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Repubblica Italiana N. 92/2010
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto
Il Giudice Unico delle Pensioni
Nella persona del 1° Referendario dott. Giovanni Co mite.
Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con r.d.12 luglio 1934,
n.1214, e successive modifiche;
visti gli artt.1 e 6, del d.l. 15 /11/93 n. 453, convertito nella l.19/1994;
visto l’art. 5, della legge 21 luglio 2000 n.205;
visti gli artt. 131, 420, 430 e 431 c.p.c. nonché 421, 429 e 132 c.p.c., così come novellati,
rispettivamente, dall’art. 53, del d.l. 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni,
dalla legge n.133, del 06 agosto 2008, e dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno
2009, n.69, e l’art. 26 del Reg. di Proc. per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti, di cui al r.d.
13 agosto 1933, n.1038;
visto l’atto introduttivo del giudizio;
esaminati gli altri atti e i documenti tutti di causa;
chiamato il giudizio alla pubblica udienza del 19 febbraio 2010, con
l’assistenza del segretario sig.ra Nicoletta Niero,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso in materia di pensioni, iscritto al n. 26359 del registro di segreteria, promosso
da Z. M., nata, il OMISSIS, a OMISSIS, residente a OMISSIS, in OMISSIS, elettivamente
domiciliata presso patronato INCA – CGIL di via Settembrini n. 06, Verona, contro l’Istituto
Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (I.N.P.D.A.P.),
Direzione provinciale di Verona, in persona del direttore legale rappresentante del
tempo, in particolare avverso <…il provvedimento n. 9647/U/25, del 21 febbraio 2007…
mediante il quale viene ordinato …di rifondere la somma di € 4.723,00 applicando una
ritenuta cautelativa mensile di € 143,12 a decorrere dal 1° aprile 2007>.
Considerato in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe indicato, ritualmente notificato e depositato il 25 maggio 2009, M.
Z. si gravava del provvedimento n.9647/U/25, del 21 febbraio 2007, con il quale la sede
provinciale INPDAP di Verona intimava la restituzione della somma di € 4.723,00, quale
indebito costituitosi sul trattamento provvisorio di pensione, fruito dal 18 luglio 1990 al 31
dicembre 2006.
Dalla documentazione in atti emergeva che la ricorrente, operatrice amministrativa del
Ministero della Difesa, è cessata dal servizio, per dimissioni, il 17 luglio 1990.
Con nota n. 1314, del precedente 18 giugno 1990, indirizzata, tra l’altro, all’allora Direzione
Provinciale del Tesoro (ora INPDAP) di Verona, la Regione Militare Nord Est conferiva, alla
medesima, il trattamento provvisorio di pensione, a norma dell’art. 162, del T.U. n.
1092/1973, nella misura di £ 7.172.800 (€ 3.704,45) dal 18 luglio 1990, con apertura di
partita di pagamento presso la predetta articolazione territoriale.
Con decreto definitivo n. 804, del 26 maggio 2004, pervenuto all’INPDAP di Verona il 27
luglio 2006, il Comando Regione Militare Nord, attribuiva, alla ricorrente, la pensione
definitiva nell’importo di € 3.503,31 (già £ 6.783.354).
Dall’applicazione, sulla rata di dicembre 2006, (lotto di lavorazione n.32, del 28 novembre
2006) del predetto decreto, l’Istituto convenuto, riscontrava che gli importi pagati per i
periodi pregressi, a titolo provvisorio, risultavano superiori a quelli effettivamente dovuti e,
pertanto, provvedeva a partecipare all’ex dipendente civile, con nota n.41495/U/25, del 30
novembre 2006 (ricevuta il successivo 06 dicembre), l’esistenza di un debito,
successivamente quantificato in € 4.723,00 complessivi e ingiunto con la comunicazione
n.9647/U/25, del 21 febbraio 2007.
L’indebito, costituitosi dal 18 luglio 1990 al 31 dicembre 2006, è recuperato, sulla pensione
ordinaria diretta con ritenuta cautelativa mensile di € 143,12, dal 1° aprile 2007.
Con ricorso, prodotto il 05 giugno 2008, la pensionata chiedeva all’INPDAP, alla luce di
quanto statuito dalla sentenza n.7/2007/QM, del 07 agosto 2007, delle Sezioni Riunite di
questo Istituto, la revoca, in sede di autotutela, del provvedimento di recupero emesso,
riscontrata negativamente, con nota n.28765/U/30, del 10 giugno 2008, poiché <…ogni
sentenza si applica esclusivamente al ricorrente e non è estensibile automaticamente a
casi simili a quello specifico oggetto della sentenza>.
Seguiva, pertanto, il gravame odierno, nel quale l’attrice rivendicava la non esigibilità delle
somme erroneamente corrisposte, poiché l’erogazione riguardava un lungo periodo di
tempo, che ha ingenerato nella stessa il convincimento della correttezza e della certezza di
quanto attribuitogli.
Richiamava, al riguardo, la propria buona fede e giurisprudenza di questa Corte, in
particolare i principi affermati nella sentenza n. 07/2007/QM delle Sezioni Riunite, in tema
d’irripetibilità delle somme corrisposte in più sul trattamento provvisorio di pensione,
decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo.
Terminava per l’annullamento del provvedimento impugnato, con rimborso delle somme nel
frattempo recuperate e delle spese di giudizio.
Con memoria, in atti all’11 giugno 2009, si costituiva in giudizio la sede INPDAP di Verona,
che, con riserva di dispiegare più articolate controdeduzioni, proponeva eccezione di
prescrizione quinquennale, che agiva, comunque, dal 05 maggio 2009 (recte 08 maggio
2009), data di notifica del ricorso.
Con memoria successiva, del 27 gennaio 2010, prodotta congiuntamente al fascicolo
amministrativo, l’Istituto previdenziale articolava in maniera compiuta le proprie difese,
terminando, in via preliminare, per la propria estromissione dal giudizio, attesa la carenza di
legittimazione processuale passiva, o quanto meno consentire la chiamata del terzo,
Ministero della Difesa – Regione Militare Nord Est, ad integrazione del contraddittorio; in
via principale di merito chiedeva, invece, il rigetto del ricorso; in via subordinata, nell’ipotesi
denegata di accoglimento, instava acché la restituzione del credito erariale fosse limitata
alla sola quota capitale, trattandosi, comunque, di indebito oggettivo; in ulteriore gradato
subordine, chiedeva la condanna dell’Amministrazione Militare alla rifusione, in favore di
esso Ente, delle somme dichiarate inesigibili.
