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Liceo Scientifico Statale “Giordano Bruno” 5 AT a.s. 2007/2008 I genocidi “dimenticati” Il caso dei Kurdi in “Crimini & Discrimini”

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Liceo Scientifico Statale “Giordano Bruno”5 AT a.s. 2007/2008

I genocidi “dimenticati”

Il caso dei Kurdi

in “Crimini & Discrimini”

Benedicenti Samuele, Ferrero Stefano, Sciuto Marco

Mappa concettuale

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Crimini Discrimini

GENOCIDIO

Olocausto Genocidi dimenticati

DisumanizzazioneCome ricordare

Oggettificazione Riflessione

Giorno della memoriaCarnefice e vittima e il suo paradosso

Australia GeografiaAborigeni America

Pellerossa Ucraina

Europa Jugoslavia

Kosovo Cecenia Africa Armenia

Asia Darfur

Rwanda Cambogia

Guerra anglo-boera

Kurdistan

Il silenzio dei media I kurdi oggi

Turchia TerritorialitàIdeologie

Lingua Repressione Tortura

kemalismo

Resistenzaintolleranza

razzismo

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PREFAZIONEDurante l'anno scolastico 2006/2007 abbiamo iniziato a porci il problema di trovare un argomento di nostro interesse in modo da creare un organico lavoro di approfondimento. Inizialmente non eravamo molto orientati nella scelta anche perché non sapevamo come doveva essere strutturata la ricerca sull'argomento scelto.Durante la quarta abbiamo parlato ampiamente con i professori per iniziare a restringere il campo all’interno del quale sviluppare l'argomento dell’area di progetto. In questo modo avremmo avuto un lasso di tempo maggiore per poter svolgere con più calma e maggior precisione la tesi.Durante alcune discussioni in classe ci siamo messi d'accordo, in linea di massima, di trattare il caso della criminalità. Ciò è emerso perché nell'anno scolastico 06/07, durante il regolare orario scolastico, abbiamo svolto un'ora alla settimana di compresenza tra le materie Italiano e Filosofia durante la quale svolgevamo numerosi lavori di ricerca riguardo l’emigrazione, uno dei problemi più discussi sulle pagine dei giornali.Questa attività aveva uno scopo educativo assai notevole, perché ci metteva di fronte problemi di cui si parla ancora oggi. Lo scopo principale era quello di eliminare tutti i pregiudizi nei riguardi degli extracomunitari, partendo dall’analisi meccanica dei dati. In questo modo ci si rapportava al problema in termini di numero, per giungere alla conclusione che percentuali basse non potessero essere la causa di tutti i problemi in Italia.Questo argomento, però, è stato considerato dagli insegnanti della classe troppo specifico e, contemporaneamente, poco preciso. Avrebbe indotto noi studenti a prendere per fondamento alcuni punti che in realtà sono marginali rispetto alla problematica.Così, grazie all'aiuto del professore di filosofia Gullusci e di informatica Felletti, abbiamo deciso di spostare la nostra attenzione su un campo più largo, ma più chiaro: “i crimini e i discrimini”.Dopo varie discussione all'interno della classe, sono stati individuati alcuni aspetti particolari del problema che sarebbero stati sviluppati dai gruppi formati in classe. Tra tutte le proposte avanzate, alla fine gli argomenti trattati spaziano dalla follia omicida, ai fatti dell'undici settembre; dal sistema carcerario, alla scena del crimine, per giungere fino ai serial killer.Noi abbiamo deciso di occuparci della questione dei genocidi, tema che racchiude in maniera particolare gli aspetti di crimini e discrimini. Il primo e più chiaro esempio al quale abbiamo pensato è stato l’Olocausto, durante il quale sono state spezzate le vite di milioni di ebrei. Il lavoro, però, non ci sembrava particolarmente originale, soprattutto perché analizzato e discusso ormai da tutti e da troppo tempo. Nel corso della storia ci sono stati massacri di dimensioni paragonabili dei quali non si sa nulla. Ci siamo così concentrati su quei genocidi che hanno caratterizzato la storia di molti popoli, ma dei quali non si parla. Per questo motivo siamo passati dal semplice “genocidio” ai “genocidi dimenticati”.Ci siamo occupati in particolare del caso dei kurdi, argomento che ha fatto parlare molto nei giorni nostri. Lo abbiamo scelto come esempio, per capire la dinamica che spinge ad un tale massacro, cioè cosa lo causa e cosa si vuole ottenere. Da qui sono partite le nostre riflessioni sull’importanza del ricordare anche gli eventi più spiacevoli in modo da trarne un insegnamento positivo per il futuro.

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INTRODUZIONEIn questo capitolo cerchiamo di dare la definizione di “discrimini”, “crimini” e “genocidio”.

Cosa sono i discrimini?La discriminazione è il trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria. Alcuni esempi di discriminazione possono essere il razzismo, il sessismo e l'omofobia.Due caratteristiche principali necessarie a definire discriminazione un atteggiamento nei confronti di un individuo o un gruppo di individui sono:

un trattamento particolare, diverso rispetto agli altri individui o gruppi di individui; un'assenza di giustificazione per questo differente trattamento.

Tuttavia il consenso sociale è un indicatore piuttosto inaffidabile per determinare ciò che sia discriminazione e ciò che non lo è. Ciò che ora è considerato normale e non discriminatorio, infatti, in un altro tempo o in un altro luogo può essere considerato discriminazione. Un esempio di come uno stesso criterio di valutazione può essere discriminatorio o meno è l'età: a volte usato in modo consensuale (per esempio nell'età minima per partecipare alla vita pubblica), a volte in modo discriminatorio (ad esempio quando diventa ragione di rifiuto da parte dei datori di lavoro).La discriminazione ha origini molto antiche, e nella sua storia l'uomo è riuscito a ridurre o eliminare buona parte di queste discriminazioni. Un grave caso di discriminazione tuttora presente in moltissime società è la discriminazione della donna.A livello internazionale la legislazione in materia di discriminazione è determinata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, redatto dalle Nazioni Unite e firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, in cui si sanciva il rispetto nei confronti di ogni individuo indipendente dalla sua appartenenza ad una particolare religione, etnia, sesso, lingua. Quest'ultima carta nacque in risposta alle atrocità commesse dal regime nazista, frutto proprio di discriminazioni razziali (verso ebrei, slavi, zingari, ecc.), per le preferenze sessuali (omofobia) e per le opinioni politiche.La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 21 del 18 dicembre 2000 afferma che:

1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.

2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi.

In Italia, la Costituzione afferma all'articolo III: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”Quindi una distinzione a livello personale, sociale, politico e soprattutto una discriminazione non sono ammessi nel nostro paese. In particolare non sono presenti articoli nello specifico che prendono posizioni su atti discriminatori ma a partire dall'articolo sopracitato si può facilmente dedurre l'atteggiamento del paese nei confronti di questo tipo di atti.

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Cosa intendiamo noi per crimine?Ognuno di noi, quando sente parlare di crimine, rievoca nella sua mente il pensiero del crimine per eccellenza: un omicidio. Il crimine è una sorta di rottura del tacito patto esistente tra gli uomini che permette la pacifica convivenza nella società: si infrange la legge.

Che cosa è il reato per la legge?È reato l'illecito penale, cioè la violazione di una norma che prevede come sanzione una delle pene previste dall'art.17 del Codice Penale:

delitti: ergastolo, reclusione e multa contravvenzioni: arresto e ammenda.

Tale distinzione è rilevante sul piano applicativo per il criterio di imputazione soggettiva, il tentativo e le cause di giustificazione. Le contravvenzioni scaturiscono storicamente dai c.d. reati di polizia con cui si esprimeva la regolamentazione disciplinare della vita associata.Esse sono un "mala quia proibita" (male perché proibiti), cioè repressi solo in rapporto alle mutevoli esigenze di comune ordine e sicurezza.I delitti invece sono reati che violano norme a tutela di diritti naturali. Essi sono "mala in se" (male in sé), cioè lesivi di un bene preesistente. Per essi è necessario il dolo, mentre per le contravvenzioni basta anche solo la colpa.

Qual è la definizione sostanziale di reato? Comportamento umano che a giudizio del legislatore contrasta con i fini dello Stato ed esige come sanzione una pena criminale per ricostituire il patto del reo con la società.La pena ha il fine di impedire al colpevole di commettere nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Essa deve essere prescelta per fare impressione più efficace sugli animi degli uomini e tormentare meno il corpo del reo.

E quella formale-sostanziale? Fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali; sempre che la misura dell'aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla pena e le sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire una efficace tutela.

Come si passa da discrimini a crimini?Attraverso il processo di Norimberga emerge che una discriminazione messa in atto può diventare un crimine nei confronti dell’umanità.Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa dell’Unione Sovietica liberò il campo di concentramento di Auschwitz facendo emergere per la prima volta, agli occhi della gente, gli orrori del nazismo. Le immagini riprese dagli operatori sovietici al campo di Auschwitz e quelle degli altri campi liberati dai soldati americani e britannici (Mauthausen, Bergen-Belsen, Treblinka, Dachau, Buchenwald ed altri), furono mostrate al Processo di Norimberga, come prova contro il peggiore dei crimini nazisti.L’idea di processare i criminali nazisti fu ufficializzata nell’ottobre del 1943, quando i ministri degli Esteri di Gran Bretagna, USA e URSS s’incontrarono a Mosca. Qui fu emanata una dichiarazione importante, la quale prevedeva, tra l’altro, che i criminali di guerra tedeschi fossero puniti per una “decisione comune” degli Alleati. Questa decisione comune fu discussa a Londra, a partire dal giugno 1945. L’accordo, firmato l’8 agosto (Accordo di Londra), istituiva il Tribunale Militare Internazionale che doveva processare i principali criminali del nazismo. Il giudice federale Robert H. Jackson, primo Pubblico Ministero americano per il processo, fu incaricato di organizzare l’intero procedimento. Fu lui a consigliare Norimberga come sede per lo svolgimento del processo, proprio quella che era stata la città simbolo del nazismo e della persecuzione contro gli ebrei (Leggi di Norimberga, 1935).I processi di Norimberga furono in realtà tredici ma quello che più catalizzò l’opinione pubblica mondiale fu il primo, contro i ventuno alti gerarchi nazisti superstiti: i comandanti militari, gli esponenti del partito nazionalsocialista ed i responsabili del lavoro forzato e del genocidio degli ebrei d’Europa.

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Il processo agli alti gerarchi nazisti ebbe inizio il 20 novembre 1945, ma già l’udienza d’apertura si era svolta il 18 ottobre precedente a Berlino. Dal 20 novembre 1945 al 31 agosto 1946, il procedimento fu proseguito al Palazzo di Giustizia di Norimberga. La Corte era presieduta dal giudice britannico lord Geoffrey Lawrence. I capi nazisti, i “vinti”, erano sul banco degli accusati nelle vesti d’imputati; i “vincitori” (USA, Francia, Gran Bretagna ed URSS) erano invece nelle vesti di giudici e della pubblica accusa. Il primo giorno fu dedicato alla lettura degli atti d’accusa. La requisitoria del giudice Jackson ricostruì tutta la storia del nazismo e la figura di Adolf Hitler, che aveva teorizzato l’ideologia del Terzo Reich nella sua autobiografia, "Mein Kampf ”. Dal fallito putsch della birreria di Monaco (9 novembre 1923), alla salita al potere nel 1933, alla creazione del totalitarismo nazista, alla conduzione di una politica di riarmo e di potenza imperialista, fino alla persecuzione degli ebrei ed al loro sistematico sterminio. Ciò che tutti conosciamo fu rivelato per la prima volta a Norimberga.I capi d’imputazione erano quattro:

1. Cospirazione, e vale a dire la preparazione di un piano comune per l’esecuzione degli altri tre crimini successivi.

2. Crimini contro la pace, per aver diretto guerre d’aggressione contro altri Stati, scatenando il secondo conflitto mondiale e commettendo la violazione di ben trentaquattro trattati internazionali.

3. Crimini di guerra, per aver compiuto una serie di violazioni del diritto internazionale bellico contenuto nella Convenzione dell’Aja, per esempio attraverso i trattamenti disumani nei confronti di popolazioni civili e prigionieri di guerra (torture, schiavitù, saccheggi ecc.).

4. Crimini contro l’umanità, per aver commesso atti d’estrema atrocità nei confronti di avversari politici, minoranze razziali e d’interi gruppi etnici (il genocidio degli ebrei).

Il passaggio, come processo ideologico e prassi della discriminazione in un contesto sociale e politico, è lento e composto da più stadi. Come illustrato dal prof. Guzzi, nel convegno sul Male nel ‘900 (vedi allegato I), gli stadi che si presentano sono: in prima fase si cerca di prendere le distanze dal “diverso” alienandolo dalla nostra vita, successivamente scatta un meccanismo di disumanizzazione che lo trasforma da uomo in animale, negandogli tutti i diritti. A questo punto, la nostra coscienza non si farà scrupoli ad uccidere, giustificando l'atto come una necessità per la salvaguardia dell'ideologia. Uccidere avrà lo stesso significato di praticare la caccia. Infine si giunge, come nel caso della deportazione nazista, ad estremizzare il processo, dopo la disumanizzazione, si passa alla degradazione in animale e alla riduzione ad oggetto. E gli oggetti si possono “tranquillamente” utilizzare come mezzi per il raggiungimento dei propri fini. Durante questo processo che può essere definito “cosificazione” viene negato alle persone trasformate in vittime la loro spontaneità e la loro vitalità.

Come si passa al genocidio?Il genocidio è quella dinamica che più racchiude gli aspetti di crimini e discrimini.La discriminazione, strettamente legata all'ideologia, è il movente che porterà ad attuare quelle pratiche criminali nei confronti di una minoranza.

Che cosa è un genocidio?La parola “genocidio” è nata nel secolo scorso e ha dunque una vita piuttosto breve, ma definisce un fenomeno che ha una vita molto lunga.Il termine deriva dal greco (ghénos razza, stirpe) e dal latino (caedo uccidere) ed è stato definito dall'ONU come "Gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso". Anche la sottomissione intenzionale di un gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la scomparsa sia fisica sia culturale, totale o parziale, è di solito inserita sotto la definizione di genocidio. La ragione per cui la parola nasce a metà Novecento riguarda il fatto che solo da allora la pratica dello sterminio di massa si è fatta pratica diffusa

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essendo prodotta dalla miscela di supremazia economica e militare, ideologia razzista e armi di distruzione.Il termine è entrato nell'uso comune e ha iniziato ad essere considerato come un crimine specifico, recepito nel diritto internazionale e nel diritto interno di molti Paesi. Il genocidio è uno dei peggiori crimini che l'uomo possa commettere perché comporta la morte di migliaia, a volte milioni, di persone, e la perdita di patrimoni culturali immensi. È pertanto definito un crimine contro l'umanità dalla giurisprudenza. È stato usato questo termine per indicare quel tipo di violenza che si indirizzava verso un gruppo di persone per ciò che è, per la sua origine nazionale, cultura o religione. La violenza si rivolge non solo ai combattenti ma a tutto il popolo, compresi bambini e donne. L'intento è quello di radere fino al suolo l'intero popolo.

Un problema di definizioneIl termine genocidio venne coniato nel 1944 dal giurista polacco Raphael Lemkin, che fece molti riferimenti a precedenti stermini di massa (soprattutto il genocidio armeno), ma vide la necessità di un nuovo termine per descrivere la realtà nuova dell'Olocausto.

Definizione ufficialeL'11 dicembre 1946, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite riconosce il crimine di genocidio con la risoluzione 96 come "Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte". Il riferimento a "gruppi politici", un'aggiunta rispetto alla proposta di Lemkin, non era gradito all'Unione Sovietica, che fece pressioni per una situazione di compromesso.Il 9 dicembre 1948, fu adottata la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che, all'articolo II, considera come genocidio "Gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso", come tale:

(a) Uccidere membri del gruppo; (b) Causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo; (c) Influenzare deliberatamente le condizioni di vita del gruppo con lo scopo di portare alla

sua distruzione fisica totale o parziale; (d) Imporre misure tese a prevenire le nascite all'interno del gruppo; (e) Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo.

Articolo III. Saranno puniti i seguenti atti: (a) il genocidio; (b) l' intesa mirante a commettere genocidio; (c)l' incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio; (d) il tentativo di genocidio; (e) la complicità nel genocidio.

Tra gli atti erano menzionati, oltre all'omicidio, quelli che tendevano alla distruzione dei citati gruppi umani, come la sterilizzazione o la lesione dell'integrità fisica o mentale.Tale definizione, valida ancora oggi, non soddisfa molti storici per varie ragioni e soprattutto per la limitazione dei gruppi vittima dovuta al compromesso. Essa ha di fatto escluso i crimini imputati all'Unione Sovietica e gli stermini su base economica o di classe sociale che hanno caratterizzato alcuni regimi comunisti successivi.

Cosa dice la legge in Italia?Oltre a questo è importante la Legge italiana del 9 ottobre 1967, n.962 che riguarda la prevenzione e repressione del delitto di genocidio. Art. 1 Atti diretti a commettere genocidio. Chiunque, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, commette atti diretti a cagionare lesioni personali gravi a persone appartenenti al gruppo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni. La stessa pena si applica a chi, allo stesso fine, sottopone persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso. Art. 2 Deportazione a fine di genocidio. Chi, al fine indicato nel precedente articolo, deporta persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, è punito con la reclusione

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da quindici a ventiquattro anni. Art. 4 Atti diretti a commettere genocidio mediante limitazione di nascite. Chiunque impone o attua misure tendenti ad impedire o a limitare le nascite in seno ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, allo scopo di distruggere in tutto o in parte il gruppo stesso, è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni. Art. 5 Atti diretti a commettere genocidio mediante sottrazione di minori. Chiunque, al fine indicato nell'articolo precedente, sottrae minori degli anni quattordici appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o religioso, per trasferirli ad un gruppo diverso, è punito con la reclusione da dodici a ventuno anni. Art. 6 Imposizione di marchi o segni distintivi. Chiunque costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti l'appartenenza al gruppo stesso è punito, per ciò solo, con la reclusione da quattro a dieci anni. Ove il fatto sia stato commesso al fine di predisporre la distruzione totale o parziale gruppo, si applica la reclusione da dodici a ventuno anni. Art. 7 Accordo per commettere genocidio. Qualora più persone si accordino allo scopo di commettere uno dei delitti preveduti negli articoli da 1 a 5 nel secondo comma dell'articolo 6 della presente legge, e il delitto non è commesso, ciascuna di esse è punibile, per il solo fatto dell'accordo, con la reclusione da uno a sei anni. Qualora più persone si accordino allo scopo di commettere il delitto preveduto nel primo comma dell'art.6 della presente legge, e il delitto non è commesso, ciascuna di esse è punibile, per il solo fatto dell'accordo, con la reclusione da tre mesi a un anno. Per i promotori la pena è aumentata.

Proposte di aggiornamentoLa definizione ufficiale ha indotto gli storici a studiare i crimini precedenti e successivi al 1948 per identificarne la natura genocidiaria. Le analisi hanno portato a numerose proposte di modifica soprattutto a causa delle limitazioni della definizione ufficiale.

Pieter N. Drost (The crime of state), professore olandese di diritto esperto di storiografia coloniale, sostiene la necessità di reintrodurre il criterio politico e considera genocidio "La distruzione fisica intenzionale degli esseri umani in ragione della loro appartenenza ad una qualunque collettività umana"

Irving Louis Horowitz (Taking lives. Genocide and state power) sottolinea il ruolo chiave della burocrazia e propone "La distruzione strutturale e sistematica di persone innocenti"

Helen Fein (Accounting for genocide) segue un approccio sociologico e suggerisce una classificazione del tipo di genocidio: genocidio di sviluppo se le vittime ostacolano un progetto economico; genocidio dispotico se le vittime sono oppositori reali o potenziali; genocidio ideologico se le vittime sono presentate come un nemico diabolico. La definizione proposta è "Un omicidio calcolato perpetrato su una parte o sulla totalità di un gruppo da un governo, un'élite, un gruppo o una massa rappresentativa"

Frank Chalk e Kurt Jonassohn ritengono il genocidio "Una forma di massacro di massa unilaterale con cui uno stato o un'altra autorità ha intenzione di distruggere un gruppo, gruppo che è definito, così come i suoi membri, dall'aggressore". È questa una delle definizioni più recenti ed apprezzate.

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L’Olocausto:il genocidio per eccellenza

Certamente il genocidio più noto, fu metodicamente condotto dalla Germania nazista in buona parte dell'Europa prima e durante la seconda guerra mondiale, e portò all'annientamento di 6 milioni di ebrei (oltre la metà degli ebrei in Europa), colpendo anche gruppi etnici Rom e Sinti (i cosiddetti zingari), comunisti, omosessuali, prigionieri di guerra, malati di mente, Testimoni di Geova, Russi, Polacchi e altri Slavi, per un totale di vittime stimabile tra 13 e 20 milioni. Le forze armate della Germania nazista compirono sistematicamente massacri di civili in Polonia ed in Russia volti alla eliminazione delle classi intellettuali degli slavi e alla riduzione del loro numero complessivo nei territori orientali che dovevano divenire terreno di colonizzazione germanica. La cifra delle vittime solo nei territori occupati in Unione Sovietica ammonta a circa 27 milioni. In Italia, i nazisti appoggiati dalle milizie fasciste italiane deportarono e uccisero circa 7.000 ebrei italiani.Subito prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale venne posto allo studio un progetto per l'emigrazione forzata della popolazione ebraica sull'isola di Madagascar, allora colonia francese. Uno dei personaggi chiave del progetto Madagascar fu Adolf Eichmann, esperto di «problemi ebraici» e di trasferimenti forzati di popolazione.Nonostante i numerosi colloqui diplomatici intercorsi tra Germania e Francia non si arrivò ad una soluzione anche a causa del raffreddamento dei rapporti tra i due stati nell'imminenza della guerra. Dopo la conquista tedesca della Francia e il successivo armistizio nel giugno 1940 il progetto tornò in auge. La Germania intendeva trasformare il Madagascar in una sorta di immenso ghetto per ebrei che sarebbero stati forzatamente trasferiti a loro spese.Il previsto trasferimento via nave, però, presentò da subito insormontabili difficoltà tecniche dovute al dominio dei mari della Gran Bretagna, in guerra con la Germania. Nonostante queste difficoltà il progetto continuò ad essere sviluppato ed ampliato fino alle successive decisioni scaturite dalla Conferenza di Wannsee.I nazisti concentrarono la popolazione ebrea nei ghetti, e successivamente nei campi di concentramento, per aiutare nel loro sfruttamento e nel successivo sterminio.La conferenza di Wannsee, che ebbe luogo in una villa dell'omonimo quartiere Berlino il 20 gennaio 1942, fu una discussione condotta da un gruppo di ufficiali per decidere le modalità della "soluzione finale della questione ebraica". L'incontro è noto per essere stata la prima discussione della "soluzione finale" tra funzionari nazisti. I verbali e le minute di questo incontro furono per di più trovate intatte dagli Alleati alla fine della guerra e servirono come importante prova durante il processo di Norimberga.Per capire meglio cosa distingue il genocidio compiuto dai tedeschi rispetto ai genocidi che lo hanno preceduto, citiamo una parte del discorso di Guzzi a tal proposito (vedi allegato I):“[…] La prima cosa che differenzia l’olocausto da altri tipi di genocidio consiste nel fatto che il nazismo è un male un po’ più male perché è un male radicale. Il fatto che io voglio eliminare una parte della popolazione, non perché sia un mio oppositore politico, non perché impedisca la realizzazione dei miei progetti politici, ma semplicemente perché io ho un’ideologia razziale dietro, per la quale sono sporchi, sono brutti, puzzano, sono infettivi e li voglio eliminare per quello e non perché mi impediscano di conquistare.La seconda differenza è quella di unire l’assassinio di massa con il campo di concentramento. Con la decisione della soluzione finale, per la prima volta nella storia queste due cose vengono messe assieme. Perché i nazisti unirono queste due cose? Perché organizzarono la soluzione finale in modo complesso e con diversi passaggi? Cioè in modo da andare a prendere gli ebrei, caricarli su una nave o su un treno, attraversare diversi stati, portarli in Germania e in Polonia, per poi metterli in un campo di concentramento. L’idea è proprio di unire queste due cose, l’assassinio di massa e il campo di concentramento per creare un modello nuovo, di eliminazione controllata e scientifica del nemico, basandosi sul sapere industriale e tecnico, infatti Hitler era un grandissimo ammiratore di Ford, perché apprezzava la catena di montaggio: come Ford produceva automobili Hitler produceva cadaveri.”

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GENOCIDI DIMENTICATIIl genocidio per eccellenza è l'Olocausto, ma non esiste solo quello.Ne esistono innumerevoli altri casi, alcuni con un numero di vittime addirittura superiore.

Cosa porta a dimenticare un genocidioUna possibile causa del silenzio di un genocidio è la mancanza di informazione. Gli stati oppressori infatti mettono in atto alcune misure per evitare che si parli di ciò che sta accadendo.Inoltre il fatto potrebbe non fare “notizia”. I criteri principali che caratterizzano un genocidio sono il numero e la qualità delle vittime. Il primo aspetto riguarda semplicemente il numero dei morti. Il secondo riguarda il “chi” viene ucciso. Ad esempio, l'uccisione di un bambino, come afferma anche Dostoevskij, rappresenta il male assoluto.Un'altra motivazione è che il genocidio sia ancora in corso. Fino alla fine del conflitto tale pratica non verrà riconosciuta e non lo sarà neanche nel caso in cui gli sterminatori avessero la meglio nel confronto. Questo processo, nel pieno del suo svolgimento, viene mascherato con il pretesto, ad esempio, della lotta al terrorismo.

