ambito di alcune interviste è emersa l’idea che il fenomeno sia da imputare

all’incapacità imprenditoriale di alcuni soggetti che operano nel terzo settore. Tale

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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incapacità risulterebbe particolarmente accentuata e diffusa nella fase di “start up”

d’impresa.

Soprattutto per alcuni ambiti di attività economica in cui si muovono le organizzazioni

del terzo settore – come, ad esempio, la gestione di servizi ricreativi e culturali - le

barriere all’ingresso sono praticamente inesistenti.

Questo significa che raramente si riscontrano tutti quei processi di selezione che

caratterizzano la scelta di fare impresa in altri ambiti di attività economica. Può

accadere che le organizzazioni del terzo settore “quando sono giovani e di piccole

dimensioni facciano ricorso a modalità di lavoro non proprio cristalline”.

Secondo i sostenitori di questa tesi, tuttavia, il fenomeno scompare, o quanto meno

tende a ridursi in maniera significativa, quando le organizzazioni crescono e si danno

una struttura più forte. In questa fase della loro evoluzione, infatti, “vengono meno le

condizioni per il ricorso a modalità di lavoro nere o grigie”.

Un’altra tesi interessante emersa nel corso delle interviste individua nel rapporto fra

domanda e offerta di alcuni servizi le condizioni per il ricorso al lavoro sommerso.

Secondo questa ipotesi interpretativa, “da un lato ci sono le persone, che sono

portatrici di grandi bisogni di assistenza, anche non professionalizzata”. La domanda di

servizi di assistenza alla persona risulta in forte crescita ed è correlata con i processi di

evoluzione demografica che vedono incrementare in maniera consistente la quota di

persone anziane e non autosufficienti e, contestualmente, i carichi di lavoro per le

famiglie.

A fronte di questa domanda, “ci sono delle persone, prevalentemente donne, che si

posizionano sul mercato con l’obiettivo di ottenere un reddito integrativo per il bilancio

familiare...spesso sono disposte a lavorare a qualsiasi condizione e, soprattutto, in

maniera frammentata e intermittente, alternando periodi di lavoro a periodi di

inattività, sulla base più di strategie familiari che personali”.

Secondo questa tesi, l’incontro fra una domanda crescente di servizi non specialistici di

assistenza alla persona e l’offerta spesso non professionalizzata e legata a logiche di

integrazione del reddito familiare può determinare condizioni favorevoli per il ricorso a

modalità di lavoro sommerso.

Un’altra questione emersa in sede di analisi sul campo riguarda il problema della

cooperazione sociale “spuria”. Secondo gli intervistati, in questi casi, il ricorso a

modalità di lavoro sommerse è da imputare “al tentativo di abbattere i costi del lavoro,

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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consentendo al soggetto impresa di fare operazioni di dumping sul mercato di

riferimento”.

In questa fattispecie, a differenza delle altre, il ricorso al lavoro sommerso ha finalità

essenzialmente speculative.

Seppure non sia emerso in maniera esplicita nell’ambito delle interviste, gli studi

realizzati sul terzo settore evidenziano come una questione rilevante e trasversale a

tutte le organizzazioni, qualunque sia la loro natura, è spesso il problema della diffusa

debolezza economica e la scarsità quasi cronica di risorse20.

Da ciò discendono due questioni fondamentali. La prima è che molte delle imprese del

terzo settore sono portatrici di una domanda di lavoro la cui caratteristica essenziale è

la flessibilità. La seconda questione, anch’essa di una certa complessità, è data dal

rapporto con gli enti pubblici e, più in generale, con gli enti finanziatori.

Quest’ultimo aspetto è emerso nell’ambito di alcune interviste con gli osservatori

privilegiati. E, secondo alcuni, l’ambiguità nel rapporto fra imprese ed enti pubblici può

rappresentare una delle cause che spiegano il ricorso a forme di lavoro sommerso nel

terzo settore.

Un primo aspetto emerso in merito riguarda il gap esistente fra normativa e livello di

applicazione. Spesso infatti, “nonostante vi siano delle buone leggi regionali...di fatto

molti enti locali operano secondo la logica prevalente, anche se non dichiarata, del

massimo ribasso”.

Il problema evidenziato sembra riguardare non tanto la normativa, quanto l’ambiguità

nelle sue modalità di applicazione. Ci pare interessante riportare la posizione di uno

degli intervistati, secondo cui “la presenza del lavoro sommerso nel terzo settore è da

imputare in larga parte alle modalità di applicazione delle norme da parte dell’ente

pubblico...spesso, per alcune tipologie di servizi, vi è una contraddizione in termini

nella logica che guida le scelte dell’ente pubblico...da una lato si chiede che il servizio

venga svolto da lavoratori regolarmente assunti. Dall’altro l’ente pubblico si impegna a

pagare non per le ore programmate, ma per le ore di servizio effettivamente erogate.”

E ancora. “Esiste una normativa molto chiara. Quando l’ente pubblico definisce una

base d’asta, deve fare riferimento ad una serie di parametri...Purtroppo non sempre

succede questo. Ci sono delle basi d’asta che non rispettano tutti i parametri previsti”.

20 Cfr. Lunaria, Forme di lavoro nel terzo settore. Ed. Lunaria, Roma, 1998.

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Un altro punto interessante è rappresentato dal fatto che risultano praticamente

assenti i controlli da parte degli enti appaltatori dei servizi. Questi, pur potendo almeno

sulla carta effettuare controlli sul rispetto delle norme, mostrano spesso “un’assoluta

incapacità ad esercitare un controllo costruttivo”.

Un discorso analogo emerge con riferimento ai controlli ispettivi, che secondo gli

intervistati, non sono frequenti.

“Ad oggi, le attività ispettive ci sono, ma sono ancora molte estemporanee. Sembrano

muoversi più secondo una logica di segnalazioni di situazioni di emergenza che non

sulla base di un’azione programmata”.

La questione del rapporto con gli enti pubblici, della definizione di regole condivise e di

meccanismi di controllo rappresenta, secondo molti, uno snodo cruciale per consentire

la crescita del sistema nel suo complesso, sia per quanto riguarda le condizioni di

lavoro sia per quanto riguarda la qualità dei servizi erogati.

Proprio per la correlazione che esiste fra modalità e condizioni di lavoro da un lato e

qualità dei servizi erogati agli utenti dall’altro, molti degli intervistati auspicano che ci si

possa “mettere intorno ad un tavolo, per fare maggiore chiarezza sulle forme di lavoro

che devono essere utilizzate e sulle condizioni che l’ente pubblico può imporre alle

imprese che erogano i servizi”.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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3.7 Alcune ipotesi di concentrazione settoriale, territoriale e professionale

Come abbiamo visto, le modalità di manifestazione del lavoro sommerso possono

essere molteplici e risultano influenzate dalla natura dell’organizzazione e dalla

tipologia di contratto che norma il rapporto fra lavoratore e datore di lavoro.

Le indagini realizzate sul lavoro sommerso in ambito nazionale hanno spesso posto

l’accento sull’importanza del contesto locale di riferimento e, più in generale, sulle

caratteristiche economiche, sociali e culturali quali fattori che possono favorire la

presenza di forme di lavoro sommerso.

