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Seminario di Teologia Politica Tempio Pausania, 22-23 Marzo e 19-20 Aprile 2013 Istituto Euromediterraneo Istituto Superiore Di Scienze religiose

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Istituto Euromediterraneo Istituto Superiore Di Scienze religiose. Seminario di Teologia Politica. Tempio Pausania, 22-23 Marzo e 19-20 Aprile 2013. La teologia politica del Novecento. Martino Dalla Valle. Programma e obiettivi. - PowerPoint PPT Presentation

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Page 1: Seminario di Teologia Politica

Seminario di Teologia PoliticaTempio Pausania, 22-23 Marzo e 19-20 Aprile 2013

Istituto EuromediterraneoIstituto Superiore Di Scienze religiose

Page 2: Seminario di Teologia Politica

La teologia politica del NovecentoMartino Dalla Valle

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Programma e obiettivi Dopo un’introduzione di carattere storico-concettuale,

seguita da una rassegna delle diverse forme che la teologia politica ha assunto nel corso della storia, ci soffermeremo a esaminare il suo significato per il mondo moderno.

Prenderemo in esame due opposte visioni del problema teologico-politico: da un lato l’imperio del sovrano che ha il compito di arginare la deriva dei tempi, dall’altro la schiera degli oppressi cui la teologia offre l’ultima riserva escatologica.

Due visioni che hanno i nomi rispettivamente di Carl Schmitt e Walter Benjamin e che, secondo Jacob Taubes, altro indiscusso protagonista del dibattito novecentesco, rappresentano non soltanto la più radicale controversia in materia di teologia politica ma anche il drammatico crocevia che ha profondamente segnato il secolo scorso.

Seguendo Taubes, che considerava di vitale importanza ripensare questo luogo eminente del dibattito teologico-politico, tenteremo di comprendere che nella definizione di teologia politica è in gioco niente meno che la possibilità di estendere universalmente il messaggio di salvezza cristiano.

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Paradigmi del moderno“L’angelo della storia” “L’epimeteo cristiano”

Walter Benjamin (1892-1940)Carl Schmitt (1888-1985)

Page 5: Seminario di Teologia Politica

IntroduzioneChe cos’è la teologia politica?

Page 6: Seminario di Teologia Politica

La storia del concetto

Page 7: Seminario di Teologia Politica

L’origine del concettoUna questione di metodoL’origine del concetto (che è altra cosa dalla

fondazione del problema) appartiene alla storia concettuale.

Per comprendere il significato di concetti e lemmi filosofici è necessario ricostruire la loro genesi storica.

L’espressione «teologia politica», nella forma latina Theologia civilis, o greco-latina theologia politike, compare per la prima volta nel quarto libro della Città di Dio di Agostino (354-430).

Page 8: Seminario di Teologia Politica

La condanna di Agostino della teologia “civile”

La teologia “tripartita” è stata poi avversata dagli scrittori cristiani come Tertulliano ed Eusebio di Cesarea, e fissata in forma canonica da Agostino.

Agostino condanna la teologia “tripartita”: come possono coesistere in uno stesso individuo la spiegazione razionale (teologia naturale) con la superstizione (teologia mitica)?

La teologia politica o civile (forma mediana) contraddice la verità della teologia naturale e richiede l’inganno per assoggettare i popoli.

Agostino nomina Quinto Muzio Scevola (150?-82 a.C.), giurista e allievo dello stoico Panezio (180?-110? a.C.), che ha distinto tre categorie di Dei, istituite l’una dai poeti, l’altra dai filosofi e la terza dai governanti (politici)

Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) ha poi distinto tre tipi di teologia:

1. mitica (leggendaria)

2. fisica (naturale)

3. politica (civile)

Page 9: Seminario di Teologia Politica

Dal Medioevo all’età moderna Analogamente,

Machiavelli (1469-1527), nei Discorsi, riprese l’idea romana della religione civile, da cui fece dipendere la prosperità delle nazioni

Nel Seicento, la formula theologico-politicus, più che un’espressione filosofica, è un termine tecnico della giurisprudenza (non indica la riflessione sul legame tra umano e divino, ma il rapporto giuridico tra ambiti separati, Stato e Chiesa)

La condanna della religione civile da parte di Agostino ha avuto l’effetto di rinviare fino agli inizi del Seicento la riflessione sui rapporti tra religione e politica (teologia politica).

Per tutto il Medioevo la teologia civile rappresentò soltanto uno degli innumerevoli errori del paganesimo.

Nelle fonti medievali non compare mai l’espressione “teologia politica”.

Per un singolare paradosso l’epoca più teologico-politica della storia evitò sempre di usare questo nome (è tale nella sostanza, ma non nel nome).

Page 10: Seminario di Teologia Politica

Il Settecento

Page 11: Seminario di Teologia Politica

La “religione civile” di Vico Giambattista Vico (1668-1744): la sua

Scienza nuova si presenta come una teologia politica consapevole («teologia civile ragionata della provvedenza divina»).

