shi tro - parte i° - il bardo della nascita e della vita

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SHI TRO commentario al testo di Karma Lingpa “Il profondo Dharma dell’autoliberazione tramite la mente dei pacifici e degli irati” Parte I° - Il bardo della nascita e della vita Ven. Khenchen Palden Sherab Rinpoche Khenpo Tsewang Dongyal Rinpoche Trad. Thupten Nyima BARDO Bardo è una parola tibetana. Bar significa “fra, che sta in mezzo”, mentre do significa “posto, isola”. Così bardo può essere tradotto “il posto che sta in mezzo” o “stato intermedio”. Il termine bardo è usato per descrivere i passaggi fondamentali attraverso i veri livelli di esperienza che costituiscono il processo di acquisizione di un corpo fisico e reincarnazione. Ci sono molti livelli di comprensione del concetto di bardo. Gli insegnamenti del bardo riguardano la continuità e la natura persistente della mente e dell’esperienza. Queste istruzioni si riferiscono direttamente alla vita come alla morte. Se riusciamo a riconoscere ciò che accade

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SHI TROcommentario al testo di

Karma Lingpa

“Il profondo Dharma dell’autoliberazione tramite la mente dei pacifici e degli irati”

Parte I° - Il bardo della nascita e della vita

Ven. Khenchen Palden Sherab Rinpoche

Khenpo Tsewang Dongyal Rinpoche

Trad. Thupten Nyima

BARDO

Bardo è una parola tibetana. Bar significa “fra, che sta in mezzo”, mentre do significa “posto, isola”. Così bardo può essere tradotto “il posto che sta in mezzo” o “stato intermedio”. Il termine bardo è usato per descrivere i passaggi fondamentali attraverso i veri livelli di esperienza che costituiscono il processo di acquisizione di un corpo fisico e reincarnazione. Ci sono molti livelli di comprensione del concetto di bardo.

Gli insegnamenti del bardo riguardano la continuità e la natura persistente della mente e dell’esperienza. Queste istruzioni si riferiscono direttamente alla vita come alla morte. Se riusciamo a riconoscere ciò che accade proprio adesso mentre siamo vivi, potremo guardare avanti con sicurezza.

Secondo gli insegnamenti del Buddha, tutti gli esseri senzienti sono illuminati per natura e puri fin dall’inizio. Però, a causa di un “piccolo” errore, un insignificante legame si trasforma in un ego che afferra e in una condizione di erronea visione. Fino a che rimaniamo preda dell’illusione, la consapevolezza della nostra vera natura è oscurata. Il bardo è l’intervallo fra l’inizio dell’illusione e il ritorno

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allo stato primordiale della nostra natura. Tutto il nostro vagabondare che sta nel mezzo è il bardo. Fino a che non raggiungiamo l’illuminazione, qualsiasi cosa che percepiamo, conosciamo e sperimentiamo è un fenomeno del bardo. Anche adesso stiamo vagando in uno stato intermedio. Tutto ciò continuerà finchè persisteremo nella visione dualistica, aggrappandosi al credere ad una esistenza inerente del mondo e di un sé.

I bardo non esistono al di fuori di noi, sono il contesto della nostra esperienza. Ciò è molto importante che sia compreso. Non dovete pensare di essere in uno stato intermedio, in un bardo, solamente in certi momenti. L’intero universo del samsara e del nirvana si svolge nei bardo. Dall’inizio del nostro sogno e fino al momento in cui non ci svegliamo completamente, rimaniamo sempre nei territori del bardo. Fino a che siamo intrappolati dall’attaccamento e dall’illusione dell’ego, siamo nel bardo.

In questo processo si manifestano anche esseri realizzati e grandi praticanti, ma siccome sono risvegliati non fanno false distinzioni fra la condizione di bardo e la consapevolezza incontaminata. essi comprendono che tutto ciò che appare è una manifestazione della saggezza primordiale.

LINEAGE

Che origine hanno gli insegnamenti del bardo? Essi provengono da Buddha Shakyamuni e sono stati perpetuati da Guru Rinpoche Padmasambhava che li introdusse in Tibet nell’VIII° secolo. Le istruzioni e le spiegazioni sul bardo di Guru Rinpoche sono molto chiare e specifiche, mentre quelle date dal Buddha sono più generiche e disseminate nei suoi discorsi. Quando Guru Rinpoche arrivò in Tibet, diede alcuni insegnamenti sul bardo ai suoi studenti e, con l’aiuto di Yeshe Tsogyal, ne nascose altri in posti differenti, in modo che potessero essere riscoperti in futuro. Attraverso le generazioni, molti grandi terton (scopritori di tesori, ndt) li hanno riportati alla luce, con il risultato che oggi gli insegnamenti sul bardo risultano estensivi.

Al fine di illuminare esseri senzienti di varie capacità, il Buddha ha offerto molti livelli di istruzione che sono stati categorizzati in nove

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yana (metodo o veicolo, ndt). Lo Shitro, che significa “le divinità pacifiche e irate”, è considerato parte dei tantra interni o superiori. Si tratta di un insegnamento condensato, basato sui contenuti essenziali del Guhyagarbha Tantra combinati con la visione degli insegnamenti anu yoga e ati yoga. Molti grandi maestri considerano gli insegnamenti dello shitro come i tantra interni dei tantra interni. In questo caso non si fanno divisioni fra i vari tantra interni, né fra gli stadi di creazione e completamento, piuttosto li si raggruppa assieme. Questa è l’unione di rigpa (intelligenza, consapevolezza, o anche natura della mente, ndt) e vacuità, l’unità della nascita, delle esperienze della vita e della morte. Non c’è alcuna base su cui operare distinzioni, perché tutti sono aspetti della vera natura. Niente è escluso o accettato. Questo insegnamento è noto come quello che unifica tutto in un singolo stato.