Pur in assenza di dati, una delle tematiche affrontate in sede di intervista con gli

osservatori privilegiati è rappresentata dal tentativo di individuazione di situazioni di

maggiore o minore incidenza del fenomeno con riferimento a tre variabili: l’ambito di

attività economica; le caratteristiche del contesto territoriale e la posizione

professionale del lavoratore.

Si tratta di una serie di riflessioni che gli intervistati hanno fatto sulla base della loro

esperienza e della conoscenza del territorio e non a partire da dati quantitativi che,

ancora oggi, sono purtroppo inesistenti.

Come abbiamo rilevato in apertura, le organizzazioni del terzo settore operano in

ambiti di attività economica diversi fra loro. Alcuni studi hanno evidenziato come sia

possibile individuare nell’ambito del terzo settore almeno cinque aree distinte di

attività: l’area socioassistenziale, l’area sanitaria, l’area culturale, di educazione e

formazione.

Una delle idee emerse nel corso delle interviste è che il fenomeno si distribuisca in

maniera omogenea nei diversi ambiti di attività, con la conseguenza che l’impatto più

rilevante, ovviamente in termini assoluti, si ha nelle aree a maggiore addensamento

occupazionale.

Un’indagine campionaria realizzata dall’IRPET21 evidenzia che il 63,1% delle

organizzazioni del terzo settore opera nell’ambito dei servizi sociosanitari, il 32,5%

nell’area dei servizi ricreativi e culturali e il 24,5% nell’area dei servizi socioeducativi.

Sulla base di questa ipotesi, dunque, i fenomeni più consistenti si hanno nelle prime

due aree.

21 Cfr. Sciclone, L’analisi economica del terzo settore in Toscana, IRPET, 2001.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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“Statisticamente, la quota di infrazioni è maggiore in quelle aree, perché più elevato è

il numero di lavoratori”.

Un’altra idea emersa, e in qualche modo in contrasto o non perfettamente coerente

con la precedente, è data dal fatto che le caratteristiche e la natura dei servizi possono

in qualche modo creare le condizioni per l’impiego di modalità di lavoro non regolare.

Più correttamente, vi sono alcune tipologie di servizi che, per loro natura, sono poco

strutturati. “E’ il caso, ad esempio, di molti interventi rivolti ai minori, o comunque di

situazioni in cui si lavora con un’utenza certamente non vasta”.

In tutte queste situazioni in cui non si riesce a dare continuità agli interventi, “si

annidano le condizioni per il manifestarsi di forme di lavoro sommerso, perché spesso

le strutture non sono in grado di sopportare l’onere di un contratto di lavoro”.

Se passiamo dalla dimensione settoriale alla dimensione territoriale, vi sono delle aree

della regione in cui il fenomeno del lavoro sommerso risulta più presente che in altre?

Anche in questo caso non è possibile ragionare su dati quantitativi, ma soltanto

partendo dalla percezione e dalla conoscenza che del fenomeno hanno gli intervistati.

L’esistenza di un legame fra ambiti territoriali e presenza di lavoro sommerso nel terzo

settore rappresenta uno degli aspetti più controversi che è emerso dall’indagine.

Su questo punto, infatti, gli intervistati si sono divisi in maniera molto netta. Secondo

alcuni la presenza del lavoro sommerso si distribuisce in maniera omogenea sul

territorio regionale. Secondo altri, invece, esistono delle aree a maggiore incidenza.

Coloro che sostengono che il fenomeno non si manifesti in maniera omogenea sul

territorio, forniscono tuttavia supporti esplicativi diversi fra loro.

Secondo alcuni, la presenza di forme di sommerso, nelle diverse gradazioni, deve

essere associata essenzialmente allo stato di salute dell’economia. Questo significa che

in quelle aree della regione maggiormente depresse e con maggiori problemi di

occupazione “il ricorso al lavoro grigio è certamente più ampio”. E ciò principalmente

perché ci sono “situazioni di maggiore difficoltà economica e difficoltà a trovare redditi

integrativi”.

Per contro, secondo i sostenitori di questa tesi, nelle aree a maggiore occupazione, il

fenomeno è più contenuto, anche perché mediamente i lavoratori sono in condizioni di

maggiore forza nei confronti delle imprese.

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In queste aree potrebbero essere presenti situazioni di “sommerso concordato”,

fenomeno questo che, secondo gli intervistati, interessa solo marginalmente le

organizzazioni e i lavoratori del terzo settore.

Dalle interviste, infatti, è emerso che esistono anche nel terzo settore situazioni di

sommerso concordato. Tali situazioni, tuttavia, interessano esclusivamente figure

professionali ad elevato contenuto professionale e difficilmente reperibili sul mercato.

In questi casi il lavoro sommerso si manifesta come un accordo alla pari fra impresa e

lavoratore e si traduce in fenomeno simile a quello del “fuoribusta”, che è stato

studiato, in alcune aree della regione, per alcune tipologie di operai specializzati

nell’industria manifatturiera22.

Come abbiamo rilevato, tuttavia, gli intervistati concordano tuttavia nel ritenere che le

forme di lavoro sommerso “concordato” sono decisamente marginali nel quadro

complessivo del terzo settore.

Un’altra tesi sostiene che esiste un effetto che potrebbe essere definito di

“decentramento”. Per una serie di fattori, le imprese sociali che operano nei “centri”

sarebbero meno incentivate a ricorrere a forme di lavoro non regolare. E ciò è da

imputare sia “a fattori di tipo culturale, sia a un maggiore controllo”. Per contro, le

imprese delle aree più periferiche e lontane dai centri di controllo “ricevono un segnale

che è certamente più debole e la cui assenza può in qualche modo creare le condizioni

per il ricorso a forme di lavoro non cristalline”.

Secondo alcuni, infine, si può registrare una relazione molto stretta fra qualità dei

rapporti con le istituzioni e ricorso a lavoro non regolare. Questo significa che, “in tutte

quelle aree della regione in cui i rapporti sono chiari e percepiti in maniera positiva, le

imprese sociali hanno meno incentivi a violare le regole”. Per contro, laddove i rapporti

con gli enti pubblici sono deteriorati, “le imprese sociali potrebbero essere incentivate

ad utilizzare forme di lavoro sommerso”.

L’ultimo aspetto indagato in questo paragrafo riguarda il rapporto fra presenza di

sommerso, in tutte le sue forme, e caratteristiche professionali dei lavoratori.

Le indagini realizzate evidenziano che, seppure la domanda di lavoro delle imprese

sociali si stia orientando in senso diverso, almeno in una prima fase e soprattutto per

22 Cfr. Unioncamere Toscana, Lavoro sommerso e contratti atipici, in Impresa Toscana, n.1/2002.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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alcuni settori di attività, la struttura professionale del terzo settore risulta

tendenzialmente orientata verso il basso23.

Come confermato anche nel corso delle interviste, infatti “questo è un settore in cui

prevalgono ancora, in larga misura, figure professionali con qualifiche basse”.

La struttura professionale del settore favorisce di fatto, secondo gli intervistati, la

possibilità per le imprese di ricorrere a modalità di lavoro grigio.

Ciò si origina da “una scarsa capacità di contrattazione da parte di questi soggetti, che

spesso si collocano in posizione di debolezza nei confronti del datore di lavoro proprio

per la loro scarsa professionalità”.

I bassi livelli professionali di molti lavoratori del settore consentono infatti alle imprese

di poterli sostituire senza danneggiare i cicli di produzione e di erogazione dei servizi.