Vico modifica la tripartizione di Varrone ponendo che le diverse forme della conoscenza umana, e quindi della teologia, non solo allegorie di una verità originaria (“philosophia perennis”), ma altrettante intuizioni originali e autosufficienti del mondo che hanno dato forma alle diverse epoche della storia.

La Scienza nuova ricostruisce le fasi della transizione dell’umanità da un’epoca, e quindi da un genere di teologia, all’altra (conoscenza della “provvidenza divina”)

Page 12: Seminario di Teologia Politica

La teologia dell’Encyclopédie

Illuminismo: la voce teologia, d’autore anonimo, contenuta nell’Enciclopedia (1751), ricorda la tripartizione di Varrone:

Teologia mitica o favolosa fiorita tra i poeti e che ha per oggetto la teogonia delle divinità pagane

Teologia politica «abbracciata soprattutto dai principi, dai preti e dai popoli come la scienza più utile e necessaria per la sicurezza, la tranquillità e la prosperità dello stato» (ricorda la condanna di Agostino)

Teologia fisica o naturale coltivata dai filosofi come la scienza più conveniente alla natura e alla ragione (deismo)

Page 13: Seminario di Teologia Politica

Rousseau: la “religione dell’uomo” Rousseau (1712-1778) afferma nel Contratto

sociale (1762) che religione e politica «servono da strumento una all’altra».

Affinché il cittadino diventi politicamente razionale, lo Stato deve educarlo per lungo tempo. Questa funzione pedagogica è svolta dalla religione, i cui insegnamenti convincono gli uomini senza violenza

Rousseau distingue però una religione del cittadino, «riconosciuta in un solo paese», con i suoi dei e i suoi patroni tutelari, dalla religione dell’uomo, «senza templi, senza altari, senza riti, limitata al puro culto interiore del Dio supremo e agli eterni doveri della morale».

Dei tre tipi di teologia (civile, naturale e “cristiana”, che è un ibrido dei primi due), Rousseau salva solo quella naturale, la religione dell’uomo (il “vero cristianesimo” del Vangelo)

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Kant e Robespierre

La “legge morale” di Kant Con Immanuel Kant (1724-1804) si

giunge all’estinzione della religione civile, o fede civica, che appare ormai come superstizione.

Se esiste un’unica vera religione ed essa coincide con i dettami della ragione, allora non è possibile distinguere tra la rivelazione e la ragione.

La ragione si esprime nel diritto (ambito esteriore, pubblico) e nella morale (ambito interiore, privato).

Abbiamo così una scissione tra l’uomo esteriore del diritto (mondo fenomenico) e l’uomo interiore della coscienza (mondo noumenico, cosa in sé, ambito della morale).

La “religione politica” di Robespierre

I giacobini, al contrario, riducono la teologia naturale a culto politico.

L’unico culto è quello razionale della fede civile (teologia naturale).

La Convenzione del 7/4/1794 istituì il “culto nazionale dell’Essere Supremo”, voluto da Robespierre (religione politica).

La religione civile di Rousseau è suscettibile di due sviluppi opposti:

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L’OttocentoRivoluzione e controrivoluzione

Page 16: Seminario di Teologia Politica

Il concetto di “teologia politica” è una creazione del Novecento, ma ha trovato i suoi predecessori nell’Ottocento, in particolar modo negli scrittori cattolici della controrivoluzione.

Controrivoluzione

Louis Gabriel Ambroise De Bonald (1754-1840)

Joseph De Maistre (1753-1821)

Juan Donoso Cortés (1809-1853)

La crisi aperta dalla rivoluzione poteva essere risolta solo ritrovando il nesso tra teologia e politica (analogia tra le forme di governo e i culti o le confessioni religiose)

Ateismo, socialismo e anarchismo

Ludwig Feuerbach (1804-1872) Pierre-Joseph Proudhon (1809-

1865) Karl Marx (1818-1883) Michail Bakunin (1814-1876) Per questi autori, invece, l’analogia

strutturale tra teologia e politica svolge una funzione critica e negativa: smascherare l’origine teologica delle argomentazioni politiche per emancipare l’uomo e la società dall’oppressione religiosa.

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Il Novecento (1)La teologia politica “classica”

Hans KelsenIl panteismo giuridico

Carl SchmittLa fondazione della

teologia politica

Karl LöwithSignificato e fine della

storia

Erik PetersonLa riserva escatologica

Walter BenjaminIl messianismo politico

Page 18: Seminario di Teologia Politica

Carl Schmitt e i suoi critici

Superiorità e indipendenza della politica (Topitsh, Blumenberg, Assmann)

Superiorità e indipendenza della teologia (Gogarten, Peterson)

La politica corrotta dalla teologia (Strauss, Voegelin, Guardini, Löwith)

La politica salvata dalla teologia (Benjamin, Taubes)

Schmitt: il moderno è nato nel passaggio dalla teologia alla filosofia, dalla religione alla scienza, dall’eternità del tempo sacro alla linearità della storia profana (secolarizzazione).

