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COMPLICANZE DIABETELa complicanza cronica tipica del diabete è la microangiopatia. Questa malattia che dà una scarsa qualità di vita e una serie di problemi e che riduca la vita del paziente da 5 a 10 anni, dà fondamentalmente complicanze croniche. I pazienti muoiono per le complicanze croniche che sono :

- Microangiopatia insuff renale(il diabete è la prima causa di insuff renale), cecità, neuropatia(dopo 10 anni è presente in quasi l’80% dei pazienti diabetici)

- Macroangiopatia complicanze cardiovascolari(l’infarto è fino a 4 volte più frequente in persone che sono affette da diabete), amputazioni non traumatiche(la perdita degli arti si ha al primo posto x incidenti stradali e poi per il diabete)

Un altro punto importante è perché il diabete colpisce alcune cellule e non altre, in particolare colpisce le cellule endoteliali, quelle del mesangio e i neuroni. Questo accade perché queste cellule non hanno una barriera in grado di proteggerle dall’aumento delle glicemia che questi pazienti hanno. Quindi l’iperglicemia è tossica soprattutto per alcune cellule, mentre altre cellule hanno meccanismi che bloccano in qualche modo l’entrata di glucosio o lo riducono, come meccanismi di membrana o meccanismi di espulsione del glucosio eccessivo. Invece alcune cellule, soprattutto le cellule endoteliali, rappresentano una barriera semplice da attraversare, quindi se aumenta la glicemia, questo zucchero passa nelle cellule con conseguente attivazione di una serie di vie metaboliche x smaltirlo che sono la causa delle complicanze. quindi l’iperglicemia colpisce alcune cellule che sono la sede delle lesioni. Un’altra causa delle complicanze diabetiche la durata della malattia, man mano aumenta la durata del diabete man mano aumenta la probabilità di andare incontro ad alcune complicanze. A 10 anni di malattia ad esempio circa il 70% dei pazienti diabetici ha qualche complicanza oculare. Se noi consideriamo invece 5 anni prima vediamo che questa complicanza è solo nel 10-20%. Le complicanze renali compaiono dopo 10 anni, poi ci sono le complicanze neurologiche e via dicendo. Quindi le complicanze sono :

- Microangiopatiche: retinopatia, nefropatie e neuropatia(anche se la neuropatia sta a cavallo tra microangiopatia e macroangiopatia perché a livello cerebrale ci sono anche vasi di grandi dimensioni)

- Macroangiopatiche: complicanze cardiache(cardiopatia ischemiche), ictus cerebrale, vasculopatia degli arti inferiori che è la prima causa degli arti inferiori dopo gli incidenti.

Sappiamo ancora poco sui dati genetici che stanno alle base dello sviluppo delle complicanze. Per esempio ci sono pazienti con diabete scompensato già da tanti anni ma che non presentano alcuna complicanza, anche se cmq sono molto rari, mentre ci sono pazienti che anche solo dopo 5 anni sviluppano le complicanze. Dunque c’è una base genetica che ancora non conosciamo.Poi ci sono dei fattori modulatori, particolari fattori come l’ipertensione o lo stile di vita o la dieta più o meno ricca di proteine o il fumo che agiscono modulando nel senso che accelerano la comparsa di complicanze. un paziente diabetico che è fumatore ha, a parità di glicemia con un soggetto non fumatore, più precocemente la comparsa di cardiopatie ischemiche o di retinopatie. L’aumento di zuccheri che arriva all’interno della cellula fa si che la via classica metabolica del glucosio non sia in grado da sola di smaltire tutto il glucosio in arrivo, per cui si attivano delle vie che sono sempre presenti nella cellula ma che in condizioni fisiologiche sono utilizzate pochissimo e che andranno a prevalere sul ciclo di krebs. Queste vie metaboliche sono alla base delle alterazioni che si avranno nella cellula e nella membrana basale e quindi delle complicanze croniche del diabete. Vie metaboliche:

- VIA DEI POLIOLI l’iperglicemia attiva un enzima che normalmente è poco utilizzato e che è l’aldoso reduttasi che trasforma il glucosio in sorbitolo che poi verrà trasformato in fruttosio. Il risultalo finale sarà l’aumento nella cellula di alcuni polioli, cioè del sorbitolo e del fruttosio, e la diminuzione del mioinositolo che funge da secondo messaggero che ha importanza nel favorire gli scambi di membrana e che ha tante altre funzioni a livello recettoriale; infatti è noto che la riduzione del mioinositolo si associa ad una difficoltà della cellula a far entrare il glucosio, quindi è legato in qualche modo ai recettori dell’insulina e via dicendo. I polioli che si accumulano così nelle cellule sono sostanze osmoticamente attive, richiamano acqua e portano ad alterazioni strutturali della cellula. Questa è la via principale che sta alla base delle complicanze neuropatiche e oculari. La riduzione del mioinositolo si è visto che può danneggiare la pompa di membrana e quindi può alterare gli scambi con l’esterno della cellula. È stato visto che negli animali supplementando il mioinositolo si ha un miglioramento di questi processi. Questo tipo di alterazione però non è stata sempre riportato.

- ATTIVAZIONE DELLA PROTEIN CHINASI C l’attivazione della via parallela al ciclo di krebs che è già intasato dà luogo all’attivazione di questa protein chinasi C che dà luogo all’attivazione di

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una serie di vie metaboliche e di fattori che sono coinvolti nella comparsa delle complicanze croniche. Ad esempio aumenta la coagulazione, aumenta la permeabilità, aumenta l’occlusione dei capillari, agisce modificando il flusso ematico locale e dà effetti pro infiammatori legati alle complicanze, nel senso che pazienti con complicanze croniche hanno basso grado di infiamm, un po’ quello che succede nelle malattie cardiovascolari(anche qui si parla molto dell’influenza dei fattori dell’infiamm nella formazione della placca). L’attivazione della protein chinaci C dà luogo ad una serie di alterazioni compresa l’attivazione della via del’infiammazione che contribuiscono in qualche modo alla comparsa delle complicanze microangiopatiche. Si è visto come un inibitore di questa via della protein chinasi C negli animali resi diabetici di ritardare la comparsa delle complicanze microangiopatiche.

- GLICAZIONE NON ENZIMATICA processo di unione prima labile e poi stabile fra una proteina e lo zucchero con formazione di prodotti precoci che col tempo diventano più stabili fino a quando diventano prodotti che creano alterazioni alla struttura della cellula e sono alla base della comparsa delle complicanze. Ecco il prodotto di Amadori che è un prodotto reversibile è dovuto all’unione del glucosio con la proteina. Se la reazione continua ad andare avanti dà luogo a dei prodotti irreversibili che sono i prodotti tardivi della glicazione che sono alla base del danno strutturale alla cellula. Una cosa importante di questi prodotti di glicazione è il comportamento che hanno per quanto riguarda alcune cellule implicate nel danno microangiopatico. Qui ad esempio è disegnata una cellula endoteliale. La cellula endoteliale ha dei recettori specifici x questi AGE(prodotti di glicazione tardiva) che quindi vengono internalizzati e poi all’interno della cellula agiscono sulla trascrizione nucleare dando luogo ad una alterazione della cellula. Qui invece è rappresentato un macrofago e si è visto che anche questo ha recettori specifici all’interno della cellula che permettono di internalizzare questi AGE e poi l’internalizzazione dà luogo, in queste cellule infiammatorie, alla produzione di fattori infiammatori che sono alla base dei meccanismi importanti per la comparsa delle complicanze microangiopatiche. Questa glicazione non enzimatica, non solo crea dei prodotti intermedi e tardivi della glicazione che creano poi delle alterazioni strutturali alla cellula ma vengono anche, attraverso questi meccanismi, internalizzati creando ulteriori danni sia alle cellule endoteliali, sia favorendo processi dell’infiammazione entrando all’interno dei macrofagi che poi producono tutte queste citochine o mediatori dell’infiammazione. Gli AGE si legano ad un recettore specifico presente sulla superficie cellulare. Il legame fra il prodotto tardivo della glicazione e il suo recettore dà luogo ad una serie di reazioni che favoriscono poi il danno cellulare e in questo processo c’è anche l’intervento dei fattori dell’infiammazione che sono codificati dal cromosoma 6. Quindi in questo processo c’è l’intervento non solo delle cellule endoteliali ma anche delle cellule infiammatorie quindi linfociti,macrofagi, fibroblasti e cellule mesangiali(il mesangio è la sede più importante di danno a livello renale). Un’altra alterazione fondamentale è quella che si crea fra questi prodotti della glicazione e il collageno. Il risultato clinico di questo legame è un aumento dell’ispessimento della membrana basale, l’aumento di rigidità vascolare, un aumento dello spessore dei vasi, formazione di placche quindi fondamentalmente x la macroangiopatia diabetica e soprattutto agiscono riducendo il rilascio dell’acido nitrico che è un fattore di prevenzione del danno vascolare. La conseguenza finale è che i pazienti con questo meccanismo hanno vasocostrizione, riduzione del flusso ematico, ischemia dei tessuti che poi sono le cause che portano alle amputazioni.