Se infatti “il rapporto fra collaboratore di alto profilo fa sì che il suo peso nelle richieste

e nelle garanzie sia maggiore, il livello basso, dotato di scarsa professionalità o di una

professionalità sia formale che sostanziale facilmente sostituibile, si presta in maniera

più marcata ad accettare condizioni di peggior favore”.

23 Cfr. Sciclone, L’analisi economica del terzo settore in Toscana, IRPET, 2001.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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3.8 Il fenomeno in una prospettiva di medio periodo

Questa prima parte dell’analisi si conclude con una riflessione sugli scenari possibili

delineati dagli intervistati per il medio periodo.

Se infatti, come è emerso dalle interviste, il terzo settore ha contribuito da un lato a

creare occupazione e dall’altro a regolarizzare in parte o del tutto molte situazioni di

lavoro, sembra essere giunto il momento di fermarsi e riflettere sui cambiamenti e sulle

strategie necessarie per contribuire ad una crescita non solo quantitativa, ma anche

qualitativa del sistema.

Nell’ambito del processo di crescita del sistema, uno snodo fondamentale è

rappresentato dalla natura del rapporto fra terzo settore e lavoro sommerso.

Per quanto riguarda questo aspetto, le interviste realizzate sottendono, a nostro

avviso, due differenti valutazioni del rapporto fra terzo settore e forme di lavoro

sommerso, soprattutto per quanto attiene a quello che abbiamo definito lavoro

“grigio”.

Per alcuni intervistati la presenza di forme di lavoro grigio nelle organizzazioni del terzo

settore rappresenta un fenomeno “fisiologico”. Una quota, probabilmente, è impossibile

da eliminare perché risulta connessa ad una serie di variabili esogene al sistema nel

suo complesso quali, ad esempio, la scarsità di risorse in alcuni ambiti di attività

economica e le caratteristiche di alcuni dei lavoratori.

Per altri, invece, il rapporto ha una connotazione che potremo definire “patologica”. Vi

sono infatti alcuni meccanismi che contribuiscono a favorire la presenza di forme di

lavoro nascosto nel terzo settore. Secondo questa impostazione, a differenza della

prima ipotesi, tali meccanismi possono essere corretti. E’ possibile cioè intervenire per

migliorare la qualità complessiva del sistema, eliminando o riducendo tutti quei

fenomeni che possono favorire l’attecchire le forme di lavoro non proprio regolari.

Coloro che ritengono che la natura del rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore sia

patologica hanno indicato, nel corso delle interviste, alcune linee di intervento. Le

proposte per migliorare la qualità del sistema nel suo complesso e le condizioni di

lavoro sono diverse. Prima fra tutte quella di “qualificare gli operatori del settore,

attraverso interventi formativi che tendano a modificare l’attuale composizione

professionale di molti ambiti di attività”.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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Anche il “meccanismo dell’accreditamento potrebbe facilitare la stabilità occupazionale,

soprattutto se si privilegia il requisito del personale stabile all’interno

dell’organizzazione”. Più in generale, “il passaggio da un sistema di appalto diffuso ad

un sistema di accreditamento” potrebbe rappresentare una grossa opportunità per

garantire la presenza più stabile dei soggetti economici con la conseguenza di maggiori

garanzie per la qualità e la stabilità dell’occupazione.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

62

CAPITOLO QUARTO

LE MODALITA’ DI LAVORO NEL TERZO SETTORE24

4.1 Premessa

L’ultima parte del report è dedicata ad esaminare le modalità e le condizioni di lavoro

nel terzo settore, sulla base delle informazioni raccolte nella seconda fase di indagine

sul campo, che ha coinvolto due gruppi distinti di lavoratori.

Il quadro restituito dalle interviste realizzate con i lavoratori non pretende di esaustivo.

Anche in questa fase di analisi, le tecniche di indagine adottate sono di natura

qualitativa. Per indagare le modalità di lavoro nel terzo settore, infatti, sono stati

coinvolti due gruppi di lavoratori che, per numerosità e modalità di selezione, non

consentono di estendere i risultati raggiunti all’universo25.

Gli intervistati sono stati ‘selezionati’ attraverso due percorsi diversi. Il primo gruppo è

stato individuato grazie al contributo della CISL, che ha messo a disposizione dei

ricercatori un elenco di lavoratori del terzo settore che, per una serie di motivi, sono

entrati in contatto con l’organizzazione sindacale.

Il secondo gruppo di lavoratori è stato individuato in maniera del tutto casuale, a

partire dall’attivazione di contatti con i lavoratori di alcune organizzazioni del terzo

settore. Nella scelta di questo secondo gruppo è stata privilegiata, rispetto ad altri

criteri di scelta del campione, la disponibilità dei lavoratori a prendere parte

all’indagine, dedicando del tempo a raccontare la loro esperienza e a descrivere le

condizioni e le modalità del loro lavoro.

L’assenza di informazioni sull’universo, soprattutto per quanto attiene alle

caratteristiche sociodemografiche dei lavoratori del terzo settore, non ha consentito al

gruppo di ricerca di selezionare i componenti dei due campioni di intervistati sulla base

delle caratteristiche dell’universo.

I requisiti richiesti ai lavoratori per partecipare all’intervista sono stati essenzialmente

tre. Lavorare in un’organizzazione del terzo settore; essere disponibili a raccontare la

propria storia e a descrivere le proprie modalità e condizioni di lavoro; per alcuni,

infine, essersi rivolti ad un sindacato.

24 Il capitolo è a cura di Francesca Ricci, IAL Toscana. 25 In buona sostanza, i due campioni non sono rappresentativi dell’universo.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

63

Le modalità di composizione del campione e la mancanza di informazioni sull’universo

producono come conseguenza quella di non sapere che rapporto esiste fra le

caratteristiche sociodemografiche del gruppo di intervistati e le caratteristiche

sociodemograiche dell’universo.

Questo problema, certamente rilevante, può essere per il momento superato

considerando che l’indagine realizzata ha un taglio essenzialmente qualitativo. Le

interviste in profondità - che hanno coinvolto 12 lavoratori del terzo settore - non

pretendono di restituire un quadro statisticamente rappresentativo della realtà, ma

semplicemente di cominciare a fare luce su un tema ad oggi scarsamente esplorato.

Nelle tabelle successive si riportano, a titolo puramente informativo, le distribuzioni di

frequenza del campione di intervistati relativamente alle principali variabili

sociodemografiche: genere, età, stato civile, presenza di figli e titolo di studio.

Tabella A – Distribuzione degli intervistati per sesso

VALORI ASSOLUTI

MASCHI 5

FEMMINE 7

TOTALE 12

Tabella B – Distribuzione degli intervistati per classi di età

VALORI ASSOLUTI

FINO A 24 ANNI 2

DA 25 A 30 ANNI 2

DA 31 A 40 ANNI 6

OLTRE 40 ANNI 2

TOTALE 12

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

64

Tabella C – Distribuzione degli intervistati per stato civile

VALORI ASSOLUTI

CELIBI/NUBILI 7

CONIUGATI 5

TOTALE 12

Tabella D – Distribuzione degli intervistati per presenza figli

VALORI ASSOLUTI

CON FIGLI 4

SENZA FIGLI 8

TOTALE 12

Tabella E – Distribuzione degli intervistati per titolo di studio

VALORI ASSOLUTI

LICENZA MEDIA 2

DIPLOMA SUPERIORE 8

LAUREA 2

TOTALE 12

Con i due gruppi di lavoratori sono state realizzate interviste face-to-face, sulla base di

un questionario semistrutturato. Le interviste in profondità hanno affrontato una serie

di punti. E’ stato chiesto agli intervistati di descrivere la loro attuale condizione di

lavoro, con riferimento all’ambito di attività economica, alle mansioni svolte, al

contratto di lavoro, alle modalità di lavoro e al clima dell’impresa (con particolare

riferimento ai rapporti con il datore di lavoro e con i colleghi).

