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Rifioriremo

2020

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Cover Jeanne Vicerial, foto Leslie Moquin

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Rifioriremo

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FR

La Francia in Scena tente, depuis quelques années déjà, de rendre compte de la diversité des échanges ar-tistiques entre l’Italie et la France et du dialogue fécond qui permet à nos deux pays d’être aux avant-postes de la création contemporaine en Europe. Ces liens sont profonds, ancrés dans une histoire commune. Ils sont également sans cesse renouvelés, réinventés au gré des évolutions de nos sociétés, du contexte dans le-quel ils se déploient. Jamais ils n’ont été plus essentiels qu’aujourd’hui.

En 2020, la sixième édition de notre saison cultu-

relle revêt ainsi une dimension très particulière : celle d’une communauté de pensée et d’une volonté de partage, d’un désir de création au-delà de l’adversité et d’une réflexion croisée sur la manière de construire, ensemble, l’avenir de la culture après une crise qui a affecté nos pays et ébranlé nos certitudes. Durant ces longues semaines de crise, nous avons pu mesurer combien l’accès à la culture, sous toutes ses formes, nous était nécessaire, et à quel point son humanité nous faisait défaut.

Cette saison est donc un hommage. Un hommage

aux créateurs, aux responsables d’institutions, aux techniciens, à tous ceux grâce auxquels nous pourrons retrouver dans les prochaines semaines, dans les pro-chains mois, le chemin des musées, des théâtres, des salles de concerts, à tous ceux qui ont eu le courage de continuer à croire en l’avenir dans ces mois difficiles. C’est leur engagement qui nous permettra de décou-vrir tout au long de l’automne les artistes français que nous vous présentons dans les pages qui suivent.

Je remercie la Fondation Nuovi Mecenati qui, de-

puis quinze ans, apporte un précieux soutien à la pré-sence de la scène contemporaine française en Italie.

Je tiens également à saluer le talent de Jeanne

Vicerial, pensionnaire à l’Académie de France à Rome, qui a fait du confinement l’occasion d’une création quo-tidienne. Cette Quarantaine vestimentaire a donné à La Francia in Scena son esprit et son titre, Rifioriremo, une invitation à faire de la culture le lieu d’une renais-sance et de la reconstruction d’un avenir commun.

Da qualche anno ormai, La Francia in Scena ten-ta di rendere conto della diversità degli scambi arti-stici tra l’Italia e la Francia e del dialogo fecondo che permette ai nostri due Paesi di essere in prima linea nella creazione contemporanea in Europa. Legami profondi, radicati in una storia comune e che con-tinuano ad essere rinnovati e reinventati seguendo l’evoluzione delle nostre società e del contesto in cui si collocano. Legami che mai come oggi sono stati così essenziali.

Nel 2020, la sesta edizione della nostra stagione

culturale riveste una dimensione molto particolare: quella di una comunità di pensiero e di una volontà di condivisione, di un desiderio di creazione al di là delle avversità e di una riflessione incrociata sul modo di costruire insieme il futuro della cultura dopo una crisi che ha colpito i nostri paesi e fatto vacillare le nostre certezze. Durante queste lunghe settimane di crisi abbiamo potuto constatare quanto l’accesso alla cul-tura, in tutte le sue forme, fosse per noi necessario e quanto ci fosse mancata la sua umanità.

Questa stagione vuole essere quindi un omaggio.

Un omaggio ai creatori, ai vertici delle istituzioni, ai tecnici, a tutti coloro grazie ai quali le prossime set-timane e i prossimi mesi potremo ritrovare la strada verso i musei, i teatri, le sale da concerto e un omaggio a tutti quelli che hanno avuto il coraggio di continuare a credere nel futuro in questi mesi difficili. Sarà il loro impegno a permetterci di scoprire nel corso dell’au-tunno gli artisti francesi che vi presentiamo nelle pa-gine che seguono.

Ringrazio la Fondazione Nuovi Mecenati che, da

quindici anni, apporta un sostegno prezioso alla pre-senza della scena contemporanea francese in Italia.

Ci tengo inoltre a salutare il talento di Jeanne

Vicerial, borsista all'Accademia di Francia a Roma, che ha fatto di questo isolamento l’occasione di una creazione quotidiana. Questa Quarantena sartoriale ha offerto alla Francia in Scena uno spirito e un titolo, Rifioriremo, un invito a fare della cultura il luogo di una rinascita e della ricostruzione di un futuro comune.

2020

Ambasciatore di Francia in Italia

CHRISTIAN MASSET

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Consigliere culturale Ambasciata di Francia in ItaliaDirettore dell’Institut français Italia

Addetta culturale Ambasciata di Francia / Institut français ItaliaSegretaria Generale Fondazione Nuovi MecenatiDirezione generale de La Francia in Scena

HÉLÈNE KELMACHTER

CHRISTOPHE MUSITELLI

Gli attori erano appena scesi dal palco del Teatro Arena del Sole, a Bologna, dopo l’ultima rappresenta-zione di Architecture quando venne dato l’annuncio della sospensione del festival internazionale di teatro VIE. Era il 23 febbraio 2020 e di lì a pochi giorni sareb-be arrivato lo stop generale del mondo della cultura. La decisione di chiudere tutti i teatri, i cinema, le sale da concerto, i musei e gli altri spazi culturali d’Italia, l’8 marzo, ha reso a loro modo profetiche le ultime paro-le della pièce di Pascal Rambert: “Bisogna prepararsi a un’epoca che non avevamo immaginato”.

Nessuno aveva immaginato che, nella primavera del 2020, una pandemia avrebbe sprofondato il mondo intero nel lutto, travolto il personale medico e gli addet-ti ai servizi essenziali, causato l’implosione del mondo dell’economia, costretto tutti a rinchiudersi in casa pri-vandoci dei rapporti interpersonali con amici, genitori e nonni, smaterializzando l’accesso all’istruzione e alla cultura. La cultura, però, è entrata nelle case della gente attraverso visite virtuali dei più grandi musei del mondo, spettacoli, balletti, opere liriche, concerti e film trasmessi sul piccolo schermo e migliaia di libri a disposizione nel-le biblioteche digitali. È stata protagonista sui balconi, si è affacciata con spontaneità alla finestra, nel nuovo rituale quotidiano, esprimendo un’esigenza intrinseca all’esperienza artistica: la condivisione.

La chiusura dei luoghi della cultura ha aperto uno spazio di riflessione e di dialogo: lo scambio quotidiano tra artisti e professionisti della cultura ha fatto sì che ci si potesse interrogare sul momento presente, sul per-ché e sul come della creazione artistica, sul rapporto con il tempo e con lo spazio, con il virtuale e con il reale. Successivamente, in questo stato di disorientamen-to generale, si è cominciata a porre la questione del “dopo”. La questione era non tanto figurarsi il “mondo dopo la pandemia”, chiedersi se sarebbe stato uguale o diverso, migliore o peggiore, quanto piuttosto mettere

in discussione i fondamentali della creazione artistica e prestare attenzione a tutti coloro che ci aprono ogni giorno le porte della cultura: gli autori, certo, ma anche gli interpreti, i tecnici, i lavoratori dello spettacolo dal vivo o delle arti visive.

È questo pensiero in movimento della creazione e dello scambio artistico, e più in particolare del dialogo culturale tra Francia e Italia, che abbiamo voluto met-tere in primo piano in questa edizione speciale de La Francia in Scena. Più che un programma di manifesta-zioni, la sesta edizione della stagione culturale francese in Italia è un omaggio a tutti coloro che, con passione e impegno, costruiscono gli scambi culturali franco-ita-liani, incarnandoli e garantendone la qualità e la conti-nuità. Abbiamo dato loro la parola perché dessero voce alle loro convinzioni e alle loro domande, facendo sì che, attraverso le loro testimonianze, prendesse forma una mappatura sensibile degli scambi tra i nostri due paesi. In questo contesto eccezionale, si trattava di mettere in primo piano non tanto le opere, quanto coloro che le realizzano, riconoscendo così la capacità degli artisti di reinventarsi e di adattare le loro creazioni al luogo, alla contingenza e persino a restrizioni inedite.

Nonostante i limiti e i momenti d’incertezza, La Francia in Scena quest’anno sarà, una volta in più, l’oc-casione per gli artisti francesi di andare a incontrare il pubblico italiano. E questo grazie all’impegno eccezio-nale dei nostri partner, ma anche grazie al sostegno della Fondazione Nuovi Mecenati che, ormai da quin-dici anni, permette al pubblico italiano di andare alla scoperta della creazione artistica francese contempo-ranea. La Francia in Scena è il frutto del dialogo tra le realtà ospiti italiane, gli artisti e l’Ambasciata di Francia/Institut français Italia. Questa edizione assume una di-mensione quanto mai simbolica e conferma la volontà di inventare nuove forme di collaborazione, di ricomin-ciare insieme e di riscoprire un’emozione condivisa.

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FR

Alors que les comédiens quittaient le plateau du Teatro Arena del Sole à l’issue de la dernière représen-tation d’Architecture, à Bologne, le 23 février 2020, la suspension du festival international de théâtre VIE était annoncée, suivi quelques jours plus tard de l’arrêt total du monde de la culture. Et lorsque, le 8 mars, fut déci-dée la fermeture de tous les théâtres, cinémas, salles de concert, musées et expositions en Italie, les derniers mots de la pièce de Pascal Rambert ont résonné étran-gement : « il va falloir se préparer à des choses aux-quelles on n’avait pas pensé »… Nul n’avait pensé, qu’en ce printemps 2020, une pandémie endeuillerait le monde, solliciterait à une telle échelle le personnel mé-dical et celui des services indispensables du quotidien, ferait imploser l’économie, nous enfermerait dans nos maisons, nous privant de la relation aux autres, à nos amis comme à nos anciens, dématérialisant l’accès à l’éducation et la culture. Celle-ci, pourtant, est entrée dans les foyers, à travers les visites virtuelles des plus grands musées du monde, la diffusion de spectacles, de ballets, d’opéras, de concerts et de films, les milliers d’ouvrages des bibliothèques numériques. Elle s’est invitée sur les balcons, est sortie spontanément aux fenêtres comme un nouveau rituel quotidien et l’ex-pression d’un besoin inhérent à l’expérience artistique : le partage.

La fermeture des lieux de culture a ouvert un es-pace de réflexion et de dialogue : des échanges quo-tidiens entre artistes et professionnels de la culture ont alors généré un questionnement sur le moment présent, le pourquoi et le comment de la création ar-tistique, la relation au temps et à l’espace, au virtuel et au réel. Puis, dans cet état de sidération général, s’est profilée la question de « l’après ». Il ne s’agissait pas tant, alors, de se projeter dans ce « monde d’après », de se demander s’il serait identique ou différent, meilleur ou pire, mais bien plutôt d’interroger les enjeux fondamen-taux de la création artistique, et de porter une attention

à tous ceux qui nous offrent habituellement cet accès à la culture, non seulement les créateurs, mais aussi les interprètes, les techniciens, les professionnels du spec-tacle vivant ou des arts visuels.

C’est cette pensée en mouvement de la création et des échanges artistiques, en particulier entre la France et l’Italie, que nous avons souhaité mettre en exergue dans cette édition spéciale de La Francia in Scena. Plus qu’un programme de manifestations, cette sixième édition de la saison culturelle française en Italie est un hommage à tous ceux qui construisent, avec passion et engagement, le dialogue culturel franco-italien, l’in-carnent et en garantissent la qualité et la pérennité. Nous leur avons donné la parole, faisant entendre leurs convictions et leurs interrogations, et laissant ainsi se dessiner, au fil de leurs témoignages, une cartographie sensible des échanges entre nos deux pays. Il s’agit donc ici, exceptionnellement, de mettre en avant non pas tant les œuvres que ceux qui les font, saluant par là-même la capacité des artistes à se réinventer et adapter leur création au lieu, au moment, voire à des contraintes inédites.

En dépit de ces contraintes et des moments d’in-certitude, La Francia in Scena sera, en 2020, l’occasion pour les artistes français de venir, une fois encore, à la rencontre du public italien. Et ce grâce à l’engagement exceptionnel des partenaires, mais aussi grâce au sou-tien de la Fondation Nuovi Mecenati qui, depuis main-tenant quinze ans, permet au public italien de décou-vrir la création française contemporaine. La Francia in Scena est le fruit du dialogue entre les partenaires italiens, les artistes et l’Ambassade de France/Institut français Italia. Cette édition revêt une dimension plus que jamais symbolique, et confirme le désir d’inventer de nouveaux modes de coopération, de repartir en-semble et de retrouver une émotion partagée.

“La sesta edizione de La Francia in Scena è un omaggio a tutti coloro che, con passione e

impegno, costruiscono gli scambi culturalifranco-italiani, incarnandoli e garantendone

la qualità e la continuità.”

2020

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uno sguardo sul mondo in divenire. Da questi momenti di scambio sono naturalmente scaturiti dialoghi come quel-lo tra Claudio Longhi e Pascal Rambert, che si sono chie-sti cosa ne è della riflessione sul teatro quando il teatro è fermo o limitato; oppure quello tra Phia Ménard e Giorgio Barberio Corsetti che riconoscono insieme la necessità di tornare a scoprire i corpi dei danzatori, il respiro degli attori, l’emozione, l’esperienza fisica e sensibile dell’opera.

L’estate ci permetterà di riscoprire appieno questa esperienza sensibile, grazie a una programmazione prima rinviata, poi reinventata. Nonostante le restrizioni, una se-rie di progetti di ampia portata porterà il pubblico italiano alla scoperta della creazione artistica francese in tutta la sua varietà, sul fronte dello spettacolo come su quello delle arti visive. Quest’ultimo inaugurerà la stagione con la mostra personale di Caroline Achaintre che, in un dialogo con Adrienne Drake offre uno sguardo non solo sulla sua arte, ma anche sul momento che stiamo vivendo. Dopo un lungo periodo di incertezza sulla possibilità di svolgersi, alla fine i grandi festival estivi hanno potuto conferma-re le loro programmazioni con ospiti francesi. Come a Sansepolcro, dove al Kilowatt Festival, organizzato da Luca Ricci, andrà in scena un’opera di Mohamed El Khatib. Oppure a Roma, con il festival di jazz franco-italiano Una

Nella primavera sospesa dell’anno 2020, confinati nelle nostre case non abbiamo potuto vedere germoglia-re gli alberi e sbocciare i fiori. Ora, nel momento in cui i luoghi della cultura riaprono le porte, è proprio il tema del-la fioritura che abbiamo scelto come filo conduttore de La Francia in Scena: Rifioriremo. Il tema è ispirato al pro-getto Quarantena sartoriale dell’artista Jeanne Vicerial, borsista di Villa Medici, che, con la complicità della foto-grafa Leslie Moquin, ha creato ogni giorno per quaranta giorni, abiti-scultura e maschere – elementi di protezione e ornamentali insieme – con i fiori e le piante raccolti nei giardini della Villa. Le sue immagini vengono a punteggia-re questa edizione de La Francia in Scena, che sarà scan-dita in quattro stagioni.

La primavera, che di solito è tempo di attesa e di gestazione, è stata quest’anno soprattutto un momento di riflessione. Da marzo a giugno, artisti e organizzatori, direttori di istituzioni e festival hanno cercato di ragiona-re sul momento attuale ed elaborato una riflessione sul significato della creazione e sul ruolo dell’arte nella so-cietà. Da Anna Lea Antolini a Paolo Damiani, da Claudio Longhi a Nino Marino, Emmanuel Tibloux e Mohamed El Khatib, le diverse testimonianze, su entrambi i versanti delle Alpi, raccolgono una comunità di pensiero e offrono

LE QUATTRO STAGIONI DELA FRANCIA IN SCENA 2020

Maggese Fioritura

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Striscia di Terra feconda, che riunirà per una serie di con-certi una ventina di artisti francesi, le cui note si uniranno a quelle di artisti italiani nella sontuosa cornice dei giardini di Palazzo Farnese a Caprarola e del Museo Archeologico Nazionale di Palestrina.

Il piccolo miracolo rappresentato dall’aver mante-nuto anche nel 2020 una programmazione francese in Italia – densa ed esigente – è stato possibile in virtù di un rapporto storico e di una fiducia reciproca che lega le istituzioni e gli artisti dei nostri due paesi. Emanuele Masi ha rivisitato completamente il programma di Bolzano Danza, invitando Rachid Ouramdane – con cui ha col-laborato in più occasioni in precedenza – a creare una nuova forma in grado di rispecchiare il carattere inedito della situazione attuale. Spingendo al limite estremo le restrizioni sul distanziamento sociale, il coreografo ha creato una pièce per un solo danzatore e un solo spet-tatore, dando vita a un’esperienza estetica eccezionale, dove nella cornice del grande teatro di Bolzano la bel-lezza incontra l’assurdo in un gesto coraggioso e gene-roso. Diverse altre opere specifiche immaginate in rea-zione alla situazione attuale sono in programmazione a Udine, con la performance in situ del ballerino e alpinista Antoine Le Ménestrel, che si lancerà nelle sue evoluzioni

tra le facciate dei palazzi della città in una danza vertica-le e aracnidea, oppure con l’opera di Jérôme Bel creata a distanza con un performer friulano.

In autunno, stagione di grandi festival e della notoria mitezza dell’“ottobrata romana”, il pubblico avrà l’occa-sione di un incontro privilegiato con la creazione artistica contemporanea, grazie all’impegno appassionato di part-ner come Monique Veaute e Fabrizio Grifasi, che mostra-no un’intima conoscenza del panorama francese e una fe-deltà incrollabile ai suoi artisti, che fa del loro Romaeuropa una piattaforma essenziale della presenza artistica fran-cese in Italia. Non solo a Roma, la danza è in programma da Catania a Milano – con il festival MilanOltre che ac-coglierà Hervé Koubi –, oppure a Rovereto dove il coreo-grafo Yuval Pick sarà presentato per la prima volta in Italia grazie al rapporto istituzionale ma anche di amicizia che lega il Festival Oriente Occidente e il Théâtre national de la Danse di Chaillot, come i rispettivi direttori Lanfranco Cis e Didier Deschamps. Sul palcoscenico vedremo an-che forme più “ibride”, a cavallo tra performance e danza, con il corpo al centro del dispositivo. Come a Prato, dove Edoardo Donatini ha messo in programma un sorpren-dente spettacolo di Phia Ménard. Facendo del dialogo franco-italiano il punto di partenza per pensare un nuo-

Raccolta Primizie

RIFIORIREMO

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vo teatro nel cuore dell’Europa, dove i giovani siedono in prima fila, Emmanuel Demarcy-Mota e Marco Giorgetti riflettono insieme sui grandi temi artistici, culturali e so-ciali, orchestrando l’incontro tra i vari ambiti del pensiero contemporaneo attraverso delle consultazioni poetiche, scientifiche e storiche, che hanno immaginato insie-me. Abbracciando tutti i campi della creazione artistica attuale, il programma riserva un posto importante alla musica contemporanea, con i concerti previsti nell'ecce-zionale Teatro Farnese di Parma nell’ambito del Festival Traiettorie; oppure con quelli, riprogrammati con rara ca-pacità di adattamento, del Festival AngelicA di Bologna; o ancora con i progetti orchestrati da Cecilia Balestra all’in-terno di Milano Musica che, nella sua versione rivisitata, privilegerà commissioni e installazioni che coniugano mu-sica contemporanea e arti visive. Queste ultime sono ec-cezionalmente presenti in questa edizione de La Francia in Scena – dove, tradizionalmente, hanno più spazio le arti dello spettacolo –, con le personali di Tarek Lakhrissi alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, rese possibili grazie all’impegno personale di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo nella promozione dei giova-ni talenti, o quelle di Mohamed Bourouissa alla Galleria ar/ge kunst di Bolzano o di Johan Creten a Villa Medici a Roma. O ancora con la mostra di Claudia Andujar alla Triennale di Milano, progetto che inaugura una collabora-zione a lungo termine tra la Fondazione Cartier pour l’Art Contemporain e l’istituzione milanese, di cui Umberto Angelini ricorda l’impegno verso le forme performative più attuali. Infine, l’attenzione sarà rivolta ai nuovi scritti artistici, sia nel campo delle arti visive che in quello dello spettacolo, grazie a progetti di residenza, come quello a Centrale Fies di Dro su iniziativa di Barbara Boninsegna e Dino Sommadossi, o la piattaforma di scambio e diffu-sione di nuovi scritti drammatici Fabulamundi, storia con-divisa da Claudia di Giacomo e Caroline Marcilhac, che arriverà quest’anno alla sua ultima edizione dopo un’av-ventura quasi decennale.

L’inverno, infine, sarà il momento di incontrare il nuo-vo circo e il pubblico più giovane, a cui Cristina Cazzola riserva grandi scoperte nel suo Festival SEGNI New Generations. La stagione de La Francia in Scena si con-cluderà poi con una mostra personale al MACRO dedica-ta all’opera pittorica di Nathalie du Pasquier, artista fran-cese residente a Milano.

La programmazione de La Francia in Scena 2020 è ancora in fieri. I progetti che abbiamo fin qui illustra-to sono quelli confermati al momento in cui andiamo in stampa. Alcuni di essi potrebbero essere sospesi o rinviati al 2021, nuovi altri potrebbero aggiungersi. Per tutti gli ag-giornamenti vi invitiamo a consultare regolarmente il sito web institutfrancais.it, le nostre pagine Facebook IFItalia e Instagram if_italia e i siti dei nostri partner.

FR

En ce printemps suspendu de l’année 2020, confinés dans nos maisons, nous n’avons pas vu le bourgeonnement des arbres ni l’éclosion des fleurs. Au moment où les lieux de culture ouvrent de nou-veau leurs portes, c’est ce thème de la floraison que nous avons choisi comme fil rouge de La Francia in Scena : Rifioriremo (Nous refleurirons). Un thème inspiré de la Quarantaine vestimentaire de l’artiste Jeanne Vicerial, pensionnaire à la Villa Médicis, qui, avec la complicité de la photographe Leslie Moquin, a créé, quotidiennement pendant quarante jours, des robes-sculptures et des masques - à la fois protection et parure – à partir de fleurs et de végétaux glanés dans les jardins de la Villa. Ses images viennent scan-der cette édition de La Francia in Scena qui s’organise suivant le rythme des saisons.

Moment de l’attente et de la gestation, le prin-temps a surtout été celui de la réflexion. De mars à juin, artistes et programmateurs, directeurs d’institutions et de festivals français et italiens ont questionné le présent et le rôle de l’art dans la société. D’Anna Lea Antolini à Paolo Damiani, de Claudio Longhi à Nino Marino, Emmanuel Tibloux et Mohamed El Khatib, ces témoignages réunissent, de part et d’autre des Alpes, une communauté de pensée et offrent un regard sur un monde en devenir. De ces moments d’échange, des dialogues se sont naturellement dessinés, réunissant Claudio Longhi et Pascal Rambert dans une interro-gation conjointe de ce que peut être une pensée du théâtre au moment où le théâtre est empêché ; ou en-core Phia Ménard et Giorgio Barberio Corsetti qui, en-semble, constatent la nécessité de retrouver les corps des danseurs, le souffle des acteurs, l’émotion, l’expé-rience physique et sensible de l’œuvre.

Une expérience sensible que l’été nous permettra de retrouver, grâce à une programmation ajournée puis réinventée. En dépit des contraintes, des projets d’envergure offriront au public italien une rencontre avec la création française dans toute sa diversité que ce soit à travers les arts de la scène ou encore les arts visuels. Ces derniers ouvrent la saison avec l’exposi-tion personnelle de Caroline Achaintre qui, dans un dialogue avec Adrienne Drake apporte non seulement un éclairage sur sa création mais également réfléchit sur le moment que nous vivons. Après une longue pé-riode d’incertitude sur la possibilité de leur maintien, les grands festivals d’été ont pu confirmer la programma-tion d’artistes français comme à Sansepolcro où Luca Ricci, qui orchestre le Festival Kilowatt, accueillera une pièce de Mohamed El Khatib. Ou encore à Rome avec le festival franco-italien de jazz, Una Striscia di Terra Feconda, qui réunira, pour une série de concerts, une vingtaine d’artistes français dont les notes se joindront à celles des interprètes italiens dans le cadre somp-tueux des jardins du Palais Farnèse de Caprarola ou

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encore au Musée archéologique national de Palestrina. Le petit miracle que constitue cette programmation internationale en Italie en cette année 2020 tient en grande partie à la relation historique et de confiance réciproque qui lie les partenaires et les artistes de nos deux pays. Ainsi Emanuele Masi a-t-il intégralement revisité la programmation de Bolzano Danza, invi-tant Rachid Ouramdane - avec qui il avait travaillé à de multiples reprises - à créer une forme nouvelle en écho à l’inédit de la situation. Poussant les contraintes de distanciation jusqu’à leurs plus extrêmes limites, le chorégraphe signe une pièce pour un seul danseur et un seul spectateur, offrant au sein du grand théâtre de Bolzano une expérience esthétique exceptionnelle, où la beauté croise le sentiment d’absurdité dans un geste courageux et généreux. Plusieurs créations spé-cifiques, imaginées en réponse au moment, sont éga-lement programmées à Udine, avec une performance in situ du grimpeur-danseur Antoine Le Ménestrel qui évoluera sur les façades de la ville, en une danse ver-ticale et arachnéenne, ou encore avec une pièce de Jérôme Bel créée à distance avec un interprète de la région du Frioul.

Saison des grands festivals et de la douceur de

« l’ottobrata romana », l’automne offrira au public un rendez-vous avec la création contemporaine, et ce grâce à l’engagement passionné des partenaires qui, comme Monique Veaute et Fabrizio Grifasi, té-moignent d’une intime connaissance de la scène française et d’une fidélité sans faille aux artistes, faisant de Romaeuropa la plateforme incontour-nable de la présence artistique française en Italie. Programmée à Rome, la danse l’est aussi de Catania à Milan - avec le Festival MilanOltre qui accueille Hervé Koubi -, ou encore Rovereto où le chorégraphe Yuval Pick sera présenté pour la première fois, grâce à la re-lation tant amicale qu’institutionnelle entre le Festival Oriente Occidente et le Théâtre national de la Danse de Chaillot, et de leurs directeurs Lanfranco Cis et Didier Deschamps. Les formes « hybrides », entre per-formance et danse, qui mettent le corps au centre du dispositif, sont aussi à l’honneur comme à Prato où Edoardo Donatini programme une étonnante pièce de Phia Ménard. Faisant du dialogue franco-italien le point de départ pour penser un nouveau théâtre au cœur de l’Europe, où la jeunesse trouverait une place privi-légiée, Emmanuel Demarcy-Mota et Marco Giorgetti réfléchissent ensemble aux grands enjeux artis-tiques, culturels et sociétaux, orchestrant à travers les Consultations poétiques, scientifiques et historiques qu’ils ont imaginées, la rencontre entre les champs de la pensée d’aujourd’hui. Embrassant tous les domaines de la création actuelle, la programmation réserve une place importante à la musique contemporaine, que ce soit à travers les concerts programmés dans l’ex-ceptionnel Teatro Farnese de Parme par le Festival

Traiettorie, ceux que le Festival AngelicA de Bologne a reprogrammés avec une rare faculté d’adaptation, ou encore les projets orchestrés par Cecilia Balestra au sein de Milano Musica qui, dans sa version revi-sitée, a privilégié les commandes et les installations opérant le mariage entre musique contemporaine et arts visuels. Ces derniers sont exceptionnellement présents dans cette édition de La Francia in Scena - où, traditionnellement, les arts de la scène sont da-vantage représentés -, avec les expositions person-nelles de Tarek Lakhrissi à la Fondation Sandretto Re Rebaudengo de Turin, qui a pu voir le jour grâce à l’engagement personnel de Patrizia Sandretto Re Rebaudengo pour la promotion des jeunes artistes, celles de Mohamed Bourouissa à la Galerie ar/ge kunst de Bolzano et de Johan Creten à la Villa Médicis à Rome. Ou encore avec l’exposition de Claudia Andujar à la Triennale de Milan, un projet qui inaugure une col-laboration sur le long terme entre la Fondation Cartier pour l’art contemporain et l’institution milanaise, dont Umberto Angelini rappelle, par ailleurs, l’engagement pour les formes performatives les plus actuelles. Enfin, une attention aux nouvelles écritures artistiques, que ce soit dans le domaine des arts visuels ou des arts de la scène, sera portée grâce à des projets de résidences, comme à la Centrale Fies de Dro, selon une initiative de Barbara Boninsegna et Dino Sommadossi, ou encore la plateforme d’échange et de diffusion de nouvelles écritures dramatiques Fabulamundi, une histoire par-tagée par Claudia di Giacomo et Caroline Marcilhac, et qui trouvera cette année son ultime édition après une aventure de près de dix ans.

L’hiver, enfin, sera placé sous le signe du nouveau cirque et des arts de la rue, ainsi que de la program-mation jeune public à qui Cristina Cazzola réserve de belles découvertes au sein de son festival SEGNI New Generations. La saison de La Francia in Scena se re-fermera sur l’exposition personnelle que le MACRO consacre à l’œuvre picturale de Nathalie du Pasquier, artiste française installée à Milan.

La programmation de La Francia in Scena 2020 est encore en mouvement. Les projets réunis ici sont confirmés au moment où nous imprimons. Certains pourront cependant être suspendus ou reportés à 2021. D’autres pourront être ajoutés. Nous vous invitons à consulter régulièrement le site institutfrancais.it/fr, les comptes Facebook IFItalia et Instagram if_italia, ainsi que les sites de nos partenaires.

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SOMMARIO

Primavera | Maggese

p. 12 — LA QUARANTENA SARTORIALE, Jeanne Vicerial & Leslie Moquin

Autunno | Raccolta

Estate | Fioritura

Inverno | Primizie

p. 22 — L'IMPENSABILE ATTESA, Anna Lea Antolini | p. 24 — CREARE UNA COMUNITÀ D'ASCOLTO,

Paolo Damiani | p. 27 — LETTERA DI UN AMANTE DEL TEATRO, Claudio Longhi | p. 29 — BISOGNA

PREPARARSI A UN'EPOCA CHE NON AVEVAMO IMMAGINATO, Claudio Longhi & Pascal Rambert | p. 36

— L'IMPAZIENZA DEL CORPO, Phia Ménard & Giorgio Barberio Corsetti | p. 44 — VIVERE LE LIMITAZIONI

COME UN'OPPORTUNITÀ, Nino Marino | p. 46 — LA CULTURA IN COMUNE, Emmanuel Tibloux | p. 48 —

LA BELLEZZA DEL GESTO, Mohamed El Khatib

p. 78 — UN MOMENTO RITUALE DI COMUNITÀ, Lanfranco Cis & Didier Deschamps | p. 84 — LA GRANDE

TROUPE DE L'IMAGINAIRE, Emmanuel Demarcy-Mota & Marco Giorgetti | p. 90 — ASCOLTARE IL MONDO

IN MODO NUOVO, Cecilia Balestra | p. 94 — UNA COMUNITÀ ALLARGATA, Monique Veaute | p. 97 —

IMMAGINARE LA RIPARTENZA, Fabrizio Grifasi | p. 100 — UNA VOCAZIONE CONTEMPORANEA, Edoardo

Donatini | p. 102 — TRA MISSIONE E PASSIONE, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo | p. 104 — RIPARTIRE

DALLA CURA, Barbara Boninsegna & Dino Sommadossi | p. 106 — IL MOMENTO DI RALLENTARE, Claudia

Di Giacomo & Caroline Marcilhac

p. 52 — LA BELLEZZA PER AFFRONTARE LA REALTÀ, Adrienne Drake & Caroline Achaintre | p. 58 — DA

LIONE A BOLZANO, UN’AFFINITÀ NATURALE CON LA FRANCIA, Emanuele Masi | p. 61 — UNA POETICA

DELLA TESTIMONIANZA, Rachid Ouramdane & Emanuele Masi | p. 70 — RIATTIVARE LE ENERGIE

COLLETTIVE, Luca Ricci

p. 128 — FUTURO PRESENTE, Umberto Angelini | p. 130 — UN LINGUAGGIO COMUNE, Cristina Cazzola

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GIORNO N° 7/40: RITORNARE FIOREMETAMORFOSI VEGETALE “DAFNE”“Una volta recitata la preghiera, gli arti cominciano a intorpidirsi, i capelli a trasformarsi in verdi foglie, le braccia a diventare rami e i piedi radici che si at-taccano alla terra. Dafne si è trasformata per fuggire alla passione di Apollo. E se non vorrai divenire la mia sposa, sarai il mio albero...Attenzione, la primavera è alle porte, restate a casa.”JV

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VICERIALJEANNE

PORTFOLIO

GIORNO N° 38/40 : “ARMOR”“Il samurai (侍, samurai) era un militare appartenente alla casta dei guerrieri che furono alla guida del Giappone feudale per quasi 700 anni. Il termine “samurai”, impie-gato per la prima volta in un testo del X secolo, deriva dal verbo saburau, che significa ‘servire’. ” JV

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Il progetto Quarantena sartoriale è nato il giorno dopo l’annuncio in Italia del DPCM del 8 marzo, che prevedeva una serie di misure sanitarie obbligatorie da osservare da quel momento in avanti, e a cui ho deciso di reagire dedicando tutto il tempo che avevo mettendomi all’opera e creando ogni giorno per qua-ranta giorni una composizione di capi.

Prima di tutto era necessario continuare a cre-are e darsi un obiettivo quotidiano, un modo per ri-spondere formalmente e visivamente alla situazione attuale. Avevo voglia di un’attualità ‘altra’ rispetto alle notizie che si potevano leggere al mattino. Così mi impegnavo perchè ogni giorno prendesse forma un pezzo nuovo. Se i luoghi della cultura sono chiusi, le programmazioni rimandate o annullate, noi ci siamo ancora. Non possiamo più incontrarci, né toccarci fisicamente, ma possiamo continuare a scambiare e condividere quello che sappiamo fare. Anche se in-dossiamo le mascherine continuiamo ad abbozzare sorrisi. La mattina non sapevo quello che sarei anda-ta a concepire o realizzare, lasciavo una libertà totale alle creazioni che prendevano forma. Questo proget-to è nato quando, nel rispetto del distanziamento so-

ciale imposto, mi trovavo da sola nel mio atelier e mi era impossibile poter lavorare su corpi diversi dal mio. È per questo che ho cominciato ad essere la cavia di me stessa, per poter condividere e diffondere questa raccolta sperimentale. Ho cominciato a immortalare questi momenti con dei selfie, pratica solitaria di una rappresentazione di se stessi che acquista significato sui social network. E così ho pubblicato questi au-toritratti quotidiani e altre immagini attraverso un diario digitale di ricerca sul mio profilo instagram @cliniquevestimentaire. A partire dal quarto giorno di questa Quarantena sartoriale solitaria, la fotografa Leslie Moquin si è proposta di aiutarmi con una delle fotografie e da quel momento in avanti si è unita al progetto realizzando con me oltre 50 composizioni sartoriali e oltre 100 scatti. Anche se entrambe lavo-riamo rispettivamente alle nostre discipline (moda/fotografia), abbiamo interpretato ogni giorno un ruolo diverso, un giorno costumista, un giorno fashion stylist, un giorno truccatrici, o ancora stiliste, set-designer, assistenti alla fotografia… Insieme abbiamo cercato di creare luoghi immaginari per condividere e fondere le nostre pratiche e le nostre discipline.

QUARANTENA SARTORIALE JEANNE VICERIAL & LESLIE MOQUIN

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15 PORTFOLIO

GIORNO N° 30/40: "LA MANO DI BUDDHA" Citrus medica var. sarcodactylus“La Mano di Buddha (Citrus medica var. sarco-dactylus) è una varietà asiatica di cedro, un agrume aromatico i cui spicchi sono separati tra loro e ricor-dano le dita di una mano nella posizione del panthe-on buddista (mudrâ). La buccia è spessa e la polpa (quando presente) è vagamente acida e non succo-sa, senza semini.” JV

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16GIORNO N° 18/40: “LINGUA DI FUOCO”Langue de feu, forma di linguaggio in codice. “Non tenere la lingua a posto”. JV

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FR

Le projet Quarantaine Vestimentaire est né le len-demain du décret annoncé en Italie le 8 mars 2020. Face aux mesures sanitaires mises en place, j’ai décidé de consacrer tout mon temps à la pratique, en créant chaque jour et pendant 40 jours, une composition ves-timentaire.

Il s’agissait avant tout de continuer à créer. De se donner un objectif journalier. Une façon de répondre formellement et visuellement à la situation actuelle. J’avais aussi envie d’une chronique matinale autre que les nouvelles que l’on pouvait lire au réveil. Je laissais ainsi surgir chaque pièce quotidiennement. Si les lieux culturels sont fermés, les programmations reportées ou annulées, nous sommes encore présents. Nous ne pouvons plus nous rencontrer, nous toucher phy-siquement, mais nous pouvons continuer d’échanger et partager nos pratiques. Même si nous portons des masques nous continuons d’esquisser des sourires. Le matin, je ne savais pas ce que j’allais composer ou fabriquer, je laissais une totale liberté aux formes qui émergaient. Ce projet a commencé dans mon atelier, étant seule et devant respecter la distanciation so-

ciale imposée, il m'était impossible de pouvoir travailler sur d’autres corps. De fait, j’ai commencé à être mon propre cobaye. Afin de pouvoir partager et diffuser ce carnet de recherche, j’ai commencé par fixer ces ins-tants avec l’utilisation du selfie, pratique solitaire d’une mise en scène de soi-même qui prend tout son sens sur les réseaux sociaux. C’est ainsi que j’ai publié ces autoportraits journaliers et autres mises en scène via un journal digital de recherche sur mon compte ins-tagram @cliniquevestimentaire. Puis, dès le quatrième jour de cette Quarantaine vestimentaire solitaire, la photographe Leslie Moquin décide de m’apporter de l’aide pour l’une des photographies. Depuis ce jour, elle a rejoint ce projet pour lequel nous avons collaboré autour de plus de 50 compositions vestimentaires et plus de 100 clichés photographiques que nous avons, ensemble, mis en scène. Même si nous avons, chacune, nos propres disciplines (vêtement/photographie), nous avons joué tous les rôles quotidiennement, un jour cos-tumière, un jour accessoiriste, parfois maquilleuse, sty-liste, set-designer, assistante photo… À nous deux, nous avons tenté de créer des espaces imaginaires afin de partager et fusionner nos pratiques et nos disciplines.

GIORNO N° 34/40: “INTRECCIO”“L'operazione e il modo di intrecciare, intessitura.Intessere le trecce di un cavallo, i crini degli animali per farne un intreccio, una treccia. Unire a treccia, torce-re insieme fili o altri elementi flessibili formando una treccia: la treccia è impiegata anche per confezionare corde. La treccia più generica è il frutto di un intreccio di tre fili o di un fascio di fili.” JV

PORTFOLIO

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Leslie Moquin sviluppa da diversi anni un lavoro fotografico caratterizzato dalla diversità dei paesi che ha attraversato nell'arco dei suoi viaggi. La traboccante Shanghai, lo stra-no silenzio del Kurdistan iracheno, l’esuberanza dei barrios dei Caraibi colombiani, l’atmosfera malinconica del vento di Tolosa. Mescolando approcci della fotografia documentaria e poetica in un accurato equivoco, supera lo spettacolo del viaggio e dell’esotismo per interrogare ciò che costituirebbe la plasticità profonda di un territorio, la sua originalità esteti-ca, facendo sbocciare una poesia lucida, su misura. (Jeanne Pelloquin, curatore della mostra Arrière(s)-Pays, Laval, 2019)

Leslie Moquin développe depuis plusieurs années un travail photographique marqué par la diversité des pays qu’elle a eu l’occasion de traverser. La saturée Shanghai, l’étrange silence du Kurdistan irakien, l’exubérance des barrios des Caraïbes colombiennes, l’air mélancolique du vent toulousain. Mêlant les approches documentaire et poétique dans une soigneuse équivoque, elle dépasse le spectacle du voyage et de l’exo-tisme pour questionner ce qui constituerait la plasticité pro-fonde d’un territoire, son originalité esthétique, favorisant l’éclosion d’une poésie lucide, sur-mesure. (Jeanne Pelloquin, commissaire de l'exposition Arrière(s)-Pays, Laval, 2019)

Jeanne Vicerial, designer/ricercatrice, attualmente borsista all’Accademia di Francia a Roma - Villa Medici, è fondatrice dello studio di design Clinique Vestimentaire. Dopo aver colla-borato per il fashion designer Hussein Chalayan ha sviluppa-to nuovi principi creativi ispirandosi principalmente alle fibre muscolari per creare tessiture muscolari tessili. Dottore in Design della moda, Jeanne è autrice di una tesi che interroga le modalità di realizzazione dell’abbigliamento contempo-raneo proponendo un’alternativa alla dicotomia esistente, e legata al sistema del fast fashion, tra il “su misura” e il prêt-à-porter. Nel 2016, grazie a un partenariato con il dipartimento di meccatronica di MINES ParisTech — école des Mines de Paris, perfeziona un procedimento e un robot che consento-no di produrre abiti su misura senza scarti e che la portano a depositare un brevetto, in qualità di inventrice, all’INPI (Institut national de la propriété industrielle). La sua tecnica spazia tra sculture sartoriali, arte e moda.

Jeanne Vicerial, designer/chercheuse, actuellement pension-naire a l’Académie de France à Rome – Villa Médicis, est fon-datrice du studio de design Clinique Vestimentaire. Après un passage chez Hussein Chalayan, elle développe de nouveaux principes de créations textiles en s’inspirant principalement des fibres musculaires afin de créer ses propres tissages musculaires textiles. Docteure en Design vêtement, Jeanne développe une thèse qui questionne les moyens de concep-tion vestimentaire contemporains, et propose une alternative à la dichotomie entre le sur-mesure et le prêt-à-porter, liée au système de la fast fashion. Elle met au point depuis 2016, grâce à un partenariat avec le département de mécatronique de MINES ParisTech — école des Mines de Paris, un procédé et un robot permettant de produire des vêtements sur me-sure, sans chute, ce qui la conduit en tant qu’inventeur à dé-poser un brevet auprès de l’INPI. Sa pratique s’articule entre sculptures vestimentaires, art et mode.

Jeanne Vicerial (a sinistra), Leslie Moquin (a destra), Villa Medici, Roma, 2020. Foto: Samuel Gratacap

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GIORNO N° 17/40: “SMASCHERATA”“Guardare la bocca, il nuovo tabù: mezzo di espressio-ne dei sentimenti, delle sensazioni, o rivelatrice di un tratto del carattere sorridere: manifestare a qualcuno simpatia, affetto, gentilezza rivolgendogli un sorriso. Sorridere al proprio interlocutore.” JV

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Primavera

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Anna Lea Antolini

Paolo Damiani

Claudio Longhi

Claudio Longhi & Pascal Rambert

Phia Ménard & Giorgio Barberio Corsetti

Nino Marino

Emmanuel Tibloux

Mohamed El Khatib

MaggesePrimavera

GIORNO N° 29/40: “WISTERIA N°2”“Alcune specie si chiamano ‘glicini’. Il glicine è estre-mamente longevo (in Giappone sono state scoperte specie che hanno oltre mille anni). Le piante del genere Wisteria sono liane caducifoglie. Possono crescere fino a venti metri d’altezza e dieci metri di larghezza.” JV Calco del busto: Hugo Servanin.

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Nel tempo dell’attesa viviamo tra il visibile e l’invisibile in un mondo sospeso che è proprio della performance. Nel mio specifico, della performance di danza, ancor più nel dettaglio, di ricerca. L’Italia e la Francia per me sono state, sono e saranno, anche dopo l’irruente pandemia che stiamo vivendo, il collante, la vi-sione e la prospettiva culturale. Insieme sono l’apertura sul tutto e sull’interstizio che cela e che svela secondo il movimento dello sguardo, nella sua vivacità e nella sua creatività.

In questi giorni sospesi, un’immagine torna fre-quente alla mia memoria: è quella evanescente di un corpo assente, presente nelle fluttuanti movenze di due abiti dal tessuto leggerissimo quasi venoso che ondeggiano nello spazio mossi da flussi ventosi. Mi trasporta altrove, in una dimensione sovrannaturale, fortemente attuale. Christian Rizzo, più volte prota-gonista delle diverse edizioni de La Francia in Scena, con questa creazione voleva rendere visibile un’idea danzante che grazie a un tempo di contemplazione ipnotica spingesse verso una riflessione sull’assenza. Questa immagine-quadro è il ritratto di un altro mondo possibile. Un’anticipazione? Forse.

La kermesse francese in Italia ha sempre aperto l’intelletto, l’emozione e il corpo di ogni performer-spet-tatore a scenari contemporanei in anticipo sulle grandi questioni della riflessione socio-culturale internazionale in termini di danza e non solo. Dalla mia duplice espe-rienza di spettatrice e, per alcuni anni, di membro di commissione ho partecipato a un tempo di conoscen-ze, pratiche e connessioni rinvigorenti. Un formato di arricchimento che ha nutrito l’immaginazione, animato la creatività partecipativa con tante e tante perfor-mance che hanno disegnato e ridisegnato lo spazio di condivisione.

Come sarà partecipare alla prossima edizione? Nell’attesa dovremo ripensare tutto quello fatto fin qui, il come, ma dovremo, soprattutto, accogliere ancora una volta l’invito di Rizzo: fermarci, contemplare e ri-flettere l’assenza per poter poi essere audaci e pensare l’impensabile.

Lago di Vico, 30 marzo 2020

L'IMPENSABILE ATTESAANNA LEA ANTOLINI

“L’Italia e la Francia per me sono state, sono e saranno,

anche dopo l’irruente pandemia che stiamo vivendo, il collante,

la visione e la prospettiva culturale.”

Anna Lea Antolini, ideatrice e curatrice di progetti culturali esperienziali, dal 2009 al 2014 è Responsabile dell’Ente di Promozione Danza della Fondazione Romaeuropa. Per la stessa, nel 2015, cura la programmazione DNAEurope e tutti i progetti di formazione, divulgazione e archiviazione. Da set-tembre 2015 a febbraio 2020 collabora con il Balletto del Teatro dell'Opera di Roma.

Anna Lea Antolini est conceptrice et chargée de projets culturels. Entre 2009 et 2014, elle a été à la tête de l'orga-nisme chargé de la promotion de la danse de la Fondation Romaeuropa. En 2015 elle s'est occupée de la programma-tion de DNAEurope ainsi que de tous les projets de formation, diffusion et archivage. De septembre 2015 à février 2020, elle a travaillé pour le Ballet du Théâtre de l'Opéra de Rome.