Il genocidio dei pellerossaAgli inizi del secolo XVI,quando giunsero i primi coloni europei, il Nord-America era abitato da circa un milione di Pellerossa raggruppati in 400 tribù e in circa 300 famiglie linguistiche. Nelle fertili regioni orientali vivevano tribù di agricoltori sedentari;anche le calde terre del sud-ovest erano abitate da popoli di agricoltori, come i Navajo e gli Hopi. Più dure invece le condizioni di vita delle tribù sparse nei deserti dell'ovest dove la principale fonte alimentare era costituita da radici e tuberi; ancora più a ovest le tribù indiane si dedicavano soprattutto alla pesca del salmone e alla caccia, ma il gruppo più numeroso di tribù era nelle grandi praterie dove vivevano Sioux, Cheyenne, Comanche ed altri. Questi indiani nomadi cacciavano negli sterminati spazi della prateria daini, antilopi, ma soprattutto bisonti. Dai bisonti, infatti gli indiani delle praterie ricavavano quasi tutto il necessario per vivere. Quando i bianchi penetrarono nella regione delle praterie, praticarono una caccia spietata ai bisonti che diminuirono rapidamente di numero e rischiarono di estinguersi. I cacciatori bianchi contribuirono così all'estinzione dei popoli pellerossa che non potevano vivere senza questi animali. Ma lo sterminio dei popoli indiani fu portato a termine soprattutto dagli eserciti americani e inglesi che pur di espandersi all'interno del Nord America cacciarono ingiustamente i nativi americani dalle loro terre e proprietà compiendo veri e propri massacri senza risparmiare donne e bambini. I Pellerossa vennero letteralmente annientati attraverso uno spietato genocidio. Oggi gli indiani non formano più una nazione, non sono più un popolo padrone della terra in cui vive, capace di esprimere una sua cultura e una sua civiltà. Infatti una parte di essi si è integrata completamente nella civiltà bianca, mentre un'altra parte vive in alcune centinaia di riserve sparse nel territorio statunitense e in quello canadese.La guerra anglo-boera: il primo campo di concentramento di una guerra tra bianchiNel 1899, in Sud Africa, colonia britannica,scoppia una guerra fra “bianchi”: da una parte gli inglesi, dall'altra i boeri. I boeri sono gli eredi dei coloni olandesi insediatisi per primi al Capo, verso la metà del Seicento. Gli olandesi resero schiavi i neri locali e divennero col tempo, afrikaner, cioè popolo dell'Africa. Poi arrivano gli inglesi. All'inizio la convivenza non è complicata. Nel 1834, il governo della corona decreta l'emancipazione degli schiavi,i boeri non accettano. Così in 5000, questi dominatori bianchi iniziano l'esodo chiamato Great Trek.Vengono fondate due repubbliche, il Libero stato d'Orange e il Transvaal che gli inglesi riconoscono tra il 1852 e il 1854. Nel 1877 il governo di Sua Maestà cambia idea giungendo a scoprire la ricchezza in oro e diamanti delle due repubbliche. Gli ambienti politico-finanziari britannici, rappresentati da colonizzatori multinazionali come Rhodes, (avventuriero al servizio di Sua Maestà) guardano con crescente insofferenza agli scomodi

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vicini. Tra il 1877 e il 1881 sono vani i tentativi di annettere i due territori.Il presidente boero stipula accordi con la Germania che gli procura armi profumate pagate in oro.In questo modo, i due stati afrikaner divengono una spina nel fianco anche dal punto di vista politico.La guerra scoppia nei primi giorni d'ottobre del 1899. Gli inglesi decidono di investire nel conflitto, ma contrariamente alle previsioni,la guerra non è una passeggiata militare. I boeri si difendono bene e gli inglesi sono costretti a gettare nella mischia centinaia di migliaia di uomini.Non si tratta della solita guerra coloniale:questa volta in Sud Africa sono di fronte due eserciti bianchi.Kitchener,il generale chiamato a “pacificare” il territorio,si rende conto che la guerriglia non consente di controllare il paese con sicurezza. A questo punto, comincia la deportazione in massa di donne e bambini che vengono rinchiusi in campi di concentramento (la definizione è di due deputati radicali britannici, Scott ed Ellis) per lo più fatti di tende e di baracche,ai lati della linea ferroviaria.I dati sono agghiaccianti:un bambino su cinque muore.Rappresentanti dell'opposizione e delle associazioni per i diritti civili si recano in Sud Africa, visitano i “campi di concentramento” e denunciano le condizioni disumane all'opinione pubblica. Dei segregati nei campi,circa 156000 persone,ne moriranno 32000 almeno a causa delle epidemie di tifo e morbillo. Per la prima volta i civili, alla fine, hanno pagato un prezzo più alto dei soldati schierati dalle due parti.Kitchener voleva attuare un genocidio? Sicuramente no. Il disastro umanitario dei campi è l' effetto collaterale di una condotta di guerra spietata. Nel 1902 i boeri sono battuti, anche se la pace appare il frutto di un negoziato più che il prodotto di una netta vittoria sul campo. Quello che colpisce è la totale indifferenza nei riguardi degli inermi e degli innocenti.La guerra dei boeri è importante sotto diversi aspetti: segnala l' inizio di una stagione in cui le guerre si combattono utilizzando i civili; mette in evidenza la brutalità dell'aspetto ideologico: l'odio fra le parti fa trovare giustificazione all'assassinio di migliaia di innocenti; offre un'idea della dimensione di massa della guerra del Novecento.

Gli Aborigeni in AustraliaTra il 1910 e il 1970 oltre 100.000 bambini aborigeni vennero strappati con la forza o sotto coercizione alle proprie famiglie dalla polizia o da assistenti sociali. Molti di loro non avevano neanche 5 anni. Sono conosciuti come "generazioni rubate" (stolen generations). Raramente si è arrivati ad un processo giudiziario. Era sufficiente essere Aborigeni. Molti vennero portati in Chiese o Istituzioni statali. Alcuni vennero adottati da famiglie bianche. Molti di loro subirono abusi fisici e sessuali. Il cibo e le condizioni di vita erano miseri. Non ricevettero una formazione scolastica adeguata e per loro si prospettò un futuro di lavoro di bassa manovalanza come domestici e in fattorie. Vennero sottratti alle famiglie perché era una precisa politica del Governo statale e federalequella di sottrarre i bambini aborigeni alle proprie famiglie, soprattutto quelli di famiglie miste aborigene e di discendenti europei. Vennero sottratti tra il 10 e 30% di tutti i bambini aborigeni, e in alcuni posti questa politica continuò in tutti gli anni 70. La motivazione principale era quella dell'assimilazione dei bambini aborigeni alla società nell'arco di una o due generazioni, negando e distruggendo loro la propria aboriginalità.Una Commissione d'indagine nazionale è stata costituita nel 1995. Il Rapporto ‘Bringing them Home’ del 1997 era crudo ed esplicito. Documentava come la sottrazione forzata dei bambini indigeni fosse una grave violazione dei diritti umani che continuò tranquillamente anche dopo che l'Australia ebbe preso impegni internazionali a favore dei diritti umani.

Lo sterminio del popolo armenoLo sterminio del popolo armeno ha inizio nei primi mesi del 1915, per volontà del triumvirato che guida il CUP, il partito dei Giovani Turchi allora al potere, e che è composto dal capo del governo e ministro dell’Interno Talaat; dal ministro della Guerra Enver e dal ministro della Marina Jemal. Il 24 aprile 1915 scompaiono dalla nutrita comunità armena di Costantinopoli, capitale ottomana,

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circa trecento persone. Essi appartengono alla classe dirigente della loro nazione, che così si ritrova decapitata. La retata è portata a termine dalla gendarmeria del governo ottomano il quale di lì a poco, con poche ma mirate disposizioni, pianificherà attentamente l'eliminazione degli Armeni che, almeno in un primo momento, verrà camuffata sotto il nome di “evacuazione militarmente necessaria delle zone di guerra”. Nelle città viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena di prepararsi per essere deportata; si formano così grandi colonne nelle quali gli uomini validi vengono portati al di fuori delle città e qui sterminati. Il resto della popolazione è indirizzato verso Aleppo, ma la città sarà raggiunta solo da pochi superstiti: i nomadi curdi, l'ostilità della popolazione turca, i tchété e le inumane condizioni a cui sono sottoposti fanno sì che i deportati periscano in gran numero lungo il cammino. Nel settembre 1915 il grosso del genocidio può considerarsi finito: durante la deportazione e nei campi di sterminio del deserto siriano, hanno perso la vita circa un milione e mezzo di Armeni.

L’ Olocausto ignorato in Ucraina“Fui sorpreso nel ricevere un vero diluvio di lettere provenienti da giovani americani e canadesi di discendenza ucraina, i quali mi dicevano che prima di leggere il mio articolo, non sapevano niente del genocidio del 1932-1933 intrapreso dal regime sovietico di Stalin che assassinò sette milioni di Ucraini e ne mandò altri due milioni nei campi di concentramento.Mi chiedo come fosse possibile che così tanta gente potesse essere vittima di una tale amnesia storica! Per gli Ebrei e gli Armeni le persecuzioni che i loro popoli hanno conosciuto vivono in tutte le memorie influenzando la loro vita quotidiana.” (Tratto dal quotidiano "Toronto Sun" del 16 Novembre 2003 di Eric Margolis)Oggi, questo crimine gigantesco è quasi scomparso nel buco nero della storia.Non sono da meno lo sterminio dei Cosacchi del Don per mano dei comunisti negli anni 20, dei Tedeschi del Volga nel 1941 e delle esecuzioni di massa e delle deportazioni nei campi di concentramento di Lituani, Lettoni, Estoni e Polacchi. Alla fine della seconda guerra mondiale i gulag di Stalin racchiudevano 5,5 milioni di prigionieri, dei quali il 23% di Ucraini ed il 6% di cittadini provenienti da Paesi Baltici. Viene quasi ignorato il genocidio di due milioni di musulmani nell’URSS: Ceceni, In gusci, Tatari di Crimea, Tagichi, Baschiri e Kazaki. I combattenti ceceni per l’indipendenza vengono oggi trattati come “terroristi” dagli Stati Uniti e dalla Russia, essi sono i figli dei sopravvissuti ai campi di concentramento sovietici.A questa lista di atrocità, bisogna aggiungere il massacro nell’Europa dell’Est, dal 1945 al 1947, di almeno due milioni di Tedeschi, per lo più donne e bambini, l’espulsione brutale di altri 15 milioni di Tedeschi, durante la quale, due milioni di donne e ragazze tedesche furono violentate.Fra questi crimini mostruosi, quello Ucraino “vince” per numero di vittime. Stalin dichiarò la guerra al suo popolo nel 1932, inviando i commissari V. Molotov e Lazar Kaganovitch, assieme al capo della polizia segreta a schiacciare la resistenza alla collettivizzazione dei contadini ucraini.L’Ucraina fu accerchiata. Tutti i viveri ed il bestiame furono confiscati. Gli squadroni della morte della NKVD assassinarono “gli elementi ostili al partito“. Furioso per l’insufficienza del numero di ucraini eliminati, Kaganovitch impose una quota di 10.000 esecuzioni alla settimana. L’80% degli intellettuali ucraini furono fucilati.Nel corso del gelido inverno del 1932-1933, 25.000 ucraini al giorno furono eliminati o morirono di fame o di freddo. Il cannibalismo divenne una pratica corrente. L’Ucraina, assomigliava ad un gigantesco campo di morte. L’omicidio di massa di sette milioni di Ucraini, di cui tre milioni di bambini, e la deportazione verso i gulag di altre due milioni di persone (nel corso della quale la maggior parte morì), furono dissimulati dalla propaganda sovietica.

I khmer rossi ed il genocidio cambogianoPer la prima volta dalla caduta del sanguinario regime dei Khmer rossi, alcuni esponenti di quella sinistra dittatura attivi in Cambogia dall'inizio degli anni sessanta del XX secolo , sono stati chiamati a rendere conto in tribunale dei loro crimini contro l'umanità ed il popolo cambogiano.Lo spietato governo del famigerato Pol Pot, leader marxista morto nella jungla al confine thailandese nel 2003, è accusato d'aver causato l'autogenocidio della propria popolazione: dal 1975

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al 1979 due dei sei milioni di cambogiani perirono di fame, stenti, malattie e per le violenze e le esecuzioni dei fanatici rivoluzionari maoisti che governavano questo sventurato paese dell'Indocina. I Khmer rossi volevano eliminare ogni elemento o deviazione borghese ed occidentale dalla società cambogiana ed era sufficiente la conoscenza di una lingua straniera o l'uso degli occhiali per essere giustiziati. Un altro aspetto del loro regime fu il trasferimento coatto degli abitanti delle città nelle campagne che causò moltissime vittime e spopolò la capitale Phnomh Penh. La Cambogia, ex-colonia francese, era stata coinvolta dagli USA nella guerra del Vietnam e nel 1975 i Khmer rossi, alleati dei Vietcong, avevano rovesciato l'autoritario regime filo-americano per instaurare la loro spietata dittatura con l'appoggio della Cina. Nel 1979 l'esercito vietnamita li aveva spodestati installando un governo collaborazionista combattuto dalla guerriglia, formata in parte da Khmer rossi.Fu il drammatico film Urla del silenzio a svelare al mondo le atrocità di Pol Pot e solo con la fine della Guerra Fredda, il ritiro vietnamita ed il disarmo dei Khmer rossi in Cambogia è potuta tornare una fragile democrazia che sta iniziando solo ora a fare i conti col passato.

KosovoAbitato in prevalenza da etnia albanese, il Kosovo godeva di larga autonomia politico amministrativa sotto Tito (Josif Broz 1892-1980) anche per neutralizzare i rischi di attrazione dello stato albanese,retto per di più da un regime marxista rivale cancellato progressivamente già a partire dall'81 e poi definitivamente da Milosevic e dai suoi compagni dal 1988. Le indispensabili premesse per comprendere la tragedia in atto, rilevando comunque anche lo strano "meccanismo" che fa esplodere le crisi "a catena" pur se tensioni e scontri si sono verificati contemporaneamente in tutti i territori, ma i conflitti aperti deflagrano "a ruota”.In seguito, con l’aggravarsi della crisi balcanica, il territorio del Kosovo subì forti sconvolgimenti demografici, intensificatisi alla fine degli anni Novanta a causa della“pulizia etnica” serba. Il fenomeno raggiunse il momento di massima intensità nella primavera del 1999, durante l’attacco scatenato dalla NATO contro la Serbia. In seguito, gran parte degli albanesi fece ritorno nella regione, che fu invece abbandonata, a causa della rappresaglia albanese, da circa 200.000 serbi. A partire dal 1980, dopo la morte di Tito, nelle repubbliche iugoslave si riaccesero le istanze separatiste. Anche in Kosovo il conflitto mai sopito tra albanesi e serbi riesplose drammaticamente. Nel 1989, sull’onda di un nazionalismo sempre più esasperato, il neopresidente serbo Slobodan Milošević revocò l’autonomia della provincia, suscitando la protesta della popolazione albanese. La crisi del Kosovo si rifletté in tutta la Iugoslavia, rafforzando i sentimenti antiserbi nelle altre repubbliche e accelerando il distacco dalle istituzioni federali.Nell’estate del 1991, dopo la secessione della Slovenia e della Croazia, iniziò la guerra civile iugoslava. Gli albanesi del Kosovo evitarono di farsi coinvolgere nel conflitto, approfittandone tuttavia per rafforzare la propria organizzazione; essi attuarono infatti, una strategia di resistenza passiva e non violenta al regime di Belgrado, creando, grazie allo sforzo economico dell’emigrazione, una vera e propria rete statale parallela, dotata di un sistema sanitario e scolastico.

Il genocidio jugoslavoLa guerra in Jugoslavia, successiva alla proclamazione di indipendenza della Slovenia e della Croazia, provoca 250.000 vittime, due terzi delle quali civili. Nonostante le atrocità caratterizzino tutte le parti belligeranti, solo i dirigenti comunisti serbi si rendono aggressori e colpevoli di pulizia etnica ed alcuni di loro (Radovan Karadzic, Radislav Krstic, Slobodan Milosevic e Momcilo Krajisnik) vengono incriminati di genocidio nei confronti dei musulmani bosniaci. Il 18 dicembre 1992, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite parla di una "politica colpevole di pulizia etnica che è una forma di genocidio".

Il genocidio in CeceniaLa guerra in Cecenia è in corso e i caduti tra le fila dei soldati federali sono in aumento, come in aumento sono le rappresaglie, le morti e le sparizioni tra guerriglieri e popolazione civile.In situazioni belliche asimmetriche si risponde alla sproporzione dei mezzi con atti di terrorismo, con azioni di guerra, in una successione prevedibile e scontata di azioni e reazioni. Una media di

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109 morti al mese tra civili e militari, per una guerra che dal suo inizio ne ha fatti quasi 200 mila, vale a dire una sessantina di volte quelli dell'Iraq. Sono i numeri, agghiaccianti, del conflitto tra Russia e Cecenia iniziato nel lontano 1994 e tuttora in corso. I dati sono raccolti in un dossier stilato dalle autorità cecene filo-russe, trasmesso direttamente al presidente Putin. II rapporto parla di 1.314 vittime civili nel solo 2002; 2.879 cadaveri scoperti in 49 fosse comuni, mentre non si contano i "desaparecidos" fatti saltare in aria con l'esplosivo, una tecnica usata dall'esercito russo per far sparire i cadaveri. E l'inizio del 2003, sempre secondo i ceceni filo russi, non ha portato miglioramenti: 70 assassini,126 rapimenti, 19 persone scomparse, due stupri e 25 casi di scoperta di “frammenti di corpi umani”.La responsabilità di questi genocidi dimenticati è attribuibile anche al presidente russo Vladimir Putin distratto da altri interessi politici. Strano, a dire il vero, perché anche in Cecenia, come in Iraq, ci sono tutti gli stereotipi tanto cari ai pacifisti-no global più incalliti: petrolio, gas naturale e oleodotti importantissimi. E pensare che lo sterminio continuo che si sta perpetrando nel Caucaso ha avuto pure la condanna del Consiglio Europeo che ha proposto la creazione di un tribunale internazionale per i crimini di guerra. Nella richiesta formulata dall'Assemblea Parlamentare si legge: “II conflitto in Cecenia è stato caratterizzato da gravissimi abusi, da violazioni delle leggi umanitarie internazionali e da crimini di guerra, compiuti da entrambe le parti in lotta. I responsabili di queste violazioni devono essere portati di fronte alla giustizia”.

Il genocidio in RwandaIl genocidio in Rwanda fu uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete e bastoni chiodati) una quantità di persone stimata da 800.000 e 1.071.000. Le vittime furono in massima parte di etnia Tutsi (Watussi); I Tutsi erano nemici storici degli Hutu, che costituivano l'85% della popolazione e dalla rivoluzione del 1959 detenevano completamente il potere. I Tutsi erano una minoranza rispetto agli Hutu, gruppo etnico maggioritario a cui facevano capo i due gruppi paramilitari principalmente responsabili dell'eccidio. I massacri non risparmiarono una larga parte di Hutu moderati, soprattutto personaggi politici. Le divisioni etniche del paese sono state opera principalmente del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga, che iniziò a dividere le persone con l'introduzione della carta d'identità etnica e favorire i Tutsi, considerati di diversa origine ma anche più ricchi e compiacenti. In realtà Tutsi e Hutu fanno parte dello stesso ceppo etnico culturale Bantu e parlano la stessa lingua. Il genocidio del 1994 si inserisce in un contesto di rivalità etniche bilaterali e stermini di massa che coinvolsero l'intera regione fin dal 1962, per continuare anche dopo il 1994. Teatro degli eccidi, oltre al Rwanda, sono stati tutti i paesi confinanti: l'Uganda a nord, il Burundi a sud (costituiva, insieme al Rwanda, la colonia tedesca Ruanda-Urundi), il Congo ad ovest e la Tanzania ad est. Nel 1959, la rivolta degli Hutu contro la monarchia Tutsi condusse al referendum del 1961 e all'indipendenza del 1962, accompagnata dallo sterminio di oltre 100.000 Tutsi ed alla loro emigrazione in Uganda e Burundi. Nel 1966 in Burundi, una serie di colpi di stato alimentata dalle due etnie si concluse con la presa del potere da parte dell'aristocrazia Tutsi; nel 1972, un tentativo di colpo di stato Hutu portò alla reazione violenta del governo, con lo sterminio di 200.000 Hutu. Nel 1973 in Ruanda, il generale Hutu Juvénal Habyarimana procedette al colpo di stato ed instaurò un regime autoritario nel 1975. Tornando al Burundi, i sanguinosi scontri del 1988 provocarono decine di migliaia di vittime e furono seguiti da un governo parlamentare a maggioranza Hutu; ma l'esercito controllato dai Tutsi scatenò la guerra civile e portò un milione di profughi nei paesi vicini. Nel 1990, il Fronte Patriottico Rwandese (RPF) organizzatosi in Uganda tentò il colpo di stato in Rwanda ed alimentò una guerra civile, cui seguì il genocidio del 1994 e la presa del potere da parte dell'RPF. Profughi Hutu si rifugiarono in Congo, dove furono massacrati a migliaia dai Tutsi nel 1996. La Tanzania è accusata di ospitare ribelli Hutu. La storia del genocidio rwandese è anche la storia dell'indifferenza dell'Occidente di fronte ad eventi percepiti come distanti dai propri interessi. Emblematico fu l'atteggiamento dell'ONU che si disinteressò del tutto delle tempestive richieste di intervento inviategli dal maggiore generale canadese Romeo Dallaire, comandante delle forze armate (3.000

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uomini) dell'ONU.

Il genocidio del Darfur La regione del Darfur (nel Sudan occidentale) dal 2003 è teatro di un conflitto che gli Stati Uniti e alcuni media e studiosi considerano come genocidio. I Janjaweed, gruppo di miliziani appoggiati dal governo, uccidono sistematicamente i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit. Le diverse fonti riferiscono di un numero di morti da 200.000 a 400.000 e di 2 milioni di profughi.

Il genocidio dei KurdiQuesto storia è al centro del nostro tema, come approfondimento principale, pertanto si sviluppa nelle pagine che seguono.

Genocidio Gruppo vittima Intenzione Modalità di

distruzioneNumero di vittime

Contesto interno

Contesto internazionale

Armenia (1915)

Nazionale e religioso (Armeni ottomani)

Eradicazione territoriale totale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

1.400.000

Politica di ridefinizione nazionalista dello stato

Prima guerra mondiale

Ucraina (1932-33)

Nazionale e sociale (contadini ucraini)

Sottomissione politica ed eradicazione sociale parziale

Carestia pianificata 5.000.000

Politica di coercizione totalitaria

Indifferenza della comunità internazionale

Shoah (1941-45)

Ebrei europei

Eradicazione universale totale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

5.200.000 Politica di eugenetica razzista

Seconda guerra mondiale

Cambogia (1975-79)

Politico e sociale ("nuovo popolo")

Sottomissione politica ed eradicazione sociale parziale

Deportazione, carestia, malattia, esecuzione

1.800.000 Politica di coercizione totalitaria

Indifferenza della comunità internazionale

Rwanda (1994) Tutsi

Eradicazione territoriale totale

Esecuzione, stupro di massa pianificato

800.000 - 1.000.00

Politica di ridefinizione nazionalista dello stato

Attendismo della comunità internazionale

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La questione KurdaLa tragedia del popolo kurdo si compie alla fine della prima guerra mondiale. Dalla sconfitta della Sublime Porta nascono 26 stati indipendenti, ma non il Kurdistan. Il trattato di Sévres del 1920 pone le basi di uno stato kurdo indipendente, ma il successivo Trattato di Losanna del 1923 lo ignora e divide il paese tra il neonato stato di Turchia, la Siria, protettorato francese, e il nuovo Iraq, inventato a tavolino, sotto mandato britannico.All'importanza geostrategica del Kurdistan e al ben noto spirito di indipendenza del popolo kurdo, motivo di preoccupazioni per le potenze occidentali, si aggiunge, determinante, ed espressamente citata nei resoconti diplomatici dell'epoca, la scoperta del petrolio nel Kurdistan. Questa risorsa non va lasciata nelle mani di uno stato nazionale, ma suddivisa tra diversi paesi sotto tutela, in cui i kurdi saranno in minoranza. Il Kurdistan diventa “colonia internazionale” occupato da quattro regimi autoritari, sfruttato, attraverso questi stessi regimi, dalle potenze imperialistiche che li dominano. Anche la cultura kurda deve morire insieme ad un popolo che si vuole dimenticare.Il perenne conflitto della Turchia contro il popolo kurdo è lo specchio di un sistema con ideologie e istituzioni che per esistere deve negare i valori di una società umana, democratica e multiculturale. La nazione turca riesce a sopravvivere solo grazie alla guerra e l'annientamento delle libertà fondamentali.I kurdi sono considerati dai turchi come una minoranza pronta a pagare il prezzo della propria coerenza politica ed etica. Il popolo dei kurdi lottano giorno in giorno per riuscire ad ottenere la libertà tanto attesa da migliaia di anni e augurare una vita migliore alle generazioni future. Infatti ancora oggi nel 2008 i kurdi possono essere considerati “un popolo senza nazione”.É necessario introdurre una parola chiave che viene utilizzata frequentemente riguardo alla dinamica kurda in territori turchi.

Tutto comincia con una CostituzioneIl Kemalismo è il nome dato all’ideologia della Lotta di Liberazione nazionale dei popoli della Turchia guidata dal maresciallo Mustafa Kemal Atatürk e culminata nel 1923 con la fondazione della moderna Repubblica di Turchia. Il Kemalismo ebbe una sua prima codificazione nei primi Congressi del Partito Repubblicano del Popolo (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP), il partito unico che guidò la lotta anti-imperialista e l’edificazione della Rivoluzione turca e che in seguito rappresentò il Paese presso la Seconda Internazionale Socialista.Il Kemalismo si basa su sei principi, appellati le sei frecce (in turco “alti ok”):

1. Il repubblicanesimo, per difendere l’organizzazione repubblicana dello Stato contro i tentativi di restaurazione feudale.