I termini in gioco in questo schema sono la teologia, la politica e il loro nesso.

A ciascun termine possono essere assegnati valori diversi od opposti, a seconda che si consideri la politica derivata dalla teologia o viceversa, oppure l’una superiore e indipendente dall’altra.

Provando a formalizzare questo discorso, otterremo quattro combinazioni a cui corrispondono altrettante reazioni novecentesche al teorema schmittiano della secolarizzazione.

Page 19: Seminario di Teologia Politica

Politica =

Teologia

Influenza

negativa della

teologia

Primato della

politica

Influenza

positiva della

teologia

Primato della

teologia

Page 20: Seminario di Teologia Politica

teologia=

politica

teologia corromp

e la politica

politica superior

e indipend

ente

teologia salva la politica

teologia superior

e indipend

ente

Strauss Voegelin Guardini Löwith

Topitsh BlumenbergAssmann

Gogarten Peterson

BenjaminTaubes

Schmitt

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Il Novecento (2)La nuova teologia politica

Page 22: Seminario di Teologia Politica

La “nuova teologia politica” di Johann Baptsti Metz (1928) e la “teologia della speranza” di Jürgen Moltmann (1926) sono la risposta cristiana sia all’escatologia materialista sia al teorema schmittiano della secolarizzazione e del parallelismo tra politica e religione (la “vecchia teologia politica”).

L’accento è ora posto sulla natura escatologica e sociale del messaggio evangelico.

Karl Barth (1886-1968) e Rudolf Bultmann (1884-1976) avevano già riconosciuto nell’escatologia il tratto fondamentale del cristianesimo, ma facendone un trascendentale dell’esperienza religiosa ne avevano perduto il carattere storico, la reale incombenza.

L’immediato precursore è piuttosto Erik Peterson (1890-1960) che con la sua teoria della “riserva escatologica” ha messo al centro della riflessione teologica il tempo della fine.

Il richiamo alla fine rimane l’unica possibilità di sottrarre la teologia alla seduzione del secolo. Per preservare la propria identità, la teologia deve rinunciare alla politica e porsi come alternativa radicale al “mondo”.

Page 23: Seminario di Teologia Politica

Il dibattito attuale Il dibattito attuale assume come punto di

partenza la “nuova teologia politica” e in particolare la compresenza di escatologia e libertà.

Le nuove forme di teologia politica sono il risultato della composizione variabile di questi due principi, escatologia e libertà e si lasciano suddividere in due grandi gruppi.

Laddove si insiste di più sull’escatologia si può parlare di “teologia dell’esodo”, prendendo a prestito l’espressione da Armido Rizzi.

Dove, invece, prevale il tema della libertà parliamo di “teologia della liberazione” o, in generale, di “teologia dell’emancipazione”.

Page 24: Seminario di Teologia Politica

Teologie dell’emancipazione Teologia della liberazione. Nel 1971 Gustavo Gutiérrez

(1928) pubblica l’opera omonima. Alla base della T.L. vi è la dottrina della Communicatio idiomatum fissata dal concilio di Calcedonia (451): Gesù è pienamente uomo e Cristo. Perciò il credente non può rifiutare il mondo ma deve agire per il riscatto dei poveri.

Teologia politica nera (asiatica, europea). Teologia femminista (feminist, womanist, latina). Figura

centrale è Dorothee Sölle (1929-2003): contro la “visione costantiniana” di Schmitt bisogna ripensare il concetto di teologia politica che ha separato fede e libertà. Fede storica e azione sociale coincidono. La teologia politica deve diventare “ortoprassi”. Teologie

dell’esodo La «teologia dell’esodo» di Armido Rizzi (1933) che radicalizza il principio escatologico.

La «teologia politica estrema» di Riccardo Panattoni (1928), che ripensa il messianismo politico di Walter Benjamin.

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La fondazione del problema

Page 26: Seminario di Teologia Politica

La teologia politica di PaoloÈ Paolo il primo a dare compiuta espressione

razionale alla teologia. Egli rielaborò il primitivo contenuto “mitico” delle comunità cristiane nella prima consapevole teologia cristiana.

Le sue tesi sono concentrate soprattutto nella celebre Lettera ai romani.

Le letture riformistiche e controriformistiche hanno privilegiato l’aspetto teologico perdendo di vista il contesto storico.

La recente esegesi biblica (“Nuova prospettiva su Paolo”, Sanders, Horsley, Dunn) considera invece le sue dottrine sullo sfondo della Palestina del I° sec e alla luce delle relazioni tra ebraismo e protocristianesimo.

Page 27: Seminario di Teologia Politica

L’azione di Paolo appare così come un’alternativa teologica globale al dominio dell’impero, un progetto antimperiale (su questo aspetto insiste molto Jacob Taubes nelle sue lezioni sulla teologia politica di Paolo).

Paolo parla e si comporta come il “legato” di un nuovo regno a venire.