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Cette grand-messe française en Italie a toujours ouvert l'intellect, l'émotion et le corps de tous les ar-tistes-spectateurs à des scénarios contemporains vi-sionnaires pour les grandes questions socio-culturelles internationales, de danse mais pas seulement. Ma double expérience de spectatrice et, pendant plusieurs années, de membre de commissions m'a permis de faire partie d'une époque de connaissance, de pratique et de connexions vivifiante. Un enrichissement qui a nourri l'imagination et animé la créativité participative grâce à d'innombrables performances dessinant et re-dessinant l'espace de partage.

A quoi ressemblera l'expérience de la participa-tion à la prochaine édition ? Dans l'attente nous nous devons de repenser à tout ce qui a été fait jusqu'ici, le comment. Mais nous devons surtout répondre une fois de plus à l'invitation de Rizzo : s'arrêter, contempler et réfléchir à l'absence pour pouvoir ensuite être auda-cieux et penser l'impensable.

Lac de Vico, 30 mars 2020

100% polyester, objet dansant n° 52, Christian Rizzo

FR

En ces temps d'attente nous vivons entre le visible et l'invisible, dans un monde suspendu qui est juste-ment celui de la performance. Il s'agit dans mon cas de la performance dans la danse, et plus spécifiquement encore, dans la recherche. Pour moi l'Italie et la France ont été, sont et seront encore même après l'impé-tueuse pandémie que nous vivons, le ciment, la vision et la perspective culturelle. Elles sont l'ouverture sur le tout et sur l'interstice qui cache et qui révèle selon le mouvement du regard, dans sa vivacité et sa créativité.

En ces jours suspendus, une image me revient souvent en mémoire: l'evanescence d'un corps absent mais présent dans les mouvements souples de deux robes faites d'un tissu vaporeux, presque veineux, qui ondulent dans l'espace au gré d'un souffle. Cette image me transportait ailleurs, dans une dimension surnatu-relle, profondément actuelle. Christian Rizzo, souvent à l'honneur des nombreuses éditions de La Francia in Scena, voulait, par cette création, rendre visible l'idée d'une danse qui, par la contemplation hypnotique, pousse à une réflexion sur l'absence. Cette image ta-bleau est le portrait d'un autre monde possible. Une prédiction ? Peut-être.

TESTIMONIANZA

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Erik Truffaz e Sandrine Bonnaire

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CREARE UNA COMUNITÀ D'ASCOLTO

PAOLO DAMIANI

Oggi, chiuso in casa per proteggermi dal virus, mi interessa non tanto chiederci chi siamo, il presente, quanto piuttosto: chi stiamo diventando? L’attuale cioè, il nostro divenir-Altro, per dirla con Gilles Deleuze. Quali sono i gesti creativi che inventiamo ogni giorno?

Ci provo, tento di immaginare nuovi scenari e terri-tori in cui cercare affinità e contiguità, lotte e solitudini, tensioni e distensioni, nella ricerca comune e nell’ascolto. E frontiere da attraversare per andare verso l’ignoto, e suoni, silenzi e parole strane, drôles… affascinanti come certe facce bellissime e incomprensibili.

Per questo la Francia mi è sempre sembrata perfet-ta per vivere quella duplicità senza cui tutto sembra più rozzo e banale, insignificante. A me per inventare serve un margine da attraversare, violare anche, una soglia verso l’altro e l’altra, oltre. Un trouble, une lisière d’éva-nouissement... un’emozione come una melodia sedu-cente di Debussy o Puccini, Rava o Sclavis.

Per tutto questo 23 anni fa abbiamo inventato Una Striscia di Terra Feconda, “forma di festival” del tutto originale, fatta esclusivamente con musicisti italiani e francesi e incentivando la creazione di gruppi con artisti dei due paesi, valorizzando non soltanto i più conosciuti ma anche alcuni dei migliori giovani talenti, grazie alla commissione di musica inedita e alle produzioni origina-li. Il festival esiste e dura perché assolve a una funzione fondamentale: quella di stabilire la differenza tra il com-merciale e il creativo. Oggi molti pensano di essere à la page negando questa distinzione, ma l’arte vera produce sempre instabilità, un che di inatteso e di non riconosci-bile. Non consola, disturba semmai. Tiene vivi.

E questo le persone lo cercano e lo apprezzano, il successo di pubblico è crescente, lentamente si sta creando un’autentica comunità d’ascolto nell’incontro e nello scambio, questo è Una Striscia di Terra Feconda. Una dimensione che migliora la qualità della vita di cia-scuno, semplicemente in questo inventare legami e in-

“Tento di immaginare nuovi scenari e territori in cui

cercare affinità e contiguità, lotte e solitudini, tensioni

e distensioni, nella ricerca comune e nell’ascolto.”

croci tra Italia e Francia, spostando la musica più in là e aiutando al meglio gli artisti a emozionarci: toucher au cœur, come sostiene Armand Meignan: “…E dopo oltre vent’anni, una domanda: un concerto aiuta a vivere? E una comunità d’ascolto che assiste al rito del concerto, può aiutare a vivere insieme? È presuntuoso credere che cambieremo il mondo spingendo la musica più lon-tano e aiutando i musicisti a toucher au cœur (toccarci nel profondo)? Eh sì, perchè toucher au cœur è quanto più accomuna musicisti francesi e italiani, un’ecceziona-le generosità che anno dopo anno e incontro dopo in-contro viene regalata al pubblico”.

Cerchiamo di opporci e di resistere all’inquietante tendenza alla dissoluzione che sembra ormai inevitabi-le, creando durate, con fedeltà a ciò che sentiamo più profondamente nostro, alla nostra identità e divenire. La durata bisogna cercarla e costruirla, la trovo solo quan-do resto fedele a ciò che più mi riguarda.

Ce n’est qu’un début, siamo solo all’inizio di un per-corso tra Francia e Italia che ci condurrà molto lontano: insieme, unendo gesti, energie e qualità, capacità pro-gettuali e desideri, saremo più forti di qualunque virus!

Roma, 14 marzo 2020

TESTIMONIANZA

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et en aidant les musiciens à nous “toucher” au cœur ? Et oui “toucher au cœur” c’est le grand point commun entre les musiciens français et italiens, cette formi-dable générosité qu’ils offrent chaque année, à chaque rencontre avec le public. »

Nous tentons de nous opposer et de résister à l’in-quiétante tendance à la dissolution qui semble désor-mais inévitable. Pour cela, nous créons des étendues de temps, fidèles à ce que nous percevons comme profondément nôtre, à notre identité et notre devenir. La pérennité est à rechercher et à construire, et je l’at-teins seulement quand je reste fidèle à ce qui m’est le plus propre. Siamo solo all’inizio, ce n’est que le début d’un parcours entre la France et l’Italie, qui nous mène-ra très loin : ensemble, unissant les gestes, les énergies et la qualité, la capacité à concevoir et les désirs, nous serons plus forts que n’importe quel virus !

Rome, 14 mars 2020

FR

Aujourd’hui, enfermé chez moi pour me protéger du virus, ce qui m’intéresse vraiment n’est pas tant de m’interroger sur qui nous sommes ou sur le présent, mais plutôt sur : qui sommes-nous en train de devenir ? L’actuel, ou mieux, notre devenir-Autre, pour le dire à la façon de Gilles Deleuze. Quels sont les gestes créatifs que nous inventons chaque jour ?

J’essaye d’imaginer de nouveaux scénarios et ter-ritoires où chercher l’affinité et la contiguïté, les luttes et les solitudes, les tensions et les distensions, à travers une recherche commune et à travers l’écoute. Et des frontières à traverser pour aller vers l’inconnu, et des sons, des silences et des paroles étranges, strane… fascinantes comme certains visages, très beaux mais incompréhensibles.

La France m’a toujours semblé parfaite pour vivre cette duplicité sans laquelle tout paraît plus trivial, ba-nal et insignifiant. En ce qui me concerne, pour inventer, j’ai besoin d’un écart à traverser, à violer même, un seuil amenant vers l’autre, au-delà. Un trouble, une lisière d’évanouissement… une émotion comme une mélodie séduisante de Debussy ou Puccini, Rava ou Sclavis.

C’est dans cette optique qu’il y a 23 ans nous avons inventé Una Striscia di Terra Feconda, une forme tout à fait originale de festival : des musiciens exclusivement italiens et français, encouragés à créer des groupes ré-unissant des artistes des deux pays. Un festival qui va-lorise non seulement les plus connus d’entre nous, mais également les jeunes talents les plus brillants, en com-mandant des musiques inédites et en produisant des œuvres originales. Le festival existe et dure dans le temps parce qu’il remplit une fonction fondamentale : mettre en avant la différence entre ce qui est commercial et ce qui est créatif. De nos jours, beaucoup pensent être à la page en niant cette distinction, mais l’art véritable produit toujours une certaine instabilité, une pointe d’inattendu et de méconnaissable. L’art ne console pas, il dérange plutôt. Il maintient en vie.

Et ça, les gens le recherchent et l’apprécient, le succès auprès du public est croissant, lentement une authentique communauté d’écoute se crée, dans la rencontre et dans l’échange. Una Striscia di Terra Feconda, c’est tout cela. Une dimension qui améliore la qualité de vie de tout un chacun, simplement en in-ventant des liens et des intersections entre l’Italie et la France, amenant la musique plus loin et en aidant au mieux les artistes à s’émouvoir : « toucher au cœur », comme le dit Armand Meignan : «… Et après plus de vingt ans, une question : est-ce qu’un concert aide à vivre ? Est-ce que la communauté d’écoute dans la même cérémonie du concert aide à mieux vivre en-semble ? Est-ce une prétention de croire que nous al-lons changer le monde en portant la musique plus loin

Compositore, direttore d’orchestra, contrabbassista e vio-loncellista, didatta, architetto, Paolo Damiani è il direttore ar-tistico e co-fondatore del festival di jazz franco-italiano Una Striscia di Terra Feconda, creato nel 1998. È stato direttore artistico e musicale dell’ONJ – Orchestre National de Jazz – in Francia, primo e unico artista straniero ad aver vinto il relativo concorso. Dal 2002 dirige il Dipartimento jazz del Conservatorio di S. Cecilia a Roma.

Compositeur, chef d’orchestre, contrebassiste et violoncel-liste, enseignant, architecte, Paolo Damiani est le directeur artistique et co-fondateur du festival de jazz franco-italien Una Striscia di Terra Feconda (« Une bande de terre fé-conde »), créé en 1998. Il a été le directeur artistique et musi-cal de l’ONJ, Orchestre National de Jazz (France), dont il est le premier et l’unique artiste étranger à en avoir remporté le concours. Depuis 2002, il dirige le Département de Jazz du Conservatoire Sainte-Cécile de Rome.

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Ormai sembra chiaro a tutte e a tutti: siamo, con ogni evidenza, arrivati a un appuntamento con la storia. Quella storia di cui a più riprese abbiamo in questi ulti-mi decenni cercato di liberarci, proclamandola morta, proprio quella storia che sembrava uscita di scena con la caduta del muro di Berlino è tornata a farci visita pre-sentandoci il conto – un po’ come la “vecchia signora” di dürrenmattiana memoria. E lo ha fatto in un modo fino a poco fa impensabile: ripartendo dalla natura, anzi da una particola elementare della natura (ammesso e non concesso che di natura possa ancora parlarsi in pieno antropocene): un virus. Davanti a questa microscopica entità biologica recapitataci, come nella miglior tradi-zione delle fiabe del terrore, sulle ali di un pipistrello, insieme al mondo trema l’Europa. Dunque, quel proget-to europeo nato dalle ceneri di un’orribile guerra civile protrattasi nel cuore del vecchio continente tra il 1914 e il 1945, quel progetto europeo imperfetto e deficita-rio per quanto si voglia, cui però dobbiamo la (relativa) pace degli ultimi settant’anni, incarnatosi nel corpo dell’Unione Europea, sembra ora vacillare. Si rialzano i confini. Si incrina la fiducia. In un ecosistema sociale ormai divenuto planetario è però un problema grave perdere l’Europa. Un problema molto grave. Un proble-ma da non sottovalutare.

A petto dello sfarinarsi del progetto europeo cui stiamo assistendo, il teatro, per chi lo fa e per chi lo ama, ha una grande responsabilità. Dalla tragedia gre-ca ai comici dell’arte, dal dramma borghese al teatro epico, il teatro è stato un cemento importante della no-stra identità europea – un’identità madre, non lo si di-mentichi, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Cadmo non ha forse fondato Tebe, originan-do il mito dei Labdacidi, in cerca della sorella Europa rapita? Ma proprio in questi giorni, quello stesso virus che fa tremare l’Europa, sembra annichilire il teatro: im-ponendo distanze, cancellando il contatto. Artaud non ci aveva forse insegnato che il teatro è contagio?

Come ai tempi delle grandi pestilenze di qualche secolo fa – la storia, appunto, ritorna – oggi chiudono

CLAUDIO LONGHI

“A petto dello sfarinarsi del progetto europeo cui stiamo assistendo, il teatro, per chi

lo fa e per chi lo ama, ha una grande responsabilità.”

i teatri. E allora, da amante del teatro, per dare il mio piccolo e insignificante contributo a salvare l’Europa e affrontare la crisi in atto rivendico l’importanza di pro-durre pensiero teatrale. Se per ora il teatro non lo si può fare – e lo si può solo citare per sfocate approssima-zioni –, dobbiamo almeno pensarlo. Un teatro in forma di idee, per travestire Fernando Taviani. Come ai tempi d’oro della tenzone tra comédiens italiens e comédiens français con tutto quanto da quella tenzone è scaturito, penso a una stagione teatrale che porti in Italia, per sti-molarci e farci riflettere, il lavoro di Pascal Rambert, con la sua capacità di dare respiro alla carne del linguaggio e all’atto erotico del suo generarsi, il “giuoco” virtuosisti-co e potente di Stanislas Nordey, vigoroso scultore del-le parole e abile cesellatore dei ritmi e dei tempi, il rilan-cio critico della regia magistrale promosso da Arthur Nauzyciel – instancabile reporter di geografie culturali disperse tra gli States e la Corea. Penso a una stagio-ne teatrale che, più che mai bisognosa di nuove storie, insegua Julien Gosselin o Christophe Honoré nella co-struzione delle loro partiture complesse, sospese tra letteratura e teatro. Penso a una stagione teatrale che tra Audrey Bonnet, Jeanne Balibar e Séverine Chavrier dia parola, come nell’età d’oro della rinascita del teatro, alle donne.

Bologna, aprile 2020 (o Parigi, aprile 2020, o Wuhan, aprile 2020…)

LETTERA DI UN AMANTE DEL TEATRO

TESTIMONIANZA

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FR

Il me semble que c’est désormais clair pour tous : nous en sommes, de toute évidence, arrivés à un ren-dez-vous avec l’histoire. Cette même histoire dont, au cours de ces dernières années, nous avons à plu-sieurs reprises tenté de nous libérer, en proclamant sa mort. Cette histoire-là, celle qui semblait sortie de scène avec la chute du mur de Berlin, est revenue nous rendre visite et nous apporter la note – un peu à la fa-çon de la « Vieille Dame » dans la pièce de Friedrich Dürrenmatt. Elle l’a fait d’une manière qui semblait il y a peu de temps encore, inconcevable : à partir de la na-ture, ou mieux, d’une particule élémentaire de la nature (en admettant que l’on puisse encore parler de nature à l’ère de l’anthropocène) : un virus. Face à cette micros-copique entité biologique qui nous est parvenue, selon la plus parfaite tradition des contes et légendes, sur les ailes d’une chauve-souris, l’Europe tremble aux cô-tés du reste du monde. Ainsi, ce projet né des cendres d’une affreuse guerre civile, celle qui s’est déroulée au cœur du vieux continent entre 1914 et 1945 ; ce pro-jet d’Europe, imparfaite et déficitaire autant que vous voulez, mais auquel on doit tout de même la (relative) paix de ces dernières soixante-dix années ; ce projet qui s’est ensuite incarné dans le corps de l’Union eu-ropéenne ; ce projet semble aujourd’hui vaciller. Nous

rétablissons les frontières. La confiance se fissure. Pourtant, au sein d’un écosystème social désormais planétaire, c’est un grave problème que de perdre l’Europe. Un problème très grave. Un problème qu’il ne faut pas sous-estimer.

Face à cet émiettement du projet européen qui a lieu sous nos yeux, le théâtre, pour ceux qui le font et ceux qui l’aiment, porte une grande responsabilité. De la tragédie grecque à la commedia dell’arte, du drame bourgeois au théâtre épique, le théâtre a été un ci-ment important pour notre identité européenne – une identité à l’origine, qu’on ne l’oublie pas, de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne. Cadmos n’a-t-il pas fondé Thèbes, donnant lieu au mythe des Labdacides, alors qu’il s’était lancé à la recherche de sa sœur Europe, après qu’elle a été en-levée ? Pourtant, aujourd’hui, c’est bien ce virus qui fait trembler l’Europe qui semble aussi annihiler le théâtre : en imposant les distances, en éliminant tout contact. Artaud ne nous avait-il pas enseigné que le théâtre est contagion ?

Comme quelques siècles auparavant, au temps des grandes vagues de peste – l’histoire, on le voit, se répète – on ferme aujourd’hui les théâtres. Alors, en tant qu’amoureux du théâtre, pour apporter mon humble et insignifiante pierre afin de sauver l’Europe et affronter la crise actuelle, je veux revendiquer l’im-portance de la production d’une pensée théâtrale. Si, pour l’instant, le théâtre ne peut plus être fait – et on ne peut que le citer à travers de vagues approxi-mations – nous nous devons au moins de le penser. Un théâtre sous forme d’idées, pour paraphraser Ferdinando Taviani. Comme à l’âge d’or de la tension entre comédiens italiens et comédiens français, je pense une saison théâtrale qui, non moins fructueuse, amènerait en Italie, nous stimulant et nous faisant réfléchir, le travail de Pascal Rambert, avec sa capa-cité à conférer un souffle à la chair du langage et à l’acte érotique qui le génère ; le « jeu » de virtuose et puissant de Stanislas Nordey, vigoureux sculpteur des mots et ciseleur habile des rythmes et des temps ; le redémarrage critique de la mise en scène magistrale portée par Arthur Nauzyciel, infatigable reporter de géographies culturelles éparpillées entre les États-Unis et la Corée. Je pense une saison théâtrale qui, ayant plus que jamais besoin de nouvelles histoires, s’engage à la suite de Julien Gosselin ou Christophe Honoré dans la construction de leurs partitions complexes, suspendues entre littérature et théâtre. Je pense une saison théâtrale qui, à travers Audrey Bonnet, Jeanne Balibar et Séverine Chavrier, donne la parole, comme dans l’âge d’or de la renaissance du théâtre, aux femmes.

Bologne, avril 2020 (ou Paris, avril 2020, ou Wuhan, avril 2020…)

Professore Ordinario di Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, Claudio Longhi è, dal 1° gennaio 2017, Direttore di Emilia Romagna Teatro Fondazione (Teatro Nazionale). Al percorso accade-mico ha da sempre affiancato l’impegno teatrale attivo, la-vorando dapprima nel campo della regia e della formazione del pubblico, quindi allargando la propria sfera di operatività al dominio organizzativo. Ha diretto numerosi spettacoli così come ha ideato e realizzato molti progetti di teatro parteci-pato.

Professeur d’arts du Spectacle auprès de la Faculté d’arts de l’Université de Bologne, Claudio Longhi dirige depuis 2017 la Fondation Emilia Romagna Teatro (Théâtre National). Il a depuis toujours associé à son parcours académique une pra-tique théâtrale, se consacrant d’abord à la mise en scène et à des programmes de formation du public, puis élargissant son champ d’action à la partie organisationnelle. Il a mis en scène de nombreux spectacles et a aussi conçu et réalisé plusieurs projets de théâtre participatif.

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29 DIALOGO

CLAUDIO LONGHI & PASCAL RAMBERT

Storia della fine di un mondo e tentativo di ripensare il nostro presente, Architecture di Pascal Rambert, andato in scena a Bologna il 23 febbraio 2020 è stata una delle ultime

pièce presentate in Italia prima del blocco totale del paese. Il drammaturgo ritorna - con una scrittura così caratteristica, scevra da punteggiatura - su questo momento preciso attraver-so un dialogo con Claudio Longhi, dove la riflessione sul teatro diventa essa stessa il teatro.

Bisogna prepararsi a un'epoca chenon avevamo immaginato

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Claudio – Caro Pascal, dall’isolamento della mia casa di Bologna mi rivolgo alla tua quarantena a Parigi. Nella mia solitudine, non potendo fare teatro, sogno il teatro che verrà… Come accadde in passato all’epoca delle grandi pesti del XVI e del XVII secolo, oggi i teatri sono chiusi in gran parte del mondo. E for-se pensare il teatro è l’unica possibilità che ci rimane per vivere il teatro. Un teatro delle idee (e attraverso le idee). Un teatro “in poltrona”. Un teatro forzatamente nel silenzio. Vorrei quindi provare a immaginare con te quello che succederà sul palcoscenico del futuro… Verso la metà degli anni Cinquanta del ’900, Fredrich Dürrenmatt presentò una conferenza sul tema: È an-cora possibile raccontare il mondo contemporaneo attraverso il teatro? Qual è la tua opinione a riguardo? Con le infinite possibilità offerte dall’invasione tenta-colare di internet, dopo la “dismisura” del fenomeno Covid-19, riusciremo mai a riportare la realtà su un piccolo palco?

Pascal – sì penso di sì non sono molto a mio agio col concetto di “mondo dopo” non credo che il mon-do dopo l’isolamento sarà molto diverso da quello in cui viviamo sicuramente ci sarà un prima e un dopo per le migliaia di persone che hanno perso un geni-tore o un familiare ma per la maggior parte di noi la vita secondo me ripartirà velocemente sicuramente un po’ diversa per via dei gesti-barriera e delle misure di distanziamento sociale ma questo durerà solo per un tempo limitato mi ricordo che dopo l’11 settembre 2001 si diceva che nulla sarebbe più stato come pri-ma e la stessa cosa si diceva dopo gli attentati a Parigi del 2015 io penso che la vita sia più forte di tutto que-sto il desiderio di vivere restando prudenti ritornerà nell’attimo stesso in cui saremo tutti consapevoli che finalmente ci siamo e potremo tornare a vivere di nuo-vo in questo momento c’è la metà del pianeta che non vive perché vivere isolati non è vivere e quindi credo che anche il teatro stia soffrendo molto ovunque in un mondo che a sua volta non sta vivendo si ricomin-cerà allora a vivere forse in settembre forse a Natale ma sono sicuro che le persone ritorneranno presto in sala come gli artisti e gli attori che anch’essi in questo momento non vivono perché non è vita per un attore leggere testi su internet questa non è vita e io credo che la vita voglia la vita e quindi la rivorrà indietro pre-sto e vorrà con molta forza che tutto torni a vivere e io non sono né ottimista né pessimista guardo ascolto la natura e osservo che la vita ha una sua volontà

Claudio – Artaud ci ha insegnato che il teatro è peste. Che il teatro è contagioso. I prossimi mesi li de-dicheremo a capire come fare per evitare il contagio. Ci stiamo forse proiettando verso l’annientamento del teatro?

Pascal – nessuna soppressione del teatro giam-mai il teatro potrà mai scomparire ovviamente quelli che lo fanno sì ma il teatro è più grande di quelli che

lo fanno perché è dall’epoca dei greci che il teatro esi-ste e non sarà certo il Covid 19 che farà sparire dalla superficie della terra il bisogno viscerale sì viscerale dell’essere umano di guardare alle storie che gli dico-no “sto parlando di te”

Claudio – Il 25 aprile l’Italia ha celebrato la libe-razione del paese dall’occupazione tedesca e dal re-gime fascista. Il 25 aprile è quindi una data simbolica che ci parla della fine della seconda guerra mondiale. Dopo la guerra abbiamo avuto la ricostruzione. Non amo la metafora militare della guerra così popolare oggi per spiegare la lotta contro il Covid-19, ma ca-pisco bene che ci siano analogie tra questo passato così vicino e la nostra condizione. Vorrei pertanto farti due domande su questo tema. Come scrittore, cosa

ne pensi dell’utilizzo del linguaggio militare nella rap-presentazione della nostra situazione attuale? Come cittadino cosa ne pensi della ricostruzione che ci at-tende? Il dopoguerra ci ha portato al boom economi-co. Dove ci porterà il post Covid?

Pascal – non sono un grande amante di questo linguaggio bellico proprio perché faccio attenzione al linguaggio e quando lo sento mi sembra inadatto che parole impiegherebbero se un giorno entrassimo in una guerra tra stati? Non so a cosa ci porterà que-sta situazione come ho detto non credo a un “mon-do dopo” mi sembra decisamente troppo romantico tutti in questo momento si vogliono autoconvincere di qualcosa per i sovranisti più sovranismo per i pro

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europeisti più Europa per quelli che non sono favore-voli meno Europa etc come tutti i mostri il Covid 19 inghiotte tutti i fantasmi e credo che in questo non ci sia nulla da cercare è un virus punto e basta non è una vendetta divina non è una vendetta della natura è un virus come ce ne sono sin dalle origini del mondo e sparirà com’è destino dei virus di fronte alla risposta della scienza

Claudio – Nel dopoguerra, con Jean Vilar e

Giorgio Strehler, abbiamo assistito alla nascita del paradigma del teatro servizio-pubblico. Questo para-digma è ancora percorribile? Oggi il teatro è un servi-zio pubblico? Un valore? Un bene comune? Qual è la funzione che immagini per il teatro del futuro?

Pascal – parlo solo per me ma la funzione primaria e che ho provato a far nascere su un palco da tutta la vita è la bellezza nient’altro per me non c’è niente altro è da 40 anni che faccio solo questo e onestamente lo riconosco è sicuramente una vita assurda quella che avrò vissuto ma non sono ancora mai riuscito una sola volta a toccarla come avrei voluto questa bellezza e lo dico in tutta sincerità neanche una volta e quindi insi-sto forse ci arriverò chi lo sa? ma non è il Covid 19 che mi fermerà in questa ricerca esistenziale

Claudio – L’ultimo giorno prima della chiusura dei teatri in Italia (il 23 febbraio), abbiamo presentato a Bologna Architecture. Se ci penso oggi mi commuovo fino alle lacrime. Il ritratto di un’Europa che sprofonda all’inizio del XX secolo e la realtà dell’Europa che si dis-solve all’inizio del XXI secolo. Quale sarà il destino del nostro vecchio continente secondo te?

Pascal – sì l’ultima frase di Architecture è pronun-ciata da una bambina che dice “bisogna prepararsi a un'epoca che non avevamo pensato” è una frase per tempi come quelli che viviamo ed è stata l’ultima ad essere pronunciata in tutto il festival di ERT prima che tutto si interrompesse ed è una cosa che fa riflettere o che fa piangere certo ma il destino del nostro vecchio continente non so in realtà non so a volte mi dico che tutto è possibile con tutto quello che questa parola racchiude di bellezza e di terrore

Claudio – Tu sei drammaturgo, e mi piacerebbe sapere quali sono le storie che vorrai raccontare i prossimi mesi e quali saranno le storie che il pubblico vorrà ascoltare…

Pascal – penso che il pubblico vorrà ascoltare di tutto tranne che storie sul Covid 19 libri sul Covid 19 film sul Covid 19 dopo tutto questo le persone avran-no voglia di altro le persone avranno voglia di poesie di vite e di racconti favolosi io darò il mio modesto con-tributo con “3 annunciazioni” in tre lingue diverse ita-liano spagnolo e francese sono tre poemi sulla nasci-ta sul ruolo della donna e sul futuro del pianeta Terra

sono tre annunci per i tempi nuovi. Tocca a me, ora, farti delle domande puoi descrivere che effetto ha sul corpo un annullamento come quello che hai vissuto tu con i tuoi collaboratori?

Claudio – Hai perfettamente ragione. La sospen-sione del Festival VIE ha prodotto un vero e proprio ef-fetto fisico su tutto il nostro gruppo di lavoro. Eravamo a fine febbraio. In un momento in cui il diffondersi dell’epidemia del Covid stava cominciando a semina-re la paura e lo smarrimento in Italia, ma ancora non era chiaro che cosa ci avrebbe aspettato, vedere in poche ore cancellato il risultato di oltre un anno di la-voro, viaggi, trattative, riflessioni, paure e speranze ha provocato in noi tutti un dolore nitido e reciso, para-gonabile a quello che credo sia generato da un’ampu-tazione. Di colpo ci è mancato una parte di noi stessi. E come talvolta capita con le amputazioni, almeno a quanto mi è capitato di leggere in alcune testimo-nianze, l’arto mancante continuava, stranamente, ad essere percepito. Il corpo si rifiutava di credere che quel patrimonio di esperienze gli fosse stato sottratto.

Pascal – dopo l’annullamento del festival di Avignone nel 2003 avevo programmato di raccon-tare gli spettacoli che non si erano tenuti e poi mi è mancato il tempo per scrivere il progetto. Pensi che uno scrittore o degli spettatori potrebbero scrivere e raccontare quello che potremmo chiamare “il festival dei sogni” a partire da spettacoli che non sono stati rappresentati?

Claudio – Credo di sì! Da quando l’attività teatra-le si è interrotta in Italia, ossia dal 24 febbraio scorso, continuo a pensare che, non potendo praticare il tea-tro, le istituzioni teatrali abbiano il dovere, oggi, di tene-re vivo almeno il pensiero del teatro. Parafrasando un acutissimo storico del teatro italiano, Nando Taviani, inventore di una feconda categoria critica come quel-la di “teatro in forma di libro”, ho l’impressione che oggi l’assenza del fare teatrale ci spinga di necessità a ri-cercare un “teatro in forma di idee”. Da questo punto di vista sono convinto che il racconto sia uno degli stru-menti più efficaci per avvicinarsi per approssimazione all’esperienza teatrale che non si può consumare.

Pascal – il 25 aprile è un giorno importante per l’Italia ma anche per il Portogallo il 26 aprile ricorre l’anniversario della catastrofe di Chernobyl tutte que-ste date – poiché è proprio in questi giorni dell’anno 2020 che ci stiamo scrivendo – ci hanno fatto piom-bare in periodi diversi, oggi verso dove stiamo andan-do secondo te?

Claudio – Che domanda terribile! Chi può dire, oggi, verso quale mondo stiamo andando? Credo potrei a mala pena suggerirti verso che mondo vor-rei che andassimo o verso che mondo potrei essere incline a credere che finiremo con l’andare, volenti

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o nolenti… Forse potrei proporti un’ipotesi. Come te, non amo le metafore militari per descrivere ciò che il contagio da Coronavirus ha prodotto nelle nostre vite. Eppure, sono consapevole che alcune strane ana-logie tra l’esperienza bellica e il nostro oggi esistano. Come 75 anni fa, stiamo per affrontare una fase di ricostruzione: il mondo è totalmente cambiato. Ciò che ci stiamo lasciando alle spalle è totalmente diver-so da quello che l’Europa stava superando nel 1945, eppure come allora siamo in una fase di ricostruzio-ne. Ebbene: proprio le prospettive di questa ricostru-zione sono radicalmente diverse. Nel 45, l’Italia stava gestendo il boom economico e l’intero Occidente veleggiava verso un progresso esponenziale del si-stema capitalistico. Se vogliamo affrontare la sfida del domani in modo maturo, oggi il nostro modello di ricostruzione non può non confrontarsi, invece, con concetti scomodi e cruciali come quelli di “sostenibi-lità” e decrescita.

Pascal – come pensi che il governo italiano attua-

le reagirà allo smarrimento degli artisti?

Claudio – Non lo so. In questo momento mi pare domini una certa confusione. Il Covid-19 ha fatto sal-tare il banco e l’assenza di certezze legate al decorso

della pandemia, genera non poco sconcerto. Una fitta nebbia sembra avvolgere il futuro del nostro sistema teatrale. A ben vedere, il dilagare del Coronavirus, con la crisi che ha prodotto, ha reso evidenti tutti i problemi di cui il nostro sistema soffriva già prima: la scarsa tutela degli artisti, la perdita di funzione dell’e-sperienza teatrale, lo sviluppo ipertrofico del sistema produttivo… Spero che proprio la crisi scatenata dalla pandemia, dia la forza e il coraggio per immaginare un sistema migliore.

Pascal – sei felice?

Claudio – Di essere qui, a parlare con te, ora, mol-to. Di poter dare un sia pur modestissimo contributo a costruire il teatro che verrà, altrettanto (anche se i risultati non dovessero arrivare, semplicemente per il piacere di farlo). Ma è difficile non fare i conti con il dolore che questi mesi che ci stiamo lasciando alle spalle finiranno col lasciarci in eredità.

Parigi / Bologna, 4 maggio 2020

Architecture, Pascal Rambert

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33 DIALOGO

FR

Claudio – Cher Pascal, je te parle aujourd'hui confiné dans ma maison à Bologne, toi en quarantaine à Paris. Dans ma solitude, ne pouvant pas faire de théâtre je rêve du théâtre à venir… Comme en d’autres temps, au temps des grandes épidémies de peste des XVIe et XVIIe siècles, les théâtres sont à présent fermés partout dans le monde. Peut-être qu’aujourd’hui pen-ser le théâtre est la seule possibilité de vivre le théâtre. Un théâtre des idées, par les idées. Un théâtre dans un fauteuil. Un théâtre forcément dans le silence. Je veux donc essayer d’imaginer avec toi ce qui pourrait se passer sur scène à l’avenir… Au milieu des années 50, Friedrich Dürrenmatt a présenté une conférence dédiée à la question suivante : est-il encore possible de raconter le monde contemporain par le théâtre ? Qu’en penses-tu ? Après la complexité d’internet, après la démesure du Covid-19, pouvons-nous encore porter la réalité sur un plateau ?

Pascal – oui je le crois je ne suis pas très à l’aise avec ce concept de « monde d’après » je ne crois pas que le monde après le confinement sera très différent de celui dans lequel nous vivons bien sûr il y aura un avant et un après pour les milliers de personnes qui ont perdu un parent un être proche mais pour la majorité d’entre nous la vie de mon point de vue va repartir très vite sans doute légèrement modifiée par les gestes barrières les mesures de distanciation sociale mais cela n’existera que sous un temps restreint je me sou-viens qu'après le 11 septembre 2001 on disait que plus rien ne serait comme avant idem après les attentats à Paris en 2015 moi je crois que la vie est plus forte que tout cela le désir de vivre tout en étant prudent va se remettre en place dans la seconde où nous serons tous conscients que ça y est on peut revivre à nouveau en ce moment il y a la moitié de la planète qui ne vit pas car vivre confiné n’est pas vivre donc je crois que le théâtre aussi qui est en train de souffrir beaucoup partout sur la planète aussi qui est lui aussi en train de ne pas vivre va se remettre à vivre peut-être en septembre peut-être à Noël mais je suis sûr que les gens seront là dans les salles très vite comme les artistes les acteurs qui en ce moment non plus ne vivent pas car ce n’est pas vivre pour un acteur que de lire sur internet des textes pour des gens cela n’est pas la vie et moi je crois que la vie veut donc la vie va vouloir très vite et très fort que tout revive je ne suis ni optimiste ni pessimiste je regarde j’écoute la nature et je vois que la vie veut

Claudio – Artaud nous a appris que le théâtre est peste. Que le théâtre est contagieux. Les pro-chains mois seront planifiés pour éviter la contagion. Sommes-nous donc en train de planifier la suppression du théâtre ?

Pascal – aucune suppression du théâtre jamais le théâtre ne peut évidemment pas disparaître ceux qui le font oui mais le théâtre est plus grand que ceux qui le font donc depuis les grecs le théâtre est là et ce n’est pas le Covid-19 qui va faire disparaître de la surface de la terre le besoin intestinal oui intestinal de l’être hu-main de regarder des histoires qui lui disent « je parle de toi »

Claudio – Le 25 avril l’Italie a célébré la libération du pays de l’occupation allemande et du régime fas-ciste. Le 25 avril est donc une date symbolique, qui nous rappelle la fin de la Deuxième Guerre mondiale. Après la guerre il y a eu la reconstruction. Je n’aime pas la métaphore militaire de la guerre, très populaire au-jourd’hui pour expliquer la lutte contre le Covid-19, mais je vois bien les analogies entre ce passé si proche et notre condition actuelle. Je veux donc te poser deux questions à ce propos. En tant qu’écrivain, que penses-tu de l’emploi d’un langage militaire pour se représenter la situation que nous vivons actuellement ? Et en tant que citoyen, comment vois-tu la reconstruction qui nous attend ? L’après-guerre nous a amenés au boom économique. Où l’après Covid nous amènera-t-il ?

Pascal – je ne suis pas un grand amateur de ce langage guerrier car justement je fais attention au lan-gage et quand j’entends cela ça me parait inexact quel mot emploierons nous si un jour nous entrons dans un conflit entre nations ? Je ne sais pas à quoi nous amènera cette situation comme je l’ai dit je ne crois pas au « monde d’après » cela me semble beaucoup trop romantique chacun en ce moment veut se faire croire des choses pour les souverainistes plus de sou-veraineté pour ceux qui sont favorables à l’Europe plus d’Europe pour ceux qui n’y sont pas favorables moins d’Europe etc comme tout monstre le Covid-19 fait s’en-gouffrer tous les fantasmes moi je pense qu’il n’y a rien à y voir dans cette chose là c’est un virus point ce n’est pas une vengeance divine ce n’est pas une vengeance de la nature c’est un virus comme il y en a depuis le dé-but du monde et il disparaîtra comme la destinée des virus face à la réponse scientifique

Claudio – Dans l’après-guerre, avec Jean Vilar et Giorgio Strehler, nous avons assisté à la naissance du paradigme du théâtre service public. Ce paradigme est-il encore approprié ? Le théâtre est-il aujourd’hui un service public ? Une valeur ? Un bien commun ? Quel est la fonction que tu envisages pour le théâtre de l’avenir ?

Pascal – je ne parle que pour moi-même mais la fonction première et celle que j’aurai cherché à activer toute ma vie sur un plateau c’est la beauté rien d’autre pour moi il n’y a rien d’autre cela fait 40 ans que je fais ça et honnêtement je le reconnais c’est sans doute une

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vie absurde que j’aurai vécue mais je n’ai pas encore réussi une seule fois à la toucher comme je l’aurais voulu cette beauté et je le dis en toute sincérité pas une seule fois alors je continue peut-être que je vais y arriver qui sait ? Mais ce n’est pas le Covid-19 qui va m’arrêter dans cette quête existentielle

Claudio – Le dernier jour avant la clôture des théâtres en Italie, le 23 février, nous avons présen-té Architecture à Bologne. Si j’y pense aujourd’hui, je suis ému aux larmes. Le portrait de l’Europe qui s’écroule au début du XXe siècle et la réalité de l’Europe qui se dissout au début du XXIe siècle. A ton avis, quelle est la destinée de notre vieux continent ?

Pascal – oui la dernière phrase de Architecture est dite par une enfant qui dit « il va falloir se préparer à des choses auxquelles on n’avait pas pensé » c’est une phrase pour des temps comme ceux que nous vivons et cette phrase a été prononcée comme dernière phrase de tout le festival de ERT avant que tout ne s’in-terrompe cela fait réfléchir ou pleurer je suis d’accord mais la destinée de notre vieux continent je ne sais pas vraiment je ne sais pas parfois je me dis que tout est possible avec tout ce que ce mot recèle de beauté et d’effroi

Claudio – Je voudrais savoir quelles sont les his-toires que tu voudrais, en tant que dramaturge, conter ces prochains mois et quelles seront, à ton avis, les his-toires que le public voudra écouter…

Pascal – je crois que le public voudra écouter tout sauf des histoires sur le Covid-19 les livres sur le Covid-19 les films sur le Covid-19 après ça les gens auront envie d’autre chose les gens auront envie de poésie de vies et de récits fabuleux je ferai pour ma modeste part « 3 annonciations » en trois langues différentes italien espagnol et français ce sont trois poèmes sur la naissance la place du féminin et le futur de la planète Terre ce sont trois annonces pour des temps nouveaux. À mon tour, maintenant, de te po-ser des questions est-ce que tu peux décrire ce que fait au corps une annulation telle que toi et ton équipe l’avez vécue ?

Claudio – Tu as parfaitement raison. La suspen-sion du festival VIE a eu un effet véritablement phy-sique sur toute notre équipe. C’était à la fin février. A ce moment-là, la diffusion de l’épidémie de Covid en Italie commençait à semer la peur et le désarroi mais nous n’avions pas non plus une idée claire de ce qui nous attendait. Le fait de voir annulé en quelques heures le résultat de plus d’un an de travail - voyages, négocia-tions, réflexions, peurs et espoirs - a provoqué en nous une douleur aiguë, cinglante, presque une amputation. C’est comme si une partie de nous venait à manquer. Et comme cela arrive parfois avec les amputations - c’est en tout cas ce que j’ai pu lire dans des témoi-

gnages - le membre amputé semblait étrangement toujours là. Le corps se refusait à croire que ce patri-moine d’expériences lui eût été soustrait.

Pascal – après l’annulation du festival d’Avignon en 2003 j’avais pour projet de raconter les spectacles qui n’avaient pas eu lieu et puis j’ai manqué de temps pour écrire ce projet. Est-ce que tu penses qu’un écrivain ou des spectateurs pourraient écrire et raconter ce que l’on pourrait appeler le « festival rêvé » à partir des spectacles non joués ?

Claudio – Je crois que oui ! Depuis que l’activité théâtrale s’est interrompue en Italie, le 24 février der-nier, et puisqu’il est impossible de faire du théâtre, je continue de penser que les institutions théâtrales ont le devoir d’alimenter au moins la pensée théâtrale. Pour paraphraser Nando Taviani, historien du théâtre italien à la pensée subtile et inventeur de la catégorie critique du « théâtre sous forme de livre », j’ai l’impression qu’au-jourd’hui l’absence du « faire théâtral » nous pousse nécessairement à rechercher un « théâtre sous forme d’idées ». De ce point de vue, je suis convaincu que le récit est l’un des outils les plus efficaces pour se rap-procher, par approximation, de l’expérience théâtrale que nous ne pouvons pas consommer.

Pascal – le 25 avril c’est un jour important pour l’Italie mais aussi pour le portugal le 26 avril c’est la catastrophe de Tchernobyl toutes ces dates - puisque nous nous écrivons pendant ces dates de l’année 2020 - nous ont fait basculer dans des périodes diffé-rentes aujourd’hui vers où basculons-nous d’après toi ?

Claudio – Quelle terrible question ! Qui peut dire, aujourd’hui, vers quel monde nous allons ? Je pourrais à peine te suggérer vers quel monde je souhaiterais qu’on aille ou vers quel monde je pourrais éventuelle-ment croire que nous irons, qu’on le veuille ou non... Je pourrais peut-être te proposer une hypothèse. Je n’aime pas plus que toi les métaphores militaires pour décrire l’effet que l’épidémie du Coronavirus a eu sur nos vies. Et pourtant, je suis conscient qu’il existe des analogies étranges entre l’expérience de la guerre et notre présent. Tout comme il y a 75 ans, nous allons au devant d’une une phase de reconstruction : le monde a complètement changé. La page que nous tournons aujourd’hui est totalement différente de celle de l’Eu-rope de 1945 ; et pourtant nous voilà de nouveau à l’aube d’une phase de reconstruction. Mais ce sont justement les perspectives de cette reconstruction qui sont complètement différentes. En 1945, l’Italie était en train de gérer le boum économique et l’Occi-dent entier voguait vers une avancée exponentielle du système capitaliste. Si nous voulons relever le défi de demain avec maturité, notre modèle de reconstruc-tion n’échappera pas à une difficile réflexion vis-à-vis de concepts aussi dérangeants que cruciaux comme la « durabilité » et la décroissance.

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35 DIALOGO

Pascal – comment penses-tu que le gouverne-ment italien actuel va réagir face au désarrois des artistes ?

Claudio – Je ne sais pas. En ce moment j’ai l’im-pression que c’est le chaos qui domine. Le Covid-19 a complètement rebattu les cartes, et l’incertitude quant à l’évolution de la pandémie génère énormé-ment de confusion. Un épais brouillard semble en-tourer l’avenir de notre système théâtral. Si l’on y ré-fléchit, la propagation du Coronavirus et la crise qui s’en est suivie ont simplement mis en évidence tous les problèmes dont notre système souffrait déjà : la protection limitée dont bénéficient les artistes, la perte de sens de l’expérience théâtrale, le développe-ment hypertrophique du système productif… J’espère vraiment que la crise née de cette pandémie nous donnera la force et le courage d’imaginer un système meilleur.

Pascal – es-tu heureux ?

Claudio – D’être là, à parler avec toi en ce mo-ment, oui très heureux. De pouvoir apporter ma très modeste contribution à la construction du théâtre de demain, aussi (même si les résultats devaient ne jamais se concrétiser, pour le simple plaisir de l’avoir fait). Il est cependant difficile d’ignorer la douleur que ces trois mois tout juste écoulés nous laisseront en héritage.

Paris / Bologne, 4 mai 2020

Pascal Rambert è autore, regista e coreografo. Dal 2007 al 2017, ha diretto il T2G-Théâtre de Gennevilliers che ha tra-sformato in un centro teatrale nazionale di creazione con-temporanea, luogo esclusivamente consacrato all’attività di artisti viventi. Il suo ultimo testo Architecture, scritto per e interpretato da Emmanuelle Béart, Audrey Bonnet, Anne Brochet, Marie-Sophie Ferdane, Arthur Nauzyciel, Stanislas Nordey, Denis Podalydès, Pascal Rénéric, Laurent Poitrenaux, Jacques Weber, è creato per l’edizione 2019 del Festival di Avignone. Nel 2016 riceve il Premio Teatro dell’Académie Française per il complesso della sua opera.

Pascal Rambert est auteur, metteur en scène, réalisateur et chorégraphe. De 2007 à 2017, il a dirigé le T2G-Théâtre de Gennevilliers qu’il a transformé en centre dramatique natio-nal de création contemporaine, lieu exclusivement consacré aux artistes vivants. Son dernier texte, Architecture, a été écrit pour Emmanuelle Béart, Audrey Bonnet, Anne Brochet, Marie-Sophie Ferdane, Denis Podalydès, Arthur Nauzyciel, Laurent Poitrenaux, Stanislas Nordey, Pascal Rénéric et Jacques Weber. La création a lieu en juillet 2019 dans la Cour d’honneur du Palais des Papes du Festival d’Avignon. En 2016, Pascal Rambert a reçu le Prix du Théâtre de l’Académie Française pour l’ensemble de son œuvre.