La seconda parte dell’intervista è stata dedicata a ricostruire le precedenti esperienze

di lavoro, in termini di durata e ambiti di attività, focalizzando l’attenzione sulle

modalità di cambiamento in tutti quei casi in cui si sono verificati passaggi fra terzo

settore e altri ambiti di attività economica.

Page 65: Sommerso terzo settore - Anpal Servizi

LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

65

Quindi si è proceduto ad indagare il livello di soddisfazione da parte degli intervistati

della propria condizione, sia in termini complessivi sia con riferimento alle diverse

componenti.

Infine si sono esplorati i rapporti e le modalità di attivazione di contatti con le

organizzazioni sindacali.

Nelle pagine seguenti, si riportano i primi risultati emersi dalle interviste in profondità

realizzate con i lavoratori del terzo settore. L’attenzione del gruppo di ricerca si è

focalizzato su quattro aspetti: l’analisi dei percorsi professionali realizzati dai lavoratori;

l’analisi delle motivazioni; la ricostruzione, in termini oggettivi, delle condizioni di

lavoro; la percezione della propria condizione; e, infine, il grado di soddisfazione

complessivo e nel dettaglio dei singoli aspetti.

Per concludere, ci preme ricordare ancora una volta che i risultati di questa fase di

indagine sul campo non restituiscono una fotografia esaustiva della realtà. Ciò non è

possibile da un lato per la natura del fenomeno e dall’altro per la scelta di impiegare

tecniche di analisi qualitative.

Tuttavia il quadro restituito dall’indagine, soprattutto per quanto attiene agli aspetti

evidenziati, contribuisce, a nostro avviso, a fare luce su un fenomeno, quello delle

modalità di lavoro nel terzo settore, che sarebbe utile monitorare in maniera costante e

sistematica.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

66

4.2 I percorsi professionali e le motivazioni

In sede di progettazione di questo modulo di indagine, soprattutto per la messa a

punto del questionario da somministrare ai lavoratori, il principale punto di riferimento

per il gruppo di ricerca è stato uno dei pochi lavori finora realizzati nel nostro Paese

sulle modalità di lavoro nel terzo settore26.

Il risultato più interessante a cui giunge l’indagine consiste nell’idea che, data

l’esistenza di una serie di specificità, è riduttivo classificare il lavoro nel terzo settore

semplicemente come un’altra forma di lavoro privato.

Le motivazioni sarebbero molteplici. Prima fra tutte il fatto che spesso i lavoratori

condividono scopi e obiettivi sociali della loro organizzazione. In secondo luogo, a

differenza di quanto accade in altre imprese, le organizzazioni del terzo settore sono

generalmente strutture democratiche, dove i lavoratori possono esercitare forme di

controllo sulle scelte imprenditoriali.

Infine, la scarsa disponibilità e la discontinuità nell’accesso alle risorse fa sì che la

domanda di lavoro espressa dalle organizzazioni del terzo settore presenti

caratteristiche di flessibilità e dinamismo. Tali elementi possono talvolta avere risvolti

negativi, trasformandosi in posti di lavoro precari e privi di tutele.

Il confronto fra questo quadro e la fotografia restituita dalle interviste in profondità

realizzate con i due gruppi di lavoratori coinvolti nell’indagine evidenzia alcune

differenze interessanti, che cercheremo di mettere in luce.

Per fare ciò, a nostro avviso, il punto di partenza non può che essere rappresentato

dall’analisi delle motivazioni e dalla descrizione dei percorsi lavorativi degli intervistati.

L’analisi dei percorsi professionali degli intervistati evidenzia l’esistenza di due tipologie

differenti di lavoratori. Un primo gruppo ha avuto percorsi di lavoro esclusivamente nel

sociale. In questo caso le esperienze di lavoro possono essere una o più di una, la

durata più o meno lunga e i percorsi più o meno frammentati. Qualunque siano le

caratteristiche delle esperienze lavorative, il filo rosso rimane l’appartenenza al terzo

settore.

Esiste poi un secondo gruppo di lavoratori, per i quali il lavoro nel terzo settore è stato

preceduto da una o più esperienze di lavoro in altri ambiti di attività economica.

26 Cfr. Lunaria, Forme di lavoro nel terzo settore. Ed. Lunaria, Roma, 1998.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

67

L’appartenenza all’una o all’altra categoria non evidenzia particolari correlazioni con le

caratteristiche socioanagrafiche dei lavoratori, quali l’età, il sesso e il titolo di studio.

Questo significa che ci sono lavoratori non più giovanissimi - ad esempio over quaranta

- che hanno sempre lavorato nel terzo settore. Per contro, alcuni dei lavoratori più

giovani – fra gli under 30 - hanno maturato esperienze di lavoro anche in altri ambiti di

attività economica.

Oltre alla tipologia dei percorsi professionali, un altro aspetto interessante da indagare

riguarda le motivazioni che stanno alla base della scelta di lavorare nel terzo settore.

L’indagine realizzata evidenzia che i motivi ricorrenti sono almeno tre: la casualità,

l’assenza di alternative e il punto di approdo di un percorso personale.

Il primo aspetto emerso è rappresentato, come detto, dalla “casualità”. Per alcuni

lavoratori, infatti, l’opportunità di lavorare nel terzo settore si è presentata in maniera

abbastanza casuale, una fra le tante opportunità possibili. E come tale, almeno in una

fase iniziale, è stata vissuta.

“Avevo fatto due anni di università, non sapevo cosa volevo e ad un certo punto mi si è

presentata, per caso, la possibilità di fare questo lavoro...era un lavoro su turni, a

termine e si conciliava bene con i tempi dello studio...ho deciso di accettare. Era il

1993 e da allora non ho più smesso.”

Per altri, invece, l’opportunità di lavoro nel terzo settore ha rappresentato l’unico modo

per entrare o rientrare nel mercato del lavoro. Per questi lavoratori, la scelta di

lavorare nel terzo settore è dettata, almeno nella fase iniziale, dall’assenza di

alternative.

“A 30 anni, con la licenza media e con un figlio piccolo non è che avessi grandi

possibilità di lavorare...ho cercato parecchio un lavoro e poi alla fine questa

cooperativa mi ha proposto di entrare per sostituire una persona in malattia...e così ho

cominciato a lavorare...non so, magari se non ci fosse la cooperativa sarei ancora a

cercare lavoro..”