Sono tre i momenti caratterizzanti della sua teologia politica:

1. Trascendenza2. Cristologia3. Escatologia

Page 28: Seminario di Teologia Politica

1. La trascendenza Il Regno di Dio è un’alternativa al regno di Cesare, qualcosa

che lo sostituirà trascendendolo. Il mondo è percorso da una profonda frattura poiché il peccato

ha privato l’uomo dell’immagine di Dio e lo ha lasciato preda della carne (Rm 3, 9-20).

Tutti gli uomini sono peccatori, nessuno è giusto. La legge agisce come un inesorabile strumento di condanna (2,15).

Solo l’incarnazione del Figlio permette all’uomo di restaurare l’originaria immagine divina (8, 1-4) e di essere giustificato (3,26).

Tra l’impero del peccato e il mondo redento esiste un’alternativa drastica. Dio, inviando il Figlio, non riunisce la terra e il cielo, non salva la carne, bensì la condanna, la distrugge e inaugura un regno dello spirito che la trascende (8, 3-6). La vera città dei cristiani, infatti, è in cielo (Fil 3, 20).

Il tempo è fratto in un età del falso e in un’era del vero. Nella natura non abita Dio, ma c’è solo morte. Vera vita sarà solo nel tempo a venire.

L’escatologia di Paolo rappresenta dunque una totale negazione del mondo dato (Rm 6, 4; 12, 2; Ef 2, 15; 4, 17-24). Dio scende sulla terra per annichilirla. Il controimpero di Gesù sovvertirà dalle fondamenta l’impero di Cesare.

Page 29: Seminario di Teologia Politica

2. La cristologia Una “cristologia fondamentale”: Gesù non è solo un

messia chiamato a liberare Israele ma il vero Figlio di Dio, signore e Cristo (Fil 2, 5-11). Gesù è il mediatore tra Dio e uomo.

Facendosi uomo e morendo sulla croce ha annientato la morte unendola alla natura divina (Ef 1,7).

Il suo sacrificio ha reso possibile la trasformazione della carne in spirito.

Solo il sacrificio di Gesù può giustificare l’uomo e fondare la comunità dei fedeli (Rm 3, 26).

Come la croce ha riunito gli uomini a Dio, così la Chiesa si riunisce attorno al Cristo solo per mezzo della croce.

La croce diventa così il fondamento della cristologia paolina.

La Chiesa è depositaria e custode della promessa di salvezza contenuta nella croce.

Dalla cristologia discende una ecclesiologia escatologica.

Page 30: Seminario di Teologia Politica

3. L’escatologia Paolo rielabora l’idea biblica di una storia della

salvezza, stando alla quale Dio un disegno sia per l’uomo sia per il creato (Cfr. Rm. 8, 19-20).

Il piano divino introduce però una differenza tra gli uomini: non tutti saranno salvati, ma solo coloro che hanno avuto la grazia di conoscere l’annuncio (Rm 9, 11).

Le opere buone non sono sufficienti per la salvezza se non sono accompagnate dalla fede.

Tuttavia, l’imperscrutabile volere di Dio ha concesso tale conoscenza solo a una parte dell’umanità che dunque è stata chiamata a essere popolo di Dio (Ef 1, 11; 2Tm 1, 9).

Il piano divino implica anche una dimensione cosmica perché fin dall’eternità deve essere presente in Dio il proposito misterioso che si è rivelato in Gesù Cristo.

Il momento centrale di questo disegno di salvezza è il sacrificio del Figlio (Rm 3, 25).

L’escatologia è imperniata sulla cristologia del sacrificio eucaristico.

Page 31: Seminario di Teologia Politica

La teologia politica dopo Paolo Dopo Paolo, la teologia politica

cristiana ha prodotto tre diversi modelli o paradigmi che sono altrettanti tentativi di determinare i rapporti tra Dio, la Chiesa e l’Impero, cioè tra le supreme auctoritates del Medioevo.

Se, infatti, «non c’è autorità se non da Dio» (Rm 13), allora dev’esserci un qualche nesso di necessità tra il volere divino e l’esistenza degli ordinamenti umani (come l’Impero).

Il problema è stabilire l’ordine e la gerarchia dei poteri: Dio, Chiesa e Impero possono dare vita a tre differenti rapporti che costituiscono altrettanti modelli di teologia politica.

Dio

Chiesa Impero

Page 32: Seminario di Teologia Politica

Le tre forme di teologia politica dell’età medievale

«Ogni autorità deriva

da Dio»

Chiesa senza Regno

(Agostino)

Chiesa e Regno (papa

Gelasio I)Regno senza Chiesa

(Eusebio di Cesarea)

Page 33: Seminario di Teologia Politica

La teologia politica di HobbesFino a Thomas Hobbes (1588-1679) la riflessione

teologico-politica si mosse nell’alveo tracciato dalle tre opzioni tardo antiche.

Benché egli fosse debitore del primo tra i modelli tradizionali (secondo cui spetta unicamente al re di rappresentare l’intero ordine politico), tuttavia egli scardinò l’impianto tradizionale della teologia politica.