2. Il nazionalismo, per garantire la sovranità del Paese e l’appartenenza solidale e l’unità di tutte le persone, senza differenza etnica, che vivono all’interno dei confini nazionali. Atatürk diceva: “Con ragione ci definiamo nazionalisti. Ma noi siamo nazionalisti che rispettano e onorano ogni nazione e che collaborano con ognuna. Noi riconosciamo le rivendicazioni di tutte le nazioni. Il nostro nazionalismo non è in nessun modo egoista e supponente”.

3. Il populismo: esso non solo sta a significare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma soprattutto la difesa di un ordine sociale “per tutto il popolo”.

4. Lo statalismo, che è il modello economico dei kemalisti soprattutto dopo il 1930, ovvero l’intervento diretto e forte dello Stato nel libero mercato.

5. Il laicismo, la chiara separazione fra potere secolare (politica, economia, cultura, servizi, ecc.) e quella religione islamica che per lunghi secoli aveva influenzato lo sviluppo del Paese, ritardando l’emancipazione dei ceti popolari e le donne.

6. Il rivoluzionarismo, che qualcuno ha voluto paragonare al concetto di “rivoluzione permanente” trotzkista, costituisce la difesa dei principi rivoluzionari e la loro continuazione perpetua verso il benessere.

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Religione e kurdi nella storiaSoprattutto in Iraq e Iran, non pochi kurdi dichiarano di non sentirsi musulmani e ricordano che la loro religione era il mazdeismo.Dopo la conquista araba della Medina e della Persia, gruppi di fedeli di Ahura Mazda si dispersero lontano, dando origine a più gruppi e comunità.In Iran sono sopravvissute, almeno fino al 1979, piccole comunità mazdeiche e nelle regione kurde divise tra i confini di Turchia, Iraq e Siria vivono oltre centomila kurdi yazidi, seguaci di una religione sincretica che innesta elementi cristiani e islamici su una base che risale allo zoroastrismo.La conquista islamica si completò in circa tre secoli, a partire dalla battaglia di Kadissija nel 651. Alcuni storici considerano le forzata islamizzazione come il primo genocidio nella storia kurda, per il numero elevatissimo di vittime tra i fedeli di Ahura Mazda. Ma ancor più catastrofiche, se possibile, sono state le conseguenze culturali di quel genocidio. Alla religione Zardashst filosofica, tollerante, rispettosa anche del mondo vegetale e animale, si sostituì una religione assolutista, che considerava la donna una proprietà maschile. La religione islamica ha influito negativamente sull'evoluzione sociale, in particolare sulla condizione femminile, anche se nella società kurda la donna anche dopo la l'islamizzazione ha mantenuto un ruolo importante. Ad ogni modo la donna kurda, a differenza di quella dei popoli vicini, può non coprirsi il volto, vestire abiti dai colori smaglianti e adatti a far risaltare la loro figura, danzano e fanno musica, insieme agli uomini nelle feste popolari, partecipano alle gare di abilità a cavallo.All'epoca della fondazione della Turchia, Kemal Ataturk fece credere ai rappresentanti kurdi che il nuovo sarebbe stato sarebbe stato di fatto bi-nazionale, in quanto turchi e kurdi erano della stessa fede; in questo modo non soltanto ai kurdi venne negata la possibilità di uno stato autonomo: vennero esclusi dalle clausole imposte alla Turchia nel Trattato di Losanna a difesa delle minoranze, che si riferivano soltanto ad alcune minoranze religiose.Ma, per quanto islamici, i kurdi accendono ancora i fuochi sulle montagne, celebrano un Capodanno che ricorda una diversa religione: la differenza etica e culturale può così diventare giustificazione al genocidio. Quando Saddam Hussein decise, nel 1987, la soluzione finale della questione kurda, chiamò Anfal l'operazione di sistematico sterminio dei kurdi; Anfal, dal capitolo VIII del Corano dedicato alla guerra contro gli infedeli, significa “prede di guerra”; in tal modo il genocidio poteva essere presentato come guerra santa a difesa della purezza dell'Islam, di cui allora il laico Saddam Hussein iniziava, strumentalmente, a dichiararsi sostenitore.In Iran, dove il partito autonomista kurdo (Partito democratico del Kurdistan-Iran) aveva contribuito alla caduta dello scià, l'ayatollah Khomeini dopo la vittoria, tradendo gli accordi con i leader kurdi, mandò l'esercito e l'aviazione a massacrare il Kurdistan, in nome dell'unità dei fedeli.

La questione kurda sulla lingua La lingua kurda è indoeuropea, appartiene al gruppo nord-occidentale delle lingue iraniche. È divisa in diversi dialetti regionali; tra di essi i due più importanti, per diffusione e per uso nella letteratura, sono il kurmangi e il sorani.Il kurmangi è parlato dai kurdi nel nord e nell'ovest e cioè in Turchia, Armenia, Siria, e fino al nord dell'Iraq e alle zone limitrofe iraniane. Il sorani è parlato nel Kurdistan centrale e sud-orientale, cioè dalla maggioranza della popolazione kurda in Iraq e in Iran.Il turco è una lingua uralo-altaica, l'arabo è una lingua semita. Si tratta dunque di sistemi linguistici radicalmente diversi e si può comprendere così con quanta difficoltà, e con quanto senso di ribellione, dopo la spartizione del Kurdistan del Trattato di Losanna, debbano adattarsi a universi culturali tanto distanti. Il senso di alienazione è dunque molto profondo soprattutto perché questo popolo è costretto a dimenticare la propria lingua e con essa la propria storia nazionale ed individuale.“La tesi turca della storia e la teoria della lingua del sole vennero create dai turchi, i quali, dall'Asia centrale, si stanziarono ovunque. Pertanto tutte le lingue del mondo derivano dal turco, la lingua del sole”. Besikci mette in risalto il ruolo della Turchia, che si considera superiore a tutti perché è stata la prima, secondo la teoria, a parlare una lingua da cui tutte le nazioni hanno tratto spunto. La lingua

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in questo territorio è un fattore di straordinaria importanza! Pensiamo a cosa potrebbe fare oggi una persona a cui fosse impedita dalla legge la parola: essa dovrebbe vivere come un muto che però manca della parola non per motivi fisici, ma perché sottostà alla volontà di un governo ingiusto. La legge più micidiale è la nr. 2932 del 19 ottobre 1983, chiamata dai kurdi “Bando dell'uso della lingua anche in casa e nell'orto”. In base ad essa chiunque in Turchia può essere imprigionato e torturato per avere detto una sola parola in kurdo in casa propria. L'abolizione della legge che bandiva l'uso della lingua kurda, avvenuta nel 1991, venne messa in atto tranne che in carcere, dove non si poteva parlare con i difensori, i parenti, gli amici perché il carcere è un edificio pubblico.In Turchia il regime si impegna con ogni mezzo a cercare di eliminare quella parte kurda che insinua la loro felice vita. L'atmosfera in cui è avvolto l'intero paese è surreale e tragica. Dal 12 settembre 1980 nessun kurdo può pensare di sottrarsi alla repressione perché bastava essere sorpresi a conservare o aver scritto una lettera in lingua proibita e si veniva fortemente puniti. Anche i contadini dei villaggi più remoti giunsero a capire nella loro ignoranza che il motivo della loro persecuzione stava nel loro “essere kurdi”.“L' ideologia di regime da una parte nega e punisce la realtà di una cultura diversa, dall'altra parte tenta di impadronirsene, in un labirinto di irrazionalità.” L'ideologia elimina la cultura kurda e cerca di renderla utile per arricchire quella turca. Negare la possibilità ai kurdi di comunicare significa porre una grande pietra su una loro possibile affermazione in qualsiasi campo.Besikci afferma il diritto all'autodeterminazione dell'intero popolo kurdo, diviso e colonizzato da coloro che lo vogliono annientare con pratiche di genocidio. I kurdi cercano aiuto nei paesi occidentali democratici per risolvere la situazione, ma questi preferiscono rimanerne fuori.Ahmandi Khani (scrittore scrittore kurdo nato nel 1651 e morto nel 1707) individua nella divisione tra i regnanti kurdi il motivo della debolezza dell'intero popolo del Kurdistan e invoca, contro l'oppressione, la difesa dei valori nazionali e l'unificazione.In sintonia con la lotta incessante del popolo kurdo per la propria sopravvivenza, la letteratura, la musica e l'arte figurativa del XX secolo è permeata dall'affermazione dell'identità nazionale, così come preannunciato da Khani. I temi dominanti sono l'amore per la propria terra e per la libertà, la denuncia dell'oppressione, la sofferenza e l'eroismo dei martiri.Oggi la cultura kurda può svilupparsi soltanto all'estero. Sono numerosissimi gli artisti in esilio che si riuniscono in molte capitali d'Europa per formare organizzazione con lo scopo di pubblicare le loro opere e organizzare mostre. Tra le più note organizzazioni ricordiamo l'Institut kurde de Paris, il Kurdistan Cultural Centre di Londra e l'Institut kurde di Bruxelles.

La Turchia: una repubblica fondata sul razzismoLa situazione in Turchia è disastrosa per i kurdi che sono considerati come degli schiavi in quanto non posseggono alcun diritto e quindi devono ubbidire al padrone “Turchia”. L'unico diritto che hanno è quello di essere schiavi cioè di continuare a vivere e combattere nonostante le loro condizioni di vita. Non hanno alcuna libertà e sono sottomessi alla costituzione turca che non li tutela ma li usa come bersaglio di ogni suo articolo.Infatti la loro lingua è considerata proibita e non può essere utilizzata per esprimersi e parlare. Non può essere pubblicato nulla in lingua kurda. Ciò dimostra quanto sia difficile trovare libri o altro materiale.La Turchia non ammette alcuna scissione dell'integrità della sua terra e nazione. I kurdi sono visti come una minaccia all'integrità dello stato unitario turco.Quando un kurdo dice: “Io sono kurdo” ciò può essere considerato un tentativo di distruggere l'integrità dello stato.Indossare il vietatissimo tricolore kurdo (rosso, giallo, verde) è considerata una pesante violazione.Con la legge del 1991 detta “antiterrore” si inizia a parlare di “terrorismo”, sinonimo di separantismo, a sua volta equivalente a “diversità”. Oggi si sente parlare ogni giorno di terroristi; anche in questi paesi si inizia a radicare il fenomeno.La costituzione e le altre leggi turche riflettono la mentalità genocida della repubblica turca. In questo territorio è presente una variante del nazismo e del fascismo chiamata kemalismo. Non può

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avvenire la democratizzazione perché è presente questo assetto costituzionale. Al di sopra del governo e del Parlamento, ha maggior potere il Consiglio per la sicurezza nazionale (MGK), in cui il presidente della Repubblica e il capo del potere esecutivo sono in minoranza rispetto alle forze militari.Besikci, un sociologo e oppositore turco, spiega i motivi per cui il mondo democratico è responsabile delle ingiustizie presenti nel territorio turco. Passa la maggior parte della sua vita in carcere essendo condannato, per ciò che aveva pubblicato, a duemila anni di carcere. In questo caso si può notare la grande conformità nei confronti delle leggi costituzionali che sono molto precise e pesanti.Il Kurdistan veniva considerata un'entità inesistente secondo il regime, ma nascosta nel territorio tanto da aver portato a guerre e a indurre il potere a rifiutare ogni prospettiva di pace.Il problema secondo i potenti turchi poteva giungere ad una soluzione finale solo riferendosi alla situazione accaduta agli armeni.

La persecuzioneSaadet Akkja, 16 anni racconta: “Sono stata interrogata da 7 o 8 poliziotti che gridavano e dicevano parole oscene; mi hanno tolto la giacca e il reggiseno...poi mi hanno sospesa ad una croce con delle corde; io penzolavo per le braccia. Mi hanno dato delle scosse elettriche alle punte delle dita e ai capezzoli.. Nonostante io opponessi resistenza, mi hanno tolto la gonna e le mutandine, tutti i poliziotti hanno continuato a toccarmi il seno la vagina e le altre parti del corpo. Un poliziotto nudo mi ha violentato..mi hanno sospesa per le braccia di nuovo. Due poliziotti mi tenevano le gambe divaricate. Io ero in preda al panico e urlavo. Sono stata percossa nella vagina con il fondo di una bottiglia, sono svenuta. Quando ho ripreso conoscenza mi hanno portato in cella..Tutte le mutandine erano coperte di sangue e le perdite continuarono per cinque giorni..Sebbene chiedessi costantemente di vedere un dottore, non mi concessero mai una visita medica. La tortura continuò per quindici giorni..” È considerata una delle testimonianze di violenza sui bambini e ragazzi kurdi compiute nel territorio turco. Le parole della ragazza dimostrano come venivano trattati e la loro situazione era peggiore degli adulti perché veniva stroncata la loro possibilità di riformare successivamente il territorio e soprattutto rimanevano colpiti da ciò che succedeva che pesava sul loro prossimo futuro. Erano presenti delle forze governative con compiti di terrorismo chiamate “commando” che compivano raid sanguinosi nei villaggi e nelle città kurde. Le forze armate circondavano le case, uccidevano gli animali domestici, saccheggiavano le provviste, distruggevano i pochi arredi, i poveri oggetti. Radunavano gli abitanti sull'aia e si abbandonavano a ogni genere di violenza. Le violenze sessuali sono le più diffuse perché mirano a distruggere non solo le persone, ma la cultura e il sistema sociale kurdo, fondato sui valori del pudore, dignità e rispetto. Insomma violentare la donna davanti al marito e ai figli è peggio che sterminare la famiglia perché quest'ultima è condannata a una vita di vergogna e di autoisolamento che offende l'intera comunità. Le ribellioni erano punite con una raffica di mitra. I kurdi avevano bisogno di aiuto e si doveva intervenire in modo globale contro la minaccia dell'esistenza di un popolo. I metodi del potere turco non sono lineari e scientifici come quelli dei nazisti. La forma prescelta dalle forze militari è quella del terrore di stato: detenzione di massa, morte o lesioni permanenti fisiche o psichiche da tortura, massacri nelle carceri al minimo segno di protesta. Nelle province dell'est il potere era nelle mani di un prefetto che aveva potere di vita o di morte sui sudditi. La legge nr. 2820 spiega, se ancora vi fossero dubbi, che per il popolo kurdo la via democratica è preclusa e costituisce un crimine duramente sanzionato per legge. Insomma, violentare con ogni mezzo e infine uccidere il detenuto non è peccato (forse è patriottismo) ed è pratica comune.Molti kurdi hanno vissuto il passaggio dalla condizione di vittima inconsapevole alla dignità della ribellione (Harold Pinter, “La Lingua della montagna”).“Mi sentite? La vostra lingua è morta. È proibita...”. Queste sono le parole riferite da un funzionario ad una donna che deve far visita a suo figlio in carcere. Di fronte al figlio, insanguinato e tremante preferisce rimanere muta. Preferisce infliggere il dolore del silenzio piuttosto di accettare la concessione di un potere inumano.

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È una presa di coscienza ciò, l'inizio e il seme della ribellione: invece di rispondere, decide di subire e non di adeguarsi a parlare il turco, perché loro una nazione ce l'hanno anche se non possono esprimerla. Dopo questo primo esempio, moltissime persone kurde si ispirarono al modello e iniziarono tentativi di ribellione.La legge 3713/91, detta “legge per combattere il terrorismo”, di fatto rende “kurdo” sinonimo di “terrorista”. In questo modo la Repubblica Turca preclude ogni diritto a una parte dei sudditi per motivi etnici, diventando istituzionalmente una repubblica fondata sul razzismo.

La resistenza“Se mi dicono: tu non esisti, arrenditi, allora sento il bisogno di difendermi. Non c’è vita nella resa.” Queste sono le parole di Apo Ocalan con cui spiega l’inevitabile resistenza dei kurdi iniziata ufficialmente il 15 agosto 1984. La repressione messa in atto con il golpe del 12 settembre non dava alternative: o scomparire o reagire.Non volendo scomparire, con quali mezzi fare ciò? Impossibile era la via democratica attraverso partiti politici e associazioni culturali. La strada che rimaneva era quella della clandestinità con successiva aperta ribellione.Per i kurdi, Apo è un uomo dalla forte volontà, autorevole, carismatico, ma soprattutto è Apo, lo zio, una persona di famiglia. Quindi è considerato come un idolo.Il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) è nato per dare speranza e voce a un popolo condannato alla morte. Occupandosi di un popolo diverso da quello turco nono poteva che risultare clandestino di fonte alla legge.La resistenza è condotta dal PKK attraverso l’Armata di liberazione del Kurdistan (ARGK) che comprende un “esercito” di sole donne. Il programma del PKK non è nazionalista, ma prevede la convivenza pacifica tra diverse etnie e religioni e si basa sul pieno riconoscimento della libertà di culto e dei diritti culturali. Il partito, nel suo manifesto di fondazione, univa alla lotta di liberazione dal colonialismo, la lotta sociale e di classe, per il superamento delle strutture feudali della società kurda e del sistema economico basato sul potere dei grandi proprietari terrieri. In seguito ad una prima fase di liberazione nazionale segue la fase di rivoluzione democratica. Si viene a creare ben presto un unico movimento chiamato Serhildan (“Su la testa”): un’intera nazione dagli albori degli anni ‘90 ha alzato la testa. Purtroppo la maggioranza turca non ha ancora espresso l’orientamento verso la democrazia, essendo condizionata dalla propaganda di regime.Una data significativa riguardante la resistenza è il 9 luglio 1991: l’esplosione di Serhildan.Una folla immensa seguì a Diyarbakir i funerali di Aydin, un mite insegnante quarantenne, attivista del partito democratico e per i diritti umani, uno dei tanti massacrati dalle squadre di terrore dello stato. In aiuto dei contadini, aggrediti perché tentavano degnamente di seppellire i loro morti, nel 1990, intervengono i guerriglieri. In questo caso resistenza armata e resistenza civile si saldano per la prima volta. Serhildan rappresenta il coraggio di aderire al Tribunale europeo per i diritti umani e ottenere la condanna dei torturatori. Tra i suoi frutti c’è il parlamento del Kurdistan in esilio (PKDW), ospitato a Bruxelles, che si riunisce ogni sei mesi nei parlamenti di altri paesi europei.Serhildan ha voluto dire e vuol dire: “Non mi vergogno di essere kurdo. Non mi rassegno a torture, divieti, umiliazioni. Non accetto la miseria materiale, morale e culturale. Dico no alla distruzione della mia terra, della mia vita e dei miei valori. Di fronte alla violenza non abbasso la testa perché ho una speranza.” Queste sono le dichiarazioni fatte dal movimento che ci fanno capire quanto i kurdi siano convinti che la situazione possa cambiare in meglio rispetto alla situazione odierna.Ocalan afferma che la chiave di democrazia in Turchia, Siria, Iraq, Iran è proprio la liberazione nazionale del Kurdistan. Si crea una prospettiva di federazione dei popoli del Medio Oriente per la pace, la democrazia, lo sviluppo nel rispetto delle diverse etnie e religioni.Ocalan e il PKK dialogano con Ankara, ma quest’ultima ottiene un successo clamoroso con il sequestro e la condanna a morte del presidente stesso del partito. La persecuzione del PKK e del suo leader si fonda sul “terrorismo” applicato contro ogni evidenza di liberazione nazionale che si limita a combattere per la sopravvivenza nel proprio territorio.

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La crudeltà dei turchiL’ideologia ufficiale turca si basa sull’egemonia di una razza padrona ed è per questo che nel territorio è presente un abisso di violenza e a-civiltà.Non soltanto il Kurdistan, ma tutta la Turchia è immersa in un clima di barbarie. Dalle televisioni di stato e private i cadaveri dei caduti della guerriglia, uomini e donne, vengono irrisi ed esibiti per interminabili minuti; forse questo è voluto dal regime per demoralizzare il movimento dei kurdi o per vantarsi di fronte all’opinione pubblica.Il più grave problema della Turchia è proprio l’abitudine al sadismo e alla crudeltà più sfrenata diffuso tra le forze militari e della sicurezza, funzionari compresi. Vengono commesse atrocità nei confronti di neonati, di bambine e bambini torturati a morte e/o stuprati di fronte alla madre, di donne incinte, violentate e uccise.Amnesty International, il 20 aprile 1999, ha presentato alla Commissione per i diritti umani del Parlamento europeo il rapporto “Turchia, il diritto di controllare, investigare, perseguire”, in cui denuncia l’atteggiamento dei diversi governi turchi di fronte alla tortura, i maltrattamenti, la morte durante il fermo e la scomparsa di moltissime persone kurde. A.I. denuncia un clima di paura, l'intimidazione di testimoni, la soppressione delle prove medico-legali e la disposizione di legge che consente di tenere per quattro giorni, in totale isolamento, bendate, le persone arrestate, alla mercé dei torturatori. In seguito all’accusa, anche nei casi più odiosi, i responsabili sono condannati a leggére pene pecuniarie, rimanendo comunque in servizio attivo.Le vittime, i loro famigliari, gli attivisti dei diritti umani che protestano contro questa prassi vengono maltrattati e minacciati, e lo stesso accade a quei medici che registrano accuratamente le ferite dovute alle torture. Vengono mesi in atto veri e propri massacri di folla, in cui il sangue scorre a fiotti. Scene che ricordano il Medioevo. Ciò va al di la di ogni comprensione e raggiunge l’insopportabilità. Vite spezzate senza un motivo concreto.Nel 1995 il PKK aderisce alla Convenzione di Ginevra. Ankara viene invitata a porre fine al micidiale sistema dei guardiani dei villaggi, ma ciò non ha risultato positivo.In Turchia la pena di morte non è più in vigore dal 1984, ma nonostante questo i turchi continuano a dare prova di grande crudeltà e spietatezza nei riguardi dei kurdi. Ciò mostra che non è solo la pena capitale a contraddistinguere un paese incivile da uno civile: bisogna andare più a fondo e non fermarsi solamente a livello superficiale della questione.La guerra e la sua ferocia segnano profondamente l’intero sistema turco. Quella sostenuta è una guerra senza alcun rispetto dei principi morali o legali di lotta. I conflitti degenerano in una violenza senza fine, in un insensato terrore. Questa ferocia mette in crisi addirittura il significato di guerra stessa. Non può più essere una semplice guerra l’accaduto, ma assume un carattere più discriminatorio di genocidio. Un ordine violento e militarista aveva bisogno di un popolo con le medesime caratteristiche e l'èlite dominante ha usato tutti i suoi mezzi per imporsi in ogni campo. Il regime è consapevole di poter sostenere la sua capacità bellica soltanto grazie all’aiuto militare ed economico degli alleati occidentali, USA e Germania prima di tutti. Fa tutto il possibile per assicurarsi la complicità occidentale nel suo progetto di morte.Nonostante tutti gli orrori, è senza dubbio rimarchevole che i kurdi non abbiano mai tradito il sincero sentimento di fraternità nei confronti dei turchi e abbiano insistito nella richiesta di un canale democratico per potersi pacificamente esprimere.

Guerra contro le ideeMusa Anter era un uomo di 74 anni nel 1992 pieno di vitalità che metteva il suo talento di scrittore al servizio della storia kurda e del giornalismo militante. Il 20 settembre di quell'anno venne ammazzato per strada da un sicario. Musa è il simbolo della “strage dei democratici”, scientificamente creata per annientare la società civile del Kurdistan.Dagli inizi degli anni '90 cadono sotto il piombo di sicari o di squadroni della morte, a centinaia, giornalisti, artisti, attivisti per i diritti umani, sindacalisti, avvocati che hanno assunto le difese dei prigionieri politici, medici che hanno curato le vittime di tortura e repressione. Le cellule della kontra-guerilla sono autorizzate a compiere tutte le azioni della “guerra speciale” cioè a usare metodi speciali e tutte le attività clandestine tra cui attentati con esplosivi, assassini,

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sabotaggi, estorsione, violenza ecc. Il Dipartimento della guerra speciale era nato come braccio armato di Glaydo, presente ad Ankara dall'anno in cui la Turchia entrò nella NATO, il 1952. I “metodi speciali” erano in origine destinati a contrastare un'eventuale aggressione esterna da parte dell'Unione Sovietica. L'accordo del 1959 tra USA e Turchia aveva esteso la funzione del Dipartimento alla ribellione interna. All'organizzazione di terrore in seguito si aggiungono le squadre per le operazioni speciali sotto il controllo tripartito della polizia dei servizi segreti e dell'esercito, che operano in Turchia nell'interesse dei membri del governo e in collaborazione con la mafia.Ma come facevano a rendere invisibile questo terrore?Nei primi anni '90 per il terrore di stato viene utilizzata la copertura di una formazione che si presenta come integralista islamica chiamata Hezbollah ( “partito di Dio”). La kontra guerriglia utilizza spie, infiltrati e provocatori. Viene ulteriormente potenziata nel 1995 con i superspecializzati “Rambo”, così chiamati perché addestrati da esperti americani. Essi agiscono in divise nere e a volto coperto. Per questo motivo vengono chiamati “insetti neri”. A fianco dello stato sono presenti le guardie dei villaggi armate e retribuite. Collaborano con il governo alcuni grandi proprietari terrieri del Kurdistan, ancora organizzati secondo le tradizionali strutture sociali delle khal e delle ashiret.Le khal sono clan famigliari molto allargati, sotto la cui protezione possono entrare estranei e sono dotate di piccoli eserciti autonomi. L'ashiret è una ferazione di khal. Il regime turco, negando l'esistenza dei kurdi, si è servito delle strutture sociali arcaiche di questo popolo per dividerlo allo scopo di annientarlo e, nello stesso tempo, per tenerlo in condizioni di arretratezza e di miseria, lasciando la sopravvivenza dei contadini kurdi nelle mani dei latifondisti. Per questo tra i punti più significativi del programma del PKK è presente l'evoluzione sociale e culturale del popolo kurdo basata sulla valorizzazione del ruolo della donna,e la liberazione dei lavoratori dallo sfruttamento dei signori. Inoltre per lo stesso motivo il PKK ha un successo di massa.I villaggi e le città i cui responsabili rifiutavano il ruolo di guardiani sino stati distrutti o assediati dal blocco di viveri e medicinali.La ricchezza dei potenti turchi ha permesso di arruolare ad alcuni capi clan mercenari di ogni sorta.Un'abitudine del regime in cui origine e scopo si identificano è quella che nasce dal principio, sancito per legge, che chiunque metta in dubbio l'esistenza di un'unica identità nazionale, è colpevole di terrorismo ed è quindi membro del PKK. Lo scopo è lo stesso della sua matrice: assimilare al terrorismo ogni manifestazione di pensiero democratico. A differenza del governo che tenta di agire sotto copertura, la guerriglia rivendicale proprie operazioni e ammette anche le proprie responsabilità nelle offensive che non hanno obiettivi militari. Le forze governative agiscono nell'ambito delle loro “legittime” attività speciali di provocazione e strage e spesso vogliono attribuire al PKK la colpa del terrorismo di stato in modo da alienargli il sostegno popolare e screditarlo di fronte all'opinione pubblica.Ritornando all'assassinio di Musa Anter, solo sette anni dopo, alla fine del 1998 un editoriale del quotidiano “Turkish daily News” riconosceva che il misfatto era parte integrante della strategia di guerra governativa.