Guru Padmasambhava trasmise gli insegnamenti del bardo a molti grandi suoi studenti in Tibet, ciascuno dei quali raggiunse l’illuminazione. Storicamente, molti di questi maestri erano praticanti Dzogchen, tanto che questa visione è centrale nello Shitro. Le istruzioni del bardo furono divulgate sia attraverso il lineage kama che quello terma (tesori rivelati, ndt). I testi terma diventarono molto popolari grazie a terton come Karma Lingpa nel XIV° secolo. Egli fu uno dei grandi maestri che contibuirono a scoprire il tesoro dello Shitro, di cui il Bardo Thodrol, conosciuto in occidente come Il Libro Tibetano dei Morti, è solo una parte.

Tradizionalmente, ci sono cinque grandi terton – Sangye Lingpa, Dorje Lingpa, Ratna Lingpa, Padma Lingpa e Karma Lingpa – ciascuno legato ad una delle cinque direzioni (centro , est, sud, ovest e nord). Karma Lingpa era una reincarnazione di uno dei 25 discepoli di Padmasambhava chiamato Cokro Lűi Gyeltsen, un famoso traduttore del Kangyur (parte del Canone Tibetano che racchiude gli insegnamenti diretti del Buddha e dei bodhisattva, ndt) nel Tibet del IX° secolo. Molti degli insegnamenti vinaya del Buddha furono tradotti in tibetano da questo maestro. Dopo aver ricevuto istruzioni da Guru Padmasambhava, Shantarakshita e Vimalamitra, egli praticò e raggiunse l’illuminazione. Grazie ai suoi voti di bodhicitta e al volere di Guru Padmasambhava, Cokro Lűi Gyeltsen si reincarnò molte volte in Tibet come vari terton e grandi bodhisattva. Una di queste reincarnazioni che visse nel XIV° secolo fu un praticante laico chiamato Karma Lingpa.

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Karma Lingpa, il terton “del nord”, nacque nel sud-est del Tibet nei pressi di Takpo, il luogo di nascita di Gampopa. Seguendo le istruzioni di Guru Padmasambhava, egli scoprì gli insegnamenti dello Shitro ed altri tesori sul monte Gampodar, dove le formazioni rocciose ricordano delle divinità danzanti. Dopo aver scoperto i terma, egli ne praticò le istruzioni in completa segretezza, come richiestogli da Guru Padmasambhava e solo dopo alcuni anni li condivise con suo figlio Nyinda Chöje. Sia Karma Lingpa che Nyinda Chöje praticarono lo Shitro in segreto e conseguirono il corpo d’arcobaleno. Per tre generazioni queste istruzioni furono trasmesse solamente ad un singolo individuo. Il nipote di Karma Lingpa, Namka Chöki Gyamtso, ricevette la trasmissione dello Shitro e ne espose gli insegnamenti solo tre volte durante la sua vita. da allora, questo ciclo di insegnamenti è divenuto fra i più popolari del buddhismo tibetano.

La prima volta, egli istruì un piccolo gruppo di persone, fra le quali c’era Ena Lingpa, un altro famoso terton. Attraverso Ena Lingpa, gli insegnamenti raggiunsero Sruming, il monastero laico di Chogyam Trungpa. La seconda volta, Namka Chöki Gyamtso espose gli insegnamenti ad un gruppo più cospicuo e, come risultato, questi raggiunsero i monasteri Kathok. Un maestro molto famoso di nome Heba Chunyung, inoltre, fu colui che diffuse lo Shitro fra i Kagyu.Verso la fine della sua vita, Namka Chöki Gyamtso espose lo Shitro per la terza volta. Molti dei presenti provenivano da Nindal, un tempio-monastero associato sia al lineage Kagyu sia a quello Nyingma. Fra questi era anche presente il famoso maestro Karma Chamling, che diffuse ulteriromente lo Shitro a molti studenti. Quindi, sebbene Namka Chöki Gyamtso abbia trasmesso gli insegnamenti solamente tre volte, egli diede origine a tre separate linee di trasmissione all’interno delle scuole Kagyu e Nyingma.

Le pratiche associate con gli insegnamenti dello Shitro divennero rapidamente popolari e sono tuttora giornalmente da molti praticanti di alto livello, rinomati lama e fedeli laici. Intere famiglie recitano lo Shitro la mattina presto. Anche coloro che non sanno leggere, lo imparano a memoria ascoltandolo dagli altri membri della famiglia.

Lo Shitro non riguarda solamente i bardo, è un insegnamento completo. Il Bardo Thodrol è solo una piccola parte dello Shitro. Il testo integrale è enorme e contiene dettagliate spiegazioni sugli stadi di generazione e completamento, insegnamenti Dzogchen, e

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istruzioni trekchöd e thögal. E’ un intero ciclo, ma solo la sezione riguardante il bardo è stata tradotta. L’esposizione di questi insegnamenti in tibetano è particolarmente meravigliosa. Ognuna delle parole usate da Guru Padmasambhava ha uno speciale potere mantrico che rivela il significato profondo di molte visioni ed esperienze.