In sintesi l’Istituto pagatore, evidenziava il proprio ruolo di ordinatore secondario di spesa,
rientrando, quindi, nelle competenze dell’Amministrazione della Difesa ogni attività volta
alla liquidazione del trattamento di quiescenza che poi esso medesimo deve applicare.
Soggiungeva che l’Amministrazione attiva (Regione Militare Nord Est) era l’unico soggetto
al quale <…spetta emettere e, quindi, dare attuazione ai provvedimenti di pensione
provvisoria, prima, definitiva, in seguito, a favore della Z.>.
Richiamava, al riguardo, la sent. n.197, del 03 marzo 2009, di questa Corte, che, in un caso
<…del tutto sovrapponibile…>, ha ritenuto legittima l’azione di recupero intrapresa per
insussistenza dell’affidamento della pensionata, poiché, a suo tempo, aveva rilasciato una
dichiarazione scritta, sussistente e prodotta tra gli allegati anche per la fattispecie di causa
(dichiarazione del 19 aprile 1990), di autorizzazione, dell’Amministrazione militare, a
trattenere tutte le somme che in sede di attribuzione del trattamento provvisorio di
quiescenza eventualmente le fossero state corrisposte indebitamente.
Ciò precisato, soggiungeva che a voler comunque considerare l’INPDAP quale legittimato
processuale passivo, si ravvisava in fattispecie un’ipotesi di litisconsorzio necessario
comportante l’indispensabilità ai fini del decidere dell’Amministrazione di appartenenza del
pensionato, quale organo competente alla determinazione del trattamento di quiescenza
dello stesso.
In ragione di ciò chiedeva l’integrazione del contraddittorio.
Nel merito, rilevava la correttezza del proprio operato giacché l’indebito si era costituito sul
trattamento provvisorio e, pertanto, così come precisato dalla sentenza delle Sezioni
Riunite n. 1/1999/QM, non rilevava la buona fede essendo il conguaglio, con eventuali
poste a debito o a credito, attività doverosa.
E, ancora, l’Ente, pur prendendo atto di quanto le Sezioni Riunite avevano statuito nella
sentenza n. 7/2007/QM, richiamava giurisprudenza di talune Corti Territoriali che avversava
la trasformazione del provvedimento provvisorio di pensione in definitivo con l’esaurimento
dei termini regolamentari per la sua emanazione, atteso che la norma di cui all’art. 206 era
da considerarsi eccezionale e non suscettibile di interpretazione analogica.
Rilevava, inoltre, come la tutela dell’affidamento non poteva <…comunque essere invocata
per dichiarare l’irripetibilità dell’indebito scaturito dal conguaglio tra pensione definitiva e
provvisoria, dal momento che il conguaglio è ammesso e previsto dal Legislatore, in quanto
insito nella natura stessa dell’istituto della pensione provvisoria>.
Evidenziava, come il superamento dei termini fissati dai regolamenti, previsti dall’art. 2,
della legge n.241/1990, non poteva avere l’effetto di sanare l’indebito; l’art. 162, del D.P.R.
n.1092/1973 e successive modifiche ed integrazioni, legittimava, pertanto il conguaglio a
debito o a credito in sede di liquidazione della pensione definitiva, senza prefissione di un
termine finale e, quindi, lo stesso conguaglio non era soggetto per legge ad alcun termine
di prescrizione. Soggiungeva che se un termine era previsto esso non poteva coincidere
con quello procedimentale ma con quell’ordinario decennale di prescrizione. Rilevava,
ancora, che la legge <... prevede in favore del ricorrente il rimedio consistente nel mettere
in mora l’Amministrazione in caso d’inosservanza dei termini...fino alla denuncia di
omissione di atti d’ufficio, qualora l’inerzia si protragga ulteriormente>.
Precisava, infine, come nel relativo procedimento erano intervenute diverse
Amministrazioni, comprese la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei Conti, in sede
di controllo, oltre l’Amministrazione attiva dell’interessato, da chiamare a rendere conto del
loro operato.
Terminava, quindi, evidenziando l’obbligo giuridico a ripetere quanto indebitamente erogato
in applicazione dell’art.2033 c.c.
Alla pubblica udienza odierna, non rappresentata la ricorrente, presente, per l’I.N.P.D.A.P.,
il dott. Mauro Dal Corso, che si riportava agli scritti defensionali in atti, la causa, ritenuta
matura, è trattenuta e decisa come da dispositivo letto pubblicamente, ex art. 5, della legge
n. 205/2000, consegnato al termine e riportato in calce alla sentenza, data per letta
mediante deposito nella segreteria della Sezione.
Ritenuto in
DIRITTO
In via pregiudiziale la Sezione è chiamata a vagliare le questioni di rito denunciate
dall’Amministrazione previdenziale.
In primis, l’Istituto eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, in considerazione
del ruolo di ordinatore secondario di spesa tenuto dallo stesso nella vicenda di causa.
In sostanza, chiedeva di essere estromesso dalla causa, giacché carente d’interesse a
contraddire alla domanda, ai sensi di quanto previsto dall’art. 100 c.p.c.
La doglianza, priva di pregio, deve essere disattesa.
Al riguardo va precisato che a seguito dell’emanazione del decreto legislativo 30 giugno
1994, n.479, che ha istituito l’I.N.P.D.A.P. (art.4), e della legge 08 agosto1995 n.335 (art.2),
che ha creato, a far tempo dal 1° gennaio 1996, pre sso l’Istituto la gestione separata dei
trattamenti pensionistici ai dipendenti delle Amministrazioni statali (Cassa dei trattamenti
pensionistici dei dipendenti dello Stato: C.T.P.S.), l’Ente previdenziale, con decorrenza 01
ottobre 2005, ha assunto la competenza a liquidare ed erogare i trattamenti pensionistici
anche di tale ultimo personale con l ’eccezione degli appartenenti alle Forze Armate
(compresi i dipendenti civili) e alle Forze di Poli zia ad ordinamento militare (cfr.
circolare INPDAP n.67, del 16 dicembre 2004, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.32, del
27 dicembre 2004).
