pubblicazione trimestrale delle piccole figlie di s ... · l'incarnazione, mistero e realismo...

13
AMICA AMICA V O C E Pubblicazione Trimestrale delle Piccole Figlie di S. Giuseppe Verona - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB VERONA Amica Voce N. 3 - Settembre-Dicembre 2018 In questo numero: L'incarnazione, mistero e realismo di Dio pag 3 La beatitudine della fede pag 9 Camminare "la vita" pag 11

Upload: nguyenhuong

Post on 17-Feb-2019

213 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

AMICAAMICAV O C E

Pubb

licaz

ione T

rimes

trale

delle

Picc

ole Fi

glie

di S.

Gius

eppe

Vero

na -

Poste

Itali

ane

s.p.a.

- Spe

dizion

e in

Abbo

nam

ento

Posta

le - D

. L. 3

53/2

003

(con

v. in

L. 27

/02/

2004

n°4

6) ar

t. 1, c

omm

a 2, D

CB VE

RON

A

AmicaVoce N. 3 - Settembre-Dicembre 2018

In questo numero:

L'incarnazione, mistero e realismo di Dio pag 3

La beatitudine della fede pag 9

Camminare "la vita" pag 11

Pubblicazione trimestrale delle Piccole Figlie di S. Giuseppe37128 Verona Via Don Baldo 7Tel. 045 8348608www.piccolefigliesangiuseppe.it

Direttore Responsabiledon Guido TodeschiniDirettoreSr. Antonietta CorazzaStampaEdizioni Stimmgraf Srl (vr)Diffusione editorialeNuova Zai snc (vr)Aut. Pref. di Verona n. 3055 Gab. 251145

Madre Elisa Baù

stessa che ci siamo costruiti di Dio, fin dal tempo della nostra infanzia. Non possiamo vivere solo di rendita o di tradizione: perché la nostra fede diventi matura e convinta dobbiamo continua-mente rimetterci in gioco, non smettere di farci “cercatori di Dio e di umanità”. È importante porci delle domande, fare emerge-re i nostri dubbi, andare oltre la superficialità…“Avere dubbi non è peccato, il peccato è lasciare che le paure condizionino le nostre scelte”(Papa Francesco). Ci possiamo domandare, che cosa Dio Padre vuole dirci attraverso la scelta audace e impensabile di rivestire, in Gesù, la nostra car-ne umana? Come questa scelta di Dio incide sul mio modo di guardare la mia vita e quella di ogni altro essere umano sulla terra? Queste ed altre domande chiedono risposte concrete che possono farci scoprire chi siamo in verità e verso quale direzione va la nostra stessa vita. Ci auguriamo che questo S. Natale, non si rias-suma in una dolce memoria, ma ci renda capaci di lasciarci conquistare “dall’inaudito realismo dell’a-more del Dio incarnato”, affinché anche la nostra fede possa superare la sfera del sentimento, delle emozioni, ma “sia capace di incarnarsi”, passando dalle parole ai fatti, facendosi carico, per amore, della “carne” del fratello/sorella: il Gesù vivo, per me, oggi. ■

Buon Natale e Benedetto Anno 2019!

L'incarnazione: mistero e realismo di Dio 3

Palestra dell'immaginazione... 4

Sette motivi specifici per leggere libri di carta 6

C'è martirio e martirio 7

La beatitudine della fede 9

Camminare "la vita" 11

Insegnare è azione del cuore 12

Lo Spirito nel Sinodo dei giovani 15

Benedici il Signore anima mia 16

Amare le domande 18

La Giorgia dal vivo 19

Tutto per causa di un grande amore 20

Un grazie dalle missioni 22

N. 3 - Settembre-Dicembre 2018

In questo numero...