- VIA DELLE ESOSAMINE le esosamine sono amino zuccheri che aumentano xk aumenta il glucosio a disposizione che non viene smaltito. Quindi questo tipo di legame dà luogo all’attivazione di questa va della glucosamina che come risultato finale dà anche questa un’alterazione della trascrizione nucleare per alcun fattori, in particolare x i fattori di crescita e per i fattori che influiscono sulla coagulazione vasale. Questi sono meccanismi fondamentali perché x esempio nella retinopatia diabetica proliferante c’è una crescita abenorme di cellule endoteliali e quindi di vasi che poi si rompono e danno luogo all’emorragia; alcuni fattori di crescita vengono attivati da questa via metabolica. Nei pazienti diabetici ci sono alterazioni delle fasi della coagulazione per cui questa via è implicata anche nell’aumento del PAI 1 che è coinvolto nei processi che accelerano la coagulazione e la formazione del trombo. Quindi l’iperglicemia comporta aumento dei fattori di crescita che poi danno luogo al danno retinopatico quindi alla retinopatia proliferante e ad una maggiore coagulabilità del sangue a quindi alla formazione di trombi che sono causa di ostruzione vascolare e di infarti

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- STRESS OSSIDATIVO rientra nei meccanismi patogenetici di molte malattie, malattie cardiovascolari, tumori, complicanze del diabete. I fenomeni di stress ossidativo x quanto riguarda il metabolismo del glucosio avvengono spesso. Per esempio x autoossidazione si ha la formazione di chetoaldeide che è un metabolita dello stress ossidativo; anche la glicazione delle proteine determina aumento dei radicali liberi che rientra in questo tipo d alterazioni. Quindi vedete come varie vie metaboliche si uniscono e contribuiscono attraverso la produzione di radicali liberi ad aggravare il danno metabolico. Infatti è stata definita questa teoria che mette insieme tutti i vari processi che abbiamo visto; quindi tutte le vie metaboliche che abbiamo visto fino ad ora, oltre a provocare i danni che abbiamo già visto, danno luogo tutti a stress ossidativo; x cui si ha una via comune finale che aggrava le complicanze. Infatti si parla di un meccanismo unitario. Tutte le vie metaboliche alla fine al’interno della cellula danno luogo alla formazione di radicali liberi che nel nucleo cellulare creano alterazioni definitive con conseguente morte cellulare. I radicali liberi determinano pure alterazione della catena respiratoria presente nei mitocondri e che serve x metabolizzare gli acidi tricarbossilici; l’aumento della produzione di radicali liberi determina iperproduzione di idrogenioni quindi dà un blocco alla catena respiratoria, insofferenze e apoptosi cellulare. Ipotesi unificante dice che nelle cellule endoteliali soprattutto a livello mitocondriale, l’iperglicemia causa un eccesso di produzione di radicali liberi, soprattutto dell’anione superossido, e una contemporanea carenza di ossido nitrico. Questo fenomeno innesca e accelera le altre vie metaboliche alterate dall’iperglicemia. Quindi la presenza di radicali liberi aumenta la glicazione non enzimatica delle proteine, aumenta l’attività della via dei polioli, la via della protein chinasi C e la produzione di esosamine. Ricapitolando ci sono queste vie alterate metaboliche per la presenza di iperglicemie di glucosio nella cellula che viene smaltita attraverso la via di krebs e questo attiva queste vie metaboliche, ma contemporaneamente l’aumento di radicali liberi, oltre che creare danni al nucleo cellulare, accelera a sua volta queste vie metaboliche, le potenzia aggravando tutto il sistema, ecco perché si parla di “ipotesi unificante” perché alla fine è l’aumenta dei radicali liberi che mette insieme tutte le vie metaboliche.Una cosa importante è il ruolo che hanno queste vie metaboliche nell’insulino-resistenza. Abbiamo detto queste vie metaboliche sono alla base di queste complicanze microangiopatiche però si è visto che anche nella macroangiopatia hanno un ruolo importante perché la macroangiopatia viene accelerate perché questi sono pazienti con diabete di tipo 2 e quindi con insulino-resistenza. L’insulina inibisce la liberazione di acidi grassi liberi nell’adipocita. Questa resistenza insulinica aumenta la liberazione di acidi grassi liberi che poi arrivano alla cellula endoteliale dove devono entrare nel ciclo di ossidazione mitocondriale che però è alterato dall’iperglicemia. Quindi alla fine producono e aggravano quei processi metabolici alterati dall’iperglicemia stessa. Queste sono vie metaboliche alterate che danno luogo alle complicanze microangiopatiche ma anche a complicanze macroangiopatiche. Le complicanze microangiopatiche sono più caratteristiche dei soggetti con diabete di tipo 1. Le complicanze macroangiopatiche sono più frequenti nei sogetti con diabete di tipo 2 che hanno insulino-resistenza. L’insulino resistenza favorisce la comparsa di queste complicanze macroang tramite l’aumento degli acidi grassi liberi che innescano e peggiorano i meccanismi detti precedentemente.

QUADRI CLINICIRETINOPATIA DIABETICA I risultati di queste vie metaboliche alterate sono, per quanto riguarda la retina:

- Retinopatia non proliferante - Retinopatia proliferante

Nella non proliferante le alterazioni osservabili con un semplice esame del fondo oculare sono:- Presenza di piccole emorragie superficiali nella periferia dell’occhio- Presenza di micoroaneurismi(piccole dilatazioni dei vasi della retina che poi sfoceranno nelle

emorragie fino ad arrivare ad emorragie profonde e nella fase più avanzata distacco della retina con cecità del paziente)

- Essudati duri dovuti ad accumuli di proteine che trasudano perché la membrana basale dei vasi della retina è inspessita e alterata dai processi che dicevamo prima; queste alterazione della membrana basale fanno si che esse perda la sua funzione e faccia passare le proteine nel liquidi extracellulare; questi essudati alterano la visione e ingrandendosi possono creare dei danni seri alla retina; si fa ricorso alla terapia con il laser che distrugge queste neoformazioni vasali e di emorragie in modo tale da evitare che il danno vada avanti.