La violenza come risposta alle paroleA Nusaybin un ragazzo disabile offre ai passanti “Ozgur gundem” (Agenda libera), il quotidiano kurdo di informazione sulla guerra. Il ragazzo che strilla nel pieno della notte sulla sedia a rotelle si chiama Lockman Guzman. Ad un certo punto una Renault bianca si ferma e tre uomini aprono il fuoco contro il ragazzo. I soccorsi sono inutili Lockman muore stringendo in mano una copia del quotidiano intrisa di sangue. Il quotidiano è, indubbiamente, una sfida, che nasce nel pieno della violenza e del terrore di stato. Tutti coloro impiegati nel giornalismo conoscono che la posta in palio è la vita stessa. La stessa sorte tocca a quanti lavorano per i periodici di opposizione, anch'essi perseguitati e infine chiusi. La decimazione dei giornalisti continua per tutti gli anni '90. Questo costringe i giornalisti turchi e kurdi a scelte estreme: l'esilio o la guerriglia.Importante è la storia della giornalista Gurbetelli Ersoz il cui nome datogli dal padre significa “La

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culla dell'esilio”. Per dieci giorni resistette alle torture, ma quando venne minacciata di stupro, firmò la confessione. Venne condannata a dieci anni e ne scontò due grazie ad un organizzazione di avvocati britannici.La scelta dell'opposizione kurda e turca di combattere con le armi dell'informazione è una scelta di civiltà portata avanti con coraggio e determinazione nella consapevolezza dell'alto rischio.Il pilastro giuridico su cui si reggono le accuse ai giornalisti è l'art. 8 della legge nr. 3713 del 1991: “sono vietati ogni propaganda scritta o verbale, ogni riunione, manifestazione, corteo, indirizzati contro l'indivisibile unità della nazione, qualunque ne sia l'idea o lo scopo”. In questo modo può essere bloccata sul nascere ogni manifestazione culturale e democratica che si riferisca all'esistenza di un entità diversa da quella turca. È assurdo collegare nell'ambito del terrorismo chi usa la penna e la parola e non il mitragliatore e le bombe.Il CPJ (Committee to Protect Journalists) con sede a New York, ha pubblicato nel 1999 il suo dodicesimo rapporto, Attacchi all'informazione nel 1998: per il quinto anno consecutivo, la Turchia risulta al primo posto nel mondo per la persecuzione dei giornalisti.

La cultura imprigionataPer contrastare il terrore del regime, nel 1987, viene fondata l'Associazione per i diritti umani di Turchia, presieduta da Birdal ad opera di Nur e Zarakolu insieme ad un centinaio di altri intellettuali turchi e kurdi. “Basta esprimere certe idee o rivelare certi fatti, e si diventa autori-terroristi o editori-terroristi”. Le parole di Nur testimoniano nuovamente il fatto che ogni atto che non era conforme all'integrità dei movimenti turchi veniva identificato sotto il termine di terrorismo.Besikci e Zarakolu hanno in comune con il movimento di liberazione del Kurdistan l'interesse e il rispetto per tutte le diverse culture che in Turchia sono represse. Nel 1991 è stato fondato il Centro culturale della Mesopotamia (MKM), che alle barbarie si oppone con le armi della cultura. Gli artisti di MKM sono costretti a subire violenza ogni giorno fino a giungere a scomparire. Presidente del centro è una donna Nuray Sen, sindacalista. Alla violenza queste persone oppongono la loro determinazione: “un giorno dopo l'altro, andiamo avanti. Se finiamo in carcere o ci ammazzano, qualcun altro prenderà il nostro posto”.

Il coraggio della paceOccorre coraggio per contrastare le autorità ed enunciare che il problema curdo non si può risolvere con la violenza. Ankara continua nella strategia dei cospicui investimenti nelle forniture di armi sempre più abbondanti, sempre più sofisticate e usate esclusivamente contro il popolo kurdo. La spesa per armamenti è anche una strategia, utilizzata per ridurre alla ragione quei paesi che danno pericolosi segni di apertura nei confronti della causa kurda. Il sistema è semplice: non appena un paese si permette di trasgredire ai diktat della città turca, basta escludere le sue industrie da una delle ricorrenti gare di appalto per forniture militari. Ankara sa che le armi sono in assoluto il prodotto più costoso dell'industria dei paesi sviluppati e si comporta di conseguenza. Ha potuto constatare che le violazione dei diritti umani diventano invisibili alla luce accecante dei miliardi di dollari di cui è in possesso grazie a sostanziosi prestiti ad hoc che riceve da Washington. Per questo il presidente dell'Amnesty International-Italia chiede che nei confronti della nazione turca venga posto il blocco delle forniture belliche.Purtroppo la comunità internazionale non ha mai preso in considerazione la semplice misura del blocco della vendita di armamenti: un segno di dissociazione del genocidio, più concreto e più efficace delle inutili parole.Grazie all'orrore delle prigioni e il despotismo delle autorità nasce nelle persone kurde, il desiderio di agire per contrastare l'ingiustizia.Nel giugno 1990 nasce il primo partito pacifista, HEP. Il partito è legittimamente fondato e diretto da personalità kurde con un programma democratico valido per l'intero paese. In seguito alle elezioni politiche del 20 ottobre 1991, per la prima volta, una donna kurda entra in Parlamento. Si tratta di Leyla Zana che durante la cerimonia giura la formula di rito sull'indivisibile integrità del paese e sull'unicità della nazione. Giura in nome della fratellanza tra kurdi e turchi: esplode

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l'assemblea e il paese. Per prevenire uno scioglimento del partito, gli stessi esponenti del HEP fondano il DEP (Partito democratico). Purtroppo il bilancio per HEP e DEP è pesantissimo. La tragica sorte dei due partiti è la prova evidente dell'impossibilità, per il popolo kurdo, di opporsi al genocidio con lo strumento dell'attività politica. Il cuore del problema in Turchia è l'urgenza della pace, dei diritti umani e delle libertà democratiche per entrambi i popoli, turco e kurdo, che vuole rimangano uniti nella fratellanza e non separati dall'odio.

Il ruolo dell’ Occidente La guerra in Turchia è l'unico esempio al mondo di un amplissimo uso di armamenti degli Stati Uniti da parte di forze non americane, secondo Bill Hartung del World Policy Institute . Egli sostiene: «Non riesco a pensare a nessun altro esempio, dall'invasione israeliana del Libano nel 1992 in poi in cui l'arsenale americano abbia avuto un utilizzo così intenso e concentrato. In 15 anni di combattimenti in Turchia sono andate perdute circa 40 mila vite umane, più che nei conflitti della West Bank e del1'1rlanda del Nord messi insieme. I due milioni di rifugiati prodotti dalla guerra in Kurdistan sono pressappoco equivalenti, come numero, ai senzatetto creati dalla guerra in Bosnia, ampiamente riferita dai media, in cui gli armamenti americani non erano un fattore determinante.Invece, il 75% dell'arsenale turco è fabbricato negli Stati Uniti, secondo stime accreditate. Nonostante questi dati, la guerra civile in Turchia è stata scarsamente trattata dai media americani. La televisione raramente menziona i kurdi, a meno che non si tratti dei kurdi in Iraq. [...] I kurdi in Turchia sono "cattivi" perché si oppongono a un alleato degli Stati Uniti. Non ha importanza che i kurdi in Turchia siano quattro volte più numerosi che in Iraq o che entrambe le popolazioni abbiano patito una dura repressione da parte dei rispettivi governi.Dal 1980 gli USA hanno venduto o regalato alla Turchia - un alleato della NATO - 15 miliardi di dollari in armamenti. Nell'ultimo decennio l'esercito turco ha raso al suolo, incendiato, evacuato con la forza più di 3 mila villaggi kurdi. I1 che significa più o meno i tre quarti degli insediamenti kurdi distrutti in Iraq negli anni '80 durante l'infame campagna Anfal di Saddam Hussein, quando l'occidente andava armando l'Iraq e guardava con occhi ciechi le estesissime violazioni dei diritti umani. Nel 1995 l'amministrazione riconobbe che gli armamenti americani erano stati usati dal governo turco in operazioni militari interne «durante le quali sono avvenute violazioni dei diritti umani». In un rapporto ordinato dal Congresso, il Dipartimento di stato aveva ammesso che gli abusi erano stati compiuti anche con l'uso di elicotteri Cobra, di blindati e di cacciabombardieri Fl6, tutti provenienti dagli Stati Uniti. In molti casi, interi villaggi kurdi erano stati cancellati dall'aviazione. Il nostro governo aveva dovuto ammettere che la politica turca aveva costretto più di due milioni di kurdi a fuggire dalle loro case. Human Rights Watch, il gruppo di osservazione con sede a New York [...]. aveva detto che l'esercito turco armato dagli Stati Uniti era «responsabile per la maggior parte delle forzate evacuazioni e distruzioni dei villaggi».Bisogna ricordare che negli Stati Uniti esiste l’art. 502 del Foreign Assistance Act, che proibisce il trasferimento di armamenti ai paesi in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani. Ma aggrappandosi alle eccezioni previste da questa legge e in qualche caso superandola con la motivazione di interessi superiori alla nazione, il governo americano ha sempre evitato di applicarla nei confronti di Ankara. Anche in Italia esiste una legge del genere, la n.185 del 1990, ma nonostante le proteste delle associazioni pacifiste e per i diritti umani non viene utilizzata nei confronti di Ankara e in altri casi. Si sospetta addirittura presumibili complicità NATO, con strumentazioni satellitari e aerei rivelatori, nello sterminio dei kurdi.Nel maggio 1999 la Turchia acquista cinquanta elicotteri Black Hawk dagli Stani Uniti sui quale voleva installare missili prodotti dalla Norvegia: ma l’azienda produttrice dei Black Hawk e la Turchia non erano riuscite a convincere la Norvegia, che rifiuta di vendere armi alla Turchia perché sa che essa vengono usate contro il popolo kurdo. Un esempio, questo, che dimostra come sia possibile, per un paese democratico, mantenere fede ai valori dell’etica senza temere ripercussioni sul piano economico: non risulta che i paesi scandinavi si trovino in crisi rispetto agli altri paesi

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europei, che, come l’Italia, continuano a vendere armi per la guerra di Ankara.A metà del 1996 viene firmato un accordo per la collaborazione militare tra Turchia e Israele, fortemente voluto dagli Stati Uniti. Insieme a questo accordo altri fattori tra i quali l’appartenenza alla NATO, la gigantesca militarizzazione del Kurdistan, il continuo incremento e aggiornamento del potenziale bellico di Ankara, la diga di Ilisu, altra punta di diamante contro i paesi a valle del Tigri e dell’Eufrate, e infine l’oleodotto Baku-Ceyhan disegnano un quadro in cui la Turchia è dominatrice per conto dell’alleato che ha sponsorizzato e pagato la sa potenza. Il ruolo della Turchia, gendarme affacciato sul petrolio del Golfo, portaerei dei bombardamenti sull’Iraq, piattaforma militare di Israele alle frontiere con la Siria e l’Iraq, avamposto della potenza americana, non può lasciare spazio alle ragioni dei diritti e della pace.

Un punto di riferimento: il presidente del PKKDurante l’ultimo decennio del novecento, è presidente del PPK il kurdo Abdullah Ocalan; non è il leader di tutti i kurdi, ma tutti i kurdi, indipendentemente dalla loro origine e dalle convinzioni politiche riconoscono in lui il simbolo della loro speranza di pace e giustizia. Dal quotidiano “ The New York Times” del 20 febbraio 1999: “Le pressioni della diplomazia Americana spalleggiata dal lavoro di intelligence hanno costretto mr. Ocalan a lasciare la sua sede sicura in Siria, hanno persuaso una nazione dopo l’altra a rifiutargli l’asilo, lo hanno spinto in una ricerca sempre più disperata di un rifugio. Da Ottobre in poi, quando mr. Ocalan cercò rifugio in Russia, e poi attraverso l’Europa e infine in Africa, i diplomatici e gli agenti americani si impegnarono nel tagliargli tutte le vie di fuga”.A partire da Damasco ogni governo si piega al volere di Washington.Anche l’Italia, la quale accoglie Ocalan nel novembre 1998 dopo 2 mesi si inchina alle pressioni americane e lo estrada in Grecia. Ocalan verrà catturato da agenti turchi il 15 febbraio 1999. Dall’Unione Europea giungono in seguito alle elezioni del 18 aprile 1999 ad Ankara scontate raccomandazioni perché Ocalan abbia un “processo giusto”; giunge anche la minaccia di non consentire alla Turchia l’ingresso nell’Unione Europea se il leader turco verrà condannato a morte.

Il disinteressamento del regime turco nei riguardi della vita socialeL’atteggiamento dell’Unione Europea sulla questione kurda è stato sempre e soltanto quello di richiamare Ankara al rispetto dei diritti umani, sanciti nei trattati e convenzioni sottoscritti dalla stessa Turchia. In risposta a questo nel maggio 1999 lo stato maggiore dell’esercito pubblica un documento intitolato “Ultima situazione della lotta contro il terrore” in cui dichiara: “La Repubblica turca spezzerà anche gli ambienti esteri che sostengono il terrore e annienterà totalmente l’organizzazione terroristica PPK”. Lo stato maggiore ribadisce inoltre che non esistono altre minoranze in Turchia al di fuori di quelle riconosciute in accordi internazionali (minoranze religiose cristiane e ebraiche, di fatto anch’esse ben poco rispettate). “La repubblica turca è un insieme indivisibile di stato e nazione; la natura del nostro stato unitario è una sola nazione, una sola patria, un solo stato, una sola lingua e una solo bandiera”.Nell’agosto del 1999 tutta l’insufficienza, il disinteressamento sociale viene messo a nudo non da uomini ma dalla natura stessa: un tragico terremoto che è stato lo specchio impietoso della realtà di un paese tanto generoso nel dotarsi di tecnologie e armamenti militari quanto privo di attenzioni per la vita civile. Del potere militare ha messo in luce l’inefficienza, condannata dalla stampa turca e di tutto il mondo, e perfino l’immoralità: sono stati proprio i soccorritori di Israele (i primi giunti sul posto) a informare con indignazione di aver ricevuto l’ordine, dagli ufficiali turchi, di porre in salvo prima i militari per poi dedicarsi alle donne e ai bambini; altra denuncia morale arriva dalla palese intenzione delle autorità turche di non portare soccorso ai poveri quartieri abitati dai kurdi. Nell’organizzare il soccorso, il governo è stato assente, poi indeciso, infine incapace. Ha perfino truccato i dati, fornendo ufficialmente il dato di 15.000 vittime, contro le stime di organizzazioni umanitarie internazionali e dell’ONU di ben 45.000 vittime. “E hanno voluto lasciarli morire” è stato il commento unanime dei testimoni dopo che il governo ha troncato i soccorsi con troppa fretta per far intervenire le ruspe.

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Riflessioni finali:la necessità di modificareil giorno della memoria

“Lo straniero è la faccia nascosta della nostra identità, lo spazio che rovina la nostra dimora, il tempo in cui sprofondano l’intesa e la simpatia. Riconoscendolo in noi, ci risparmiamo di detestarlo in lui… Lo straniero comincia quando sorge la coscienza della mia differenza e finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri”.(Julia Kristeva, Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano 1990)

È importante iniziare a capire che il razzismo è nascosto in ogni persona, nel profondo dell’inconscio. Si manifesta quando qualcosa minaccia la sicurezza e l’identità sembra venir oscurata. Non si mostra diffidenza solo in chi è vicino, ma anche in chi, essendo lontano, non possiamo conoscere direttamente.Oggi si sta assistendo ad una sorta di dimenticanza della natura originaria che sfocia in un razzismo di carattere biologico più rozzo, perché pone le persone come davanti allo specchio. Esaspera la differenza della formazione del cranio, della fossetta cranica, delle increspature delle labbra ecc.Alle soglie del terzo millennio si rende sempre più necessario elaborare i lutti dei tragici eventi che hanno attraversato gli ultimi secoli. In questo modo si può rendere giustizia di una memoria spesso occultata e far pensare sul passato in modo da non comportarsi in modo analogo in futuro.Un tentativo esiste già: la giornata della memoria. Si tratta di un momento dedicato al ricordo dell’Olocausto degli ebrei. Paradossalmente, però, il significato del 27 gennaio viene ricordato a metà, perché vengono dimenticate le vittime di altri genocidi. Alla luce di ciò che sappiamo oggi, non sembra corretto dedicare tale ricorrenza ai soli ebrei. Senza niente togliere alla loro tragedia. Bisognerebbe "allargarla" a tutti i genocidi di ieri e di oggi, senza distinzione. Perché non esistono morti di prima e seconda classe. E le vite degli ebrei non valgono più delle vita di piccoli bambini africani, che muoiono ogni giorno di fame e malattie a causa di un genocidio legalizzato perpetrato dal cosiddetto Primo Mondo.Occorre coraggio per non celare il passato qualunque esso sia e non utilizzare scorciatoie nell’interpretazione degli eventi, ponendo in rigidi schemi ciò che è stato, in cui tutto il bene è da una parte e il male dall’altra. Le versioni semplificate non aiutano perché non destano lo stesso impatto emotivo che si avrebbe con una visione completa che si presta ad una reale conoscenza. Il passato purtroppo come vediamo oggigiorno si ripresenta quindi occorre stare all’erta. Con il progresso molte cose in futuro potrebbero ripetersi e conoscendole potremmo cercare di prevenirle.Dobbiamo iniziare a riconoscere le dinamiche senza restare vittime del bombardamento che subiamo dai media. Veniamo sopraffatti dalle informazioni prendendole per vere, senza accertarci della loro origine.Uno stato che ha il controllo della cultura, ha il controllo dei cittadini. Questo è quello che accade in uno stato totalitario in cui i principi sono il razzismo, il nazionalismo e il pensiero antidemocratico basato sul consenso delle classi medie. Il fenomeno, dal punto di vista letterario, è ben chiaro in “1984” di G. Orwell, dove si ha una mancanza di informazione dovuta all'azione del Partito. Vengono infatti messe in atto misure che tendono a ridurre il numero di vocaboli disponibili, al fine di non consentire ai sudditi di esprimere liberamente i loro pensieri. Inoltre esiste un ministero che ha il compito di modificare il passato, chiamato paradossalmente “Ministero della Verità”, rendendolo conforme alle ultime manovre politiche messe in atto dallo stato. La mancanza di informazioni non permette lo sviluppo di strumenti critici per poter effettuare una scelta cosciente, e porta quindi a seguire la massa (vedi allegato III).Lo stato totalitario è macchiato dalla colpa del male a livello globale, ma anche a livello individuale delle tre figure del triangolo malefico. Questo è un' innovazione delle forme di potere in quanto nulla di simile era apparso fino ai primi del Novecento. Il male può essere presente, o in un singolo

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all'interno del sistema, o nel sistema stesso (vedi allegato II).Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, anche in uno stato moderno il problema persiste. L'eccessivo numero di informazioni e stereotipi, dovuto al bombardamento dei mass media, crea una situazione di appiattimento generale del livello di coscienza del singolo. Non si vengono a creare, infatti, gli strumenti per determinare la propria individualità. Si può notare che la società contemporanea è dominata da una prevalenza della modalità esistenziale dell'avere, che consiste in un rapporto con la realtà basato sul possesso, nella trasformazione delle cose e delle persone in proprietà, e che finisce col fare dell'uomo un ingranaggio di un sistema auspicato dai mass media.Questo fenomeno viene sostenuto inconsciamente dalle nuove generazioni che non mostrano un adeguato interesse nei riguardi della storia. Inoltre questi stati totalitari mettono in atto delle misure in modo da piegare i giovani all’ideologia dominante della società.Il risultato sarà la creazione di scene del male caratterizzate da tre figure principali: spettatore, carnefice e vittima (vedi allegato I).Lo spettatore, che rappresenta il vertice di questa scena triangolare, sta nell’ombra ed è in una condizione di stand-by. È una figura passiva che non si schiera con nessuna delle altre due rimanendo nell’indifferenza.Il carnefice e la vittima sono strettamente collegati tra loro e a loro volta sono vittime del regime totalitario. Vengono create dall’ideologia che giustifica la persecuzione della vittima da parte del carnefice. Entrambi vedono la situazione che è in svolgimento come una sequenza inevitabile.La vittima viene riconosciuta tale solo nel caso in cui l’ideologia che l’ha definita diventerà dominante e condivisa da tutti gli uomini. In questo modo tutti avranno l’impressione di fare la cosa giusta, di non commettere discriminazioni o peccati. Tuttavia i tre vertici del triangolo non sono definiti in modo univoco perché nella “zona grigia” lo spazio tra vittima e carnefice non è affatto vuoto, ma è popolato da varie figure indispensabili per conoscere la specie umana. Queste persone “grigie e ambigue” si mostrano pronte al compromesso per desiderio di potere, frustrazione, sadismo o per mille altri motivi (come detto da Primo Levi, vedi approfondimento II).Un ulteriore importante aspetto che non deve distrarre la nostra attenzione è il lasso di tempo durante il quale hanno avuto luogo questi eventi genocidiari. Una dinamica che genera un piccolo numero di vittime, se prolungato su un arco di tempo molto lungo, porta ad un numero complessivo di morti notevole. Inizialmente non si parlerà dell’accaduto perché l’evento “non fa notizia”. Con il passare del tempo questo fatto diventerà abitudinario e anche un’accentuazione del fenomeno non verrà presa in considerazione. Questo elemento è influenzato soprattutto dalle condizioni di vita del paese delle vittime: dieci morti nella capitale del Togo avranno minore risalto rispetto a due morti a New York.In conclusione dobbiamo incominciare a svegliarci da questa specie di sogno in cui viviamo, aprire gli occhi e renderci conto di tutto quello che ci sta attorno. Dobbiamo costruirci dei nostri strumenti critici per analizzare la realtà, imparare a distinguere le notizie vere da quelle false. Non dobbiamo farci ingannare e confondere dalle migliaia di notizie che arrivano dai mass-media, ma nemmeno augurarci l’avvento di un regime totalitario che invece non permetterebbe la circolazione delle idee. Muoverci come moltitudine e non mescolarci alla massa o diventare spettatori impassibili di atti che condannati solo con le sole parole.Ricordare per poter andare avanti.