2 3

L’incarnazione: mistero e realismo di Dio

Il mistero del Natale è sempre sorprendente ed affascinante, esso risveglia in noi vari sen-timenti, a volte perfino contrastanti: gioia,

trepidazione, compassione, incertezza, ammira-zione… Avvertiamo di trovarci dinnanzi a Qual-cosa di profondamente umano, comune ma, allo stesso tempo, di assolutamente altro… superiore, divino! “La parola “Incarnazione”, che spesso accostia-mo al Natale, deriva dal latino “incarnatio”… si riferisce al corpo come “carne” e, nel linguaggio del Vangelo, secondo l’uso ebraico, la carne indi-ca l’uomo nella sua integralità, tutto l’uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua precarietà e limi-te, della sua povertà e possibilità. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio, fattosi carne in Gesù di Nazareth, tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi”. Papa Benedetto XVI, del quale riporto questa citazione, chiarisce questo pensiero dicendo: “L’Incarnazione è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime; “a volte si è più attenti agli aspetti esteriori”, ai “colori” della festa, che al cuore della grande novità cristiana”. Questa è la sconvolgente Buona novella di un Dio diventato pienamente uomo. “Il Figlio di Dio… ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’ uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo”.(Cost. Gaudium et spes, 22).È bello soffermarci, soprattutto nel periodo nata-lizio, “assaporando questa verità” che sconvolge tutti i nostri parametri umani e forse anche l’idea

La rivista La Civiltà Cat-tolica, fondata nel 1850, è giunta l’anno scorso al

numero quattromila. Il 9 febbra-io 2017, in occasione dell’uscita del fascicolo quadri-millenario, il Papa ha ricevuto in udienza il collegio degli scrittori della ri-vista ed ha affidato ai redattori de La Civiltà Cattolica tre parole programmatiche. Le prime due suggestioni sono: inquietudine e incompletezza, mentre per la terza riportiamo interamente le sue parole. Così dice il Papa: «La terza parola è IMMAGINA-ZIONE. Questo nella Chiesa e nel mondo è il tempo del discerni-mento. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire del-la gente che conosce la via umile della cocciutaggine quotidiana, e specialmente dei poveri. La sa-pienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambigui-tà, bisogna entrarci, come ha fatto il Signore Gesù assumendo la no-stra carne. Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte.Per questo mi piace tanto la poesia e, quando mi è possibile, conti-nuo a leggerla. La poesia è piena di metafore. Comprendere le me-tafore aiuta a rendere il pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto. Chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umo-rismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà

genialità aiuta a capire che la vita non è un quadro in bianco e nero. È un quadro a colori. Alcuni chia-ri e altri scuri, alcuni tenui e altri vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature. Ed è questo lo spazio del discernimento, lo spazio in cui lo Spirito agita il cielo come l’aria e il mare come l’acqua». Questa citazione papale offre l’occasione per una veloce pas-seggiata nel mondo letterario dell’attuale pontefice. Innan-zitutto Jorge Mario Bergoglio fu insegnante di letteratura e, proprio per questa ragione, alla metà degli anni Sessanta, da gio-vane gesuita, invitò lo scrittore Jorge Luis Borges (1899-1986) a tenere delle lezioni ai suoi stu-denti nel Collegio di Santa Fe a Buenos Aires. Due Jorge, così di-versi tra loro, si sono incontrati proprio al tavolo della letteratu-ra. Purtroppo le parole di Bergo-glio mai entreranno tra le righe di Borges ma, inaspettatamen-te, quelle di Borges sono invece entrate tra le righe di Bergoglio! Nell’esortazione Amoris laetitia (La letizia dell’amore) del 2016, al n.8, papa Francesco inserisce un verso di Borges: «ogni casa è un candelabro». Una citazio-ne che è la punta di un iceberg formato da una lunga storia di letteratura, di conversazioni, di letture e scritture.In secondo luogo l’attuale Vesco-vo di Roma è un grande lettore. Nella prima intervista rilasciata, Bergoglio cita numerosi autori conosciuti e amati. La bibliote-ca del Papa ha una ricca sezione

interiore. È in grado di spalan-care visioni ampie anche in spazi ristretti come fece nelle sue opere pittoriche il fratel Andrea Pozzo (1642-1709), aprendo con l’im-maginazione spazi aperti, cupole e corridoi, lì dove ci sono solo tetti e muri. Vi do anche lui come figura di riferimento.Coltivate dunque nella vostra rivista lo spazio per l’arte, la let-teratura, il cinema, il teatro e la musica. Così avete fatto sin dagli inizi, dal 1850. Alcuni giorni fa meditavo sulla pittura di Hans Memling, il pittore fiammingo. E pensavo a come il miracolo di delicatezza che c’è nella sua pittu-ra rappresenti bene la gente. Poi pensavo ai versi di Baudelaire su Rubens lì dove scrive che «la vie afflue et s’agite sans cesse, / Comme l’air dans le ciel et la mer dans la mer». Sì, la vita è fluida e si agita senza sosta come si agita l’aria in cielo e il mare nel mare. Il pen-siero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. E questa