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È la complicanza più semplice che quasi tutti i pazienti presentano dopo 10-15 anni di malattia, alcuni iniziano a presentarla dopo i primi 5 anni. È strettamente legata alla media della glicemia del periodo, quindi anche questo caso è importante la durata del diabete e la durate dell’iperglicemia. Poi ci sono le forme più avanzate della retinopatia, cioè la pre proliferante e la proliferante che è quella che alla fine conduce alla cecità. Le caratteristiche delle pre proliferante sono un pochino diverse da quelle delle precedenti, per esempio gli essudati adesso non sono più essudati duri ma hanno un aspetto cotonoso, quindi sono più organizzati, aumentano di dimensione, quindi aumenta la zona di danno della retina quindi si riduce la capacità funzionale della retina. Inoltre nella forma pre proliferante ci sono più emorragie, ci sono delle aree di ischemia, cioè i fenomeni che portano ad una maggiore coagulazione dei vasi quindi lo stato pro coagulativo, dà luogo in questi casi ad una occlusione dei vasi retinici e alla comparsa di zone di ischemia importanti; le zone di ischemia diventano poi un pericolo xk in presenza di ischemia vengono prodotti dei fattori di crescita basale che danno luogo ad una proliferazione di vasi in quelle zone ischemiche quindi si passa alla forma di retinopatia proliferante. In questa forma rispetto a quella pre proliferante c’è la formazione di neovasi che però sono spesso non funzionanti, che si rompono più facilmente e che quindi possono dare più emorragie. La complicanza più temibile è infatti l’emorragia del vitreo fino al distacco della retina che poi causa la cecità. Quindi ricapitolando abbiamo: la non proliferante con lesioni semplici, piccole emorragie, microaneurismi ed essudati duri; poi c’è più avanti la forma più grave cioè la proliferante che dà luogo a grosse emorragie, con essudati cotonosi e distacco della retina per trazione. Questa è una complicanza importante, il cosiddetto emovitreo cioè la presenza di coaguli ed emorragie nel corpo vitreo, altra causa di cecità. NEFROPATIA DIABETICAÈ la prima causa di dialisi. Si distinguono 5 stadi:

- Stadio iniziale per l’aumento della glicemia il rene è costretto a lavorare di più quindi c’è un processo di ultrafiltrazione e un aumento di volume del rene, quindi una fase funzionale. Il rene deve riassorbire il glucosio che viene filtrato e questo porta alla prima complicazione legata all’iperglicemia.

- Stadio della nefropatia silente può durare decenni e non è diagnosticabile se non attraverso biopsie renali in cui si cominciano a vedere le alterazioni viste a livello retinico, perché si tratta sempre di microangiopatie.

- Stadio della nefropatia incipiente consente di prevenire gli stadi successivi diagnosticandolo; in questo stadio compare la microalbuminuria; se non si interviene in questo stadio poi da 5 a 10 anni max si passa allo stadio successivo.

- Stadio della nefropatia manifesta aumenta la pressione arteriosa, si riduce la filtrazione renale e compare la macroalbuminuria.

- Stadio della dialisi e dell’insuff renale cronica.I valori della microalbuminuria si possono raccogliere in tanti modi, si può fare una raccolta delle urine nelle 24h oppure si può dosare la microalbuminuria soltanto nelle urine della notte.Valori normali di microalbuminuria < 30 microgrammi in 24hValori patologici di microalbuminuria quando è compresa tra 30 e 300 microgrammi nelle 24hMacroalbuminuria > 300 microgrammi nelle 24hIn questa fase farmaci che riducono la pressione arteriosa, farmaci che riducono la glicemia, una riduzione delle proteine nella dieta e altri presidi di questo tipo sono in grado di ritardare l’evoluzione verso l’insuff renale; ecco perché tutti i soggetti diabetici si sottopongono a questo screening e anche allo screening del fondo oculare almeno un volta l’anno xk questo permette di evidenziare le lesioni che abbiamo visto precedentemente. NERUOPATIA DIABETICASe le retinopatia e le nefropatie sono tipiche del diabete, la neuropatia non ha delle caratteristiche tipiche del diabetico perché la si può riscontrare anche in tante altre patologie quindi è più difficile distinguere la neuropatia diabetica da quella di altre patologie. Allora x convenzione si definisce neuropatia diabetica solo da punto di vista clinico quando si ha la presenza di segni o sintomi di disfunzione del SNP escludendo altre cause di neuropatia. Per esempio si può avere un problema di neuropatia periferica per una lesione o un problema di … della colonna e questa on è tanto diversa dal punto di vista istologico da quella diabetica. Un paziente diabetico che ha comunque sia la discopatia che la lesione alla colonna è sempre classificato come un paziente neuropatico. Se il paziente diabetico presenta i sintomi tipici di neuropatia allora si fa diagnosi di neuropatia, ma non c’è un esame specifico come può essere quello del fondo oculare che permette di diagnosticare la retinopatia o come può essere la biopsia renale x quanto riguarda la complicanza

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nefropatica. La neuropatia diabetica è molto frequente, si ha nell’80% dei casi. Classificazione: ci sono forme diffuse e forme localizzate o focali:

- Forme simmetriche generalizzate e generalmente la forma più frequente è la forma sensitivo motoria cronica.

- Forma autonomica e rientra tra le polineuropatie simmetriche generalizzate. - Forme localizzate che riguardano solo alcuni nervi cranici o degli arti o del torace. - Forma amniotrofica che è molto rara che porta anche ad una riduzione della massa muscolare di

questi pazienti a livello degli arti e che è altamente invalidante.La più frequente è la sensitivo-motoria cronica che si localizza nella parte distale del corpo e degli arti, soprattutto negli arti inferiori, è simmetrica quindi interessa tutti e due gli arti, dà luogo ad una serie di sintomi come parestesie ma il sintomo più importante è una riduzione della sensibilità a livello degli arti. Questa riduzione della sensibilità che hanno i soggetti diabetici è alla base delle alterazioni del piede diabetico, perché questi pazienti non avendo sensibilità vanno incontro a microtraumi anche camminando o usando scarpe non adatte con conseguenti infezioni che possono portare all’amputazione. È la forma più diffusa che porta a questa forma di parestesia negli arti inferiori soprattutto la notte, che riduce la sensibilità e i riflessi. La diagnosi è legata all’iperglicemia ed è clinica. Poi ci sono le forme focali in cui sono frequenti le alterazioni dei nervi cranici; uno dei segni più tipici è la diplopia, spesso sono irreversibili; un’alterazione del faciale x esempio è un’altra complicanza frequente della neuropatia; un dolore intercostale legato ad una neuropatia soprattutto se vengono da una fase di scompenso metabolico. La via più studiata x la neuropatia è la via dei polioli che determina un accumulo di sorbitolo e fruttosio e un deficit di mio inositolo; vi è una glicazione delle proteine della mielina con alterazione della funzione della mielina; c’è anche un’alterazione dei vasi che irrorano i nervi, infatti la neuropatia è una microangiopatia ma in parte anche una macroangiopatia perché ci sono anche vasi più grossi coinvolti nel processo, quindi è una via di mezzo con formazione di fenomeni di ischemia; vi è un’alterazione del trasporto assonale dei fattori di crescita, quindi c’è un’alterazione dei fattori di crescita del nervo che è in continuo rimaneggiamento e ci sono dei danni legati anche alla presenza di citochine. La via dei polioli è sempre stata la più studiata. Negli anni sono state sintetizzate tante molecole che avevano l’effetto di bloccare gli enzimi che danno via alla formazione del sorbitolo, cioè l’aldoso reduttasi. Sono state utilizzate anche in Italia x oltre 10 anni questa molecole ed è stato commercializzato uno di questi farmaci cioè il Torrestath(non so se si scrive così e su internet non l’ho trovato). Poi si è visto però che questi farmaci se funzionavano benissimo sugli animali davano effetti collaterali nell’uomo e non avevano grande efficacia e quindi sono stati ritirati quasi tutti dal commercio. Quindi per ora non c’è nessun farmaco capace di curare la neuropatia diabetica se non il miglioramento del compenso metabolico e dell’iperglicemia che è alla base di tutti questi danni microangiopatici. Sono stati studiati a lungo i danni che i prodotti tardivi della glicazione arrecano al nervo, ma ancora nn si è riusciti a trovare il farmaco adatto. Un’altra via che si è studiata tanto è quella che riguarda l’alterazione dei fattori di crescita del nervo, una riduzione dei fattori di crescita del nervo che svolgono normalmente una funzione trofica perché aiutano il nervo a rigenerarsi. Abbiamo dunque parlato delle neuropatie somatiche periferiche. Una forma importante di neuropatia è quella che riguarda anche il sistema autonomico che ha un ruolo fondamentale x la regolazione di molte funzioni. I meccanismi che stanno alla base della neuropatia autonomica sono sempre gli stessi. È una patologia frequente però non si riesce a capire la vera prevalenza perché può oscillare da un 10 al 90% perché a volte i sintomi non sono chiari e può diventare difficile da diagnosticare. Ci sono dei fattori di rischio che predispongono alla neuropatia autonomica che sono l’età avanzata, la durata del diabete, il tipo di diabete cioè se è insulino dip o insulino indip, il grado di compenso metabolico. Per quanto riguarda la neuropatia autonomica le alterazioni più importanti sono quelle che si riscontrano a livello cardiovascolare, questo tipo di alterazione a livello cardiovascolare può essere la causa di morte per motivi cardiaci, infatti i soggetti diabetici possono avere un infarto silente senza segni tipici dell’infarto oppure possono avere fenomeni di aritmia, fibrillazione atriale e ventricolare; questo perché il sistema autonomino regola anche il segnapassi cardiaco quindi un’alterazione a questo livello può essere la causa di morte improvvisa di questi pazienti. Dunque la neuropatia più temibile nei pazienti diabetici è quella che riguarda l’apparato cardiocircolatorio, infatti per la diagnosi si utilizzano dei test che si basano sulla variazione dell’ECG. Oltre a quella cardiocircolatoria, un’altra sede importante di neuropatia autonomica è quella gastrointestinale con alterazione che riguardano l’apparato gastroenterico, infatti i soggetti diabetici possono avere turbe dell’alvo importanti, periodi di stipsi seguiti o preceduti da diarrea non trattabile, vomito incoercibile. Un’altra localizzazione importante è quella urogenitale. Questi sono i segni clinici:

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- Apparato cardiovascolare si passa da tachicardia a riposo a stanchezza per piccoli sforzi a ipotensione ortostatica(il paziente che si alza dal letto, ha un abbassamento di pressione improvvisa, perde coscienza), fino all’ischemia cardiaca e alla morte improvvisa.

- Apparato gastrointestinale Diarrea stipsi e incontinenza fecale. - Apparato urogenitale la vescica diabetica è una vescica che non riesce a contrarsi quando è piena,

quindi c’è un’alterazione dei recettori che con la distensione permettono lo svuotamento della vescica, per cui alcuni pazienti possono arrivare alla rottura della vescica.

MACROANGIOPATIA DIABETICALa microangiopatia è la complicanza tipica del diabete, la macroangiopatia è invece un’alterazione che presentano anche i pazienti non diabetici solo che nei pazienti diabetici assume delle caratteristiche particolari. Per quanto riguarda le alterazione istologiche non c’è tanta differenza, solo che i soggetti diabetici possono presentare questa malattia con gravità maggiore. La macroangiopatia è una lesione dei grossi vasi che dà luogo a delle manifestazioni cliniche ed è localizzata a livello delle coronarie, quindi la cardiopatia ischemica e l’infarto è quella più frequente. A livello cerebrale l’ictus è il risultato della macroangiopatia di questi pazienti e a livello periferico invece abbiamo l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori, quindi la stenosi degli arti inferiori. Quindi la macroangiopatia :

- È più frequente nei soggetti che hanno il diabete- È più precoce(nei soggetti normali insorge soprattutto dopo i 50 anni mentre nei soggetti diabetici

insorge prima, già a 35 anni può essere presente) - Interessa i vasi arteriosi più distali- È diffusa e polidistrettuale(per esempio di solito chi non ha il diabete di solito ha una lesione in un

unica arteria coronaria mentre nei soggetti diabetici quando hanno interessamento delle coronarie hanno un interessamento dei tre vasi )

- È più frequente nel sesso femminile soprattutto nella menopausa(le donne diabetiche perdono la protezione che tutte le donne hanno prima della menopausa; la cardiopatia ischemica nelle donne è un evento rarissimo e aumenta dopo la menopausa, mentre le donne diabetiche perdono questa protezione quindi anche non essendo in menopausa hanno frequenti eventi cardiovascolari come gli uomini se non di più)

Meccanismi patogeneticiNella microangiopatia c’è l’iperglicemia come meccanismo, qui invece ci sono gli altri fattori di rischio cardiovascolari che insieme alla iperglicemia danno alla fine il danno della macroangiopatica. Quindi abbiamo:

- Iperglicemia con glicazione delle proteine e alterazione dei fattori della fase della coagulazione, in parte legata anche ad altri meccanismi

- Insulino-resistenza che è meno frequente nei pazienti con diabete di tipo 1 e più frequente nei soggetti con diabete di tipo 2; siccome gli insulino-resistenti rappresentano la maggioranza dei soggetti diabetici questa complicanza è molto più frequente; quindi ecco perché i soggetti muoiono soprattutto per macroangiopatia, perché i soggetti insulino-resistenti sono più abbondanti e perché le complicanze che riguardano il cuore danno una mortalità maggiore rispetto alle microangiopatie. L’insulino-resistenza aumenta le interazioni di acidi grassi liberi che facilitano la produzione di ossido nitrico e quindi amplificano l’azione delle vie metaboliche che abbiamo detto prima

Fattori di rischio- Fattori di rischio non modificabili: predisposizione genetica, età, sesso, durata del diabete(man mano

che passano gli anni di diabete man mano aumenta il rischio di andare incontro ad eventi di macroangiopatia)

- Fattori di rischio modificabili sui quali si può intervenire x cercare di prevenirli: iperglicemia(se però l miglioramento della iperglicemia può prevenire la microangiopatia, il miglioramento della iperglicemia non può prevenire la macroangiopatia), dislipidemia, ipertensione arteriosa, insulino resistenza, difetti della coagulazione cioè la tendenza ad un’eccessiva coagulazione. Quindi si sa che in questi pazienti la prevenzione si attua agendo contemporaneamente su tutti questi fattori di rischio quindi il paziente dibetico assume molti farmaci per il controllo della iperglicemia ma anche i farmaci per il controllo della pressione arteriosa, i farmaci per la dislipidemia, farmaci antiaggreganti come l’aspirina. L’insulino resistenza è importante per il rilascio di acidi grassi, ma è anche un fattore di rischio che dà complicanze macroangiopatiche come l’ipertensione, la dislipidemia, l’obesità che sono tutte caratterizzate da insulino resistenza. Altri fattori di rischio modificabile

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presenti anche al di fuori del diabete(solo che i soggetti diabetici con questi fattori di rischio hanno danni maggiori rispetto ai non diabetici, infatti i soggetti diabetici hanno una probabilità di andare incontro ad infarto che è tre volte superiore rispetto a che fuma ma non ha diabete).

Quindi i fattori di rischio più importanti sono iperglicemia, dislipidemia, ipertensione, trombosi.I pazienti diabetici x essere considerati in compenso glicemico devono avere dei valori di glicemia al di sotto dei 130/40 a digiuno, a due ore dai pasti non devono superare i 180. Il parametro che si utilizza di più è l’emoglobina glicata che per essere accettabile deve essere inferiore a 7,5. La dislipidemia dei soggetti diabetico è caratterizzata da:

- Aumento delle LDL dovuto - aumento del colesterolo - aumento trigliceridi- diminuzione delle HDL

l’ipertensione è un altro fattore di rischio. Quasi il 70% dei diabetici di tipo 2 è anche iperteso . E poi c’è tendenza all’ipercoagulazione che favorisce la formazione della placca, il tutto è dovuto all’iperglicemia quindi all’aumento del fattore di coagulazione e aumento della piastrinica, ecco perché l’aspirina viene utilizzato nella prevenzione. A livello del plasma ci sono quindi più fattori pro coagulanti, a livello endoteliale c’è più probabilità che si formi la placca, c’è anche una maggiore tendenza all’aggregazione piastrinica con conseguente maggiore rischio per la formazione del coagulo e poi della placca.