Fino ad Hobbes nessuno aveva messo in dubbio che esistesse un ordine trascendente. Il dissenso nasceva piuttosto quando si doveva stabilire come quest’ordine agisse e a chi spettasse rappresentarlo.

Hobbes mise in questione il punto di partenza: l’ordine politico non doveva più essere costruito in riferimento alla trascendenza (a principi super- o transumani), ma doveva essere del tutto secolare.

Page 34: Seminario di Teologia Politica

Hobbes e la secolarizzazione La secolarizzazione della società è l’atto

fondante della moderna teologia politica. Teologia politica dell’assenza: in un orizzonte

compiutamente secolarizzato o sdivinizzato, “nichilistico”, l’ordine divino o trascendente è presente solo come assoluta mancanza. Dio non interviene più nella storia e agisce solo attraverso le leggi di natura.

Il compito della nuova scienza politica è costruire l’ordine sociale in un ambito puramente umano e secolare.

La società diventa un costrutto artificiale, una “macchina” operante secondo degli automatismi dettati dalla tecnologia del concetto che ha realizzato lo Stato moderno (sovranità, patto sociale e rappresentanza).

Il contenuto della religione è la professione di fede: «Gesù è il Cristo». Non è una regola per il governo di questa terra, ma ha solo valore escatologico.

Page 35: Seminario di Teologia Politica

Prima parteLa teologia

politica di Carl Schmitt

Page 36: Seminario di Teologia Politica

Premessa alla seconda edizione (1933)

1. Definizione della sovranità

2. Il problema della sovranità come problema della forma giuridica e della decisione

3. Teologia politica

4. La filosofia dello Stato della Controrivoluzione (De Maistre, Bonald, Donoso Cortés)

Teologia politicaQuattro capitoli sulla dottrina della sovranità (1922)

Page 37: Seminario di Teologia Politica

1. Definizione della sovranità

Sovrano è chi decide sullo stato

di eccezione

Page 38: Seminario di Teologia Politica

Sovranità e stato d’eccezione

Il concetto di sovranità è di un «concetto limite».Concetto limite è un concetto relativo alla «sfera più

estrema» (lo “stato di eccezione” in quanto istituto giuridico).

Per definire correttamente la sovranità non bisogna fare riferimento al caso normale, cioè alle norme vigenti (normalità), ma al «caso limite» (appunto lo stato d’eccezione).

Il fatto che il caso limite sia appropriato alla definizione della sovranità ha una ragione sistematica, di logica giuridica: «la decisione intorno all’eccezione è infatti decisione in senso eminente» (p. 33).

Page 39: Seminario di Teologia Politica

Eccezione e decisione Una norma generale, contenuta nell’articolo di legge

normalmente vigente, non può mai comprendere un’eccezione assoluta, poiché una decisione in senso giuridico deve poter essere derivata dal contenuto di una norma (liberalismo, Stato di diritto).

Ma proprio qui sta il problema: il caso d’eccezione è precisamente il caso non descritto nell’ordinamento giuridico vigente e nessuna norma può essere applicata al caos (p. 39).

Può essere descritto in generale come caso d’emergenza (minaccia per l’esistenza dello Stato o simili), ma non può essere descritto con riferimento alla situazione di fatto che resta imprevedibile e indeterminata (non è possibile prevedere il contenuto dell’eccezione né predisporre il suo superamento)

L’eccezione, dunque, solleva la questione della sovranità: chi decide sullo stato d’eccezione? Chi decide ad esempio quando sussiste l’emergenza? Chi ha competenza là dove non sussiste nessuna competenza e non ci sono norme da cui derivare la decisione poiché l’ordinamento vigente è sospeso?

Page 40: Seminario di Teologia Politica

Chi è il Sovrano? Nella situazione d’emergenza (l’“estremus necessitatis casus”

della giurisprudenza del XVI sec.), la costituzione può indicare al massimo chi può agire in questo caso.

Ma se quest’azione non è sottoposta a nessun controllo, né ripartita tra le diverse istanze dello Stato, allora «diventa automaticamente chiaro chi è il sovrano» (p. 34).

Sovrano è chi «decide tanto sul fatto se sussista il caso estremo di emergenza, quanto sul fatto di che cosa si debba fare per superarlo» (ibid.).

Perciò il Sovrano, se da un lato appartiene all’ordinamento giuridico vigente (poiché tocca a lui decidere la sospensione della costituzione), tuttavia, dall’altro, ne è al di fuori perché non deriva la sua autorità da nulla.

«L’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine, risposa su una decisione e non su una norma» (p. 37).

Per applicare una norma bisogna ristabilire l’ordine, creare una situazione “normale”. «Sovrano è colui che decide in modo definitivo se questo stato di normalità regna davvero» (p. 39)

L’essenza della sovranità è il monopolio della decisione (p. 40).

Page 41: Seminario di Teologia Politica

La critica allo Stato di diritto La moderna giurisprudenza dello Stato di diritto, al contrario, ha

sempre teso ad escludere un tale concetto di Sovrano (uno su tutti Kelsen e il moderno liberalismo).