INTRODUZIONE

Questo è un insegnamento speciale e molto potente. Le istruzioni del bardo ci forniscono un insieme di tecniche e pratiche con le quali è possibile rivelare la nostra natura di buddha. Se abbiamo una buona conoscenza dei bardo, non saremo sorpresi o confusi quando dei cambiamenti importanti avverranno durante la vita o fra le vite. Al contrario, godremo di una continuità di comprensione e crescita spirituale. Acquisire questa visione panoramica richiede coraggio, fiducia e dedizione.

Nel terma scoperto da Karma Lingpa, Guru Padmasambhava descrive sei differenti bardo. Il primo bardo inizia quando nasciamo e dura fintanto che siamo in vita. Il secondo bardo è quello del sogno. Il terzo bardo è quello della concentrazione o meditazione. Il quarto bardo è quello del momento della morte. Il quinto è conosciuto come il bardo della luminosità della vera natura. Il sesto è chiamato il bardo della trasmigrazione o del divenire. Questa è la sestuplice suddivisione dei bardo. Vediamone insieme alcuni particolari.

Il primo bardo della nascita e della vita inizia con il concepimento nell’utero materno e dura fino all’ultimo respiro nel momento della morte, quando la coscienza lascia il corpo. E’ chiamato shi-nay bardo.

Il secondo è il mi-lam bardo, o bardo del sogno. In altre tradizioni è considerato una suddivisione del primo bardo, perché per gran parte della vita si dorme e si sogna. Esistono dei metodi per imparare ad integrare lo stato del sogno nella pratica, cosicchè anche dormendo possiamo sviluppare la nostra realizzazione.

Il terzo è il sam-ten bardo della meditazione. Generalmente, questo bardo è sperimentato solamente dai praticanti e da chi medita o

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ricerca la pace interiore e la saggezza. L’inizio e la durata di questo bardo dipende dalle capacità del praticante. Anche questo bardo può essere considerato una suddivisione del bardo della nascita e della vita. Guru Padmasambhava fece queste sotto-suddivisioni perché i sogni e la meditazione sono aspetti importanti della vita e della pratica. La meditazione è il metodo principale per maturare la nostra visione e comprensione spirituale. Ci consente di superare la confusione del bardo e approdare alla chiarezza della natura primordiale.

Il quarto è il chik-khai bardo del momento della morte. Inizia quando i segni esterni ed interni indicano che il momento della morte si sta avvicinando, e continua attraverso il processo della dissoluzione degli elementi fino a che l’ultimo respiro viene esalato, o fino a qualche minuto dopo, quando anche il respiro interno è completamente cessato.

Il quinto è il chö-nyid bardo della luminosità della vera natura che inizia con il cessare della respirazione. A livello grossolano esteriore, questo è di solito considerato il momento della morte. Tuttavia, a livello interiore c’è ancora un sottile movimento dei venti che continuano a dissolversi gradatamente. A questo punto, delle energie preternaturali sotto forma di luci e suoni si manifestano con estrema potenza. Negli insegnamenti Dzogchen queste manifestazioni sono conosciute come le visioni del thod-gyal che insorgono spontaneamente. Durante queste visioni c’è allo stesso tempo un’esperienza di estrema consapevolezza e di stati d’animo confusi. La durata di questo bardo può variare da un istante brevissimo a più di mezz’ora.

Il sesto è il sid-pai bardo del divenire o della trasmigrazione. Gli esseri ordinari che non hanno mai praticato in vita e non hanno riconosciuto la chiara luce al momento della morte attraversano il quinto bardo della luminosità senza approfittare delle ulteriori possibilità che lì si presentano ed approdano al sesto bardo, lo stadio finale prima della rinascita. Questa fase dura finchè abbiamo la visione dei nostri nuovi genitori e siamo concepiti nell’utero materno. La durata media del periodo fra la morte e la rinascita è di 49 giorni, sebbene possa durare molto più a lungo o accorciarsi anche fino a tre giorni. Non è mai lo stesso per chiunque, ma la media è di 49 giorni.

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Il processo del bardo rispecchia la ruota dell’origine interdipendente. Essa ruota continuamente, cosicchè, dopo che siamo morti ed abbiamo attraversato il bardo, rinasciamo di nuovo e viviamo una nuova vita fino alla morte successiva e così via. Questo ciclo continua fino a che non saremo completamente illuminati. Lo scopo dello studio della sequenza dei bardo non è semplicemente quello di avere una generale familiarità di queste condizioni, ma di diventare capaci di riconoscerli quando li attraverseremo. Un saggio uso di questi insegnamenti faciliterà la realizzazione e apporterà beneficio per gli esseri senzienti.

A causa della loro estrema importanza, Guru Padmasambhava ha dato istruzioni dettagliate sul bardo. Dal momento che ci troviamo tutti sullo stesso cammino, dovremmo essere consapevoli della nostra situazione e fare buon uso di questi insegnamenti.