IPOGLICEMIE, GOTTA, ETC… LEZIONE PROF DI BENEDETTO

Oggi vedremo di vedere questi aspetti delle complicanze del diabete, iniziando dalle ipoglicemie. Intanto il mantenimento dell’omeostasi glucidica è fondamentale e come vedremo, intervengono numerosi ormoni, proprio perché le cellule hanno necessità di avere un range ben definito per nutrirsi e sopravvivere e quindi l’ organismo mette in atto una serie di meccanismi per mantenere entro limiti ristretti l’ oscillazione glicemica, in particolare questo riguarda le cellule del sistema nervoso centrale, le quali, per il loro metabolismo, hanno bisogno di glucosio, per cui una mancanza di questo metabolita può creare danni importanti e irreversibili. Mentre le altre cellule dell’organismo sono in grado di utilizzare, in mancanza di glucosio, altri substrati (ac. Grassi liberi), le cellule del SNC non hanno questa possibilità. È chiaro che una brusca diminuzione o la mancanza di glucosio può creare danni irreversibili riguardo alle caratteristiche di tali cellule, che, come sapete, non sono in grado di replicarsi. L’unico metabolita in alternativa al glucosio che sono in grado di utilizzare è un corpo chetonico. Ad esempio l’acido acetico e l’acido idrossibutirrico possono essere metabolizzati dalle cellule del SNC, soltanto che i corpi chetonici non sono sempre disponibili; sono disponibili dopo il digiuno, dopo una prolungata attività fisica. L’utilizzo dei corpi chetonici, però, non avviene simultaneamente: quando diminuisce la glicemia, può accadere per un intervallo, più o meno lungo, che queste cellule non siano in grado di metabolizzare subito i corpi chetonici. Ecco perché diventa importante riconoscere tempestivamente l’ipoglicemia, che è l’ equivalente di un attacco ischemico dell’apparato vascolare, perché è come se mancasse l’ ossigeno al cervello. Detto questo vi ricordo ancora una volta che ci sono tutta una serie di ormoni che intervengono e che l’ ipoglicemia può essere più frequente durante i periodi di digiuno, cioè nei periodi di post-assorbitivi (tra un pasto e l’altro) e durante la notte. È proprio per questo motivo che l’organismo mette in atto tutta una serie di sistemi ormonali e non per mantenere, anche durante il periodo post-assorbitivo, cioè di assenza di glucosio che deriva da assunzione di cibi, i valori della glicemia costanti. In particolare, durante il digiuno si riducono i livelli di insulina circolante, che ha la funzione di regolare la produzione epatica di glucosio, la inibisce ed è il meccanismo più importante per mantenere la glicemia sotto controllo, durante la fase di digiuno, ciò attiva la neoglucogenesi. A livello muscolare, l’insulina permette l’entrata dentro le cellule di glucosio, se si riduce il livello di insulina, vi è meno disponibilità per l’ utilizzo del glucosio all’ interno della cellula, per cui il muscolo utilizza altri substrati e il glucosio viene utilizzato da SNC. Un’altra importante funzione dell’insulina è quella esercitata sul tessuto adiposo: sappiamo che l’ insulina a questo livello inibisce la liberazione di acidi grassi liberi, quindi una riduzione di insulina durante il digiuno da luogo ad un aumento di liberazione di ac. grassi liberi, che vengono poi convogliati a livello epatico, dove avverrà la neoglucogenesi, non solo gli ac. grassi liberi vengono usati anche da altri tessuti. La lipolisi viene anche favorita dagli ormoni contro-insulari (cortisolo, glucagone) che hanno effetto opposto all’insulina e che, durante il digiuno, aumentano. Quando questi meccanismi di regolazione vengono a mancare, compare, per

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motivi che adesso vedremo, l’ipoglicemia. Per definizione Si parla di ipoglicemia quando la glicemia plasmatica scende al di sotto di 72 mg/dl, questo valore deriva per convenzione dai 4mmol/L, sistema di misura usato dai paesi anglosassoni. L’ipoglicemia diventa un’ emergenza importante quando i livelli scendono al di sotto di 2,8mmol, cioè al di sotto di 50mg, in questo caso compaiono tutta una serie di alterazioni importanti, per esempio alterazioni elettroencefalografiche, segno di sofferenza cerebrale. Se questa condizione dunque si prolunga nel tempo si possono avere danni cerebrali importanti. Queste sono le condizioni che possono creare danni irreversibili e dipendono dalla soglia glicemica di partenza, cioè dal livello di glicemia che il soggetto aveva prima dell’abbassamento improvviso della glicemia, ci sono pazienti diabetici che hanno i sintomi di ipoglicemia anche a valori normali, soprattutto se vi è una rapida variazione dei valori, se si passa da 300mg/dl a 100 nell’arco di pochi minuti, pur non raggiungendo il limite di 72, questi pazienti possono avere i sintomi dell’ipoglicemia. Chiaramente la risposta all’ipoglicemia dipende dalla disponibilità di corpi chetonici, per cui se non vi è disponibilità di chetoni perché il soggetto o non è stato a digiuno o perché non ha svolto attività fisica, allora l’ipoglicemia può essere più grave perché mancano i substrati alternativi. Come classifichiamo l’ipoglicemia? può essere classificata in rapporto al momento di insorgenza: ipoglicemia a digiuno, che insorge soprattutto al mattino o durante la notte o a distanza di almeno 3-4 ore dal pasto principale, ipoglicemia postprandiale, che insorge entro 2-3 ore dal pasto, ipoglicemia indotta, che è legata all’ azione di farmaci che abbassano la glicemia e che è la forma più frequente nei soggetti diabetici. Quindi sia l’insulina che gli ipoglicemizzanti orali che aumentano la secrezione pancreatica di insulina possono dare ipoglicemia. E poi ci sono alcune altre sostanze, come l’alcol, gli alcolisti possono andare incontro a crisi ipoglicemiche perché l’alcol può, oltre che danneggiare il fegato, potenziare questo effetto, e alcuni farmaci. Quali sono i quadri clinici corrispondenti?IPOGLICEMIA A DIGIUNO: le malattie che possono portare a questa condizione sono tumori e quello più noto, anche se meno frequente, è l’insulinoma oppure malattie che danno dei problemi per quanto riguarda il meccanismo della neoglucogenesi, ad esempio un paziente con cirrosi epatica quindi con un fegato che non è più in grado di funzionare. Esistono poi forme definite carenziali, soggetti che hanno bisogno di aumentare la quantità di cibo e non lo fanno, come può succedere in gravidanza e pazienti che si sottopongono a diete dimagranti squilibrate o ancora durante l’allattamento, condizioni dunque in cui ha ipoglicemia da carenza di substrato. Anche nell’insufficienza renale cronica, in cui si crea uno stato generale carenza di substrati e in generale negli stati di malnutrizione. Le ipoglicemie a digiuno rappresentano le forme più gravi di ipoglicemie.IPOGLICEMIA POSTPRANDIALE: è la forma che insorge dopo i pasti, e quella più frequente è l’ipoglicemia reattiva o funzionale, che è una forma che classicamente insorge 2-3 ore dopo l’assunzione soprattutto di glucidi, perché il glucosio stimolando la secrezione insulinica è il substrato che più può generare questi casi di ipoglicemia e di solito questo avviene nei soggetti obesi o che hanno un pre-diabete o una ridotta tolleranza glucidica.IPOGLICEMIE INDOTTE: frequenti in chi si sottopone a terapia insulinica o con farmaci ipoglicemizzanti orali, che hanno una lunga emivita. Quali sono i sintomi? Sono i sintomi adrenergici, legati alla scarica di adrenalina, ansietà, sudori, tremori, palpitazioni, senso di fame improvvisa, ci sono dei segni legati alla mancanza di glucosio nel SNC, quindi astenia, scarsa concentrazione, cefalea, confusione fino a crisi epilettiche o all’ emiparesi vera e propria o al coma, che può essere più o meno prolungato e legato alla mancanza di substrato, di glucosio a livello cerebrale. Abbiamo ancora segni emodinamici, come riduzione della pressione arteriosa, presenza di extrasistoli, abbassamento della temperatura. Vediamo alcuni quadri rapidamente… vi dicevo degli insulinomi: sono dei tumori benigni che producono insulina, anche se sono rari, sono dei tumori che possono portare a morte il paziente per l’ipoglicemia, anche se non danno metastasi. Sono più colpite le donne, la sede di solito più frequente ma non esclusiva è a livello del pancreas, dove sono più numerose le isole del Langherans, soprattutto la coda del pancreas. La caratteristica degli insulinomi è la comparsa di episodi di ipoglicemia a digiuno. Altri tumori che possono dare ipoglicemia sono neoplasie che possono essere anche localizzate a distanza dal pancreas, spesso non c’entrano con lesioni pancreatiche e a volte non producono insulina come avviene per gli insulinomi, ma producono fattori di crescita e altri ormoni o fattori che mimano l’azione dell’insulina. Questi ultimi possono essere più frequenti degli insulinomi stessi e sono neoplasie che possono dare metastasi più importanti per quanto riguarda la sopravvivenza del paziente. E poi ci sono forme di ipoglicemia che sono legate ad altre malattie di origine endocrina, per esempio ipocorticosurrenalismo può dare ipoglicemia, quindi morbo di Addison oppure ipopituitarismo oppure il deficit dell’ormone glucagone, ormone che ha azione opposta a quella dell’insulina.