Con successivi atti normativi interni (si veda la Circolare n.18, per il personale addetto al
Corpo della Guardia di Finanza, n. 19, per il personale dell’Esercito Italiano, n. 20, per il
personale dell’Aeronautica Militare, n. 21, per i dipendenti della Marina Militare, n. 22, per
gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, tutte datate 18 settembre 2009), previ accordi con
gli Enti interessati, l’INPDAP ha assunto, dal 1° gennaio 2010, le competenze in tema di
liquidazione dei trattamenti pensionistici, decorrenti dalla predetta data, esclusivamente nei
confronti dei finanzieri, militari e carabinieri collocati direttamente nella posizione di riserva
o di congedo assoluto (ossia personale collocato a riposo a domanda, per infermità o
perdita del grado) mentre è rimasto di competenza delle amministrazioni di appartenenza la
liquidazione dei trattamenti pensionistici del personale che transita in posizione di ausiliaria,
nonché la determinazione di tutti i provvedimenti pensionistici riferiti al personale collocato
in riserva anteriormente al 1° gennaio 2010, anche con riguardo alla definizione di
domande di riscatto, prosecuzione volontaria, ricongiunzione, computo e sistemazione
contributiva per le istanze presentate anteriormente alla predetta data.
Ne conseguiva, quindi, che, <ratione temporis>, la competenza a emanare il trattamento
definitivo dell’odierna ricorrente, operatrice amministrativa civile dell’Esercito Italiano,
cessata dal servizio, a domanda, e collocata in quiescenza con decorrenza 18 luglio 1990,
era, in via esclusiva, dell’Amministrazione datrice di lavoro (Ministero della Difesa e sue
articolazioni), mentre all’INPDAP spettava l’effettivo pagamento delle somme previste dai
provvedimenti in questione.
Orbene, nell’ipotesi di causa, l’Amministrazione Militare aveva ottemperato, pur se come
vedremo in violazione dei termini procedimentali, alle proprie incombenze liquidando i
provvedimenti di pensione provvisoria e definitiva, trasmettendo, altresì, all’Ente pagatore
l’integrale documentazione a supporto per operare un corretto conguaglio, a credito o a
debito, sul trattamento fruito dalla pensionata.
E tale documentazione, versata nel fascicolo processuale, non essendo in contestazione il
merito del provvedimento definitivo di pensione, modificativo in termini lievemente deteriori
del trattamento provvisorio, per il quale non sono in discussione le prerogative
dell’Amministrazione datrice di lavoro (in questo caso sì da evocare in giudizio), ma solo
l’indebito, tout court, da esso scaturito, è da ritenere adeguata e sufficiente per valutare la
pretesa rivendicata ai fini del giusto decidere.
In sostanza, non essendo la domanda dell’ex dipendente civile diretta a contestare la
legittimità del decreto definitivo di pensione (n. 804, del 26 maggio 2004) e, quindi, a
mantenere fermo l’originario maggiore trattamento provvisorio, resta confermata l’esclusiva
legittimazione passiva dell’INPDAP nel giudizio de quo.
Pertanto, la Corte, ravvisa in fattispecie un concreto interesse a contraddire, ex art 100
c.p.c., in capo all’INPDAP, sia in quanto esclusivo soggetto promotore, per previsione
normativa (nel caso di specie art. 3, del D.P.R. n.1544, del 30 giugno 1955, art. 3, del
R.D.L. 19 gennaio 1939, n.295, nonché art.162, comma 7, del T.U. n.1092/1973), della
relativa procedura recuperatoria, sia per i conseguenti propri adempimenti che
scaturirebbero da un eventuale accoglimento della domanda d’irripetibilità dell’indebito (cfr.
Corte dei Conti, Sezione 2°, sent. n.62/2008, del 1 2 febbraio 2008).
E, invero, l’art. 3, del D.P.R. 30 giugno 1955, n. 1544, ha demandato agli Uffici Provinciali
del Tesoro, poi Direzioni Provinciali del Tesoro e, in subentro, in universum ius, INPDAP,
<…il compito di provvedere al recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni
effettuate da dipendenti dello Stato in attività di servizio o da pensionati ed altri assegnatari
in relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa che detti Uffici amministrano. Il
recupero predetto deve essere effettuato osservando le disposizioni di cui all’art. 3 del regio
decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295>.
La succitata disposizione trovava conferma nel comma 7, dell’art. 162, del T.U. n.
1092/1973 (così come sostituito dall’art.7, del D.P.R. n.138, del 19 aprile 1986), che così
statuiva: <Qualora l’importo della pensione definitiva diretta o di reversibilità risultante dal
decreto di concessione registrato alla Corte dei Conti non sia uguale a quello attribuito in
via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro (ora INPDAP, nota nostra) provvede alle
necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito>
Disposizioni correttamente interpretate dall’Ente previdenziale che ha operato il conguaglio
a debito, poi ingiunto alla ricorrente.
Resta, pertanto, confermata l’esclusiva legittimazione passiva dell’INPDAP nel giudizio de
quo, non senza richiamare, altresì, evidenti ragioni di economia e di ragionevole durata del
processo, che dilazionamenti non necessari e integrazioni superflue del contraddittorio
potrebbero minare (art. 111, comma 2° Cost.).
E il prevalente ruolo rivestito dall’Ente previdenziale nella vicenda di causa, con piena
legittimazione passiva, esclude, altresì, che la Sezione possa favorevolmente valutare la
richiesta d’integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti pubblici intervenuti a
vario titolo nel procedimento amministrativo pensionistico (Amministrazione attiva,
Ragioneria dello Stato e Corte dei Conti in sede di Controllo), istanza, comunque, specifica
nei confronti del Ministero della Difesa, da ritenere non ammissibile oltre che ultronea ai fini
dell’odierno decidere.
E ciò perché non può negarsi che la stessa, non mirando la domanda attorea a contestare
il decreto definitivo di pensione e, quindi, come detto in sostanza a mantenere fermo
l’originario maggiore trattamento, è finalizzata a regolare i rapporti obbligatori correnti tra
l’Istituto previdenziale e le predette Amministrazioni, per i quali difetta la giurisdizione di
questa Corte.