Shi-nai bardo, il bardo della nascita e della vita

Il bardo della nascita e della vita corrisponde alla nostra esperienza attuale. Siamo già nati e ancora in vita, così siamo nel primo bardo. Come dovremmo usare questo tempo in modo appropriato?Guru Padmasambhava spiegò che per approfittare di questa opportunità e realizzare le nostre aspirazioni durante questa vita, dobbiamo imparare a focalizzare la nostra mente. Il nostro tempo a disposizione in questa vita non dura in eterno

Quando il bardo della nascita si sta manifestando per me,

non c’è più tempo a disposizione in questa vita;abbandonando la pigrizia….

Non abbiamo alcuna certezza di quanto tempo durerà per noi il bardo della vita. Nessuno può saperlo. Il tempo e il luogo della nostra morte è assolutamente incerto ed imprevedibile. Non importa quanto possiamo essere ricchi od intelligenti, non sapremo mai quanto ci resta da vivere. Siccome non sappiamo quanto a

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lungo vivremo, Guru Padmasambhava ci consiglia di mettere da parte la pigrizia.

Adesso è il momento di accrescere la nostra gratitudine ed il nostro apprezzamento per la nostra situazione attuale, per destarci e fare uno sforzo gioioso per realizzare grandi risultati. Dovremmo sviluppare fiducia nel nostro modo di procedere ed essere felici di compiere questo sforzo. Non pensiamo affatto di essere incapaci e inutili. Non lasciamoci scappare questa opportunità per poi dolercene. Impariamo a lavorare efficacemente, gioiosamente e con dedizione.

L’ostacolo più grande al progresso spirituale è la pigrizia. Ci sono molte forme di pigrizia, ma tutte quante condividono la sensazione che si abbia a disposizione una quantità illimitata di tempo. “Non mi devo preoccupare di questo oggi, ci penserò domani”. Pensando continuamente così, perdiamo innumerevoli e importanti opportunità, oltrechè la consapevolezza del nostro scopo. Questo è il risultato peggiore della pigrizia.

Un tipo di pigrizia è basato sul dubbio: “Come potrò mai fare questo?”. Ci si abbatte, e ci si considera addirittura speciali nel sentirsi così inadeguati ed incapaci. Per superare questa condizione occorre del coraggio. Occorre scoprire la propria naturale dignità, percepire la preziosità di questo momento: che cosa meravigliosa essere vivi! Se si capisce la verità insita in questo, non c’è niente che non si possa realizzare. Ciò è esattamente quello che fecero il Buddha e molti altri grandi maestri. Essi lavorarono tutti sulla base di questa ispirazione. Siccome abbiamo tutti la natura di buddha e ne abbiamo la saggezza per eredità naturale, perché non potremmo fare quello che loro hanno fatto? Dunque, impariamo ad applicarci diligentemente e ad affrontare la pratica senza paura.

Un altro tipo di pigrizia ha a che fare con il rivolgersi ad interessi minori perdendo così le opportunità maggiori. Sappiamo che la pratica è speciale, ci rendiamo conto che questo è un momento unico e siamo anche inspirati da questa meravigliosa opportunità, ma nonostante ciò continuiamo a perdere tempo e rimaniamo coinvolti in affari mondani senza senso. Siamo come un gatto che cerca sempre di prendere un nuovo topo. Guru Padmasambhava insegnò che questo tipo di attitudine è incessante, come le onde dell’oceano. Proprio quando pensiamo di darci un taglio, c’è sempre qualcos’altro di cui occuparsi, un’altra onda e poi un’altra ancora.

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Questa forma di pigrizia consiste nel rimanere distratti da mille cose da fare. Non esiste il momento in cui possiamo dire di aver terminato tutto, questa ansia di fare non termina mai. Inconsapevoli della causa di questa instabilità, ci rivolgiamo abitualmente all’esterno e siamo soggetti ad un’incessante processione di pensieri vaganti ed azioni impulsive. Questo accade sempre quando c’è un attaccamento verso l’esterno. Nel momento in cui iniziamo a guardare interiormente, scopriamo la fonte di tutta questa agitazione. Troviamo anche gioia, tranquillità e pensieri che portano pace ed armonia.

Non dobbiamo credere a questo perché l’ha detto Guru Padmasambhava. Guardiamo la storia di personaggi famosi, re, guerrieri, o grandi artisti di talento. Tutti se ne sono andati con progetti incompiuti e sogni irrealizzati. Tutti lasciamo questo mondo con degli affari in sospeso, pensiamoci. Vedremo che è così.

Quando scopriamo la pigrizia in noi, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo reagire immediatamente e con energia. Non dobbiamo cadere nel tranello del “lo faro più tardi”. Non dobbiamo essere pazienti con la pigrizia. Guru Padmasambhava disse che quando scopriamo la pigrizia in noi stessi, dovremmo reagire come chi si accorge che un serpente gli è salito in grembo. Non starà certo ad aspettare che cosa farà il serpente, ma si alzerà subito gettando via il serpente e scapperà. Guru Padmasambhava disse anche che per far fronte alla pigrizia bisogna agire immediatamente, come una bella fanciulla i cui capelli hanno appena preso fuoco. Questi sono esempi molto chiari di come bisognerebbe reagire alla pigrizia.