Architecture, Pascal Rambert

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PHIA MÉNARD& GIORGIO BARBERIO

CORSETTI

Nell’ambito di una serie di incontri online organizzati dal Teatro di Roma durante il confina-mento, il Direttore Giorgio Barberio Corsetti ha scelto di dialogare con la regista, artista performativa e giocoliera francese Phia Ménard, che sviluppa una scrittura incentrata sul

corpo, elemento sempre di primo piano nella sua riflessione.

L'impazienza del corpo

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DIALOGO

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Attore, autore e regista teatrale e di lirica in Italia e all’Estero. È stato direttore della Biennale Teatro di Venezia, consulente di Musica per Roma per danza e teatro, ha ideato e curato il Festival Vertigine, dedicato al teatro emergente italiano. Da decenni è impegnato ad esplorare attraverso i suoi spettacoli il confine tra il teatro e le altre arti: arti visive, poesia, scrittura, musica, arti circensi, video-arte, danza. Dal 2019 guida la dire-zione artistica del Teatro di Roma.

Acteur, auteur et metteur en scène pour le théâtre et l’opéra, Giorgio Barberio Corsetti est depuis 2019 directeur artis-tique du Teatro di Roma. Il a été directeur de la Biennale de Théâtre à Venise, conseiller dans les domaines de la danse et du théâtre pour la Fondation Musica per Roma, il a ima-giné et réalisé le Festival Vertigine, dédié au théâtre italien émergent. Depuis de nombreuses années il explore à tra-vers ses spectacles la frontière entre le théâtre et les autres disciplines : arts visuels, poésie, écriture, musique, arts du cirque, art vidéo, danse.

Nel 1998, Phia Ménard fonda la compagnia Non Nova con il desiderio di rinnovare l'approccio alla giocoleria. A partire dal 2008 si interessa agli immaginari della trasformazione e dell’erosione e crea diversi lavori legati agli elementi naturali che diventeranno poi Pièces du Vent e Pièces de l’Eau et de la Vapeur. I progetti pluridisciplinari della compagnia sono il risultato di un lavoro collettivo tra artisti, tecnici e intellettuali provenienti da esperienze e contesti diversi. Phia Ménard fonde la compagnie Non Nova en 1998, dans l’idée de renouveler l’approche à la jonglerie. À partir de 2008, elle s’intéresse aux imaginaires de la transformation et de l’érosion et crée ainsi plusieurs pièces liées aux éléments naturels, qui constitueront ensuite ses « Pièces du Vent » et « Pièces de l’Eau et de la Vapeur ». Les projets multidisci-plinaires de la compagnie sont le fruit d’un travail collectif entre artistes, techniciens, penseurs issus de contextes et d’expériences diverses.

DIALOGO

Giorgio Barberio Corsetti – Riesci a lavorare ai tuoi progetti, in questo periodo?

Phia Ménard – Credo sia molto difficile… I progetti ci sono, ma credo che ogni artista si stia ponendo una serie di domande. La prima fra tutte è quando e come potremo riappropriarci dello spazio. Riappropriarci del-lo spazio comune che per me è legato al teatro. Siamo privati dello spazio di questo dialogo. Mi pongo questa domanda: i temi di ieri, quelli che si prestavano alla mia riflessione, quelli che volevo trattare, saranno ancora attuali, domani? Il confinamento non aiuta la creativi-tà. Essere confinati, non vuol dire che noi artisti siamo automaticamente capaci di creare, di inventare forme… Lavoriamo nel mondo del teatro, in una relazione diret-ta con l'altro, instaurando un dialogo diretto, qualcosa che passa attraverso la pelle, attraverso il respiro e tutti questi elementi. In realtà, la prima cosa che ci è stata tolta è proprio questa: la vicinanza. La possibilità di essere vicini e di ritrovarci gli uni con gli altri al riparo, nelle mura del teatro. Faccio molta meditazione e leg-go molti testi filosofici. Credo che in questo periodo ci sia un ritorno alla parola filosofica che secondo me era sparita dalla carta stampata e affini e che ora ritorna in diverse declinazioni. Ho da poco letto uno studio di Pierre Zaoui. È un libro che tratta il tema delle catastro-fi. Ho letto anche Bruno Latour e Paul B. Preciado. Sto provando a capire o meglio, ad ascoltare. Credo che siamo ritornati al punto in cui dobbiamo prendere il tempo di ascoltare.

GBC – Ho di recente chiacchierato con Tiago Rodrigues che mi ha detto la stessa cosa, anche lui ha nominato Bruno Latour. Ho parlato con Thomas Ostermeier che mi ha detto d'aver chiesto a dei filosofi di scrivere dei piccoli testi che saranno letti in strea-ming. In questo momento di stasi, c'è una grande ne-cessità di pensare a delle cose diverse che rimandano alla filosofia.

PM – Credo sia essenziale. Per esempio, Paul B. Preciado, secondo me, pone una domanda molto inte-ressante: parla della biopolitica, termine molto caro a Foucault, e affronta il tema di come la politica gestisce il corpo e come si accede… e di come la società modelli il corpo. Oggi i nostri corpi sono rinchiusi in alcuni spazi che sono le nostre case. Possiamo continuare a lavorare e ci rendiamo conto che il mondo non è finito. Abbiamo continuato a vivere, con l'unica differenza che molte cose sono diventate evidenti... Delle professioni che ci sembravano molto importanti sono diventate pres-soché inutili. E poi, da un'altra parte ci sono tutti quelli che lottano, in diversi modi, tutti quelli che lavorano nel mondo della sanità, ma anche quelli che ci garantiscono l'accesso alle cose di prima necessità e che ci permetto-no di vivere in uno spazio che funzioni. Questi elementi sono per me fondamentali, ed essi pongono a noi artisti il quesito circa il nostro teatro. A chi offrirlo oggi? Come fare teatro visto che non abbiamo più accesso al teatro?

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Dobbiamo forse tornare per strada? Siamo forse noi a dover andare nel territorio, verso la gente?

GBC – Quando metto in scena, parlo molto del mio corpo. Anche per te, nel tuo lavoro, la performance fi-sica è molto importante. Immagino che avere il corpo prigioniero debba essere una cosa piuttosto strana.

PM – Sì, è molto strano nella misura in cui la spo-liazione diventa una nozione fondamentale. D'un tratto, non ho più avuto la possibilità di esprimermi attraverso il mio corpo. Sono partita da questo concetto chiave, la mia carne, e dalla relazione che il mio immaginario ha con questa performance, con delle questioni che sono espresse continuamente e che sono sostanzialmente le nostre trasformazioni, dominazioni, sottomissioni. La sottomissione alla reclusione e a come si torni a considerare la nozione di tempo. La prima domanda che ci si pone è: per quanto tempo dovremo subire? Tempo fa leggevo Bernard Stiegler, che è stato impri-gionato. Raccontava che il modo per resistere è ripren-dere possesso del tempo durante la giornata. Bisogna quindi reimparare. L'unico modo, per me, di sopportare quest'impazienza del corpo è la meditazione. Devo im-mobilizzare il mio corpo, devo farlo riposare e dirgli di aspettare. La mia libertà di movimento deve passare attraverso l'immaginazione e l'immobilità. L'atto della

meditazione è come se stessi facendo un viaggio all'in-terno del mio corpo e lo preparassi dall'interno ad altre performance.

GBC – La meditazione è strettamente legata alla respirazione. È un passaggio continuo dall'esterno ver-so l'interno. La respirazione passa anche attraverso la parola…

PM – Ma anche la questione del tatto. Il teatro sarà il luogo in cui ci potremo riappropriare del tatto? Il teatro farà scomparire la paura? La paura del cor-po? Forse, questa sarà una cosa molto emozionante. Il momento in cui potremo stringere un altro corpo forse succederà per la prima volta in teatro. Forse succederà sul palcoscenico del teatro. Forse lo sguar-do dello spettatore verrà attratto facendogli provare un'emozione indescrivibile perché ha conosciuto la pri-vazione. Credo che il problema più evidente in quello che stiamo vivendo è che noi, artisti dello spettacolo vivente attori, ballerini, performer, siamo continuamen-te in una relazione di desiderio. Il desiderio di portare in scena qualcosa di incontrare persone, di discutere, di scambiare. Quello che oggi è evidente è che dobbiamo capire che se vogliamo continuare bisognerà superare certe paure e certi divieti.

Saison Sèche, Cie Non Nova / Phia Ménard

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GBC – Una cosa è certa: Roma ti aspetta.

PM – Io aspetto Roma con impazienza. Ancor di più oggi, ogni incontro assumerà un valore diverso. È proprio in questo modo che le storie fra gli uomini e le donne, al di là dei luoghi, acquistano maggiore impor-tanza. È nostro dovere, in quanto artisti, anche se per il momento non possiamo colmare la distanza, di trovare il modo di proporre un momento in cui possiamo pen-sare alle nostre lotte. Le pièce Saison Sèche o Maison Mère raccontano la lotta. Delle lotte umane condotte quotidianamente e che vorremmo fossero comuni ma che purtroppo faticano a trovare il loro posto. Quando ho scritto Saison Sèche ho chiesto a sette donne di di-struggere la casa del patriarca, non con la violenza del-le martellate ma con la danza. Attraverso un rituale e la bellezza del rituale stesso. Perché in questo caso, e cre-do che sarà un tema ricorrente, avremo dei nuovi rituali. Oggi ci laviamo le mani seguendo un nuovo rituale. Non ne avevamo mai preso coscienza. Maison Mère, in cui incarno il corpo di una dea punk, oggi assume tutto un altro senso. È pazzesco per me pensare a questa pièce in cui costruisco questa casa per il mondo, per il popo-lo, questo Partenone in cartone che è molto difficile da costruire, come l'umanità del resto, ma che è facilmen-te distrutto perché arriva la pioggia.

GBC – Bisogno ricominciare. Dall'altro lato, se mi metto nei panni dello spettatore mi dico che, anche se mi ritrovo in una strana bolla, l'impatto sarà talmente forte che quando potrò rivedere un essere vivente che fa qualcosa sul palcoscenico mi sembrerà di assistere a un piccolo miracolo. Anche stando dietro a una ma-scherina. È come ritrovarsi in un luogo del futuro dove è sparito tutto ma in cui il teatro è ancora lì.

PM – Nel momento in cui potremo ritornare sul palcoscenico anche se ci sarà solo uno spettatore assaporeremo questo momento e potremo dire che il teatro non è morto. Il teatro riparte. Il teatro è sempre stato una forma di resistenza. Il teatro, sin dagli albori, rappresenta la volontà di affrancarsi da una situazione che scaturisce dal nostro essere mortali. Noi stiamo resistendo, quando parliamo, quando siamo nell'atto, quando diamo. Oggi più che mai, bisogna pensare che quando il teatro rinascerà lo farà con questa resistenza e ci diremo che sarebbe potuto scomparire, ma che, invece, rinascerà. Penso che il primo atto che dobbia-mo compiere è quello di danzare. Perché è la riappro-priazione del corpo. È la riappropriazione del desiderio. Danzare, lasciare che il corpo si sfoghi, urlare, cantare, anche a costo di doverlo fare con delle mascherine ma danzare.

GBC – Fra tutte, la cosa più importante sarà la par-tecipazione del pubblico, sotto qualsiasi forma.

PM – Quando dicevo che il teatro sarà il luogo della fiducia è chiaro che questa fiducia dovrà esserci a vari livelli. Noi dovremo ascoltare molto perché il pubblico che dobbiamo coinvolgere deve essere totalmente rie-ducato. Sono certa che saremo noi a spostarci, a dover andare verso il pubblico. Dovremo ridurre gli spazi tra pubblico che diventerà attivo… Forse, la questione es-senziale è proprio questa: il nostro, diventerà un lavoro di rieducazione popolare. Pertanto, bisogna considera-re il teatro come un lavoro sociale. Bisognerà rivalutare fortemente questo luogo.

Roma / Belgrado, 9 maggio 2020

“Il teatro è sempre stato una forma di resistenza. Noi stiamo resistendo, quando parliamo, quando siamo nell'atto, quando diamo.”

Phia Ménard

Saison Sèche, Cie Non Nova / Phia Ménard

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FR

Giorgio Barberio Corsetti – Arrives-tu à travailler à tes différents projets en ce moment ?

Phia Ménard – C’est très difficile… Les projets sont bien là mais, comme tout artiste probablement, je me pose actuellement un certain nombre de ques-tions. La première est de savoir dans combien de temps et comment nous allons pouvoir nous réap-proprier l’espace. Se réapproprier l’espace commun, cet espace de dialogue qui selon moi est étroite-ment lié au théâtre et dont nous sommes actuelle-ment privés. Je me pose aussi cette autre question très importante à mes yeux : est-ce que les sujets d’hier, ceux qui alimentaient ma réflexion, ceux que je voulais traiter, seront encore d’actualité demain ?Le confinement ne nous rend pas géniaux, nous ar-tistes, il ne signifie pas que nous soyons à même de créer, d’inventer des formes. Nous travaillons dans le théâtre, dans la relation la plus directe à l’autre, ins-taurant un dialogue direct, quelque chose qui passe

à travers la chair, à travers le souffle. Or, finalement, c’est la première chose qui nous a été retirée : la proximité. La possibilité d’être proches et de se re-trouver les uns avec les autres, à l’abri, entre les murs d’un théâtre.Actuellement, je lis beaucoup de philo-sophie. Je crois qu’en ce moment il y a un retour de la parole philosophique qui, selon moi, avait disparue, en tous cas des médias écrits, et qui revient main-tenant sous différentes formes. Il y a peu de temps j’ai lu le travail de Pierre Zaoui qui aborde la question des catastrophes. J’ai aussi lu Bruno Latour et Paul B. Preciado. J’essaye de comprendre, ou plutôt d’écou-ter. Je crois que nous sommes à un moment où nous devons prendre le temps d’écouter.

GBC – J’ai récemment échangé avec Tiago Rodrigues qui m’a dit la même chose, lui aussi a cité Bruno Latour. J’ai aussi parlé avec Thomas Ostermeier qui m’a raconté avoir demandé à des philosophes d’écrire de petits textes qui seront lus en

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streaming. En cette période d’attente il y a un grand besoin de penser de façon différente et donc un re-tour de la philosophie.

PM – Je crois que c’est essentiel. Par exemple, Paul B. Preciado pose une question très intéressante selon moi : il parle notamment de la biopolitique, terme cher à Foucault qui interroge comment la politique gère nos corps et comment la société modèle les corps. Aujourd’hui, nos corps sont enfermés dans des es-paces qui sont nos maisons. Nous pouvons continuer à travailler et nous pouvons nous apercevoir que le monde ne s’est pas écroulé. Nous avons continué à vivre, à la différence près que beaucoup de choses nous sont apparues comme évidentes… Des profes-sions auxquelles on attribuait beaucoup d’importance sont devenues presque inutiles. Et, d’un autre côté il y a tous ceux qui luttent, de différentes façons, tous ceux qui travaillent dans le secteur de la santé, mais aussi ceux qui garantissent un accès aux choses in-

dispensables du quotidien, ceux qui nous permettent de vivre dans un espace qui fonctionne. Pour moi, ces éléments sont essentiels, et ils nous posent, en tant qu’artistes, la question de notre théâtre. À qui le don-ner aujourd’hui ? Comment faire du théâtre puisque nous n’avons plus accès au théâtre ? Devons-nous retourner dans la rue ? Peut-être que c’est nous qui devons aller sur le terrain, vers les populations.

GBC – Quand je mets en scène, je pars de mon propre corps. J’imagine que pour toi aussi, dans ton travail, la performance physique est très importante. J’imagine que sentir son corps prisonnier doit être quelque chose d’assez étrange.

PM – Oui, c’est très étrange, dans le sens où la dépossession devient une notion très forte. Tout d’un coup, j’ai été privée de la possibilité de m’exprimer à travers mon corps. La réflexion que je mène en ce moment part de cette base-là, avec ma chair comme

DIALOGO

Saison Sèche, Cie Non Nova / Phia Ménard

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sujet premier, et de la relation que mon imaginaire entretient avec cette performance. Cela m’amène à des questions que je me pose continuellement et qui sont celles de nos transformations, nos dominations et nos soumissions. La soumission à l’enfermement et la question de comment renouer avec la notion de temps. Combien de temps allons-nous devoir subir ? Il y a quelques temps je lisais Bernard Stiegler, qui a été emprisonné. Il racontait que le moyen de résister c’est de reprendre possession du temps pendant la journée. Il faut donc réapprendre. Le seul moyen de faire tenir cette impatience du corps, se trouve pour moi dans la méditation. Je dois alors immobiliser mon corps, le poser, lui demander d’attendre. Ma liberté de me mouvoir doit passer à travers l’imagination et l’im-mobilité. Pendant l’acte de la méditation, c’est comme si je faisais un voyage à l’intérieur de mon corps et que je le préparais de l’intérieur à d’autres performances.

GBC – La méditation est étroitement liée à la respiration, c’est un passage continu de l’extérieur vers l’intérieur. La respiration qui passe aussi à tra-vers la parole…

PM – Mais c’est aussi la question du toucher. Le théâtre sera-t-il l’endroit de la confiance, où l’on pour-ra réapprivoiser le toucher ? Le théâtre fera-t-il dis-paraître la peur, cette peur du corps ? Le moment où l’on pourra étreindre à nouveau un autre corps arrivera peut-être pour la première fois au théâtre, peut-être que cela arrivera sur le plateau d’un théâtre. Peut-être que le regard du spectateur va tout à coup se concentrer avec une émotion incroyable parce qu’il aura connu la privation. Je crois que c’est l’une des questions évidentes qui se posent face à ce que nous sommes en train de vivre, nous artistes du spectacle vivant, acteurs, danseurs, performeurs, car nous sommes sans arrêt dans une relation de désir. Le désir de porter sur scène quelque chose, d’aller à la rencontre des gens, de discuter, d’échanger. Ce qui est sûr c’est que nous devons accepter l’idée que, si nous voulons continuer, il va falloir dépasser certaines peurs et certains interdits.

GBC – Une chose est sûre : Rome t’attend…

PM – Et moi j’attends Rome avec impatience ! Désormais, chaque rencontre va avoir d’autant plus de valeur, et une valeur différente. C’est aussi de cette façon que les histoires entre les hommes et les femmes, au-delà des lieux, acquièrent une im-portance majeure. C’est de notre devoir, en tant qu’artistes, même si pour le moment nous ne pou-vons pas combler la distance, de trouver le moyen et le temps pour penser à nos combats. Les pièces Saison Sèche ou Maison Mère racontent le combat. Des combats très humains, menés quotidiennement, que nous aimerions communs mais qui malheureu-sement peinent à trouver leur place. Lorsque j’écris

Saison Sèche, je demande à sept femmes de détruire la maison du patriarche, non pas par une violence à grands coups de marteau, mais à travers la danse. À travers un rituel et par la beauté de celui-ci. Parce que dans ce cas, et c’est peut-être un sujet qui reste-ra, nous aurons de nouveaux rituels. Aujourd’hui nous nous lavons les mains selon un nouveau rituel. Nous n’en avions jamais pris conscience. Maison Mère, dans laquelle j’incarne le corps d’une déesse punk, prend aujourd’hui tout son sens. C’est assez fou pour moi de penser à cette pièce dans laquelle je construis cette maison pour le monde, pour le peuple, ce Parthénon en carton qui est si difficile à construire, à l’image de l’humanité, et pourtant si facile à détruire, seulement sous l’effet d’une pluie.

GBC – Les gens ont besoin de recommencer à faire et à voir du théâtre. D’un autre côté, si je me mets à la place du public, je me dis que, même si je me retrouve dans cette bulle étrange, l’impact sera tel-lement fort que lorsque que je pourrai revoir un être vivant faire quelque chose sur scène j’aurais l’impres-sion d’assister à un petit miracle. Même si pour cela il faudra rester derrière un masque. C’est comme se re-trouver dans un endroit du futur où tout aurait disparu mais où le théâtre serait encore là.

PM – Au moment où nous allons pouvoir remon-ter sur scène, même s’il n’y a alors qu’un spectateur, nous savourerons ce moment car nous pourrons dire « le théâtre n’est pas mort, le théâtre recommence ». Le théâtre a toujours été une forme de résistance. Le théâtre, depuis le début, représente une volonté de s’extraire de notre condition de mortels. Nous fai-sons acte de résistance, lorsque nous parlons, lorsque nous sommes dans le geste, lorsque nous donnons. Aujourd’hui plus que jamais, il nous faut penser que quand le théâtre renaîtra, il le fera avec cette résis-tance qui consiste à dire qu’il aurait pu disparaître, mais que, finalement, il va bel et bien renaître. Je pense que le premier acte que nous devrons faire est celui de danser, parce qu’il faudra se réapproprier nos corps, se réapproprier notre désir. Danser, défou-ler notre corps, hurler, chanter, même s’il faut le faire avec des masques, mais danser.

GBC – Je crois que l’une des choses qui va être très importante, ce sera la participation du public, à tous les niveaux.

PM – Plus tôt je me demandais si le théâtre se-rait l’endroit de la confiance, et il est clair que la ques-tion de la confiance va se poser à différents niveaux. Nous devrons être très à l’écoute car il va nous falloir considérer un public, et ce public-là il va falloir que nous le redécouvrions complètement. Je suis d’ail-leurs convaincue que c’est nous qui allons devoir nous déplacer, aller vers le public. Nous allons devoir briser les distances entre amateurs et professionnels, les

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Saison Sèche, Cie Non Nova / Phia Ménard

espaces qui nous séparent d’un public qui devra être actif… Je te rejoins sur la question de la participation en lien avec une autre question essentielle pour moi : nous allons peut-être devoir repositionner notre tra-vail comme un travail d’éducation populaire et il faut donc reconsidérer le travail au théâtre comme un tra-vail social. Il va falloir repenser fortement ce lieu.

Rome / Belgrade, 9 mai 2020

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Il legame con la Francia è senza dubbio alla base della mia crescita professionale e artistica. Tutto è co-minciato nel 1999 mentre lavoravo al teatro Garibaldi alla Kalza di Palermo che aveva prodotto lo spettacolo diretto da Carlo Cecchi: La trilogia shespiriana. Grazie alla tournée organizzata dall’ONDA (Office National de Diffusion Artistique) ho avuto modo di conosce-re teatri come Le Maillon di Strasburgo, le Théâtre Garonne di Tolosa, La Rose des Vents di Villeneuve d'Ascq, il CDDB di Lorient, ma anche Parigi e il suo Festival d’Automne. Da quel momento ho cominciato a guardare alla Francia come un paese dove dovevo tornare e così è stato.

Dopo un anno e mezzo grazie à l’Union des Théâtres de l'Europe sono tornato a Parigi per uno stage al Théâtre de l’Odéon, ho lavorato come assi-stente per uno spettacolo di Georges Lavaudant, ho seguito le prove di Anatoli Vassiliev a La Comédie-Française, ho cercato di vedere tutti gli spettacoli e i teatri possibili.

Sono tornato in Francia nel 2003 come ammini-stratore di compagnia per uno spettacolo program-mato al Festival di Avignone, era l’anno dello scio-pero degli intermittents du spectacle. Impaziente di poter presentare il nostro spettacolo in uno dei fe-stival più importanti al mondo, mi sono ritrovato tra un'assemblea e l’altra, da un voto all’altro e con un festival annullato, ma non sapevo che stavo vivendo una delle esperienze più importanti della mia vita di giovane teatrante.

In questi mesi con i teatri di ogni dove chiusi e con una forte mobilitazione dei lavoratori dello spettacolo dal vivo a seguito dell’emergenza sanitaria, mi sono tornati in mente quei momenti, ricordo il coro sospi-rato di centinaia di lavoratori sdraiati sui marciapiedi che sussurrava « GRÈVE, GRÈVE, GRÈVE ».

VIVERE LE LIMITAZIONI COME UN'OPPORTUNITÀ

NINO MARINO

Dal 2018 Nino Marino è direttore del Teatro Stabile dell’Um-bria. Ha invitato in Umbria molti artisti francesi, presentando in particolare le regie di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne oltre che spettacoli o mises en espace di Patrice Chéreau, Michel Piccoli, Jean-Louis Trintignant, Fanny Ardant, Jane Birkin o Isabelle Huppert.

Depuis 2018, Nino Marino dirige le Teatro Stabile de la Région Ombrie. Il a invité en Ombrie de nombreux artistes français, proposant notamment les mises en scènes de Peter Brook et Marie-Hélène Estienne, sans compter les spectacles ou « mises en espace » de Patrice Chéreau, Michel Piccoli, Jean-Louis Trintignant, Fanny Ardant, Jane Birkin ou Isabelle Huppert.

“Il ritorno a teatro, per me che confido da sempre nel potere e nel valore della cultura, sarà

una nuova sfida che vinceremo insieme a creativi, visionari e

artisti che da sempre sono alla base di ogni rinascita.”

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45 TESTIMONIANZA

Durante il confinamento ho avuto il modo e il tem-po di parlare con diversi attori, registi, amici, in Italia e all’estero, ho approfittato anche io di un tempo dilata-to per immaginare un ritorno a teatro, e anche questa volta la Francia mi è stata amica. Ogni giorno non mi sono perso l’appuntamento con il Journal de confi-nement di Wajdi Mouawad, realizzato per il Théâtre National de la Colline. Un diario ispirato, intimo e allo stesso tempo universale che irradia teatro a ogni pa-rola. In questi giorni ho sentito Wajdi come un amico intimo. Così ho sentito forte il desiderio di condividere una pagina del suo diario anche in Italia sui canali so-cial del teatro che dirigo e questo scambio si è poi ar-ricchito con un altro progetto capace di ricreare una relazione profonda, immediata: Te lo dico all’orecchio, la versione italiana di Au creux de l'oreille. Un modo per mantenere vivo il legame intimo tra attore e spet-tatore, aspettando di tornare ad abitare i nostri teatri.

Il ritorno a teatro, per me che confido da sempre nel potere e nel valore della cultura, sarà una nuova sfida che vinceremo insieme a creativi, visionari e ar-tisti che da sempre sono alla base di ogni rinascita. Le limitazioni di accesso al pubblico e il contingenta-mento anche tra gli artisti in scena voglio viverli come un’opportunità e non come un limite. Se negli anni precedenti al Covid-19 ci siamo abituati a parlare di teatro in termini numerici (Quanto pubblico? Quante repliche? Quante piazze?), credo che, almeno per qualche anno, si possa e si debba ripartire parlandone in termini culturali.

Perugia, 29 maggio 2020

FR

Le lien avec la France est sans aucun doute à la base de mon cheminement professionnel et artis-tique. Tout a commencé en 1999 alors que je travail-lais pour le théâtre Garibaldi dans le quartier de la Kalza, à Palerme. Ils avaient produit le spectacle mis en scène par Carlo Cecchi : La trilogia shespiriana. Grâce à la tournée organisée ensuite par l’ONDA (Office National de Diffusion Artistique), j’ai eu l’occa-sion de découvrir des théâtres tels que Le Maillon à Strasbourg, le Théâtre Garonne à Toulouse, La Rose des Vents à Villeneuve-d'Ascq, le CDDB à Lorient, mais également Paris et son Festival d’Automne. C’est à partir de là que j’ai commencé à considérer la France comme un pays où je devais absolument retourner, et c’est ce que j’ai fait.

Un an et demi plus tard j’étais à Paris grâce à l’Union des Théâtres de l’Europe, pour un stage au théâtre de l’Odéon. J’ai travaillé comme assistant sur un spectacle de Georges Lavaudant, j’ai suivi les ré-pétitions d’Anatoli Vassiliev à La Comédie-Française, je me suis efforcé de voir autant de spectacles et de théâtres que possible.

Je suis retourné en France en 2003, en tant qu’administrateur de compagnie pour un spectacle programmé au Festival d’Avignon. C’était l’année de la grève des intermittents du spectacle. Alors que j’étais impatient de pouvoir présenter notre spec-tacle dans un des festivals les plus importants au monde, je me suis retrouvé à passer d’une assemblée à l’autre, d’une délibération à l’autre au sein d’un fes-tival annulé, sans savoir que j’étais en train de vivre l’une des expériences les plus importantes de ma vie de jeune « théâtreux ».

Au cours de ces quelques mois où, suite à la crise sanitaire, les théâtres ont fermé à travers tout le pays, et où les professionnels du spectacle vivant se sont fortement mobilisés, j’ai repensé à cette période. Je me remémore notamment le chœur soupirant de centaines d’intermittents allongés sur le trottoir et qui murmuraient « GRÈVE, GRÈVE, GRÈVE ».

Pendant le confinement, j’ai eu l’occasion et le temps d’échanger avec un certain nombre d’acteurs, metteurs en scène, amis, qu’ils soient en Italie ou à l’étranger. J’ai profité moi aussi de cette dilatation du temps pour imaginer le retour au théâtre et cette fois encore j’ai trouvé en la France une amie. Chaque jour sans exception, je n’ai manqué le rendez-vous du Journal de confinement de Wajdi Mouawad, réalisé pour le Théâtre National de la Colline. Un journal ins-piré, intime et en même temps universel, qui irradie le théâtre à chaque mot. Pendant cette période, je me suis senti intimement proche de Wajdi. J’ai eu l’envie irrépressible de partager une page de son journal en Italie, sur les réseaux sociaux, via les médias dédiés au théâtre que je dirige. Cet échange s’est ensuite enrichi d’un autre projet, capable de recréer une relation pro-fonde, immédiate : Te lo dico all’orecchio, la version italienne de Au creux de l’oreille. Une façon d’entrete-nir le lien intime entre acteur et spectateur, en atten-dant de pouvoir habiter à nouveau nos théâtres.

Le retour au théâtre, pour moi qui croit depuis toujours au pouvoir et à la valeur de la culture, consti-tuera un nouveau défi que nous relèverons avec les créateurs, les visionnaires et les artistes, qui depuis toujours sont à la base de toute renaissance. Les restrictions d’accès pour le public et le nombre limité d’artistes sur scène sont des aspects que je souhaite vivre comme une opportunité plutôt que comme une limite. Si au cours des années qui ont précédé le Covid-19 nous nous sommes habitués à parler du théâtre en termes de chiffres (Combien de specta-teurs ? Combien de représentations ? Combien de places ?), je crois que, au moins pour quelques an-nées, nous pouvons et nous devons recommencer à le penser selon des critères culturels.

Pérouse, 29 mai 2020

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È un luogo comune quello che tra la Francia e l’Italia esista una lunga tradizione di scambi culturali. Certo, l’epoca del famoso Voyage en Italie in cerca di ispira-zione e competenze è finita, ma la tradizione resta viva ancora oggi. Oltre a Villa Medici, un “sogno di pietra” che attraversa i secoli, la tradizione continua grazie a numerose, seppur modeste, iniziative. Mentre dirigevo la Scuola di belle arti di Lione, mi ricordo ad esempio della semplicità cristallina con cui, coniugando pro-fessionalità e generosità, con Patrizia Sandretto Re Rebaudengo abbiamo potuto costruire un partenaria-to tra il programma curatoriale della sua fondazione e il post-diplôme della Scuola, che consente ai giovani artisti di poter esporre a Torino nelle migliori condizioni. Ancora oggi che mi occupo della direzione della Scuola di arti decorative, sono felice di poter contare numerosi insegnanti italiani, tra personale pedagogico e di ricer-ca, che condividono lo stesso inesauribile impegno, in particolare sulle questioni sociali ed ecologiche.

Attraverso queste esperienze diverse vedo deline-arsi una certa idea di cultura, che è senza dubbio un tratto comune che unisce i nostri due paesi. Quest’idea troverebbe origine nel 45 a.C. a Frascati, anticamente Tusculum, a una ventina di chilometri da Roma, dove Cicerone possedeva una villa in cui ambientò il dialo-go Tusculanes. È in questo testo, infatti, che la parola cultura è utilizzata per la prima volta col significato che le attribuiamo oggi. Derivante dal latino cultura, che de-riva esso stesso da colere, “abitare, coltivare, praticare,

LA CULTURA IN COMUNE

EMMANUEL TIBLOUX

Emmanuel Tibloux dal 2018 è Direttore della Scuola naziona-le superiore di arti decorative. Dopo aver conseguito la laurea alla Scuola normale superiore di Fontenay-Saint-Cloud e il Diploma di Studi Approfonditi in lettere moderne, ha diretto la Scuola nazionale superiore di belle arti di Lione, la Scuola Superiore di Arte e Design di Saint-Étienne, la Scuola regio-nale di belle arti di Valenza e l’Institut français di Bilbao. Ha presieduto l’ANdÉA (Associazione nazionale delle scuole su-periori d’arte) dal 2009 al 2017.

Emmanuel Tibloux est, depuis 2018, directeur de l’École nationale supérieure des arts décoratifs. Ancien élève de l’École normale supérieure de Fontenay-Saint-Cloud et titu-laire d’un DEA en lettres modernes, il a dirigé l’École natio-nale supérieure des beaux-arts de Lyon, l’École Supérieure d’Art et de Design de Saint-Étienne, l’École régionale des be-aux-arts de Valence et l’Institut français de Bilbao. Il a présidé l’ANdÉA (Association nationale des écoles supérieures d’art) de 2009 à 2017.

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“La cultura è indissolubile dall’ecologia e dalla pedagogia,

non si tratta semplicemente di un patrimonio ma di un processo e

arrivando dal passato, è anche la leva che ci permetterà di costruire

il mondo di domani.”

TESTIMONIANZA

curare, custodire”, la parola significa anzitutto coltura della terra, agricoltura, ed è in virtù di un’analogia che assumerà poi il significato metaforico di cultura dello spirito, o cultura animi. “Un campo, per quanto fertile - scrive Cicerone - non può essere produttivo senza col-tura - sine cultura - e lo stesso vale per un'anima senza insegnamento - sine doctrina”. Questo è il contesto en-tro cui si è formata la nostra idea comune di cultura: in una relazione stretta con la natura, ma anche con l’insegnamento, e su una base lessicale che implica le nozioni di abilità, manutenzione e cura.

Nello stato di emergenza ecologica e sociale che contraddistingue la nostra epoca, una base comune come questa conferisce all’Italia e alla Francia una re-sponsabilità e un ruolo essenziali: ricordare all’Europa e al mondo che sin dalle origini la cultura è indissolu-bile dall’ecologia e dalla pedagogia, che non si tratta semplicemente di un patrimonio ma di un processo e che, arrivando dal passato, è anche la leva che ci per-metterà di costruire il mondo di domani - questa “forza del passato” attraverso cui Pasolini definiva se stesso e che è anche una forza di resistenza e trasformazione in questo mondo deturpato.

Parigi, 4 giugno 2020

FR

C’est un lieu commun : il existe entre la France et l’Italie une longue tradition d’échanges culturels. Si nous en avons certes fini avec le fameux Voyage en Italie, la tradition reste vive aujourd’hui. À côté de la Villa Médicis, ce « rêve de pierre » qui traverse les siècles, d’autres initiatives la perpétuent, plus modestes mais nombreuses. Je me souviens par exemple, lorsque je dirigeais l’École des beaux-arts de Lyon, de l’évidence heureuse avec laquelle, dans un mélange de profes-sionnalisme et de générosité, nous avons pu construire, avec Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, un parte-nariat entre le programme curatorial de sa fondation et le post-diplôme de l’École, qui permet encore à de jeunes artistes d’exposer à Turin dans des conditions parfaites. De même aujourd’hui, à la tête de l’École des arts décoratifs, je me réjouis de pouvoir compter, parmi les équipes pédagogiques et de recherche, plusieurs enseignants italiens qui partagent un même indéfec-tible engagement, en particulier sur les questions so-ciale et écologique

A travers ces différents cas, je vois se dessiner une certaine idée de culture, qui est sans doute le véritable lieu commun réunissant nos deux pays. Celle-ci pour-rait trouver son origine en l’an 45 avant notre ère, à une vingtaine de kilomètres de Rome, du côté de Frascati, anciennement Tusculum, où Cicéron possédait une villa, dans laquelle il situa le dialogue des Tusculanes.

C’est en effet dans ce texte que le mot culture est pour la première fois employé dans le sens que nous lui connaissons aujourd’hui. Issu du latin cultura, qui vient lui-même de colere, « habiter, cultiver, pratiquer, soigner, entretenir », le mot signifie d’abord culture de la terre, agriculture, et c’est en vertu d’une analogie qu’il va prendre le sens métaphorique de culture de l’esprit, ou cultura animi. « Un champ, si fertile soit-il, écrit Cicéron, ne peut être productif sans culture — sine cultura —, c’est la même chose pour l’âme sans enseignement — sine doctrina. » Tel est le contexte dans lequel s’est formée notre idée commune de la culture : dans une relation étroite à la nature, mais aussi à l’enseignement, et sur une base lexicale qui implique les notions d’habi-tabilité, d’entretien et de soin.

Dans l’état d’urgence écologique et sociale qui est le nôtre, un tel socle commun confère à l’Italie et la France une responsabilité et un rôle essentiels : rap-peler à l’Europe et au monde que la culture est ori-ginairement indissociable d’une écologie et d’une pédagogie, qu’elle n’est pas seulement un patrimoine mais plutôt un processus et que, si elle nous vient du passé, elle est aussi la force avec laquelle nous pou-vons construire le monde de demain – cette « force du passé » par laquelle Pasolini se définissait et qui est aussi, dans notre monde abîmé, force de résistance et de transformation.

Paris, 4 juin 2020

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LA BELLEZZA DEL GESTO

MOHAMED EL KHATIB

Dante Alighieri, Boccaccio, Primo Levi, Pier Paolo Pasolini, Erri De Luca, Elsa Morante, Giorgio Bassani, Italo Calvino... Questa lista potrebbe occupare pagine e pagine, e farebbe di me un cattivo creditore nei con-fronti del debito immenso che l’umanità deve agli autori italiani, per cui meglio se mi fermo qui. Ed evito delibe-ratamente di citare la pittura, la musica, l’architettura, il teatro, il cinema, e anche Firenze e il Rinascimento…

L’Italia ha sempre giocato d’anticipo sulla Francia, in tutti i settori. Anche quando il Marsiglia stava adocchian-do il suo primo trofeo, Arrigo Sacchi e il Milan erano già sul tetto d’Europa e Maradona consacrava Napoli a te-atro del mondo. Conoscere il futuro per alcuni significa interrogare la sfera di cristallo, per me invece vuol dire guardare all’Italia, quello stivale sempre avanti a noi di qualche passo, nella buona e nella cattiva sorte.

L’Italia era in isolamento mentre noi continuavamo a mettere in scena i nostri spettacoli, rivivendo ancora una volta l’episodio della nuvola di Černobyl ferma sui nostri confini, pensando stranamente che ci avrebbe risparmiato. Un po’ come se Dio venisse a cancellare l’af-fronto di Materazzi. Ma alla fine siamo stati colpiti come voi. Relegare le nostre immaginazioni sotto a campane di vetro ed essere costretti a un isolamento generalizza-to è stato doloroso per noi tutti, da una parte e dall’altra delle Alpi. Sono nate spontaneamente iniziative felici un po’ ovunque, e vi abbiamo invidiato guardandovi cantare dai vostri balconi, come un grande teatro aperto che in un gesto comune e comunicativo si oppone a un isola-mento imposto dal potere.

Non ci dimenticheremo mai che la quarantena è stata di una violenza inaudita per le classi popolari. In questo contesto incerto, può sembrare quasi irrispet-toso parlare di teatro. Ma perchè fare teatro? Per chi?

“Innanzitutto, in modo molto modesto, quello che l’arte può

fare è interrogare la storia, ma anche agire per i più

fragili di noi come uno spazio privilegiato di protezione.”

Innanzitutto, in modo molto modesto, quello che l’ar-te può fare è interrogare la storia, ma anche agire per i più fragili di noi come uno spazio privilegiato di prote-zione. Penso che il teatro sia più che mai uno spazio di conforto - attraverso la bellezza del gesto -, di emanci-pazione - attraverso le proposte radicali -, e di ospitalità - permettendo soprattutto alle classi popolari di esistere nella sfera culturale.

L’artista Christian Boltanski recentemente ha di-chiarato che ognuno di noi, a partire dai sessant’anni, è di per se stesso un museo, e che dovrebbe quindi creare migliaia di micro musei. Durante questa crisi, perdendo i nostri anziani, abbiamo perso una parte del nostro patri-monio umano più prezioso. D’ora in avanti, impegniamo-ci insieme a rimanere sui nostri balconi aperti sul mondo a prenderci cura dei nostri musei viventi.

Parigi, 13 giugno 2020

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49 TESTIMONIANZA

FR

Dante Alighieri. Boccace. Primo Levi. Pier Paolo Pasolini. Erri de Luca. Elsa Morante. Giorgio Bassani. Italo Calvino... Il me faut interrompre cette liste qui pourrait courir de longues pages encore et qui ferait de moi un mauvais créancier de la dette immense que l’humanité doit aux auteurs italiens. Et je n’évoque ici ni la peinture, ni la musique, ni l’architecture, ni le théâtre ou le cinéma, ni la Renaissance et Florence…

L’Italie a toujours eu un temps d’avance sur la France. Dans tous les domaines. Même quand l’Olympique de Marseille lorgnait son premier trophée, Arrigo Sacchi et l’AC Milan étaient déjà sur le toit de l’Europe et Maradona faisait de Naples un théâtre mondial. Certains, quand ils veulent connaître l’avenir, se tournent vers les boules de cristal ; moi je regarde l’Italie, une botte qui nous devance toujours de quelques pas, pour le meilleur et pour le pire.

L’Italie était confinée alors que nous continuions à jouer nos spectacles, nous revivions l’épisode du nuage de Tchernobyl qui s’était arrêté à nos frontières, pensant étonnamment que nous serions épargnés. Un peu comme si Dieu venait laver l’affront de Materazzi. Et finalement non, nous avons été atteints comme vous. La mise sous cloche de nos imaginaires, le confi-nement généralisé ont été douloureux pour nous tous, de part et d'autre des Alpes. Ça et là ont pu fleurir des initiatives heureuses et qu’on vous a jalousées en vous voyant chanter à vos balcons, comme le geste commun et communicatif d'un grand théâtre ouvert contre un confinement imposé par le pouvoir.

Nous n’oublierons jamais que la quarantaine a été d’une violence inouïe pour les classes populaires. Dans ce contexte incertain, il peut parfois paraître dérisoire de parler de théâtre. Pourquoi faire du théâtre ? Pour qui faire du théâtre ?

Ce que peut l’art, de façon très modeste, c’est d’abord interroger son histoire, mais également agir comme une « surface de réparation » pour les plus fra-giles d’entre nous. Je crois que le théâtre plus que jamais est un espace de réconfort – par la beauté du geste –, d’émancipation – par la radicalité du propos –, et d’hos-pitalité – en permettant notamment aux classes popu-laires d’exister dans la sphère culturelle.

L’artiste Christian Boltanski disait récemment que chacun, à partir de soixante ans, est un musée en soi, et qu’il faudrait ainsi créer des milliers de micro-mu-sées. Lors de cette crise, nous avons perdu une partie de notre patrimoine humain le plus précieux avec nos anciens. Gageons désormais ensemble de rester à nos balcons ouverts sur le monde et de prendre soin de nos musées vivants.

Paris, 13 juin 2020

Attore e regista di cinema e di teatro, Mohamed El Khatib rea-lizza singolari progetti di docu-fiction nell’ambito della perfor-mance, della letteratura e del cinema. Attraverso eroiche im-prese intime, invita uno alla volta un agricoltore, una signora delle pulizie e dei marinai a firmare insieme a lui una scrittura del tempo presente e della classe operaia. È stato premiato con il Grand Prix de Littérature dramatique 2016 per la pièce Finir en beauté, in cui racconta la morte di sua madre. Il suo testo C’est la vie, premiato dall’Académie française, chiude questo ciclo sul tema del lutto. È artista associato al Théâtre de la Ville di Parigi, al Théâtre National di Bretagna e a Malraux - Scène nationale de Chambéry.

Auteur, metteur en scène et réalisateur, Mohamed El Khatib développe des projets de fictions documentaires singuliers dans le champ de la performance, de la littérature ou du ciné-ma. À travers des épopées intimes, il invite tour à tour un agri-culteur, une femme de ménage, des marins, à co-signer avec lui une écriture du temps présent et de la classe ouvrière. Il a obtenu le Grand Prix de Littérature dramatique 2016 avec la pièce Finir en beauté où il évoque la fin de vie de sa mère. Son texte C’est la vie, primé par l'Académie française, vient clore ce cycle sur la question du deuil. Il est artiste associé au Théâtre de la Ville à Paris, au Théâtre National de Bretagne et à Malraux - Scène nationale de Chambéry.

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51 GIORNO N° 40/40: “BOUQUET FINALE”“Questo è l’ultimo giorno della Quarantena sartoriale.Il “bouquet finale”, o cerimonia di topping out, è una tradizione che consiste nel segnalare il completamen-to di un edificio attraverso la posa di un ramo o di un albero decorato di fiori e di nastri sopra la struttura, durante un rito cerimoniale. Quando un albero veniva abbattuto per costruire un edificio si conservava uno dei suoi rami per decorare la casa, in segno di rispetto per lo spirito dell’albero sacrificato e per assicurarsi la sua protezione.” JV

Adrienne Drake & Caroline Achaintre

Emanuele Masi

Rachid Ouramdane & Emanuele Masi

Luca Ricci

FiorituraEstate

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Caroline Achaintre, Cruizer, 2019, hand tufted wool, 256 x 220 cm

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ADRIENNE DRAKE& CAROLINE ACHAINTRE

Considerato come uno dei luoghi di riferimento per l'arte contemporanea a Roma, la Fondazione Giuliani si è contraddistinta per la missione di far scoprire al visitatore gli

artisti emergenti della scena italiana e internazionale, o le cui opere sono presentate in Italia per la prima volta. In occasione della riapertura dei suoi spazi, la Fondazione

presenta una mostra monografica dedicata all'artista francese Caroline Achaintre, la cui creazione poliedrica riunisce le tecniche e i materiali più vari, dal tessile alla ceramica.

La bellezza per affrontare la realtà

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Adrienne Drake – Uno degli aspetti più suggestivi del tuo lavoro è la duplice tensione tra artigianato e arti figurative, tra astrazione e raffigurazione, con ri-ferimenti all’espressionismo e al primitivismo tedesco, al death metal e al carnevale. Puoi parlarci di questa dicotomia e di come mondi diversi possono talvolta sovrapporsi?