Infatti, è da precisare che mentre è devoluta alla Corte dei Conti sia l’azione del privato
avente ad oggetto l’accertamento del diritto all’an ed al quantum di pensione, che l’azione
di recupero intrapresa dall’Amministrazione Previdenziale e quella di rivalsa nei confronti
del pensionato ex CPDEL, disposta da parte dell’Ente datore di lavoro il quale abbia rifuso
l’indebito predetto all’Ente previdenziale (cfr. Corte di Cassazione SS.UU., sentenza n.
920/1999, e Corte dei Conti Sezione Lombardia sent. n.442/2005, Sezione Veneto, sent.
n.584/2006 e n.628/2007), rimane, invece, estranea alla giurisdizione contabile la
controversia sull’esistenza o meno dell’obbligo, ovvero la determinazione della misura della
sua eventuale sussistenza, dell’Ente di appartenenza del pensionato, o di altri Uffici, di
rifondere all’Amministrazione Previdenziale l’importo indebitamente erogato, per effetto di
errore contenuto negli atti di liquidazione del trattamento di quiescenza. In tale fattispecie,
la domanda giudiziale attiene a un rapporto obbligatorio distinto da quello pensionistico e
sorgente tra soggetti diversi dal pensionato ed in base a un titolo e a presupposti differenti
(ex multis Corte dei Conti Sezione III, sent. n. 62/2000, n.198/2000, Sezione Sicilia sent. n.
1235/2003, id. Sezione Lazio, sent. n. 547/2004).
Così come compiutamente evidenziato dalla Sezione III centrale d’appello il <…difetto di
giurisdizione appare giustificato dal fatto che…le parti processuali in senso formale e
sostanziale sono soggetti che, in questa specifica fase, nulla hanno a che vedere con la
determinazione di un trattamento di pensione…(omissis) controvertendo tra loro soltanto in
ordine all’individuazione del soggetto cui dovranno essere addossate le responsabilità di un
versamento erariale ritenuto conseguenza…(omissis) di errori imputabili
all’Amministrazione di appartenenza ovvero all’Ente liquidatore del trattamento di
pensione>(cfr. Corte dei Conti, Sezione III, sentt. n.62/2000 e n.24/2005).
In sintesi la chiamata in giudizio di un terzo soggetto (Ministero della Difesa – Regione
Militare Nord), ritenuto litisconsorte necessario, non può prescindere dalla sussistenza, in
capo al medesimo, di una posizione sostanzialmente pregnante sulla quale devono poter
incidere, efficacemente, le statuizioni dell’odierna sentenza, cosa che nella fattispecie di
causa, anche per le considerazioni sopra formulate in tema di obbligo di rifondere il debito
da parte dell’Istituzione militare e per la non censura in sé del decreto definitivo, con
l’intento di mantenere sostanzialmente fermo l’originario maggiore trattamento, non è dato
rilevare.
Ciò chiarito, prima del vaglio delle questioni di merito, la Sezione deve osservare,
contrariamente a quanto rivendicato da parte attrice in termini di accoglimento del ricorso
previo annullamento del provvedimento impugnato, che in fattispecie la giurisdizione di
questa Corte ha natura dichiarativa poiché tende all’accertamento del diritto a pensione e
nella misura di legge (rientrando nella cognizione della stessa anche le conseguenze in
termini di recupero): in tale evenienza l’atto o gli atti gravati sono degradati a meri
presupposti processuali proprio perché la giurisdizione investe l’intero rapporto.
La pienezza di quest’ultima consente, quindi, di conoscere di ogni aspetto del
provvedimento impugnato (legittimità e merito) all’unico scopo di accertare il diritto
soggettivo a pensione nella sua esatta misura con esclusione di pronunce a carattere
caducatorio o annullatorio, estranee al potere ascritto alla Corte dei Conti.
Un tanto premesso, nel merito va evidenziato che l’odierna controversia riguarda la
giuridica possibilità, per l’Amministrazione Previdenziale, di ripetere o non somme di
denaro corrisposte in più e non dovute, nella misura complessiva di € 4.723,00, costituitesi
sul trattamento provvisorio di quiescenza dell’accipiens – pensionato, nel periodo 18 luglio
1990 – 31 dicembre 2006.
Sosteneva la ricorrente che, nella predetta fattispecie, la non esigibilità era una
conseguenza automatica della buona fede e dell’affidamento ingenerato dal conferimento,
per un lungo lasso di tempo, di un trattamento di quiescenza errato nel suo ammontare ed
erogato a seguito di determinazione delle amministrazioni preposte, senza alcuna propria
partecipazione procedimentale.
L’indebito, pertanto, andava dichiarato irripetibile in maniera integrale, in ragione dei
principi enunciati nella sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte, n. 7/2007/QM.
L’Amministrazione previdenziale, da parte sua, avversava le predette conclusioni in ragione
dell’obbligo giuridico al recupero, gravante sulla medesima, delle somme indebitamente
corrisposte, attese le norme di diritto comune (art. 2033 c.c.) e di diritto amministrativo (art.
162 T.U. n.1092/1973) che regolavano la materia.
Rilevava che il superamento dei termini fissati dai regolamenti, previsti dall’art.2, della
legge n. 241/1990, non poteva avere l’effetto di sanare l’indebito, mentre le operazioni di
conguaglio non erano, per legge, soggette ad alcuna prescrizione.
Sosteneva, inoltre, che la buona fede e l’affidamento, nell’ipotesi di causa, non erano
invocabili, attesa la dichiarazione di rinuncia sottoscritta dal ricorrente in data 19 aprile
1990.
Per le ragioni di seguito espresse, il ricorso si appalesa non fondato e, pertanto, da
respingere.
Al riguardo è necessario, preliminarmente, inquadrare la fattispecie sotto l’aspetto
normativo – disciplinare.
L’art. 2033 del c.c. disciplina il c.d. pagamento non dovuto, poiché non supportato da
idonea causa (ad es. solvendi, donandi), accordando al solvens la ripetizione di quanto
pagato, indipendentemente da ogni altra considerazione relativa alla scusabilità dell’errore
ed alla buona fede dell’accipiens: ciò in ragione del fatto che il nostro Ordinamento non
ammette l’esecuzione di una prestazione non sorretta da giustificazione causale
giuridicamente rilevante.