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AllegatiAllegato IIncontri sul “Il Male nel ‘900”13/04/08: secondo incontro a cura del prof. GuzziÈ possibile distinguere tra un male condiviso pubblico politico e un male individuale personale, individuale.Il male politico è possibile delinearlo grazie ad un area del triangolo i cui tre protagonisti sono: vittime, carnefici e spettatori. Di questi ultimi avete già parlato nel primo incontro con Donaggio.Per quanto riguarda le vittime possiamo prendere in considerazione il caso del Rwanda, nell’Africa meridionale. Prima hutu e tutzo erano fratelli. Inizialmente esistevano solo differenze economiche. Gli hutu erano i più poveri rimasti ai margini della società. Successivamente giungono i colonizzatori in questa area. Essi spiegano le loro differenze utilizzando la categoria di razza. Prendono dei pesi, delle bilance, degli strumenti e dimostrano che i tutzi sono meglio dei hutu. I tutzi sono più simili agli europei secondo gli esperimenti. I colonizzatori vogliono fissare questa cosa su un documento ufficiale: la carta d’ identità etnica su cui scrivono definitivamente chi è hutu e chi è tutzo. Queste differenze sono diventate rigide con la creazione del documento. Gli hutu iniziamo ad avere desideri di ribalta nei confronti dei vecchi fratelli. Inizia un periodo di scontri violenti tra le due fazioni popolari. La violenza degli hutu può venire giustificata come azione di vendetta e rivolta sociale. Il genocidio della zona è uno dei genocidio più moribondi che conta 1 milioni di morti in 3 mesi . Un fattore di notevole interesse è la rapidità dell’accaduto.Un episodio da ricordare è l’esplosione dell’aereo che sta atterrando con il presidente a bordo ad opera degli hutu. Esistono all’interno della fazione frange più estremiste che dicono come uccidere i tutzi. È in questo momento che la carta diventa fondamentale. Gli hutu sono considerati delle bestie e sono degli scarafaggi da schiacciare. Tramite trasmissioni radiofoniche viene sostenuta la propaganda hutu contro tutti. Essi utilizzano il macete per combattere i loro carnefici. Ritorna al male politico più in generale nel ‘900 si nota che viene messa in atto una strategia di disumanizzazione nei confronti del nemico. Questa è il modo con cui il carnefice cerca di iniziare a colpire la vittima. Con questa strategia si accompagna il tentativo di separare le specie e di risvegliare le distinzioni tra esse. Tramite il processo il nemico viene declassato a un grado inferiore. Se il nemico è considerato un animale, l’atto è più facile. La resistenza morale nel momento di uccisione è sicuramente minore. La dialettica tra il carnefice e la vittima è una relazione tra uomini e animali. Per esempio, il primo passo che viene insegnato nell’ esercito è quello da iniziare a considerare il nemico come animale. Dopo che si spara per i soldati gli avversari erano come animali morti distesi. Questo tipo di vantaggio lo ritroviamo sempre. Per esempio, l’autore del simbolo dell’ immigrato, africano, arabo ,cinese che venivano presentati come caricature può essere compreso nella situazione precedente. Queste cose vengono declassate a goliardia verbale. In molti casi vicino a noi troviamo questo prima anello della disumanizzazione. La propagazione è la medesima che nel caso ebreo.Andare in guerra è come andare a caccia, quindi la persona che uccidiamo è una sorta di non-persona.Nel male di Auschiwtz si è and oltre il primo anello. Anna Arendt, scrittrice filosofa ebrea tedesca ed ha avuto il merito di fornirci l’analisi del regime totalitario. Ella ci informa di un male diverso. Quello che differenzia è il lager. Perché il lager è il laboratorio dell’ideologia totalitario. Il libro “Le origine del totalitarismo” viene pubblicato nel 1951. “I lager servono a compiere l’orrendo esperimento di eliminare in condizione scientificamente controllate la spontaneità stessa.” (H.Arendt)Il totalitarismo vuole che tutto sia sotto controllo. Viene messo in atto un vero e proprio gioco con la società. Non viene tollerata la spontaneità, la vitalità che fa intraprendere nuove iniziative. Gli ebrei venivano portati come animali al macello. Questo è sbagliato perché nel caso ebraico si giunge ad un grado più basso detto cosificazione. Cioè ridurre gli ebrei a oggetti con meno valore

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possibile.Non tutte le vittime sono state ebree, ma tutti gli ebrei sono stati vittime di questo metodo incredibile. Essi possono essere paragonati ai rifiuti. Vengono ammassati in luoghi di raccolta e successivamente questi oggetti rifiuti vanno eliminati. L’inceneritore nel caso dei rifiuti ha lo stesso scopo della camera gas per le vittime della Shoah. Inoltre vengono creati dei ghetti in cui gli ebrei hanno meno diritti. Nel lager viene distrutta la personalità morale. Distruzione dei legami di solidarietà tra le persone. La resistenza organizzata nei campi è pressoché nulla. La personalità fisica in questo modo viene distrutta fisicamente. “Muselman” viene definita la vittima assoluta. Il termine designa l’andatura altalenante paragonata al preghiera degli arabi. Non si tollera la spontaneità, la vitalità con cui viene repressa la volontà a cambiare la situazione e alla ribellione per cercare di mutare il corso delle cose.Primo Levi vuole racchiudere il male in un’immagine di un uomo scarno nei cui occhi non si possa leggere traccia pensiero. Per questo motivo la vittima può essere considerata assoluta.Però ci è rimasto un vertice scoperto; adesso vediamo i carnefici. Allora dobbiamo cercare di vedere se anche con i carnefici questo gioco funziona, perché se le vittime sono delle vittime assolute, ebbene, un po’ per analogia e un po’ anche per logica, diremo che i carnefici sono dei carnefici assoluti. Coloro che hanno compiuto questo male assoluto saranno pure dei carnefici assoluti e quindi per iniziare a parlare dei carnefici dovremo muovere da qualche testo tratto dalla Divina Commedia: d'altronde una delle metafore che hanno spesso usato i sopravissuti appena tornati è dire alla domanda “ma scusa cos’era il lager?” “il lager era un inferno”. Quindi non è che usiamo una metafora impropria; allora le persone che hanno costruito un inferno, le persone che hanno gestito un inferno, le SS i Kapò, sono degli agenti dell’inferno, sono dei diavoli, dei demoni un po diversi da quelli di Dante, che tutti quanti con un po’ di lontananza abbiamo dovuto affrontare nell’inferno, perché questi qua non sono così capricciosi e simpatici che si azzuffano come i diavoli di Dante, sono dei diavoli molto più ordinati, sono una specie di rappresentanti del male che svolgono il loro lavoro con puntiglio, ma questo elemento avremo modo di chiarirlo. Però, insomma, l’organizzazione del lager ha qualche cosa in comune con l’organizzazione capitalistica della società della fabbrica; quindi l’idea degli orari, dei turni e quindi insomma rispetto ai diavoli dell’inferno che fanno un po’ cosa gli pare, questi sono dei diavoli in giacca e cravatta, dei diavoli più ordinati, dovremo partire da un’immagine di questo genere, di un’immagine dell’inferno. E invece partiamo da un annuncio scritto su un giornale del 1971 al New Heaven, una cittadina americana, una cittadina del Connecticut; in questo annuncio di un’università, il dipartimento di psicologia dell’università stessa, cerca dei volontari che si sottopongano ad un esperimento sulla capacità di apprendimento, offrendo qualche dollaro di ricompensa per i volontari, dicono sarete impegnati per un paio d’ore non di più: dobbiamo fare questo esperimento sull’apprendimento e abbiamo bisogno di cittadini che volontariamente vengano qua e vi si sottopongano. Un certo numero di persone va all’università, risponde a questo annuncio, e il ricercatore capo che si chiamava Stanley Milgram li riceve a due a due e inizia a spiegargli in che cosa consisterà l’esperimento. Dice in questo esperimento uno di voi due farà l’insegnate e l’altro di voi due farà l’allievo, sono dei ruoli assegnati così; ci sono nell’aula in cui si svolge l’esperimento due stanzette separate ma contigue e comunicanti in modo che la voce si possa sentire da una stanza all’altra. In una stanzetta va l’insegnante e nell’altra stanzetta va l’allievo; le due stanze sono anche collegate da un macchinario, una specie di generatore di corrente i cui comandi stanno nella stanza dell’insegnante e le cui terminazioni stanno nella stanza dell’allievo. L’impianto nella stanza dell’insegnante ha una pulsantiera e l’allievo vicino a se ha degli elettrodi. Cosa bisogna fare in questo esperimento? L’insegnate deve leggere delle sequenze di parole, delle sequenze casuali, rosso, giallo, sedia, zaino, tavolo, tovaglia, lavagna, e l’allievo le deve ripetere nella giusta sequenza. Se le ripete nella giusta sequenza si passa ad un altro gruppo di parole, se invece lui si sbaglia cosa capita? Capita che all’allievo vengono messo gli elettrodi ai polsi e che l’insegnante lo deve punire. La pulsantiera che vi dicevo, che è comandata dall’insegnante, ha 30 tasti, ciascun tasto corrisponde ad una intensità di corrente, il primo tasto è a 15 volt, e poi a differenze di 15 volt sale, fino a 450. A ogni errore dell’allievo l’insegnante deve schiacciare il pulsante successivo,

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quindi la prima punizione sarà piccola piccola e man mano la punizione sarà sempre più dolorosa. Dice, il ricercatore, perché noi facciamo questo esperimento? Perché vogliamo capire, è un esperimento sull’apprendimento, se sotto la minaccia di una punizione, la scarica, se una persona è più portata, rispetto alla media, a imparare, a memorizzare; cioè capire, se in pedagogia qualche “scapaccione” dato al momento giusto facilita l’apprendimento. Dice Milgram, i ruoli di insegnate e di allievo noi li attribuiamo a caso, e fanno un sorteggio. Succede però che il sorteggio è truccato, perché in realtà l’esperimento non è un esperimento sull’apprendimento, è un esperimento su un altro tipo di cosa e il sorteggio è truccato perché uno dei due che erano stati convocati nella stanza in realtà non ha risposto all’annuncio, soltanto uno dei due ha risposto all’annuncio, l’altro è un complice del ricercatore, il quale è un bravo attore e quindi nel momento in cui finisce a fare il ruolo dell’allievo, perché il complice fa sempre l’allievo e la persona che ha davvero risposto all’annuncio fa sempre l’insegnante, recita come se le cose davvero accadessero; quel generatore di corrente è un generatore finto pure lui, però l’allievo, cioè il complice, che è anche un bravo attore, reagisce alle scariche che gli vengono inflitte dall’insegnante come se davvero passasse la corrente e quindi a intensità basse si lamenta appena e a mano a mano che l’intensità cresce si lamenta sempre di più. E l’intensità cresce, e lui da bravo attore fa un po’ il fessacchiotto, cioè che non si ricorda mai le sequenze di parole, le sbaglia continuamente, e quindi le scariche vengono inflitte con l’aumento costante. Si arriva alle condizioni che questo sbaglia trenta volte e quindi si arriva a dover schiacciare l’ultimo tasto. Succede che l’insegnante che ai primi tasti che sciaccia l’altro mugugna, lui non lo vede poiché le stanze sono comunicanti, si sente la voce ma non si vede per una parete di carton-gesso che divide, e questo fa 30, 45 ed a un certo punto l’allievo inizia a lamentarsi davvero e dire, “insomma basta, mi voglio sottrarre da questo esperimento, fa malissimo, non pensavo fosse così, non me lo avevate detto”. Salendo con le scariche di intensità l’allievo inizia a dire “ma guardate che io soffro di cuore, non ve lo avevo detto, ma con i problemi di cuore queste scariche mi uccideranno”. E bene, un certo numero di insegnanti va avanti fregandosene di quello che dice l’allievo, ma, invece, una buona parte delle persone si interrompe e allora guarda il ricercatore e dice “però rispetto a quello che sta dicendo..” e il ricercatore, che ovviamente si è preparato molto bene, ha trovato una serie di modelli, alcuni più perentori altri più persuasivi, che servono a spiegare all’insegnante che in realtà quello che sta facendo è una cosa che bisogna continuare a fare, perché l’esperimento è molto importante portarlo alla fine, perché quelle scariche per quanto siano forti non uccideranno mai nessuno e non lasceranno danni permanenti, fanno molto male sul momento, ma questo poi una volta …. se ne va tranquillo e quindi, insomma, l’esperimento bisogna condurlo fino alla fine e non sarà per le paranoie di un fifone che noi dobbiamo interromperci prima e queste giustificazioni, ripeto a volte a seconda del carattere del soggetto dell’esperimento, a volte un po’ più severe a volte un po’ più concilianti portano il 65% delle persone che si sono sottoposte all’esperimento ad arrivare a schiacciare i tasti fino all’ultimo, la scarica da 450 volt, quando tutti sappiamo che nelle prese gira a 220 che è già sufficiente per fulminarci. La gente arriva a 220 e va avanti assicurata dallo scienziato, senza problemi, anche quando l’attore dopo una certa intensità smette di urlare, come se fosse svenuto, come se fosse morto, e l’insegnante nonostante tutto va avanti e arriva fino a 450 volt nel 65% dei casi. Allora dice Milgram “che cosa dimostra questo esperimento?” è un esperimento non sull’apprendimento, ormai è chiaro, è un esperimento sull’obbedienza all’autorità, perché mi dimostra che disposizione ha una persona qualsiasi, presa a caso, un cittadino americano tranquillo, che vive con una media cultura, ami infliggere del dolore fisico, anche forte, a un’altra persona, presa anche questa a caso, che lui non conosce, verso la quale non ha nessuno tipo di risentimento personale, dicevamo, ami infliggere del dolore fisico anche forte solamente perché una terza persona, in veste di autorità, in questo caso lo scienziato con il camiciotto bianco e gli occhialini da professore, mi dice che è giusto fare così. E bene, si vede che ha questa domanda che Milgram aveva fatto circolare prima nel dipartimento, tra colleghi, tra gli allievi, ed era venuto fuori che il 4% delle persone sarebbe, secondo loro, arrivato a infliggere la scarica massima; invece succede che il 45%, soltanto perché lui glielo dice, provoca del male, fino a provocare la morte, a una persona verso cui non ha nessun risentimento personale; allora Milgram ha avuto un sacco di critiche, un po’ perché il risultato sconvolge il pubblico “allora

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com’è possibile, allora siamo dei diavoli noi”, un po’ perché gli dicono “questi qua sono degli esperimenti di laboratorio, gli esperimenti di laboratorio hanno il valore che hanno”. Milgram questo lo riconosce e dice “per carità, sarà tutto vero, però fate attenzione perché forse filo rosso che lega questo esperimento di laboratorio alla realtà è un po’ più spesso di quanto voi crediate perché quei tratti del comportamento umano che sono emersi durante l’esperimento sono gli stessi tratti del comportamento umano, che se ben sollecitati, indirizzati, provocati, finiscono per costituire l’ossatura della società totalitaria”. E quali sono questi caratteri? Alcune cose sono quelle che avevamo già detto prima, il fatto di abituarsi abbastanza velocemente alla violenza purché questa cosa sia graduale, non subito da 450. Quindi il fatto che la violenza possa diventare abbastanza rapidamente ruotine, il fatto che si obbedisca all’autorità e che si eviti di esercitare la propria capacità critica, insomma che si sia un po’ creduloni, obbedienza all’autorità vuol dire un po’ questo, davanti alle cose che gli han detto di fare, le facciamo perché ci vengono ordinate, senza andare a pensarci troppo su. In generale un po’ l’idea che tutti quanti abbracciano più o meno rapidamente che il fine giustifica i mezzi: se il fine è quello di condurre a termine un esperimento importante dell’università, noi siamo stati chiamati a questo grande onore di partecipare a questo esperimento, noi dobbiamo condurlo fino al termine, se poi i mezzi non sono proprio dei mezzi ortodossi pazienza. E quindi dice Milgram “adesso poi da New Heaven le persone escono e siamo in una libera democrazia, fuori c’è la democrazia, fuori ci sono i diritti, fuori c’è la bandiera degli Stati Uniti e quindi insomma la cosa finisce li. Ma se noi proiettassimo una situazione del genere indietro nel tempo, ad esempio nella Germania nazista, che cosa capiterebbe?”. E che cosa è capitato davvero c’è lo ha spiegato uno storico che si chiama Christopher Browning, il quale, in un libro, che è anche tradotto in italiano, intitolato “Uomini comuni” racconta la storia di un battaglione della polizia tedesca che tra il 1942 e il 1943 si è reso responsabile in Polonia dell’uccisione di 38'000 persone e della deportazione di 45'000 persone nei campi di concentramento e di sterminio. Browning fa un’analisi molto puntuale delle persone che componevano questo battaglione di polizia, un battaglione di gente che aveva deciso di arruolarsi, gente tedesca, perché non volevano andare in guerra; allora dicevano “se noi ci arruoliamo nella polizia volontariamente non verremo mai mandati al fronte” quindi gente che non ha un grande interesse per le cose militari, “se non dovremo andare al fronte ci verranno assegnati compiti di ordine pubblico con le mansioni che di solito svolge la polizia”. Succede peraltro che l’età media di costoro si aggira sui 40 anni; quindi non è gente che si è formata sotto la propaganda nazista dagli anni 30, è gente che si è formata, che ha vissuto gli anni della formazione nell’età di Weimar, che è quel periodo della storia tedesca che va dalla fine della prima guerra mondiale all’avvento di Hitler che è unilateralmente riconosciuto come uno dei primi esempi di democrazia, un momento di fioritura delle arti, delle città. Insomma gente che si era formata in maniera normale a che dovrebbe essere meno sensibile alla media alle strategie e ai programmi di Hitler perché è cresciuta in un altro ambiente e che ha la capacità di capire. In più la maggior parte di loro viene da Amburgo, che è una delle città meno nazificate della Germania in cui la propaganda nazista aveva avuto storicamente un po’ meno presa. Succede che queste persone ad un certo momento vengono chiamate in Polonia, succede cioè che le SS, visto che la soluzione finale, come avrete già avuto di sentir dire, richiedeva anche l’utilizzo di molti uomini e molte energie, dato che si doveva andare a rastrellare le vittime, trasportarle, organizzare i campi; ad un certo punto decide di chiamare anche questi battaglioni di servizi perché c’è bisogno di manodopera, e quindi non andiamo a guardare se uno è poco nazista o è tanto nazista, li chiamiamo e anche loro svolgeranno il loro lavoro. Vengono chiamati in Polonia e ci vanno; il battaglione 101 arriva in Polonia e non sa qual è la missione che dovrà compiere in Polonia. Lo scopre la mattina dell’inizio di questa missione, ed è a comunicargli il loro lavoro il loro capo, che si chiama il maggiore Frap, il quale li riunisce la mattina presto e dice “signori, adesso vi dico cosa siamo venuti a fare: purtroppo la cosa è poco piacevole, non vorrei mai dirvela, sono costernato, però gli ordini arrivano dall’alto e non si può disobbedire; succede che siamo incaricati di andare in un villaggio, rastrellare la popolazione ebraica, di prendere le donne,i vecchi e i bambini e ucciderli sul posto per poi portarli in una fossa comune e dargli fuoco, gli uomini invece raggrupparli e metterli nei vagoni che li porteranno nei campi di sterminio”. Si diffonde

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naturalmente un po’ di panico e il maggiore Frap avverte “io sono davvero costernato, non avrei mai voluto darvi questo ordine, però gli ordini non si discutono, arrivano dall’alto”. E dice, questa è una cosa importante veramente, “se qualcuno di voi non se la sentisse lo dica subito, verrà esonerato”. Alcune persone, in effetti, dicono “io non me la sento”, vengono esonerate, non vengono costrette a compiere le pratiche di assassinio e alla fine della giornata non riceveranno delle punizioni per questo, gli verranno assegnati dei compiti di sorveglianza generali. Le persone, gli uomini del battaglione 101 si mettono, tra virgolette, al lavoro: quindi vanno nel villaggio e si mettono tra le persone, iniziano a uccidere i vecchi, iniziano a uccidere la donne, iniziano a uccidere i bambini. Alla fine della giornata tornano in caserma e ovviamente il morale è a terra, l’argomento diventa una specie di tabù e nessuno ne vuole più parlare, nessuno mangia, tutti devono molto perché in qualche maniera si dovrà pur dimenticare, si ubriacano, si addormentano. La mattina dopo si svegliano, c’è ancora dell’amarezza, c’è ancora dello stupore, però non c’è neanche il tempo di ragionarci su perché il maggiore Trap li richiama e succede che questa cosa qua non deve succedere solo una volta, succede di nuovo. Vanno in un altro villaggio e fanno la stessa cosa. Aggiunge qui un elemento e dice “adesso nessuno può più essere esonerato”, tutti quanti devono partecipare a questa operazione; lui capisce che se ciascuno avrà l’impressione dell’inevitabilità del crimine che compiono sarà più facile per tutti. In effetti però tutti quanti, anche quelli che il giorno prima si erano volontariamente esonerati forse si sarebbero uniti ai compagni, perché succede che ovviamente qua entra in gioco anche un altro elemento, oltre all’obbedienza agli ordini, c’è quello che potremo chiamare spirito precario, cioè il fatto che la gente è in guerra, che la gente è lontana da casa, è lontana dalle famiglie, è lontana dalle fidanzate, dai figli, e quindi per quanto gli piaccia o non gli piaccia è nelle condizioni in cui il battaglione e i compagni di squadra diventano parte della sua famiglia, diventa un’unica sfera di persone conosciute e quindi succede che le persone che si erano comportate diversamente, che si erano astenute da questa pratica, vengono un po’ escluse dal resto del gruppo, gli viene dato dei codardi, gli viene dato dei cacasotto e quindi c’è quest’idea dello spirito precario che è un altro elemento importante. Comunque il maggiore Trap vieta a tutti costoro che si erano astenuti di continuare ad astenersi e gli dice “dovete partecipare tutti al massacro” e tutti quanti partecipano di nuovo al massacro. Uccidono le donne, uccidono i vecchi, uccidono i bambini, la seconda sera ancora c’è incertezza, c’è malumore, c’è ansia, poi piano piano con il passare dei giorni, con il passare delle settimane, con il passare dei mesi, visto che episodi di questo genere si continuano a ripetere, piano piano, la sera quando si torna in caserma non c’è più quel malumore che c’era una volta: finito il lavoro ci si va a divertire, gli uomini del battaglione 101 vanno in pizzeria, vanno al cinema, vanno a bersi una birra insieme. E questa è un’altra delle cose che ci dimostra come così tranquillamente ci si riesce ad abituare ad alla fine della loro operazione di alcune mesi, non c’è più nessuno che si pone delle domande, che si crea dei dubbi su quello che sta facendo: è diventata la normalità. E allora sei noi, facendo un salto di tempo abbastanza ampio, andiamo a riflettere su un personaggio che avete la volta scorsa già incontrato con Donaggio, cioè Lynndie England, la soldatessa americana con l’iracheno al guinzaglio, noi leggiamo che quando la BBS è andata ad intervistarla e gli aveva chiesto ragione di ciò che aveva fatto, lei risponde “ho ricevuto istruzione da persone di grado superiore di stare li, di tenere questo guinzaglio, loro poi hanno scattato le foto, è tutto quello che so. Certo pensavo che fosse tutto un po’ strano, ma per quanto ci riguarda stavamo facendo il nostro lavoro”. E voi vedete che qua ritornano questi elementi, gli ordini arrivano dall’alto, io quindi non devo esercitare la mia capacità critica, non devo chiedermi se quest’ordine è buono o non buono perché non è giusto andarci a ragionare su, è giusto eseguirlo e basta; è quella che noi potremo chiamare la deresponsabilizzazione, e questo perché, questo perché se noi dobbiamo ritenerci responsabili delle cose che compiano per prima cosa ci può disturbare il sonno, ci può creare notevoli problemi di carattere morale, se invece noi non assumiamo la responsabilità di ciò che facciamo e semplicemente diciamo che abbiamo fatto così perché c’è lo hanno ordinato, noi deleghiamo agli altri questa cosa, un po’ la tecnica dello scarica barile che funziona molto perché ci permette di dormire dei sonni molto più tranquilli. Se noi torniamo al battaglione 101 vediamo che è il poliziotto che spara in testa alla vittima, e però cosa succede, succede che quando poi è stato fatto un processo, il libro di Browning nasce dal processo

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fatto agli uomini del battaglione 101, il soldato semplice dice “si lo ho fatto ma me lo ha detto il mio capo, il maggiore Trap” e il maggiore Trap però, lui lo aveva detto subito, aveva confermato che erano degli ordini dice “io ho dovuto farlo perché gli ordini sono arrivati dall’alto” e probabilmente se noi fossimo andati a intervistare il governatore della Polonia, lui avrebbe detto “si questa cosa è accaduta sul mio territorio, però io non c’entro niente perché l’ordine arrivava dall’alto da Eichmann” e Eichmann probabilmente avrebbe detto “ma signori”, una scusa che avrebbe anche utilizzato in futuro, “ma signori, io con questo non c’entro niente” lui era quello che si occupava dei trasporti, rioccupava di fare arrivare i treni in orario e dice “io con l’uccisione di quelle persone non c’entro niente, il mio unico compito era quello di fare arrivare in quel villaggio il treno all’ora giusta” e probabilmente se si fosse arrivati fino al culmine della catena, cioè fino a Hitler, anche Hitler non avrebbe ammesso direttamente le responsabilità personali, avrebbe probabilmente detto che l’uccisione di quelle persone e la soluzione finale, non è che fosse una mania sua, era una cosa che lui faceva per delle ragioni superiori a lui, per le ragioni della razza, per le ragioni della purezza del sangue germanico e via dicendo con questa catena dello scarica barile. E se torniamo alla soldatessa americana, son passati anni e la situazioni è di tutt’altro tipo, vediamo che la stessa cosa funziona cioè lei dice “ho torturato quelle persone li però era il caposquadra che me lo ha detto”, il caposquadra avrebbe detto “però guardate che c’è un responsabile del carcere di Abu Graib a cui dovete chiedere”, il quale avrebbe detto “dovete chiedere al comandante della zona di Bagdad”, il quale avrebbe detto “dovete andare a chiedere al comandante capo in Iraq”, è come una specie di filastrocca, però una filastrocca tragica dato l’argomento su cui verte, il comandante capo in Iraq avrebbe detto “ma guardate che gli ordini arrivano dal ministero della difesa” e il segretario della difesa avrebbe detto “ma guardate che io non posso muovere foglia che il presidente Bush non sia d’accordo” e il presidente Bush pare che, in un fuori onda, intervistato sulle ragioni del suo intervento in Iraq abbia risposto “me lo ha ordinato Dio”. E quindi voi capite che a questo punto la catena dello scarica barile arriva fino in fondo e il discorso sulle vittime e sui carnefici piccoli e grandi forse deve interrompersi con questo scarto, che andremo a capire su quali basi si fonda, di questa simmetria mancata: abbiamo detto che un male assoluto genere una vittima assoluta, adesso invece il carnefice non è un carnefice assoluto. Il carnefice è l’uomo del battaglione 101, il commerciante di Amburgo che per una serie sventurata di coincidenze finisce a fare quel brutto lavoro in Polonia.Prof. Gullusci: “Posto il problema nell’esempio degli Hutu e dei Tutzi è un esempio che si ferma secondo lo schema del male assoluto al grado dell’animalità. Quello schema li si ferma a questo punto e quindi lo spieghiamo in altri termini o lo possiamo affiancare al discorso del male assoluto e allora anche quello ha qualche elemento in più; c’è una semplificazione anche del processo di sterminio, di guerra civile tra Hutu e Tutzi?”Prof. Guzzi: Il discorso, ovviamente, anche del genocidio in Ruanda è una cosa su cui si sta riflettendo molto perché ha una serie di cose che differenziano anche il genocidio in Ruanda da altre forme più blande di male politico. Quando noi però diciamo che il fascismo e il nazismo hanno posto un esempio di male assoluto e andiamo a cercare di individuare alcuni elementi noi arriviamo a quel gradino che scende dal discorso dell’animalità che, abbiamo detto essere una cosa più comune, una cosa più frequente, a quello delle cose, a quello degli oggetti, fondamentalmente, non perché questa cosa non sia accaduta mai in altri casi perché sicuramente nella letteratura sul Ruanda non è ancora molto approfondita però non è mai accaduto a quelli livelli, non è mai accaduto con quella frequenza, non è mai accaduto così come dire sotto la luce del sole, mentre il processo della decodificazione, nella traduzione finale è avvenuto più alla luce del sole, non i lager, come voi insomma sapete che in realtà erano tenuti il più possibile nascosti, però se pensate hai ghetti all’interno delle città c’è un livello di distruzione del nemico ben più veloce. Il discorso del male assoluto appunto si lega anche ad altre cose. Succede che nel 2000 il parlamento italiano decide di celebrare il 27 gennaio come il giorno della memoria e succede che nel 2005 l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, decide di stabilire il 27 gennaio come il giorno internazionale della memoria e dalla Shoah. Porf. Guzzi: Succede che i campi di sterminio vengono un po’ nascosti agli occhi della popolazione