Caroline Achaintre – Trovo che esista un collega-mento tra tutte le coppie che hai citato. In generale, sono interessata alla tensione tra poli o condizioni opposte, alla densità di ciò che sta in mezzo, alla tran-sitorietà. Con l'astrazione e la raffigurazione cerco il momento esatto in cui, dal materiale inanimato, qual-cosa comincia a prendere forma, o a scomparire. Il mio interesse per l'espressionismo tedesco e il suo modo di guardare alle altre culture al di fuori della so-cietà europea mi ha portato ad appassionarmi al pri-mitivismo di allora. Essendo sempre stata interessata alla coesistenza di più esseri all'interno di una stessa persona, mi sono ispirata all'iconografia death-metal, all’apparenza di una doppia esistenza possibile grazie alla pittura del volto e ai costumi che cambiano forma. Una sorta di carnevale oscuro. Cerco sempre di fare in modo che il mio lavoro sia energico, quasi anima-to, quindi la soglia tra l’incompiutezza della forma e il cambiamento è praticamente il luogo perfetto.

AD – Tra i tratti espressivi distintivi del tuo lavoro ci sono arazzi da parete realizzati a mano, cerami-che e acquerelli. I tuoi pezzi sfilacciati e gli acquerelli tendenzialmente presentano colori accesi, mentre le ceramiche sono più tenui e smorzate. Potresti descri-vere il tuo approccio al colore?

CA – Mentre dipingo mi diletto con l'uso del co-lore; quando lavoro con l’inchiostro liquido o con le penne per "disegnare" i ciuffi, il colore accelera le mie idee e mi sconvolge la mente. In questo senso il tufting è una sorta di pittura con la lana. L'argilla è un tipo di materiale molto diverso, e per creare qualcosa di "ani-mato" o selvaggio nelle opere in argilla cotta si lavora su uno strato di colore molto più sottile.

AD – La maschera è un leitmotiv nel tuo lavoro. Perché questa forma è così importante per te?

CA – Permette a colui che indossa la maschera di aggiungere una persona “altra” a quella esistente, di fondersi con un altro strato di esistenza. Una masche-ra è una superficie di proiezione potente e prodigiosa, animata e inanimata allo stesso tempo. Ma è anche un modo per prendere in giro in modo divertente. Nella storia del carnevale europeo c'è un'incredibile tradi-zione di lunga data, con le maschere che si sovrap-pongono ai volti già esistenti. Vengono usate come parodie, spesso per riprodurre, una volta all'anno, imi-tazioni della società. Questo aspetto è rappresentato in modo esemplare nei dipinti del carnevale di James

Nata a Tolosa e cresciuta in Germania, Caroline Achaintre vive e lavora a Londra. Realizza le sue opere su una gamma diversificata di supporti tra cui tessuti, ceramiche, stampe e acquerelli, utilizzando tecniche tipicamente associate alle arti applicate. Citando come influenze l'espressionismo tedesco, la scultura britannica del dopoguerra e il primitivismo, il suo lavoro fa anche riferimento a filoni sub-culturali più contem-poranei della fantascienza, alla scena goth-metal, alla psiche-delia e ai film horror.

Née à Toulouse, Caroline Achaintre a grandi en Allemagne ; elle vit et travaille actuellement à Londres. Elle réalise ses œuvres à partir d’une gamme de supports extrêmement di-versifiée : tissus, céramiques, gravures et aquarelles, en uti-lisant des techniques habituellement associées aux arts ap-pliqués. Son travail, influencé par l’expressionnisme allemand, la sculpture britannique d’après-guerre et le primitivisme, s’inspire également des tendances de subcultures plus con-temporaines telles que la science-fiction, la scène goth metal, psychédélique et les films d’horreur.

“Sono interessata alla tensione tra poli o condizioni opposte,

alla densità di ciò che sta in mezzo, alla transitorietà.”

Caroline Achaintre

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Ensor: il portatore delle maschere non solo le indossa, ma diventa esso stesso quella persona.

AD – La mostra Permanente alla Fondazione Giuliani fa parte di un progetto itinerante che coin-volge quattro istituzioni. Dopo Vienna e Montpellier la mostra approderà qui alla Fondazione Giuliani, dove aprirà al pubblico da giugno a ottobre 2020 per poi raggiungere il CAPC di Bordeaux. Come immagini la mostra e questo corpus di opere nel loro insieme e come ripensi ogni volta la mostra rispetto ad ogni nuova sede che la accoglierà?

CA – Per me è una novità esporre più di due volte la stessa mostra, e in tutta onestà è come se ogni volta fosse diversa. Questo mi ha permesso di comprende-re quanto le diverse architetture degli spazi influisca-no enormemente sul contesto dell'opera. Adattandosi allo spazio e riprogettando appositamente la mostra, ogni singola esposizione diventa un'esperienza com-pletamente diversa. O forse non è nemmeno questo: anche senza il mio intervento, i singoli spazi espositivi uniti al mio lavoro inserito al loro interno ne fanno ogni volta un'esperienza diversa. Sono fortunata perché il Belvedere 21, il MO.CO e la Fondazione Giuliani sono spazi molto diversi. Ma oltre a questo, ho apportato parecchi cambiamenti, aggiungendo ogni volta dei pezzi, o togliendone altri.

AD – È interessante notare che il titolo della mostra itinerante è cambiato. Al Belvedere 21 e al MO.CO, la mostra si chiamava Onda Permanente. Alla Fondazione Giuliani il titolo si è trasformato in Permanente. Qual è il motivo di questo cambiamento?

CA – Il titolo dell’esibizione si riferisce ai riccioli artificiali fatti dai parrucchieri, che erano così popo-lari negli anni ‘80. In tedesco si chiama Dauerwelle, in inglese Permanent Wave, o permanente breve, in francese Permanente e in italiano uguale, a indicare quell’acconciatura a volte crespa. In tedesco e in in-glese le parole stesse hanno un ulteriore riferimento all'elettricità, come la corrente continua (almeno nella mia testa lo fa), anche se credo che in italiano non sia così. Quindi, non credo che il titolo sia completamen-te diverso, semplicemente cambia o perde un po' di significato.

AD – I titoli che scegli per le tue mostre e le tue opere d'arte sono davvero originali. Specialmente i titoli delle opere sono particolarmente evocativi.Spesso sono giochi di parole e suonano come nomi, a volte quasi letterali, per le opere, conferendo loro cari-sma e una sorta di personalità.

CA – Mi fa piacere che sia percepito in questo modo, perché è esattamente quello che cerco di fare, nemmeno troppo coscientemente. È una scelta istin-tiva, che dimostra la mia empatia nei confronti dell’o-

pera, che crea un altro livello di dialogo tra me e lei. Il modo in cui suona il titolo e il suo aspetto talvolta sono più importanti del significato reale dell'opera, in un senso quasi dadaista. Le onomatopee per esem-pio, mi interessano moltissimo.

AD – Attualmente stiamo vivendo in una delle epoche forse più tormentate della memoria recente: i problemi terribili legati al cambiamento climatico, la rinascita dell'estrema destra, l'imperdonabile divario economico tra super ricchi e poveri sono ora aggra-vati dall'attuale pandemia di Covid-19. Pensi che sarà possibile tornare tutti a un certo grado di normalità senza viaggiare a ritroso verso la “vecchia normalità"? A come erano le cose? Come può l'arte avere un ruolo in questo? Cosa pensi che sia degno della nostra at-tenzione, cosa andrebbe difeso con piccoli gesti?

CA – Non lo so, questa è una bella domanda. Non ci sarà nessun viaggio a ritroso, credo, anche se sia-mo esseri abitudinari. Ora abbiamo nuove esperienze e abitudini che si sono sovrapposte alle vecchie. Non sarà l'arte a "cambiare" le cose, ma spesso l'arte è in prima linea nello stimolare un pensiero nuovo e crea-tivo. Il pensiero critico e le idee astratte, le utopie e le distopie viventi attraverso le opere d'arte come veicoli e, quindi, la forza dell'arte è quella di rivelare il pensie-ro progressivo. Ma la bellezza dell'arte è spesso anche il viaggio personale, forse fantastico, in cui l'artista ci accompagna, una sorta di evasione, che è importante tanto quanto affrontare la realtà.

Parigi / Roma, maggio 2020

FR

Adrienne Drake – L’un des aspects les plus fasci-nants de ton travail réside dans la double tension entre les arts plastiques et l’artisanat, entre l’abstraction et la figuration, entre une référence à l’expressionnisme et au primitivisme d’une part et au death metal et au carnaval d’autre part. Pourrais-tu nous en dire un peu plus sur cette dichotomie et sur la manière dont des mondes différents peuvent parfois coexister ?

Caroline Achaintre – Je considère que tous ces éléments que tu viens de citer sont reliés entre eux. En général, ce qui m’intéresse, c’est de montrer la tension entre des pôles et des situations opposés, et de repré-senter l’épaisseur de l’entre-deux, l’évanescence des éléments. Avec le couple abstraction / figuration, je cherche ce moment précis où, à partir d’un matériau inanimé, quelque chose prend tout à coup forme ou bien disparaît à nouveau. Quant à l’expressionnisme allemand, le fait qu’il se soit nourri d’autres cultures, notamment en-dehors de la société européenne, m’a poussée à m’intéresser au primitivisme. Par ailleurs, j’ai toujours été passionnée par la coexistence de plu-

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sieurs êtres au sein d’une seule et même personne : je me suis donc inspirée de l’iconographie du death metal, qui développe l’apparence d’une double exis-tence grâce au « corpse paint » et aux costumes qui changent de forme. Une sorte de carnaval funèbre. Je cherche toujours à produire un travail dynamique, en quelque sorte animé, et en cela la frontière entre ce qui n’est pas encore et ce qui n’est plus constitue un lieu idéal.

AD – Parmi les supports qui caractérisent ton travail, il y a les tentures murales faites à la main, la céramique et l’aquarelle. Tes œuvres frangées et tuf-tées ainsi que tes aquarelles présentent la plupart du temps une palette de couleurs vives, tandis que tes céramiques sont plus pâles et feutrées. Pourrais-tu décrire ton approche de la couleur ?

CA – Lorsque je peins, j’aime jouer avec la couleur ; quand je travaille avec de l’encre liquide ou avec des stylos pour « dessiner » les œuvres tuftées, je trouve que la couleur accélère mes idées et bouscule mon esprit. En ce sens, le tuftage est un type de peinture au fil de laine. L’argile est un matériau très différent, et pour créer quelque chose « d’animé » ou de sauvage dans les œuvres à l’argile cuite il faut travailler sur des nuances de couleur beaucoup plus subtiles.

AD – Le masque est un motif récurrent dans ton travail. Pourquoi cette forme est-elle aussi importante pour toi ?

CA – Le masque permet à celui qui le porte d’ajou-ter une personne « autre » à une personne déjà exis-tante ; il permet de se fondre avec une autre strate de l’existence. Un masque est une surface de projection puissante et mystérieuse, à la fois animée et inani-mée. Mais c’est aussi une façon de tourner en dérision. Dans l’histoire du carnaval européen, les masques qui se superposent aux visages existants représentent une tradition née il y a très longtemps. Ils sont utilisés comme des parodies, souvent pour mettre en scène, une fois par an, des imitations de la société. Cet as-pect-là est admirablement bien représenté dans les tableaux de carnaval de James Ensor : le personnage masqué, en plus de revêtir un masque, s’identifie à ce dernier.

AD – L’exposition Permanente à la Fondazione Giuliani fait partie d’un projet itinérant qui implique quatre institutions. Après le Belvedere 21 à Vienne et le MO.CO à Montpellier, l’exposition sera présentée ici, à la Fondazione Giuliani, et sera ouverte au public de juin à octobre 2020 avant de rejoindre le CAPC de Bordeaux. Comment imagines-tu l’exposition et ce corpus d’œuvres dans leur ensemble, et comment repenses-tu l’exposition en fonction de chaque nou-veau lieu ?

CA – C’est vraiment nouveau pour moi de pré-senter plus de deux fois la même exposition mais à vrai dire, c’est comme si c’était à chaque fois une ex-position différente. Cela m’a permis de comprendre à quel point l’architecture des espaces, si différents les uns des autres, influence le contexte d’une œuvre. En s’adaptant à l’espace et en redéfinissant la scénogra-phie à chaque nouvelle exposition, cette dernière de-vient une expérience tout à fait unique. Ce n’est peut-être même pas ça… Il me semble que même sans mon intervention, chacun des nouveaux espaces ainsi que mon travail qui s’y trouve exposé en font un spectacle à chaque fois nouveau. J’ai beaucoup de chance car le Belvedere 21, le MO.CO et la Fondazione Giuliani sont des espaces très différents. En plus de cela, j’ai apporté pas mal de modifications à chaque fois, en ajoutant ou bien en enlevant des éléments.

AD – Une chose intéressante est que le titre de l’exposition itinérante a changé. Au Belvedere 21 et au MO.CO, l’exposition s’intitulait Permanent Wave (« vague permanente »). À la Fondazione Giuliani, c’est devenu Permanente. Quelle est la raison de ce chan-gement ?

CA – Le titre de l’exposition fait référence aux boucles artificielles qu’on se fait faire chez le coiffeur et qui étaient très à la mode dans les années 1980. Pour parler de cette coiffure frisée, on parle en al-lemand de Dauerwelle, en anglais de Permanent Wave ou short perm, en français et en italien d’une permanente. En allemand et en anglais, ces expres-sions évoquent également les circuits électriques et notamment le courant continu (du moins, c’est ce que cela m’évoque), même s’il me semble que ce n’est plus le cas en italien. Je ne crois donc pas que le titre soit complètement différent, il change juste un peu ou perd quelques-unes de ses références.

AD – Les titres que tu choisis pour tes exposi-tions et tes œuvres sont très originaux ; les titres des œuvres notamment, dans leur sonorité même, sont particulièrement évocateurs. Il s’agit souvent de mots faciles à prononcer qui ressemblent parfois littérale-ment à des noms, ce qui confère aux œuvres un véri-table charisme, une sorte de personnalité.

CA – Je suis ravie que ce soit perçu comme cela car c’est exactement ce que je tente de faire, sans en être toujours très consciente d’ailleurs. C’est davan-tage un choix spontané, qui exprime mon empathie pour l’œuvre et qui donne une autre épaisseur au dia-logue entre elle et moi. La sonorité et l’apparence du titre sont parfois plus importantes que le sens réel de l’œuvre, un peu à la manière des dadaïstes. Les ono-matopées, par exemple, m’intéressent énormément.

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AD – Nous vivons actuellement sans doute l’une des périodes les plus troubles de l’histoire récente : les conséquences dramatiques du réchauffement climatique, la résurgence de l'extrême-droite, la frac-ture économique honteuse entre les plus riches et les pauvres sont maintenant aggravées par la pandémie du Covid-19. Penses-tu qu’il nous sera possible de re-venir à un certain degré de normalité sans pour autant retourner en arrière, sans se retrouver face à la « nor-malité » d’avant ? Comment l’art peut-il avoir un rôle à jouer ? Qu’est-ce qui, selon toi, mérite aujourd’hui une attention de notre part ? Qu’est-ce que l’on doit dé-fendre, par de petits gestes à notre portée ?

CA – Je ne sais pas, c’est une grande question. Nous ne retournerons pas en arrière, je pense, même si nous sommes des êtres routiniers. Nous avons fait de nouvelles expériences, pris de nouvelles habitudes, qui sont venues se superposer aux anciennes. Ce n’est pas l’art qui va changer les choses, mais l’art est souvent en première ligne pour nous inciter à réfléchir de façon originale et créative. Penser de façon cri-tique, élaborer des idées abstraites, vivre des utopies et des dystopies à travers les œuvres qui véhiculent ainsi ces idées et donc illustrer les progrès de la pen-sée : telle est la force de l’art. Mais la beauté de l’art est souvent aussi le voyage personnel, peut-être fantas-tique, à travers lequel l’artiste nous accompagne, une sorte d'échappatoire, qui est tout aussi importante que d’affronter la réalité.

Paris / Rome, mai 2020

DIALOGO

Curatrice specializzata nella ricerca e nell’accompagna-mento di artisti internazionali emergenti e a metà carriera, Adrienne Drake è attualmente responsabile della direzione e progettazione della Fondazione Giuliani di Roma, fondazione per le arti contemporanee senza scopo di lucro, da lei stessa creata e dedicata a un programma che pone l'accento sulla nuova produzione artistica e sull'esplorazione di aspetti multi-pli o secondari della pratica di un artista.

Curatrice spécialisée dans la recherche et l’accompagne-ment d’artistes internationaux émergents ou en milieu de carrière, Adrienne Drake est actuellement directrice et res-ponsable de la programmation de la Fondazione Giuliani à Rome, une fondation pour l’art contemporain à but non lucra-tif qu’elle a elle-même créée. Ce lieu met l’accent sur la nou-velle production artistique et entend explorer les multiples aspects, y compris marginaux, de la pratique d’un artiste.

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EMANUELE MASI

Per molti di noi questo tempo sospeso diventa con facilità un momento di ricordi, di condivisione e di bilanci. Con la Francia la collaborazione è nata nel 2010 quando, con uno sguardo fresco e curioso, ra-gionavo su possibili strategie da mettere in atto per dare nuovo slancio allo storico festival Bolzano Danza. Le attività di promozione rivolte ai programmatori ita-liani dall’Ambasciata di Francia in Italia mi permisero non solo di incontrare artisti e artiste poi diventati un riferimento della scena internazionale, ma anche di scoprire percorsi di audience development e progetti di coinvolgimento del pubblico dinamici e innovativi.

Fu proprio in quell’anno che partecipai per la pri-ma volta alla Biennale de la Danse di Lione e ancora oggi, sfogliandone il catalogo, non posso che con-

DA LIONE A BOLZANO, UN’AFFINITÀ NATURALE

CON LA FRANCIA

statare quanto quella manifestazione stimolò il mio approccio e, di riflesso, portò al rinnovamento di Bolzano Danza che si presentò nel 2011 con un as-setto rivoluzionato, aperto e partecipativo.

Collaboratori e colleghi mi hanno chiesto molte volte perché a Bolzano Danza le compagnie e gli arti-sti francesi sono sempre così numerosi. Ho impiega-to un po’ di tempo per trovare la risposta alla loro do-manda: inizialmente pensavo che il motivo risiedesse nella quantità dell’offerta, sostenuta da un sistema articolato e ben sovvenzionato. Indubbiamente in Francia la filiera della danza è strutturata in maniera organica, finanziata e gestita in modo invidiabile, ma anche altri paesi investono in modo considerevole nel settore.

Winterreise, Ballet Preljocaj

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59 TESTIMONIANZA

“Ciò che rende la scena francese un unicum è una politica culturale che investe consapevolmente nella

pluralità delle espressioni artistiche.”

Dub Love, Compagnie VlovajobPru - Cecilia Bengolea e François Chaignaud

Piuttosto credo che ciò che rende la scena fran-cese un unicum è una politica culturale che investe consapevolmente nella pluralità delle espressioni ar-tistiche, a tutti i livelli e senza eccezioni. In quale al-tro paese un teatro sovvenzionato da istituzioni pub-bliche potrebbe essere diretto da un coreografo di danza hip hop, sviluppando linguaggi che esulano da quelli accademici? A partire dai 18 centri coreografici nazionali fino alle grandi “case” della danza di Lione e Chaillot, passando per le compagnie indipendenti, in Francia si spazia dal post-classico alle più trasgressi-ve tendenze della coreografia contemporanea; in un “mercato” così ampio e diversificato è stato naturale per me fare degli incontri speciali e talvolta scoprire affinità foriere di collaborazioni durature e stimolanti. Mi dispiacerebbe citare alcuni nomi tralasciandone

altri, ma posso di sicuro affermare di aver trovato pro-fessionisti che, nel rispondere alle mie stesse istanze, hanno saputo ridisegnare le proprie e le mie prospet-tive. Ho trovato artisti che – favoriti da un sistema che li spinge alla curiosità e all’incontro – si sono messi generosamente in dialogo con me e si sono calati alla perfezione nelle linee artistiche che ho impresso al festival. Lo hanno abitato e a loro volta lo hanno pla-smato assieme a me.

In attesa quindi di poter riaccogliere e abbraccia-re molti di loro il prima possibile, che resta da dire se non « Merci et à bientôt ! ».

Bolzano, 7 aprile 2020

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Emanuele Masi, forte di un percorso accademico in ambito musicale, ha indirizzato la propria attività professionale verso l’organizzazione del teatro e della danza. Dal 2013 è direttore artistico del festival Bolzano Danza, del quale aveva assunto la codirezione nel 2011 con l’incarico di rilanciare la manife-stazione. Nel triennio 2018-2020 ha amplificato l'azione del festival nel territorio urbano, attraverso l’introduzione della figura di un guest curator. A Bolzano Danza ha presentato debutti mondiali, prime italiane e progetti in situ di artisti fran-cesi quali, tra gli altri, Olivier Dubois, Angelin Preljocaj, Boris Charmatz, Nacera Belaza, Radhouane El Meddeb, Cecilia Bengolea.

Fort de son parcours académique dans le domaine de la mu-sique, Emanuele Masi s’est orienté vers l’organisation d’évé-nements pour le théâtre et la danse. Depuis 2013, il est le directeur artistique du festival Bolzano Danza, dont il avait rejoint la codirection en 2011 avec pour mission de relancer la manifestation. Durant la période 2018-2020, il a élargi l’action du festival sur le territoire urbain en introduisant la figure d’un commissaire invité. Dans le cadre de Bolzano Danza, il a pro-grammé les débuts mondiaux, les premières italiennes et les projets in situ d’artistes français parmi lesquels Olivier Dubois, Angelin Preljocaj, Boris Charmatz, Nacera Belaza, Radhouane El Meddeb, Cecilia Bengolea.

FR

Pour beaucoup d’entre nous, cette période en sus-pens peut devenir un moment propice aux souvenirs, au partage et au bilan. La collaboration avec la France a commencé en 2010 lorsque, doté d’un regard frais et curieux, je réfléchissais aux possibles stratégies qui me permettraient de donner un nouvel élan au festival historique de Bolzano Danza. Les activités de promo-tion de l’Ambassade de France en Italie s’adressant aux programmateurs italiens me permirent non seu-lement de rencontrer des artistes qui se sont par la suite imposé.e.s comme des références sur la scène internationale, mais aussi de découvrir de nouveaux parcours de développement des publics, ainsi que des projets impliquant directement les spectateurs de façon à la fois dynamique et novatrice.

C’est lors de cette même année que je partici-pai pour la première fois à la Biennale de la Danse de Lyon. Aujourd’hui encore, lorsque j’en feuillette le ca-talogue, force est de constater combien une pareille manifestation fut stimulante pour mon approche personnelle et, par conséquent, combien elle fut dé-terminante pour le renouvellement de Bolzano Danza. L’année suivante, en 2011, le festival s’est ainsi offert au public sous un jour profondément nouveau, plus ouvert et participatif.

Par la suite, des collègues et des collaborateurs m’ont souvent demandé pourquoi les compagnies et les artistes français étaient toujours si nombreux à Bolzano Danza. Il m’a fallu un peu de temps avant de pouvoir apporter une réponse. J’ai d’abord pensé que la réponse s’expliquait par l’abondance de l’offre artistique, soutenue par un système structuré et bien subventionné. Il est clair qu’en France la filière de la danse est structurée de manière intrinsèque et bé-néficie d’une gestion et de financements enviables. Cependant, ce n’est pas le seul pays à choisir d’inves-tir considérablement dans ce secteur.

Je crois plutôt que ce qui rend la scène française si unique, c’est qu’elle est liée à une politique culturelle qui promeut sciemment la pluralité des expressions artistiques, et ce à tous les niveaux, sans exception. Dans quel autre pays un théâtre financé par les ins-titutions publiques pourrait-il être dirigé par un cho-régraphe issu du milieu hip-hop, développant un lan-gage alternatif qui prend nettement ses distances vis-à-vis des codes académiques ? Des 18 centres chorégraphiques nationaux aux grandes « maisons » de la danse de Lyon et Chaillot, en passant par les compagnies indépendantes, en France l’offre couvre aussi bien le post-classique que les tendances les plus transgressives de la chorégraphie contemporaine. Sur un « marché » aussi vaste et diversifié il a donc été tout naturel pour moi de faire des rencontres uniques et de découvrir parfois de réelles affinités

porteuses de collaborations pérennes et stimulantes. Je ne voudrais pas citer quelques noms et en oublier d’autres, mais je peux néanmoins affirmer avoir ren-contré de vrais professionnels, qui ont su répondre à mes propres réflexions, et modifier ainsi ma perspec-tive aussi bien que la leur. J’ai rencontré des artistes qui, tirant profit d’un système favorisant la curiosité et la rencontre, sont généreusement entrés en dialogue avec moi et se sont parfaitement adaptés à la ligne artistique que j’ai définie pour le festival. Ils l’ont habité et, à leur tour, l’ont modelé à mes côtés.

Dans l’attente de pouvoir accueillir et embrasser à nouveau nombre d’entre eux le plus vite possible, je n’ai plus rien à ajouter si ce n’est « merci et à bientôt ! »

Bolzano, 7 avril 2020

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RACHID OURAMDANE& EMANUELE MASI

Ci sono amicizie che nascono da collaborazioni artistiche. Quella che lega Emanuele Masi, direttore artistico del festival Bolzano Danza e Rachid Ouramdane, coreografo e co-direttore del CCN2 de Grenoble è una di queste. Per rispondere alle misure impo-ste dalla crisi sanitaria hanno immaginato insieme una programmazione che prende in contropiede i limiti sull'accoglienza del pubblico: un assolo per un solo spettatore. Un'esperienza intima, simbolica e unica. Una riappropriazione dello spazio scenico.

Una poetica della testimonianza

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Rachid Ouramdane – Nel 2015 sono stato invitato da Emanuele a partecipare a Bolzano Danza. Mi aveva invitato per lo spettacolo Tenir le temps, che non era ancora stato creato. All’epoca non ci conoscevamo an-cora e il suo invito mi aveva sorpreso perché nessuno in Italia prima di allora mi aveva mai invitato senza aver visto la coreografia prima. Mi era capitato soltanto con persone che conoscevano bene il mio lavoro e che vi si affidavano sufficientemente. Mi colpì moltissimo il suo atto di fiducia. Fu in quell’occasione che ci incontram-mo e solo allora capii che Emanuele aveva uno sguar-do ampio sull’insieme dei miei lavori con un’attenzione tutta particolare sul modo in cui sviluppavo i concetti di frontiera, la rappresentazione dello straniero e di co-loro che incarnano le differenze in modo più evidente rispetto agli altri. Allora capii quanto questo facesse eco col suo lavoro di programmatore di un festival in-ternazionale impegnato nell’avvicinare e mettere a confronto progetti creati in luoghi geograficamente e culturalmente distanti. La cura nel condividere con il pubblico quello che ci rende diversi, quello che rende unico ciascuno di noi è stato il luogo esatto in cui ha tratto origine la nostra complicità.

Emanuele Masi – In realtà il mio primo incontro con il lavoro di Rachid avvenne per la prima volta alla Biennale de la danse di Lione del 2012. Seguivo il fo-cus dedicato alla coreografia francese e in un grande teatro di periferia assistetti a Sfumato, lo spettacolo di Rachid dedicato al tema dei migranti climatici. Scoprii in quell’occasione questo artista così sensibile e al tem-po stesso rigoroso: mi affascinò la sua “poetica della testimonianza”, l’impegno civile e le atmosfere rarefat-te e sfumate della sua estetica. Tre anni dopo, a pochi giorni dalla conferenza stampa di Bolzano Danza 2015, una compagnia invitata cancellò la tournée: raccolsi rapidamente informazioni e seppi che, a breve distan-za dalla mia data saltata, Montpellier Danse avrebbe ospitato il debutto di un nuovo spettacolo di Rachid, Tenir le temps: il materiale coreografico era quello di un pezzo creato per i ballerini dell’Opéra de Lyon, la musica un’incessante partitura minimalista, la dram-maturgia incentrata sul tema della reazione a catena. Ero incuriosito dall’idea che un artista così sensibile e delicato lavorasse su elementi tanto astratti e la curio-sità ebbe il sopravvento sulla prudenza, così lo invitai. Lo spettacolo mi colpì moltissimo: Rachid era riuscito a creare affreschi di rara dolcezza, pur in una cornice for-male di movimento incontenibile. Un movimento che si arresta per incanto in una serie di abbracci. Iniziò così

una collaborazione che vide Rachid ospite a Bolzano Danza per tre anni consecutivi: con Tenir le temps, con Sfumato e con un altro spettacolo che avevo an-che avuto l’occasione di vedere a Lille, per il Festival Latitudes Contemporaines: Tordre. Si tratta di un toc-cante doppio ritratto di due interpreti di riferimento di Rachid: Lora Juodkaite et Annie Hanauer. Non so quante volte vi sia capitato di rivedere uno spettacolo: a me non capita quasi mai, soprattutto nell’ambito del-la danza contemporanea. Ma Tordre mi ha rapito a tal punto che l’ho rivisto ben quattro volte: a Lille nel 2015, a Bolzano Danza e alla Biennale de Lyon nel 2016, a Reggio Emilia nel 2019 e lo rivedrei ancora, se ne avessi l’occasione!

RO – Stranamente, anche se più di tutto sono in-teressato all’arte contemporanea, il mio legame con l’Italia e il mio incontro con questo paese sono dovuti sicuramente ai grandi maestri del Rinascimento ita-liano. Li ho studiati a scuola e poi ho voluto vederli dal vivo attraverso dei viaggi in svariate città della Toscana ma anche a Roma e a Venezia. Ho deciso peraltro di intitolare uno dei miei spettacoli Sfumato, a seguito

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dell’incontro con dei rifugiati climatici. Un titolo che era un riferimento diretto alla tecnica dello sfumato svilup-pata da Leonardo da Vinci. In Italia ci sono tornato poi regolarmente per vedere la Biennale d’arte contempo-ranea. Dall’antichità fino ad oggi, è attraverso l’arte che ho incontrato l’Italia ed è sempre attraverso l’arte che ho imparato a conoscere questo paese.

EM – Ho nella mente un ricordo molto vivido: era il luglio 2015 e, in una pausa tra le prove di Tenir le temps, Rachid mi raccontò che gli era appena arrivata la noti-zia di essere nella short list per la direzione del Centre Chorégraphique National de Grenoble. Mi raccon-tò del suo progetto di co-direzione assieme a Yoann Bourgeois, autore di nuovo circo, e del fatto che un punto di forza della loro candidatura (che infatti si rivelò vincente!) fosse l’investimento nella creazione di un “pôle territoire”, un dipartimento specificatamente de-dicato alla produzione di progetti legati al territorio, re-sidenze d'artista, mediazione, partenariati. Erano temi che mi erano molto cari e sui quali lavoravo da diversi anni per creare un crescente radicamento di Bolzano Danza nella sua comunità di riferimento: allo stesso tempo sentivo l’urgenza di un confronto sulle modalità di interazione con la Città. Così quando misi a fuoco la necessità di introdurre nel Festival la figura di un guest curator per ridisegnare il progetto Outdoor, non ebbi dubbi: volevo che Rachid portasse il suo sguardo su Bolzano e arricchisse le mie competenze con quelle che nel frattempo aveva maturato a Grenoble.

Ne è nata un’edizione 2019 eccezionale: un pro-gramma Outdoor ricco e variegato in cui Rachid ha dato spazio ad artisti francesi e italiani come Latifa Laâbissi, Christian Rizzo, Yoann Bourgeois, Silvia Gribaudi, Olivier Dubois, Annamaria Ajmone, Jean-Baptiste André, Pauline Boudry e Renate Lorenz. Oltre a questo al Teatro Comunale è andato in scena Franchir la nuit, un capolavoro di Rachid che a fianco ai 5 interpreti della sua compagnia, vedeva impegnati 30 giovanissimi, tra bambini del posto e adolescenti richie-denti asilo. E’ stata la prima volta che a Bolzano ho visto nella stessa sera, nella stessa platea, italiani, tedeschi, africani, magrebini, anziani, adulti, neonati, tutti con lo sguardo puntato su un palco invaso dall’acqua, dove si rappresentava con estrema delicatezza il dramma del-la migrazione.

RO – L’espressione “festival internazionale” è un costrutto di cui i media talvolta abusano. Si pensa

spesso a un festival di grande portata ma Emanuele sa ricondurre al significato originale di questa espressio-ne, vale a dire un festival tra nazioni con tutti i crismi necessari in termini di apertura all’altro, di incrocio tra le sensibilità e le nostre differenze… Abbiamo sperimen-tato collaborazioni di varia natura attorno a questi temi nelle edizioni precedenti. Per l’edizione 2019 gli ho pro-posto di riflettere al fatto che ciascuno di noi racchiude un microcosmo del mondo che propone una cartogra-fia affettiva “altra” rispetto alle cartografie territoriali che organizzano le nostre vite. Tuttavia il concetto re-stava troppo teorico, e fu allora che Emanuele mi ac-compagnò alla scoperta di diversi luoghi di Bolzano e della sua regione per immaginare insieme quali artisti avremmo potuto invitare chiedendo loro di iscrivere la propria arte in quei stessi luoghi. C’erano paesaggi naturali, architetture cariche di storia, parchi, piazze, palazzi antichi, un circuito automobilistico, le rive del fiume Talvera, il Museion, cantine vinicole… Luoghi che avrebbero generato incontri inattesi tra le opere e il pubblico, che a sua volta avrebbe riscoperto questi luoghi che conosceva già, ma attraverso i prismi delle opere che avremmo proposto loro. Io lanciavo idee, suggerivo nomi di artisti o di spettacoli che mi veniva-no in mente ed Emanuele faceva lo stesso. Siamo così riusciti a delineare una programmazione incrociando le disponibilità degli artisti assieme ai limiti del luogo e alle problematiche connesse.

EM – Durante il lockdown sono rimasto in contatto regolarmente con due artisti in particolare, quelli che in questi anni sono diventati un riferimento per me, come dei fratelli maggiori: Rachid e Michele Di Stefano (an-che lui guest curator della sezione Outdoor, nel 2018). Percepivo che fossimo tutti proiettati sul “dopo”, su cosa avremmo fatto una volta tornati alla normalità. Ma questa normalità, di settimana in settimana, sem-brava sempre più lontana. A fine aprile ho capito che non aveva senso attendere o modificare il programma di Bolzano Danza 2020 in base ai limiti che sarebbero stati imposti: era necessario che i limiti diventassero il propulsore, il motivo di necessità per quello che si sa-rebbe fatto. Ho avuto quindi l’intuizione di immaginare che è necessario ripartire dalla relazione, smarrita, tra spettatore e danzatore. Tra un solo spettatore alla volta e un solo danzatore alla volta. E ancora prima tra spet-tatore e teatro, tra spettatore e sipario, il grande sipario bordeaux che si riapre per la prima volta. Ho pensato che questo incontro deve avere una reciprocità e che per averla deve basarsi su un rapporto 1:1. Ho deciso

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quindi di chiedere a tre coreografi di creare coreografie diverse da alternare in scena per permettere al pubbli-co di scegliere l’estetica che più corrisponde al proprio desiderio di tornare a teatro. Michele e Rachid sono ov-viamente stati i primi a cui ho pensato e con loro è nato un confronto molto ricco di riflessioni che assieme ci ha permesso di mettere a fuoco il progetto; a loro si è unita con entusiasmo Carolyn Carlson che – rappre-sentando iconicamente un importante tassello della storia della danza contemporanea – porta un auspicio importante di rigenerazione. Le loro creazioni, pur nella differenza del loro segno coreografico, porteranno lo stesso titolo: Eden, come il luogo meraviglioso dove av-venne il primo incontro tra due esseri umani.

RO – L’idea del progetto EDEN è di Emanuele e dal momento stesso in cui me ne ha parlato mi sono venuti i brividi. Io vado in cerca di questi momenti in cui si è soli in un teatro. Ogni volta che ho l’opportunità di essere davanti a tutti i miei collaboratori in sala per godere di questo momento privilegiato, lo faccio. Arrivo prima di tutti, mi siedo in questo spazio fuori dal comune, così grande e silenzioso per contemplarlo per come è. Spesso sono momenti di grande ispirazione per me. Trovo grandioso poter proporre questa esperienza a persone che i teatri sono abituati a vederli solo riempiti di pubblico. Poter condividere questo tempo prezio-so di cui parlo mi sembra un’occasione unica. Spesso nel mio lavoro cerco di proporre allo spettatore di im-mergersi nella sua parte più intima, di toccare la sua sensibilità unica, di uscire dalla folla per sentirsi preso in causa individualmente. Nella proposta di Emanuele il dispositivo si presta direttamente a questa “atten-zione” particolare verso lo spettatore. Dopo aver visto uno spettacolo spesso si dice di esserne stati “rapiti”, o “portati altrove”... Per il progetto EDEN farò di tutto per fare in modo che all’immaginazione non venga voglia di fuggire bensì di restare per prendere pienamente co-scienza del luogo e del tempo che condivide in questo teatro e con questa danza che sono lì apposta per lei.

Grenoble / Bolzano, 4 giugno 2020

FR

Rachid Ouramdane – En 2015 j'ai été invité par Emanuele pour venir jouer à Bolzano Danza. Il s'agis-sait du spectacle Tenir le temps qui n'avait pas encore été créé. Nous ne nous connaissions pas et j'ai été surpris car jamais personne en Italie ne m'avait invi-té sans avoir vu la pièce au préalable. Seules les per-sonnes qui connaissent bien mon travail et qui lui font suffisamment confiance font cela. J'ai été très touché par cette marque de confiance. Nous nous sommes donc rencontrés à cette occasion et j'ai alors compris qu'Emanuele portait un regard large sur l'ensemble de mes travaux avec une attention particulière sur la ma-nière dont j’interrogeais les notions de frontière, dont je mettais en scène la figure de l'étranger, de ceux qui portent leur différence de façon plus importante que la plupart des gens. J'ai alors compris combien cela résonnait avec son propre travail de programmateur d'un festival international qui se soucie de rapprocher et de mettre en perspective des projets créés dans des endroits géographiquement et culturellement éloi-gnés. Je pense que ce soin de mettre en partage avec le public ce qui nous différencie, ce qui fait la singularité de chacun a été l'endroit où a débuté notre complicité.

Emanuele Masi – En réalité, ma première ren-

contre avec le travail de Rachid a eu lieu à la Biennale de la danse de Lyon en 2012. Je suivais le « Focus Danse », dédié aux créations françaises, et dans un grand théâtre de banlieue j’ai assisté à Sfumato, le spectacle de Rachid consacré au thème des réfugiés climatiques. J’ai découvert à cette occasion cet ar-tiste si sensible, et en même temps si rigoureux : sa « poétique du témoignage » m’a fasciné, tout comme son engagement citoyen et les atmosphères épu-rées et en sfumato de son esthétique. Trois ans plus tard, quelques jours avant la conférence de presse de Bolzano Danza 2015, une des compagnies invitées a annulé sa tournée : je me suis informé rapidement et j’ai su que, à quelques jours de la date qui avait été annu-lée, Montpellier Danse accueillait l’avant-première d’un nouveau spectacle de Rachid, Tenir le temps : la choré-graphie avait été créée pour les danseurs de l’Opéra de Lyon, la musique était une partition répétitive et mini-maliste, la mise en scène, centrée sur le thème de la ré-action en chaîne. J’étais intrigué par l’idée qu’un artiste aussi sensible et délicat travaille sur des éléments aussi abstraits, et la curiosité prit le dessus sur la prudence : je l’invitai donc. Le spectacle me toucha beaucoup : Rachid avait réussi à créer des fresques d’une délicatesse rare, bien qu’insérées dans un cadre formel au mouvement irrépressible. Un mouvement qui s’arrête par enchan-tement en une série d’étreintes.

C’est ainsi qu’a commencé notre collaboration et

Rachid a été invité à Bolzano Danza pendant trois an-nées consécutives : avec Tenir le temps, Sfumato et un autre spectacle que j’avais aussi eu l’occasion de

“Era necessario che i limiti diventassero il propulsore, il motivo di necessità per

quello che si sarebbe fatto.”Emanuele Masi

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voir à Lille pour le Festival Latitudes Contemporaines : Tordre. Il s’agit d’un émouvant double portrait de deux interprètes qui sont des références pour Rachid : Lora Juodkaite et Annie Hanauer. Je ne sais pas combien de fois cela vous est arrivé de revoir un spectacle : moi, presque jamais, surtout en danse contemporaine. Mais Tordre m’a subjugué au point que je l’ai revu quatre fois : à Lille en 2015, à Bolzano Danza et à la Biennale de Lyon en 2016, à Reggio Emilia en 2019 et je le reverrais en-core si j’en avais l’occasion !

RO – Si je devais évoquer mon lien avec l'Italie,

étonnament, alors que je m'intéresse généralement d'abord à l'art contemporain, c'est en premier lieu par les grands maîtres de la Renaissance italienne que j'ai rencontré ce pays. Je les ai étudiés à l'école et j'ai vou-lu plus tard les voir en vrai d'où des voyages dans plu-sieurs villes de Toscane mais aussi à Rome et à Venise. J'ai d'ailleurs intitulé une de mes pièces autour de ma rencontre avec des réfugiés climatiques Sfumato. Un titre qui faisait directement référence à la technique des contours flous développée par Léonard de Vinci. Par la suite je suis retourné régulièrement en Italie mais pour la biennale d'art contemporain. C'est à travers l'art que j'ai rencontré l'Italie, de l'antiquité à aujourd'hui, c'est essentiellement par l'art que j'ai appris des choses de ce pays.

EM – J’ai à l’esprit un souvenir très vif : c’était en

juillet 2015 et, pendant une pause lors des répétitions de Tenir le temps, Rachid m’a raconté qu’il venait juste d’apprendre qu’il était dans la short list pour la direc-tion du Centre Chorégraphique National de Grenoble. Il m’a expliqué son projet de co-direction avec Yoann Bourgeois, artiste de nouveau cirque, et le fait qu’un des points forts de leur candidature (ce qui en effet a payé !) était l’investissement dans la création d’un « pôle terri-toire », un département spécifiquement consacré à la production de projets liés au territoire, aux résidences d’artistes, à la médiation, aux partenariats. C’étaient là des thèmes qui m’étaient très chers et sur lesquels je travaillais depuis plusieurs années pour développer un enracinement toujours plus fort de Bolzano Danza dans sa communauté d’appartenance : au même mo-ment, je sentais l’urgence d’une confrontation sur les modalités d’interaction avec la ville. Ainsi, lorsque je pointai la nécessité d’introduire dans le festival la figure d’un guest curator pour redessiner le projet Outdoor, je n’ai pas hésité : je voulais que Rachid porte son re-gard sur Bolzano et enrichisse mes compétences avec celles qu’il avait entre-temps développées à Grenoble. De là est née l’exceptionnelle édition de 2019 : un pro-gramme Outdoor riche et varié, dans lequel Rachid a réservé une place à des artistes français et ita-liens comme Latifa Laâbissi, Christian Rizzo, Yoann Bourgeois, Silvia Gribaudi, Olivier Dubois, Annamaria Ajmone, Jean-Baptiste André, Pauline Boudry et Renate Lorenz. En plus de cela, Franchir la nuit a été programmé au Teatro Comunale : un chef-d’œuvre de

Rachid qui a impliqué, aux côtés de 5 interprètes de sa compagnie, 30 jeunes, parmi lesquels des enfants de la région et des adolescents demandeurs d’asile. C’était la première fois que je voyais à Bolzano, le même soir, dans un même public, des Italiens, des Allemands, des Africains, des Maghrébins, personnes âgées, adultes, nourrissons, et tous avaient le regard dirigé vers une scène envahie par l’eau, où l’on représentait, avec une délicatesse extrême, le drame des migrants.

RO – L'expression « festival international » est par-

fois un peu galvaudée dans l'utilisation abusive que l'on en fait dans les médias. On pense souvent à un festival d'ampleur mais Emanuele sait vous ramener au sens premier d'une telle formulation, c'est-à-dire à un festi-val entre les nations avec tout ce que cela comporte de nécessaire en matière d'ouverture à l'autre, de croise-ment des sensibilités, de nos différences.... Nous avions traversé plusieurs collaborations autour de ces sujets dans les éditions précédentes. Je lui ai proposé pour l'édition de 2019 de nous attacher au fait qu'en chacun de nous il y a un microcosme du monde qui propose une cartographie affective autre que les cartographies territoriales qui organisent nos vies. Mais cela restait théorique, il m'a alors amené à la rencontre de plu-sieurs lieux de Bolzano et de sa région pour me les faire découvrir et afin qu'on imagine des invitations à des ar-tistes qui pourraient y inscrire leur travail. Il y avait des paysages naturels, des architectures chargées d'his-toire, des parcs, des places, d'anciens palais, un circuit automobile, les rives de la rivière Talvera, le Museion, des caves viticoles.... Autant de lieux qui allaient créer des rencontres inattendues entre des œuvres et un public qui lui-même allait redécouvrir ces espaces qu'il connaîtrait à travers le prisme des œuvres que nous al-lions proposer. Je soumettais des idées, des noms d'ar-tistes, des pièces que je connaissais ; Emanuele faisait de même. Entre les contraintes des lieux, les probléma-tiques qui s'imposaient, les disponibilités des artistes une programmation s'est dessinée.

EM – Lors du confinement, je suis resté réguliè-

rement en contact avec deux artistes en particulier, ceux qui ces dernières années sont devenus une réfé-rence pour moi, comme des grands frères : Rachid et Michele Di Stefano (lui aussi commissaire invité de la section Outdoor en 2018). Je sentais que nous nous projetions tous vers « l’après », vers ce que nous ferions une fois revenus à la normalité. Mais cette normalité, au fil des semaines, semblait toujours plus lointaine. Fin avril, j’ai compris qu’attendre ou modifier le programme de Bolzano Danza 2020 sur la base des limitations qui seraient imposées n’avait pas de sens : il était né-cessaire que ces limitations deviennent le moteur, les contraintes qui motiveraient la marche à suivre. J’ai donc imaginé qu’il était nécessaire de repartir de la re-lation, perdue, entre le spectateur et le danseur. Entre un seul spectateur à la fois et un seul danseur à la fois. Et même avant, entre le spectateur et le théâtre, entre

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le spectateur et le rideau, le grand rideau rouge qui rouvre pour la première fois. J’ai pensé que cette ren-contre devait avoir une réciprocité, et pour l’avoir elle devait se baser sur un rapport 1:1. J’ai donc décidé de demander à trois chorégraphes de créer différentes pièces, à alterner sur scène pour permettre au public de choisir l’esthétique qui corresponde le plus à son désir de retour au théâtre. Michele et Rachid ont bien sûr été les premiers à qui j’ai pensé, ce qui a donné nais-sance à un échange et une réflexion très riche, qui nous a permis ensemble de mettre au point ce projet : s’est unie à eux, avec enthousiasme, Carolyn Carlson qui est une icône et représente une part importante de l’his-toire de la danse contemporaine, laissant augurer une renaissance de celle-ci. Leurs créations, bien que diffé-rentes de par leur empreinte chorégraphique, auront le même titre : Eden, comme l’endroit merveilleux où eut lieu la première rencontre entre deux êtres humains.