La giurisprudenza ha poi introdotto, progressivamente, il principio della tutela
dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede, nel senso che la legittimità del
provvedimento amministrativo, con cui si agiva per il recupero dell’indebito, era valutata
anche alla stregua di tale affidamento. Per altro verso, la non ripetizione delle somme
pagate in più rispetto a quelle dovute, da parte di talune amministrazioni, trovava riscontro
in proprie peculiari discipline, che attribuivano rilevanza all’elemento psicologico del
beneficiato. Tra tali normative, particolari e derogatorie al principio generale della
ripetizione dell’indebito, merita menzione, per il favorevole trattamento che ne conseguiva
per i pensionati, l’art. 206 del D.P.R. 1092 del 1973, che stabiliva il principio dell’irripetibilità
dell’indebito emergente a seguito di revoca o modifica del provvedimento definitivo di
pensione, in assenza di fatto doloso dell’interessato. La norma era autenticamente
interpretata dal 1° comma, dell’ art. 3, della legge 428/1985, nel senso che il recupero era
escluso quando, in presenza delle condizioni stabilite dagli artt. 204 e 205 del T.U.
1092/1973, il provvedimento definitivo di concessione o di riliq uidazione di pensione
veniva modificato o revocato da altra determinazione formale soggetta a registrazione.
Analoga disciplina si rinviene nell’ambito delle pensioni a carico dell’Assicurazione
Generale Obbligatoria (AGO), ove l’art. 52, della legge n.88 del 1989, anch’esso
interpretato autenticamente dal Legislatore con l’art. 13, della legge 412 del 1991,
precisava che la <…sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base
a formale, definitivo provvedimento …che risulti viziato da errore di qualsiasi natura
imputabile all’Ente erogatore…>, fatto, comunque, salvo il caso di percezione dolosa.
La suddetta disciplina, con riferimento all’art. 52, della legge 88/1989, avente formulazione
letterale e sostanziale identica all’art. 206 del T.U. 1092 del 1973, in termini di definitività
del provvedimento di pensione, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale, con
la sentenza n.383, del 31 luglio 1990, del Giudice delle Leggi.
Quest’ultima affermava che <…in altri termini, è sancita l’irripetibilità delle somme erogate,
sia che l’errore sia caduto sull’an, sia sul quantum. Unica condizione richiesta è quella della
mancanza di dolo dell’interessato…La suddetta interpretazione…è adeguatrice ai precetti
costituzionali, ponendo su un piano di parità il trattamento dei pensionati INPS e quello dei
pensionati ex dipendenti pubblici…>.
Ne conseguiva, quindi, che l’Amministrazione attiva dell’interessata e l’Ente previdenziale,
nei casi previsti, potevano revocare o modificare, quale espressione del loro potere di
autotutela, un provvedimento definitivo di pensione, alla presenza di errore di fatto in cui le
stesse fossero incorse in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza, con
conseguente irripetibilità delle somme in più corrisposte, in assenza di dolo dell’interessato.
Ora, la normativa vigente, in specie l’art.162 del D.P.R. 1092/1973, nel testo modificato
dall’art. 7 del D.P.R.138/1986, per i dipendenti delle Amministrazioni Statali, ha previsto,
altresì, l’attribuzione, in favore dell’interessato e nelle more dell’emanazione del
provvedimento definitivo, del trattamento provvisorio di pensione.
La succitata disciplina prevedeva, inoltre, che qualora l’importo della pensione definitiva
risultante dal decreto di concessione registrato alla Corte dei Conti non fosse uguale a
quello attribuito in via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro doveva provvedere alle
necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito.
Con chiarezza, non sempre agevolmente riscontrabile nel risultato del procedimento
normativo, emergeva l’esistenza di un dovere giuridico, in capo all’Amministrazione, di
verificare la sussistenza dei presupposti per operare un conguaglio a debito o a credito
sulle poste di pensione, una volta intervenuto il provvedimento definitivo di quiescenza.
Ciononostante, le lunghe dilazioni temporali che, sopra tutto per il passato, informavano il
procedimento amministrativo pensionistico, hanno sollevato, da un punto di vista
interpretativo, il problema della estensione analogica dell’art. 206 del T.U. 1092/1973, in
tema di irripetibilità di indebito derivante da pensione, quando si era in presenza di revoca o
di modifica di decreti di liquidazione provvisoria di pensione, come nel caso che ci riguarda,
accompagnata dalla sussistenza di determinate condizioni, quali la buona fede del
percettore e la tardività del provvedimento che aveva fatto emergere l’indebito.
Ora pare ragionevole ritenere che la <ratio> della norma che prevedeva la irripetibilità delle
somme corrisposte in più (art. 206 T.U. n.1092/1973) fosse da rinvenire nell’affidamento
che ingenerava, nel pensionato, la concessione del trattamento definitivo di pensione e
nella sua buona fede nel percepire somme che la stessa Amministrazione riconosceva
definitivamente dovute.
Secondo la più autorevole giurisprudenza, seguita anche da questo Giudicante,
l'affidamento <dell'accipiens> era ammissibile soltanto con riferimento all'esistenza di una
determinazione finale che avesse carattere di definitività, per cui doveva ritenersi che al di
fuori delle ipotesi di cui agli artt. 205 e 206 del T.U., conseguenti a provvedimenti di revoca
o modifica di pensioni definitive, che avevano carattere eccezionale e derogatorio e non
erano suscettibili d’interpretazione analogica, non sussisteva la possibilità per il giudice di
attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte
dall'amministrazione su trattamenti provvisori (Corte dei conti, Sezioni Riunite, 14 gennaio
1999, n. 1/QM; id. Corte dei conti, Sezione 2^, 10 luglio 2002, n. 228).
Tuttavia, giova rammentare che, secondo quanto ritenuto dalla stessa Corte Costituzionale,
nel settore previdenziale sembra essersi affermato un principio di settore secondo il quale
<...diversamente dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell'indebito,
trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione
in presenza di una situazione di fatto...avente come minimo comune denominatore la non
addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta> (Corte cost., sent. n. 166, del 24
maggio 1996, ma anche sentenze n.431, del 14 dicembre 1993, e n. 240, del 10 giugno
1994).