La tendenza del diritto puro (positivismo giuridico) a regolare dettagliatamente lo stato d’eccezione si imbatte nella seguente contraddizione: descrivere il caso in cui il diritto si sospende da sé.

«Da dove ricava questa forza il diritto?». E «com’è logicamente possibile che una norma valga con l’eccezione di un caso concreto, che essa peraltro non è in grado facilmente di prevedere nella sua esplicazione di fatto?» (p. 40).

Se per il razionalismo (filosofico e giuridico) «l’eccezione non dimostra nulla e solo la normalità può essere oggetto di interesse scientifico», per Schmitt, al contrario, il caso normale non «prova nulla, l’eccezione prova tutto» (p. 41).

Non solo l’eccezione conferma la regola: «la regola stessa vive solo dell’eccezione». Nell’eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica irrigidita nella ripetizione» (p. 41).

A differenza del razionalismo e del positivismo, una filosofia della vita concreta non può ritrarsi davanti all’eccezione e al caso estremo

Page 42: Seminario di Teologia Politica

2. Il problema della sovranità come problema della forma giuridica e della decisione

Ciò che importa è chi decide

Page 43: Seminario di Teologia Politica

Sovranità e potere assoluto Il concetto di sovranità nasce con Jean Bodin (1529-1596)

nel contesto della definitiva trasformazione dell’Europa in Stati nazionali e delle lotte del principe con i ceti.

«Per sovranità si intende quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello stato» (Bodin, I sei libri dello Stato).

L’antica definizione (“la sovranità è il potere supremo”) si scontra però con la realtà: «nella realtà politica non esiste un potere supremo, cioè più grande di tutti, irresistibile e funzionante con la sicurezza della legge di natura» (p. 44).

Rousseau aveva già avvertito che la forza non prova nulla per il diritto: «la forza è un potere fisico; la pistola del brigante è anch’essa un potere».

Page 44: Seminario di Teologia Politica

Il problema di fondo della sovranità è allora «la conciliazione del potere supremo di fatto e di diritto» (p. 44), o, in altre parole, quello della sua forma giuridica.

La moderna teoria liberale dello Stato di diritto (Kelsen) tende invece a separare sociologia e giurisprudenza, dato sociologico (“impuro”) e dato giuridico (“puro”).

Secondo Kelsen il fondamento di una norma può essere solo un’altra norma (scienza del “diritto puro”).

Kelsen nega così lo Stato. Sovrano non è più lo Stato, bensì il diritto. Non lo Stato, ma il diritto deve avere il potere.

La teoria moderna dello Stato riduce lo Stato alla produzione del diritto (p. 49)

Forma e potere

Page 45: Seminario di Teologia Politica

Autorità e persona «Kelsen risolve il problema del concetto di sovranità

semplicemente negandolo. La sua conclusione è che bisogna eliminare il concetto di sovranità (p. 47).

La teoria liberale dello Stato è «mitologia semantica». Su che cosa, infatti, riposa il potere di una norma se non «su una disposizione positiva, cioè su un comando»? (p. 46). Il concetto di sovranità resta inaggirabile.

Kelsen rifiuta il soggettivismo e il personalismo del comando, ai quali intende sostituire l’oggettività e impersonalità della norma.

Egli mostra così di ignorare il nesso profondo e sistematico che lega la personalità all’autorità formale. Ignora cioè l’essenza della decisione giuridica.

La forza giuridica di una norma non deriva dalla norma stessa, dal suo contenuto, ma da una decisione.

Page 46: Seminario di Teologia Politica

L’essenza della decisione Nell’applicazione del diritto sussiste un momento di

indifferenza contenutistica, cioè un momento che non può essere dedotto dal contenuto normativo dell’idea giuridica, poiché «la conclusione giuridica non è deducibile fino in fondo dalla sue premesse, e la circostanza che una decisione è necessaria resta un momento determinante di per sé» (p. 55).

«In senso normativo, la decisione è nata da un nulla» (p. 56).

«La legge non dice a chi dà l’autorità. […] Dice solo come si deve decidere, non anche chi deve decidere» (p. 57).

«Ciò che importa dunque è chi decide» (p. 58). L’ultima parola non spetta alla norma, ma al legislatore, al sovrano.

Il senso del decisionismo (Hobbes) è: «Auctoritas, non veritas facit legem» (p. 57).

In conclusione, il problema della forma giuridica è il «contrasto fra soggetto e contenuto della decisione» (pp. 58-59).

Page 47: Seminario di Teologia Politica

3. Teologia politica

Tutti i concetti giuridici sonoconcetti teologici

secolarizzati.

Page 48: Seminario di Teologia Politica

L’analogia di teologia e politica «Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello

Stato sono concetti teologici secolarizzati» (p. 61). Non sono affatto concetti originali, bensì il prodotto della secolarizzazione dei concetti teologici.