RO – L'idée du projet Eden vient d'Emanuele et

dès qu'il m'en a parlé j'ai eu des frissons. Ces moments où je peux être seul dans un théâtre, je les recherche. Chaque fois que j'ai l'occasion d'être avant tous mes collaborateurs en salle pour avoir ce moment privilégié, je le fais. J'arrive avant tout le monde, je m'assois dans cet espace hors du commun, si grand et silencieux, pour le contempler pour ce qu'il est. Ce sont souvent des temps très inspirants pour moi. Je trouve formi-dable de pouvoir proposer cela à des spectateurs qui connaissent les théâtres uniquement avec du public. Pouvoir partager ce temps privilégié dont je parlais plus haut me semble être une occasion unique. Souvent dans mon travail je tente de proposer au spectateur de plonger dans ce qu'il a de plus intime, de solliciter sa sensibilité singulière, de le détacher de la masse pour qu'il se sente concerné individuellement. Dans la pro-position d'Emanuele le dispositif se prête directement à cette « attention » particulière envers le spectateur. On dit souvent d'une pièce qu'elle nous a complète-ment « embarqués », « emmenés ailleurs »... Dans le cadre du projet Eden, je pense que je vais tout faire pour ne pas proposer à l'imaginaire de fuir, mais bien au contraire l'inviter à pleinement prendre conscience de l'endroit et du temps qu'il partage dans ce théâtre et avec cette danse qui lui sont réservés.

Grenoble / Bolzano, 4 juin 2020

Rachid Ouramdane vive e lavora a Grenoble dove codirige il CCN2 – Centre chorégraphique national de Grenoble con il circense Yoann Bourgeois. Il suo lavoro si è basato a lungo su una raccolta minuziosa di testimonianze, condotta in collabo-razione con documentaristi o autori e comprendente disposi-tivi video per esplorare la sfera dell’intimo. Attraverso l’arte e la danza tenta di contribuire a dibattiti sociali attraverso spet-tacoli coreografici che sviluppano una poetica della testimo-nianza. è stato artista associato a Bonlieu - Scène nationale d’Annecy dal 2005 al 2015 e al Théâtre de la Ville – Paris dal 2010 al 2015.

Rachid Ouramdane co-dirige avec le circassien Yoann Bourgeois le CCN2 – Centre chorégraphique national de Grenoble. Son travail chorégraphique s’est pendant un temps appuyé sur un minutieux recueil de témoignages, mené en collaboration avec des documentaristes ou des auteurs, inté-grant des dispositifs vidéo pour explorer la sphère de l’intime. Il tente ainsi par l’art de la danse de contribuer à des débats de société au travers de pièces chorégraphiques qui déve-loppent une poétique du témoignage. Il a été artiste associé àBonlieu – Scène nationale d’Annecy de 2005 à 2015 et au Théâtre de la Ville – Paris de 2010 à 2015.

DIALOGO

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Franchir la Nuit, Rachid Ouramdane

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I festival dell’estate 2020 – e tra questi Kilowatt – saranno, più di sempre, uno spazio privilegiato per sperimentare la riattivazione di energie collettive, in un contesto che non sarà quello consueto, perché rimarranno limitazioni e attenzioni speciali, ma che almeno segnerà la ripartenza della socialità.

Kilowatt 2020 sarà, per forza di cose, meno in-ternazionale del solito, perché alcuni progetti previsti con i paesi asiatici, africani e americani sono stati so-spesi, così come vari progetti con alcuni paesi europei. Siamo felici di aver salvato i due progetti francesi di Jérôme Bel e Mohamed El Khatib che consideriamo tra le punte di eccellenza di questa edizione.

La Francia è il Paese con cui CapoTrave/Kilowatt ha attivato le più profonde e continuative collabora-zioni internazionali. Sono stati ospiti del festival, quasi sempre in prima nazionale, numerosi collettivi di cir-co contemporaneo, tra cui 100 Racines e Soralino, vari spettacoli di danza, come quelli di Nina Santes, Jérôme Bel, Liz Santoro e Pierre Godard, e anche alcune realtà del teatro, tra le quali la compagnia di Serge Nicolaï e il collettivo Zirlib di Mohamed El Khatib.

Nel progetto europeo Be SpectACTive! che CapoTrave/Kilowatt guida da 6 anni, ci sono tre part-ner francesi: l’Université de Montpellier, il CNRS di Parigi e il circuito Occitanie en Scène, con ciascuno dei quali sono attive collaborazioni di vario tipo, che hanno prodotto convegni organizzati congiuntamen-te, stampa di libri, presenza di studiosi francesi a Sansepolcro in vari convegni, tra gli invitati, il sociologo Jean-Louis Fabiani e il politologo Emmanuel Négrier.

“Le abitudini si contraggono più in fretta del co-raggio”, scriveva Louis-Ferdinand Céline. Abbiamo imparato l’abitudine a restare chiusi dentro casa per intere settimane. A non frequentare persone amiche e amate. Quando ci siamo rivisti, ci siamo abituati a incontrarci a distanza. Con le altre, abbiamo con-

Luca Ricci è il direttore artistico e fondatore – con la moglie Lucia Franchi – della compagnia teatrale CapoTrave, di cui è anche drammaturgo e regista. Nel 2003, a Sansepolcro (Toscana) ha creato Kilowatt Festival e da allora ne è il di-rettore artistico. Nel 2010 ha vinto il Premio Ubu e nel 2013 il Premio Nico Garrone. Dal 2014 è co-autore, curatore e project-manager del progetto europeo su larga scala Be SpectACTive!. Nel 2019 pubblica il libro Lo spettatore è un visionario, scritto insieme a Lucia Franchi.

Luca Ricci est le directeur artistique et fondateur, avec son épouse Lucia Franchi, de la compagnie de théâtre CapoTrave, pour laquelle il est aussi dramaturge et metteur en scène. En 2013, à Sansepolcro, en Toscane, il a créé le Kilowatt Festival dont il est également le directeur artistique. En 2010, il a ga-gné le « Prix Ubu » et en 2013 le Prix Nico Garrone. Depuis 2014, il est co-auteur et project manager du projet européen à grande échelle ”Be SpectACTive!”. En 2019, il publie le livre Le spectateur est un visionnaire qu’il a écrit avec Lucia Franchi.

RIATTIVARE LE ENERGIE COLLETTIVE

LUCA RICCI

“Prima era normale uscire, stare in mezzo alle persone, andare a teatro, adesso ci spaventa.

Dobbiamo trovare il coraggio per ricominciare a farlo.”

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« Les habitudes s'attrapent plus rapidement que le courage », écrivait Louis-Ferdinand Céline. Nous avons assimilé l’habitude de rester enfermés chez nous pen-dant plusieurs semaines. De ne pas rencontrer nos proches et nos amis. Quand nous nous sommes revus pour la première fois, nous nous sommes habitués à maintenir la distance. De la même façon, nous avons aussi attrapé l’habitude de la peur. Ce qui était normal avant – sortir, être entouré de monde, boire une bière dans un bar, aller au théâtre – nous effraie désormais. Nous devons trouver le courage de recommencer à le faire. Kilowatt 2020 constituera une façon de réaliser un petit acte de courage : encadrés par les incontour-nables règles sanitaires, nous pourrons renouer avec le bonheur de nous rencontrer et d’être ensemble. Les nuits ne prennent jamais fin, pensait Céline, il faut donc apprendre à s’y mouvoir, à vivre avec : alors, re-prenons le voyage.

Sansepolcro, mai 2020

Isadora Duncan, Jérôme Bel

tratto anche l’abitudine alla paura. Ciò che prima era normale, uscire, stare in mezzo alle persone, bere una birra in un locale, andare a teatro, adesso ci spaventa. Dobbiamo trovare il coraggio per ricominciare a far-lo. Kilowatt 2020 sarà uno dei modi per realizzare un piccolo atto di coraggio: tutelati dalle imprescindibili regole per la nostra salute, potremo ritrovare la nostra felicità di incontrarsi e stare insieme. Le notti non fini-scono, pensava Céline, bisogna imparare a starci den-tro, a conviverci: dunque, riprendiamo il viaggio.

Sansepolcro, maggio 2020

FR

Les festivals de l’été 2020, y compris Kilowatt, se-ront plus que jamais un espace privilégié d’expérimen-tation pour réactiver les énergies collectives, dans un contexte qui sera inhabituel puisque encore soumis à des limitations et précautions extraordinaires, mais qui aura au moins le mérite d’acter la reprise de la vie sociale.

Kilowatt 2020 sera, par la force des choses, moins international qu’à l’accoutumée puisque cer-tains projets prévus avec des pays d’Asie, d’Afrique ou d’Amérique ont été suspendus, de même que cer-tains projets portés avec d’autres pays européens. Nous sommes cependant heureux d’avoir pu sauver les deux projets français, ceux de Jérôme Bel et de Mohamed El Khatib que nous considérons parmi les traits d’excellence de cette édition.

La France est le pays avec lequel CapoTrave/Kilowatt a établi les collaborations internationales les plus profondes et les plus pérennes. De nombreux collectifs de cirque contemporain ont été invités au festival, donnant presque toujours lieu à une pre-mière nationale, parmi lesquels on peut compter 100 Racines et Soralino, mais aussi plusieurs spectacles de danse, comme ceux de Nina Santes, Jérôme Bel, Liz Santoro et Pierre Godard. Citons également cer-tains représentants du théâtre, comme la compagnie de Serge Nicolaï et le collectif Zirlib de Mohamed El Khatib. Par ailleurs, trois partenaires français sont associés au projet européen Be SpectACTive! que CapoTrave/Kilowatt porte depuis six ans maintenant : l’Université de Montpellier, le CNRS de Paris et le ré-seau Occitanie en Scène.

TESTIMONIANZA

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1. ANTOINE LE MÉNESTRELVia Mercatovecchio, UdineCSS Teatro Stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia inaugura “Udinestate” con un evento speciale pensato appo-sitamente per la città e che vedrà come protagonista l’arram-picatore e ballerino francese Antoine Le Ménestrel. L’artista d’oltralpe, che già nel 2008 ad Avignone aveva collaborato allo spettacolo Inferno di Romeo Castellucci, realizzerà una performance urbana tra i palazzi e le strade di Udine dando così il via alla nuova stagione del Teatro Stabile, Contatto 365 - Blossoms / Fioriture, stagione ideata e creata in sicurezza da luglio a dicembre 2020. 15 luglio

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2. CAROLINE ACHAINTRE, PERMANENTEFondazione Giuliani per l'Arte Contemporanea, RomaPrima mostra personale a Roma dell’artista francese, Permanente è un progetto itinerante che racconta la diver-sità della pratica artistica della Achaintre. Dopo il Belvedere di Vienna e il MO.CO di Montpellier, l’artista presenterà il suo lavoro che intreccia artigianato e arti plastiche con tecniche tradizionali reinterpretate in modo innovativo, tutte espressioni delle sue ispirazioni versatili. 24 giugno – 10 ottobre Dialogo Caroline Achaintre, Adrienne Drake pag. 52.

3. HENRI CARTIER BRESSON, LE GRAND JEUPalazzo Grassi, VeneziaLa mostra Le Grand Jeu non è soltanto una retrospettiva su uno dei fotografi francesi più famosi al mondo, ma è anche il tentativo di rinnovare e arricchire lo sguardo sull’opera di Henri Cartier-Bresson attraverso cinque personalità diverse. Una sfida che prende come punto di partenza una selezio-ne di 385 immagini che all’inizio degli anni Settanta l’artista ha indicato come le più significative della sua opera. 11 luglio 2020 – 10 gennaio 2021Henri Cartier-Bresson Simiane-la-Rotonde, France, 1969, épreuve gélatino-argentique de 1973 © Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

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4. RACHID OURAMDANE E CAROLYN CARLSON, EDEN, DANZA PER UNO SPETTATORETeatro Comunale di Bolzano, Festival Bolzano DanzaÈ con il titolo Eden che Bolzano Danza 2020 si reinventa. Cancellato totalmente il programma della 36° edizione del Festival pensata pre-pandemia, la Fondazione Haydn presen-ta, in conformità con le vigenti misure sanitarie, un’edizione singolare e unica. Nell’enorme sala del Teatro Comunale, uno spettatore in completa solitudine vedrà aprirsi il sipario su un interprete e una coreografia ideata in esclusiva per il festival: quella dell’americana di stanza a Parigi Carolyn Carlson, quel-la del francese Rachid Ouramdane e infine quella dell’italiano Michele Di Stefano. Istanti di profonda bellezza per 10 interpreti che si alterneranno sul palco lasciando allo spettatore la libertà di scegliere l’estetica che più gli corrisponde e assecondando il desiderio di incontrare, nuovamente, la danza e il “proprio” Teatro. 15 – 31 luglioTestimonianza di Emanuele Masi, pag. 58 – Dialogo Rachid Ouramdane ed Emanuele Masi, pag. 61.

5. MOHAMED EL KHATIB, C’EST LA VIEKilowatt Festival, SansepolcroDopo Finir en beauté, opera che mette in scena la morte di sua madre, Mohamed El Khatib conclude il suo ciclo sul lutto con C’est la vie, creazione ideata dopo il suo incontro con gli attori Daniel Kenigsberg, 61 anni, e Fanny Catel, 37 anni, che hanno vissuto entrambi la perdita del proprio figlio: un ragazzo di 25 anni e una bambina di 5 anni. Tutto sembra separare queste due esistenze, ma la tragedia comune li avvicina in-credibilmente, soprattutto nella profondità di chi ha vissuto un simile sconvolgimento e che sa che esiste un prima e un dopo. C’est la vie è un’esperienza intima, estetica e politica nella quale Daniel e Fanny incarnano letteralmente la loro stessa vita. 22 luglio Testimonianza di Mohamed El Khatib, pag. 48. – Testimonianza di Luca Ricci, pag. 70.

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6. UNA STRISCIA DI TERRA FECONDA, PARTE 1Museo Archeologico Nazionale, PalestrinaCavea dell'Auditorium, Parco della Musica, RomaIl festival franco-italiano di jazz e musiche improvvisate torna per la sua 23° edizione con un programma estivo di 5 serate in con-testi straordinari. Il festival propone come ogni anno produzioni originali, prime nazionali e nuove composizioni grazie a un pro-gramma ricco di scambi tra musicisti italiani e francesi di fama mondiale o talenti emergenti. Si potranno ascoltare, tra gli altri: Federica Michisanti e il suo Ensemble che ospiterà il sassofonista francese Louis Sclavis; Roberto Negro, Vincitore del Premio SIAE 2020 e la sua band "Papier Ciseau"; Renaud Garcia-Fons, Sylvain Darrifourcq o Joachim Florent, prima di concludere in bellezza a Palazzo Farnese di Caprarola con il trio franco-italiano composto da Francesco Bearzatti, Roberto Gatto e Benjamin Moussay, per un omaggio a John Coltrane. 24 luglio – 1 agostoTestimonianza di Paolo Damiani, pag. 24.

7. JÉRÔME BEL, ISADORA DUNCANKilowatt Festival, SansepolcroCon la coreografia ideata per Elizabeth Schwartz, Jérôme Bel prosegue il suo progetto pluriennale sui ritratti di ballerini ce-lebri. Lo spettacolo racconta la figura dell’americana Isadora Duncan attraverso un ritratto basato sul suo lavoro autobiogra-fico, La mia vita. Oltre al suo lato romantico, Bel scopre una co-reografa visionaria che con la sua grande libertà di espressione ha gettato le basi della danza moderna, all’origine della danza contemporanea. Mescolando stili diversi, momenti parlati e assoli danzati, la performance fa rivivere il ricordo della danza libera. 26 luglioTestimonianza di Luca Ricci, pag. 70.

8. ALEXANDRE ROCCOLI, DI GRAZIANapoli Teatro Festival Italia, Palazzo Reale Cortile Carrozze, NapoliDi Grazia, la creazione del 2019 del coreografo francese figlio di minatori italiani Alexandre Roccoli, va in scena al Ntfi in una versione pensata appositamente per la tredicesima edizione del Festival ideata attorno alla figura dei Femminielli. “Ci con-centreremo sugli atti di resistenza e di coraggio dei Femminielli napoletani contro il nazifascismo durante la Seconda Guerra mondiale – scrive Roccoli – ripercorreremo questo periodo della storia di una comunità che abita i Quartieri di Napoli per ricordarne la forza, le gesta e cantare il loro coraggio”. Il proget-to, infatti, prevede il coinvolgimento di un coro di donne napole-tano con cui Roccoli lavorerà durante una residenza di tre mesi a Napoli. 28 – 31 luglio

EVENTI

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Lanfranco Cis & Didier Deschamps

Emmanuel Demarcy-Mota & Marco Giorgetti

Cecilia Balestra

Monique Veaute & Fabrizio Grifasi

Edoardo Donatini

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo

Barbara Boninsegna & Dino Sommadossi

Claudia Di Giacomo & Caroline Marcilhac

RaccoltaAutunno

GIORNO N° 31/40: “ACANTO” & APOLLO“Nella mitologia greca, Acanto (Acantha) era una ninfa. Apollo (dio delle arti e della poesia) tentò di rapirla ma lei gli graffiò il volto. Per vendicarsi, il dio tramutò la nin-fa in una pianta spinosa ma amante del sole che porta il suo nome (Acanthus).” JVCalco del busto e foglie di acanto: Hugo ServaninUn ringraziamento a Sara Vitacca

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LANFRANCO CIS& DIDIER DESCHAMPS

Portare in Italia creazioni internazionali di danza e creare incroci tra generi e linguaggi della scena contemporanea, questo è l’obiettivo del festival Oriente Occidente di

Rovereto. Da alcuni anni il festival trentino e il Théâtre de Chaillot di Parigi lavorano insieme alla coproduzione di spettacoli e presentano sui rispettivi palchi coreografi e creazioni italiane e francesi. Una storia collettiva, quella della comunità della danza.

78 DIALOGO

Un momento rituale di comunità

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Lanfranco Cis – Per Oriente Occidente, la Francia è sempre stata una realtà a cui guardare con grande interesse. A partire dalla prima edizione quando in-vitammo Maguy Marin con May B, successivamente, due anni dopo, abbiamo dedicato un’intera edizione alla Nouvelle danse française ospitando i lavori di Jacques Patarozzi, Dominique Bagouet, Groupe Lolita Danse, Daniel Larrieu. In Francia negli anni ‘80 la dan-za contemporanea era diffusa come in nessuno de-gli altri paesi europei e ci siamo lasciati affascinare e ispirare per costruire programmi che davano spazio a nomi importanti come Angelin Preljocaj, che è poi tor-nato diverse volte a Oriente Occidente e con il quale i rapporti si sono consolidati anche con il centro coreo-grafico da lui diretto, realizzando diverse coproduzio-ni. Anche oggi il nostro interesse per la scena francese continua: coltiviamo rapporti con le realtà più conso-lidate ma abbiamo uno sguardo attento anche per le nuove generazioni. Il territorio continua ad essere uno dei più fecondi per la danza contemporanea.

Didier Deschamps – Nella mia visione della sce-na italiana si staglia un paesaggio ricco in termini di diversità di pratiche e di codici. Rappresentata da al-cune grandi compagnie di creazione e di repertorio come Aterballetto, la danza neoclassica, o, per definir-la altrimenti, la danza che sviluppa il movimento nello spazio con richiami a virtuosismi e tecnicismi, mi sem-bra molto dinamica e dà regolarmente vita a spet-tacoli molto belli. Nello stesso filone estetico, anche coreografi “indipendenti” come Fabrizio Favale svilup-pano codici interessanti. Alcuni privilegiano scritture che fanno da eco a inquietudini politiche come Salvo Lombardo, o realizzano progetti più performativi e spesso all’aperto, come Alessandro Sciarroni (che

a sua volta crea per compagnie contemporanee), Chiara Bersoni, Daniele Ninarello, o ancora Pietro Marullo che con le sue installazioni plastiche propone al pubblico un’esperienza tutta particolare. Ma anche coreografi come Cristina Rizzo, Virgilio Sieni, Marco d’Agosta o Silvia Gribaudi che hanno firmato tutti pièce personalissime ed molto particolari.

LC – È chiaro che da parte nostra ci sia interesse

su come si reinventa la danza - un interesse condiviso con gli artisti e ancora di più in una situazione con-tingente come quella che stiamo tutti attraversando. Sono convinto del carattere universale della danza e credo fortemente che debba mantenere un rapporto live con il pubblico che in un momento come questo rischia di essere snaturato. La danza, come il teatro e in generale lo spettacolo dal vivo è un momento rituale di comunità, sopravvissuto a guerre e pande-mie nella storia, dovremmo salvaguardarlo anche ora. Guardiamo con interesse alle nuove forme in cui si sviluppa la ricerca coreografica, ma soprattutto per vedere come si può mantenere l’essenza della danza anche in momenti particolarmente difficili.

DD – In effetti, gli artisti giocano un ruolo di prima-ria importanza, ancora di più in questo momento. La danza evolve e continua a farlo, e questo non implica che occorra trascurare il repertorio che resta e che fonda la nostra letteratura e la nostra biblioteca “atti-va e sensibile”. Naturalmente queste evoluzioni tengo-no conto delle sfide politiche, ambientali ed etiche a cui dobbiamo rispondere individualmente e collettiva-mente e la visione degli artisti è essenziale per aprire nuove prospettive. E le nostre istituzioni partecipano in modo determinante a queste evoluzioni, o al contrario

"La danza, come il teatro e in generale lo spettacolo dal vivo è un momento rituale di comunità,

sopravvissuto a guerre e pandemie nella storia, dovremmo salvaguardarlo anche ora.”

Lanfranco Cis

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possono frenarle per mancanza di coraggio, volontà e impegno nei confronti degli artisti. Abbiamo una re-sponsabilità precisa nell’accompagnamento e nel so-stegno determinante verso gli artisti ma anche verso il pubblico a cui occorre offrire le vie d’accesso a que-ste nuove pratiche. Quello che percepisco dalle istitu-zioni italiane si iscrive perfettamente in questo senso, particolarmente in festival come Oriente-Occidente a Rovereto ma anche Bolzano Danza, Torino Danza, Polverigi, Fabbrica Europa o Romaeuropa per esempio.

LC – Credo anche che per il nostro settore – esat-tamente come per tutti gli altri – si possa uscire dalla difficoltà di questo periodo solo attraverso un fruttuo-so scambio e intense collaborazioni europee. Con la Francia e con le istituzioni francesi, in particolare, ab-biamo cercato di sviluppare delle relazioni di scambio e supporto prima che la pandemia colpisse il mondo. Con il Théâtre de Chaillot abbiamo iniziato a condivi-dere produzioni ma anche consigli e supporto ad arti-sti sostenuti dal teatro francesi e per i quali coltiviamo grande interesse della loro ricerca coreografica ed estetica. Ritengo il rapporto tra le varie istituzioni eu-ropee un percorso inevitabile e fecondo. Non è a caso che lei siede al tavolo dell’advisory board di Oriente Occidente, insieme a Jarmo Penttila per esempio.

DD – Effettivamente anche io penso sia essen-ziale che le nostre istituzioni possano portare avanti questo lavoro magnifico che consiste nel mettere in contatto gli artisti con il pubblico e che soprattutto continuino ad essere luoghi di incontro, di scambio e di sane controversie, a livello nazionale ma anche in-ternazionale, trattandosi di luoghi in cui il dialogo con “lo straniero”, l’altro, può svolgersi senza alcuna forma di censura. Sono queste le condizioni indispensabili alla comprensione del mondo, alla sua ricchezza e a una possibile armonia dinamica della cultura.

Parigi / Rovereto, 11 giugno 2020

FR

Lanfranco Cis : À Oriente Occidente, la France a toujours été une réalité à laquelle nous avons prêté grand intérêt. Et ce dès la première édition du festi-val en 1981, quand nous avions invité Maguy Marin avec May B, puis deux ans plus tard lorsque nous avions consacré toute une édition à la Nouvelle danse française en accueillant les travaux de Jacques Patarozzi, Dominique Bagouet, Groupe Lolita Danse, Daniel Larrieu. En France, dans les années 1980, la danse contemporaine était répandue comme dans aucun autre pays européen, et cela nous a fascinés et inspirés pour construire des programmes qui ré-servaient une place à des noms importants comme Angelin Preljocaj, qui est ensuite revenu plusieurs fois à Oriente Occidente, et avec qui les relations se sont renforcées ainsi qu’avec le centre chorégraphique qu’il dirige, à travers différentes coproductions. Aujourd'hui encore notre intérêt pour la scène fran-çaise se poursuit : nous cultivons des relations avec les structures les plus établies, mais nous portons un regard attentif aussi sur les nouvelles générations. Le territoire continue d’être un des plus féconds pour la danse contemporaine.

Didier Deschamps : De mon côté, la scène ita-lienne m'apparaît riche d’une diversité d’écritures et de démarches. Portée notamment par quelques grandes compagnies de création et de répertoire comme Aterballetto, la danse néo-classique, ou pour la définir en d’autres termes, la danse qui développe le mouvement dans l’espace et fait appel à une certaine virtuosité technique, me semble être très dynamique et produit régulièrement de très beaux spectacles. Dans la même lignée esthétique, des chorégraphes « indépendants » comme Fabrizio Favale développent aussi de belles écritures. Certains privilégient éga-lement des démarches qui font résonance avec des préoccupations politiques comme Salvo Lombardo ou déploient des propositions plus performatives

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et souvent dans des espaces extérieurs comme Alessandro Sciarroni (qui crée aussi pour des ballets contemporains), Chiara Bersoni, Daniele Ninarello, ou encore Pietro Marullo qui propose avec ses installa-tions plastiques une expérience particulière au public. Enfin des chorégraphes comme Cristina Rizzo, Virgilio Sieni, Marco d’Agosta ou Silvia Gribaudi signent des pièces très personnelles et singulières.

LC – Il est évident que, de notre côté, il y a un in-

térêt pour la façon dont on réinvente la danse - un in-térêt partagé par les artistes, d’autant plus dans une situation incertaine comme celle que nous traversons. Je suis convaincu du caractère universel de la danse et je crois fermement qu’elle doit garder une relation vivante avec le public qui, dans un moment comme celui-ci, risque d’être dénaturée. La danse, comme le théâtre et en général le spectacle vivant, est un moment rituel de communion, qui a survécu à des guerres et des pandémies tout au long de l’histoire, et nous devrions le préserver encore aujourd’hui. Nous sommes attentifs aux nouvelles formes à travers les-quelles se développe la recherche chorégraphique, surtout afin de voir comment il est possible de préser-ver l’essence de la danse, également lors de moments particulièrement difficiles.

DD – En effet, les artistes jouent un rôle émi-nemment important, et encore plus en ce moment. La danse n’a pas cessé d’évoluer et continuera à le faire, ce qui ne signifie pas qu’il faille négliger le réper-toire qui demeure et qui est notre littérature et notre bibliothèque « active et sensible ». Ces évolutions tiennent évidemment compte des enjeux politiques, environnementaux et éthiques auxquels nous avons individuellement et collectivement à répondre et la vision des artistes est essentielle pour ouvrir de nou-velles perspectives. Et nos institutions participent de façon déterminante à ces évolutions, ou au contraire peuvent les freiner par manque d’audace, de volon-té et d’engagement auprès des artistes. Nous avons une responsabilité d’accompagnement et de sou-tien déterminante envers eux, ainsi que vis-à-vis des publics à qui il est nécessaire de proposer les voies d’accès à ces nouvelles démarches. Ce que je per-çois des institutions italiennes s’inscrit parfaitement dans ce sens, particulièrement des festivals comme Oriente-Occidente à Rovereto mais aussi Bolzano Danza, Torino Danza, Polverigi, Fabbrica Europa ou Romaeuropa par exemple.

LC – Je crois aussi que pour notre secteur - exac-tement comme pour tous les autres - il n’est possible de surmonter les difficultés de cette période qu’à travers un échange fructueux et d’intenses collabo-

Vocabulary of need, Yuval Pick

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Fondatore e condirettore artistico del Festival Oriente Occidente dalla sua creazione nel 1981 ad oggi, Lanfranco Cis è direttore del CID-Centro Internazionale della Danza, la cui attività spazia dal perfezionamento di giovani danzatori alla residenza artistica delle compagnie, fino allo sviluppo anche in senso teorico delle conoscenze in ambito coreutico. Ha fatto parte per 5 anni del gruppo organizzatore di Repérages-Danse à Lille - Rencontres internationales de la jeune chorég-raphie, ed è stato direttore artistico del Festival Bolzano Danza dal 1994 al 2004.

Fondateur et codirecteur artistique du Festival Oriente Occidentale depuis sa fondation en 1981 jusqu’à au-jourd’hui, Lanfranco Cis est directeur du CID-Centro Internazionale della Danza, dont l’activité va du perfection-nement des jeunes danseurs et de l’accueil en résidence de compagnies, au développement, également d’un point de vue théorique, des connaissances chorégraphiques. Pendant cinq ans, il a fait partie du comité organisateur de Repérages-Danse à Lille – Rencontres internationales de la jeune chorégraphie. Enfin, il a été directeur artistique du Festival Bolzano Danza de 1994 à 2004.

Didier Deschamps comincia la sua carriera come ballerino di danza contemporanea, prima di dedicarsi alla danza classica. Nel 1981 inizia a collaborare come interprete al Centro nazio-nale di danza contemporanea (CNDC) di Angers per diven-tare poi assistente pedagogico. Nello stesso periodo la sua compagnia di danza inizia a esibirsi in tutta la Francia e anche in Europa. È nel 1990 che il Ministero della Cultura lo nomina all’inspection générale de la danse, dove in dieci anni di atti-vità occuperà diversi ruoli. Nel 2000 assume la direzione del CCN de Nancy-Ballet de Lorraine, prima di essere nominato Direttore del Théâtre National de Chaillot nel 2011.

Didier Deschamps commence sa carrière en tant que dan-seur contemporain, avant de s’ouvrir ensuite à la danse classique. En 1981, il intègre le CNDC d’Angers en tant qu’in-terprète, puis assistant à l’encadrement pédagogique. En parallèle, sa propre compagnie suivait son chemin, avec des créations et des tournées en France et en Europe. En 1990, le Ministère de la culture lui demande de rejoindre l’inspec-tion générale de la danse, où il occupera pendant dix ans plusieurs fonctions. En 2000, il prend la tête du CCN de Nancy-Ballet de Lorraine, avant d’être nommé directeur du Théâtre National de Chaillot en 2011.

rations européennes. Avec la France et avec les ins-titutions françaises en particulier, nous avons essayé de développer des relations d’échange et de soutien avant que la pandémie ne frappe le monde. Avec le Théâtre de Chaillot nous avons commencé à parta-ger des productions mais aussi une expertise et des aides envers les artistes soutenus par le Théâtre de Chaillot et qui nous intéressent tout particulièrement, tant par leur recherche chorégraphique que par leur esthétique. J’estime que les relations entre les diffé-rentes institutions européennes incarnent une voie indispensable et féconde. Ce n’est pas par hasard si vous êtes à la table du conseil d'administration de Oriente Occidente, avec Jarmo Penttila par exemple.

DD – Effectivement, je pense aussi qu’il est primordial que les institutions qui sont les nôtres puissent poursuivre ce magnifique travail de mise en lien des artistes avec les publics et qu’elles continuent surtout d’être les lieux de rencontres, d’échanges et de saines controverses, que ce soit au niveau national, mais aussi international en étant les lieux où le dia-logue avec « l’étranger », le lointain, puisse s’effectuer sans censure d’aucune sorte. Ce sont là les conditions indispensables à la compréhension du monde, à sa ri-chesse et à une possible harmonie dynamique de la culture.

Paris / Rovereto, 11 juin 2020

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EMMANUEL DEMARCY-MOTA& MARCO GIORGETTI

Uno guida il più antico teatro all’italiana del mondo, il Teatro della Pergola di Firenze. L’altro è stato per più di dieci anni direttore di uno dei più grandi teatri di Parigi, il Théâtre de la Ville. Nel gennaio 2019 i due si sono incontrati a Palazzo Farnese a Roma, in occa-sione della Notte delle idee. È stato l’inizio di una collaborazione in continua evoluzione che spazia dalla coproduzione fino alla realizzazione di azioni comuni, con al centro un

intento condiviso: aprirsi alla città e al mondo, all’Europa e ai giovani.

La Grande Troupe de l'Imaginaire

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Marco Giorgetti – La nostra collaborazione è nata esattamente a Roma, a Palazzo Farnese, dove nella Notte delle Idee ci siamo ritrovati con Emmanuel e abbiamo ridefinito i nostri obiettivi, la nostra colla-borazione, trovando delle basi comuni e dei principi fondamentali sui quali abbiamo capito che le nostre istituzioni avrebbero potuto lavorare insieme: i giovani, l’Europa, ma anche la possibilità di cambiare la logica di quella che era l’Unione dei Teatri d’Europa, per cercare di creare una nuova alleanza e una vera possibilità di dialogo sui nuovi temi. Ritrovarsi con Emmanuel è stata un’intesa improvvisa di persone, ma anche e soprattut-to di istituzioni che lavorano sulle stesse basi. È stato il momento di partenza e l’inizio della nostra amicizia.

Emmanuel Demarcy-Mota – Al Théâtre de la Ville, effettivamente, già da molti anni avevamo preso a de-finirci come un teatro multidisciplinare e aperto all’Eu-ropa. I “Chantiers d’Europe”, i cantieri d’Europa, sono nati in questo modo, subito dopo la crisi economica nel 2008. E fin dall’inizio il rapporto con l’Italia è stato per noi fondamentale, poiché nel 2010, lanciando il proget-to dei Chantiers, abbiamo unito le forze con l’Istituto Italiano di Parigi, allora diretto da Rossana Rummo. Sin dal principio questo rapporto con l’Italia è stato mol-to importante per me, perché significava riconoscere l’esistenza di obiettivi comuni tra i nostri due paesi, all’interno dello spazio europeo. Italia e Francia godo-no di un rapporto molto particolare, dal punto di vista storico ma anche da quello delle arti dello spettacolo. Se guardiamo alla scienza si può addirittura risalire al XVII secolo, ai tempi di Galileo a Firenze e della sua in-fluenza sul pensiero e sulla cultura europea, non solo scientifica ma anche artistica. Per questo penso che il rapporto bilaterale tra i nostri paesi sia molto legato alla riflessione sull’Europa. Come accennavi, a Roma quando ci siamo incontrati pensavamo a come costru-ire un’alleanza nuova. Un’alleanza per riflettere sul XXI secolo includendo anche le giovani generazioni. Le no-stre istituzioni, che fanno parte del nostro patrimonio, ci hanno appoggiato in questa necessità di costruire un percorso e un destino comune. La domanda era “quale destino comune si può costruire tra i paesi euro-pei, e tra i teatri d’Europa, nel 2020?” È una riflessione che abbiamo portato avanti insieme.

MG – Anche io vorrei ringraziarti, Emmanuel, per-ché questo rapporto che abbiamo costruito ha am-pliato la nostra visione e il nostro agire, sia attraverso la collaborazione per i Chantiers d’Europe e la Carta 18-XXI, sia attraverso il progetto delle consultazioni poetiche, che abbiamo portato qui a Firenze. I temi della Carta 18-XXI – arte, scienza, istruzione, ambiente – ci stan-no molto a cuore e attorno a essi abbiamo deciso di costruire la nostra programmazione. Soprattutto in questo momento di pandemia, questi temi ci aiutano a immaginare e a costruire il dopo.

EDM – Credo effettivamente che, come istituzio-ne, dobbiamo mostrare senso di responsabilità, soprat-tutto in questo momento. Quando si è investiti di una responsabilità spesso ci si ritrova a dare notizie negati-ve, in quanto è intriseco al ruolo di responsabilità inter-venire quando succede qualcosa di grave. Facilmente ci si dimentica, però, di avere una responsabilità anche in senso positivo. Le istituzioni dovrebbero ricordarse-ne. La partnership che stiamo costruendo da oltre un anno non è solo un rapporto legato alla coproduzio-ne di spettacoli – aspetto essenziale ma abbastanza elementare, visto che è il nostro lavoro – ma si tratta di realizzare azioni concrete da costruire insieme. È quello che sarebbe dovuto succedere a maggio, con i Chantiers d’Europe di quest’anno, dove avremmo ac-colto giovani studenti di teatro del Teatro della Pergola per un workshop su Gioventù malata di Ferdinand Bruckner. È un’opera scritta ormai quasi un secolo fa che parla della condizione giovanile, dei dubbi e del-le paure che la caratterizzano, e il workshop era una tappa di un progetto più ampio che durerà in tutto un anno e mezzo. Quest’anno i Chantiers d’Europe non si sono tenuti, ma stiamo già lavorando all’edizione dell’anno prossimo.

Questo nostro rapporto costruito in così pochi mesi mi fa ben sperare per il futuro, nonostante la crisi della Covid-19, che ha obbligato quasi quattro miliardi di per-sone a restare chiuse in casa, e anche in un momento di grande incertezza come quello odierno. Perché questa Europa, già indebolita dall’ascesa dell’estremismo e del populismo in Ungheria, Polonia, Austria e Spagna, uscirà ancora più debole dalla crisi attuale. E il mio auspicio è che la prossima edizione dei Chantiers d’Europe sia un’edizione di emancipazione, una via d’uscita dalla crisi post-pandemica. Adesso, come in tutti i periodi di crisi, come dopo le guerre, è necessario lavorare sull’eman-cipazione collettiva e soprattutto su quella delle giovani generazioni. Per fortuna noi siamo molto determinati a portare avanti una relazione di tipo esemplare tra artisti italiani e francesi, e l’edizione 2021 dei Chantiers sarà basata proprio su questo rapporto fraterno con l’Italia, che si è ulteriormente rafforzato durante la crisi, in parti-colare attraverso le consultazioni poetiche.

DIALOGO

“Quando si è investiti di una responsabilità spesso ci si ritrova

a dare notizie negative [...] Facilmente ci si dimentica, però,

di avere una responsabilità anche in senso positivo. Le istituzioni

dovrebbero ricordarsene.”Emmanuel Demarcy-Mota

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MG – Sì, ho scoperto le consultazioni poeti-che a Parigi quando hai portato il progetto al Centro Commerciale Italie 2 di Parigi. I passanti potevano fer-marsi e farsi prescrivere una poesia dagli attori della compagnia del Théâtre de la Ville: poesie per curare i propri mali. Con il lockdown, hai avuto l’idea di fare le consultazioni al telefono...

EDM – E il primo teatro a impegnarsi in questa ini-ziativa è stato il vostro. Le consultazioni poetiche sono un momento di ascolto. La parola “teatro” in greco si-gnifica “luogo dove si guarda”. Negli ultimi mesi questo luogo è stato bloccato, chiuso. Così siamo partiti dall’i-dea di riaprire spazi e momenti se non per guardare, almeno per ascoltare. Sono molto felice che le con-sultazioni poetiche si svolgano ora a Firenze, in Africa, in Asia e presto anche in Germania, dove il Berliner Ensemble ha appena aderito all’iniziativa.

MG – L’idea ci è piaciuta davvero tanto e abbia-mo voluto adattarla in lingua italiana, a Firenze. Le consultazioni poetiche per noi sono stati un modo per restare in contatto con il nostro pubblico, ora speriamo che diventino il pezzo forte della riapertura del teatro il prossimo settembre, dove offriremo al pubblico fio-rentino consultazioni poetiche, storiche, scientifiche, ma anche di altre discipline, sparsi in tutta la città. È un simbolo potente, per noi e per la città di Firenze. E avevi ragione, Emmanuel, quando hai parlato di una « grande troupe de l'imaginaire » che si sta creando proprio grazie alle consultazioni.

EDM – Effettivamente « la grande troupe de l'i-maginaire » è nata dall’alleanza tra i nostri teatri. L’idea mi è venuta in mente immaginandoci tutti insieme, tecnici, attori e pubblico, in una situazione in cui non si poteva vedere nessuno ma si potevano sentire le voci di tutti. Italiani, francesi e tante altre lingue... Persone che non si conoscevano e che entravano in relazione creando nuove connessioni, solo attraverso la voce. Adesso questa « troupe de l'imaginaire » esiste dav-vero, e conta quasi 70 componenti tra Parigi, Firenze, Taiwan e presto anche Stati Uniti, Ungheria, Polonia e Romania... È una compagnia internazionale e siamo riusciti a crearla durante il Covid, incredibile! Stiamo immaginando consultazioni di musica, di danza... è un’i-niziativa nuova che porteremo avanti insieme.

MG – Sì, e su tutti questi progetti i nostri collabo-ratori hanno lavorato fianco a fianco. Al di là dell’intesa reciproca tra me ed Emmanuel, è anche attraverso di loro che si è creato questo rapporto. Gli attori del Théâtre de la Ville verranno presto a Firenze per fare dei laboratori con i giovani della nostra scuola di teatro, e poi continueremo a lavorare sugli altri aspetti della Carta 18-XXI: la scienza, con Stefano Mancuso, con cui costruiremo uno spettacolo prodotto in italiano e fran-cese dedicato al cambiamento climatico. Lo spetta-colo metterà in scena quasi 200 giovani studenti, che

compiranno 18 anni nel 2021. Nonostante chiusure e incertezze, durante tutta questa crisi la collaborazione con il Théâtre de la Ville ha funzionato come una gui-da per il nostro lavoro. Ora abbiamo gli strumenti per affrontare qualsiasi situazione: costruire progetti insie-me e pensare al futuro, con i nostri giovani.

Parigi / Firenze, 16 giugno 2020

Dopo aver presentato, nell’ottobre 2019, Mary Said what she said di Bob Wilson, con Isabelle Huppert, spettacolo commissionato dal Théâtre de la Ville e coprodotto dai due teatri – che sarà di nuovo a Firenze nel 2021 –, il Teatro della Pergola presenterà il prossimo gennaio Il rinoceronte di Ionesco, diretto da Emmanuel Demarcy-Mota.

FR

Marco Giorgetti – Notre collaboration est née pré-cisément à Rome, au Palais Farnèse, lorsque, à l'occa-sion de la Nuit des Idées, nous nous sommes retrouvés avec Emmanuel et avons redéfini nos objectifs et notre collaboration. Nous avons alors trouvé des bases com-munes et des principes fondamentaux sur lesquels nous avons compris que nos institutions respectives al-laient pouvoir travailler ensemble : les jeunes, l'Europe, mais aussi la possibilité de changer la logique qui était celle de l'Union des Théâtres d'Europe, dans l'idée de créer une nouvelle alliance et une réelle possibilité de dialogue sur des thèmes nouveaux. La rencontre avec Emmanuel a été une entente immédiate et spontanée entre deux personnes, mais aussi et surtout entre deux institutions qui travaillent sur les mêmes bases. Ça a été un moment décisif et le début de notre amitié.

Emmanuel Demarcy-Mota – En effet, depuis de nombreuses années nous avions défini le Théâtre de la Ville comme un théâtre pluridisciplinaire, mais aussi un théâtre ouvert sur l’Europe. C’est ainsi que les Chantiers d’Europe sont nés, en 2008, juste après la crise écono-mique. Et d’emblée, la relation avec l’Italie a été fonda-mentale, puisque dès 2010, au moment du lancement des Chantiers, nous nous sommes associés à l’Institut italien à Paris, alors dirigé par Rosanna Rummo. Cette relation originelle avec l’Italie a été importante pour moi, parce qu'elle signifiait que nous avions des préoc-cupations communes entre nos deux pays, au sein de l'espace européen. L’Italie et la France entretiennent une relation très particulière, dans leur histoire mais aussi dans le spectacle vivant. On peut remonter au 17e siècle avec la science, Galilée à Florence... qui a eu une influence majeure sur la pensée et la culture eu-ropéenne, qu'elle soit artistique ou scientifique. C’est pourquoi je pense que cette relation bilatérale entre nos deux pays est très liée à la réflexion sur l’Europe. Comme tu le disais, quand nous nous sommes rencon-trés à Rome, nous réfléchissions à comment construire

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“La parola "teatro" in greco significa "luogo dove si guarda". Negli ultimi mesi questo luogo è stato bloccato, chiuso.

Così siamo partiti dall’idea di riaprire spazi e momenti se non per guardare, almeno per ascoltare.”

Emmanuel Demarcy-Mota

Figlio dell’attrice portoghese Teresa Mota e dello scrittore e regista francese Richard Demarcy, Emmanuel Demarcy-Mota ha fondato la sua prima compagnia teatrale all’età di di-ciassette anni. Nel 1999 ha ricevuto il premio “Rivelazione tea-trale dell’anno” del Sindacato francese dei critici di teatro, per lo spettacolo Pene d’amor perdute di Shakespeare. Nel 2001 è stato nominato direttore del Centre Dramatique National della città di Reims. Nel 2007 il Teatro Nacional Dona Maria II di Lisbona gli ha chiesto a creare una compagnia bilingue franco-portoghese. In seguito Demarcy-Mota ha firmato diversi adattamenti, presentati in tutto il mondo, tra cui Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e Il rinoceronte di Ionesco. Nel 2008 è nominato direttore del Théâtre de la Ville, divenendo il primo regista a mettere in scena opere in lingua straniera in questo teatro. È lui a fondare il festival Chantiers d’Europe, dedicato alla giovane creazione europea. Dal 2012 è anche direttore del Festival d’Automne di Parigi.