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Come vi dicevo prima l’ipoglicemia può essere dovuta anche a malattie importanti sistemiche, la cirrosi epatica in particolare e dipende dal grado di compromissione del fegato, anche in questo caso l’ipoglicemia intervien dopo che sono presenti tutti gli altri segni del danno della cirrosi, da questo punto di vista non pone un problema di diagnosi. Altra causa di ipoglicemia può essere l’ insufficienza renale, anzi è una causa abbastanza frequente, sia per i problemi che può dare di malassorbimento come abbiamo detto prima, ma anche perché, per esempio, il paziente con insufficienza renale cronica spesso, se è anche diabetico, va incontro a questi fenomeni perché il rene non riesce ad eliminare i farmaci che si utilizzano per la cura della malattia, la stessa insulina rimane in circolo e quindi può dar luogo ad episodi di ipoglicemia. Infine l’ ipoglicemia reattiva, legata a un iperinsulinismo, dovuto ad obesità, pre-diabete, per cui si tratta spesso di pazienti che hanno familiarità per il diabete e che assumono in eccesso carboidrati, per cui la crisi si scatena 1-2 ore dopo il pasto, vi è un aumento della glicemia, che ha come conseguenza un aumento della secrezione insulinica, che a sua volta da luogo alla crisi ipoglicemica, anche piuttosto importante in questi pazienti . Si risolve la situazione di questi pazienti con la riduzione del peso e la riduzione dell’insulino-resistenza.Quali sono i test che abbiamo a disposizione per fare diagnosi di ipoglicemia? Chiaramente il dosaggio della glicemia, che deve essere però effettuato in laboratorio e con dei sistemi di precisione perché, come vi dicevo per quanto riguarda la diagnosi del diabete, i reflettometri, cioè queste macchinette portatili che dosano la glicemia rapidamente, non hanno spesso una grande precisione ma possono avere un’oscillazione del 10-20%, per cui non ci servono per fare la diagnosi. L’altro parametro che viene utilizzato è il dosaggio dell’insulinemia e soprattutto il rapporto fra glicemia e insulinemia che a volte è diagnostico, per esempio per quanto riguarda l’insulinoma, perché nell’insulinoma classicamente c’è una riduzione dei valori di glicemia e valori altissimi di insulinemia. Quando il rapporto tra glicemia e insulina circolante supera lo 0,3-0,4 allora la diagnosi di insulinoma è molto probabile. Ecco perché anche con sistemi molto semplici è possibile a volte fare diagnosi differenziale tra varie forme di ipoglicemia. Poi vi sono dei test da stimolo, come il test del digiuno e l’OGTT. Per esempio,quando c’è il sospetto di un insulinoma, quindi c’è un’ipoglicemia a digiuno, il test che si utilizza in diabetologia è il cosiddetto test del digiuno. Il paziente viene monitorato perché può essere pericolosa per questi soggetti una crisi ipoglicemica; viene controllata la glicemia ogni ora o 2 ore, e il paziente chiaramente non mangia. La presenza di un’insulinoma scatena l’ipoglicemia dopo 3-4 ore a digiuno. Per cui questo, insieme al riscontro al momento della crisi ipoglicemica di alti valori di insulinemia, ci permette di fare diagnosi della malattia. Per quanto riguarda l’altra forma di ipoglicemia, quella reattiva, cioè che compare dopo i pasti, il test che si utilizza è la curva da carico del glucosio prolungata per 3-4 ore perché, come vi dicevo prima, in questi casi il glucosio che è il più potente metabolita in grado di stimolare la secrezione insulinica, fa aumentare acutamente la quantità di insulina che viene prodotta da questi soggetti per cui, dopo un paio d’ore dalla somministrazione per os di 75 g di glucosio compare l’ipoglicemia con tutti i sintomi e comunque i livelli, in questo caso, di insulina circolanti permettono di fare diagnosi differenziale con l’insulinoma perché là i livelli sono molto più elevati e poi non c’è questa stretta connessione con l’assunzione del cibo. L’altro argomento che dovevamo trattare è l’obesità. Anche questa è una patologia molto frequente. La definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità da di obesità è UNA CONDIZIONE CARATTERIZZATA DA UN AUMENTO DEL PESO CORPOREO PER ACCUMULO DI TESSUTO ADIPOSO IN MISURA TALE DA INFLUIRE NEGATIVAMENTE SULLO STATO DI SALUTE, perché come tutti sappiamo gli obesi vanno incontro a tutta una serie di alterazioni importanti, non solo un maggiore rischio cardiovascolare, ma anche una maggior frequenza di complicanze che riguardano per esempio l’apparato osteo-articolare, e altri problemi oltre quelli cardiocircolatori. Come tutti sappiamo gli obesi hanno un’aspettativa di vita molto inferiore rispetto a quella della popolazione generale. Abbiamo diverse modalità per definire se un soggetto è normopeso, sovrappeso od obeso; quello che più si utilizza, per convenzione in tutto il mondo è il rapporto tra peso e altezza, il BMI. In base al BMI possiamo distinguere diverse categorie: la normalità è al di sotto di 25 (da 18,5 a 25), al di sotto di 18 si va tra le magrezze. Il sovrappeso si ha al di sopra di 25 e vi sono diversi gradi di sovrappeso: da 25 a 30 si parla di semplice sovrappeso o pre-obesità; l’obesità si ha dopo 30. Da 30 a 35 si parla di obesi di classe I; da 35 a 39 obesi di classe II; i grossi obesi hanno un BMI oltre i 40. Questo è la modalità che si riscontra in letteratura per classificare il grado di obesità. Un altra modalità che si utilizza è quella della localizzazione dell’obesità: l’obesità fondamentalmente può essere localizzata nel tronco, a livello dell’addome, si chiama obesità androide o a livello degli arti inferiori e dei glutei e questa si chiama obesità ginoide.