Palestra dell’immaginazione. Papa Francesco e la poesia

di letteratura dove trovano posto au-tori celebri, come Manzoni, Dosto-evskij e Tolkien, e autori meno co-nosciuti, come Malègue e Dal Ma-estro, romanzieri e poeti, come Che-sterton, Hölderlin e Hopkins. Un terzo aspetto, è quello di papa Francesco come lettore di poesie. Nella biblioteca papale esplicitata sono ben quattro i volumi di sole poesie: Virgilio, Friedrich Hölderlin, Gerard Manley Hopkins e Nino Costa. Sono quattro poeti molto diversi tra loro, dalla classicità compiuta alla contemporaneità recente. In un certo senso ognuno dei quat-to rappresenta un punto cardi-nale della personalità dell’attuale Vescovo di Roma. La classicità di Virgilio (70 a.C.-19 a.C.) racconta la sua formazione giova-nile, svoltasi ancora in uno stile “classico”, tra latino e disciplina, essendo della classe 1936. Il ro-manticismo tedesco di Hölder-lin (1770-1843) racconta la for-mazione intellettuale, filosofica e teologica, ma anche il diploma di chimico, la laurea in psicologia, il tempo di studio in Germania, la frequentazione del pensiero di Guardini, insomma, il “Bergo-glio pienamente mitteleuropeo”. Hopkins (1844-1889) rappre-senta l’animo gesuita, la sintesi di classicità e modernità, tra il ritmo del vecchio continente e le rotte dell’inglese vittoriano. L’itinerario di Hopkins è quanto mai emblematico circa la ricer-ca, il cambiamento, l’intreccio di fede e poesia, considerato il suo passaggio dall’anglicanesimo al cattolicesimo, la vicinanza con John Henry Newman (1801-1890) e l’ingresso nella Compa-

metafore, utilizzatore di immagini e creatore di neologismi. Misericordia-re, ecco un verbo conia-to dal Papa, ma quante sono le espressioni che ormai contraddistinguo-no il suo lessico: l’odore delle pecore, la Chiesa “in uscita”, il poliedro,

la globalizzazione dell’indiffe-renza, e così via. Ci è sfuggita la scelta di scegliere il verso di una poesia come titolo della seconda enciclica? Ci siamo accorti che è stata scelta quella poesia che dà inizio sia alla letteratura italiana, sia rimane un caposaldo della poesia religiosa: il Cantico delle Creature? Da un papa che sceglie di chiamarsi Francesco, era pro-prio così inimmaginabile un’en-ciclica intitolata Laudato si’ ?In papa Francesco l’amore per la poesia, come esercizio di im-maginazione e allargamento dell’intelligenza e dell’animo, diviene esercizio di profezia. All’interno della Bibbia sono, infatti, i libri della preghiera, della profezia e della sapienza quelli scritti in forma poetica (Salmi, Giobbe, Isaia, Geremia, Ezechiele …, Cantico dei Can-tici, Sapienza, Siracide, Proverbi …). L’orante cerca immagini per invocare Dio, il profeta ugual-mente per leggere la sua presen-za e comunicare con efficacia il suo discernimento della storia. I sapienti condividono con esem-pi e immagini gli insegnamenti sulla vita. Per papa Francesco la poesia è una riserva di immagi-nazione, e ci auguriamo che per ciascuno di noi essa rimanga sempre custode del senso e del gusto di vivere. ■