«Solo con la consapevolezza di questa situazione di analogia si può comprendere lo sviluppo subito dalle idee della filosofia dello Stato negli ultimi secoli» (p. 61).

L’analogia vale sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista filosofico o sistematico.

Nel primo caso, diremo che lo sviluppo storico dei concetti politici è consistito nel loro passaggio dall’ambito della teologia a quello della dottrina dello stato.

L’analogia non è però solo esteriore, storica, fattuale, ma anche interna, strutturale, sistematica. Esiste cioè un’identità perfetta tra epoca e metafisica, tra struttura concettuale e organizzazione sociale (p. 69).

Page 49: Seminario di Teologia Politica

Alcuni esempi di analogia il Dio onnipotente è diventato il monarca assoluto. Lo stato di eccezione ha per la giurisprudenza un

significato analogo al miracolo per la teologia. L’idea del moderno Stato di diritto si realizza con il

deismo e il razionalismo illuministi, cioè con una teologia e una metafisica che escludono il miracolo (cioè lo stato di eccezione).

Il teismo degli autori conservatori della controrivoluzione riafferma la sovranità personale del monarca (fino al caso di Donoco Cortés che teorizza la necessità della dittatura).

Nel XIX° sec., l’accantonamento delle concezioni teistiche e trascendenti si accompagna alla costruzione immanentistica di un diritto positivo (“positivismo”).

Oggi la democrazia è l’espressione di una scientificità relativista e impersonale (p. 71).

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L’identità di epoca e metafisica Determinare l’identità tra metafisica ed epoca è compito

della sociologica dei concetti giuridici. Ma come dev’essere intesa questa identità? Bisogna evitare le due opposte spiegazioni del

materialismo e dello spiritualismo. Il materialismo appiattisce la sfera spirituale su quella materiale, e riduce la prima a “riflesso”, “rispecchiamento”, “travestimento” dei rapporti economici. Lo spiritualismo, al contrario, spiega i rivolgimenti della storia con i mutamenti della concezione del mondo. In entrambi i casi si procede alla «riduzione di una delle due sfere all’altra» (p. 67).

Per Schmitt, invece, esse devono essere intese come «due identità spirituali, e tuttavia sostanziali» (p. 68), e il compito della sociologia dei concetti è rintracciarne il nesso sistematico, ovvero l’identità di struttura. Il quadro metafisico di un’epoca ha, infatti, la stessa struttura ultima della sua organizzazione politica (p. 69).

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Integrazioni Dialogo sul potere

Il concetto di «Politico»

L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni

Il Nomos della terra

Ex Captivitate Salus

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Seconda parteIl messianismo

politico di Walter

Benjamin

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Frammento teologico-politico Breve testo scritto probabilmente (secondo l’amico Scholem)

nel 1920-21 che trae origine dalla lettura dello Spirito dell’Utopia di Ernst Bloch, che Benjamin si era proposto di recensire.

Fu letto ad Theodor e Gretel Adorno a Sanremo alla fine del 1927 o all’inizio del 1938 e indicato da Benjamin come “la novità delle novità”.

Ciò fece supporre ad Adorno che si trattasse di un testo recente, mentre Scholem lo data all’inizio degli anni ‘20.

È probabile invece che l’indicazione di Benjamin si riferisse al contenuto del frammento, ovvero il tema teologico-politico e messianico, da poco ritornato attuale nella sua meditazione.

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1. Il Messia e la fine della storia Nel tempo della compiuta secolarizzazione (Schmitt), in

cui le categorie teologiche sono state assorbite dal lessico politico, Benjamin non ha paura di parlare esplicitamente di Messia.

Chi è il Messia? Il Messia è colui che compie, ovvero porta a termine (nel duplice senso di dare piena attuazione e porre fine) il tempo storico.

L’opera del Messia è redimere, cioè portare la storia alla sua piena e definitiva realizzazione e porre così simultaneamente fine all’accadere storico. Ma la redenzione della storia è insieme anche la redenzione dalla storia.

Solo mettendo fine all’insensata successione degli accadimenti storici è possibile conoscere il senso della storia. Il tempo redento è allora il tempo che ha ottenuto il proprio significato.

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2. Sacro e profano Il Messia, mettendo fine alla storia, «produce la

relazione», cioè “getta un ponte” tra il tempo storico e il tempo messianico, tra l’ordine del profano e l’ordine del sacro.

Poiché solo il Messia può collegare i due ordini, nessun potere mondano è in grado di realizzare il regno di Dio («nulla di storico può volersi da se stesso riferire al messianico»). Pertanto non bisogna confondere i due ordini.

Il regno di Dio, infatti, non è lo scopo (telos) dello sviluppo (dynamis) storico. Esso è piuttosto termine (Ende), e non scopo (Ziel), della storia.

Porre sullo stesso piano l’ordine del profano e l’ordine del sacro, e costruire il primo con le categorie del secondo («sul pensiero del regno di Dio»), come fa la teocrazia, è un grave fraintendimento che può avere conseguenze funeste.