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L’equivalente del calcolo del BMI è la misura della circonferenza vita, che è entrata ormai nella pratica routinaria di tutti, quindi insieme alla definizione del rapporto peso/altezza per capire se il paziente è in sovrappeso oppure no, ormai tutti con questa semplice misura della circonferenza vita siamo in grado di stabilire se vi è una localizzazione prevalente addominale dell’adipe oppure no, e questi sono i livelli che permettono di fare diagnosi: nelle donne il valore > 88 cm e nell’uomo >102 cm fa fare diagnosi di obesità prevalentemente addominale oppure no. La misurazione avviene a livello della ombelicale trasversa, è una pratica molto semplice, come pesare il paziente così si deve anche misurare. Poi ci sono dei sistemi più sofisticati che sono in grado di misurare il quantitativo di grasso presente nel corpo, sistemi ormai computerizzati, per cui vedete che si parla di normalità nei maschi fra 12-20%, tra 12 e 30% nelle femmine. Si parla di obesità quando si supera il 25 % nei maschi, il 33% nelle donne, ma questo è un sistema più sofisticato, basta utilizzare il sistema del calcolo del BMI e della circonferenza vita. Per quanto riguarda la classificazione dell’obesità, anche qui ci sono diverse modalità, almeno 3 o 4. Una prima classificazione distingue in primaria e secondaria. La primaria è legata all’iperalimentazione, senza cause importanti o costituzionale; quella secondaria invece legata ad altre patologie ormonali e non. Un’altra modalità di classificazione riguarda la numerosità delle cellule adipose, quindi si può avere un’obesità iperplastica, dove vi è un numero aumentato di adipociti, oppure ipertrofica, dove gli adipociti non sono come numero aumentati tantissimo, mentre aumentano di dimensioni, e poi ci sono le cosiddette forme miste. Infine un’altra modalità è quella che abbiamo visto prima, tra androide e ginoide. Un concetto che negli anni sta avendo sempre più importanza è quello di considerare il tessuto adiposo come un organo che ha tantissime funzioni, che produce ormoni, che interviene nel metabolismo di diversi ormoni, per cui mentre prima si pensava che il tessuto adiposo fosse soltanto un accumulo di grasso senza altre funzioni importanti, ormai si è visto che il tessuto adiposo è in grado di intervenire su tante funzioni. Agisce sul metabolismo glucidico e lipidico, sull’omeostasi vascolare, regola la risposta immune e interviene anche nella riproduzione. Spesso le donne, per esempio, obese hanno anche il problema dell’infertilità perché il tessuto adiposo interferisce nel metabolismo degli ormoni sessuali sia maschili che femminili. Quindi vedete come il tessuto adiposo abbia tutta una serie di funzioni importanti, quella meccanica, anche questa importante. La cellula adiposa è in grado di intervenire in numerose funzioni e produrre tutta una serie di ormoni e sostanza pro infiammatorie, e via dicendo. Negli ultimi anni sta diventando sempre più importante il ruolo di quest’organo.Una delle cose importanti da ricordare è che il tessuto adiposo interviene anche nel metabolismo degli ormoni sessuali e corticosteroidi, per cui in quasi tutti gli obesi c’è questo tipo di alterazione ormonale che è più importante soprattutto se si tratta di una localizzazione viscerale dell’obesità; il grasso viscerale è quello che crea più alterazioni nel metabolismo degli ormoni sessuali. L’ultimo concetto riguarda l’ormone leptina che negli ultimi anni ha cambiato tantissimo le nostre conoscenze per quanto riguarda il ruolo del tessuto adiposo e anche la cura dell’obesità, anche se non ci sono ancora dei farmaci in grado di risolvere questo problema. Negli Stati Uniti si è riusciti a ridurre drasticamente la percentuale di persone che fuma, mentre il tasso di obesità negli ultimi 10 anni è rimasto costante o anche aumentato. Questo dell’obesità è un problema sociale che ancora non si riesce a risolvere, ecco perché tanti studi sono orientati sui meccanismi che regolano l’obesità e la leptina è uno degli ormoni che più è stato studiato perché regola tutta una serie di funzioni del tessuto adiposo. Intanto viene fondamentalmente prodotta a livello del tessuto adiposo, attraversa la barriera ematoencefalica e nel sistema nervoso è in grado di regolare il senso della fame e tutta un’altra serie di funzioni che permettono, oltre la regolazione dell’appetito, anche di smaltire l’energia accumulata, per cui si è visto che la leptina ha un ruolo fondamentale. Nel SN è in grado di regolare le due vie che controllano il senso della fame da un lato, e le vie di dispendio energetico dall’altro. Quindi un’alterazione di questo ormone da luogo a quei quadri di aumento dell’appetito e quindi dell’introito calorico e riduzione contemporanea del dispendio energetico, che sono i meccanismi che danno luogo all’obesità.

Strettamente collegata all’obesità è la sindrome metabolica, una patologia molto diffusa che mette insieme una serie di altre malattie che danno luogo ad un alto rischio cardiovascolare. Per fare diagnosi di obesità è necessario che ci siano almeno 3 di questi elementi:

che ci sia un’obesità centrale, quella androide che è la più pericolosa dal punto di vista cardiovascolare;

che vi sia un’alterazione dei lipidi (dislipidemia); che vi sia un’alterazione dei valori della pressione (ipertensione); che vi sia un’alterazione del metabolismo glucidico, o ridotta tolleranza glucidica o diabete franco.

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Tutte queste malattie hanno in comune il meccanismo dell’insulino-resistenza, quindi sia l’obesità, sia l’ipertensione, sia la dislipidemia, sono tutti quadri che presentano una resistenza all’azione dell’insulina e in uno stesso soggetto la presenza di 2 o 3 di queste patologie da luogo alla sindrome metaolica. Quindi la diagnosi di sindrome metabolica si fa se vi sono almeno 3/5 parametri alterati, sono criteri internazionali. Se c’è un’obesità centrale e abbiamo visto si classifica semplicemente con la misura della circonferenza vita (>102 nell’uomo, >88 nella donna, ci permette di fare diagnosi); un’alterazione dei livelli dei trigliceridi > 150mg/dl sono un’altra componente della sindrome metabolica, associata o no ad una riduzione dellHDL Colesterolo, al di sotto dei 40mg/dl nei maschi e dei 50mg/dl nelle donne; un’aumento della pressione arteriosa; un’aumento della glicemia a digiuno, >100mg/dl. Con questi 5 parametri molto semplici, se 3 risultano alterati è facile fare diagnosi di questa patologia e significa identificare un soggetto ad alto rischio di malattie cardiovascolari. È una malattia frequentissima: quando abbiamo parlato del diabete abbiamo detto che è una malattia sociale, con una prevalenza del 5-6%; invece la sindrome metabolica (dati degli Stati Uniti) ha una prevalenza di oltre il 20%, molto più alta del diabete, è una malattia sociale importante. È una malattia che interessa quasi ¼ della popolazione nei paesi industrializzati. La prevalenza va aumentando man mano che aumenta l’età, è più bassa nei giovani, intorno al 7%, poi tra i 60enni salta al 40% e dopo i 70 anni si mantiene. Poiché la popolazione va verso l’invecchiamento, la sindrome metabolica andrà aumentando ulteriormente con tutte le conseguenze sull’apparato cardiovascolare e aumenta anche in rapporto al grado di alterazioni glucidiche; mentre nei soggetti con normale tolleranza glucidica (NGT) è intorno al 10-15%, se vi è un pre-diabete, un’IGT (alterata glicemia a digiuno), addirittura passa al 40%, se vi è diabete franco (tipo 2) arriva oltre l’80%. Quindi è una malattia molto più diffusa della semplice obesità e molto più pericolosa. Questi sono dati italiani, che dimostrano che a Brunico, il paese in cui è stata condotta l’indagine, la prevalenza è intorno al 20%. Per quanto riguarda la patogenesi, un po’ come avviene per l’obesità, questa malattia è legata fondamentalmente alla interazione tra stili di vita alterati, aumento del consumo dei carboidrati e grassi nella dieta, ridotta attività fisica, sedentarietà, e predisposizione genetica che in presenza di questi fattori ambientali scatena questa sindrome e da luogo all’aumento della produzione di insulina che da vita all’insulino-resistenza e poi alla sindrome metabolica. L’insulino-resistenza è il meccanismo che lega tutta una serie di fattori di rischio cardiovascolari come la dislipidemia, il diabete, la presenza di infiammazione cronica, l’aumento della tendenza alla coagulazione e quindi alla formazione di trombi e coaguli, l’ipertensione arteriosa. Tutte queste patologie messe insieme, che hanno in comune questo meccanismo, danno luogo poi alla disfunzione endoteliale che è alla base del danno cardiovascolare, quindi dell’ictus, della cardiopatia ischemica, della vascolopatia periferica. Quindi è una malattia molto importante, non è soltanto l’obesità o le altre malattie singole; quando queste malattie, che sono tutti i fattori di rischio cardiovascolare, si trovano nello stesso individuo, il rischio può aumentare a dismisura perché vari meccanismi vengono contemporaneamente ad essere coinvolti e c’è un rischio maggiore di comparsa delle patologie cardiovascolari.