Lavorare nel terzo settore per mancanza di altre alternative occupazionali è una

modalità che viene segnalata soprattutto dagli intervistati in possesso di titoli di studio

bassi o privi di qualifiche/esperienze professionali specifiche.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

68

Inoltre è una modalità che presenta una forte connotazione di genere, ricorrendo più

spesso per le donne. Nell’ambito delle interviste, infatti, il lavoro nel terzo settore per

mancanza di alternative è stato segnalato dalle donne con carichi familiari, sia da

quelle che sono sempre rimaste sul mercato – con il problema di conciliare tempi di

lavoro e tempi di cura – sia da quelle che hanno scelto di rientrare sul mercato del

lavoro in età non più giovanissima – con il problema delle barriere all’ingresso.

Le interviste ai lavoratori confermano dunque la funzione positiva svolta dal terzo

settore in termini di creazione di posti di lavoro, emersa anche nel corso delle interviste

con i testimoni privilegiati. Non vi è dubbio, infatti, che il terzo settore contribuisce a

creare occupazione e ciò sembra essere particolarmente importante soprattutto per

quelle fasce dell’offerta di lavoro che hanno maggiori difficoltà a collocarsi in ambiti di

lavoro più tradizionali.

Oltre alla casualità e alla mancanza di alternative, la scelta di lavorare nel terzo settore

può rappresentare il punto di approdo di un percorso personale complesso.

Tale percorso può essere maturato in seguito ad esperienze di lavoro in altri settori di

attività economica, oppure prima dell’inizio della carriera lavorativa, durante il periodo

di formazione.

“La scelta di lavorare nel sociale è avvenuta per un mio percorso di ricerca

personale...è stata una scelta “vocazionale” valutata, ponderata molto e anche

sofferta, perché prima facevo un lavoro che mi appassionava molto e che mi dava

anche grandi soddisfazioni, sia economiche che professionali”.

E ancora.

“Questa è la prima esperienza che faccio nel sociale. Prima lavoravo in un’azienda, con

un ruolo di una certa responsabilità...Perché ho deciso di cambiare? Penso per la mia

sensibilità personale e per il fatto che non mi sentivo perfettamente inserito in quel

sistema, nel quale vedevo molti difetti dal punto di vista umano. Non c’era

condivisione...era una cosa finalizzata ad avere lo stipendio”.

Per questi due lavoratori, lavorare nel terzo settore è il frutto di una scelta personale,

che si pone essenzialmente come obiettivo quello di far coincidere i propri valori con

quelli dell’ambiente di lavoro. In entrambi i casi, infatti, il problema del lavoro

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

69

precedente non era rappresentato da un’insoddisfazione verso i contenuti del lavoro,

quanto piuttosto nella difficoltà di conciliare i propri valori con quelli dell’ambiente

esterno.

La scelta di lavorare nel settore sociale, infine, può essere maturata durante il periodo

di formazione, prima dell’inizio della carriera lavorativa.

“La motivazione per cui ho scelto di lavorare nel sociale risponde ad una sensibilità che

ho sempre avuto, fin dal mio periodo di crescita e formazione. E’ sulla base di questa

sensibilità che ho cercato le opportunità di lavoro...perché comunque credo che, per le

caratteristiche che io ho, il lavoro non possa essere percepito che come una missione,

dove ognuno di noi è chiamato a fare le cose che sa fare meglio”.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

70

4.3 L’analisi delle condizioni di lavoro

Nell’ambito delle interviste in profondità realizzate con i due gruppi di lavoratori, una

parte consistente dei colloqui è stata dedicata a raccogliere informazioni sulle

condizioni di lavoro.

In particolare, è stato chiesto agli intervistati di descrivere le mansioni svolte

nell’ambito dell’organizzazione; il contratto di lavoro; l’orario di lavoro previsto dal

contratto e quello effettivamente svolto; le modalità di lavoro e, per concludere,

l’ambiente di lavoro in termini di clima e tipologia di rapporti sia con i colleghi sia con il

datore di lavoro.

Con riferimento ai contratti di lavoro, l’indagine evidenzia una situazione abbastanza

definita: gli intervistati si dividono in due gruppi. Da un lato vi sono tutte quelle

situazioni in cui i rapporti di lavoro fra lavoratore e impresa sono normati da contratti di

lavoro dipendente, alcuni dei quali a tempo indeterminato, altri a tempo determinato.

Dall’altro si posizionano tutti quei lavoratori il cui rapporto di lavoro con l’impresa è

regolato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

I contratti di lavoro dipendente riguardano in genere tutti quei lavoratori che operano

in contesti più tradizionali, come l’area sociosanitaria e l’area socioassistenziale.

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sembrano invece essere più

presenti in aree di mercato più nuove e caratterizzate da una minore continuità

nell’erogazione dei servizi. E’ il caso, ad esempio, dell’area dell’assistenza ai minori e

all’infanzia e degli interventi di prevenzione.

Una questione cruciale - e comune a tutti gli intervistati, indipendentemente dalla

fattispecie contrattuale che regola il loro rapporto con l’impresa - sta nelle differenze

fra orario di lavoro previsto nel contratto e orario di lavoro effettivamente svolto.

In genere, soprattutto per quanto riguarda i co.co.co, i tempi effettivi di lavoro

possono essere sensibilmente superiori a quelli concordati.

Ci sembra sintomatico, in questo senso, quanto rilevato da uno degli intervistati, che

ha un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con l’impresa in cui lavora.

“Il contratto che ho stabilisce un orario di massima, che comunque è secondario

rispetto allo svolgimento del servizio, che deve sempre essere effettuato con qualità e

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

71

con responsabilità. Regolarmente si sfora il tetto ore stabilito, che nel mio caso è di 30

ore settimanali...di fatto sono molte di più”.

Accade, quindi, che le ore effettivamente lavorate possano essere sensibilmente

superiori a quelle stabilite e regolarmente contabilizzate.

Nel caso specifico, tuttavia, è interessante rilevare che non vi è una condanna da parte

del lavoratore nei confronti del fenomeno.

“Se non si fanno più ore rispetto a quelle che ci possono essere retribuite è un

problema...un’impresa sociale ha bisogno di questo valore aggiunto se vuole stare sul

mercato, perché altrimenti non ce la fa. Perché comunque si muove in un contesto

completamente differente rispetto a quello di altre imprese”.

In questo caso, il fenomeno del lavoro sommerso sta proprio nella differenza fra ore di

lavoro retribuite e ore di lavoro effettivamente svolte. E, secondo l’intervistato, è

proprio questa differenza, questo lavoro non retribuito offerto dal lavoratore

all’impresa, che permette all’impresa sociale di stare sul mercato e di produrre utilità

sociale per la comunità.

In alcuni casi, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevedono orari

rigidi, legati alle necessità di erogazione del servizio, facendo venire meno l’autonomia

nella gestione dei tempi di lavoro che dovrebbe rappresentare una delle caratteristiche

salienti, secondo la normativa, di tali rapporti di lavoro.

“Il mio orario è abbastanza rigido ed è stato stabilito all’inizio dell’anno. Devo essere

presente all’interno della struttura tre giorni alla settimana, il martedì, il mercoledì e il

venerdì dalle sette la mattina fino alla fine del servizio”.

In questo caso, come in altri emersi durante le interviste, la collaborazione coordinata

e continuativa nasconde forme di lavoro dipendente e dà luogo a situazioni di parziale

evasione contributiva.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

72

In alcuni casi le situazioni lavorative possono essere molto complesse, come nel caso di

questo lavoratore con un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, a cui si

richiede, per lo svolgimento di alcune attività, un rispetto rigido di orari stabiliti e a cui

si consente, per il resto del tempo, la massima flessibilità.