Fra i sei bardo, il primo è quello più importante. Infatti è quello in cui possiamo veramente svilupparci, rafforzarci, realizzare ciò che è prezioso e quindi risvegliarci completamente alla natura di buddha, cosicchè possiamo agevolmente gestire i bardo rimanenti. Attraverso la pratica e la meditazione possiamo imparare a riconoscere di che cosa si tratta e quindi attraversare tutti i cambiamenti della vita e della morte con grande sicurezza e gioia. Non dobbiamo preoccuparci, né esitare. Tutto quello di cui abbiamo bisogno apparirà sul palmo della nostra mano, saremo direttamente sulla giusta strada.

Guru Padmasambhava disse che se pratichiamo bene in questo bardo della vita, trasmigreremo senza alcun dubbio e torneremo a casa come un falco che ha costruito il nido sulla parete di una alta

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rupe. Il falco vola alto e senza esitazione entra dritto nel nido. Così, se impariamo veramente qualcosa durante questa vita, i restanti bardo non saranno un problema. Ci muoveremo attraverso essi con grande sicurezza e completa consapevolezza, e tutto diventerà parte di una gloriosa avventura.

Guru Padmasambhava enfatizza dunque quanto prezioso sia questo tempo, proprio qui e adesso. Asteniamoci dalle azioni non virtuose e impegnamoci costantemente in attività che portino benefici a noi stessi e agli altri esseri. Molti insegnamenti affermano che dove ci troviamo ora è come essere in un’ isola di gemme: dobbiamo raccoglierle e riempircene le tasche e la borsa. Se torniamo a mani vuote, il samsara continuerà.

Il tempo non ci aspetta, dobbiamo usarlo per fare qualcosa che abbia senso. Ovviamente ci sono molte cose che dobbiamo fare per andare avanti in questa vita, ma dovremmo comunque espandere la nostra visione e aggiustare le nostre attitudini. Guru Padmasambhava ci avverte di essere attenti al presente, ma di non trascurare la visione del futuro, pensando al domani, come al giorno dopo ancora, al prossimo anno e così via. Pensando in questo modo, svilupperemo l’ intelligenza e la compassione necessarie per realizzare il beneficio di tutti gli esseri continuamente, anche in futuro.

Questi insegnamenti sono stati dati dal prezioso Guru in persona. Le stesse parole sono state pronunciate anche da tutti i buddha e bodhisattva. Tutti i grandi maestri che hanno beneficiato gli esseri per generazioni hanno lavorato duramente per sviluppare amore, compassione e bodhicitta. Questo è lo standard che hanno tenuto e noi dovremmo fare lo stesso. Pensiamo agli uomini e alle donne che sono diventati maestri spirituali e teniamoli in mente, imparando ad imitarli. Non inganniamoci da soli; possiamo pensare di essere molto intelligenti, ma se continuiamo a prenderci in giro il ciclo dei legami karmici rimarrà intatto.

…..abbandonando la pigriziaentro senza distrazione nei tre sentieri

dell’ascoltare, riflettere e meditare,

Guru Padmasambhava e Buddha Shakyamuni hanno entrambi detto che dovremmo fare tre cose: studiare, contemplare e meditare.

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Dapprima considerare e studiare l’insegnamento, poi contemplarlo. Per stabilizzare la mente, dobbiamo prima diventare consapevoli degli ostacoli e degli oscuramenti che mascherano la sua vera natura. Poi, si è pronti per meditare.

La meditazione è il frutto dello studio e della contemplazione. In questo contesto, meditare non significa semplicemente sedere nella calma e focalizzare la mente su un oggetto esterno. Piuttosto, deve essere la meditazione sulla vera natura. Poiché la vera natura pervade sia l’esterno che l’interno, la meditazione su di essa rende chiara la nostra visione e ci aiuta ad imparare a penetrare sia i fenomeni soggettivi che quelli oggettivi. Il focus stesso della meditazione dovrebbe essere la natura della mente. Ciò rivelerà tutto.

La meditazione sulla vera natura conduce ad una lucida chiarezza e ad una profonda apertura molto misteriose. Permanere continuamente in questa condizione fa si che meravigliose qualità, come la compassione e la saggezza originino e risplendano naturalmente. Dapprima, i pensieri diventano meno interessanti ed insistenti. Quando si impara a rimanere in meditazione profonda più a lungo, le concezioni dualistiche vengono completamente pacificate. Quando si permane liberamente nella radiosità della vera natura, i pensieri diventano dei servitori e si ha una grande capacità di prendersi la responsabilità dei propri eventi mentali.

Gradualmente insorge una grande beatitudine. A quel punto non c’è più sofferenza, ma solamente una incrollabile equanimità nel fondersi con la vera natura. Nel momento in cui si è padroni delle concezioni e della mente, si diventa più capaci di padroneggiare tutti gli altri aspetti della vita. Ogni momento può essere sfruttabile poiché si conosce il processo del bardo.