In ragione di tale principio, parte della giurisprudenza contabile, soprattutto di primo grado,
ha affermato, in più occasioni, che l’erroneità nell’erogazione di somme non dovute non
legittima l'azione di recupero da parte dell'ente previdenziale nei confronti del pensionato
quando questi le abbia riscosse in buona fede e sia trascorso un tempo così lungo da
indurre nel percipiente il ragionevole pensiero che le somme risultassero effettivamente
dovute (Corte dei conti, Sezione Piemonte, sent. n.1590, del 15 settembre 2003, id, 28
ottobre 2003, n. 1834; Sez. giurisdizionale Sicilia, sent. n.1, del 2 gennaio 2004).
Ora non vi è chi non vede come il sistema normativo, che prevede l'irripetibilità delle sole
somme erogate al pensionato in forza del trattamento pensionistico definitivo, appare
legittimo, ragionevole e sostenibile solo se il lasso di tempo che intercorre tra la
concessione del trattamento provvisorio e l'erogazione di quello definitivo è contenuto e tale
da non indurre in errore il percipiente di buona fede che fa affidamento sulla pensione per il
soddisfacimento delle sue esigenze di vita.
Al riguardo, infatti, era bene precisare che dal momento del collocamento a riposo del
lavoratore si apriva il procedimento amministrativo di concessione del trattamento
pensionistico, che comportava l'accertamento del diritto al trattamento stesso e la
determinazione del suo ammontare.
Riguardo a tali adempimenti l'art. 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi)
ha stabilito che le amministrazioni pubbliche dovevano fissare il termine entro il quale ogni
procedimento doveva concludersi, a meno che lo stesso fosse già determinato dalla legge,
e che in mancanza di determinazioni il procedimento doveva concludersi entro trenta giorni
poi elevati a novanta.
Attualmente, le Amministrazioni statali possono individuare, con apposito regolamento da
emanarsi ai sensi dell’art.17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.400, un termine per
l’ultimazione del procedimento non superiore a novanta giorni, ovvero, nei casi di
particolare organizzazione amministrativa, della natura e degli interessi pubblici tutelati e
della particolare complessità del procedimento, non superiore a centottanta giorni, così
come disposto dall’art. 7, comma 1°, lettera b, della legge 18 giugno 2009, n.69, pubblicata
sul suppl. ord., n.95/L, alla Gazz. Uff. n.140, del 19 giugno 2009, che ha sostituito il
succitato articolo 2 (novella applicabile dal 04 luglio 2009).
Si trattava di un principio di civiltà giuridica diretto a favorire l'efficienza dell'azione
amministrativa e a evitare che l'incertezza delle situazioni giuridiche si prolungasse
indefinitamente, con danno sia per l'amministrazione che, soprattutto, per il cittadino.
Deve, quindi, ritenersi, anche per evitare censure di violazione degli artt. 3, 38 e 97 della
Costituzione, che nell'ordinamento esista una norma generale che impone
all'Amministrazione di appartenenza del pensionato ed all'ente previdenziale di concludere
in tempi brevi e ragionevoli il procedimento per la concessione del trattamento definitivo di
pensione e che qualora tale termine venga superato non può onerarsi, il pensionato in
buona fede, dell’eventuale recupero di somme costituitesi sul trattamento provvisorio ma
emergenti in sede di conguaglio con il trattamento definitivo, effettuato a notevole distanza
temporale, nel caso di specie dopo oltre 16 anni(dicembre 2006).
Così posta la questione appare evidente che ogni qualvolta l'ente previdenziale pretenda
dal pensionato la ripetizione di somme occorre verificare se si è in presenza di un indebito
in senso proprio ovvero se, a causa dell'inerzia dell'amministrazione che ha protratto
indefinitamente un procedimento, il diritto al mantenimento delle maggiori somme percepite
si è consolidato nel percipiente.
Nel primo caso gli Enti potranno ripetere le somme erroneamente corrisposte secondo le
normali regole civilistiche, nel caso di specie troverà applicazione l’art. 2033 c.c. quale
norma di chiusura, operante nei casi non soggetti a discipline speciali; nella seconda
ipotesi non potrà farsi luogo alla ripetizione perché, in buona fede, il pensionato è
legittimato a ritenere che il procedimento per la concessione del trattamento pensionistico
si sia ormai concluso e che, pertanto, l'importo percepito sia definitivo.
Tali considerazioni hanno trovato conferma nell’Autorevole pronuncia, costituzionalmente
orientata, delle Sezioni Riunite di questo Istituto, n.7/QM/2007, dell’11 luglio – 07 agosto
2007, la quale, risolvendo talune questioni di massima, tutte riferibili alla problematica
relativa alla ripetibilità o meno dell’indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico
provvisorio, ha statuito che: <...in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto
nell’art. 162, del D.P.R. n.1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul
trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina
sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in
vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del
provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero
dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto
nell’amministrazione>.
Ciò comportava, a parere di questo Giudicante, non una deroga al principio dell’esigibilità
dell’indebito costituitosi sul trattamento provvisorio di pensione, ma una conferma del
principio di settore riguardante l’irripetibilità di maggiori somme percepite in buona fede solo
su pensione definitiva, giacché dal combinato disposto della richiamata normativa in tema
di pensione provvisoria e della disciplina sopravvenuta di cui alla legge n.241/1990,
derivava la trasformazione del provvedimento provvisorio in definitivo qualora quest’ultimo
non fosse stato emanato nei termini legali o regolamentari disciplinanti la materia.
Soggiungeva, al riguardo, l’Autorevole Giudice che: <Il termine di legge o regolamentare
amministrativo entro il quale l’Amministrazione deve procedere all’emissione del
provvedimento definitivo di quiescenza assume dunque - atteso l’inequivoco dettato
normativo relativo alla contestualità dell’emissione del provvedimento di pensione definitiva
e dell’eventuale, conseguente conguaglio - portata identificativa del connesso limite
temporale da ritenersi sussistente per l’eventuale esercizio legittimo del potere
recuperatorio destinato a incidere sfavorevolmente sull’assetto economico del
percettore...Alla scadenza del predetto limite temporale non si può dunque ravvisare alcuna
ulteriore possibilità di esercizio del potere di recupero, e ciò nella considerazione che i limiti
temporali fissati nella subiecta materia sono previsti a tutela (e non già a discapito) degli
interessi privati coinvolti nel procedimento e operano come limite esterno destinato a
segnare il discrimine tra esercizio dinamicamente legittimo del potere restrittivo da parte
dell’Amministrazione e il sopravvenire della preclusiva carenza del potere stesso>.