MAGREZZALa magrezza si può definire in due modi:-come la riduzione del 15% del peso corporeo rispetto al peso ideale rispetto all’età e al sesso.-come la riduzione del 5% della massa corporea totale (tessuto adiposo sottocutaneo e profondo).Esistono diverse forme di magrezza:-Costituzionale (non si conosce bene la causa sicuramente è su base genetica, i soggetti restano magri pur avendo un alimentazione normale ed un’attività fisica regolare,tale forma è rara e non è da considerarsi come una malattia).-Forme secondarie(sono forme carenziali su cui è difficile intervenire):1) da ridotta introduzione con gli alimenti.2) da malassorbimento (celiachia).3) da alterata utilizzazione energetica (in cui c’è un eccessivo consumo a parità di cibo ingerito rispetto ad un soggetto sano).4)da patologie croniche (per esempio il diabete di tipo I anche se ben compensato ma anche altre malattie croniche come l’ipertiroidismo, il feocromocitoma in cui abbiamo iperproduzione di glucocorticoidi,etc.)5)da esercizio fisico intenso quindi per eccessivo consumo (gli atleti spesso sono magri pur mangiando un quantitativo notevole di cibo).6)da anoressia nervosa (malattia più che altro psichiatrica che può portare a morte i pazienti e che colpisce soprattutto donne giovani al di sotto dei 25 anni infatti il rapporto uomo donna è all’incirca 9:1):

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A) da mancata assunzione di cibo (comportamento anoressico).B) dovuta a vomito indotto dopo abbuffate di cibo (comportamento bulimico).Oltre alla magrezza in questo caso il paziente sarà emaciato,negherà la malattia,sarà iper ricettivo ed iperattivo,soffrirà di amenorrea con livelli di leptina molto bassi così come il cortisolo, sarà esageratamente sensibile al freddo , la pelle sarà ipotermica e coperta da fine peluria, i muscoli saranno ipotrofici, e presenterà alterazioni cardiovascolari (bradicardia,ipotensione arteriosa) spesso causa del decesso.CONSEGUENZE:-Apparato gastrointestinale:riduzione della secrezione gastrica e pancreatica e quindi spesso malassorbimento che aggraverà lo stato di magrezza.-Sistema immunitario:maggiore predisposizione alle infezioni per riduzione dell’azione dei linfociti T e dei neutrofili.-Sistema cardiocircolatorio:problemi cardiocircolatori:frequenza bassa,minore gittata cardiaca e ipertensione.-Sistema respiratorio:problemi respiratori (in particolare insufficienza respiratoria) dovuti ad una riduzione del diaframma che regola normalmente gli atti respiratori (la riduzione in realtà coinvolge tutta la massa muscolare).-Alterazioni minori:alterazioni del metabolismo proteico e disfunzione degli ormoni sessuali (si ha amenorrea).

DISLIPIDEMIANe abbiamo già parlato,anche nella sindrome metabolica abbiamo visto come si associ frequentemente al diabete essendo un fattore di rischio cardiovascolare. Due sono essenzialmente le conseguenze:-aterosclerosi sull’apparato vascolare.-pancreatite cronica per l’accumulo dei trigliceridi.Vi sono diverse lipoproteine distinte in base a densità e diametro ma anche in base alla funzione,in particolare abbiamo le protettive (HDL2 e HD3) e quelle che determinano alto rischio di malattie cardiovascolari (LDL)e poi ci sono le sostanze aterogene che poi vengono trasformate solitamente in LDL (chilomicroni,VLDL e le IDL).Dal punto di vista clinico distinguiamo per vedere se il soggetto ha rischio aterogeno o no delle forme così dette NON LDL che sposteranno il colesterolo totale a livello delle HDL (a maggior rischio aterogeno) e le forme LDL. La formula di Friedewald ci permette di calcolare le LDL circolanti ed è data d: (colesterolo totale - HDL - trigliceridi)/5. Questa formula si applica solo se il paziente non ha un valore di trigliceridi superiore a 400 ng/dl.Si ha rischio cardio-vascolare in presenza di un basso livello di HDL,alto livello di LDL e alti livelli di trigliceridi mentre quando si ha solo un valore elevato di trigliceridi da 500 a mille mg/dl vi è un rischio di pancreatite che è un fenomeno acuto differente del rischio cardio-vascolare che invece è una condizione che ha bisogno di tempo per realizzarsi.IPERCOLESTEROLEMIALa forma familiare è la più diffusa, determinata da una predisposizione genetica che viene facilmente diagnosticata anche senza l’ausilio di esami sofisticati. L’importante è che ci sia un’alterazione del colesterolo e dei trigliceridi e che vi sia in famiglia un altro componente con un’alterazione simile del quadro lipidico e alterazioni cardiovascolari (ictus o infarto prima dei 55 anni per l’uomo e prima dei 60 anni per la donna). Recentemente lo stato per tenere sottocontrollo i farmaci per il trattamento dei lipidi ha modificato la nota 13 per l’esenzione dal ticket in particolare sono esentati i soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare. Un’altro tipo di ipercolesterolemia è quella da cause secondarie data dall’aumento dei trigliceridi che si ha in altre patologie e che comporta rischi cardio-vascolari aggiuntivi. Un esempio è quello della gravidanza in cui abbiamo un aumento dei trigliceridi.ALTERAZIONI DEL METABOLISMO DELLE PURINEIl prodotto finale del catabolismo delle purine è l’acido urico. A seguito dell’alterazione di tale metabolismo con l’aumento dell’acido urico avremo iperuricemie e gotta. L’acido urico a concentrazioni elevate precipita dando luogo alla formazione di cristalli che porteranno gotta e altre malattie. L’acido urico precipita a diverse concentrazioni: nel sangue quando supera i 7mg/dl mentre in alcuni tessuti a concentrazioni molto più basse (cartilagini, tendini, padiglione auricolare e legamenti a concentrazioni di 4 mg/dl) ecco perché alcuni tessuti sono più predisposti a tali patologie. L’acido urico può poi precipitare a livello renale dove determinerà la formazione di calcoli di urati che possono dare coliche, danni renali, etc. L’acido urico

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aumenta per l’aumentato catabolismo delle purine, per aumento dell’introduzione con gli alimenti di purine, per l’aumento di sintesi di acido urico da parte di fegato e intestino o per la ridotta escrezione.Cos’è l’artrite gottosa?E’ la precipitazione dell’acido urico a livello di tessuti come articolazioni e tendini a basse concentrazioni. Abbiamo aumento del volume dell’articolazione, infiammazione, impossibilità di articolare gli arti colpiti e presenza nel padiglione auricolare di accumuli di acido urico. Nella gotta abbiamo intenso dolore a volte preceduto da un trauma o da introduzione di alimenti ricchi di purine o manifestatosi a seguito di interventi chirurgici,compare come un dolore urente e gonfiore dell’arto interessato con segni di infiammazione acuta. Le sedi più colpite sono: alluce (sede tipica), polso, ginocchio, caviglia e arco plantare, abbiamo poi febbre intensa, aumento della frequenza cardiaca e l’aumento dei globuli bianchi che hanno anche valore diagnostico. Gli episodi di gotta tendono a ripetersi negli anni delineando la genesi di una malattia cronica, altamente invalidante con lesioni in particolar modo articolari permanenti.