“Diciamo che le mie ore di lavoro si dividono in due gruppi. Ci sono delle ore frontali,

circa il 40% individuate per alcuni servizi, che sono rigide, nel senso che ho degli orari

molto vincolanti. Poi ci sono le ore non frontali, che rappresentano il 60%. Per le

attività che svolgo nelle ore non frontali ho la massima autonomia, posso lavorare

anche da casa e a qualsiasi ora, basta che garantisca all'impresa determinati risultati”.

La complessità di alcune situazioni, emerse in sede di intervista, pone la questione di

individuare forme contrattuali che da un lato garantiscano il lavoratore, ma dall’altra si

adattino alle esigenze di flessibilità dell’impresa sociale, esigenze dettate soprattutto

dalla natura dei servizi erogati.

Passando dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ai rapporti di lavoro

dipendente, il conflitto risulta ancora più evidente. Da un lato la forte domanda di

flessibilità nei tempi e nei modi del lavoro richiesta dalle imprese del terzo settore;

dall’altro le esigenze di stabilità dei lavoratori.

I lavoratori con un rapporto di lavoro dipendente lamentano la variabilità del monte ore

lavorativo mensile e il mancato riconoscimento di alcuni istituti quali le indennità

previste in caso di lavoro su turni, di lavoro festivo e in caso di reperibilità.

Il problema risulta particolarmente evidente e sentito in tutti quei casi in cui, nello

svolgimento del proprio lavoro, si convive con altri lavoratori che, a parità di posizione

professionale e mansioni, usufruiscono di posizioni contrattuali diverse.

“Quelli che lavorano con me e hanno il contratto della sanità pubblica sono fortunati,

prendono quasi mezzo milione di più...e fanno le stesse cose che si fanno noi. Noi

siamo a ore, mentre loro hanno un fisso mensile con in più tutte le indennità in caso di

lavoro straordinario, lavoro notturno e lavoro festivo. Io ho un contratto di 38 ore

settimanali, pari a 165 ore mensili. Lo straordinario mi dovrebbe scattare dopo le 38

ore settimanali e invece loro me lo fanno scattare su base mensile. All’inizio di ogni

mese non sai quante ore ti fanno lavorare...a me a volte anche 130, che sono poche

rispetto al massimo delle 165 previste. E alla fine, quando prendi la busta a fine mese,

la differenza si vede.”

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

73

Nell’ambito di alcune interviste emerge l’ambiguità della posizione de socio lavoratore,

fenomeno questo evidenziato anche dai testimoni privilegiati.

Il fenomeno è particolarmente evidente in quei casi in cui il rapporto fra socio e

cooperativa è praticamente inesistente, in termini di capacità e di possibilità di incidere

in qualche modo sulle decisioni imprenditoriali.

“A me mi sono successe delle cose spiacevoli...una volta mi hanno chiesto di rinunciare

alla tredicesima, perché la cooperativa era in cattive acque...poi abbiamo dovuto

versare altri soldi per la quota sociale...ma io non capisco. Vengono a battere cassa

soltanto quando le cose vanno male, se no non si fanno mai sentire”.

Per quanto attiene all’ultimo aspetto, ovvero il clima in azienda, il rapporto con colleghi

e datore di lavoro, si individuano due posizioni distinte.

La prima conferma i risultati a cui è giunta l’indagine di Lunaria sulle modalità di lavoro

nel terzo settore ed evidenzia una chiara condivisione dei valori e degli obiettivi, che si

riflette nel clima aziendale e nella qualità dei rapporti.

“Fra colleghi e responsabili è un tutt’uno, perché la responsabile è una di noi. I rapporti

fra colleghi sono molto stretti, sono informali, vanno aldilà del lavoro perché ci si

frequenta anche fuori”.

“Il clima è informale, perché c’è una matrice iniziale di amicizia...è un bell’ambiente”.

In altri casi, invece, il clima aziendale viene vissuto in maniera diversa. Nella

percezione degli intervistati, l’organizzazione viene equiparata ad un qualsiasi altro

posto di lavoro, dove ognuno si muove in linea di massima secondo strategie

individuali.

“Non è che si vada tutti d’accordo...ognuno pensa un po’ a fare il suo e se ne frega del

resto. Le cose sono molto cambiate rispetto a prima, quando c’era il vecchio

coordinatore. Lui riusciva a tenerci tutti uniti...ora è un po’ peggio, è come fare un

lavoro qualsiasi.”

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

74

4.4 Il livello di soddisfazione e la percezione della propria condizione

Dopo aver chiesto agli intervistati di muoversi sul piano della ‘oggettività’, descrivendo

le condizioni e le modalità del loro lavoro, il fuoco dell’analisi si è spostato sul piano

della ‘soggettività’. Nel corso delle interviste è stato chiesto ai lavoratori del terzo

settore di valutare la posizione lavorativa, sia nel complesso che con riferimento a

singoli aspetti quali la retribuzione, il tipo di lavoro svolto, l’ambiente, e le prospettive

di crescita professionale.

Il primo aspetto interessante che emerge dall’analisi è rappresentato dal fatto che

esiste una sorta di correlazione fra motivazioni dei lavoratori e valutazione complessiva

della propria condizione.

Coloro che hanno scelto di lavorare nel terzo settore per coerenza rispetto ai propri

valori di vita esprimono un giudizio complessivamente positivo della propria condizione

di lavoro.

“Nel mio lavoro ci sono tanti aspetti positivi...la soddisfazione personale, il confrontarsi

continuamente con le persone, il condividere valori e obiettivi con gli altri. Secondo me

poter avere tutte queste cose in un ambiente di lavoro non ha prezzo”.

E ancora.

“Nel complesso sono molto soddisfatta, perché è quello che volevo. Adesso mi sento

molto meglio rispetto a quando facevo l’altro lavoro, sto bene.”

La percezione complessiva della propria condizione di lavoro è molto diversa per quei

lavoratori che si trovano ad operare nel terzo settore per mancanza di alternative o

“casualmente”.

In queste due situazioni l’atteggiamento nei confronti della propria situazione è più

critico e si rileva una maggiore ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi.

“Ci sono molte cose che non mi piacciono di questo lavoro, e se metto a confronto gli

aspetti positivi e gli aspetti negativi non so cosa pesa di più...ormai ho cominciato a

lavorare qui, ma continuo a guardarmi intorno, perché se mi capita qualche altro lavoro

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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fuori dal sociale, in cui magari mi pagano di più o in cui ho degli orari di lavoro più

decenti, non ci penso due volte e cambio”.

Nel dettaglio delle singole componenti della condizione lavorativa, le posizione degli

intervistati sono abbastanza eterogenee e riflettono probabilmente anche esigenze

personali (in questo caso, sarebbe forse opportuno incrociare le valutazioni con le

caratteristiche socioanagrafiche degli intervistati).

Vi è un aspetto, tuttavia, che risulta trasversale: l’insoddisfazione per la retribuzione

economica. Infatti, qualunque sia l’importanza che ciascuno attribuisce alla

componente reddito – e questo aspetto, probabilmente, risulta fortemente correlato

all’età, alla condizione familiare e alle prospettive di crescita individuate nel proprio

lavoro27 - gli intervistati condividono una insoddisfazione generalizzata nei confronti del

livello di reddito percepito.