Ascoltare, contemplare e meditare sono le “Tre Saggezze”. Ciascuna di queste pratiche è vitale per attualizzare la nostra natura di buddha e la capacità di essere di beneficio per gli altri. Per prima cosa, ascoltiamo attentamente gli insegnamenti che riceviamo. Questo dovrebbe incoraggiarci ed ispirarci a compiere uno sforzo gioioso. Non collezioniamo semplicemente gli insegnamenti: guardiamo dentro le loro implicazioni e contempliamo il loro significato. Poi, applichiamoli a noi stessi, in modo che ciò che riceviamo non si limiti a penetrare solo le orecchie e il cervello. Per connetterci realmente con il significato

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delle istruzioni, portiamole nel nostro cuore e riaffermiamo la verità di ogn singola parola tramite la nostra stessa comprensione. Ciò si chiama contemplazione. Contemplando profondamente gli insegnamenti, realizzeremo naturalmente il risultato conosciuto come meditazione. La meditazione aiuterà a maturare quello che abbiamo imparato cosicchè la nostra conoscenza non rimarrà a livello intellettuale o concettuale. I risultati matureranno con la nostra crescita. Sebbene tutte e tre le saggezze siano indispensabili, la meditazione è la più importante.

Per applicare queste tre pratiche, bisogna imparare a riconoscere e a liberarsi dalla tendenza a indulgere nelle distrazioni. Questo è specialmente vero all’inizio, ma le distrazioni possono costituire un serio impedimento ad ogni stadio della pratica, specialmente durante la meditazione. Nello Dzogchen si dice: “Non c’è meditazione: la non-distrazione è la meditazione”. Nella Prajnaparamita, il Buddha Shakyamuni ha elencato dieci categorie di distrazioni che possono presentarsi durante la pratica.

Le distrazioni arrivano non invitate, così abbiamo bisogno di una chiara, vivida presenza mentale per minare la loro influenza e praticare efficacemente. Questo non sempre riesce facilmente, anche se abbiamo la giusta motivazione e riusciamo a sostenere uno sforzo gioioso. Impariamo ad ascoltare senza distrazione.Non lasciamo che l’attenzione vaghi durante la pratica di contemplazione. Evitiamo altresì di aggrapparci ad idee e immagini durante la meditazione. Per evitare di seguire i pensieri, siamo consapevoli e osserviamo con rilassata consapevolezza.

Il prossimo verso spiega il risultato della pratica delle tre saggezze:

porto le apparenze e i pensieri nel sentieroe realizzo la natura dei tre kaya.

La realizzazione der tre kaya è il risultato dell’applicazione delle tre saggezze. Dharmakaya, sambhogakaya e nirmanakaya rappresentano tre inseparabili aspetti del Buddha. Secondo i tantra interni11, i tre kaya non hanno un’esistenza oggettiva, piuttosto sono non-locali e omni-pervasivi, abbracciando sia la mente che i fenomeni. Ciò significa che qualsiasi cosa è sempre in una condizione di perfetta illuminazione.

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Tutte le cose sono la manifestazione dei tre kaya. I tre kaya non sono mai separati l’un l’altro, esistono primordialmente nella singolarità della vera natura. I tre kaya sono ciò che noi e tutti i fenomeni esterni essenzialmente siamo. Quando realizziamo pienamente ciò che siamo, sappiamo che non abbiamo (mai avuto) bisogno di fare qualcosa o andare chissà dove per illuminarci o vedere la terra pura. La terra pura è i tre kaya e i sei bardo sorgono in essi. La manifestazione, l’attività e la vera natura dei kaya sono dentro di noi. Non è una questione di fuggire da “questo posto orribile” per andare da qualche altra parte meravilgiosa dove stanno i kaya. Dobbiamo comprendere che i tre kaya sono la vera natura e realtà di tutti i fenomeni.

Infinita e non creata, la vera natura della mente è la grande vacuità o inconcepibile apertura conosciuta come dharmakaya. La grande vacuità non è un vuoto, un niente. E’ estremamente luminoso, chiaro, pieno. La brillantezza e la chiarezza emergono spontaneamente. Questa incessante luminosità della vera natura è conosciuta come sambhogakaya.

La mente è sempre attiva, emanante un mondo di trasformazioni. A causa della sua inerzia, non è mai uguale a se stessa. Ogni scintilla o momento radiante di esistenza manifesta è non-separata dallo stato originale della vera natura. Ogni scintilla è l’unione di vacuità e chiarezza. La radianza che si manifesta come punti/istanti di spazio/tempo è conosciuta come nirmanakaya.

Guru Padmasambhava ha insegnato che i tre kaya sono inerenti alla natura della mente. Molti non comprendono questo e vagano continuamente alla ricerca di qualcosa all’esterno di sé stessi. Questa ricerca conduce a molte esperienze, buone e cattive, profonde e superficiali, di guadagno e di perdita. Ma in ogni caso, tutte queste sono percezioni create dalla propria mente. Nessuna di queste qualità esiste in senso oggettivo e concreto. Il presente scorre e cambia, e questa impermanenza indica che non c’è nessuna esistenza inerente negli oggetti e negli eventi.