Fils de la comédienne portugaise Teresa Mota et de l’auteur et metteur en scène français Richard Demarcy, Emmanuel Demarcy-Mota fonde sa première troupe théâtrale à dix-sept ans. En 1999, il reçoit le prix de la révélation théâtrale de l’année par le syndicat national de la critique pour la pièce Peine d’amour perdue de Shakespeare. En 2001, il est nom-mé directeur du Centre Dramatique National de Reims. En 2007, le Teatro Nacional Dona Maria II de Lisbonne l’invite à créer une troupe bilingue franco-portugaise. Il crée ensuite plusieurs pièces qui seront présentées dans le monde entier, notamment Six personnages en quête d’auteur de Pirandello et Rhinocéros de Ionesco. En 2008, il est nommé directeur du Théâtre de la Ville. Il y propose pour la première fois du théâtre en langue étrangère et y crée le festival Chantiers d’Europe, dédié à la jeune création européenne. En 2012, il devient directeur du Festival d’Automne à Paris.

Allievo di Orazio Costa Giovangigli, Marco Giorgetti è at-tualmente Direttore Generale della Fondazione Teatro della Toscana a Firenze. Nel 1995 entra come Responsabile dellapromozione e delle relazioni esterne al Teatro della Pergola, di cui diviene prima vice Direttore nel 1997, poi Direttore nel 1999. Nel 2002 fonda e diviene Presidente di Firenze dei te-atri, l’Associazione che, secondo un modello presente solo in Francia, raccoglie tutti i teatri dell’area metropolitana fioren-tina. Nel 2007 torna come Direttore manager al Teatro della Pergola dove avvia il progetto di autonomia che nel 2011 giun-ge a compiersi con la costituzione della Fondazione Teatro della Pergola di cui è nominato Direttore Generale.

Élève d'Orazio Costa Giovangigli, Marco Giorgetti est actuellement Directeur Général de la Fondation Teatro della Toscana à Florence. En 1995, il entre en tant que Responsable de la promotion et des relations extérieures au Teatro della Pergola, dont il devient d'abord Directeur adjoint en 1997, puis Directeur en 1999. En 2002, il fonde et devient Président de l'association Firenze dei teatri qui, selon un modèle mis en place en France, regroupe tous les théâtres de l'agglomération florentine. En 2007, il rejoint de nouveau le Teatro della Pergola en tant que Directeur Général et entame le projet d'autonomisation du théâtre, qui se concrétise en 2011 avec la création de la Fondation Teatro della Pergola, dont il est aujourd'hui Directeur Général.

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une nouvelle alliance. Une alliance pour réfléchir au 21e siècle, où la jeunesse et les nouvelles générations seraient aussi incluses. Et nos institutions, qui sont des éléments patrimoniaux, nous confortent alors dans cette nécessité de construire une trajectoire et un destin qui puissent nous être communs. Quel destin commun pouvons-nous construire entre des pays eu-ropéens, entre des théâtres en Europe en 2020 ? Et cette réflexion nous l’avons menée ensemble.

MG – Je voudrais te remercier aussi Emmanuel, car cette relation que nous avons construite nous a permis d’élargir notre vision et nos champs d’actions, que ce soit à travers notre collaboration dans le cadre des Chantiers d’Europe, de la Charte 18-XXI ou à tra-vers les consultations poétiques que nous avons me-nées ici aussi à Florence. Les thèmes de la Charte 18-XXI – art, science, éducation, environnement – sont des thèmes qui nous tiennent à cœur et autour des-quels nous avons construit notre programmation. Ces

thèmes-là nous aident, et notamment en ce moment et durant cette pandémie, à imaginer et construire l’après.

EDM – En effet, je pense que nous devons être responsables, en tant qu’institution, et notamment en ce moment. Un responsable doit souvent annoncer du négatif, car c’est à lui de s'exprimer quand quelque chose de grave se passe. Mais souvent nous oublions d'être responsables du positif. Et c’est aux institutions de jouer ce rôle-là, aussi. Ce partenariat que nous construisons depuis plus d’un an n’est pas seulement une relation liée à la coproduction de spectacles – chose primordiale mais élémentaire, nous sommes là pour ça –, il s’agit de mettre en œuvre des actions concrètes construites ensemble. Et c’est ce qui de-vait se passer notamment en mai cette année, dans le cadre des Chantiers d’Europe, où nous devions ac-cueillir les jeunes étudiants comédiens du Teatro del-la Pergola, pour un atelier autour de La Maladie de la

Mary said what she said, Bob Wilson

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jeunesse, une pièce de Ferdinand Bruckner écrite il y a presque un siècle et qui parle de l’état de la jeunesse, de ses doutes et de ses peurs. Il s’agissait d’une étape de travail sur un projet qui va durer en tout un an et demi. Les Chantiers d’Europe n’ont pas eu lieu cette année, mais nous travaillons déjà sur l’édition prochaine. Et quand je vois cette relation que nous avons construite en quelques mois cela me donne de l’espoir, aussi face à la crise du Covid, où près de quatre milliards de per-sonnes ont été confinées chez elles et à un moment où nous vivons dans une grande période d’incertitude. Car cette Europe déjà fragilisée avec les montées des extrémismes et du populisme, en Hongrie, en Pologne, en Autriche, aussi en Espagne… le sera encore plus à la sortie de cette crise. Et ce sera je l’espère une édition de l'émancipation, de la de sortie de crise, après la pan-démie que nous sommes en train de vivre. Car comme dans toutes les périodes de crises, comme après les guerres, il faut travailler à l'émancipation, collective mais surtout des nouvelles générations. Nous avons heureusement la volonté de maintenir une relation exemplaire entre des artistes français et des artistes italiens, et l’édition 2021 des Chantiers se construira grâce à cette relation fraternelle avec l’Italie, qui s’est encore renforcée pendant la crise, notamment à tra-vers les consultations poétiques.

MG – Oui, j’avais découvert les consultations poétiques à Paris, quand vous les avez menées au Centre Commercial Italie 2 : les passant pouvaient s’arrêter et se faire prescrire des poèmes par des comédiens de la troupe du Théâtre de la Ville, des poèmes qui pourraient guérir leurs maux. Quand le confinement est arrivé, Emmanuel a eu l’idée de réa-liser ces consultations par téléphone.

EDM – Et le premier théâtre à s’être engagé à nos côtés dans cette initiative, ce fut le vôtre. Les consultations poétiques sont un temps pour l’écoute. Le mot théâtre en grec veut dire « l'endroit où l'on regarde ». Cet endroit a été arrêté, fermé, pendant ces derniers mois. Nous sommes donc partis de l’idée qu’il fallait ouvrir des espaces et des moments pour non pas regarder mais pour écouter. Je suis très heu-reux que ces consultations se tiennent maintenant à Florence, mais aussi en Afrique, en Asie, et bientôt en Allemagne où le Berliner Ensemble vient de rejoindre l’initiative.

MG – Nous avons en effet adoré l’idée et avons souhaité l’adapter à Florence et en langue italienne. Ces consultations ont été pour nous une manière de garder le contact avec notre public, et nous souhai-tons maintenant qu’elles soient le temps-fort de la ré-ouverture de notre théâtre en septembre prochain, en proposant au public florentin des consultations poé-tiques, historiques, scientifiques, mais aussi d’autres disciplines, dans toute la ville. Il s’agit d’un symbole puissant pour nous et pour la ville de Florence. Et tu

avais raison Emmanuel, quand tu parlais récemment de cette « grande troupe de l’imaginaire » que nous constituons grâce à ces consultations.

EDM – En effet, la troupe de l’imaginaire est née de cette alliance entre nos deux théâtres. Cette image je l’ai eue quand je nous ai imaginés tous en-semble, équipes, comédiens et public : on ne voyait personne, mais on pouvait entendre ces voix. Des Italiens, des Français, et tant d’autres langues... Des personnes qui ne se connaissaient pas rentraient en contact et créaient de nouvelles connexions, seule-ment grâce à leurs voix. Cette troupe de l’imaginaire existe bel et bien finalement, et elle regroupe près de 70 personnes qui sont à Paris, Florence, Taïwan, aux Etats-Unis bientôt, en Hongrie, en Pologne, en Roumanie... C’est une troupe internationale, et nous l’avons créée pendant le Covid ! Nous imagi-nons maintenant des consultations de musique, de danse... et c’est une nouvelle initiative que nous mè-nerons ensemble.

MG – Oui, et sur tous ces projets, nos équipes ont travaillé main dans la main. Au-delà de notre entente amicale, c’est aussi à travers eux que cette relation se crée. Les comédiens du Théâtre de la Ville viendront bientôt à Florence pour mener des ateliers avec les jeunes de notre école de théâtre, et nous poursui-vrons des actions sur les autres champs de la Charte 18-XXI : la science, avec Stefano Mancuso, avec qui nous allons construire un spectacle qui sera produit en italien et français et qui sera dédié au changement climatique. Ce spectacle sera construit avec près de 200 jeunes étudiants qui auront 18 ans en 2021. Tout au long de cette crise, cette collaboration avec le Théâtre de la Ville nous a guidés dans notre travail, malgré la fermeture et les incertitudes. Nous avons maintenant les instruments pour affronter n’importe quelle situation : construire des projets ensemble, et avec nos jeunes, pour penser l’avenir.

Paris / Florence, 16 juin 2020

Après la présentation en octobre 2019 au Teatro della Pergola de Mary Said what she said de Bob Wilson avec Isabelle Huppert, spectacle commandé par le Théâtre de la Ville et coproduit par les deux théâtres – qui sera de nouveau accueilli à Florence en 2021 –, le Teatro della Pergola présentera en jan-vier prochain Rhinocéros de Ionesco, mis en scène par Emmanuel Demarcy-Mota.

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90Teatro alla Scala, Milano

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Grande la solidarietà che abbiamo sentito da parte degli artisti e delle istituzioni francesi nei giorni in cui l’Italia anticipava l’Europa nella diffusione del-la malattia… e ricorderò sempre l’affettuosa ironia di Frank Madlener, direttore dell’IRCAM, in riferimento alle successive analogie nella criticità della situazio-ne… « L’Italie à l’avant-garde, pour le meilleur et pour le pire, c’est une habitude de l’histoire ! ».

C’è un legame artistico e culturale antico, e mol-to intenso, tra Francia e Italia, e anche l’esperienza di Milano Musica fin dall’inizio si radica in questo oriz-zonte: del 1990 è il successo della “Settimana Boulez a Milano”, dedicata a una delle figure centrali dell’e-sperienza musicale contemporanea, con una rara e impegnativa doppia esecuzione di Répons, realizzata anche grazie alla lungimiranza culturale e progettuale dell’Institut Français, allora come oggi. Con tale slan-cio, Luciana Pestalozza, insieme a un piccolo grup-po di personalità della cultura, fonda l’Associazione Milano Musica, che si costituisce nel 1992. Da allora Milano Musica, diretta con coraggio e determinazio-ne da Luciana Pestalozza fino al 2012, organizza un festival all’anno, in collaborazione con il Teatro alla Scala, con una missione culturale: proporre capolavo-ri di raro ascolto della seconda metà del Novecento e nuovi brani, grazie all’impegno e alla profondità inter-pretativa dei migliori artisti.

Insieme a Marco Mazzolini, consulente artistico del Festival, amiamo dare spazio a compositori che abbiano radicalità e originalità di scrittura, che sap-piano coniugare l’attenzione al dato percettivo con la ricchezza di pensiero, e che risveglino in chi ascolta un’attitudine attiva, un’empatia del corpo e dell’intel-letto anche attraverso la scelta dei luoghi più adatti in cui queste musiche “inaudite” possano risuonare felicemente. Compositori che, attraverso la musica e la ricerca configurano, sul piano concreto e ideale, nuove possibilità dinamiche e politiche di convivenza umana. Ci sono autori e musiche che fanno ascoltare il mondo in modo nuovo e anche critico, che ci spingo-no ad abbandonare abitudini e pregiudizi.

ASCOLTARE IL MONDO IN MODO NUOVO

CECILIA BALESTRA

“Oggi abbiamo tutti un dovere di responsabilità verso gli artisti e il loro lavoro, il cui

ruolo è e sarà cruciale nel futuro.”

Attiva dal 1997 nel settore musicale, docente e saggista, Cecilia Balestra è direttrice di Milano Musica – Associazione per la musica contemporanea, e membro del Consiglio diret-tivo di Music Fund e ItaliaFestival. Insegna da anni “Gestione e Organizzazione dello Spettacolo musicale” presso l’Università degli Studi di Milano e presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi.

Professeure et essayiste, Cecilia Balestra évolue dans le monde de la musique depuis 1997. Elle dirige Milano Musica - Association pour la musique contemporaine, et est membre du Comité de direction de Music Fund et de ItaliaFestival. Depuis plusieurs années, elle enseigne la « Gestion et Organisation du Spectacle Musical » auprès de l’Université de Milan et de l’École d’Art Dramatique Paolo Grassi.

TESTIMONIANZA

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Forte e costante negli anni è stata ed è la presen-za di compositori, solisti ed ensemble francesi… con due festival monografici dedicati rispettivamente a Hugues Dufourt, nel 2010, e a Gérard Grisey, nel 2016. Dall’Ensemble intercontemporain a Les Percussions de Strasbourg, dal Quatuor Diotima a Les Cris de Paris e all’Ensemble Orchestral Contemporain. Nel 2015, grazie a T&M di Parigi, Giordano Bruno, prima opera di Francesco Filidei, è stata messa in scena a Reggio Emilia e a Milano. Ricordiamo con gratitudine alcuni grandi interpreti degli ultimi anni, Pierre-Laurent Aimard, con Tamara Stefanovich nell’omaggio a Pierre Boulez al Teatro alla Scala nel 2015, Sylvain Cambreling, Frédéric Chaslin, Pierre-André Valade, Daniel Kawka, Geneviève Strosser, e con particolare affetto il meraviglioso violista Christophe Desjardins. Frequenti le collaborazioni con l’IRCAM, punto di rife-rimento imprescindibile per molti compositori italiani di diverse generazioni.

La Francia ha infatti sempre accolto con atten-zione i compositori italiani, forte anche di politiche culturali a “sostegno della creazione”, principio car-dine dell’intervento pubblico francese nel settore artistico e culturale, e di istituzioni, teatri ed ensem-ble strutturalmente più solidi e meglio finanziati ri-spetto all’Italia. A ciò corrisponde una grande vivaci-tà creativa e progettuale, che anche Milano Musica ha inteso intercettare e presentare nel nostro pa-ese. Ed è un fatto che la carriera internazionale di molti compositori italiani delle ultime generazioni sia incominciata all’estero e in particolare a Parigi (si pensi a Francesco Filidei, Mauro Lanza, Marco Momi, Daniele Ghisi, Matteo Franceschini, per men-zionare solo alcuni). Dai protagonisti che ormai appartengono alla storia, come Maderna, Nono e Berio, agli autori successivi, quasi tutti i composito-ri italiani hanno trovato spazio e prestigiosi ritratti monografici in Francia.

In Italia, le strutturali fragilità del sistema mu-sicale italiano, legate alla mancanza di politiche di intervento organico nel settore, rendono ancora più complesso sostenere la creatività contemporanea e il rinnovamento del repertorio. E tanto più oggi, nell’incertezza dello sconvolgimento epocale che stiamo tutti vivendo, è necessario un cambio di pas-so radicale nelle politiche culturali pubbliche, illumi-nato da una visione strategica di respiro pluriennale.

Oggi abbiamo tutti un dovere di responsabilità verso gli artisti e il loro lavoro, il cui ruolo è e sarà cruciale nel futuro, e di redistribuzione di certezze, soprattutto in termini occupazionali… Saremo pro-babilmente obbligati a “fare meno” ma avremo an-che la possibilità di “fare meglio”, superando logiche d’occasione e puntando tutto sulla qualità, anche in funzione della promozione del pubblico. Progetti artistici forti e di grande complessità produttiva po-

tranno dare lavoro a molti lavoratori dello spettaco-lo e far ritrovare al pubblico l’unicità dello spettaco-lo dal vivo nella sua dimensione sociale e collettiva.

E in questo “fare meglio” sarà impossibile prescin-dere dalle più ampie forme di scambio e di coprodu-zione a livello europeo e internazionale. La creazione artistica e culturale, tra artisti e istituzioni di paesi diversi, insieme e per un pubblico di cittadini aperti e critici, manterrà e farà nascere fortissimi legami uma-ni che ci permetteranno di affrontare i difficili scenari dei prossimi anni. Con un auspicio: che il legame cul-turale e professionale tra Francia e Italia possa essere sempre più forte e trainante rispetto a un’Europa che ponga al centro la cultura.

Milano, 19 maggio 2020

FR

Nous avons perçu une profonde solidarité de la part des artistes et des institutions français, au mo-ment où l’Italie devançait de quelques jours le reste de l’Europe dans la propagation de la maladie… Et je garderai toujours en mémoire l’ironie affectueuse de Frank Madlener, directeur de l’IRCAM, en référence aux fréquentes analogies établies en cette période critique… « L’Italie à l’avant-garde, pour le meilleur et pour le pire, c’est une habitude de l’Histoire ! ».

Il existe un lien artistique et culturel, ancien et très intense, entre la France et l’Italie. L’expérience de Milano Musica elle-même prend racine dans cet horizon commun. En effet, le succès de la « Semaine Boulez a Milano », consacrée à l’une des figures cen-trales de l’expérience musicale contemporaine, date de 1990. Une rare et ambitieuse double-exécution de Répons avait alors été réalisée, y compris grâce à la clairvoyance de l’Institut Français en matière de culture et de conception de projets. S’inscrivant dans cette dynamique, Luciana Pestalozza, accompagnée d’un petit groupe de figures du monde de la musique, fonde l’Association Milano Musica en 1992, qu’elle di-rige jusqu’en 2012. Organisant un festival annuel, en collaboration avec La Scala de Milan, l’association n’a qu’une mission culturelle : proposer des chefs-d’œuvre de niche datant de la seconde moitié du XXe siècle ainsi que des morceaux tout à fait inédits, et cela grâce à l’investissement personnel et à la profon-deur d’interprétation des meilleurs artistes.

Avec Marco Mazzolini, le conseiller artistique du festival, nous aimons faire la part belle à des composi-teurs qui se distinguent par la radicalité et l’originalité de leur écriture ; qui sachent concilier l’attention pour la dimension perceptive et la richesse conceptuelle ; qui suscitent une démarche active de la part de l’au-diteur, une empathie presque charnelle mais aussi

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intellectuelle. Cela passe également par le choix des lieux les plus appropriés et au sein desquels ces mu-siques littéralement « inouïes » pourront résonner le plus avantageusement. Autant de compositeurs qui, à l’aide de la musique et de la recherche, configurent les possibilités, concrètes et idéales, dynamiques et poli-tiques, d’un nouveau vivre ensemble. Il y a des auteurs et des musiques qui nous donnent à écouter le monde d’une autre façon, plus critique, et qui nous portent à abandonner les habitudes et les préjugés.

Au cours des années, nous avons constaté une présence forte et constante des composi-teurs, solistes et ensembles français… notamment dans le cadre de deux festivals monographiques, consacrés respectivement à Hugues Dufourt en 2010 et à Gérard Grisey en 2016. De l’Ensemble Intercontemporain aux Percussions de Strasbourg, du Quatuor Diotima aux Cris de Paris et à l’En-semble Orchestral Contemporain. En 2015, grâce à T&M-Paris, Giordano Bruno, la première œuvre de Francesco Filidei, a été mise en scène à Reggio Emilia et à Milan. Je veux aussi citer avec gratitude, parmi les grands interprètes de ces dernières années, Pierre-Laurent Aimard, avec Tamara Stefanovich pour leur hommage à Pierre Boulez à la Scala en 2015, Sylvain Cambreling, Frédéric Chaslin, Pierre-André Valade, Daniel Kawka, Geneviève Strosser ; ainsi que, avec une affection toute particulière, le merveilleux altiste Christophe Desjardins. Les collaborations ont aussi été nombreuses avec l’IRCAM, cet institut qui a par ailleurs été un point de repère essentiel pour nombre de compositeurs italiens de plusieurs générations.

La France a, en effet, toujours accueilli avec égards les compositeurs italiens, forte de politiques cultu-relles soutenant la création, principe fondamental de l’intervention publique dans les secteurs artistique et culturel, ainsi que de diverses institutions, théâtres et ensembles structurellement plus forts et mieux finan-cés qu’en Italie. Pareille politique donne lieu à un grand dynamisme en termes de créativité et d’initiatives que Milano Musica a ensuite voulu intercepter et présen-ter dans notre pays. De fait, la carrière internationale de nombreux compositeurs italiens des dernières générations a débuté à l’étranger et en particulier à Paris (que l’on songe à Francesco Filidei, Mauro Lanza, Marco Momi, Daniele Ghisi, Matteo Franceschini, pour n’en citer que quelques-uns). En partant de figures de-venues historiques comme Maderna, Nono et Berio, jusqu’aux auteurs qui leur ont succédé, presque tous les compositeurs italiens ont trouvé une place et de prestigieux portraits monographiques en France.

En Italie, les fragilités structurelles du système musical national, liées à un manque de politiques interventionnistes organisées dans ce secteur, com-plexifient davantage encore le soutien à la création contemporaine et au renouveau du répertoire. A fortiori aujourd’hui, aux prises avec l’incertitude d’un bouleversement historique que nous vivons tous, une accélération radicale est nécessaire dans les poli-tiques culturelles publiques, éclairée par une vision stratégique de portée pluriannuelle.

Aujourd’hui, nous avons tous un devoir et une res-ponsabilité envers les artistes et leur travail, dont le rôle sera crucial pour le futur, auxquels il faut redonner des certitudes, surtout en ce qui concerne l’emploi. Nous se-rons certainement contraints d’en « faire moins » mais nous aurons aussi la possibilité de « faire mieux », dépas-sant ainsi des logiques d’opportunité en misant tout sur la qualité et en se préoccupant aussi du développement des publics. Des projets artistiques forts et hautement complexes à produire pourront offrir du travail à beau-coup de professionnels du spectacle et permettre au public de renouer avec le caractère unique du spectacle vivant, dans sa dimension sociale et collective.

Et avec ce « faire mieux » il sera impossible de se passer de formes d’échange plus larges et de coproduc-tions à l’échelle européenne et internationale. La créa-tion artistique et culturelle entre artistes et institutions de différents pays, avec et pour un public de citoyens au regard ouvert et critique, alimentera et fera naître de solides liens humains qui nous seront précieux pour af-fronter les scénarios difficiles de ces prochaines années. En n’espérant qu’une chose : que le lien culturel et pro-fessionnel entre la France et l’Italie soit de plus en plus fort et le moteur d’une Europe qui attribuerait un rôle central à la culture.

Milan, 19 mai 2020

Milano Musica

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Möbius, Compagnie XY e Rachid Ouramdane

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Nel 1986 nasce l’Associazione Amici di Villa Medici, un progetto dedicato allo spettacolo dal vivo germinato nel solco della lunga tradizione di scambi culturali tra Italia e Francia, con il proposito di contri-buire a ridurre le distanze tra i due paesi e promuover-ne la ricchezza in ambito artistico. Un’idea che nell’ar-co di pochi anni ha abbracciato altre aree del mondo, si è sviluppata prendendo il nome di Romaeuropa, una comunità allargata anche ad artisti di altre nazionalità.

L’apertura che contraddistingue la nostra Fondazione continua a essere sostenuta dalla Francia e dall’esperienza maturata insieme all’inizio della no-stra attività culturale, quando abbiamo acquisito la capacità di stare sulla frontiera, linea in cui si interse-cano diversità, pensieri, identità, persone.

Una pluralità divenuta armonica attraverso il dia-logo, un patrimonio valorizzato e diffuso condividendo progetti artistici, come accade per le produzioni d’ol-tralpe sostenute dall’Ambasciata francese, promosse dall’Institut français Italia attraverso la stagione de La Francia in Scena e contenute nella programmazione del Romaeuropa Festival.

Un ventaglio di proposte che vanno dal teatro alla musica, dalla danza alle arti digitali, vagliate pre-stando particolare attenzione al contemporaneo, alle creazioni multidisciplinari e al talento dei giovani. Come Caroline Guiela Nguyen e Julien Gosselin, due artisti nati negli anni ’80 oggi considerati tra i migliori registi teatrali d’Europa, la cui espressione ha favorito una più approfondita percezione del nostro tempo e dell’altro.

La cultura è incontro ed è per sua natura dina-mica. Ha dei confini permeabili, è un flusso capace di aggirare le barriere erette in momenti di crisi. Muri che vorrebbero diminuire la vulnerabilità percepita ma che in effetti alimentano l’intolleranza e rendono

UNA COMUNITÀ ALLARGATA

MONIQUE VEAUTE

ancora più tortuoso il percorso che porta a una mag-giore consapevolezza e al cambiamento del mondo, un grande villaggio di cui siamo tutti cittadini.

Quando alcune forme di contatto con l’altro sono precluse o drasticamente ridotte, chi opera in ambito culturale è chiamato a elaborare nuove modalità per ridurre gli ostacoli alla comprensione reciproca. Una conquista che si raggiunge grazie a una partecipazio-ne attiva e critica, una collaborazione che mi auguro sarà sempre più stringente.

Roma, 28 aprile 2020

FR

L’Association des amis de la Villa Médicis naît en 1986 comme un projet consacré au théâtre vi-vant, qui a germé dans le sillon de la longue tradition d’échanges culturels entre l’Italie et la France. L’idée était de contribuer à réduire les distances entre les deux pays et de promouvoir leur richesse respective dans le domaine artistique. C’est une idée qui, en l’es-pace de quelques années, a englobé d’autres parties du monde, qui s’est développée, prenant le nom de Romaeuropa, en une communauté élargie incluant des artistes d’autres nationalités.

L’ouverture qui caractérise notre Fondation continue d’être soutenue par la France et stimulée par l’expérience acquise ensemble au début de notre activité, lorsque nous avons développé la capacité à rester à la frontière, une ligne où se croisent et se recoupent la diversité, les pensées, les identités, les personnes.

Une pluralité devenue harmonieuse à travers le dialogue, un patrimoine valorisé et diffusé grâce à des projets artistiques partagés, comme c’est le cas en Italie pour les productions soutenues par l’Am-

TESTIMONIANZA

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“La cultura è incontro ed è per sua natura dinamica. Ha dei confini permeabili, è un

flusso capace di aggirare le barriere erette in momenti di crisi.”

Nata a Tübingen, Germania, Monique Veaute studia Filosofia all’Università di Strasburgo. Giornalista a Radio France nel 1977 diventa nel 1984 responsabile degli eventi internazio-nali di France Musique. Si occupa di musica alla Biennale di Parigi e nel 1984 crea il Festival di Villa Medici che nel 1990 diventa la Fondazione Romaeuropa - Arte e Cultura, di cui è stata Direttore Artistico fin dalla prima edizione e di cui oggi è Presidente. Née à Tübingen, en Allemagne, Monique Veaute se consacre à des études de philosophie à l’Université de Strasbourg. Elle commence sa carrière comme journaliste à Radio France en 1977, et en 1984 devient responsable des événements inter-nationaux pour France Musique. En 1984, elle crée le Festival de la Villa Médicis qui devient ensuite, en 1990, la Fondation Romaeuropa - Art et Culture, dont elle a été la Directrice Artistique depuis le début et dont elle est aujourd’hui prési-dente.

bassade de France à Rome et promues par l’Institut français Italia à travers la saison de La Francia in Scena à laquelle Romaeuropa est associé.

Un éventail de propositions allant du théâtre à la musique, de la danse aux arts numériques, sélec-tionnées avec une attention particulière envers les formes contemporaines, les créations pluridiscipli-naires et les jeunes talents. On pense par exemple à Caroline Guiela Nguyen et Julien Gosselin, deux artistes nés dans les années 1980 et aujourd’hui considérés parmi les meilleurs metteurs en scène d’Europe, dont les créations donnent à voir une per-ception approfondie de notre époque et des autres.

La culture est une rencontre, elle est par nature dynamique. Elle comporte des limites perméables, c’est un flux capable de déjouer les barrières édifiées lors des crises. Certains murs voudraient amoindrir le sentiment de vulnérabilité mais alimentent en réalité l’intolérance et rendent encore plus tortueux le chemin qui mène à une conscience supérieure et au change-ment du monde, un vaste village dont nous sommes tous citoyens.

Quand certaines formes de contact avec l’autre sont entravées ou drastiquement réduites, les ac-teurs du monde de la culture sont appelés à élaborer de nouvelles modalités afin d’amoindrir les obstacles d’une compréhension réciproque. Une conquête qui devient possible grâce à une participation active et critique, et une collaboration qui, j’ose espérer, sera toujours plus étroite.

Rome, 28 avril 2020

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Il Romaeuropa Festival ha una sua profonda ragio-ne d'essere proprio negli scambi culturali tra Francia ed Italia: quando nel 1986 l’allora Direttore dell’Aca-démie de France Jean-Marie Drot assieme a Monique Veaute e all’Ambasciatore di Francia in Italia Jacques Andreani, inaugurarono l’omonimo festival si trattava di un progetto nato per favorire il dialogo culturale fran-co-italiano in un luogo altamente simbolico, i giardini di Villa Medici, istituzione francese nel cuore di Roma.

Da allora Romaeuropa è stata la porta di entrata in Italia di tanti artisti francesi che per la prima volta han-no trovato l’opportunità di incontrare pubblico, stampa e professionisti, assieme a decine di altri progetti in tut-ta Italia nei quali si articola oggi il dialogo franco-italia-no in tutti gli ambiti della produzione culturale.

Fin dagli anni successivi alla sua fondazione, il dia-logo franco-italiano si è subito allargato agli altri paesi europei, in primis Germania, Spagna, Gran Bretagna e poi naturalmente al Belgio, Olanda fino a includere l’in-sieme del nostro continente, a riprova che gli scambi culturali e la circolazione delle opere e degli artisti tro-vano nello spazio più ampio degli orizzonti internazio-nali la loro dimensione compiuta e il valore profondo del loro significato di costruzione comune e di condi-visione di visioni, per poi aprirsi necessariamente agli altri continenti in un costante confronto tra modernità e tradizione, pluralità di visioni, molteplicità delle esteti-che e critica artistica.

Proprio nel momento in cui una delle conseguenze dell’emergenza sanitaria mondiale in corso è il blocco delle frontiere e della libera circolazione delle persone e quindi anche delle opere degli artisti, e l’orizzonte del-la riapertura rimane indefinito almeno per quest'anno, possiamo misurare il valore profondo delle conquiste sovranazionali di questi ultimi trenta anni anche nel

IMMAGINARE LA RIPARTENZAFABRIZIO GRIFASI

Fabrizio Grifasi è nato a Napoli e vive tra Roma e Parigi. Socio fondatore e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura, nella quale attual-mente ricopre la carica di Direttore Generale e Artistico, ruolo di responsabilità estese all’intera organizzazione, con finalità di coordinamento e ottimizzazione di tutte le attività opera-tive e progettuali e con particolare riguardo ai programmi artistici del Romaeuropa Festival, Digitalife, stagioni Teatro Palladium e ai rapporti di collaborazione internazionali.

Fabrizio Grifasi est cofondateur et membre du Conseil d’Ad-ministration de la Fondation Romaeuropa Arte e Cultura, au sein de laquelle il occupe actuellement le poste de Directeur Général et Artistique. Ses responsabilités s’étendent à toute l’organisation, avec pour but la coordination et l’optimisation, de l’ensemble des activités opérationnelles et de conception de projet. Il porte une attention particulière aux program-mations artistiques du festival, de Digitalife, aux saisons du Teatro Palladium ainsi qu’aux relations et collaborations inter-nationales.

TESTIMONIANZA

settore culturale, in termini di cooperazione, amicizia, scambio, progettazione e sentire comune. E nel misu-rarne la mancanza attuale, costruire e immaginare la ripartenza futura.

Roma, 26 aprile 2020

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FR

Initialement, le Festival Romaeuropa trouve sa raison d’être précisément dans les échanges culturels entre la France et l’Italie : en 1986, ce sont le direc-teur de l’Académie de France de l’époque, Jean-Marie Drot, accompagné de Monique Veaute et de l’Am-bassadeur de France en Italie, Jacques Andreani, qui inaugurèrent le-dit festival. Il s’agissait alors d’un pro-jet né pour favoriser le dialogue culturel franco-italien, dans un cadre hautement symbolique, les jardins de la Villa Médicis, institution française située au cœur de Rome.

Depuis, Romaeuropa a constitué une porte d’en-trée sur l’Italie pour de nombreux artistes français qui se sont ainsi vus offrir pour la première fois la possi-bilité de rencontrer le public, la presse et les profes-sionnels, et d’accéder à des dizaines d’autres projets à travers toute l’Italie. Ces projets sont donc aujourd’hui autant de vecteurs du dialogue franco-italien et ce dans tous les domaines de la production culturelle.

Dès les années qui ont suivi sa fondation, le dia-

logue franco-italien s’est immédiatement ouvert vers les autres pays européens : en premier lieu l’Al-lemagne, l’Espagne, la Grande-Bretagne et puis en-suite, naturellement, la Belgique, les Pays-Bas, jusqu’à inclure l’ensemble de notre continent. C’est bien la

“Possiamo misurare il valore profondo delle conquiste sovranazionali, in termini di cooperazione, amicizia,

scambio, progettazione e sentire comune.”

preuve que les échanges culturels et la circulation des œuvres et des artistes trouvent, dans l’espace plus vaste des horizons internationaux, l’accomplissement et la valeur profonde de leur signification : la construc-tion en commun et le partage des regards. Le festi-val s’est ensuite ouvert, nécessairement, aux autres continents, dans une dialectique constante entre mo-dernité et tradition, pluralité des regards, multiplicité des esthétiques et critique artistique.

C’est justement au moment où les conséquences

de la crise sanitaire mondiale qui est en cours se tra-duisent par une fermeture des frontières et un arrêt de la libre circulation des personnes, et donc celle des œuvres et des artistes, et que l’horizon d’une ré-ouverture demeure incertain, au moins pour cette année, que nous pouvons mesurer toute la valeur des conquêtes supranationales de ces trente dernières années, y compris dans le secteur culturel, en termes de coopération, d’amitié, d’échange, de projets et d’émotions communes.

Et c’est en prenant toute la mesure du manque

actuel qu’il faut construire et imaginer un nouveau dé-part pour le futur.

Rome, 26 avril 2020

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Möbius, Compagnie XY e Rachid Ouramdane

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Fin dalla fine degli anni ‘60 la vocazione e l’inve-stimento principale della città di Prato è sempre sta-to rivolto alla creazione di luoghi per la produzione artistica contemporanea; il teatro, l’arte, la musica, la creazione di nuova generazione sono parte di una geo-grafia articolata che ha delineato negli anni l’intento strategico di costruire sul territorio una serie di strut-ture produttive dedicate alle arti del nostro tempo, con aperture e collegamenti sul piano internazionale.

Contemporanea Festival si sviluppa in questo quadro di riferimento, un progetto culturale da sem-pre parte strutturale della programmazione del Teatro Metastasio e rivolto ai nuovi ambiti della ricerca nel campo della cultura contemporanea e dello spetta-colo dal vivo. Il principio che fin dall'inizio ha mosso il progetto è stato quello di attraversare molteplici lin-guaggi per sperimentare nuove occasioni artistiche, realizzando progettualità, strategie, reti, secondo una precisa direzione di politica culturale. Il festival ha da sempre favorito come impegno preciso le collabora-zioni con le istituzioni e i circuiti internazionali, con lo scopo di promuovere la mobilità di artisti internazio-nali in Italia e viceversa di artisti italiani all’estero, cre-ando un forte incentivo alla collaborazione tra prati-che creative di provenienze e ambiti diversi.

Strategico negli anni è stato il rapporto costrui-to con l’Institut Français e prima ancora con l’ONDA; una relazione privilegiata, un legame diretto che si è custodito nel tempo nonostante le crisi economiche e politiche di questi anni complessi e che ha dimo-strato il valore di una relazione basata su un reciproco scambio culturale. Il confronto e il dialogo costante hanno favorito l’individuazione, e di conseguenza la circolazione e la promozione di linguaggi nati dall'ibri-dazione di processi creativi e di discipline artistiche, ampliando così le frontiere del contemporaneo. Se da un lato è stato decisivo per il raggiungimento di que-sti obiettivi la collaborazione e il sostegno dell'Institut français Italia e della Fondazione Nuovi Mecenati, dall’altro fondamentale è stato l’investimento che Contemporanea Festival ha dedicato a tanti artisti

“Favorire i linguaggi nati dall'ibridazione di processi

creativi per ampliare le frontiere del contemporaneo.”

francesi che hanno potuto, nel corso di questi anni, presentare e sviluppare i loro progetti all’interno delle nostre programmazioni, condividendo con il pubblico italiano le diverse forme della creazione contempora-nea internazionale. Le proposte artistiche nelle varie edizioni hanno collaborato a creare uno spostamento nella visione dell’opera d’arte, superando le distinzioni dei generi e trovando nuovi territori di innovazione da esplorare.

Rimane comunque importante sottolineare come

questo nostro presente incroci e intercetti continua-mente la distanza del passato, trovando un fondamen-to storico nella tradizione secolare dei rapporti tra la città di Prato e la Francia, che risalgono all'antichità. Numerosi sono infatti i collegamenti e gli intrecci che testimoniano come la relazione di oggi abbia radici lontane, quasi a sottolineare come questo legame non si sia mai interrotto, uno scambio continuo sul piano culturale, artistico, istituzionale. Un nutrimento che specialmente oggi in tempi di emergenza sanitaria as-sume valori ancora più vivi e necessari, che ci invitano a ripensare radicalmente le gerarchie che apparivano consolidate e a riflettere sulla necessità di trovare nuo-vi spazi di condivisione come una pratica fondante che sopravvive a qualsiasi chiusura e distanziamento, man-tenendo vivo il cuore della cultura europea.

Prato, 3 giugno 2020

UNA VOCAZIONE CONTEMPORANEA

EDOARDO DONATINI

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101 TESTIMONIANZA

FR

Depuis la fin des années 1960, la ville de Prato s’est démarquée par son engagement envers la création d’espaces dédiés à la production artistique contem-poraine. Le théâtre, l’art, la musique, la création de la nouvelle génération font partie d’une géographie arti-culée, façonnée au fil des ans par la volonté stratégique d’établir sur le territoire une série de structures de pro-duction dédiées aux arts les plus actuels, avec une vé-ritable ouverture et des passerelles vers l’international.

C’est dans ce cadre que s’inscrit le Contemporanea Festival, un projet culturel qui occupe depuis toujours une place fondamentale dans la programmation du Teatro Metastasio et qui s’intéresse aux domaines nouveaux de la recherche en matière de culture contemporaine et de spectacle vivant. D’emblée, le principe moteur du projet a été de brasser de multi-ples langages afin d’expérimenter de nouvelles op-portunités artistiques. Cela implique de concevoir des projets, des stratégies, des réseaux en fonction d’une politique culturelle bien précise. .

La relation construite au cours des années, d’abord avec l’ONDA, puis avec l’Institut Français, a été essentielle. Il s’agit d’une relation privilégiée, un lien direct que nous avons pu préserver dans le temps malgré les crises économiques et politiques de ces années compliquées, mettant ainsi en évidence la valeur d’un rapport fondé sur un échange culturel réciproque. La confrontation et le dialogue constant ont permis l’identification – et donc la circulation et la promotion – de langages nés de l’hybridation des pro-

Curatore di progetti interdisciplinari, Edoardo Donatini si occupa da trent’anni prevalentemente di teatro, dan-za e arte contemporanea. Ideatore e direttore artistico di Contemporanea Festival a Prato, è attualmente respon-sabile della sezione innovazione, danza, nuove generazio-ni del Teatro Metastasio. Dal 2016 è membro del Cda della Fondazione per le Arti Contemporanee in Toscana - Centro Pecci. Dal 2018 è docente di Direzione Artistica all’interno del corso di specializzazione in Progettazione di Eventi presso IED, Firenze.

cessus de création et des disciplines artistiques, élar-gissant ainsi les frontières du contemporain. Si d’une part la collaboration et le soutien de l’Institut français Italia et de la Fondation Nuovi Mecenati ont été déci-sifs afin de pouvoir remplir nos objectifs, d’autre part, l’engagement de Contemporanea Festival vis-à-vis de nombreux artistes français a été fondamental. Ils ont ainsi pu, au cours de ces dernières années, pré-senter et développer leurs projets dans le cadre de nos programmations, partageant avec le public ita-lien les formes les plus variées de la création contem-poraine internationale. Les propositions artistiques au cours des différentes éditions ont contribué à faire évoluer l’image que nous avons de l’œuvre d’art, en dépassant les distinctions entre les genres et en ouvrant de nouveaux territoires d’innovation qui sont encore à explorer.

Je souhaite aussi souligner combien la situation actuelle croise et intercepte continuellement un passé parfois très lointain, offrant un fondement his-torique à la tradition séculaire des rapports entre la ville de Prato et la France, qui remontent à l’Antiquité. Il existe en effet de nombreux liens et entrelacs qui témoignent d’une relation aux racines anciennes. On voit donc comment, grâce à un échange continu sur les plans culturel, artistique et institutionnel, ce lien ne s’est jamais rompu. Aujourd’hui en particulier, dans un contexte de crise sanitaire, cette richesse prend un caractère encore plus vif et nécessaire. Un contexte qui nous invite à repenser complètement des hiérar-chies qui semblaient bien installées et à s’interroger sur la nécessité d’inventer de nouveaux espaces de partage garants du maintien de la vivacité culturelle qui est au cœur de l’Europe, et dont aucune fermeture ou distanciation ne pourrait ébranler les fondements.

Prato, 3 juin 2020

Curateur de projets interdisciplinaires depuis trente ans, Edoardo Donatini s’occupe essentiellement de théâtre, de danse et d’art contemporain. Créateur et directeur artistique du Contemporanea Festival de Prato, il est actuellement responsable de la section innovation, danse, nouvelles gé-nérations du Teatro Metastasio. Depuis 2016 il est membre du Conseil d’Administration de la Fondazione per le Arti Contemporanee in Toscana – Centro Pecci. Depuis 2018 il est professeur en Direction Artistique dans le cadre de la for-mation spécialisée en Conception de projets et événements de l’IED (Institut Européen de Design) de Florence.

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Quando sono entrata a far parte del Consiglio di Amministrazione dell’École nationale supérieure des be-aux-arts di Lione, nel 2011, ricordo di esser stata accolta da Emmanuel Tibloux, il Direttore, e da Georges Képénékian, Presidente della scuola e Vicesindaco di Lione, con genti-lezza e con grande spirito di collaborazione.

Avevo già avuto modo di conoscere l'eccellenza dei programmi dell’ENSBA e, in qualità di Consigliere, ho potuto constatare personalmente la professiona-lità dei docenti e la qualità degli insegnamenti. Tra questi ultimi mi è parso subito particolarmente inte-ressante il programma Post-diplôme Art, che si rivolge ogni anno a cinque artisti, francesi e di altre naziona-lità, e che prevede anche un periodo di residenza a Lione, in un’ala dell’École adibita a studi d’artista. Oltre a questa preziosa occasione di scambio, il post-di-plôme offre ai partecipanti un intenso programma di incontri con artisti, curatori e critici, oltre a un viaggio che si svolge in parte anche all’estero. Per questo fin dal 2011 ho desiderato intensificare ulteriormente la mia relazione con l’ENSBA lavorando a un progetto di collaborazione che riguardasse proprio questo corso.

Il progetto si è concretizzato nell’organizzazione di una mostra dedicata a uno degli artisti parteci-panti al post-diplôme, allestita negli spazi espositivi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. In vista di questo appuntamento, i curatori della Fondazione - inizialmente Stefano Collicelli Cagol, seguito poi da Lorenzo Balbi e oggi da Bernardo Follini - incontrano tutti gli artisti partecipanti al post-diplôme a Lione, per dialogare sul loro lavoro e selezionare l’artista che sarà invitato a presentare le sue opere a Torino. In questi anni la Fondazione ha così potuto accogliere artisti Julien Creuzet (2012), Riikka Kuoppala (2013), Thomas Teurlai (2014), Pierre Michelon (2015), Daniel Frota (2016), Ghita Skali (2017). Nel 2018, invece, tut-te e cinque le artiste partecipanti al post-diplôme - Sophie T. Lvoff, Lou Masduraud, Irène Mélix, Maha Yammine e Georgia René-Worms - sono state invit-

TRA MISSIONE E PASSIONE

PATRIZIA SANDRETTO RE REBAUDENGO

“In un momento così complesso come quello che

stiamo vivendo, gli artisti hanno più che mai bisogno

di sostegno istituzionale e di supporto economico.”

te a Torino per la mostra collettiva Brazil. Quest’anno siamo felici di presentare la prima personale in Italia di Tarek Lakhrissi.

Credo che l’elemento più prezioso della partner-ship tra l’ENSBA di Lione e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo risieda nella possibilità concreta di sostenere artiste e artisti emergenti, garantendo loro spazi di sperimentazione, di produzione e di visibili-tà, e creando un importante scambio culturale tra la Francia e l’Italia. Questo progetto si inserisce dunque perfettamente nella mission della Fondazione, che da venticinque anni sostiene e promuove i giovani artisti anche attraverso la committenza e la produzione di nuove opere d’arte.

In un momento così complesso come quello che

stiamo vivendo, gli artisti hanno più che mai bisogno di sostegno istituzionale e di supporto economico: il ruolo della Fondazione è quello di continuare in que-sta direzione, anche attraverso collaborazioni interna-zionali prestigiose quali quella con l’ENSBA Lyon. Lo sguardo degli artisti e la loro professionalità sono fon-damentali per aiutarci a comprendere il nostro tempo e le nuove sfide che ci attendono.

Torino, 4 giugno 2020

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103 TESTIMONIANZA

Laureata in Economia e Commercio, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo si avvicina all'arte contemporanea come colle-zionista all'inizio degli anni ‘90. La passione per l'arte si tra-sforma in attività organizzata quando nel 1995 dà vita alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di cui è presidente.

Diplômée en économie et commerce, c'est d'abord en tant que collectionneuse que Patrizia Sandretto Re Rebaudengo s'intéresse à l'art contemporain dans les années 1990. Sa pas-sion pour l’art se transforme en activité structurée lorsqu’elle fonde en 1995 la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dont elle est Présidente.

FR

Lorsque je suis entrée au Conseil d’Administra-tion de l’École nationale supérieure des beaux-arts de Lyon, en 2011, je me rappelle avoir été accueillie par Emmanuel Tibloux, alors Directeur, et Georges Képénékian, Président et Adjoint au Maire de Lyon, avec sympathie et un grand esprit de collaboration.