“Rispetto al lavoro che facevo prima guadagno molto meno e a livello di contributi non

sono nemmeno con precisione in quale situazione sono”

E ancora.

“La paga è bassa, per cui lo stipendio non è che sia dei migliori”.

Per concludere, ci sembra interessante riportare l’analisi di uno degli intervistati.

“Uno dei problemi di cui soffre il terzo settore è certamente quello economico. Spesso,

proprio perché esperienza nuova e proprio perché precedentemente tutto era legato ad

esperienze di volontariato, non c’è una considerazione di pari dignità rispetto agli altri

lavori e di conseguenza è in tanti casi umiliante. Mi riferisco in particolare al contratto

collettivo di riferimento. E’ anche vero, pero, che a questo talvolta si accompagna una

scarsa preparazione professionale degli operatori del settore.”

Per questo motivo sarebbe necessario un doppio passaggio.

27 Seppure i dati non siano statisticamente rappresentativi, è interessante rilevare che i soggetti che non attribuiscono particolare importanza alla componente del reddito sono giovani, vivono ancora in famiglia e non hanno ancora maturato strategie riproduttive.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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“Da un lato il riconoscimento di questo ambito lavorativo...è un lavoro importante per

la comunità, quindi ai lavoratori dovrebbe essere riconosciuta pari dignità”.

“Allo stesso tempo, tuttavia, gli operatori del settore dovrebbero impegnarsi di più per

la propria formazione e per la propria professionalizzazione, in modo da operare con

strumenti più forti rispetto a quelli che derivano esclusivamente dalla messa in campo

della propria volontà e sensibilità”.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

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ALCUNE CONSIDERAZIONI DI SINTESI

Il lavoro svolto non ha la pretesa di essere esaustivo. L’obiettivo perseguito dal gruppo

di ricerca è stato essenzialmente quello di ottenere una prima fotografia del fenomeno,

che dovrebbe rappresentare non tanto un punto di arrivo, quanto un punto di partenza

per avviare un monitoraggio costante e sistematico delle modalità e delle condizioni di

lavoro nel terzo settore.

Molti sono infatti gli spunti di riflessione, così come le criticità emerse nel corso

dell’indagine. Primo fra tutti il concetto di terzo settore, la cui definizione non risulta

pienamente condivisa dagli intervistati.

Nell’ambito delle interviste in profondità, infatti, sono emerse due posizioni distinte. Per

alcuni esiste una perfetta coincidenza fra terzo settore e organizzazioni non profit; per

altri, l’universo delle organizzazioni del terzo settore include, oltre a quelle non profit,

anche altre realtà che producono utilità sociale, a prescindere dalla loro forma giuridica

e dalle modalità di ridistribuzione degli utili.

Per quanto attiene al rapporto fra lavoro sommerso e terzo settore, pur in assenza di

dati quantitativi, l’impressione diffusa e condivisa dagli osservatori privilegiati è che

nell’ambito del terzo settore siano presenti forme di lavoro sommerso. Più nel dettaglio,

il terzo settore toscano sembra essere caratterizzato da fenomeni isolati di lavoro nero

e da situazioni molto più diffuse di lavoro ‘grigio’, di parziale violazione delle norme che

regolano il rapporto fra lavoratore e azienda.

Per quanto attiene alle modalità di manifestazione del fenomeno, l’indagine evidenzia

due situazioni distinte. Per quanto riguarda i rapporti di lavoro dipendente, i problemi

sono da imputare essenzialmente alla ‘giungla’ retributiva da un lato - e dunque alle

disparità di trattamento di lavoratori con pari qualifiche e pari mansioni - e dalla non

osservanza di tutte le norme e gli obblighi contrattuali che il sistema impone dall’altro

(lavoro festivo, lavoro su turni, reperibilità, ecc.).

I problemi più rilevanti, tuttavia, sembrano interessare le altre tipologie di rapporti di

lavoro. Forme di lavoro sommerso sembrano annidarsi nella diffusione, spesso

impropria, delle collaborazioni coordinate e continuative e nella figura del socio

lavoratore. L’applicazione scorretta di queste forme di lavoro dà luogo infatti a

situazioni di parziale evasione contributiva, abbassando i costi del fattore lavoro e

rendendo l’impresa sociale più competitiva sul mercato di riferimento.

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LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE

78

Ma quali sono le cause del ricorso a forme di lavoro sommerso nel terzo settore? E,

soprattutto, si tratta di elementi eliminabili o insiti nel sistema?

Per quanto attiene alle cause, le posizioni degli intervistati sono diverse. Secondo

alcuni, il fenomeno è da imputare alla recente nascita del settore e, soprattutto, alla

sua espansione rapida e fuori da ogni controllo.

Un’altra ipotesi emersa in sede di intervista è che la presenza del lavoro sommerso,

soprattutto ‘grigio’, sia da imputare all’incapacità imprenditoriale di alcuni soggetti che

operano nel terzo settore, soprattutto nella fase di start up d’impresa. Fra le condizioni

che possono favorire il diffondersi di forme di lavoro non regolare viene segnalata

anche la tensione fra una domanda sempre crescente di servizi non specialistici di

assistenza alla persona e un’offerta spesso non professionalizzata e legata più a logiche

di integrazione del reddito familiare, che non a strategie personali di posizionamento

sul mercato.

Vi è infine da segnalare l’esistenza di un rapporto ambiguo fra imprese sociali ed enti

pubblici, che richiederebbe la definizione di regole condivise e di meccanismi di

controllo omogenei.

Per quanto attiene alla natura del rapporto fra forme di sommerso e terzo settore,

secondo alcuni è ‘fisiologico’, e dunque ineliminabile. Per altri, invece, il legame ha

natura ‘patologica’. I sostenitori di questa tesi ritengono dunque che potrebbero essere

messi a punto una serie di interventi per eliminare – o ridurre - le condizioni che

possono in qualche modo favorire lo sviluppo del fenomeno.

Le interviste in profondità realizzate con i lavoratori del terzo settore - pur non

restituendo un quadro rappresentativo delle modalità di lavoro – permettono di

focalizzare l’attenzione su alcuni elementi di criticità.

In primo luogo, l’analisi dei percorsi professionali degli intervistati evidenzia l’esistenza

di due tipologie differenti di lavoratori. Un primo gruppo ha avuto esperienze di lavoro

esclusivamente nel terzo settore. Esiste poi un secondo gruppo di lavoratori per i quali

il lavoro nel terzo settore è stato preceduto da una o più esperienze in altri ambiti di

attività economica.

Per quanto attiene alle motivazioni che stanno alla base della scelta di lavorare nel

terzo settore, l’indagine evidenzia che i motivi ricorrenti sono almeno tre: la casualità,

l’assenza di alternative e il punto di approdo di un percorso personale.

Per alcuni lavoratori, l’opportunità di lavoro nel terzo settore ha rappresentato l’unico

modo per entrare o rientrare sul mercato del lavoro. La modalità dell’assenza di

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alternative viene segnalata dagli intervistati in possesso di titoli di studio molto bassi,

senza qualifiche professionali specifiche e presenta, soprattutto, una forte

connotazione di genere.

Le motivazioni condizionano la valutazione complessiva della propria condizione di

lavoro. Coloro che lavorano nel terzo settore per coerenza rispetto ai propri valori di

vita giudicano nel complesso positiva la loro condizione lavorativa. Per contro, la

percezione è molto diversa per quei lavoratori che si trovano ad operare nel terzo

settore “per caso” o per mancanza di altre opportunità occupazionali.