Tutta la percezione e l’esperienza consapevole non è altro che l’espressione della propria mente. Ogni cosa che vediamo, sentiamo, gustiamo, odoriamo e tocchiamo è mente. Cosa possiamo dire che sia realmente la mente? La mente è aperta, pura e vuota fin dall’inizio. La mente è anche la rappresentazione dei tre kaya. La nostra pratica è quella di scoprire ed esprimere la vera

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natura della mente. Dobbiamo studiare, contemplare, meditare e alla fine attualizzare la realizzazione dei tre kaya. Se siamo determinati e concentrati nei nostri sofrzi, ogni fenomeno rivelerà i tre kaya. Quando il momento della morte arriverà, riconosceremo quell’evento come una lucida manifestazione dei tre kaya, un altro progetto della vera natura. Non c’è conflitto nel momento in cui comprendiamo che è una parte di un processo naturale.Il bardo della nascita e della vita è una circostanza molto speciale per la pratica. Poiché tutto è pervaso dai tre kaya, dobbiamo arrivare a comprendere che la nostra attuale visione e percezione è definitivamente niente di diverso dalla natura originale della mente. La comprensione della purezza innata di tutte le percezioni è l’insegnamento più elevato dei tantra interni. Tutte le nostre concezioni dualistiche - come il sé e l’altro, il bene e il male, l’assistere gli amici e l’evitare i nemici – originano come pensieri nella nostra mente. La mente crea tutte queste costruzioni. Non c’è niente di tutto questo che abbia un’esistenza solida, tuttavia la mente crea nozioni e proietta visioni a cui tendiamo a credere e con le quali interagiamo. Distratti e inconsapevoli, afferriamo e ci aggrappiamo.

Che significa afferrare ed aggrapparsi? Significa essere attaccati a quello che pensiamo. Significa pensare che le cose esistano realmente nel modo che la mente condizionata le percepisce. Continuamente ci aggrappiamo a ciò che crediamo e così facendo creiamo divisioni artificiali. Decidiamo che alcune cose sono invariabilmente buone ed altre non lo sono. Questo attaccamento ai concetti è basato sull’assunzione della permanenza. Anche se i fenomeni sono in continuo cambiamento, la mente ne proietta un’immagine fissa e vi si aggrappa, presumendo che le cose siano costantemente in un certo modo. Cercare di vedere il mondo come ci piacerebbe che fosse e afferrarsi a questa immagine, è l’attaccamento egoico. E’ come soffocare in un bozzolo troppo stretto. Intrappolati dagli attaccamenti, ignoriamo l’opportunità di mollare la presa e crescere.

Rimanendo confinati in uno spazio ristretto senza l’opportunità di muoversi, il corpo si contrae. Vogliamo spostarci ma non abbiamo spazio, così soffriamo; proviamo a cambiare posizione, ma anche quella nuova risulta scomoda. Soffriamo ad ogni movimento perché siamo limitati dalla mancanza di spazio. Questo è l’effetto che hanno l’attaccamento dell’ego e l’afferrare sia sul corpo che sulla mente. Creiamo uno spazio piccolo, angusto per noi stessi e per gli

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altri, trattenendo amore e compassione. L’attaccamento dell’ego e il pensiero dualistico ci rendono stretti e chiusi, e queste sono le qualità che inevitabilmente comunichiamo agli altri. Mettono chiunque a disagio. La porta di questa stanza è spalancata, ma se non ci passiamo attraverso è come se fosse chiusa; soffriremo quelle limitazioni. Quando apriamo la nostra mente e il nostro cuore, e amiamo tutti gli esseri indistintamente, diventiamo liberati nello spazio infinito della realtà ogni oltre limite, l’originale primordiale natura della nostra mente che è illimitatamente aperta e libera. Mollando l’attaccamento torniamo semplicemente alla natura primordiale come era e come è.

Coltivando queste nozioni dualistiche come bene e male assoluto, sviluppiamo inconsciamente paure e speranze che portano a cicli emotivi di esaltazione e depressione. Stiamo lontani da ciò che non ci piace e ipotizziamo che ci sia qualcosa di buono a cui dovremmo attaccarci e sul quale riponiamo le nostre speranze. Se queste supposizioni non cambiano, la paura e la speranza possono distruggere la nostra visione e farci a pezzi. Sotto la loro influenza perdiamo la nostra identità e la nostra forza. Ma da dove originano paure e speranze? In una mente divisa dai concetti dualistici. La mente è la principale sorgente di tutto. Dov’è la mente? Per rispondere a questa domanda, dovremmo iniziare la nostra ricerca ben sapendo che non troveremo niente che sia una mente solida, sostanzialmente esistente. Tutto sparisce con la stessa velocità con cui appare. Più a fondo cerchiamo, più qualsiasi cosa e quindi anche la mente spariscono, fino al punto in cui non rimane veramente più niente da cercare e trovare. Ora la ricerca è completa. Non abbiamo veramente più idea di cosa fare dopo!

In un certo senso, siamo perduti. In un altro, stiamo rapidamente avvicinandoci allo stato primordiale che il Buddha chiamò la grande vacuità. Qui non ci sono divisioni, distinzioni o confini. Abbiamo raggiunto il punto definitivo: l’originale, infinita vera natura della mente. Rincorrendo diligentemente gli arcobaleni, abbiamo finalmente raggiunto un orizzonte dove non c’è più niente da inseguire. Ogni cosa si fonde in quello stato impenetrabile. Non appena la mente si dissolve nella sconfinata dimensione della vera natura, rilassiamoci e rimaniamo in meditazione. Questo è il punto centrale. Quando non c’è il disturbo del dualismo mente-corpo, quella è la vera meditazione. Non abbiamo bisogno di alcun ingrediente magico. Semplicemente osserviamo la nostra propria

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mente. Se continuiamo a guardare in essa arriveremo alla fine a quel punto di perfetta equanimità.