Naturalmente l’individuazione del limite temporale per l’emanazione del provvedimento
definitivo sul trattamento di quiescenza, decorso il quale non poteva più effettuarsi il
recupero dell’indebito, era rimesso all’accertamento ed alla valutazione del Giudice di
merito, così come precisato nella succitata sentenza, che limitava l’operatività
<...della ...pronuncia di massima solo per le fattispecie successive alla data di entrata in
vigore della richiamata legge 07 agosto 1990 n.241>.
Deve, comunque, soggiungersi, ad avviso di questo giudicante, che la mancanza di una
norma che indichi il termine entro il quale il procedimento deve concludersi non implicava
mai che allo stesso non fosse applicabile alcuna scadenza e che l'Amministrazione potesse
protrarlo indefinitamente senza giungere alla sua conclusione.
<In buona sostanza l’entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge n.241 del 1990
quali integrate dalle disposizioni di legge e regolamentari ex art. 2 della legge stessa ha
innovato non tanto con riguardo all’obbligo – già esistente - di portare a compimento atti
dovuti, quanto rispetto alle modalità stesse dell’adempimento, per le quali ora vige il dovere
di adottare un provvedimento espresso entro il termine univocamente applicabile.
Tale innovazione, per quel che qui rileva, è destinata a tutelare i pensionati destinatari
dell’azione della pubblica amministrazione, i quali da un lato possono ora riporre un
affidamento qualificato nella durata dei procedimenti che li riguardano, e, dall’altro, possono
immediatamente far valere le conseguenze dell’inadempimento per superamento del
termine prefissato, dovendo peraltro escludersi nella subiecta materia la necessità di previa
diffida per contrastare l’inadempimento, in quanto nella fattispecie si fanno valere diritti
soggettivi non subordinati all’adozione di un provvedimento costitutivo
dell’Amministrazione..., fermo restando la diversa e autonoma problematica relativa alle
modalità per accertare e far valere, anche facendo ricorso alle modalità già
sommariamente indicate con la sentenza di queste Sezioni Riunite n.1/QM del 1999
( diffida ex legge n.241 del 1990 e/o denuncia di omissione di atti d’ufficio), eventuali
responsabilità in ordine al ritardo e/o all’omissione del provvedimento di liquidazione della
pensione definitiva...> .(Corte dei Conti, SS.RR. sent. n.7/2007/QM).
In tal modo il Giudice delle Questioni di Massima, con funzione nomofilattica, ha chiarito
che il superamento del termine, di legge o regolamentare, entro il quale la P.A.
previdenziale deve procedere all’emissione del provvedimento definitivo di pensione,
<...assume...portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per
l’eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato ad incidere
sfavorevolmente sull’assetto economico del percettore>.
A ciò, inoltre, era da aggiungere, come enunciato con chiaro argomentare dalle Sezioni
Riunite, che limitare la tutela del pensionato alla mera applicabilità, in materia di recupero di
un indebito tardivo e/o abnorme, delle norme sulla prescrizione decennale, <...non soddisfa
l’esigenza di pervenire ad una soluzione costituzionalmente orientata e coerente con il
complessivo quadro normativo vigente e applicabile...>.
In fattispecie, la ricorrente è cessata dal servizio il 17 luglio 1990, quindi, prima dell’entrata
in vigore della legge 07 agosto 1990 n.241. Da tanto discendeva non l’inapplicabilità di
qualunque termine alla vicenda di causa, bensì l’applicazione del termine, originariamente
di trenta giorni, previsto dall’art.2, comma 3, della legge n. 241/1990, ovvero di quello
previsto da apposita normativa regolamentare, statuente il limite temporale entro cui
emanare il provvedimento definitivo di pensione, da far decorrere non tanto dalla data di
collocamento a riposo e, quindi, di emanazione del trattamento provvisorio, ma dalla data di
entrata in vigore della legge predetta e con riguardo al provvedimento definitivo conclusivo
del procedimento.
Con riguardo ai termini in questione il Decreto Ministeriale 16 settembre 1993, n.603
(Regolamento recante disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 07 agosto
1990, n.241, nell’ambito dell’Amministrazione della Difesa), ha disposto che il procedimento
di quiescenza doveva essere ultimato entro 330 giorni, periodo che il successivo decreto, 8
agosto 1996, n.690 (recante Disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 07
agosto 1990, n. 241, nell’ambito degli Enti, dei distaccamenti, dei reparti dell’Esercito, della
Marina, dell’Aeronautica nonché quelli di carattere interforze) disciplinava, nelle tabelle
allegate, in 180 giorni, poi uniformato interpretativamente (anche in esito a rilievi delle
Sezioni Controllo di questa Corte) in 330, con riguardo alla pensione definitiva ordinaria
diretta.
In seguito, il decreto legge n. 79, del 28 marzo 1997, convertito, con modificazioni, nella
legge 28 maggio 1997, n. 140, all’art.3 ha previsto che <Il trattamento pensionistico dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo
03 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, compresi quelli di cui ai commi 4 e 5
dell’art. 2 dello stesso decreto legislativo (ora art. 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n.165) è corrisposto in via definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio…
> (comma 1), almeno con riferimento alle fattispecie di collocamento a riposo a domanda
(dimissioni) o a seguito di destituzione, così come emergente dal comma 5 dello stesso
articolo (cfr. Sezione Centrale di Controllo di Legittimità, delib. n.8, del 14 luglio 2004).
Anche l’INPDAP provvedeva, comunque, a indicare tali termini nella chiara e puntuale
Circolare n. 31, del 17 maggio 1999, ove il tempo per l’adozione del provvedimento
definitivo era mutuato dai vari Decreti Ministeriali riguardanti la materia (cfr. DD.MM.
n.304/1992, n.325/1997 e n.352/1998).