Per concludere, tuttavia, è importante rilevare che qualunque sia la motivazione e

qualunque sia l’importanza attribuita alla componente del reddito, tutti gli intervistati

esprimono un giudizio negativo nei confronti del reddito percepito, che ritengono

inadeguato rispetto al lavoro svolto.

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Riferimenti bibliografici

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1. TRACCIA DI INTERVISTA AI TESTIMONI QUALIFICATI NOTIZIE GENERALI Data dell’intervista; Nome e cognome dell’intervistato; Ente/organizzazione/associazione di appartenenza; Funzione svolta PRIMA PARTE – LE DEFINIZIONI DI LAVORO SOMMERSO E TERZO SETTORE NELLA PERCEZIONE DEI TESTIMONI QUALIFICATI 1. Secondo lei cosa si intende per terzo settore? Quali sono le organizzazioni del terzo settore? 2. Come definirebbe il lavoro sommerso? SECONDA PARTE – IL FENOMENO DEL SOMMERSO NEL TERZO SETTORE: DIMENSIONI, CAUSE E MODALITA’ 3. Secondo la sua esperienza/conoscenza, quanto e come le organizzazioni del terzo settore ricorrono al lavoro sommerso? 4. Secondo lei, in ambito regionale quale forma di lavoro sommerso è maggiormente diffusa nelle organizzazioni del terzo settore? Il lavoro “nero” o il lavoro “ grigio”? 5. Quali sono, secondo lei, le cause del ricorso al lavoro sommerso nel terzo settore? 6. Le attività svolte dalle OTS sono estremamente eterogenee: dall’assistenza sociosanitaria alle attività culturali. Secondo lei, il ricorso al sommerso presenta connotazioni di tipo “settoriale”, territoriale e/o di contesto? Per quale motivo? 8. In base alla sua esperienza/conoscenza, come si concretizza – o come si concretizza maggiormente - il lavoro sommerso nel terzo settore? 9. Con quale frequenza, secondo lei, le imprese del terzo settore ricorrono al lavoro sommerso? 10. Gli studi realizzati sul terzo settore evidenziano che le principali professionalità del non profit possono essere raggruppate in quattro aree principali: • Area socio-assistenziale e di educazione-formazione: insegnanti, assistenti di base, educatori e animatori, psicologi e assistenti sociali. • Area socio-sanitaria: infermieri, fisioterapisti, operatori sanitari. • Area cultura, legata alla gestione ed erogazione dei servizi di tipo culturale.

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• Area amministrativa e gestionale: manager, ragionieri e impiegati. In quali di queste aree è più frequente, secondo lei, l’incidenza del lavoro sommerso? E con quali modalità? 11. Secondo la sua esperienza, il lavoro sommerso nel terzo settore si associa maggiormente al lavoro manuale o a quello intellettuale? 12. Secondo lei, quale tipologia di sommerso ricorre più frequentemente nel lavoro intellettuale? E nel lavoro manuale? I RAPPORTI FRA ENTI FINANZIATORI E ORGANIZZAZIONI DEL TERZO SETTORE: MECCANISMI DI DISTORSIONE E DI CONTROLLO 13. Sulla base delle sue conoscenze/esperienze, quanto incidono le condizioni di gara sul ricorso al lavoro sommerso nell’ambito delle organizzazioni del terzo settore? 14. Sulla base della sua esperienza, esistono meccanismi di controllo utilizzati dagli enti finanziatori? Più in generale, qual è la frequenza dei controlli ispettivi sulle organizzazioni del settore? PERCEZIONE E DINAMICHE DI MEDIO PERIODO DEL RAPPORTO FRA SOMMERSO E TERZO SETTORE 15. Che giudizio dà del fenomeno del lavoro sommerso nel terzo settore? Si tratta di un elemento di distorsione, di un segnale di vitalità economica o di un fenomeno “inevitabile””? 16. In caso di giudizio negativo, quali meccanismi dovrebbero essere introdotti/utilizzati per contrastare il fenomeno? 17. Secondo lei, quali sono le prospettive future? Il ricorso al lavoro sommerso nel terzo settore è destinato ad aumentare, a diminuire o rappresenta una connotazione “fisiologica”? Per quale motivo?

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2. TRACCIA DI INTERVISTA AI LAVORATORI DEL TERZO SETTORE PRIMA PARTE - NOTIZIE SOCIOANAGRAFICHE DELL’INTERVISTATO 1. Età 2. Sesso 3. Stato civile 4. Presenza/assenza figli 5. Titolo di studio e/o qualifiche professionali SECONDA PARTE - DESCRIZIONE DELLA ATTUALE CONDIZIONE DI LAVORO 6. Descrivere il settore di attività economica 7. Descrivere le mansioni svolte 8. Contratto di lavoro: dipendente (specificare se tempo determinato o indeterminato); co.co.co.; collaborazione occasionale; socio lavoratore; ecc. Se dipendente, indicare la tipologia di contratto applicato dall’azienda Se co.co.co., descrivere il contratto stipulato con l’azienda e le modalità attraverso cui si è arrivati al contratto 9. Descrivere l’orario di lavoro previsto dal contratto o concordato con il datore di lavoro e l’orario di lavoro effettivo (straordinari, reperibilità, lavoro su turni). 10. Descrivere le modalità di lavoro (in autonomia, ecc.) 11. Descrivere il luogo di lavoro in termini di clima, rapporti con il datore di lavoro (formali, informali) TERZA PARTE - PRECEDENTI ESPERIENZE DI LAVORO 12. Da quanto tempo lavora nell’azienda? 13. Descrivere, se esistono, le precedenti esperienze di lavoro in termini di durata, settore di attività, motivi dei cambiamenti, ecc. QUARTA PARTE - IL LIVELLO DI SODDISFAZIONE E LA PERCEZIONE DELLA PROPRIA CONDIZIONE LAVORATIVA 13. Quali sono le motivazioni, principali e secondarie, per cui si svolge l’attuale lavoro (fonte di reddito, motivazioni sociali, ambiente di lavoro, mancanza di alternative, ecc.)?

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14. Qual è il livello di soddisfazione complessivo e in relazione ai diversi aspetti dell’attuale condizione di lavoro? 15. Come si valuta la propria condizione lavorativa in termini di retribuzione economica, forme di tutela previste (malattia, maternità, infortuni, ecc.) 16. Per i collaboratori. Come si valuta l’attuale condizione lavorativa in termini di futuri trattamenti pensionistici (si ha la percezione del problema; se no perché?, se sì, quali strategie si adottano?) 17. Nel caso in cui ci sia un percezione corretta della propria condizione di lavoro, per quale motivo la si accetta? QUINTA PARTE - I RAPPORTI CON IL SINDACATO 18. Si è mai rivolto ad organizzazioni sindacali? 19. Se no, per quale motivo? 20. Se sì, per quale motivo? 21. In che modo è entrato in contatto con il sindacato?

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Iniziativa Comunitaria Equal 2000/2003 Regione Toscana Progetto “ PRO S.I.T. Pro Servizi d’Integrazione Territoriale” n. IT-G-TOS-0014 approvato e finanziato con D.D. 6218 del 9.11.2001