La pratica della meditazione ci insegna a trascendere le distinzioni concettuali fra apparenze e pensieri. Soggetto e oggetto si fondono in una singola entità. Non vediamo più un mondo di cose ed entità inerentemente esistenti. In realtà, neanche gli atomi sono solidi. Sebbene esibiscano molte proprietà, non sono oggetti concreti, indipendenti. Ogni cosa che appare è un costrutto mentale impermanente basato sull’interdipendenza di tutte le cose. Niente esiste al di là di questa interdipendenza. Esistono molte particelle sub-atomiche anche nel più piccolo atomo. Ogni entità è riducibile nelle sue parti che a loro volta sono riducibili nelle loro e così via all’infinito. Gli atomi e tutto ciò che costituiscono non sono altro che la misteriosa manifestazione della vera natura nelle apparenze. Ecco perché i grandi maestri possono levitare o trasmutare gli elementi. Si potrebbe dire che in realtà non stanno cambiando niente facendo questo; stanno semplicemente dimostrando la realtà interdipendente e la vera natura di ciò che appare.

La vera natura è meravigliosamente inconcepibile. Priva di esistenza inerente, la grande vacuità è perfettamente aperta e flessibile. Ciascuna luminosa manifestazione è preziosa e unica. Possiamo vedere ciò in molti modi. Per esempio, tutti gli esseri hanno sistemi percettivi differenti. Gli animali, gli dei e gli esseri umani vedono mondi molto differenti. Ma questo è vero anche per gli esseri umani della stessa cultura.

Guardate questa (Rinpoche alza la campana). Sebbene chiunque possa darle un nome, ciascuno di noi ha il suo proprio modo di percepire e comprendere di che cosa si tratta. Il modo in cui vediamo il colore rosso, non è lo stesso per ciascuno di noi. Le cose non esistono inerentemente nel modo in cui appaiono. La mente ha un suo modo del tutto speciale di parlare a ciascuno di noi, perché esseri differenti possono guardare lo stesso oggetto e non vedere la stessa cosa. Ciò è veramente singolare! Ovvie discrepanze, come quelle nei differenti punti di vista, fanno parte della relatività del mondo esterno. Ma interiormente il discorso si fa più profondo, perché noi tutti abbiamo approcci differenti e facciamo associazioni uniche per cui vediamo una versione personale del mondo. Questa è la ragione per cui ci sono così tanti differenti buddha. Ciascuno di essi ha realizzato la propria natura di buddha in un modo

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leggermente differente e ciascuno profonde le proprie speciali qualità per il beneficio degli esseri.

Come atleti che si allenano per vincere una medaglia alle Olimpiadi, il bardo della nascita e della vita è il terreno di allenamento per esercitare ed attualizzare le nostre capacità, in modo che gli altri bardo, particolarmente il quarto, il quinto ed il sesto, forniscano le condizioni per vincere una medaglia d’oro, d’argento o di bronzo. Il primo bardo è il posto migliore per affinare queste inestimabili qualità. Enfatizzando questo punto, il testo prosegue:

A questo punto,avendo per una volta ottenuto un corpo umano

E’ un’occasione molto speciale e preziosa essere umani, essere circondati da tutta questa bellezza e ricchezza, e avere l’opportunità di realizzare la buddhità. Questo è un momento veramente cruciale. Non diamo questa possibilità per scontata, non la sciupiamo. Realizziamo la nostra vera natura. Il reame degli umani è un posto unico dove possiamo lavorare per compiere qualcosa di significativo e sviluppare la nostra comprensione. Buddha Shakyamuni ripetè questo molte volte durante la sua vita. Certo non si tratta di una terra pura, come possiamo vedere da ciò che accade nel mondo, ma è comunque il miglior posto per noi per imparare e progredire.

Esistono molti altri mondi. Alcuni sono eccezionalmente belli e confortevoli. In paragone, il nostro può non sembrare così meraviglioso, ma è veramente un posto speciale, perché in esso possiamo maturare e trascendere noi stessi. Ci sono un sacco di cose qui che ci danno l’opportunità di crescere, ci aiutano a scoprire e esprimere la nostra natura di buddha. Qualità come il coraggio, la fiducia e l’amore vengono stimolate come risposta a molte situazioni. Se realizziamo qualcosa di significativo qui, saremo anche capaci di compiere realizzazioni ancora più elevate in altri posti. Ma per il momento,questo è il luogo dove compiere qualcosa di utile per le nostre vite.

Praticando durante il bardo della nascita e della vita, i grandi praticanti possono realizzarsi in una sola vita. Gli yogi e le yogini di grande realizzazione sono capaci di percepire l’intero universo

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come il mandala delle divinità, così che ogni forma è vista come il corpo del Buddha, e tutti i suoni vengono percepiti come la parola degli esseri illuminati, il mantra. Riconoscendo la vera natura di questa visione che si dispiega incessantemente è parte della spontanea attività della pura consapevolezza. Alla fine, tutto appare come una manifestazione della saggezza primordiale e, all’interno di questa realizzazione, possiamo iniziare ad aiutare tutti gli esseri senzienti.

Come Guru Padmasambhava disse:

….non dobbiamo più perdere tempo in sciocchezze

Fine della prima parte.Continua con: “ Il bardo del sogno”