E invero, con decorrenza 18 febbraio 1993, l’INPDAP ha stabilito criteri temporali uniformi
entro i quali concludere il procedimento pensionistico: nella specie 540 giorni per le
cessazioni dal servizio avvenute a tutto il 31 dicembre 1991, 180 giorni per le cessazioni
collocate tra il 01 gennaio 1992 e sino al 17 febbraio 1993, 120 giorni, per i collocamenti a
riposo avvenuti tra il 18 febbraio 1993 ed il 28 marzo 1997, e 30 giorni, a far tempo dal 29
marzo 1997 in poi.
Il superamento della predetta previsione temporale (330 giorni, previsti dal Regolamento
dell’Amministrazione attiva) potrà conservare, comunque, la conformità a norma solo nella
misura in cui lo stesso si presenti come ragionevole e congruo: in sintesi il tempo è
funzione dell’affidamento, inteso quale situazione giuridica protetta dal protrarsi di esso
oltre ogni ragionevole limite d’incertezza (cfr. in senso conforme Consiglio di Stato, Sezione
V, sent. n.1224, del 28 febbraio 2002, e Adunanza Plenaria, dec. n.20, del 12 dicembre
1992, nonché Corte dei Conti, Sezione Lombardia, sent. 309, del 29 aprile 2005).
Nel caso che ci occupa il provvedimento provvisorio di quiescenza, risaliva al 18 giugno
1990 (n.1314), il decreto definitivo era del 26 maggio 2004 (n.804), concretamente
applicato dall’INPDAP di Verona sulla rata di dicembre 2006 (lotto di lavorazione n. 32, del
28 novembre 2006), quindi è intervenuto, di certo, oltre ogni ragionevole previsione (dopo
quasi 13 anni dalla scadenza del termine procedimentale e applicato dopo ulteriori anni
due), trasformando così il provvedimento provvisorio in definitivo.
Il protrarsi del procedimento di determinazione del trattamento definitivo di pensione per un
così lungo periodo deve, però, essere accompagnato dalla buona fede e dall’affidamento
del percettore delle maggiori somme.
E il concetto di affidamento, quale valore fondamentale dello Stato di diritto,
costituzionalmente protetto nel nostro Ordinamento (si veda al riguardo Corte
Costituzionale, sent. n.39, del 10 febbraio 1993, e n. 155, del 04 aprile 1990) ed in quello
Comunitario, che ha accentuato le tutele dell’interesse privato nei confronti delle azioni
normativa e amministrativa delle Istituzioni europee (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità
Europee, 15 luglio 2004, causa C – 459/02), per essere definito legittimo e tutelabile deve
collocarsi, chiaramente, nel contesto di una condotta, del percettore delle maggiori somme,
caratterizzata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza.
Ora, nella fattispecie di causa, la richiesta d’inesigibilità non poteva trovare accoglimento
poiché non assistita dal requisito dell’affidamento, atteso che la ricorrente con dichiarazione
sottoscritta il 19 aprile 1990, resa all’Istituzione militare di appartenenza, autorizzava <…
l’Amministrazione militare a trattenere tutte le somm e che in sede di attribuzione del
trattamento provvisorio di quiescenza eventualmente le dovessero venire
corrisposte indebitamente .
Quanto sopra anche nel caso in cui dovesse emergere un debito verso l’Erario per somme
percepite in più presso l’Ente di provenienza>.
Conseguentemente, a fronte dell’indebito contestato, maturato a causa dell’errore
commesso dalle Amministrazioni intervenute nel procedimento pensionistico, che hanno
conferito un maggiore trattamento provvisorio, la dichiarazione resa si presentava come
ostativa alla formulata pretesa d’inesigibilità, atteso che la sua natura volitiva e
autorizzatoria, determinante assunzione di piena responsabilità contrattuale, incideva, non
facendolo affatto sorgere, sull’affidamento asseritamente ingenerato, integrando una sorta
di preventiva rinuncia al mantenimento delle maggiori somme percepite, con incidenza
sullo stato soggettivo della buona fede.
E il predetto documento, che, come detto, risaliva al 19 aprile 1990, spiegava efficacia con
riguardo all’intero periodo di percezione del trattamento provvisorio, anche se di gran lunga
superiore al termine procedimentale entro il quale doveva essere emanato il provvedimento
definitivo, durante il quale, tra l’altro, la ripetibilità era sempre ammessa a prescindere da
qualunque dichiarazione resa in tal senso dal pensionato.
In ragione di quanto premesso, è da disattendere la domanda d’inesigibilità dell’indebito di
€ 4.723,00, intimato con il provvedimento del 21 febbraio 2007, n. 9647/U/25, così come
preannunciato con nota n. 41495/U/25, del 30 novembre 2006, con conseguente
declaratoria di legittimità dell’azione di recupero intrapresa.
Circa il regolamento delle spese di giudizio, ritiene questo Giudice che sussistano espliciti
motivi, da individuare nella complessità delle questioni trattate e nella non pacifica
giurisprudenza delle Sezioni territoriali sull’argomento, per disporne la compensazione ai
sensi dell’art. 92, 2° comma, c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale regionale per il Veneto, Giudice Unico delle
Pensioni, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente
pronunciando:
1. in via pregiudiziale, rigetta la richiesta di estromissione dal giudizio e d’integrazione
del contraddittorio formulate dall’Istituto previdenziale.
2. Nel merito, respinge il ricorso in epigrafe indicato, ritenendo legittima l’azione di
recupero intrapresa.
Dichiara integralmente compensate, tra le parti, le spese di giudizio.
Dà atto, inoltre, dell’avvenuta lettura delle ragioni di fatto e di diritto, secondo il novellato
art. 429 c.p.c., in forma equipollente, attraverso il deposito della sentenza nello stesso
giorno dell’udienza.
Manda alla segreteria della Sezione per i successivi adempimenti.
Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio, all’esito della pubblica udienza del 19
febbraio 2010.
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
(F.to dott. Giovanni Comite)
Il Giudice Unico delle Pensioni, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52, del D.Lgs.
30 giugno 2003, n.196
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52,
nei riguardi della ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.
Il GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
(F.to dott. Giovanni Comite)
Depositata in Segreteria il 19.02.2010
Il Dirigente
F.to Daniela Gubbiotti
In esecuzione del provvedimento del G.U.P., ai sensi dell’art.52, del decreto legislativo 30
giugno 2003, n.196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi
della ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.
Venezia, 19.02.2010
Il Dirigente
F.to Daniela Gubbiotti