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e infatti tutti i 6 campi di sterminio non sorgono in Germania, sorgono in Polonia, in luoghi un po’ fuori mano, un po’ fuori campagna. Succede però poi che c’è stato un signore che negli anni 70, un intellettuale francese, si è dedicato nel fare un film sulla Shoah, e decise di fare un film andando a ripercorrere i luoghi in cui lo sterminio era accaduto; ultimamente sull’idea un po’ simile è uscito un film su Primo Levi che si chiama “La strada di Levi”, e anche quello cerca di ripercorrere le tappe che Primo Levi ha fatto per ritornare dal campo di Auschwitz a Torino. In questa idea di ripercorrere i luoghi a distanza c’è un po’ l’impressione di, direi magari nel ripercorre un po’ quei luoghi adesso magari però vedi delle cose che ti fanno capire qualcosa del passato. E l’intellettuale francese ad un certo punto va in Polonia, va a Auschwitz, va alla stazione che è ancora presente, si fa il giro della città e va nei pressi del recinto del campo di sterminio, poi va a Treblinka, un’altra città dov’è sorto un altro campo di sterminio e va alla stazione, si guarda intorno, si fa indicare fin dove arrivava il campo di sterminio e si accorge di una cosa: si accorge che intorno al campo di Auschwitz e a quello di Treblinka ci sono delle casupole di contadini con le loro stalle, i loro pollai e quindi chiede “ma abitate qui da tanto o abitate qua da poco?” e loro gli dicono che abitavano li da tanto, “ma avete visto quello che è capitato?” “si, lo abbiamo visto”. Allora ovviamente quelli li sono degli spettatori che hanno avuto un coinvolgimento maggiore, perché quella li è proprio gente che ha visto quello che accadeva e che bene o male non si è preoccupata molto di quello che accadeva, è entrata abbastanza facilmente nel sistema, per paura fondamentalmente. Però è vero che, ad esempio in Polonia, l’antisemitismo che era una cosa di tradizione anche più antica resiste dopo la fine della seconda guerra mondiale perché la distruzione finale ha eliminato quasi completamente la popolazione ebraica-polacca che contava 3 milione e mezzo di persone e che alla fine della seconda guerra mondiale ne contava più soltanto 300mila. Ma succede che nel 1946 in Polonia avvengono ancora dei “pogrom”, cioè quei fenomeni di odio popolare nei confronti degli ebrei, e quindi questo dimostra che in realtà non avevo fatto niente sul momento ma c’era anche un po’ di coinvolgimento e di partecipazione perché se dopo tutto questo che è capitato e che noi abbiamo avuto, bene o male, notizia ancora facciamo dei “pogrom” in effetti nei casi più forti, tanta da altra parte in realtà lo spettatore ha un ruolo marginale semplicemente perché non gli capita di dover guardare niente perché le cose capitano lontano da lui; ad esempio un abitante contadino vicino ai campi di concentramento, visto che le cose non venivano sotto il nazismo, lo avrà scoperto con un certo stupore molto dopo. Nelle prime pratiche che vengono fatta di uccisione nelle camere a gas, forse voi sapete che i capi nazisti iniziano a pensare a dei modi per eliminare le vite indegne di essere vissute iniziamo con i minorati mentali e a Berlino avviene un programma che si chiama T4, dal nome della strada in cui sorge l’edificio in cui si volge il programma, e in questo edificio, una specie di clinica, iniziano a fare i primi esperimenti con i gas, cioè iniziano a compiere le prime uccisioni dei minorati fisici e dei minorati mentali. Lo fanno molto di nascosto, lo fanno cercando di simulare la vera funzione di quel edificio, però ad un certo punto per le strade inizia a circolare l’idea di cosa si stia li dentro facendo e il programma T4 si ferma e si capisce che non si può proprio fare una cosa così a Berlino, e quindi insomma l’idea che lo spettatore bisogna renderlo complice perché non è così difficile, perché appunto per la paura per il fatto che se fanno del male ad un altro insomma io se non vengo toccato posso chiudere un occhio, però appunto non troppo alla luce del sole, un po’ di nascondimento ci deve essere, i campi di concentramento sono circondati dal filo spinato che ha una funzione di dire “tu qua non puoi entrare”. Quando nella comunità internazionale si conosceva la presenza dei campi di concentramento e di sterminio, perché si è dimostrato oggi di larga conoscenza, perlomeno gli inglesi e gli americani ad un certo punto lo sapevano, la Croce Rossa, il Vaticano lo sapevano, quando la Croce Rossa chiede di poter fare delle ispezioni nei campi di sterminio in realtà c’è molta difficoltà e i nazisti cercano di dare l’impressione di una prigione sicura in cui non capitavano quelle cose, quindi insomma non c’è da quel punto di vista l’arroganza di dire “queste cose ve le facciamo in faccia”, cioè insomma è vero che la gran parte delle persone sono rimaste escluse, certo è che nei caso che vi dicevo prima, nel contadino che abita ai bordi del campo di concentramento o nelle città vicine, pensato alla città di Varsavia che era un ghetto gigantesco in cui si viveva in condizioni terribili; se qualcuno di voi ha visto “Il pianista” c’è una bella rappresentazione di quella cosa, e che la gente da fuori dalle mura

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guarda le persone del ghetto come guarda gli animali entrare nelle zoo, e quindi qui certo la funzione di spettatore è una funzione che ha certo una coinvolgimento maggiore.Una ragazza: quando siamo a scuola ci viene sempre da parlare del nazismo, di Auschwitz; io vorrei sapere anche magari qualcosa in più di queste cose qua, perché secondo me, cioè nessuno ci parla mai, nessuno ci fa vedere film su quello che ha fatto il comunismo, cioè non sembra che noi facciamo un po’ gli spettatori?Prof. Guzzi: ma si, però si ricollega a quel discorso con cui avevamo iniziato, di dire perché Auschwitz è una male assoluto? Perché in effetti, in una obbiezione come la sua, vale in moltissime altre situazioni; parlando di cose che son avvenute nello stesso tempo vale ovviamente con il sistema sovietico, però parlando di altre situazioni, perché Auschwitz e non altre? Ci sono altri fenomeni come il genocidio degli armeni, una cosa che è capitata nella prima guerra mondiale, quindi comunque nel 900 ma che nessuno ne parla. Del Ruanda adesso si parla perché ci sono le TV, i mezzi di informazione sono più rapidi, ci sono i giornalisti, ma probabilmente sennò del Ruanda non s’è né parlerebbe; ma comunque Auschwitz adesso è simbolo del male assoluto, quando l’ONU decide di fare la giornata della memoria, non fa la giornata della memoria della shoah, dei gulag, del Ruanda, degli armeni, fa una giornata della memoria su Auschwitz ed è per questo la ragione che Auschwitz è un male assoluto, una male che più male non si può. L’idea della comparabilità tra questo male assoluto e altre forme di male, cioè tra il dire “son tutte forme di male allo stesso livello” o “c’è né una che è più male delle altre” è una discorso ovviamente molto complesso, molto complicato, che molto spesso è iniziato una po’ dall’ideologia: a me fa comodo dire che Hitler è peggiore degli altri perché voglio dimostrare che i movimenti liberatori di estrema destra fanno più male degli altri; un altro può dire “no, a me interessa dimostrare che Stalin e il comunismo è come Hitler o peggio di Hitler” perché ci interessa ideologicamente dire che il comunismo è meno male di altri. I turchi dicono “noi neghiamo il genocidio armeno perché noi non vogliamo ammettere che gli armeni avevano delle legittime dimostranze ed era giusto concedergli l’indipendenza”, il problema è che molto spesso questo discorso sulla comparabilità viene influenzato dalle ideologie ed è molto difficile in effetti levarsi questo problema. Però se noi dal piano delle ideologie, dal piano della politica andiamo al piano della storia possiamo vedere che cosa c’è di simile e che cosa c’è di diverso; e se noi vogliamo andare a vedere un elemento che contraddistingue il male nazista e lo rende peggiore di altri mali, peggiore di altri genocidi, peggiore anche dello stalinismo dobbiamo capire se c’è un elemento che lo differenzia: al di là dei morti, al di là del conteggio dei morti, perché noi siamo qua per affrontare la cosa con un taglio concettuale, con un taglio politico, certo che a numero di morti è vero fare questo discorso, però allora i conquistadores nell’America latina han fatto 56 milioni di morti, altro che Stalin e Hitler ed altri tutti messi insieme. Dobbiamo vedere se c’è qualcosa di diverso, e qua torniamo un po’ a quel discorso di Hanna Harendt che dice che la cosa che c’è di diverso è il lager, diciamo che lei non distingue tra campo di concentramento e campo di sterminio, mentre sta tutta li la differenza; poi anche lei fa la differenza tra stalinismo e nazismo però il nazismo e lo stalinismo li mette nella stessa categoria del totalitarismo, poi dice che nel nazismo è successo qualcosa di peggiore perché dice che il nazismo è come l’inferno, cioè che il lager nazista è come l’inferno e che il gulag è come il purgatorio che però non è una distinzione di grande peso politico, bisogna ammetterlo. Però dice che i campi ci sono, ci sono i gulag e ci sono i lager, sono la stessa cosa e si produce lo stesso tipo di male, cioè dove sta la differenza secondo Harendt? Nel fatto che il male nazista è una male un po’ più male perché è un male radicale, cioè il fatto che io voglio eliminare una parte della popolazione, non perché sia un mio oppositore politico, non perché impedisca la realizzazione dei miei progetti politici, ma semplicemente perché io ho un’ideologia razziale dietro per la quale sono sporchi, sono brutti, puzzano, sono infettivi, li voglio eliminare per quello non perché mi impediscano di conquistare l’Austria, perché mai nessun ebreo si è messo li davanti a proteggere i confini dell’Austria. Mentre cosa capita, capita che da un punto di vista politico l’ideologia comunista e l’ideologia si Stalin è un pervertimento, è una cosa terribile di un disegno diverso, di una movimento che appartiene di più ai movimenti politici della storia, cioè di dire “io cerco di eliminare il mio oppositore”, di eliminare colui che cerca di opporsi al mio piano, alla mia idea di

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società, e allora se la mia idea di società, la dittatura del proletariato e l’eliminazione della proprietà privata, i proprietari terrieri che si oppongo all’espropriazione dei loro territori e alla condivisione, questi qua li devo ammazzare perché questi qua si oppongono ai miei piani, come gli armeni che se mi rompono le scatole, vogliono l’indipendenza, gli dico no e questi mi fanno gli attentati alla fine dovrò punirli in qualche maniera, devo uccidere il mio oppositore politico prima che lui uccida me, e lo faccio per conservare il potere e questa è una cosa che tutte le dittature fanno di eliminare gli oppositori politici. Anche il nazismo è iniziato così, prima che avesse le manie della razza degli ebrei, degli omosessuali, degli andicappati e tutte queste cose che non riguardano caratteristiche politiche ma caratteristiche umane, con chi se la sono presi? Con gli oppositori politici. I campi di concentramento li hanno aperti nel ‘33 per metterci i comunisti perché i comunisti erano quelli che più si opponevano al loro disegno, che non accettavano la loro dittatura e quindi le prime persone vittime del nazismo sono stati i comunisti e in questo non c’è nulla di differente: da una parte ammazzavano fascisti e nazisti dall’altra fascisti e nazisti ammazzavano i comunisti; sono cose terribili però sul piano concettuale la differenza dove sta? Quando parliamo del campo di concentramento, dei gulag siamo su un livello, il campo di sterminio è un livello diverso ed è un livello che solo nel nazismo si è praticato e questo perché? Perché io non solo prendo come oppositori politici, come nemici non dei nemici che realmente ostacolano il mio progetto politico ma anche dei nemici che ad esempio Harendt chiama oggettivi, cioè decido che quello è mio nemico perché è mio nemico, una specie di tautologia, lui è mio nemico perché è ebreo, queste spiegazioni sono stupide, perché è brutto, perché è stupido, perché è avaro sono delle cretinate; è in più lo faccio e lo inserisco in una sistema nuovo cioè il campo di sterminio e in questa cosa l’unificità del nazismo da un punto di vista storico-tecnico è forse l’argomentazione più forte e ciò che la dimostra è stata data dal più grande storico del nazismo, seconde me lui, tra tutte le dimostrazioni della shoah né da una più convincente perché lo da sul piano storico e dice campo di sterminio perché, perché qua noi uniamo due cose che sono vecchie come il mondo, una per lo meno più dell’altra, e per la prima volta le troviamo collegate insieme, cosa sono queste cose che uniamo? Uniamo l’assassinio di massa, che è una cosa veramente vecchia come il mondo, perché da quando c’è il mondo ci sono le guerre, ci sono le fabbriche di sterminio, la storia dei popoli antichi e moderni è piena di assassini si larga scala, non c’è nulla di nuovo in tutto questo. La combina con un’altra cosa, che è il campo di concentramento, pure questa anche se più recente non è nuova, perché il campo di concentramento viene inventato dagli inglesi, che lo fanno in Sud Africa, poi dagli spagnoli, che lo mettono a Cuba, poi dagli statunitensi nelle Filippine agli inizi del 900 e il campo di concentramento era una prigione a cielo aperto, un po’ perché era più facile costruire un campo che un edificio, un po’ perché nel campo di mettevano gli oppositori che bisognava un po’ fiaccare, li si lasciava li un certo numero di anni, mangiano di meno, lavorano duramente, capiranno la lezione. Però non nasce una cosa particolarmente crudele rispetto ad altre forme di male politico puro; una specie di prigione a cielo aperto. Anche agli inizi del nazismo, dicevamo, i campi di concentramento nascono nel 33 ben prima della soluzione finale che inizierà ben 10 anni dopo, e nascono per gli oppositori politici, per i delinquenti comuni, ovviamente quando aumenta il numero di delinquenti nelle prigioni cosa inventano? Inventano il campo di concentramento, e deportano comunisti, liberali, tutta la gente che si oppone all’idea del partito unico. Con la decisione della soluzione finale, per la prima volta nella storia queste 2 cose vengono messe assieme, dove io unisco l’assassinio di massa e lo metto insieme al campo di concentramento, faccio questa cosa perché? Bho, non si capisce perché, in effetti perché devo andare a prendere gli ebrei, caricarli su una nave, su un treno, attraversare Italia, Austria, Polonia, lasciarli in un campo, riprenderli, portarli in Germania, di nuovo in Polonia, poi li porto li e li uccido, ma ammazzali la no? L’idea è proprio è proprio di unire queste due cose, i nazisti volevano unire queste 2 cose, l’assassinio di massa e il campo di concentramento per creare un modello nuovo, di eliminazione controllata e scientifica del nemico, che davvero mutua certe cose dal sapere industriale, dal sapere tecnico, Hitler era un grandissimo ammiratore di Ford, perché apprezzava la catena di montaggio, come lui produceva automobili lui produceva cadaveri, però l’idea del campo di sterminio e in effetti da questo punto di vista, noi parliamo sempre di Auschwitz come simbolo della Shoah, ma Auschwitz aveva al suo

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interno un campo di sterminio, che era il campo di Birkenau però Auschwitz era un campo molto grande, perché aveva delle zone di concentramento, aveva delle fabbriche, come dice Primo Levi, lui lavorava in una fabbrica, e quindi insomma era una cosa molto più ampia. Treblinka, che era un campo interamente dedicato allo sterminio è forse il vero simbolo della Shoah, era un posto molto piccolo che aveva la camera a gas, il crematorio e 4 baracche, 2 per le SS che lavoravano li e 2 per i membri del Sonder Commando, gli squadroni speciali di prigionieri che erano incaricati di svolgere il lavoro brutto, perché i nazisti volevano sporcarsi le mani fino ad un certo punto e quindi davano a loro il campito di, già lo sapete, di spogliare i prigionieri, di raccogliere le cose, di portarli nella camere a gas, di portare i cadaveri nella fossa comune, di dargli fuoco, di prendergli le cose, cioè il lavoro sporco veniva fatto dal Sonder Commando, i quali avevano una vita un po’ migliore per un po’ di giorni, poi in realtà il Sonder Commando aveva una vita abbastanza breve, e la cerimonia di insediamento del Sonder Commando nuovo era la soppressione del Sonder Commando precedente. Succede che a Treblinka con questo sistema pochissime persone sopravvivono. Se ne salvano pochissime, se ne salvano 3: una perché riesce a scappare, e due perché quando arrivarono i russi e i nazisti smantellavano Treblinka, Treblinka la fanno esplodere, spianano la terra, costruiscono una fattoria e ci mettono a vivere i polacchi e gli dicono “se in futuro qualcuno vi chiederà, quando arriveranno i russi, da quanto siete qua dovete dire che siete qui da sempre”, quindi cancellano completamente le tracce, prima di fare tutte questo ammazzano le ultime persone li e ammazzano il Sonder Commando e due di loro, come a volte capita in questi casi si fingono morti, vengono feriti e si fingono morti, cioè a Treblinka, in cui sono stati uccisi 1 milione di persone, se ne sono salvate 3; in nessun campo in Ruanda, nei gulag o in altri campi nazisti la mortalità è stata del 99,99%, nei campi di concentramento nazisti si era più o meno alla metà, nei gulag sono sopravvissute, come dicono gli storici, circa il 70% delle persone. Questa è l’idea che il campo di sterminio ha quella particolarità che lo differenzia, da un punto di vista concettuale, il male di Auschwitz e partire il male assoluto, e patire, per riprendere quello che dicevo prima, nel 2005 l’uomo dice facciamo la giornata della memoria della Shoah, non perché siamo fanatici della Shoah, ma perché nella Shoah quella catena che parte dalle piccole cose e che anello dopo anello porta a quelle conseguenze estreme, a quella conseguenza estrema finora, perché poi ne vedrete ancora di peggio, è arrivata solo in un caso; in quella specie di grande mito poi spiegato di razionalità, di irrazionalità, di grande razionalità tecnica e scientifica in una specie di regresso morale e scientifico, insomma quelle grande contraddizioni. Ma se andiamo sul piano della storia, gli storici ci dicono “guardate che la grande differenza non è questo o quell’altro, è il campo sterminio. C’erano in Russia i campi di sterminio? No. C’erano in Ruanda i campi di sterminio? No. C’erano in Armenia i campi di sterminio? No. Allora noi dobbiamo dare a quel male li una connotazione diversa, e quindi scegliamo la Shoah per delle ragioni colturali, un po’ perché sono vere e un po’ perché è una mania, ma anche perché ci sono delle cose che sono vere. L’impressione che si ha è invece che la Shoah sia ricordata per quello shock culturale, questa è un po’ la cosa che esiste; cosa capita con la Shoah? Capita che, voi pensate alle grandi idee di fine ‘800, il progresso delle arti, il progresso della tecnica, va tutto a gonfie vele, siamo incamminati, non so se avete la filosofia dietro, siamo incamminati in una strada, sia al completamento, al raggiungimento di un percorso lungo che finalmente adesso sta arrivando al termine perché così bene non siamo stati, così interessati per la tecnica, per le arti, per la cultura, c’è il convincimento, un po’ illuminista che piano piano si conferma, del fatto che siamo avviati su una strada ormai spianata, in cui consolideremo le nostre conquiste e in cui la civiltà non è più messa in questione. Succede poi che proprio questo grande entusiasmo, finito un po’ con la prima guerra mondiale perché la prima guerra è una guerra che insanguina l’Europa e quindi già lì si capisce che forse non era il caso di essere troppo ottimisti con il futuro, ma poi con il nazismo sprofonda in un grande turbamento; il fatto che noi occidentali consideriamo sta roba della Shoah in maniera molto forte è anche perché la Shoah c’è ancora adesso: voi dovete pensare, appunto, che questo improvviso sprofondamento di una società che si pensava avviata a un progresso e a un perfezionamento ormai senza ostacoli non è che avviene in qualche posticino ai confini dell’impero, avviene nel cuore di quella cosa, avviene in Germania, nella Germania di Weimar e quindi questa cosa turba molto, e poi come avviene? Non è che Hitler

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vuole il potere e fa un colpo di stato, viene eletto democraticamente con un supporto; e quindi voi capite che tutto ciò è incredibile, è come se noi avessimo costruito un grande castello e questo castello improvvisamente ci crollasse. Ma che progresso e progresso, ma che civiltà e civiltà stiamo sprofondando nella barbarie, questo è uno shock che affligge la Germania e che affligge tutti i paesi che hanno avuto responsabilità con la soluzione finale, quindi tutti i paesi d’Europa in pratica, chi più direttamente, come l’Italia che era alleata, chi in maniera leggermente più indiretta, dico la Francia che ha avuto grandi frange collaborazioniste, dico tutti gli altri paesi che avevano avuto un rapporto, perché tutti i paesi hanno avuto rapporti: esempio il Belgio l’altra settimana il parlamento ha accurato le responsabilità della polizia belga nelle deportazioni; per quanto riguarda la Francia, era stata occupata e c’era il regime del maresciallo Petain, che era un regime collaborazionista, però la Francia era vittima, la repubblica francese non si è macchiata di alcun crimine, è lo stato usurpato del maresciallo Petain che ha reso la Francia una vittima; poi dopo le ricerche degli storici dimostrano che quando andavano a Parigi a rastrellare gli ebrei ci andavano le SS con l’aiuto della Gendarmerie. Le responsabilità più diffuse e questo trauma grande che c’è in Germania ovviamente lo estendono a tutta Europa, quindi sicuramente c’è quest’idea dello shock culturale, del fatto che ci è capitata una cosa che non ci aspettavamo e ci è capitata in un modo che non sappiamo bene come spiegarci e poi c’è nei confronti degli ebrei la consapevolezza che gli ebrei sono quelli che più hanno affermato la specificità del male che gli è capitato perché con gli omosessuali, con i testimoni di Geova è una cosa che è venuta molto dopo.Prof. Gullusci: abbiamo letto un articolo che parlava e spiegava di un esperimento particolare; forse la mia allieva, dato che stanno facendo un’area di progetto sull’evoluzione, la contaminazione tra teologia e società ovviamente è facile; io sono convinto che la spontaneità certamente è la caratteristica dei corpi viventi, figuriamoci delle persone. L’uomo è forse l’animale che più si adatta però credo che finisca tutto lì; su questo l’uomo è artificiale, è costruito nell’ambito delle relazioni. Allora leggo, un’università americana ha fatto questo esperimento: ha preso due gruppi di 130 studenti in età compresa tra i 18 e i 20 anni; ha messo il primo gruppo per due giorni a giocare con i videogame con giochi violenti e gli altri 130 in biblioteca a leggere. La settimana successiva i 260 tutti insieme hanno assistito alla proiezione di filmati, tg e documenti di avvenimenti di guerra con bombe, morti e cadaveri, bambini dilaniati e ordinario orrore dal mondo. Tutti gli studenti avevano addosso strumenti per misurare il battito cardiaco e la sudorazione. I 130 della biblioteca hanno reagito con tachicardia e paura di fronte allo spettacolo del pericolo e della tragedia; i 130 dei videogame non hanno manifestato nessuna reazione apprezzabile ovvero nessuna emozione. Il medico che commentava la ricerca a un gruppo di colleghi e amici ha commentato così: “sono convinto che tra 5 anni ci uniremo per come discutere su come trattare i danni provocati a un’intera generazione dalla violenza omeopatica dei videogiochi capaci di anestetizzare il senso di responsabilità e di realtà”. Mi sembra che questo possa essere un contributo a quest’idea, a questa nozione dello spettatore che credo sia sempre una nozione artificiale di condizionamento, di situazioni e che non ci sia una radice biologica che spieghi tutto questo.Porf. Guzzi: lo shock che nasce dal sentire queste cose, lo shock che nasce dall’esperimento di Milgram, si riflette all’indietro su questo shock che dicevamo che tutta l’Europa ha, che capita nel cuore della civiltà delle civiltà; tutto questo, dicevamo, ci lascia profondamente turbati, per di più le responsabilità sono le responsabilità che hanno gli spettatori, i quali sono rimasti li a fare niente, ma ci sono responsabilità anche di collaborazione diretta; parlavano della Francia e una delle cose che è emersa, documentata dagli storici, riguarda ad esempio il fatto che gli Stati Uniti quando sono arrivati avevano un’idea precisa del fatto che esistessero i campi di sterminio, soprattutto che esistesse il campo di Birkenau all’interno di Auschwitz; ad Auschwitz c’era stata una piccola rivolta che non aveva portato a nulla ma che aveva portato almeno alla fuga di due persone, questi due sono due persone che già in passato facevano parte della resistenza e riescono a scappare e a scappare dalla Polonia e ad arrivare in Gran Bretagna e fanno un rapporto preciso che poi viene inoltrato dalla Gran Bretagna a tutti gli alleati del fatto che esisteva all’interno di Auschwitz un campo di sterminio che funzionava così e così ed era un rapporto molto dettagliato. Questi documenti sono stati ritrovati e non sono documenti confusi di due racconta balle, sono dei