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3. L’immagine mistica della storia L’ordine del profano (la storia) e l’ordine del sacro (il

messianico) non seguono la stessa direzione (e questo spiega perché le potenze storiche non possano dare vita al regno di Dio).

Lo scopo (telos, Ziel) della storia, infatti, non è il regno di Dio, ma la felicità degli uomini («L’ordine del profano deve essere orientato sull’idea di felicità»).

Il Messia segue allora una traiettoria diversa, ed anzi divergente, rispetto alla storia.

Ordine del sacro (Messianico)

Ordine del profano (storia)

Regno

Felicità

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4. L’avvento del Regno Sebbene sacro e profano percorrano traiettorie opposte,

tuttavia possono giungere a “toccarsi”. Può accadere infatti che la storia, seguendo la propria

traiettoria («la ricerca della felicità»), sospinga incidentalmente e in modo del tutto imprevisto l’umanità nell’opposta direzione del messianico.

«Come una forza, attraverso la sua traiettoria, può favorirne un’altra diretta in senso opposto, così anche l’ordine del Profano può favorire l’avvento del regno messianico».

Regno

FelicitàStoria

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5. Felicità e dolore Sacro e profano resteranno divisi fino all’avvento del

Regno. Perciò nessuna categoria del profano può essere applicata al Regno («il profano non è una categoria del Regno»).

Se il profano non fa parte del Regno, esso è tuttavia un momento, ed anzi il momento centrale, del suo avvicinamento («una categoria del suo più facile [silenzioso] approssimarsi»).

Il profano è tanto più vicino al Regno quanto più se ne allontana per dirigersi invece verso la propria meta: la felicità (mondana, corporea).

Il profano incontra sulla via della felicità il Regno che proviene dalla direzione opposta, quella dell’infelicità e del dolore.

La felicità, infatti, è la misura del progresso storico, mentre il dolore quella del messianico. Il “cuore” che soffre intensamente è più vicino al Regno.

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6. La “natura messianica” La felicità è l’aspirazione di ogni essere terrestre, ma si

ottiene solo nel «tramonto», cioè in quell’attimo eterno («eternità d’un tramonto») in cui la vita, pienamente esaudita, “tramonta” e cede il passo a un’altra esistenza.

In questa concezione è presente il ricordo dello Zarathustra di Nietzsche. Da notare l’assonanza con il verso conclusivo delle Elegie duinesi (1922) di Rilke: «E noi che la felicità la pensiamo / in ascesa sentiremmo la commozione, / che quasi ci atterra sgomenti, / per una cosa felice che cade».

L’eterno e incessante dileguare delle “forme” del mondo costituisce il «ritmo della natura messianica».

Il ritmo o l’alternanza di nascita e morte rivela infatti l’attesa messianica della natura che soffre per questo eterno morire, «la sua eterna e totale caducità», da cui vuole essere redenta.

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S. Paolo, Romani 8, 18-25Secondo Jacob Taubes, Benjamin ha una concezione

paolina del creato come sofferenza e fugacità, e riporta a conferma il celebre passo di Rom. 8, 18:

«La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza».

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7. La redenzione della natura La redenzione non investe solo lo spirito ma anche il corpo («alla

restitutio in integrum spirituale ne corrisponde una mondana»). Se la prima, quella spirituale, «conduce [attraverso la morte]

all’immortalità», la seconda, quella mondana, «porta [attraverso il trascorrere di tutte le “forme di vita”] all’eternità di un tramonto», cioè al momento in cui tutta la creazione otterrà compimento (perché avrà espresso tutto quanto era nella sua capacità) e sarà finalmente liberata dalla caducità e dalla “malattia della morte”.

Profano (natura e storia)

Messianico(Regno di Dio)

Dolore

Felicità Compimento= tramonto

Quando la vita ha raggiunto la sua pienezza ed è pronta a tramontare, la massima felicità coincide col massimo dolore: è il momento della redenzione.

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8. Redenzione, nichilismo e politica NB. Tenterò qui di interpretare l’ultimo enigmatico

capoverso. Il compito della politica è la realizzazione della felicità

che però può avvenire solo nel tramonto delle forme mondane e, dunque, della stessa politica.

Si tratta di una sorta di “redenzione profana”, che, assecondando il ritmo della natura messianica, conduce la politica al suo apice e insieme alla sua fine.

La politica ha perciò un “cuore” nichilistico, poiché, adoperandosi per sostituire l’ordine esistente (ad es., nel caso di Paolo, l’impero romano) con uno migliore e progredire così verso la felicità, collabora in realtà alla fine di ogni ordine mondano e dunque di ogni politica.

Perciò Benjamin scrive che il metodo della politica mondiale «deve esser chiamato nichilismo».

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L’angelo della storia

«C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera» (Tesi IX)

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ConclusioneTeologia politica vs messianismo

politico“Il leviatano”

Trattenere l’Anticristo C. Schmitt

“L’angelo della storia”La redenzione è adesso

W. Benjamin