J’avais déjà eu l’occasion de remarquer l’excel-lence des programmes de l’ENSBA et, en qualité de Conseillère, j’ai personnellement pu constater le professionnalisme des professeurs et la qualité des enseignements. Parmi ces derniers le programme Post-diplôme Art m’a tout de suite semblé particuliè-rement intéressant. Ce diplôme, qui s’adresse tous les ans à cinq artistes français et étrangers, prévoit une période de résidence à Lyon, dans une aile de l'École aménagée en ateliers d’artistes. En plus de cette pré-cieuse occasion d’échange, le Post-diplôme offre aux participants un programme intense de rencontres avec des artistes, des curateurs, des théoriciens et un voyage qui se déroule en partie à l’étranger. Pour cette raison, depuis 2011, j’ai désiré intensifier ma relation avec l’ENSBA en travaillant sur un projet de collabora-tion lié spécifiquement à ce programme.

Ce projet s’est concrétisé à travers l’organisation d’une exposition dédiée à l’un des artistes participants au Post-diplôme, présentée au sein des espaces d’ex-position de la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. En vue de ce rendez-vous, les curateurs de la Fondazione - initialement Stefano Collicelli Cagol, suivi ensuite par Lorenzo Balbi et aujourd'hui Bernardo Follini - rencontrent tous les artistes du Post-diplôme à Lyon, pour dialoguer sur leur travail et sélectionner l’artiste qui sera invité à présenter ses œuvres à Turin. La Fondazione a pu ainsi accueillir successivement les artistes Julien Creuzet (2012), Riikka Kuoppala (2013), Thomas Teurlai (2014), Pierre Michelon (2015), Daniel Frota (2016), Ghita Skali (2017). En 2018, en revanche, les cinq artistes participant au Post-diplôme - Sophie T. Lvoff, Lou Masduraud, Irène Mélix, Maha Yammine et Georgia René-Worms - ont été invitées à Turin pour l’exposition collective Brazil. Cette année nous sommes heureux de présenter la première exposition personnelle en Italie de Tarek Lakhrissi.

Je crois que l’élément le plus précieux du partena-riat entre l’ENSBA de Lyon et la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo réside dans la possibilité concrète de soutenir les artistes émergents, en leur offrant un es-pace d’expérimentation, de production et de visibilité, et en créant un important échange culturel entre la France et l’Italie. Ce projet s’insère donc parfaitement dans la mission de la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, qui depuis vingt-cinq ans, soutient et promeut les jeunes artistes au travers notamment des commandes et de la production de nouvelles œuvres d’art.

Dans un moment si complexe comme celui que nous sommes en train de vivre, les artistes ont plus que jamais besoin de soutien institutionnel et économique : le rôle de la Fondazione est de continuer dans cette di-rection, au travers notamment de prestigieuses collabo-rations internationales comme celle tissée avec l’ENSBA de Lyon. Le regard des artistes et leur travail sont fonda-mentaux pour nous aider à comprendre notre temps et les nouveaux défis qui nous attendent.

Turin, 4 juin 2020

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“Potevamo scegliere tra il conoscere il mondo at-traverso un percorso personale della durata di un viag-gio o portare il mondo a Dro attraverso lo sguardo po-lisemico e inimmaginabile di centinaia di artisti, e farlo durare una vita intera. Abbiamo scelto la seconda via, immaginando un centro internazionale di residenza, creazione e produzione delle arti performative a Dro, un piccolo paese del Trentino.”

Il rapporto tra Centrale Fies e la Francia si è raf-forzato, anno dopo anno, attraverso quello che – ai tempi della scelta fondativa – era solo un desiderio verbalizzato: quello “sguardo polisemico e inimmagi-nabile” degli artisti e delle artiste. Spesso in Italia per la prima volta, le opere di Philippe Quesne, L’Amicale de production, Mohamed El Khatib, Ivana Müller, Jean-Luc Verna, Gérald Kurdian, Julie Béna, Anne Lise Le Gac, Jeanne Moynot, Anne-Sophie Turion e della Compagnia Shonen hanno portato con grande tem-pismo, quando non anticipo, un ventaglio ampissimo di pratiche performative live: dalla sound and new media art alle lecture performance, dalle pratiche coreografi-che a quelle relazionali, allargando lo sguardo del pub-blico su nuove “tassonomie” performative, spesso an-che di grande ispirazione. All’interno della “free-school of performance” del nostro festival Live Works, gli artisti francesi si sono conquistati – superando ogni selezione fin dalla prima edizione – l’opportunità di sperimentare e lavorare in un programma collettivo di residenze im-prontate sull’approfondimento e l’ampliamento della nozione di performance, seguendo l’attuale sposta-mento del performativo e delle sue cifre.

Nel 2017, grazie all’invito del Palais de Tokyo di Parigi, Centrale Fies con due artisti di Live Works è sta-ta invitata al festival DO DISTURB! diretto da Vittoria Matarrese, a sua volta guest curator alla free-school of performance. Essere presenti come Centrale Fies in una programmazione d’eccellenza ha consacrato ulteriormente l’importanza della piattaforma dedicata alla performance art, che tra i suoi obiettivi ha sempre avuto quello di dare, agli artisti che ne prendono parte,

RIPARTIRE DALLA CURA

BARBARA BONINSEGNA & DINO SOMMADOSSI

“Spesso in Italia per la prima volta, le opere degli artisti

francesi hanno portato con grande tempismo, quando non

anticipo, un ventaglio ampissimo di pratiche performative live.”

una visibilità che si traduce in sostegno reale, in espe-rienze uniche e in una rete professionale di alta qualità in grado di attivarsi da subito, come in questo caso.

Anche quest'anno la Francia sarebbe arrivata a Dro attraverso le forme più inaspettate, tessendo tra-me sempre più articolate di corpi, di parole e di nuove pratiche, artisti come Mohamed El Khatib, Philippe Quesne e Sorour Darabi scelti per la quarantesima edizione del festival estivo e con la preziosa presen-za di Cédric Fauq, curatore al Palais de Tokyo e tra i guest curator di Live Works vol. 8.

Il festival dello scorso anno di Centrale Fies si chiudeva con l’opera Crowd, di Gisèle Vienne. La pla-tea stracolma si rifletteva sulla scena della sala più grande di Fies, in un tutt’uno tra i corpi dei danzatori e quelli dei pubblici, in un fondersi ideale, nel calore dei corpi immersi nello spazio pubblico. Come lavoratori e lavoratrici dello spettacolo dal vivo, riconquistere-mo quel calore a partire dalla cura: la cura dei corpi, la cura degli spazi, la cura delle relazioni, la cura delle politiche, la cura degli sguardi, e forse anche a partire dalla cura di questa Europa che in passato ci ha fatto toccare l’esperienza di non avere più confini.

Dro (TN), 6 maggio 2020

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L’année dernière, le festival de Centrale Fies se clôturait sur l’œuvre Crowd de Gisèle Vienne. Le par-terre plein à craquer se reflétait sur la scène de la plus grande salle de Fies, mêlant les corps des danseurs et ceux du public qui ne faisaient plus qu’un, dans une fu-sion idéale, dans la chaleur des corps immergés dans l’espace. En tant qu’opérateurs et opératrices du spec-tacle vivant, nous allons reconquérir la chaleur par le soin : le soin des corps, le soin des espaces, le soin des relations, le soin des politiques, le soin des regards, et peut-être aussi par le soin de cette Europe qui, dans le passé, nous a offert l’expérience d’un espace aux fron-tières abolies.

Dro (TN), 6 mai 2020

Barbara Boninsegna e Dino Sommadossi sono fondatori di Centrale Fies, centro di produzione e residenze artistiche per le arti performative a Dro (TN). Da 20 anni lo dirigono quoti-dianamente occupandosi della curatela, ricerca, divulgazione della performance art nelle scuole, progettazione culturale, consulenza e affiancamento di artisti nel mondo delle pra-tiche performative. A livello nazionale e internazionale si oc-cupano di produzione e collaborano stabilmente con gallerie, strutture dedicate all’arte contemporanea e festival.

Barbara Boninsegna et Dino Sommadossi sont les fondateurs de Centrale Fies, un centre de production et une résidence d’artistes dédiés aux arts performatifs à Dro, près de Trente, qu'ils dirigent depuis 20 ans. Leur travail repose sur le com-missariat, la recherche, la vulgarisation de l’art de la perfor-mance dans les écoles, la conception de projets culturels, le conseil et l’accompagnement d’artistes dans le domaine des pratiques performatives. Ils s’occupent de la production de spectacles à l’échelle nationale et internationale et colla-borent de façon durable avec des galeries, des centres d’art contemporain et des festivals.

FR

« Nous avions le choix entre découvrir le monde à tra-vers un cheminement personnel, le temps d’un voyage, ou bien amener le monde à Dro, à travers le regard poly-sémique et insoupçonné de centaines d’artistes, et faire en sorte que cela dure toute une vie. Nous avons choisi la seconde voie, en imaginant un centre international de résidence, de création et de production pour les arts per-formatifs à Dro, un village de la région du Trentin. »

D’année en année, le lien entre Centrale Fies et la France s’est renforcé, justement à travers ce qui n’était, à l’époque du choix fondateur, qu’un désir verbalisé : ce « regard polysémique et insoupçonné » des artistes. Ce sont les œuvres de Philippe Quesne, L’Amicale de production, Mohamed El Khatib, Ivana Müller, Jean-Luc Verna, Gérald Kurdian, Julie Béna, Anne Lise Le Gac, Jeanne Moynot, Anne-Sophie Turion et de la Compagnie Shonen qui ont amené, souvent pour la première fois en Italie, voire en avant-première, un éventail très large de pratiques performatives live. Du sound and new media art à la lecture performance, des pratiques chorégra-phiques aux esthétiques relationnelles, élargissant le regard du public vers de nouvelles « taxonomies » performatives, souvent très inspirantes. Au sein de la « free-school of performance » de notre festival Live Works, les artistes français ont su conquérir – passant toutes les phases de sélection dès la première édition - l’opportunité d’expérimenter et de travailler dans le cadre d’un programme collectif de résidences orientées vers l’approfondissement et l’élargissement de la notion de performance, en écho à l'évolution actuelle de ce champ de la création et de ses principes.

En 2017, grâce à l’invitation du Palais de Tokyo à Paris, Centrale Fies ainsi que deux artistes de Live Works ont été invités au festival DO DISTURB! dirigé par Vittoria Matarrese, elle-même commissaire invitée auprès de la free-school of performance. Représenter Centrale Fies au sein d’une programmation d’excellence a permis de confirmer l’importance de cette plateforme dédiée l'art de la performance. Depuis le début, l’un de ses princi-paux objectifs est bien de pouvoir offrir aux artistes qui y prennent part une visibilité qui se traduit par un soutien concret, des expériences uniques et un réseau profes-sionnel de grande qualité et activable immédiatement, comme en cette occasion.

Cette année encore la France serait arrivée jusqu’à

Dro sous les formes les plus inattendues, tissant une trame de plus en plus articulée de corps, de mots et de pratiques nouvelles. Citons notamment des artistes comme Mohamed El Khatib, Philippe Quesne et Sorour Darabi, qui avaient été choisis en vue de la quarantième édition du festival d’été, sans compter la précieuse pré-sence de Cédric Fauq, conservateur au Palais de Tokyo et parmi les commissaires invités de Live Works vol. 8.

TESTIMONIANZA

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CLAUDIA DI GIACOMO& CAROLINE MARCILHAC

Partner entrambe del progetto Fabulamundi Playwriting Europe, volto a promuovere la drammaturgia europea contemporanea, Claudia di Giacomo e Caroline Marcilhac condividono la stessa volontà: quella di portare in scena le opere dei drammaturghi

dei loro paesi al di là delle frontiere geografiche e della lingua. Prima che Fabulamundi volgesse al termine nell’autunno 2020, hanno accettato di condividere il loro punto di

vista sul teatro contemporaneo.

Il momento di rallentare

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Caroline Marcilhac – Il mio rapporto con la sce-na artistica italiana risale a CartaBianca, il progetto transfrontaliero italo-francese, con il Festival delle Colline Torinesi che ospitava autori e artisti francesi in Italia e viceversa. Il mio rapporto con la scena arti-stica italiana si è consolidato ulteriormente durante la mia lunga permanenza al Festival di Avignone come production manager. Erano gli anni di Pippo Delbono e di Romeo Castellucci e la relazione con l’ERT – Emilia Romagna Teatro dell’allora direttore Pietro Valenti era molto forte. Quando più tardi sono tornata a Marsiglia, ho iniziato a collaborare con Face à Face, l’altro pro-getto bilaterale dedicato alla promozione della dram-maturgia contemporanea italiana sulle scene francesi e della drammaturgia contemporanea francese sulle scene italiane. Sono arrivata poi a Fabulamundi.

Claudia Di Giacomo – Con PAV il lavoro sulla drammaturgia contemporanea francese ha avuto inizio grazie alla collaborazione con l’Ambasciata di Francia: era il 2006 e attraverso tutta una serie di pro-getti promossi dall’Ambasciata e che facevano capo al TERI – Traduction, Édition, Représentation en Italie, sia-mo venute a contatto con un archivio enorme di testi e di autori francesi. Abbiamo iniziato a schedarli, selezio-narli e a promuoverli in diversi teatri italiani. Così è nato Face à Face, era il 2007. Il Teatro Eliseo, allora diretto da Antonio Calbi, è stato il primo a raccogliere questa sfida e ad affidare testi di autori francesi ad attori ita-liani famosi in modo da riuscire ad attirare più pubblico possibile. È stato un progetto di grande successo che rapidamente è riuscito a coinvolgere diversi teatri in Italia. Dal 2009 poi siamo riusciti a realizzarlo anche in Francia, e la collaborazione di molti teatri francesi è stata molto generosa. Hanno invitato spettacoli di compagnie italiane decretando il successo di alcuni artisti in modo significativo.

CM – Anche in Francia affidavamo a registi ri-conosciuti i testi degli autori italiani in modo che potessero avere una maggiore visibilità e attrarre il pubblico francese.

CDG – Con Face à Face in Italia abbiamo ospitato autori francesi come Marion Aubert, Joël Pommerat, Jean-René Lemoine. E la chiave del successo di que-sta operazione è stata la relazione che siamo riusciti a stabilire fra i teatri italiani e i testi francesi proprio at-traverso l’innesco degli artisti. Un meccanismo che ha funzionato e che abbiamo poi deciso di portare avan-ti anche con un progetto più grande ed esteso come Fabulamundi.

CM – Quando sono arrivata al Theatre Ouvert, anche per me è stato naturale voler continuare a svi-luppare il lavoro sulla drammaturgia contemporanea ed aprire una finestra sul panorama europeo, non solo francese, grazie all’azione di un progetto come Fabulamundi. Parlando dei diversi sistemi teatrali, la Francia non è come l’Inghilterra dove la drammaturgia contemporanea è consolidata, sui nostri palcoscenici è molto più facile vedere rappresentati Shakespeare, Molière, Racine che testi di autori viventi. Ma i sussidi a favore degli autori contemporanei ci sono, così come ci sono istituzioni importanti quali la SACD che promuo-vono gli autori, e poi abbiamo molti editori e quindi mol-ti testi vengono pubblicati anche se non tutti vengono rappresentati. E in Italia invece?

CDG – Noi abbiamo premi importanti, come il Premio Riccione o il Premio Hystrio, che svolgono an-che un’attività preziosa di scouting per quel che riguar-da le nuove voci della drammaturgia contemporanea, ma che poi in effetti non riescono ad impattare così significativamente sulle carriere degli artisti, nonostan-te il grande prestigio. Questo perché in Italia manca un sistema strutturato che consenta agli autori di entrare nella filiera della scena e di crescere. Piccoli cambia-menti s’iniziano a vedere grazie a tante iniziative che nel tempo sono state messe in campo, di cui sono par-te i nostri progetti come Face à Face e Fabulamundi. L’iniziativa dello Stabile di Torino, Playstorm, affidata a Fausto Paravidino, ad esempio, si può intendere come un primo tentativo di stabilire una sorta di ufficio dram-maturgia in un teatro nazionale, oppure ancora prima, il Piccolo Teatro di Milano che dopo Ronconi ha scelto

DIALOGO

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un drammaturgo, Stefano Massini, come consulente artistico (ed è stato un passaggio simbolico quello di passar il testimone da un regista, appunto Ronconi, a un autore). E poi ci sono l’ERT con il suo corso annuale per dramaturg, oppure Fabrizio Sinisi che è consulente del Teatro Stabile di Brescia.

CM – In Francia a partire dal 2000 molti autori hanno iniziato a unirsi in gruppi per richiedere mag-giore visibilità, considerazione e presenza sulla scena teatrale francese. Tutto è nato dopo che un articolo di Libération aveva titolato “Non esistono più autori fran-cesi viventi”. Certo la situazione degli autori non è idillia-ca in Francia ma se guardo all’Italia, certo, penso che i nostri artisti siano dei privilegiati.

CDG – Probabilmente per la Francia è anche una questione legata ai numeri: più strumenti di supporto ci sono, più autori ci sono e quindi più si avverte la difficol-tà ad emergere e a raggiungere una posizione consoli-data in termini di visibilità e riconoscimento.

CM – Sai in Francia ci sono istituzioni importanti come l’Artcena e la Maison Antoine Vitez che svolgono un ruolo cruciale nella promozione e nel sostegno degli autori e, al contempo, abbiamo sicuramente più fondi pubblici destinati agli artisti e ai teatri rispetto ad altri paesi europei.

CDG – Anche in Italia la drammaturgia contem-poranea trova spazio per lo più nelle piccole sale e nei festival, e si tratta in genere di produzioni medio piccole che non sempre riescono a intercettare l’attenzione dei grandi teatri e delle istituzioni.

CM – Riguardo alla situazione di crisi che abbiamo appena trascorso, credo che lo scotto maggiore lo stia-no pagando specialmente le compagnie indipendenti, questo perché le produzioni che dovevano debuttare tra marzo e settembre sono state rimandate mentre le nuove produzioni sono state congelate in attesa di recuperare tutto il sospeso. Per il Theatre Ouvert, ad esempio, questo è un incubo perché noi ci stavamo concentrando solo su nuove produzioni. D’altra parte, festival importanti come quello di Avignone sono stati cancellati precludendo alle compagnie e agli artisti la possibilità di essere visti da platee internazionali e di creare nuove connessioni. Il lockdown in Francia è ini-ziato il 17 marzo scorso e non so quando finirà, si parla di giugno per la riapertura dei teatri ma tutto dipenderà dalle condizioni con cui questo avverrà. Sarà in ogni caso problematico tornare alla normalità, nonostante i finanziamenti statali a favore del settore e alle forme di sostegno per artisti e tecnici. Molti teatri in Francia, come Theatre Ouvert, hanno deciso di pagare comun-que gli artisti che erano stati già invitati con i loro spet-tacoli prima della chiusura dovuta al Covid.

I partner del progetto Fabulamundi, Roma, 2019

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CDG – In Italia la situazione è più o meno simile in termini di criticità ma gli artisti, a differenza della Francia, non hanno potuto contare su questo diritto di solidarietà da parte dei teatri per le produzioni che non sono andate in scena. Il governo ha previsto diver-se forme di sostegno per i lavoratori dello spettacolo ma non tutti gli artisti sono rientrati nei requisiti mini-mi richiesti per poter acceder al sostegno e questo ha generato ulteriore malcontento. Sicuramente a fare le spese di questa situazione sono soprattutto i piccoli spazi e i singoli artisti. La situazione è così incerta e de-licata che anche la riapertura del 15 giugno prossimo, con le regole imposte dal decreto, non sarà possibile per tutti.

CM – Qui in Francia, molti artisti si stanno riunendo su Zoom per interrogarsi, confrontarsi e condividere nuovi linguaggi e modalità lavorative. Anch’io a Theatre Ouvert sto aprendo le porte ai drammaturghi e alle loro proposte secondo un approccio orizzontale. Con un gruppo di artisti ci stiamo, ad esempio, concentrando sulla tematica ecologista e sulle implicazioni etiche. Meno competizione e più collaborazione, è questa la di-rezione in cui stiamo provando ad andare, sviluppando i processi più che le produzioni e lavorando in territori nuovi. Quindi sì, stiamo ancora progettando, insieme agli autori e al pubblico, e non si tratta strettamente e per forza di un teatro partecipativo ma di nuove forme di attenzione e di condivisione dei processi.

CDG – Sicuramente condividiamo la stessa atten-zione ai processi perché penso che adesso sia arrivato il momento di rallentare, non lavorare più sotto quella pressione folle alla produzione ma concentrarsi sulla qualità del lavoro e riconoscere agli artisti il tempo della ricerca, dello studio. Creare più occasioni per conosce-re meglio gli artisti, lasciare loro più spazio, a prescin-dere se abbiano o meno uno spettacolo sotto debutto. Il sistema ha, ora più che mai, la possibilità di cambiare.

Parigi / Roma, 26 maggio 2020

Intervista a cura di Valentina De Simone

FR

Caroline Marcilhac – Ma relation avec la scène artistique italienne remonte à Cartabianca, un projet transfrontalier franco-italien réalisé dans le cadre du festival Colline Torinesi qui invitait des auteurs et ar-tistes français en Italie, et vice versa. Il s’est d’autant plus renforcé au cours de ma longue expérience au festival d’Avignon. C’était l’époque de Pippo Delbono et de Romeo Castellucci, et la relation avec l’ERT- Emilia Romagna Teatro, que dirigeait Pietro Valenti, était très forte. Quand je suis revenue plus tard à Marseille, j’ai commencé à participer à Face à Face, l’autre pro-jet bilatéral dédié à la promotion de la dramaturgie contemporaine italienne sur les scènes françaises et de la dramaturgie française sur les scènes italiennes. Et puis ce fut l'aventure de Fabulamundi.

Claudia Di Giacomo – Dans le cadre de l’activité de PAV, le travail sur la dramaturgie contemporaine fran-çaise a débuté grâce à la coopération avec l’Ambas-sade de France en Italie : en 2006, à travers une série de projets dont l’Ambassade assurait la promotion et qui relevaient du programme TERI - Traduction, Edition, Représentation en Italie, nous avons été au contact d’importantes archives de textes et d’auteurs français. Nous avons commencé à les trier, à les sélectionner et à les promouvoir dans différents théâtres italiens. C’est ainsi que Face à Face est né en 2007. Le Teatro Eliseo, qui était dirigé par Antonio Calbi, a été le premier à re-lever le défi et à confier des textes d’auteurs français à des acteurs italiens célèbres pour attirer le plus grand nombre de spectateurs. Le projet a eu beaucoup de succès et a permis à plusieurs théâtres en Italie de s’im-pliquer. Depuis 2009, nous avons réussi à le réaliser en France également et de nombreux théâtres français ont généreusement collaboré à ce projet. Ils ont accueilli des spectacles de compagnies italiennes et permis d’asseoir le succès de nombreux artistes de manière significative.

CM – En France, nous confions aussi à des met-teurs en scène reconnus des textes d’auteurs italiens pour leur offrir une meilleure visibilité et leur permettre d’attirer le public français.

CDG – En Italie, grâce à Face à Face, nous avons accueilli des auteurs français comme Marion Aubert, Joël Pommerat, Jean-René Lemoine. Le succès de cette opération a été la relation qui s’est tissée entre les théâtres italiens et les théâtres français grâce à l’amorce donnée par les artistes notamment. Un mécanisme qui a fonctionné et que nous avons voulu poursuivre avec un projet plus étendu comme Fabulamundi.

CM – De mon côté, quand j’ai intégré le Théâtre Ouvert, j’ai voulu naturellement développer le travail sur la dramaturgie contemporaine et ouvrir une fenêtre sur le panorama européen, pas uniquement français, grâce à l’action d’un projet comme Fabulamundi. Parmi les dif-

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férents systèmes théâtraux, la France n’est pas comme l’Angleterre où la place de la dramaturgie contempo-raine est consolidée. Il est beaucoup plus facile de voir sur nos scènes des représentations de Shakespeare, Molière, Racine que des auteurs vivants, même si des subventions pour les auteurs contemporains existent ainsi que des institutions importantes comme la SACD qui assurent la promotion des auteurs. Nous avons éga-lement de nombreux éditeurs, de nombreux textes sont donc publiés même s'ils ne sont pas tous représentés. Comment cela se passe-t-il en Italie ?

CDG – Nous avons des Prix importants comme le Prix Riccione ou le Prix Hystrio, qui permettent d'effec-tuer aussi une activité de repérage dans le domaine des nouvelles voix de la dramaturgie contemporaine mais qui n’ont pas vraiment d’impact sur les carrières des artistes, malgré leur grand prestige : en Italie, il manque un système structuré qui permette aux auteurs d’entrer dans la filière théâtrale et de grandir. On commence à voir de petits changements grâce à de nombreuses ini-tiatives mises en place, dont font partie nos projets Face à Face et Fabulamundi. L’initiative du Teatro Stabile de Turin, Playstorm, confiée à Fausta Paravidino, peut être vue comme une première tentative d’établir une sorte de bureau de la dramaturgie dans un théâtre national, ou même auparavant le Piccolo Teatro de Milan qui a choisi, après Luca Ronconi, Stefano Massini comme consultant artistique (le passage de témoin d’un met-teur en scène à un auteur est justement symbolique). Nous avons aussi l’ERT avec son cours annuel pour dra-maturges ou encore Fabrizio Sinisi qui est le consultant du Teatro Stabile de Brescia.

CM – En France, à partir de l’an 2000, de nombreux auteurs ont commencé à se réunir en collectif pour ré-clamer plus de visibilité, de considération et de présence sur la scène théâtrale française. Tout est né d’un article de Libération intitulé « Il n’y a plus d’auteurs français vi-vants ». La situation des auteurs en France n’est certes pas idyllique mais si l’on regarde l’Italie, je pense que les auteurs français sont des privilégiés.

CDG – En France, c’est certainement lié aussi au nombre : plus il existe de dispositifs de soutien, plus il y a d’auteurs, et plus il est donc difficile d’émerger et d’at-teindre une position consolidée en termes de visibilité et de reconnaissance. En Italie, la dramaturgie contem-poraine trouve aussi un espace dans les petites salles et dans les festivals, ce sont en général de petites et moyennes productions qui ne réussissent pas toujours à attirer l’attention des grands théâtres et des institutions.

CM – Si on en vient à la crise que nous venons de traverser, je pense que ce sont les compagnies indépen-dantes qui paient le plus lourd tribut : les productions qui devaient débuter entre mars et septembre ont été re-portées et les nouvelles productions ont été congelées dans l’attente de pouvoir reprendre les répétitions. Par

exemple, pour le Théâtre Ouvert, c’est un cauchemar car nous nous étions concentrés exclusivement sur les nouvelles productions. Il faut ajouter que des festivals importants comme celui d’Avignon ont été annulés, ce qui n’a pas permis aux compagnies et aux artistes d’être vus par des parterres internationaux et de créer de nouvelles connexions. Même avec l'annonce de la réouverture des théâtres, il sera difficile de revenir à la normalité, malgré les financements de l’État pour le secteur et les différentes forme de soutien pour les ar-tistes et techniciens. De nombreux théâtres en France, comme le Théâtre Ouvert, ont décidé de payer les ar-tistes qui avaient été programmés avant la fermeture causée par le Covid.

CDG – En Italie, la situation est aussi critique, mais à la différence de la France, les artistes n’ont pas toujours eu droit à la solidarité des théâtres pour les productions qui n’ont pas été présentées. Le gouvernement a prévu différentes formes de soutien pour les professionnels du spectacle mais tous les artistes ne répondent pas aux critères minimums demandés pour y avoir accès, et cela a généré encore plus de mécontentement. Ce sont bien sûr les petits espaces et les artistes, de manière in-dividuelle, qui paient le prix de cette situation : elle est si incertaine et délicate que même la réouverture des théâtres le 15 juin dernier, dans le respect des règles im-posées par le décret, n’a pas été pas possible pour tous.

CM – Ici en France, de nombreux artistes se sont réunis sur Zoom pour s’interroger, échanger leurs points de vue, partager de nouveaux langages et de nouvelles modalités de travail. Au Théâtre Ouvert, j’ai moi aussi ouvert les portes aux dramaturges et à leurs proposi-tions selon une approche horizontale. Nous nous pen-chons par exemple sur la thématique de l’écologie et sur les implications éthiques avec un groupe d’artistes. Moins de compétition et plus de collaboration : nous es-sayons d’aller dans cette direction en développant des procédés plus que des productions et en travaillant sur de nouveaux territoires. Nous sommes donc en effet en-core au stade de projet, avec les auteurs et le public, et il ne s’agit pas forcément d’un théâtre participatif mais plutôt de nouvelles préoccupations et partages de pro-cédés.

CDG – Nous partageons la même attention envers les processus. Il est temps maintenant je pense de ra-lentir, de ne plus travailler sous cette pression folle de la production mais de se concentrer sur la qualité du travail et de redonner aux artistes le temps de la recherche, de l’observation. Il faut créer plus d’occasions de rencontre avec les artistes, leur accorder plus d’espace, qu’ils aient ou pas un spectacle en projet. Aujourd’hui, le système a, plus que jamais, l’occasion de changer.

Paris / Rome, 26 mai 2020

Propos recueillis par Valentina De Simone

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Socia fondatrice di PAV assieme a Roberta Scaglione, Claudia Di Giacomo cura i diversi progetti, delineando le stra-tegie di impresa rispetto agli obiettivi di valorizzazione del te-atro contemporaneo e della promozione del lavoro artistico. Numerosi i progetti realizzati a livello internazionale, tra cui il progetto vincitore 3 volte del sostegno dell’Unione Europea Fabulamundi Playwriting Europe e Face à Face, progetto bila-terale tra l’Italia e la Francia. Dal 2015 insegna presso il DAMS dell’Università Roma Tre e presso l’Accademia Nazionale d’Ar-te Drammatica Silvio d’Amico.

Co-fondatrice avec Roberta Scaglione de PAV, société spécialisée dans la conception, la production et la gestion de projets dans le domaine du spectacle vivant, Claudia Di Giacomo a réalisé de nombreux projets à l’international, no-tamment Fabulamundi Playwriting qui a bénéficié du sou-tien de l’Union Européenne à trois reprises et Face à face, un projet bilatéral entre la France et l’Italie. Elle enseigne au sein du Diplôme Arts, Musique, Spectacle (DAMS) de l’Université Roma Tre et à l’Académie Nationale d’art dramatique Silvio d’Amico depuis 2015.

Consulente e amministratrice di compagnie e del Centre Dramatique National negli anni 90, Caroline Marcilhac a par-tire dall'inizio degli anni 2000 diventa codirettrice del Centre d’arts contemporains Montévideo di Marsiglia, poi direttrice di produzione del Festival d’Avignon (2003-2011), e coordi-natrice del festival international des arts de la scène Actoral di Marsiglia (dal 2011 al 2013). Nominata alla direzione del Théâtre Ouvert en 2014 dal Ministro della Cultura Aurélie Filippetti, succedendo ai fondatori Lucien e Micheline Attoun,sviluppa un progetto fedele ai principi che hanno guidato questa avventura unica nel paesaggio teatrale francese, all'a-scolto delle nuove scritture drammaturgiche.

Consultante et administratrice de compagnies et de Centre Dramatique National dans les années 1990, Caroline Marcilhac devient, à partir du début des années 2000, co-directrice du centre d’arts contemporains Montévideo à Marseille, puis directrice de production du Festival d’Avignon (2003-2011), et codirectrice du festival international des arts de la scène Actoral à Marseille (2011-2013). Nommée à la di-rection de Théâtre Ouvert en 2014, pour succéder aux fon-dateurs Lucien et Micheline Attoun, elle y développe depuis lors un projet fidèle aux principes qui ont guidé cette aventure unique dans le paysage théâtral français, à l’écoute des nou-velles écritures dramaturgiques.

“Meno competizione e più collaborazione, è questa la direzione in cui stiamo provando ad andare, sviluppando i processi più

che le produzioni e lavorando in territori nuovi.”Caroline Marcilhac

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9. TUTTI MATTI PER COLORNOColorno e Montechiarugolo (Emilia-Romagna)Il festival internazionale di circo contemporaneo, teatro e mu-sica Tutti Matti per Colorno torna quest’anno per tre giorni sul segno della convivialità, della partecipazione e della con-divisione. Quest’anno il pubblico di tutte le età potrà scoprire due compagnie francesi di circo: Entre Nous e Les Hommes Penchés, per due performance all’insegna dell’equilibrio delle acrobazie e delle giravolte. 3 – 6 settembre

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10. GÉRALD KURDIAN, HOT BODIES – CHOIRFestival Short Theatre, WeGil, RomaIl lavoro di Gérald Kurdian è un mix tra performance, documen-tario e musica, che spesso prende la forma di un “concerto obli-quo”, esperienza artistica collettiva, inclassificabile e sperimen-tale. Per il festival Short Theatre, Gérald Kurdian presenterà una nuova creazione che riunisce sul palco un gruppo di non professionisti in una corale femminista e queer, musicalmente orchestrata dall’artista. 4 e 5 settembre

11. UNA STRISCIA DI TERRA FECONDA, PARTE 2Parco delle Casa del Jazz, RomaPer il suo secondo capitolo, il festival torna nella capitale con un programma di 11 concerti e un cast sempre più prestigio-so: il sassofonista Eric Séva, i fisarmonicisti Vincent Peirani e Thomas de Pourquery, la sassofonista contralto Géraldine Laurent, o ancora il duo NoSax NoClar, vincitori del concorso Jazz Migration. Per concludere in bellezza, la performance inedita del trombettista Erik Truffaz accompagnato dall’attrice francese Sandrine Bonnaire. 5 – 8 settembreTestimonianza di Paolo Damiani, pag. 24.

12. MARIE LOSIER, THE BALLAD OF GENESIS AND LADY JAYE E FELIX IN WONDERLAND!Festival Short Theatre, Teatro India, RomaIl festival Short Theatre presenta due film della regista france-se Marie Losier: il 7 settembre sarà presentato un focus su The Ballad of Genesis and Lady Jaye, film che ripercorre la storia dell’artista Genesis Breyer P-Orridge, che per amore della par-tner artistica e di vita Lady Jaye, iniziò una serie di operazioni chirurgiche per fondersi in un’unica entità. Il 13 settembre sarà invece presentato il mediometraggio Felix in Wonderland, un viaggio nel mondo del musicista Felix Kubin, stravagante prin-cipe tedesco della musica elettronica contemporanea. 7 e 13 settembre

13. FABULAMUNDI, PLAYWRITING EUROPENell’autunno 2020 Fabulamundi arriverà a toccare il suo conclusivo anno: da settembre a dicembre tutti i partner del progetto saranno impegnati in diverse attività di formazione e di restituzione di tutto il lavoro fatto dal 2012 ad oggi. Un pro-getto ambizioso che inizierà a settembre con Fabulamundi Effects: in tutti i paesi coinvolti e su www.fabulamundi.eu andrà in scena una selezione rappresentativa delle buone pratiche e azioni messe in campo dai 15 partner europei del network, tra cui i partner francesi del Théâtre Ouvert e della Mousson d'été. 14 – 20 settembreDialogo di Claudia Di Giacomo e Caroline Marcilhac, pag. 106.

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14. COMPAGNIE DU CCNR / YUVAL PICK, VOCABULARY OF NEED & HYDRAFestival Oriente Occidente, RoveretoYuval Pick, coreografo israeliano attualmente alla direzione del Centre Chorégraphique National di Rillieux-La-Pape, vicino Lione, presenta al festival trentino due creazioni in prima nazionale. In Vocabulary of need, che sarà presentato nel bellissimo Teatro Zandonai di Rovereto, l’artista esplora le relazioni tra musica e ritmo del movimento, usando come materia sonora la Partitura n°2 in re minore di Bach. Il centro storico di Rovereto sarà anche la cornice di un progetto site specific, Hydra, percorso in tre tappe che rivela, attraverso il movimento e il suono, la memoria conte-nuta in uno spazio e la sua architettura. 10 e 12 settembreDialogo di Lanfranco Cis e Didier Deschamps , pag. 78.

15. THE MAYFIELDAngelicA Festival, Centro di Ricerca Musicale / Teatro San Leonardo, BolognaEnsemble costituito da 5 musicisti dalle estetiche diverse, “The Mayfield” prende il nome dall’omonimo ex-deposito ferroviario di Manchester, oggi sala da concerto. Con la sua storia, il suo carattere e la sua sovra-acustica, questa vasta sala ha influen-zato l’estetica delle improvvisazioni che si ritrovano nei concerti di The Mayfield. Il gruppo riunisce il compositore e direttore te-desco Heiner Goebbels, il sassofonista siciliano Gianni Gebbia e i musicisti francesi Camille Emaille, percussionista, la virtuosa dell’Onde Martenot (uno dei primi strumenti elettronici creato nel 1920) Cécile Lartigaut e il chitarrista Nicolas Perrin, che la-vora con l’elettronica digitale su una chitarra-midi di sua crea-zione. 11 e 12 settembre

16. MOHAMED BOUROUISSA, BRUTAL FAMILY ROOTSar/ge kunst, Kunsteverein di BolzanoBrutal Family Roots dell’artista Mohamed Bourouissa è una mostra, che affronta una complessa trama di temi all’inter-sezione tra pedagogia, botanica, migrazione e architettura, attraverso un ambizioso progetto pensato per gli spazi di ar/ge kunst. Composta da due installazioni che includono video, suono, piante e una serie di disegni, Brutal Family Roots è un ulteriore approfondimento della ricerca che Bourouissa por-ta avanti sulla figura dello psichiatra, filosofo e rivoluzionario Frantz Fanon, che per anni ha lavorato nell’ospedale psichia-trico di Blida, Algeria, città di nascita dell’artista. 17 settembre – 14 novembre

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115 17. RACHID OURAMDANE & COMPAGNIE XY, MÖBIUSRomaeuropa Festival, RomaPer dare vita a Möbius, la folta compagnia di acrobati XY si è ispirata ai movimenti degli stormi di rondini, dei banchi di pesci e al mutare della natura. Con la complicità di Rachid Ouramdane, 19 performer in scena iscrivono la pratica del “porté acrobatico” all’interno di una coreografia vorticosa, fatta di bagliori improvvisi e voli spericolati, di nubi e torri di corpi e del loro vertiginoso disfarsi. Al crocevia tra danza e acrobazia, sogno e gravità, Möbius è un salto nell’imprevedi-bile ebbrezza del vuoto dove la forza e la fragilità della condi-zione umana si sovrappongono al fascino misterioso e imper-scrutabile dei rituali della natura. 22 – 24 settembre Testimonianze di Monique Veaute e Fabrizio Grifasi, pag. 94.

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11618. HERVÉ KOUBI, LES NUITS BARBARESMilanOltre, Festival internazionale di danza, MilanoIl festival di danza contemporanea MilanOltre propone al pubblico milanese di scoprire il coreografo francese di origine algerina Hervé Koubi, con lo spettacolo Les Nuits Barbares. L'artista riscrive una storia millenaria portando sul palco la paura ancestrale dello “straniero”, dell’altro da sé, per rivelare la raffinatezza delle culture “barbare”. I tredici magnifici dan-zatori, fanno vorticare le loro gonne come dervisci, brandendo lame e coltelli al suono della musica sacra di Mozart e Fauré, miscelata con melodie tradizionali algerine. 23 e 24 settembre

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11819. AURÉLIEN BORY & SHANTALA SHIVALINGAPPA, ASHFestival Fabbrica Europa, Teatro della Pergola, FirenzeTorinodanza festival, Fonderie Limone, TorinoCon aSH Aurélien Bory chiude la sua trilogia di ritratti di donne, danzatrici e coreografe che ha già visto protagoni-ste Kaori Ito e Stéphanie Fuster. Il visionario regista france-se si concentra sull’energia ritmica e vitale della danzatrice Shantala Shivalingappa, che si sovrappone alla figura mae-stosa di Shiva, dea creatrice e distruttrice. Shantala danza su una coltre di cenere, simbolo del ciclo di morte di rinascita, di un’energia circolare che affonda le sue radici nei riti di cremazione indiani. 24 – 25 settembre (Firenze), 22 e 23 ottobre (Torino)

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20. BRYCE DESSNER, KATIA E MARIELLE LABÈQUE, LUCA NOSTRO, PMCE - TONINO BATTISTA, ST. CAROLYN BY THE SEACONCERTO FOR TWO PIANO, WIRES, LACHRIMAE, AHYEMRomaeuropa Festival, RomaGrammy Award come miglior compositore classico, fondatore e chitarrista dei National, Bryce Dessner è protagonista di due speciali concerti monografici che il REf20 dedica alla sua musi-ca. Con il Parco della Musica Contemporanea Ensemble e con la straordinaria partecipazione di Katia e Marielle Labèque, il primo dei due appuntamenti attraversa le sue più celebri composizioni classiche. 26 settembre Testimonianze di Monique Veaute e Fabrizio Grifasi, pag. 94.

21. LEÏLA KA, C’EST TOI QU’ON ADOREFestival Fabbrica Europa, Teatro Studio Mila Pieralli, Scandicci, FirenzeLa giovane coreografa e danzatrice francese Leïla Ka si interro-ga sul destino e sulle possibilità di cambiamento. Questa nuova creazione in duo tratta della difficoltà di essere all’altezza della comunità. C'est toi qu'on adore parte dalla volontà di mettere in scena quella traiettoria sinuosa disseminata di speranze, di do-mande e di disillusioni. I due danzatori, a tratti spossati e malati, a tratti felici o grotteschi, si gettano contro un’avversità di cui non sanno nulla. Invincibili o tragicamente vulnerabili. 26 settembre

22. ALEXANDRE FANDARD, TRÈS LOIN, À L’HORIZONFestival Fabbrica Europa, Teatro Studio Mila Pieralli, Scandicci, FirenzeIn questa nuova creazione il coreografo e danzatore francese Alexandre Fandard torna nuovamente al tema, vasto e infinito, dell’alterità. Questa volta però lo fa da un altro punto di vista, quello della nostra posizione in rapporto al divenire del "sé" nel tutto, nel mondo: l'orizzonte, quello che è lontano, quello che è estremamente vicino, il dettaglio più minuzioso, in una tensione tra laggiù/futuro, qui/ora. 26 settembre

23. PHIA MÉNARD, SAISON SÈCHEFestival Contemporanea, Teatro Fabbricone di PratoSaison Sèche è un rituale. Una danza di donne e non solo, corpi che sfidano l’immutabilità del potere patriarcale. Un percorso di iniziazione che passa attraverso l’invenzione di un corpo, di avatar transgender capaci di affrontare un potere protetto da pareti bianche. Tutto sembra immutabile, ma la danza, la musi-ca, il teatro e la poesia, sono i rituali delle nostre lotte in divenire. Lo stesso giorno sarà presentato lo spettacolo di Laura Simi (Cie Silenda), Fenomeno. 27 settembreDialogo di Phia Ménard e Giorgio Barberio Corsetti, pag. 36.Testimonianza di Edoardo Donatini, pag. 100.

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24. JULIEN PRÉVIEUX, WHAT SHALL WE DO NEXT? (SEQUENCE #2)INBTWN, Centrale FIES, Dro (TN)Alcuni gesti sono archiviati regolarmente come gli "slide-to-unlock" brevettati da Apple. Julien Prévieux ha iniziato a racco-gliere questi gesti ipotizzando che saranno quelli che dovremo eseguire tra qualche anno, costituendo quindi un archivio di ge-sti futuri. What Shall We Do Next? (Sequence #2) è un film re-alizzato con sei performer che interpretano come coreografie i diagrammi trovati nei brevetti, e che sarà presentato nell’am-bito di INBTWN, progetto digitale promosso dal centro di pro-duzione e residenze artistiche per le arti performative Centrale Fies a Dro. settembre, data da confermareTestimonianza di Barbara Boninsegna e Dino Sommadossi, pag. 104.

25. CONSULTAZIONI POETICHETeatro della Pergola, FirenzeIl Teatro della Pergola di Firenze presenta, per la sua riapertura effettiva in autunno, una versione “in presenza” delle consulta-zioni telefoniche che ha proposto al pubblico italiano durante la quarantena. Un'iniziativa nata al Théâtre de la Ville di Parigi, che per l'occasione sarà presente attraverso la partecipazione eccezionale degli attori francesi del progetto. settembre, data da confermareDialogo Emmanuel Demarcy-Mota & Marco Giorgetti, pag. 84.

26. JÉRÔME BEL, DANZA PER...Teatro San Giorgio, UdineIl coreografo francese Jérôme Bel è uno dei protagonisti in-discussi della scena internazionale contemporanea e per la stagione Blossoms/Fioriture Teatro Contatto realizzerà un site specific creato appositamente per la città di Udine e per un danzatore/trice attivo nel territorio. Una prima mondiale frutto di un esperimento nato dalla volontà di Bel di generare meno impatto possibile sull’ambiente, costruendo le sue cre-azioni via Skype ma immaginando anche la disposizione del pubblico e l’allestimento della sala. 2 ottobre – 6 dicembre

27. TAREK LAKHRISSI, SMELL THE ROSESFondazione Sandretto Re Rebaudengo, TorinoLa Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta la prima mostra personale in Italia di Tarek Lakhrissi, artista parteci-pante al post-diplome 2019 promosso dall’ENSBA. Smell the Roses propone un ciclo di nuove produzioni concepite dall’arti-sta per gli spazi della Fondazione. La mostra esplora il concet-to di difesa, prendendo come riferimento il lessico estetico e tattico delle manifestazioni politiche di strada, insieme a una grammatica prelevata da diversi ambiti della sfera sessuale. La mostra è intesa dall’artista come uno spazio di riflessione in cui confluiscono insieme per la prima volta i differenti elementi del suo lavoro. Dal 3 ottobreTestimonianza di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, pag. 102.Testimonianza di Emmanuel Tibloux, pag. 46.

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121 28. ENSEMBLE COURT-CIRCUITTraiettorie Festival, Teatro Farnese, ParmaIl Festival internazionale di musica moderna e contempora-nea Traiettorie Festival, prodotto dalla Fondazione Prometeo, festeggia i suoi 30 anni nel 2020 con un programma eccezio-nale che si svolgerà all’autunno nel bellissimo Teatro Farnese di Parma. Programma spiccatamente francese quello propo-sto da Court-circuit, con quattro brani di autori pressoché co-etanei: Bertrand Dubedout, Philippe Hurel (fondatore inoltre dell’ensemble), Philippe Leroux e Jean-Luc Hervé. Completa il programma Satka, un pezzo dalla velocità parossistica di Christophe Bertrand. 30 settembre

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29. ERIC MING CUONG CASTAING / CIE SHONEN, PHOENIXRomaeuropa Festival, in live streamingPhoenix è una coreografia per droni e danzatori sviluppata tra la Francia e Gaza, in Palestina. Interessato al rapporto tra uomo e macchina, tra movimento umano e non umano, Éric Ming Cuong Castaing si concentra sulla simbologia del drone come nuovo strumento di sorveglianza e guerra. I tre danzatori si muovono sul palco come fosse uno spazio di guerra mentre il teatro si apre ad un’altra realtà. Una pratica che è atto di re-sistenza sotto un cielo quotidianamente attraversato da “aerei senza pilota”. 3 e 4 ottobreTestimonianze di Monique Veaute e Fabrizio Grifasi, pag. 94.