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documenti in cui ci sono trattate le condizioni dei prigionieri. Ciò nonostante gli Stati Uniti han sempre deciso di non fare nessun intervento sul campo di Birkenau. Se voi leggete le testimonianze di Primo Levi, Primo Levi dice che paradossalmente la paura più grande era dei bombardamenti alleati perché un’altra parte di Auschwitz, dove si fabbricavano le armi, dove si fabbricavano delle cose per l’esercito i bombardamenti c’erano eccome, gli americani bombardavano queste zone e Primo Levi racconta come una volta dovevano scappare dalle bombe degli alleati. Anche se loro bombardavano le fabbriche e affianco c’era la camera a gas, perché non bombardavano la camera a gas? Queste sono delle cose forti, i politici del tempo americani dicevano “il nostro compito non è mica salvare gli ebrei, il nostro compito è liberare l’Europa dal nazismo e dopo sarebbe venuta con loro anche tutti quanti gli altri” Queste cosa qua ovviamente contribuiscono al quel senso di shock perché non solo è lo shock di una cosa che ci è capitata e che pensavamo non capitasse ma anche che è capitata, in molti casi, anche con la nostra collaborazione, almeno degli spettatori passivi che più passivi non si può. Quindi questo è uno shock che probabilmente ha posto la Shoah al centro, poi ovviamente la Shoah con la nascita dello stato di Israele si parla di tutta una logica che è una logica che ancora oggi viene utilizzata come modello da ficcare qua e la perché si inserisce in un dibattito più ampio. Però non ci sono queste ragioni di shock culturale sicuramente, però le risposte più grandi riguardano invece proprio le impostazioni; finora non è emersa idea di un campo di sterminio e quindi è vero che sia lo stalinismo sia il nazismo partano dallo stesso presupposto che noi potremo chiamare le ideologie, in realtà tutti i grandi teologici del totalitarismo han detto che i tre grandi elementi se noi vogliamo definire il totalitarismo come categoria politica sono: l’esistenza di un partito di massa, grande unico e che schiacci gli oppositori, l’esistenza di un’ideologia e l’esistenza di un terrore. Questo li differenzia da altri fenomeni tipo gli autoritarismi, gli utopismi che sono sempre stati presenti nel passato per una serie di ragioni. Il partito di massa, che è un partito che non tollera una opposizione, mentre in alcuni casi di regimi autoritari molto forti l’idea di un’opposizione per delle finte elezioni che vengono comunque organizzate, e poi un movimento, di solito gli autoritarismi, le dittature sono delle istanze molto conservatrici che tendono a conservare le idee esistenti, invece sia il nazismo, sia lo stalinismo nascono come dei grandi movimenti, dei partiti che non sopportano gli oppositori e che li vogliono cancellare fisicamente come delle cose in movimento che cercano di seguire i movimenti della storia, di rinnovarsi sempre . Forse nello stalinismo questa cosa succede ancora di più, le sistematiche cure della classe dirigente perché c’è sempre la paura che non ci si deve statizzare, che bisogna cambiare. Poi c’è il terrore, perché tutta questa cosa viene fatta con il terrore, le conquiste della tecnica permettono di diffondere il terrore in maniera molto più forte di come si facesse in passato; tutti sanno che cosa sta capitando, tutti sono atterriti dall’evoluzione, sono condizioni esemplari insomma, se tu non mi dice chi è il tuo compagno della resistenza io ti ammazzo tua moglie qua davanti, si gioca molto sul terrore. Il terrore è elemento tipico del totalitarismo, ci sono dei filosofi tipo Montesquieu che spiegano quali sono gli elementi tipici di ogni forma politica; l’elemento tipico della forma politica totalitaria è il terrore. E poi c’è l’ideologia e in questo c’è una grande somiglianza tra il nazismo e lo stalinismo; l’ideologia che cos’è? Arendt dice “è una logica dell’idea”, cosa vuol dire? Vuol dire che tu prendi un’idea che nel caso di Hitler è l’idea della supremazia della razza bianca e nel caso di Stalin l’idea è il dominio del proletariato e quest’idea, presa come un assioma, come una cosa su cui non si deve stare a discutere se sia giusta o sbagliata, è giusta, e da li per logica deduco tutto ciò che mi deve portare creare la società in una certa maniera. L’elemento dell’ideologia spiega anche un po’ queste cose che dicevamo prima, delle grandi contraddizioni che ci sono tra, da un punto di vista pratico la in comprensività, la irrazionalità di certe pratiche. Allora questi tre elementi, la creazione di un partito di massa non come conservatore ma come movimento, l’ideologia e il terrore sono gli elementi che sicuramente accomunano stalinismo e nazismo.Un ragazzo: “io non sono tanto d’accordo, secondo me non abbiamo centrato il discorso sull’ideologia perché io penso che quello che ha detto lei è una livello ancora successivo nel senso che, questa cosa mi è venuta in mente da un articolo della Stampa dell’altro giorno ed in ogni caso dico che mi sembra un livello successivo perché, prendendo come esempio Marx, lui portava avanti fermamente una sua idea, una sua ideologia. Il problema è, secondo me, che forse sarebbe più

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corretto chiamare esasperazione, cioè esasperazione della stessa, cioè nel momento in cui io giustifico, riesco ad accettare atti efferati, sbagliati, e questo è il livello successivo. Io perseguo una mia ideologia, che non è sbagliato avere un’ideologia, cioè avere delle idee guida. Se io non ho la capacità critica per riconoscere, nel momento in cui una persona che fino a prima gradisce queste ideologie stesse, allora li c’è quest’esasperazione di cui parlavo. E in secondo luogo secondo me è un discorso proprio del fatto che alcune volte è l’ideologia stessa che ci acceca, cioè noi non c’è ne accorgiamo nemmeno di essere accecati da quest’idea, da questo ideale che ci porta avanti. Per esempio Marx come anche Bakunin partivano da un’idea che era che si faceva carico dei problemi dell’umanità ed era un’idea comune, cioè del bene comune e quindi estremamente giusta come idea. Però tra Bakunin e Marx, che poi si sono anche conosciuti, e poi c’è stata guerra e Marx percepiva come un nemico Bakunin, eppure il fine possiamo dire che era lo stesso perché comunque entrambi pensavano a un miglioramento.”Prof. Guzzi: allora qua cosa vuol dire l’idea di un miglioramento? Anche Hitler aveva l’idea di un miglioramento, come stavo dicendo in realtà l’ideologia nello stalinismo e nel nazismo è un’ideologia che porta alle estreme conseguenze due logiche di per se innocue. Lo stalinismo porta agli estremi l’ideologia di Marx, cioè l’idea del movimento delle classi nella storia, quella di Hitler porta all’estremo quella di Darwin, e succede che sia Hitler che Stalin spiegano queste, cioè Hitler dice “ma io seguo i movimenti dell’umanità; ci sono delle razze che hanno delle % di sopravvivenza maggiore e delle altre che ne hanno una minore, io cerco di capire quali sono quelle e quali sono le altre, gli ariani sono la razza eletta, io faccio semplicemente con le mie operazioni una velocizzazione del processo della storia” e la stessa cosa pensa fondamentalmente Stalin “deve arrivare comunque alla fine, secondo quello che ci ha detto Marx, la dittatura del proletariato? È una cosa lunga che ci porterà un sacco di problemi? Acceleriamola, ammazziamo i proprietari così il problema è risolto”. Ovviamente queste due sono delle idee che hanno alla base una differenza, perché l’idea del comunismo è l’idea che propone il bene collettivo, quella del nazismo è un’idea che si propone invece l’eliminazione del nemico, quindi questa è la differenza fondamentale. Un conto è proporsi il bene collettivo per poi corrompere la cosa, arrivare è fare un disastro, un conto è dire dall’inizio “io voglio eliminare la razza”, non c’è nessun idea del bene collettivo, c’è del bene ariano. […] Anche perché davanti alla grande complessità del mondo l’ideologia ha un grande vantaggio: quello di darci una spiegazione molto chiara e semplice del mondo: quando noi sconvolti diciamo “e ma sotto il pluralismo ma che stiamo ad ascoltare i dibattiti in TV” lui ci dice “No, non devi perdere tempo, ascolta quello che ti dico io e avrai il bene comune”, il problema è poi che non sarà così.

Allegato IIHannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2004Dal confluire delle conseguenze dell'antisemitismo e dell'imperialismo in un preciso momento storico (la crisi successiva alla prima guerra mondiale) è nato il totalitarismo, con caratteri comuni sia nella Germania nazista sia nell'Unione sovietica stalinista. Il totalitarismo é un fatto nuovo del nostro secolo, non assimilabile o riducibile, secondo la Arendt, ai tradizionali regimi tirannici o dittatoriali. Esso nasce dal tramonto della società classista, nel senso che l'organizzazione delle singole classi lascia il posto ad un indifferenziato raggrupparsi nelle masse, verso le quali operano ristretti gruppi di élites, portatori delle tendenze totalitarie. Tali tendenze, dopo la vittoria politica sulle vecchie rappresentanze di classe, realizzano il regime totalitario, che ha i suoi pilastri e nell'apparato statale, nella polizia segreta e nei campi di concentramento nei quali si rinchiudono e si annientano gli oppositori trasformati in nemici. Attraverso l'imposizione di una ideologia (razzismo, nazionalsocialismo, comunismo) e il terrore, il totalitarismo, identifica se stesso con la natura, con la storia, e tende ad affermarsi all'esterno con la guerra. Nulla di simile era apparso prima: il totalitarismo è un fenomeno "essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la dittatura. Dovunque é giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte

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ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall'esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo".Le ideologie, con logica stringente, impongono una visione del mondo in cui le idee incarnate nel regime totalitario vengono imposte come direttrici di un cammino fatale, inevitabile, naturale e storico insieme. In un regime totalitario l'ideologia "è la logica di un'idea. La sua materia è la storia a cui l'idea é applicata, il risultato di tale applicazione non è un complesso di affermazioni su qualcosa che é, bensì lo svolgimento di un processo che muta di continuo. L'ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa legge dell'esposizione logica della sua idea. Essa pretende di conoscere i misteri dell'intero processo storico - i segreti del passato, l'intrico del presente, le incertezze del futuro - in virtù della logica inerente alla sua idea". La Arendt si pone, alla fine, una domanda: "quale esperienza di base nella convivenza umana permea una forma di governo che ha la sua essenza nel terrore e il suo principio d'azione nella logicità del pensiero ideologico? ". La risposta viene data individuando tale esperienza di base nell'isolamento dei singoli nella sfera politica, corrispondente alla estraniazione nella sfera dei rapporti sociali. Quest'ultima, in sostanza, sta alla base dell'isolamento sul piano politico, e quindi costituisce la condizione generale dell'origine del totalitarismo. "Estraniazione, che è il terreno comune del terrore, l'essenza del regime totalitario e, per l'ideologia, la preparazione degli esecutori e delle vittime, è strettamente connessa allo sradicamento e alla superfluità che dopo essere stati la maledizione delle masse moderne fin dall'inizio della rivoluzione industriale, si sono aggravati col sorgere dell'imperialismo alla fine del secolo scorso e con lo sfascio delle istituzioni politiche e delle tradizioni sociali nella nostra epoca. Essere sradicati significa non avere un posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non appartenere al mondo" . L’estraniazione è un fenomeno storico, ma è anche un’esperienza che riguarda la sola sfera politica e consiste nell’impossibilità di una qualsiasi azione orientata verso la collettività. In essa rimane solamente l’ultimo residuo di razionalità all’individuo che continua a far funzionare la mente come dominata da una idea fissa. E ancora: "quel che prepara così bene gli uomini moderni al dominio totalitario è estraniazione che da esperienza al limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, è diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti nel nostro secolo. L'inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le masse da esso organizzate appare come un'evasione suicida da questa realtà" . Risuonano in questi passi gli echi di un pessimismo ebraico negli anni '30 e '40.Hannah presenta gli elementi del nazismo e i problemi politici che ne stavano alla base. L'imperialismo, quello che ha raggiunto il suo pieno sviluppo, cioè il totalitarismo, è visto come un unione di certi elementi presenti in tutte le situazioni politiche del tempo. Questi elementi sono l'antisemitismo, il decadimento dello stato nazionale, il razzismo, l'espansionismo fine a sé stesso e l'alleanza fra il capitale e le masse. "Dietro ciascuno di questi elementi si nasconde un problema irreale e irrisolto: dietro l'antisemitismo, la questione ebraica; dietro il decadimento dello Stato nazionale, il problema irrisolto di una nuova organizzazione dei popoli; dietro il razzismo, il problema irrisolto di una nuova concezione del genere umano; dietro l'espansionismo fine a sé stesso, il problema irrisolto di riorganizzare un mondo che diventa sempre più piccolo, e che siamo costretti a dividere con popoli la cui storia e le cui tradizioni sono estranee al mondo occidentale. La grande attrazione esercitata dal totalitarismo si fondava sulla convinzione diffusa, e spesso consapevole, che esso fosse in grado di dare una risposta a tali problemi, e potesse quindi adempiere ai compiti della nostra epoca". Secondo Arendt, quindi, il totalitarismo è composto da "elementi" che si sono sviluppati precedentemente e si sono solidificati in un nuovo fenomeno dopo la prima guerra mondiale. Questi elementi forniscono la struttura nascosta del totalitarismo. L'impulso all'espansione senza limiti era nelle sue origini un fenomeno economico, qualcosa di inerente all'avanzata del capitalismo. Il capitalismo era impegnato nella trasformazione della proprietà da stabile, fissa, in una ricchezza mobile; la conseguenza fondamentale di questo processo fu quella di generare sempre più ricchezza in un processo senza fine. Fino a che questo rimase un fenomeno puramente economico esso era sì distruttivo, ma non catastrofico. Il pericolo diventò "la trasformazione di pratiche economiche in un

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nuovo tipo di politica della competizione assassina e dell'espansione senza limiti". Il significato dell'era imperialista è che l'imperativo di espandersi uscì dalla logica economica e prese forza nelle istituzioni politiche. Lo stato-nazione fu fortemente messo in crisi dall'imperialismo. Dove l'imperialismo dà spazio alle forze incontrollabili dell'espansione e della conquista, lo stato-nazione è un'istituzione creata da individui, una struttura civilizzata che fornisce un ordine legale e garantisce diritti, tramite i quali l'individuo può essere legislatore e cittadino. C'è una profonda tensione tra la nozione di stato come garante di diritti, e l'idea della nazione come una comunità esclusiva. Fin dalla nascita dello stato-nazione questo fatto creò difficoltà per gli ebrei: infatti, l'ideale dei diritti umani non divenne fondamentale se non dopo la prima guerra mondiale, e le conseguenze di essa sulle minoranze nazionali e le persone senza patria ("displaced persons"). Quello che il destino delle persone senza patria ha dimostrato, così sostiene Arendt, è che i diritti umani universali che sembravano appartenere agli individui, potevano solo essere reclamati da cittadini di uno stato. Pertanto, per chi era fuori da questa categoria, i diritti inalienabili della persona erano senza significato. Ne sono un esempio gli ebrei che, non avendo uno stato in cui identificarsi come popolo, ed un territorio definito in cui poter vivere, sono stati privati del diritto di cittadinanza, e con esso di una tutela giuridica come soggetti di personalità. Il problema non era quello di godere di un'eguaglianza di fatto davanti alla legge come persone, ma la negazione del fondamentale diritto umano e cioè il "diritto di avere diritti", che significa il diritto di appartenere ad una comunità politica. Arendt sottolinea che il razzismo non è una forma di nazionalismo, ma, è in diversi modi, il suo opposto. Il nazionalismo genuino è strettamente legato ad uno specifico territorio e una cultura, e quindi alle azioni e traguardi raggiunti da particolari esseri umani. La razza, al contrario, è un criterio biologico, determinato dal territorio e dalla cultura, e si riferisce a caratteristiche naturali fisiche. Dove le persone sono identificate per i loro caratteri razziali innati, le differenze individuali e la responsabilità individuale diventano irrilevanti: una persona semplicemente agisce come un coro delle caratteristiche razziali di quella specie. Il determinismo razzista, con la distinzione tra razze superiori e inferiori, fornisce una perfetta giustificazione per la conquista imperialista e la sottomissione delle popolazioni native. Il totalitarismo si fonda sul terrore assoluto che non serve come punizione, deterrente o appagamento di impulsi sadici, ma ha un carattere antieconomico. La sua ragione d’essere è la distruzione di ogni tendenza a stabilizzare il sistema, così da preservare e perpetuare il puro movimento attraverso cui si realizza lo scopo ideologico. Il movimento stesso individua i nemici contro cui scatenare il terrore. Questi nemici sono oggettivi, cioè sono tali a prescindere dalle loro personali intenzioni, dalla colpa o dall’innocenza individuale. Solo un terrore cieco a ogni considerazione soggettiva (pietà, diritto, convenienza, utilità) permette alla legge del movimento di attuarsi come deve. In passato, il sottoproletariato può essere facilmente reclutato per commettere atrocità: la plebe era costituita dagli "scarti di tutte le classi e tutti gli strati", erano avventurieri e cercatori d'oro asserviti dall'imperialismo, "scaraventati fuori dalla società", non credevano in nulla, potevano anzi indursi a credere a ogni cosa, a qualsiasi cosa. L'irresponsabilità di questo nuovo strato e la corrispondente ritirata su tutte le questioni morali, andava di pari passo con la possibilità della trasformazione della democrazia borghese in un dispotismo: infatti la plebe era un prodotto diretto della società borghese e quindi non separabile da essa. La spregiudicata politica di potenza poté essere attuata solo con l'aiuto di una massa di persone prive di principi morali e perfettamente manipolabili. Nel mondo irreale dell'Africa Nera non si assassinava un individuo se si uccideva un indigeno, ma un sub-umano, una larva che suscitava solo il dubbio di appartenere alla stessa comunità umana. Qui il riferimento alla Shoah è evidente: dove la plebe è servita all'imperialismo per la sua brama di conquista, così la massa è servita al totalitarismo per i suoi obiettivi di distruzione degli ebrei. La plebe, che odiava la società, alla quale non apparteneva più, poté essere facilmente condotta a provare ostilità nei confronti di un gruppo come gli ebrei che era metà fuori e metà dentro la società. L'ideologia razzista, in nome della quale i movimenti totalitari erano mobilitati, aveva bisogno di un equivalente in Europa dei nativi d'Africa, e gli ebrei erano adatti a tale ruolo. I movimenti totalitari avevano bisogno di demolire le mura vacillanti dello stato-nazione per edificare nuovi imperi. Gli ebrei, che avevano consolidato una loro identità senza territorio e uno stato,

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apparvero come le uniche persone che, apparentemente, erano già organizzate come un corpo politico razziale. Gli ebrei si erano disinteressati alla politica e al potere politico, e questo disinteresse per la politica li aveva portati a non capire il pericolo enorme che costituiva per loro l'antisemitismo moderno, e la forza distruttiva che esso veicolava. Gli ebrei scambiarono a torto questo antisemitismo, che aveva radici economiche, politiche, sociali, religiose e psicologiche, con il vecchio odio che dall'antichità aveva generato i pogrom. Nessuno comprese che il problema a questo punto era di tipo politico. Solo l'uguaglianza giuridica e politica protegge gli individui e le nazionalità da discriminazioni e persecuzioni. Promulgando le leggi razziali di Norimberga, i nazisti crearono una "razza" perché crearono un gruppo d'uomini privi di diritti e differenti sul piano giuridico. L'antisemitismo del Novecento ha sostituito all'odio religioso di altri tempi il rifiuto della differenza, il rifiuto di accordare il rispetto all'altro per le sue stesse caratteristiche. E tale rifiuto si maschera dietro il rispetto della normalità, dietro il conformismo, ma può arrivare fino al caso estremo della difesa biologica della razza.

Allegato IIIGeorge Orwell, “1984”, Arnoldo Mondadori Editore, Capitolo IIt was a bright cold day in April, and the clocks were striking thirteen. Winston Smith, his chin nuzzled into his breast in an effort to escape the vile wind, slipped quickly through the glass doors of Victory Mansions, though not quickly enough to prevent a swirl of gritty dust from entering along with him. The hallway smelt of boiled cabbage and old rag mats. At one end of it a coloured poster, too large for indoor display, had been tacked to the wall. It depicted simply an enormous face, more than a metre wide: the face of a man of about forty-five, with a heavy black moustache and ruggedly handsome features. Winston made for the stairs. It was no use trying the lift. Even at the best of times it was seldom working, and at present the electric current was cut off during daylight hours. It was part of the economy drive in preparation for Hate Week. The flat was seven flights up, and Winston, who was thirty-nine and had a varicose ulcer above his right ankle, went slowly, resting several times on the way. On each landing, opposite the lift-shaft, the poster with the enormous face gazed from the wall. It was one of those pictures which are so contrived that the eyes follow you about when you move. BIG BROTHER IS WATCHING YOU, the caption beneath it ran. Inside the flat a fruity voice was reading out a list of figures which had something to do with the production of pig-iron. The voice came from an oblong metal plaque like a dulled mirror which formed part of the surface of the right-hand wall. Winston turned a switch and the voice sank somewhat, though the words were still distinguishable. The instrument (the telescreen, it was called) could be dimmed, but there was no way of shutting it off completely. He moved over to the window: a smallish, frail figure, the meagreness of his body merely emphasized by the blue overalls which were the uniform of the party. His hair was very fair, his face naturally sanguine, his skin roughened by coarse soap and blunt razor blades and the cold of the winter that had just ended. Outside, even through the shut window-pane, the world looked cold. Down in the street little eddies of wind were whirling dust and torn paper into spirals, and though the sun was shining and the sky a harsh blue, there seemed to be no colour in anything, except the posters that were plastered everywhere. The black-moustachio'd face gazed down from every commanding corner. There was one on the house-front immediately opposite. BIG BROTHER IS WATCHING YOU, the caption said, while the dark eyes looked deep into Winston's own. Down at street level another poster, torn at one corner, flapped fitfully in the wind, alternately covering and uncovering the single word INGSOC. In the far distance a helicopter skimmed down between the roofs, hovered for an instant like a bluebottle, and darted away again with a curving flight. It was the police patrol, snooping into people's windows. The patrols did not matter, however. Only the Thought Police mattered. Behind Winston's back the voice from the telescreen was still babbling away about pig-iron and the overfulfilment of the Ninth Three-Year Plan. The telescreen received and transmitted simultaneously. Any sound that Winston made, above the level of a very low whisper, would be picked up by it, moreover, so long as he remained within the field of vision which the metal plaque

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commanded, he could be seen as well as heard. There was of course no way of knowing whether you were being watched at any given moment. How often, or on what system, the Thought Police plugged in on any individual wire was guesswork. It was even conceivable that they watched everybody all the time. But at any rate they could plug in your wire whenever they wanted to. You had to live — did live, from habit that became instinct - in the assumption that every sound you made was overheard, and, except in darkness, every movement scrutinized. Winston kept his back turned to the telescreen. It was safer, though, as he well knew, even a back can be revealing. A kilometre away the Ministry of Truth, his place of work, towered vast and white above the grimy landscape. This, he thought with a sort of vague distaste - this was London, chief city of Airstrip One, itself the third most populous of the provinces of Oceania. He tried to squeeze out some childhood memory that should tell him whether London had always been quite like this. Were there always these vistas of rotting nineteenth-century houses, their sides shored up with baulks of timber, their windows patched with cardboard and their roofs with corrugated iron, their crazy garden walls sagging in all directions? And the bombed sites where the plaster dust swirled in the air and the willow-herb straggled over the heaps of rubble; and the places where the bombs had cleared a larger patch and there had sprung up sordid colonies of wooden dwellings like chicken-houses? But it was no use, he couldn't remember: nothing remained of his childhood except a series of bright-lit tableaux occurring against no background and mostly unintelligible. The Ministry of Truth - Minitrue, in Newspeak - was startlingly different from any other object in sight. It was an enormous pyramidal structure of glittering white concrete, soaring up, terrace after terrace, 300 metres into the air. From where Winston stood it was just possible to read, picked out on its white face in elegant lettering, the three slogans of the Party :

WAR IS PEACEFREEDOM IS SLAVERY

IGNORANCE IS STRENGTH

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ApprofondimentiApprofondimento IIncontro sul “Il Male nel ‘900”7/02/08: primo incontro a cura del prof. Donaggio.Il 27 gennaio è una data da ricordare perché l'armata rossa libera i prigionieri dal campo di concentramento nazista ad Auschwitz nel 1945 sessantatre anni fa.Durante questo giorno bisogna fare qualcosa di diverso: pensare e ricordare. Il ricordo aiuta a non commettere più nulla di ciò in futuro. Perché non abbiamo a che fare con un atto di crudeltà come gli altri? In questo caso si parla di male assoluto o radicale. Questo giorno è considerato il peggio dell'umanità. Esiste davvero il male assoluto? Come lo si misura? In base a quale criterio?I criteri principali sono:a. Il numero che è un criterio quantitativo;b. Basta un cadavere prodotto per parlare di male assoluto, quindi un criterio qualitativo. Per Dostoevskij, basta uccidere un uomo per macchiarsi del male. L'uccisione di un bambino rappresenta il male assoluto perché la fiducia del bambino è stata distrutta (es. Cogne).Auschwitz non ha il record mondiale di vittime. Ci sono stati casi con maggior numero di persone sterminate. Se chi ha istituito il giorno della memoria credeva che quello fosse il male assoluto, come si può ricordare?Magari si può invitare una persona, un reduce a raccontare la sua esperienza. Ora però vi è il problema che i pochi rimasti sono già molto anziani. Dunque la fonte diretta sta per esaurirsi. Un modo per ovviare a ciò è quello di fare dei monumenti.Perché si fa un monumento? Per celebrare e ricordare. Il monumento è un omaggio a se stessa che la nazione fa, una gloria di qualcosa in atto. Esiste un monumento in una nazione non hai suoi trionfi,ma diretto alle proprie barbarie. Così ognuno può ricordare di aver fatto parte di una nazione che per 12 anni ha sterminato gli ebrei. Questo è “il monumento degli ebrei uccisi” a Berlino aperto da maggio 2005. Esso ha la forma di un grande rettangolo in cui sono presenti dei dislivelli del terreno.Anche chi non crede, ha un senso del sacro ed ha gran rispetto per ciò che è accaduto. Esiste davvero un atteggiamento giusto o un gesto che rispetti? Forse alcuni sono il frutto di un modo sbagliato di celebrare? Bisogna ricordare.La scena del male è formata da due figure: il carnefice cattivo e una vittima buona e predestinata. Noi ci identifichiamo sempre con la vittima, per non essere necessariamente turbati.C'è qualcosa che mi riguarda? Dunque la scena è una specie di triangolo in cui il terzo vertice sta nell'ombra ed è lo spettatore che ha una posizione di stand-by. Lo spettatore vede ciò che accade, ma non muove un muscolo in una direzione rispetto ad un'altra. Noi siamo protagonisti attivi o vittime passive. E' vero che nella maggior parte dei casi noi siamo spettatori e che stiamo a guardare? Nel momento in cui il forte picchia il debole si è neutrali o si sta con il forte anche senza esprimerlo?!Lo spettatore sembra indifferente. E' un comportamento disumano? L' indifferente è una specie di “mostro”. Dai Greci è ritenuto una specie di Dio perché il mondo sembrava un reality inventato dagli dei che si annoiavano. L' indifferenza è da considerare un comportamento disumano anche se a volte viene considerato un comportamento divino. E' il modo di concepire il mondo in cui viviamo.La parola Olocausto significa “bruciato dal fuoco”, sinonimo di “sacrificio” mentre il termine Shoah “catastrofe, sacrificio compensato”. Si prende una minoranza e la si inizia a considerare nemica. La Shoah non si è svolta in gran segreto. Sostenere che la Shoah non ha mai avuto luogo è un reato.Uno dei grandissimi alleati dell'indifferenza è la tendenza a nascondersi. Quello che ha determinato il comportamento da carnefice è il comportamento del vicino di letto a castello per non avere il

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coraggio di fare le cose. È la stessa situazione di prendere una persona che vuole essere diversa e che sceglie di andare contro il suo istinto.Chi è saggio? Chi assume l'atteggiamento degli dei, ovvero diventa osservatore. Qual è la condizione che rappresenta meglio la nostra situazione? Il luogo comune vuole che non si nasca indifferenti altrimenti saremmo spacciati. L' indifferenza si deve imparare crescendo. L' uomo è caratterizzato da un comportamento gregario dal vivere in gruppo. Si parla di male assoluto perché lo si ritiene imparagonabile ciò che è successo.Hanna Arendt dice: “una cosa l'ho imparata ed è quella che gli adulti dovrebbero cancellare la parola obbedienza”.La scrittrice sostiene che il male assoluto sia uno sterminio ideologico. Un adulto è una persona matura perché motiva ciò che fa e ne è cosciente. Per fare carriera si incontra il male anche se ciò non è nulla di demoniaco perché molte volte si fanno cose non lecite nel contratto di lavoro.Nell'obbedire si avverte una parte di responsabilità della singola persona. Occorre intendere il campo di sterminio come una fabbrica di cadaveri, come il macello. In questo senso esistono luoghi con modalità identiche nella normale quotidianità.Domanda da porsi: “chi sono io per disobbedire?”In Germania,tanto le vittime quanto i carnefici erano persone come noi. Perché le vittime non sono state uccise a casa loro? Non si può dire che si sono fatti ammazzare per niente senza alcun tentativo di ribellione e quindi accusarli di questo. Dalle testimonianze la speranza di non farcela li rendeva stupidi, ma questo non permette di parlare in negativo di loro.Per chiarire meglio è opportuno aiutarsi con qualche esempio. es.1 I macelli sono fondamentali. Tra gli animali si tracciano dei confini. I cani e i gatti hanno funzione sostitutiva di uomini. Mentre dall'altra parte si hanno i maiali, bovini, polli e ovini che vengono uccisi per la carne di cui ci cibiamo. Queste linee sono tracciate a caso.es.2 Il Lager può essere inteso come una fabbrica. Noi camminiamo su scarpe fatte da bambini cinesi. Esistono forme di azioni inclini a questo modo di comportarsi. Pensiamo e poi agiamo in modo diverso.

Approfondimento IIPrimo Levi, dal capitolo III “La zona grigia” de “I sommersi e i salvati”Siamo costretti a ridurre il conoscibile ad uno schema sia nel caso del linguaggio sia in quello del pensiero concettuale. In ognuno di noi è veramente forte la tendenza a porre una linea di separazione tra l’amico e il nemico. Questo desiderio di semplificare è giustificato, ma spesso la semplificazione non lo è. Nel lager non era facile tracciare queste linee tra i blocchi delle vittime e dei carnefici. Il nemico era intorno ma anche dentro; il “noi” perdeva i suoi confini e non si assisteva più ad una bipartizione. Prevalevano frontiere innumerevoli e confuse.È da notare la difficoltà a difendersi da un colpo che non ci si aspetta. Per questo motivo sin dalle origini il sistema aveva lo scopo di troncare ogni tentativo di resistenza degli avversari. Colui che veniva considerato “nuovo” veniva riconosciuto immediatamente per il suo comportamento e disagio oltre all’odore del luogo da cui proveniva. Gli altri ormai attraverso l’assuefazione e l’esperienza erano riusciti a costruirsi un riparo e mostravano invidia nei confronti del nuovo. La vita nei lager regrediva l’uomo riducendolo allo stadio primitivo.Fondamentale è prendere in considerazione il discorso dei prigionieri privilegiati. Infatti è assurdo ritenere che il nazionalsocialismo rendeva le sue vittime dei santi. Piuttosto il trattamento riservato a questi era quello di assimilazione a sé e costituzione di un’ossatura politica o morale. L’urto contro la realtà dei lager coincide con l’aggressione da parte di un nuovo personaggio: il prigioniero funzionario. Egli invece di prenderti per mano, ti percuote sul viso. È un donatore di quella scintilla di bestialità che è in te presente. Il rispondere coi colpi ai colpi, è una trasgressione intollerabile e tipica della mente del nuovo. Il lager è una zona grigia dai contorni mal definiti che insieme congiunge e separa i due blocchi dei padroni e dei servi. È così complicato da confondere il nostro bisogno di esprimere un giudizio.Quanto più la pressione assoggetta le persone creando il terrore tanto più è diffusa tra gli oppressi la

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tendenza a collaborare con il potere. I funzionari disponevano di un potere illimitato che permetteva loro di commettere le peggiori atrocità. La presenza di persone grigie, ambigue, pronte al compromesso è da notare sia nel lager che al di fuori di esso.Squadre speciali (SS) costituite da ebrei gestivano i crematori. Venivano scelti non solo in base al fisico robusto, ma studiando a fondo le fisionomie. “Dovevano essere gli ebrei a mettere nei forni gli ebrei, si doveva dimostrare che loro, sotto-razza, sotto-uomini, si piegavano ad ogni umiliazione, perfino a distruggere se stessi”. Queste squadre erano tenute rigorosamente separate dal mondo esterno e da eventuali ulteriori prigionieri.L’esistenza delle squadre conteneva un messaggio: “Noi, popolo dei signori, siamo i vostri distruttori, ma voi non siete migliori di noi; se vogliamo e lo vogliamo, noi siamo capaci di distruggere non solo i vostri corpi, ma anche le vostre anime, così come abbiamo distrutto le nostre.” Questo è molto importante perché sposta il peso della colpa sulle vittime in modo che a loro non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.Un giudizio, sul fatto che gli ebrei non si siano neanche ribellati o abbiano provato un tentativo, non deve essere fatto, ma deve rimanere in sospeso. Infatti ogni essere umano possiede una riserva di forza la cui misura gli è sconosciuta. Nessuno sa quanto a lungo e a quali prove, la sua anima sappia resistere prima di piegarsi.Il potere è considerato una droga: il bisogno dell’uno e dell’altra è ignoto a chi non li ha provati. Dopo l’iniziazione nasce la dipendenza e la necessità di dosi sempre maggiori. Da qui nasce anche il rifiuto della realtà e il ritorno ai sogni infantili di onnipotenza.La storia dei Kapos e dei funzionari dei lager che servono un regime alle cui colpe sono volutamente ciechi è la medesima di chi firma tutto perché costa poco farlo; di chi scuote il capo, ma acconsente; di chi dice “se non lo facessi, lo farebbe uno peggiore di me”.“Col potere, insomma, si va a patti volentieri oppure no, dimenticando che nel ghetto siamo tutti, e che fuori dalla recinzione stanno i signori della morte e che poco lontano aspetta il treno.”

Approfondimento IIIFILM: “Un canto per Beko” di Nizamettin Ariç girato nel 1992 in ArmeniaIntroduzioneIl film rappresenta la naturale conseguenza della condizione di un popolo esule sulla propria terra, privato del diritto di un riconoscimento ufficiale nonché del diritto di parlare la propria lingua. Realizzare un film in lingua kurda è già un atto politico: rivendicazione di identità e di esistenza. In questa situazione una parola ritrovata, una musica ritrovata, una storia vissuta (storia personale e collettiva), costruiscono il film. È un film bellissimo, un film che annulla, che vanifica con la sua purezza drammatica ogni disquisizione sul cinema come mestiere. È notevole la difficoltà riscontrata nella distribuzione del film perché molte tv locali sono private ed è proibita la riproduzione in lingua kurda. Ai primi piani dell'attesa, della riflessione, fanno riscontro i campi lunghissimi della battaglia, della fuga. Le inquadrature permettono di aiutare a far durare nel tempo momenti toccanti che segnano svolte nella vita abituale. Un esempio lo abbiamo quando Beko si allontana velocemente con la piccola Ziné ferita e priva di sensi in braccio, dal villaggio bombardato dagli elicotteri iracheni. Allora, da lontano, la panoramica dal basso in alto ad anticipare la strada che Beko dovrà fare attraverso le montagne, sempre più su fino a proseguire, oltre le cime dei monti, lontano dalla propria terra.TramaIl film tocca la condizione del proprio popolo attraverso la vicenda individuale di un uomo perseguitato senza avere compiuto nulla di male. Beko non è un ribelle, non è uno che contravviene a delle leggi imposte da un'autorità che riconosce solo se stessa, ma la personificazione un popolo che non è nazione per il solo fatto di non essere riconosciuto dagli altri. La vicenda che vive, il rapporto che lo legherà alla piccola Ziné, la ricerca vana del fratello e infine la notizia della sua morte, l'unica strada di salvezza prospettatagli dalla fuga in Europa, non faranno altro che segnare

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più profondamente la coscienza di se stesso e del proprio popolo. I desideri sono impossibili da realizzare. Notevole importanza ha la consapevolezza di ciò che lega l'individuo a una comunità, a un destino, a simboli di cui pian piano si riscopre un confuso significato, come la tartaruga che la piccola Ziné porta sempre con sé, che disegna e che evoca nel finale con una frase detta dalla voce della bambina stessa. Il forte tema che nutre il film fa si che il personaggio principale dia voce a una condizione collettiva prima che a una sua individuale situazione. Non c'è mai solitudine. Il fratello Kemal Otzurk vuole fuggire a Badinan nel Kurdistan iracheno. Beko ricerca di continuo il fratello e pensa sempre come fuggire alle insidie nemiche. La sua vita è caratterizzata dall'instabilità che lo porta sempre ad essere un uomo in movimento. L'affermazione umana di un singolo avviene quando questi si riconosce nella propria lingua: in simboli che segnano il riconoscimento di una tradizione.Ciò che colpisce è la malvagità e la spietatezza delle guardie turche durante la perquisizione della comunità famigliare kurda in cui Beko vive inizialmente. Gli abitanti vengono messi tutti in riga e sorvegliati con i fucili. Successivamente vengono poste al loro padre comunitario domande a cui risponde dicendo di non capire la loro lingua. L'ufficiale avvilito risponde che esiste solo una lingua: quella turca. Beko viene catturato perché tra i presenti manca suo fratello che era fuggito oltre a otto giovani delle persone scritte sull'elenco anagraficoImportante è la strategia con cui Beko riesce a superare il confine tra la Turchia e la Siria rappresentato dal fiume Eufrate. L' uomo riesce a rimanere sotto l' acqua nascondendosi sotto un appezzamento di ciuffi d' erba e riesce a passare indisturbato il confine sotto gli occhi di una vigile guardia.Nel film si nota una delle caratteristiche principali delle comunità dei kurdi: la loro accoglienza e il loro attaccamento affettivo che si sorge in breve tempo nei confronti di un nuovo kurdo. All'interno della comunità un uomo è convinto che sulle montagne Saddam non sappia fare la guerra ed è per questo che considera il posto al sicuro. E' importante il ruolo della scuola all'interno di questi accampamenti perché ancora una volta dimostra il fatto che i Kurdi non possono essere ritenuti incivili e quindi renderli vittime di un genocidio. Figure chiave sono i Peshmerga cioè coloro che vanno incontro alla morte e nacquero originariamente come guerriglieri. Nel corso della guerra Iran-Iraq tuttavia, molti di essi diventarono anche maestri ed infermieri, assunsero su di sè molte delle funzioni che lo stato aveva svolto fino ad allora. La linea di confine tra il peshmerga ed il cittadino ordinario venne quindi annullata. Essi, organizzati in piccole unità di guerriglia, i mafrazeh, hanno cercato di ostacolare le azioni del regime iracheno. Nelle campagne un mafrazeh poteva essere composto anche da soli 5 uomini, mentre nei villaggi un minimo di 15 guerriglieri erano ritenuti necessari per sostenere una difesa che potesse respingere gli assalti del regime. Durante la vita di Beko le speranze riposte nel ritrovare suo fratello finiscono per svanire. Infine è costretto ad accettare la notizia della morte da un uomo di nome Kazo che aveva iniziato a raccontare tutto ciò di cui era a conoscenza su suo fratello. Riflessioni personaliIl film è ambientato in un paesaggio che rispecchia in modo appropriato la vita di Beko nella sua continua incertezza. La vita di Beko è simbolica e sta a rispecchiare la vita di un qualsiasi kurdo.Il film è in grado di catturare l' attenzione dello spettatore grazie alle notevoli capacità del regista di soffermare in alcuni punti delle inquadratura che permettono di evocare nella propria mente ciò che accadrà in futuro. Il film offre buoni spunti di riflessione per capire quanto sia difficile vivere quando non si hanno diritti riconosciuti. Colpisce il fatto di come della strategia con cui Beko riesce a passare il confine tra Turchia e la Siria sotto gli occhi della guardia turca. Nascondendosi sott'acqua e grazie ad un fascio d'erba riesce a passare inosservato l'Eufrate. Questo fatto fa pensare a come per cavarsela occorre veramente tentare il tutto per tutto e quindi rischiare la morte.

Approfondimento IVDocumentario: “La comunità kurda in Italia”Introduzione

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Con il trattato di Sevres, trattato di pace firmato tra le potenze alleate della Prima Guerra Mondiale e l'impero Ottomano il 10 agosto 1920 presso la città francese di Sèvres, l'impero ottomano si scinde nei vari stati. Si ambisce ad un progetto per uno stato nazionale kurdo. Con il trattato di Losanna del 24 luglio 1923 il progetto viene abbandonato da parte delle potenze ottomane e il territorio dello stato viene spartito tra i cinque principali paesi dell'area di influenza ottomana (Siria, Turchia, Armenia, Iran, Iraq).Il Kurdistan è letteralmente il “paese dei Kurdi”. Quest'ultimi sono una popolazione iranica in maggioranza musulmana sunnita. Abitano la regione montuosa del Kurdistan, un’area estesa quanto la Francia e ricca di risorse petrolifere e idriche.Dopo arabi, turchi e persiani, i curdi rappresentano il quarto popolo del Medio Oriente, ma la loro dispersione territoriale li riduce a minoranze all’interno dei rispettivi quattro Paesi mediorientali in cui si trovano a vivere. Di fronte alle richieste di autodeterminazione Turchia, Siria, Iran e Iraq hanno risposto con una politica militarista.A rendere alta la posta in gioco sono alcuni fattori di ordine economico, strategico e politico. Il Kurdistan rappresenta un’area cruciale per le potenze mediorientali perché i più importanti giacimenti petroliferi iracheni, siriani e turchi si trovano in questa regione mentre l’Iran estrae greggio in aree in cui la popolazione curda è maggioritaria. Alle strategie di politica energetica si somma il fatto che i Paesi mediorientali non si sono dichiarati disposti a rinunciare ad un territorio che costituisce un crocevia essenziale per collegare l’Iran e la Turchia alle Repubbliche centroasiatiche.Nel Kurdistan turco il controllo e la gestione delle risorse idriche costituiscono un ulteriore fattore di attrito: il Tigri e l’Eufrate nascono nella parte orientale della Turchia e se i kurdi riuscissero a rendersi indipendenti da Ankara potrebbero esercitare un controllo esclusivo sull’acqua con ripercussioni imprevedibili nell’approvvigionamento idrico anche della Siria e dell’Iraq.La frammentazione geografica di questo popolo si è riflessa nelle stesse strategie di lotta delle comunità curde. Strategie che hanno seguito percorsi diversi a seconda degli stati in cui hanno operato. In Iraq, il 1961 segna l’anno di costituzione del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) vittima di dure repressioni da parte del regime di Saddam HusseinA partire dal '61 fino al '70 è presente una guerra tra i kurdi e gli iracheni. Proprio nel 1970 viene firmata la pace ed è concessa l' autonomia al Kurdistan e parità di diritti. Nonostante questo l' Iraq non prende in considerazione i provvedimenti e riprende la guerra. I kurdi sono un popolo che tutti temono di vedere unito. Ci si serve dei kurdi per attaccare avversari. In ogni modo si evita la loro unione economica che potrebbe comportare una svolta nella loro situazione. Non meno crudele è stata la sorte toccata ai curdi di Turchia perseguitati fin dal 1923 dal governo di Mustafa Kemal (1881-1938) fondatore della Repubblica Turca e grande modernizzatore delle strutture dello Stato. È con il governo kemalista che insieme all’occidentalizzazione della Repubblica Turca si afferma l’imperativo di difendere l’unità dello stato che mal si è coniugato con la presenza di una etnia curda. In seguito al colpo di stato militare del 1960, il movimento indipendentista curdo ha fondato il Partito Socialista e il Partito Democratico del Kurdistan a sostegno della democratizzazione del Paese e del diritto all’autodeterminazione. La repressione da parte del governo non si è fatta attendere: ai curdi sono state espropriate le terre, alcune comunità state deportate e i loro villaggi saccheggiati e distrutti. La stessa parola “kurdo” è stata cancellata dal vocabolario ufficiale e sostituita con espressioni quali “I turchi della montagna”, provvedimento accompagnato da una politica di “turchizzazione” forzata che ha visto la distruzione sistematica di qualsiasi produzione culturale di provenienza o lingua curda.Attualmente il movimento indipendentista curdo in Turchia è guidato dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di ispirazione marxista che dal 1984, adotta anche strategie violente di lotta. Il PKK gode di un ampio sostegno da parte dalla popolazione, specialmente tra le fasce più deboli dal punto di vista economico e sociale (solo il 48% della popolazione curda è alfabetizzata, con tassi più bassi per le donne, e una ristretta minoranza parla il turco).La guerriglia curda oggi conta più di trentamila militanti impegnati in una lotta estrema contro l’esercito turco che prosegue nella strategia di distruzione ed evacuazione di migliaia di villaggi. Ankara ha chiaramente optato per una

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soluzione militare della questione curda e si è lanciata in una feroce caccia ai sostenitori, o presunti tali, del movimento indipendentista. Le carceri turche si sono rapidamente riempite di prigionieri politici che, il più delle volte, sono vittime di torture ed esecuzioni extragiudiziali. L’azione di denuncia e sensibilizzazione dell’opinione pubblica condotta dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani presenti in Turchia ha subito una battuta d’arresto perché il governo ha stabilito la chiusura delle loro attività. Non solo: la Turchia, firmataria della Convenzione europea dei diritti umani ne ha sospeso l’applicazione al Kurdistan nel quale dal 1987 vige lo stato d’emergenza.Ai kurdi veniva attribuito uno spirito diabolico che li rendeva dei “cattivi musulmani”. In realtà essi sono gioviali e ospitali e spesso sono invitati a feste appunto per questo.In Iran, i Kurdi dell’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) combattono contro il regime di Teheran dal 1972. In seguito alla rivoluzione di Komeini del 1979 i curdi iraniani si sono riuniti nel PDKI (Partito democratico del Kurdistan Iraniano) e hanno organizzato una serie di rivolte allo scopo di ottenere l’autonomia politica (non la secessione). Teheran ha risposto con una feroce repressione provocando almeno diecimila morti. La situazione nel Kurdistan iraniano oggi è tutt’altro che normalizzata. Con la presenza di oltre 150.000 militari il governo continua a mantenere in stato d’assedio la regione assicurandosi un controllo capillare del territorio. Gli scontri tra i quattro Paesi mediorientali e le comunità curde sono stati a lungo considerati dalla comunità internazionale come “affari interni” nonostante le ripetute denunce di violazione dei diritti umani condotte dalle organizzazioni umanitarie. Eppure si è dovuto attendere il 1991 perché il Consiglio di sicurezza dell'Onu, con la risoluzione n. 688, si esprimesse in favore del popolo curdo riconoscendo “un dovere di ingerenza umanitaria negli affari interni dello Stato”.A questa presa di posizione sono seguite numerose risoluzioni del Parlamento Europeo relative alla violazione dei diritti umani in Iraq e Turchia. L’apertura dei negoziati per l’allargamento dell’Unione Europea ad Ankara ha subito non poche battute d’arresto dovute alla condotta del governo turco. Se gli osservatori internazionali affermano che sono stati compiuti importanti progressi in materia di legalità, Amnesty International registra ancora centinaia di casi di tortura all’anno e l’assenza di organismi indipendenti di controllo che possono lavorare con le ONG o esaminare le attività della polizia nelle caserme. La strada per il riconoscimento di una parziale autonomia del popolo curdo è ancora lunga.Dopo il trattato di SevresNel 1932 in Turchia per la costituzione è negata l'esistenza dei Kurdi. Il kurdo è una lingua che non si insegna. Ciò testimonia il fatto di non potere avere un'identità. I Turchi sfruttano le risorse idriche del territorio e i kurdi sono costretti a lasciare la loro terra.Nel 1988 e nel 1991 accadono due episodi che provocano molte vittime tra i Kurdi. Nel primo episodio di Halabja vengono usate armi chimiche contro i kurdi. Il 1991 rappresenta la data di termine della guerra del Golfo tra l' ONU e l'Iraq. I kurdi vengono prima incoraggiati e poi traditi dall'Occidente (Bush). Quindi possiamo dire che, in qualche modo, noi siamo stati testimoni dell'esodo dei kurdi in Turchia. Il popolo kurdo ha un'identità culturale perché ha una bandiera e addirittura un inno nazionale. Nonostante questi fattori il popolo sembra aver rinunciato in modo definitivo all'indipendenza.In questo territorio, insomma, si cerca di cancellare una realtà con la sua storia e la sua identità culturale.Riflessioni personaliLa vicenda curda è molto più complessa di quanto i media abbiano presentato in questi mesi.I motivi sono presto detti:

il fatto che i curdi costituiscano cinque minoranze in altrettanti diversi paesi il modo di agire della politica internazionale che ha utilizzato a seconda del proprio comodo

sia il principio della non interferenza negli affari interni di un altro paese che il principio opposto che implica l’intervento all’interno di un paese al fine di proteggere la popolazione curda (esempio: operazione "Provide Confort")

il diverso peso internazionale che, nei differenti contesti storici e geopolitici, hanno assunto i tre principali paesi coinvolti (Turchia, Irak, Iran) e di converso il maggiore o minore peso

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del problema curdo. All’origine va comunque posta la questione del mancato rispetto dei diritti dell’uomo. Diritti che nel caso curdo sono stati violati in modo gravissimo e continuativo senza che mai la comunità internazionale intervenisse in modo coerente, forte e chiaro.È importante soffermarci sul punto riguardante il fatto che l'Occidente ha sulla coscienza l'esodo kurdo in Turchia. L'occidente non interviene, in aiuto dei kurdi che sono minacciati, contro gli articoli riguardanti i diritti universali di ciascun popolo. Dimostra di non aver ancora eliminato nel senso più radicale l'ideologia totalitaria del nazismo e fascismo che rivendicava la presenza di una razza superiore. Nonostante gli stati europei siano a conoscenza di ciò che accadeva in Kurdistan non intervengono per non contrastare l'impero ottomano. Cercano di evitare una possibile disputa che potrebbe dilagare in una guerra nei confronti della Turchia.

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bibliografiaCartacea- Laura Schrader, “Il diritto di esistere”, EGA-Edizioni Gruppo Abele, 1999, 208p.- Marcella Filippa, “Discrimini: profilo dell'intolleranza e del razzismo”, Sei, Torino, 1998- De Bernardi, Guarracino, Balzani, “Tempi dell’Europa, tempi del mondo 3”, Bruno Mondadori- Hannah Arendt, “Le origini del totalitarismo”, Einaudi, Torino, 2004- Primo Levi “I sommersi e i salvati” Cap III. La zona grigia

Multimediale- http://it.wikipedia.org/- http://www.metaforum.it/- http://www.filosofico.net/- http://www.liferesearchuniversal.com/

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