30. FLORENT BOFFARDTraiettorie Festival, Teatro Farnese, ParmaIl recital di Florent Boffard, per anni pianista dell'Ensemble Intercontemporain, segue un filo particolare, quello del con-cetto di Étude, passando da un'opera all'altra attraverso il gioco di associazioni. Studi di virtuosismo che richiedono un rigore estremo ma anche studi di esplorazione del suono che cele-brano la poesia e l'immaginazione. La seconda parte del pro-gramma mette invece in relazione le prime sonate per piano-forte di Berg e di Boulez con la Suite op. 25 di Schönberg, primo concepimento e codificazione più distesa dei procedimenti di composizione dodecafonica. 8 ottobre

31. IVANA MÜLLER, WE ARE STILL WATCHINGTeatro Palamostre, UdineQuesto lavoro si articola come una coreografia, una sorta di “comunità ricostruita” fatta solo di spettatori che leggendo un copione interpretano delle parti e mettono in discussione gli attuali modelli economici, di potere, di capitalismo e verificano lo stato di democrazia del paese. Lo spettacolo assomiglia a una prova in cui il pubblico si incontra attorno a un testo che scopre e legge insieme, creando una comunità. 8 ottobre – 22 novembre

32. ZED, FESTIVAL INTERNAZIONALE VIDEODANZA 2020BolognaLa seconda edizione di ZED Festival presenta un programma che introdurrà “mondi possibili” e che vedrà alternarsi perfor-mance di realtà virtuale e aumentata. Tra gli artisti francesi, il coreografo Yoann Bourgeois, che per anni ha portato in tutto il mondo Fugue Trampoline, una danza su una scala che non por-ta da nessuna parte, un momento di assoluta assenza di gravità tra circo, danza e poesia. Da scoprire anche l’artista francese Gwendoline Bachini con l’opera A#4-BIFACE che si ispira alle teorie sull’evoluzione del vivere e offre attraverso i due lati di un cellulare una percezione innovativa della danza. 8 – 14 ottobre

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33. CHRISTINE ABDELNOUR & MAGDA MAYASAngelicA Festival, Centro di Ricerca Musicale / Teatro San Leonardo, BolognaLa sezione “Un certain regard…”, che celebra certa musica francese che si ha poca occasione di ascoltare, presenterà quest’anno il duo Magda Mayas e Christine Abdelnour, entram-be personalità di spicco dell’attuale scena della musica d’im-provvisazione. Da quando si sono incontrate e hanno iniziato a suonare assieme, hanno scoperto un approccio simile al suono e all’improvvisazione e si sono esibite come duo a festival in tut-ta Europa. 9 ottobre

34. ACID ARAD & FOLAMOURSpring Attitude Festival, RomaSempre attento alle estetiche contemporanee e alle tenden-ze musicali da ogni latitudine, Spring Attitude invita quest’an-no due artisti francesi conosciuti in tutto il continente. Guido Minisky ed Hervé Carvalho, meglio noti come Acid Arab, han-no unito le forze per creare qualcosa di unico in un viaggio che da Parigi permette di esplorare esotismi di terre affascinanti e lontane. Prima volta allo Spring invece per Folamour, polie-drico musicista appassionato di basso e chitarra, che si è tra-sformato nel talentuoso DJ e producer che oggi conosciamo. 9 – 10 ottobre

35. JOHAN CRETEN, I PECCATIAccademia di Francia a Roma – Villa MediciJohan Creten è un artista che si è distinto nel panorama ar-tistico internazionale degli ultimi anni in quanto figura forte, enigmatica e intrigante. Con I Peccati, l'artista raccoglie per la prima volta in Italia un insieme di cinquanta opere in bronzo, ceramica e resina che dialogano con le opere storiche di ar-tisti come Lucas Van Leyden, Hans Baldung, Jacques Callot, Barthel Beham e Paul van Vianen, ai quali Creten si è ispirato. Le sue sculture, realizzate appositamente per la mostra tra il 2019-2020, si aggiungono alle opere che scandiscono la sua carriera dagli anni Ottanta ad oggi. 15 ottobre 2020 – 31 gen-naio 2021

36. AMBRA SENATORETorino Danza, Fonderie LimoneDieci anni dopo la creazione del suo primo pezzo di gruppo, Passo, Ambra Senatore invita la stessa squadra di artisti a in-vestire in una nuova creazione. Ognuno di questi danzatori ha intrapreso un ricco viaggio come performer e/o coreografo, molti dei quali hanno continuato la loro collaborazione con la coreografa. 17 ottobre

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37. NOÉ SOULIER, PORTRAIT DE FRÉDÉRIC TAVERNINI E LES VAGUESBiennale di Danza di Venezia, Teatro alle TesePortrait de Frédéric Tavernini - Tra percezione e senso del mo-vimento, Noé Soulier continua il suo lavoro di indagine sulla danza interrogando questa volta il valore descrittivo di un ge-sto: il corpo del ballerino può presentare una danza, mostrarla, raccontarla, ma senza eseguirla? Les Vagues - Per il loro essere incomplete e sempre in relazione con qualcosa di assente, è per questo che i gesti delle onde possono diventare un sup-porto dove proiettare le esperienze passate mettendo in movi-mento la storia fisica dello spettatore. 18 e 20 ottobre

38. SETTE SOLISTI DELL'ENSEMBLE INTERCONTEMPORAINTraiettorie Festival, Teatro Farnese, ParmaEnsemble Intercontemporain, rinomata formazione fondata da Pierre Boulez nel 1976, riunisce musicisti di altissimo livel-lo che condividono la stessa passione per la musica d’oggi. Partendo dalle occulte strutture geometriche di Dérive 1 di Boulez, passando per le suggestioni impressionistiche visuali/ambientali di Manhattan Bridge 4:30am di Martino Traversa e il protagonismo della viola in String Trio di Elliott Carter, si approda a Trio fluido di Helmut Lachenman. In chiusura due brani di autori poco eseguiti in Italia: Paul Chihara e Johannes Schollhörn. 20 ottobre

39. CHARLOTTE RAMPLING & SONIA WIEDER-ATHERTON, SHAKESPEARE-BACHNapoli Teatro FestivalDopo aver lavorato insieme su Sylvia Plath e Benjamin Britten, Charlotte Rampling ha espresso il desiderio che la seguissi per un nuovo progetto: una suite per violoncello realizzata a partire dai sonetti di Shakespeare e le musiche di J.S. Bach. novembre

40. RAMZI CHOUKAIR & WAEL KADOUR, Y-SAIDNAYANapoli Teatro FestivalY-Saidnaya è la seconda parte di una trilogia, iniziata con X-Adra. In scena sei ex prigionieri politici siriani esiliati in Europa, attivisti dell'opposizione negli anni ‘80 o giovani attivisti della rivoluzione del 2011, tutti furono imprigionati nelle carceri del regime. Storie di vita e di detenzione, che evocano le strategie messe in atto per creare una via d’uscita dall'isolamento, dalla tortura fisica e psicologica. novembre

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Triennale Milano e la Fondation Cartier pour l’art con-temporain inaugurano un nuovo partenariato culturale in Europa Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain iniziano una nuova collaborazione a partire da ottobre 2020, per una durata di otto anni, per presentare a Milano un ricco programma condiviso di mostre e performance. Si tratta a tutti gli effetti di un nuovo modello di partenariato culturale in Europa tra un’istituzione pubblica e una fondazione privata. Uno spazio di 1.300 m2 all’interno di Triennale Milano sarà dedicato alla presentazione di mostre ispirate dalla pro-grammazione della Fondation Cartier di Parigi, o progettate in stretta collaborazione tra le due istituzioni. Questa inedi-ta collaborazione si inaugura in ottobre 2020 con Claudia Andujar. La Lotta Yanomami, in mostra a Parigi fino al 13 set-tembre negli spazi della Fondation Cartier.

Triennale Milano et la Fondation Cartier pour l’art contem-porain inaugurent un partenariat culturel inédit en Europe Triennale Milano et la Fondation Cartier pour l'art contem-porain s'associent à partir d'octobre 2020 pour une durée de 8 ans afin de présenter à Milan une riche programma-tion commune d'expositions et de spectacles vivants. Il s'a-git d'un nouveau modèle de partenariat culturel en Europe entre institutions publique et privée. Un espace de 1 300 m² au sein de Triennale Milano sera consacré à la présentation d'expositions, inspirées de la programmation de la Fondation Cartier à Paris, ou conçues en étroite collaboration entre les deux institutions. Cette collaboration inédite est inaugurée en octobre 2020 avec Claudia Andujar, La Lutte Yanomami, présentée à Paris dans les espaces de la Fondation Cartier jusqu'au 13 septembre.

41. CLAUDIA ANDUJAR, LA LUTTE YANOMAMITriennale di MilanoTriennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain presentano a Milano Claudia Andujar. La Lotta Yanomami. Dopo Parigi, la mostra verrà presentata a Milano con più di 300 opere, un'installazione video, disegni realizzati da artisti Yanomami e diversi documenti storici. Riflesso sia dell’aspetto estetico che politico, indissociabili, del lavoro di Andujar, l’espo-sizione rivela il contributo fondamentale dell’artista alla foto-grafia dagli anni ’70 ad oggi, e il suo ruolo essenziale in favore della difesa dei diritti degli Indiani Yanomami e della foresta che abitano. ottobreThe young Susi Korihana thëri swimming, infrared film, Catrimani, Roraima, 1972–74. © Claudia Andujar

Fondation Cartier pour l'Art Contemporain / Triennale di Milano

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Umberto Angelini Cristina Cazzola

PrimizieInverno

GIORNO N° 13/40: “MINERVA”“Pour une politique de civilisation, Edgar Morin” JV

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Fermarsi a pensare un progetto che verrà in una situazione sospesa. Molte volte ho rivendicato l’agire ai bordi, su territori e pratiche non definite, sovrapposte, incerte. Oggi l’incerto è certezza inafferrabile e appa-re come un dato di fatto, una presa d’atto di un mondo inimmaginabile. E ci aggrappiamo agli artisti, alle loro visioni, agli sguardi interroganti del pubblico, per cerca-re un perimetro di condivisione, una strada da percor-rere insieme.

Lo spettacolo dal vivo non può prescindere dalla carne, ogni deviazione digitale è un sentiero affascinan-te, da esplorare nelle sue ignote possibilità ma assente in presenza. E il qui e ora, di uno spazio e di un tempo, urla la sua necessità, la sua unicità. Ci appaiono visio-ni di corpi e immagini, spesso straordinarie, che artisti francesi ci hanno donato in questi anni e altrettanto fa-ranno nel prossimo futuro. Corpi e immagini capaci di scardinare codici e consuetudini, capaci di immergersi in mondi sconosciuti da restituire in superficie. Che ric-chezza questo scambio franco-italiano! Per la sua di-versità, per la sua profondità, per la volontà di unire due paesi fortemente radicati in una comune idea politica dell’arte e del mondo. In questi anni sono stato agente e testimone privilegiato di tutto ciò, nelle diverse fasi dell’accoglienza, della proposta, dell’invenzione e sono pertanto fiducioso che questo tempo incerto stia pre-parando la nuova semina artistica e la nuova raccolta, nella speranza, mai sopita, che il paradigma economico e sociale della nostra epoca inverta la rotta e sollevi lo sguardo verso un mondo nuovo.

Milano, 18 maggio 2020

FUTURO PRESENTEUMBERTO ANGELINI

Umberto Angelini cura e realizza progetti nell’ambito del teatro, della danza, della musica e della performance privi-legiando il dialogo con le arti visive, l’architettura, il design. È Sovrintendente e Direttore artistico della Fondazione del Teatro Grande di Brescia; Chief Curator di Triennale Milano per il settore teatro, danza, musica, performance; Direttore artistico di Triennale Milano Teatro. È nel Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Brescia e Advisor di TEDxMilano.

Umberto Angelini programme et réalise des projets autour du théâtre, de la danse, de la musique et de la performance, qu’il met en dialogue avec d’autres disciplines en privilégiant les arts visuels, l’architecture et le design. Il est le surinten-dant et directeur artistique de la Fondation du Teatro Grande de Brescia ; Chief Curator de la Triennale de Milan pour le secteur théâtre, danse, musique et performance et direc-teur artistique du Triennale Milano Teatro. Enfin, il fait partie du conseil d’administration de l’Université de Brescia et il est Advisor pour TEDxMilano.

FR

S’arrêter un instant afin de concevoir un projet à déployer dans un contexte en suspension. De nom-breuses fois, j’ai revendiqué l’idée d’agir à la lisière, sur des territoires et des pratiques non définis, superpo-sés, incertains. Aujourd’hui, l’incertain constitue une certitude insaisissable. Et nous nous accrochons aux artistes, à leurs visions, aux regards interrogateurs du public, à la recherche d’une zone de partage, d’un sen-tier à parcourir ensemble.

Le spectacle vivant est indissociable de la chair,

toute déviation digitale est une voie fascinante, à ex-plorer dans ses possibilités secrètes, mais absente par sa présence. Ainsi l’hic et nunc, d’un espace et d’un temps donnés, hurle à la fois sa nécessité et son unici-té. Des visions de corps et d’autres images nous appa-raissent, souvent extraordinaires ; les artistes français nous en ont fait le don lors de ces dernières années et

ils feront de même dans un futur proche. Des corps et des images capables de brouiller les codes et les habi-tudes, capables de nous immerger dans des mondes inconnus à restituer en surface. Que de richesse dans cet échange franco-italien ! Par sa diversité, par sa profondeur, par cette volonté d’unir deux pays si solide-ment enracinés dans une idée politique commune de l’art et du monde. Durant ces années j’ai été l’acteur et le témoin privilégié de tout cela, au cours des différentes phases que sont l’accueil, la proposition et l’invention. C’est pourquoi je suis confiant quant à cette période incertaine qui pourrait bien être aussi un terrain fertile pour une nouvelle éclosion artistique et une nouvelle récolte, dans l’espoir, jamais éteint, que le paradigme économique et social propre à notre époque fasse tourner la roue et lève les yeux vers un monde nouveau.

Milan, 18 mai 2020

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129 Romances Inciertos, un autre Orlando, François Chaignaud e Nino Laisné

“Lo spettacolo dal vivo non può prescindere dalla carne, ogni deviazione digitale è un sentiero affascinante, da esplorare nelle

sue ignote possibilità ma assente in presenza.”

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In una ripresa che sembra lontana e difficile, il tea-tro ragazzi è essenziale per ricostruire la condivisione, mai come ora necessaria alla società. Ripresa difficile perché lo spettacolo dal vivo non può prescindere da alcune condizioni, soprattutto quando gli spettatori sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze per i quali la fruizione digitale, distanziata o mascherata che sia ha un impatto determinante sulla qualità dell’espe-rienza.

Anche SEGNI New Generations Festival, evento annuale internazionale di arte e teatro per il giovane pubblico che ha accolto 534 compagnie provenienti da tutto il mondo fra cui oltre 65 francesi, che ho idea-to e dirigo da ormai 15 anni, a novembre si confronterà con tutto ciò immaginando una collaborazione con 5 ensemble artistici e azioni di rete che avranno luogo in quello spazio che è stato efficacemente definito onli-fe, che si colloca cioè fra on line e off line.

Occuparsi della direzione artistica di un festival internazionale non vuol dire solo scegliere uno spet-tacolo che risponda a parametri artistici, alla tanto nominata, quanto spesso soggettiva, “qualità”. Si trat-ta di fare scelte e azioni che rispondano a domande più profonde sulla sostenibilità e sul senso, attivare un dialogo con il pubblico e con il sistema culturale in cui i festival internazionali hanno un ruolo determi-nante. Se questo era vero prima, lo è ancor più oggi ai tempi del Covid-19. Per questo la sfida non riguarderà soltanto la riapertura fisica dei teatri, ma anche e so-prattutto la ricerca di un metodo nel nostro lavoro di programmazione.

In un contesto che sta reagendo alla crisi con forti pulsioni nazionaliste, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano economico, del rinnovamento delle arti e quindi della democrazia, l’internazionalità della proposta diventa un must assoluto. Si conferma l’im-portanza di garantire la cooperazione con altri paesi, l’incontro fra artisti, lo spazio alla diversità e all’uni-versalità dell’arte come valore, al di là delle frontiere e delle barriere linguistiche. Oggi più che mai sono necessari progetti capaci di creare e rafforzare un si-stema di relazioni che vada oltre l’emergenza attuale o futura per gettare un ponte oltre le possibili crisi, per

UN LINGUAGGIO COMUNE

CRISTINA CAZZOLA

Dal 2006, Cristina Cazzola dirige a Mantova il festival inter-nazionale di arte e teatro per le nuove generazioni SEGNI New Generations Festival. Realizza consulenze per l’interna-zionalizzazione, il fund raising e i processi di audience deve-lopment.

Depuis 2006, Cristina Cazzola dirige le festival internatio-nal d’art et de théâtre jeune public SEGNI New Generations Festival à Mantoue. Elle est aussi consultante pour le déve-loppement à l’international, le fundraising et les stratégies de développement des publics.

lavorare in un’ottica di prevenzione e per contribuire infine a creare un mercato sempre più europeo anche nella cultura.

Per questo occuparsi della direzione artistica di SEGNI New Generations Festival vuol dire immagina-re processi di innovazione nel settore e non limitarsi alla mera accoglienza degli artisti, ma creando dispo-sitivi volti a stimolare un dialogo e a rafforzare una rete per dare la possibilità a operatori italiani e fran-cesi di trovare un linguaggio comune. Un linguaggio che renda accessibili le diversità delle estetiche, che permetta alla Francia di andare in Scena in Italia, tro-vando nell’accoglienza di un artista francese una fon-te di scambio e ispirazione per pubblico e artisti, che sia on line o off line, distanziati o mascherati.

Mantova, 11 maggio 2020

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“Stimolare un dialogo per dare la possibilità a operatori italiani e francesi di trovare un

linguaggio comune.”

TESTIMONIANZA

FR

En vue d’une reprise qui paraît lointaine et difficile, le théâtre pour enfants est essentiel afin de rétablir le partage, plus que jamais nécessaire à nos sociétés. Une reprise difficile puisque le spectacle vivant im-plique certaines conditions, d’autant plus lorsque les spectateurs sont des enfants, des adolescents et des adolescentes, pour qui l’accès à travers le digital, la distance ou un masque, a un impact déterminant sur la qualité de leur expérience.

Cela vaut aussi pour SEGNI New Generations Festival, un événement annuel et international d’art et de théâtre pour le jeune public qui a accueilli 534 compagnies en provenance du monde entier parmi lesquelles plus de 65 compagnies françaises. J’ai créé ce festival et le dirige désormais depuis 15 ans. En no-vembre, il se confrontera à cette situation nouvelle, en imaginant une collaboration avec 5 ensembles artis-tiques et projets en réseau qui se déploieront dans ce nouvel espace efficacement qualifié de onlife, en ce qu’il se trouve à mi-chemin entre on line et off line.

S’occuper de la direction artistique d’un festival international n’implique pas seulement de choisir un spectacle qui se conforme à des paramètres artis-tiques ou à la « qualité », si souvent invoquée et très subjective. Il s’agit de faire des choix et de mener des actions qui répondent à des questions plus profondes sur la viabilité et sur le sens ; d’engager un dialogue

avec le public et avec le système culturel au sein du-quel les festivals internationaux jouent un rôle déter-minant. Si cela était déjà vrai avant, ça l’est encore plus aujourd’hui, à l’heure du Covid-19. C’est pourquoi le défi ne concerne pas seulement la réouverture phy-sique des théâtres, mais aussi et surtout la recherche d’une méthode dans notre travail de programmation.

Dans un contexte où certains réagissent à la crise par de fortes pulsions nationalistes, avec toutes les conséquences que cela implique sur le plan écono-mique, du renouveau de l’art et donc de la démocratie, le caractère international de l’offre devient un impé-ratif absolu. On voit donc qu’il est crucial de garantir la coopération avec d’autres pays, la rencontre entre les artistes, un espace ouvert à la diversité et à l’uni-versalité de l’art comme valeur, au-delà des frontières et des barrières linguistiques. Nous avons plus que ja-mais besoin de projets aptes à créer et à renforcer un système de relations qui dépasse l’urgence actuelle ou future pour établir un pont au-delà des potentielles crises, pour travailler dans une optique préventive et pour contribuer, enfin, à créer un marché de plus en plus européen y compris dans le domaine de la culture.

Pour cette raison, s’occuper de la direction ar-tistique de SEGNI New Generations Festival signifie imaginer des procédés innovants et ne pas se limiter au strict accueil des artistes. Il s’agit plutôt de créer des dispositifs voués à stimuler un dialogue et à ren-forcer un réseau afin de donner la possibilité aux acteurs culturels italiens et français de trouver un langage commun. Un langage qui facilite l’accès à la diversité des esthétiques, qui permette à la France d’entrer en Scène en Italie. Un langage qui permette de faire de l’accueil d’un artiste français une source d’échange et d’inspiration, pour le public et pour les artistes, que ce soit on line ou off line, à distance ou masqués.

Le chant des baleines, Cie Histoire De

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42. NATHALIE DU PASQUIER, CAMPO DI MARTEMACRO, RomaCampo di Marte sarà la prima grande mostra del program-ma Museo per l’Immaginazione Preventiva, dedicata all’arti-sta visiva francese Nathalie du Pasquier, membro del gruppo Memphis stabilita a Milano. La mostra è un’installazione rea-lizzata a partire da un importante corpus di varie opere create già all’inizio degli anni 80. A differenza delle ultime mostre sul lavoro di Nathalie du Pasquier, questa si concentrerà ancora di più sull’utilizzo delle opere come materia prima per costruirne di nuove. 5 dicembre 2020 – 14 febbraio 2021

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43. SEGNI NEW GENERATIONS FESTIVALMantovaIl progetto immaginato per SEGNI New Generations festival 2020 approfondirà il dialogo creativo Francia-Italia program-mando 5 spettacoli di compagnie francesi e l’organizzazione di spazi di dibattito e confronto tra artisti, operatori, diretto-ri e istituzioni, resi operativi grazie a Liv.in.g., ente mediatore esperto di processi di cooperazione internazionale. Tra le com-pagnie ospiti: Théâtre du Phare con una coproduzione con la Fondazione Sipario Toscana onlus, Cie Histoire, Traffix Music, Compagnie Balle Rouge e Association Les Bas-bleus. 2 – 8 novembreTestimonianza di Cristina Cazzola, pag. 130.

44. QUATUOR DIOTIMA, DA LUIGI NONO A FRANCESCA VERUNELLIMilano Musica Festival, Auditorium San Fedele, MilanoIl Quatuor Diotima, costituito nel 1996 da studenti del Conservatorio Nazionale di Parigi, è uno degli ensemble da camera più richiesti al mondo. Per la 29° edizione del festi-val Milano Musica, dedicato quest’anno al compositore Luigi Nono, il Quatuor eseguirà una selezione di pezzi di Francesca Verunelli, Bela Bartók e Luigi Nono, di cui il Quatuor porta il nome: Diotima è infatti un riferimento alla composizione Fragmente-Stille, an Diotima di Nono, pezzo che chiuderà la serata. 6 novembreTestimonianza di Cecilia Balestra, pag. 90.

45. BAKÉKÉ, ERRANCE CLOWNESQUERomaeuropa Festival, Mattatoio, RomaIn BAKÉKÉ il protagonista è un bizzarro personaggio ossessio-nato dalle figure geometriche che, immerso tra secchielli verdi, cerca di incastrare di volta in volta il pezzo mancante, nel tenta-tivo di risolvere improbabili enigmi e imprevisti. 7 – 8 novembre Testimonianza di Monique Veaute e Fabrizio Grifasi, pag. 94.

46. YUVAL PICK, PROGETTO SPECIALEFestival Scenario Pubblico, CataniaCentro coreografico europeo diventato un punto di riferimento per la danza nel sud Italia, Scenario Pubblico propone quest’an-no un progetto speciale, un festival lungo tre fine settimana di novembre, in cui un’installazione occuperà la scena, i perfor-mer (soli o duetti) saranno al centro e il pubblico sarà disposto tutt’intorno. La Compagnie Yuval Pick, a cui è dedicato un fo-cus, si esibirà con un programma pensato ad hoc per il festival. 20 e 22 novembre

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EVENTI

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47. JULIEN DESPREZ, ACAPULCO REDUXAngelicA Festival, BolognaCentro di Ricerca Musicale/ Teatro San LeonardoJulien Desprez è un musicista e performer di Parigi. Il jazz e il rock sono stati i suoi primi amori musicali, che sono evoluti rapi-damente in forme libere in cui il corpo e lo spazio trovano il loro posto attraverso il suono. Man mano che la sua pratica è pro-gredita, anche la sua concezione e il suo approccio al suo stru-mento, alla musica e allo spazio sono cambiati. Ora considera la chitarra più come una batteria, un organo, uno strumento modificabile a volontà. Evolvendosi tra sound art, performance e musica improvvisata contemporanea, il suo lavoro oggi è in-centrato su tutte le domande che scaturiscono da uno spazio scenico, attraverso il corpo, lo spazio, la vista e la luce, ma dove il suono rimane il pilastro centrale. 11 dicembre

48. JÉRÔME BEL, SHIRTOLOGYFestival Buffalo, Palazzo del Esposizioni, RomaIn Shirtology si vede un ballerino sfilarsi continuamente delle T-shirt e usare le scritte su di esse come istruzioni per la sua performance. Traendo ispirazione dai fondamentali trattati di Roland Barthes sul linguaggio e sul segno, in questo lavoro Bel usa un approccio umoristico e minimale per mostrare il rap-porto tra la cultura capitalistica e l’individuo, una riflessione sul ruolo del segno (la marca) e della sua influenza determinante sulle nostre azioni quotidiane. 15 – 16 dicembre

49. TUTTI MATTI SOTTO ZEROParco della Cittadella, ParmaDa sei anni Tutti Matti sotto Zero è l’appuntamento natalizio che porta a Parma, sotto il chapiteau (il tendone da circo), al-cuni degli artisti di circo contemporaneo più talentuosi della scena internazionale. La compagnia francese Cirque Trottola incanterà il pubblico con lo spettacolo Campana nel Parco del-la Cittadella. Due personaggi in cerca di luce, che provengono da lontano, hanno visto di tutto e vogliono scovare lo scintillio delle vette. 25 dicembre – 6 gennaio

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13550. CIRCUMNAVIGANDOGenovaIn attesa di riallacciare i nodi di una preziosa tela tessuta a li-vello nazionale tra nord e sud e a livello internazionale tra l’Italia e la Francia, Circus Zone approda a Genova in dicembre per portare il circo a teatro, uscendo dai confini spaziali e creativi per entrare di diritto nelle programmazioni in sala. Dopo essersi spinto fino al Festival Circa a Auch, Sarabanda porterà in scena Chiara Marchese/Collectif 27 con Mavara, La voie ferrée con Pour la beauté du geste, Keep Company con Compost, Iéto con Pour Être, per quadri affascinanti che ci porteranno dentro ad immagini acrobatiche, passando attraverso i meandri della performance e della manipolazione delle marionette, e con una buona dose di umorismo. 26 dicembre – 6 gennaio

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GIORNO N° 4/40: LA MASCHERA “BOCCATA DI FIORI”, « BOUCHÉE DE FLEURS »Stamane ho tossito fiori dalla bocca“Hanahaki Disease, 花吐き (giapponese), 하나하키 (core-ano), 花吐 (mandarino): la malattia di Hanahaki è una malattia immaginaria che si sviluppa nel paziente a causa di un amore non corrisposto, che lo porta a spu-tare e a tossire petali di fiori. Attenzione, la primavera è alle porte, restate a casa.” JVCalco del busto: Hugo Servanin

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202021

CONSTANCE GUISSETSalone del Mobile

CHRISTOPHE HUTTINPadiglione francese

17esima Biennale d’Archittetura di Venezia

COMPAGNIA WANG RAMIREZTorino Danza 2021

MATTEO FRANCESCHINI & RADHOUANE EL MEDDEB,

REQUIEMBolzano Danza 2021

HERVÉ KOUBI CE QUE LE JOUR DOIT À LA

NUIT & BOYS DON'T CRYMilanOltre

OLIVIER DUBOIS, EMANUEL GAT, NACERA BELAZA

Romaeuropa 2021

WAJDI MOUAWADINFLAMMATION DU VERBE VIVRE

Teatro delle Albe, Ravenna

DAMIEN JALET & KOHEI NAWA, VESSEL

Torino Danza 2021

YUVAL PICKPLAYBACH + EDDIES

Scenario Pubblico, Catania

ELIANE RADIGUE, OCCAM OCÉAN, Interpreato dal ONCEIM

AngelicA Festival, Bologna

PAULINE CURNIER-JARDINMostra alla Fondazione Sandretto Re

Rebaudengo, Torino

MOHAMED EL KHATIBLA DISPUTE

Napoli Teatro Festival 2021

BOB WILSON, MARY SAID WHAT SHE SAID

Teatro della Pergola, Firenze

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Gala, Jérome Bel

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FONDAZIONE NUOVI MECENATI

15 anni di sostegno alla creazione contemporanea

Quindici anni fa due grandi amici della cultura fran-cese, Susanna Agnelli e Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli, ex Ambasciatore d’Italia in Francia, sotto l'egida dell'Ambasciata di Francia in Italia decisero di inventare un nuovo modello di cofinanziamento per favorire la diffusione della creazione contemporanea francese in Italia: fu così che nacque la Fondazione Nuovi Mecenati che opera dal 2005 grazie alla ge-nerosità e all’impegno dei suoi membri nel rispetto di quest’obiettivo.

Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione riunisce membri storici, come Altran e Sanofi, a cui nel corso degli anni si sono aggiunte imprese francesi e ita-liane come Total, Autostrade per l’Italia, Edison, Crédit Agricole Italia e Brioni. Tutte hanno in comune l’impe-gno condiviso per lo sviluppo del dialogo culturale fran-co-italiano e si riuniscono due volte l’anno per studia-re i progetti sostenuti dalla Fondazione, privilegiando criteri come la qualità e la diversità, le nuove scritture contemporanee e gli artisti emergenti. Incoraggiando le coproduzioni e la diffusione della cultura francese su tutto il territorio italiano, la Fondazione accompagna le produzioni nell’ambito dello spettacolo dal vivo ma an-che delle arti visive e del cinema.

La selezione dei progetti è guidata dalle valutazioni di quattro esperti francesi e italiani, specialisti dei vari settori coperti dalla Fondazione Nuovi Mecenati: Daria de Beauvais, senior curator al Palais de Tokyo, per le arti visive; Sandro Cappelletto, critico musicale e sto-rico, per la musica classica e contemporanea e per il jazz; Francesca Manica, coordinatrice artistica presso il centro piemontese Orsolina28, per la danza e la per-formance; Chloé Siganos, Direttrice del dipartimento dello spettacolo dal vivo al Centre Pompidou, per il tea-tro, il circo e le arti di strada.

La Fondazione Nuovi Mecenati apporta il suo con-tributo a una trentina di progetti all’anno, assumendo così un ruolo essenziale nella promozione degli scambi culturali tra l’Italia e la Francia.

FR

Il y a quinze ans, deux grands amis de la culture française, Susanna Agnelli et Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli, ancien ambassadeur d’Italie en France, se proposaient d’inventer, sous les auspices de l’Ambassade de France en Italie, un nouveau modèle de cofinancement afin de favoriser la diffusion de la créa-tion contemporaine française en Italie : c’était l’acte de naissance de la Fondation Nuovi Mecenati qui, depuis 2005, œuvre grâce à la générosité et à l’implication ses membres pour le respect de cet objectif.

Le conseil d’administration de la Fondation réunit des membres historiques, comme Altran et Sonofi, re-joints au fil des années par des entreprises françaises et italiennes telles que Total, Autostrade, Edison, Crédit Agricole et Brioni. Tous partagent le même engage-ment pour le développement du dialogue culturel fran-co-italien et se réunissent deux fois par an afin d’étu-dier les projets soutenus par la Fondation, privilégiant la qualité et la diversité, les nouvelles écritures contem-poraines et les artistes émergents. Encourageant les co-créations et la diffusion de la culture française à l’échelle de l’ensemble du territoire italien, la Fondation accompagne des productions tant dans le domaine des arts de la scène que des arts visuels, ou encore du cinéma.

La sélection des projets est éclairée par l’avis de quatre experts français et italiens, spécialistes des différents champs couverts par la Fondation Nuovi Mecenati : Daria de Beauvais, senior curator au Palais de Tokyo, pour les arts visuels ; Sandro Cappelletto, critique musical et historien, pour la musique clas-sique et contemporaine et le jazz ; Francesca Manica, coordinatrice artistique au sein du centre piémon-tais Orsolina28, pour la danse et la performance ; Chloé Siganos, cheffe du service des spectacles vi-vants au Centre Pompidou, pour le théâtre, le cirque et les arts de la rue.

Chaque année, la Fondation Nuovi Mecenati ap-porte son soutien à une trentaine de projets, jouant ainsi un rôle essentiel dans la promotion des échanges culturels entre l’Italie et la France.

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LUDOVICO ORTONAEx-Ambasciatore d’Italia in FranciaPresidente della Fondazione Nuovi Mecenati

Ancien Ambassadeur d’Italie en FrancePrésident de la Fondation Nuovi Mecenati

Sono particolarmente lieto quale Presidente del-la Fondazione Nuovi Mecenati di poter contribuire ad una sempre più intensa e fruttuosa collaborazione tra Italia e Francia nel campo della cultura.

I progetti che si realizzano grazie alla generosa partecipazione dei nostri Mecenati vedono la pre-senza nel campo delle Arti di giovani talenti francesi in Italia nonché lo sviluppo di coproduzioni italo- fran-cesi nella creatività contemporanea. Italia e Francia sono due paesi di antica cultura e per tale motivo ri-tengo sia fondamentale che in questo difficile periodo che stiamo attraversando si aiutino i giovani a prose-guire nella loro ricerca stimolandoli verso traguardi innovativi.

Il mio auspicio rimane quello di una Fondazione che guardi al futuro delle due nostre grandi civiltà, sempre pronta ad offrire nuove opportunità ai giovani francesi in ogni parte d’Italia. È importante infatti che oltre alle grandi città italiane, anche altri centri meno conosciuti dal turismo, ma non per questo meno ric-chi di storia e di cultura, possano essere messi in con-tatto con la cultura contemporanea francese.

FR

Je suis particulièrement heureux de pouvoir contribuer, en tant que Président de la Fondation Nuovi Mecenati, à la collaboration toujours plus intense et fructueuse entre l’Italie et la France sur le plan culturel.

Les projets réalisés grâce à la généreuse partici-pation de nos Mécènes permettent de présenter de jeunes talents français sur la scène artistique italienne et de faire naître des coproductions franco-italiennes dans le domaine de la créativité contemporaine. L’Italie et la France sont deux pays forts d’une culture ancienne, et c’est pourquoi il me paraît fondamental, dans la période difficile que nous traversons, d'aider les jeunes générations à poursuivre leur recherche en les encourageant à aller vers de nouveaux horizons.

Mon principal souhait reste celui d’une Fondation tournée vers le futur de nos deux grandes civilisations, toujours prête à offrir de nouvelles opportunités à de jeunes Français, aux quatre coins de l’Italie. Il est important en effet que, au-delà des grandes villes italiennes, d’autres centres moins connus pour le tou-risme – mais qui, pour autant, ne recèlent pas moins d’histoire et de culture – puissent eux aussi entrer en contact avec la culture contemporaine française.

FONDAZIONEFRANCO - ITALIANAPER LA CREAZIONECONTEMPORANEA

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1° aprile5 maggio 2019

La Fondazione Nuovi Mecenati sostiene La Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia

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La Fondazione Nuovi Mecenati sostiene La Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia

1° aprile5 maggio 2019

La Fondazione Nuovi Mecenati sostiene La Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia

1° aprile5 maggio 2019

La Fondazione Nuovi Mecenati sostiene La Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia

1° aprile5 maggio 2019

La Fondazione Nuovi Mecenati sostiene La Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia

1° aprile5 maggio 2019

La Fondazione Nuovi Mecenati sostiene La Francia in Scena, stagione artistica dell'Institut français Italia

FONDAZIONE NUOVI MECENATI

L'Avis Bidon, Cirque La Compagnie

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La Francia in Scena è un’iniziativa

con il sostegno vettore ufficiale

in collaborazione con

Bologna

DroColorno

Milano

Napoli

Roma

Rovereto

Udine

Sansepolcro Torino

Parma Prato

Firenze Genova Mantova

Bolzano Catania

V :

V

LOGO AIRFRANCENº dossier : 2007399E

Date : 19/05/09

alidation DA/DC

alidation Client

P296C

P032C

ITALIA

FONDAZIONEFRANCO - ITALIANAPER LA CREAZIONECONTEMPORANEA

INSTITUT FRANÇAISLOGO CARTOUCHER1 25/07/16

RÉFÉRENCE COULEUR

C100 M8 J0 N5

LOGO

CapoTrave / kilowattA s s o c i a z i o n e C u l t u r a l e

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La stagione culturale de La Francia in Scena esi-ste grazie alla passione e all’impegno di programma-tori, direttori di istituzioni e di festival che quest’anno più che mai hanno fatto sforzi comuni per proporre una programmazione ambiziosa e di alto livello. Un caloroso grazie a loro e a tutti i colleghi dei servizi am-ministrativi e tecnici.

Ci teniamo a esprimere il nostro più sentito rin-graziamento a tutti gli artisti che, da luglio a dicembre, verranno a incontrare il pubblico italiano rispondendo positivamente all’invito dei programmatori e testimo-niando così il loro attaccamento all’Italia e la loro vici-nanza a questo paese.

Questa edizione del catalogo de La Francia in Scena è diventata un momento di riflessione e di dia-logo, ringraziamo pertanto tutti coloro che attraverso la loro testimonianza hanno contribuito ad alimentarlo.

Questi ringraziamenti naturalmente vogliamo estenderli anche a fotografi, traduttori e tutti quanti abbiano contribuito alla realizzazione della presente pubblicazione.

Infine, esprimiamo la nostra più profonda grati-tudine ai mecenati della Fondazione Nuovi Mecenati, senza la quale nulla sarebbe possibile.

FR

La saison culturelle La Francia in Scena existe grâce à la passion et à l'engagement des program-mateurs, directeurs d'institutions et de festivals qui, plus que jamais, ont conjugué leurs efforts pour pro-poser une programmation ambitieuse et pointue. Qu'ils en soient ici chaleureusement remerciés ainsi que leurs équipes administratives et techniques.

Nous tenons à exprimer nos remerciements à tous les artistes qui, de juillet à décembre, viendront à la rencontre du public italien, répondant présent à l'invitation des programmateurs et témoignant ain-si de leur attachement à l'Italie et de leur proximité avec ce pays.

Cette édition du catalogue La Francia in Scena est devenue un lieu de réflexion et de dialogue ; que tous ceux qui y ont contribué par leur témoignage soient ici remerciés.

Ces remerciements s'adressent également aux photographes, aux traducteurs et à tous ceux qui ont participé à la réalisation de cette publication.

Enfin, nous adressons notre plus profonde grati-tude aux mécènes de la Fondation Nuovi Mecenati sans qui rien ne serait possible.

Cover e foto p. 6-17: Leslie Moquin; p. 18: Samuel Gratacap; p. 19: Leslie Moquin.

Primavera: p. 20: Leslie Moquin; p. 22: Raffaella Canfarini; p. 23: Sven van Baarle; p. 24: 2020 Shutterstock; p. 26: Massimo de Dominicis; p. 28: Ric-cardo Frati; p. 29-35: Jean-Louis Fernandez; p. 35: Vanessa Rabade (P. Rambert); p. 36: Jean-Luc Beaujault; p. 37: Claudia Pajewski (G. Barberio Corsetti), Louise Quignon (P. Ménard); p. 38: Jean-Luc Beaujault; p. 39-43: Christophe Raynaud De Lage; p. 44: DR ; p. 46: Antonin Menichetti; p. 49: Fonds de dotation porosus.

Estate: p. 50: Leslie Moquin; p. 52-53: Courtesy of Arcade London & Brus-sels e Art:Concept, Paris; p. 54: Claire Dorn; p. 57: DR; p. 58: Jean-Claude Carbonne; p. 59: DR; p. 60: Courtesy of Bolzano Danza; p. 61: Patrick Imbert; p. 62: Andrea Macchia; p. 65: Jacques Hoepffner; p. 63: Andrea Macchia; p. 68-69: Patrick Imbert; p. 70: Courtesy of Kilowatt Festivali; p. 71: Camille Blake; p. 72: Audrey Scotto; p. 73: Courtesy of Arcade London & Brussels e Art:Concept, Paris (foto n°2), Fondation Henri Cartier-Bres-son / Magnum Photos (foto n°3); p. 74: Fabio Lovino (foto n°4), Joseph Banderet (foto n°5); p. 75: Rémi Angeli (foto n°6), Camille Blake (foto n°7), Julien Piffaut (foto n°8).

Autunno: p. 76: Leslie Moquin; p. 78-82: Sébastien Erome; p. 83: Courtesy of Oriente Occidente (L. Cis), Agathe Poupeney (D. Deschamps); p. 84: Filippo Manzini; p. 87: DR (E. Demarcy-Mota), Filippo Manzini (M. Giorgetti); p. 88: Lucie Jansch; p. 90; Margherita Busacca; p. 91: Courtesy of Cecilia Balestra - Milano Musica; p. 93: Margherita Busacca; p. 94: Christophe Raynaud De Lage; p. 96: DR; p. 97: DR; p. 99: Christophe Raynaud De Lage; p. 101: Ilaria Costenzo; p. 103: Stefano Sciuto; p. 105: Roberta Sega-

ta; p. 106: Christophe Raynaud de Lage; p. 108: Courtesy of Fabulamundi; p. 111: Kasia Chmura-Cegielkowska (C. Di Giacomo), Christophe Raynaud De Lage (C. Marcilhac); p. 112: Courtesy Cie Entre Nous (foto n°9); p. 113: Courtesy Gérald Kurdian (foto n°10), Philippe Marzat (foto n°11), Marie Losier (foto n°12), Courtesy of PAV (foto n°13); p. 114: Martin Scherer (foto n°14), Nikita Chuntomov (foto n°15), Jessica Maurer (foto n°16); p. 115: Pas-calle Cholette (foto n°17); p. 116-117: Pierangela Flisi (foto n°18); p. 118: Aglaé Bory (foto n°19); p. 119: Cosimo Trimboli (foto n°20), Christian Robert (foto n°21), Raphaël Labouré (foto n°22), Jean-Luc Beaujault (foto n°23); p. 120: Courtesy Jousse Entreprise gallery (foto n°24), Courtesy of Théâtre de la Ville de Paris (foto n°25), DR (foto n°26), Courtesy of Tarek Lakhrissi (foto n°27); p. 121: Fondazione Prometeo (foto n°28); p. 122: Pierre Gond-ard (foto n°29), Jean-Baptiste Millot (foto n°30), Ian Douglas (foto n°31), Romain Tissot (foto n°32); p. 123: Cristina Marx (foto n°33), Courtesy of the artist (foto n°34), Gerrit Schreurs & Johan Creten Studio - Adagp, 2020 (foto n°35), Bastien Capela (foto n°36); p. 124: Alexandre Guirkinger (foto n°37), Luc Hossepied (foto n°38), Courtesy of Les Visiteurs du Soir (foto n°39), Stéphane Rossi (foto n°40); p. 125: Claudia Andujar (foto n°41).

Inverno: p. 126: Leslie Moquin; p. 128: Gianluca Di Ioia; p. 129: Chris-tophe Raynaud De Lage; p. 130: Ginevra Guidotti; p. 131: Fabien Car-talade; p. 132: Nathalie Du Pasquier (foto n°42); p. 133: Julien Poulain (foto n°43), Jérémie Mazenq (foto n°44), Le Dandy Manchot (foto n°45), Amandine Quillon (foto n°46); p. 134: Sylvain Gripoix (foto n°47), Jérôme Bel (foto n°48), Christophe Raynaud de Lage (foto n°49); p. 135: Flore Vitel (foto n°50).

p. 136: Leslie Moquin; p. 138: Courtesy of the artist - Jérôme Bel - RB; p. 141: Courtesy of Cirque La Compagnie.

2020

LA FRANCIA IN SCENAStagione culturale francese in italia

CREDITS

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Maggiori informazioni suinstitutfrancais.it

Facebook: IFItaliaInstagram: if_italia

Christian MassetAmbasciatore di Francia in Italia

Christophe MusitelliConsigliere culturale Ambasciata di Francia in ItaliaDirettore dell’Institut français Italia

DIREZIONE ARTISTICA

Hélène KelmachterAddetta culturale Ambasciata di Francia / IFISegretaria Generale Fondazione Nuovi MecenatiDirezione generale de La Francia in Scena

Delphine Picart Chargée de mission culturelle / IFICoordinamento editoriale / La Francia in Scena

Chiara PittalugaAssistente dell’Addetta culturale / IFIRelazioni con i partner e traduzione / La Francia in Scena

TRADUZIONIverso l’italiano a cura di:Chiara Pittaluga, Riccardo AntoniucciLuca Caroppo (dialogo P. Ménard e G. Barberio Corsetti)verso il francese a cura di:Valentine Bouchachi-Besson, Florence CourriolAnne Darmouni, Noemi Magerand

REVISIONE DEI TESTIAndrea CarboneRiletture finali:Capucine Camplong, Emilie Fongione, Colinne Orain

COMUNICAZIONEAngelo SidoriResponsabile Comunicazione / IFI

Muriel PerettiUfficio Stampa Ambasciata di Francia in Italia

IN COLLABORAZIONE CONPascale JustDirettrice Institut français Milano

Manon HansemannDirettrice Institut français Firenze

Laurent Burin des RoziersDirettore Institut français Napoli

Eric BiagiDirettore Institut français Palermo

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Progetto grafico@black_skew

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un’iniziativa con il sostegno di