gnia di Gesù. Infine Nino Costa (1886-1945), poeta piemontese, racconta le antiche origini ita-liane del Papa, quindi un po’ la sua urbanitas, il suo sapore me-diterraneo che unisce Bonaria di Sardegna, con Buenos Aires di Argentina. La poesia è per papa Francesco una palestra di imma-ginazione, uno stretching del pen-siero, un allargamento del respiro. Solo considerando questi quat-tro poeti esplicitamente indicati, tralasciando altri che certamente il Papa frequenta (considerando la citazione di Baudelaire nel te-sto proposto sopra), possiamo condividere la salutare pratica di dedicare tempo alla poesia perché la vita mantenga la sua vitalità.Se altri papi ci hanno conse-gnato anche delle composizioni poetiche, basti ricordare il Trit-tico romano (2003) di Giovanni Paolo II, per il momento papa Francesco ci ha donato solamen-te testi in prosa. Indubbiamente, però, la quarta nota letteraria di Bergoglio è quella di essere, in ogni caso, uno scrittore creativo. Innanzitutto la parola creatività è stata riportata in auge nel les-sico del magistero, tanto che la ritroviamo ben sei volte nel pri-mo scritto del Papa argentino, l’esortazione Evangelii gaudium (La gioia del Vangelo) del 2013 (nn. 11, 28, 134, 145, 156, 278). Pur senza la metrica e la forma poetica, papa Francesco è un formidabile inventore di

Don Giulio Osto

4 5

Mettete via i dispositivi elettronici di lettura: secondo gli scienziati, non c’è niente di meglio per la salute che leggere libri di carta. Ecco perché:

MIGLIOR ASSIMILAZIONE DELLE INFORMAZIONILeggere su carta stampata permette di ricordare meglio la trama di un libro e di capirne più facilmente il significato, perché unisce alla vista delle parole anche la sensazione tattile delle pagine cartacee che si sfogliano. Il libro “classico” è anche più facile da gestire, se occorre tornare indietro per rileggere alcuni passaggi.

CONCENTRAZIONE PIU’ ALTA NEI BAMBINI Quando si leggono fiabe e storie a bambini in età pre-scolare su un e-reader, è più difficile ottenere che si concentrino nell’ascolto, perché facilmente distratti dalla luminosità del disposi-tivo elettronico.

SOLLIEVO PER GLI OCCHI La lettura elettronica mette a dura prova la vista, specie se già affaticata dopo ore di studio o lavoro davanti allo schermo di un computer: un libro di carta non fa arrossare gli occhi e non provoca la loro secchezza o irritazione.

MENO DISTRAZIONI MENTRE SI LEGGE Se il nostro lettore digitale è connesso in rete, la tentazione di cliccare su link e note che ri-mandano ad altre pagine elettroniche è sempre in agguato. Con un libro di carta, invece, ci si immerge nella lettura e, se non si capisce qualcosa, bisogna sforzare la mente a ragionare.

AIUTANO A DORMIRE MEGLIO Gli stimoli luminosi di uno schermo non aiutano a dormire sonni sereni: la luce blu dei dispo-sitivi elettronici, infatti, interferisce con i livelli di melatonina che regolano il ciclo circadiano, rendendo più difficile prendere sonno e sentirsi riposati al risveglio.

LIBRERIE CASALINGHE PIENE MIGLIORANO IL RENDIMENTO SCOLASTICO Dopo uno studio condotto in 42 Paesi diversi, si è dimostrato che gli studenti che hanno molti libri in casa ottengono punteggi più alti nei test: secondo i ricercatori, i volumi sugli scaffali ca-salinghi invogliano i bambini a leggere e confrontarsi con i genitori per chiedere spiegazioni e chiarimenti su ciò che hanno imparato.

AMPLIFICANO IL PIACERE DELLA LETTURA L’odore della carta dei libri, specie di quelli vecchi, può essere addirittura inebriante: analiz-

zando la composizione chimica delle pagine, gli scienziati hanno rilevato note olfattive er-bacee e vanigliate che derivano dalla ligni-na. Questo sentore contribuisce a far sentire meglio il lettore e lo invogliano a viaggiare e prendere decisioni importanti per la propria felicità.

7

Sette motivi scientifici per leggere libri di carta

Don Sergio Gaburro

C’è martirio e martirio…

Il termine martire, nel cor-so della storia, ha assunto connotazioni molteplici.

La storia evidenzia il martire che muore “in odium fidei”, per odio della fede da loro pro-fessata, basti pensare ai primi tre secoli della nostra era. Ab-biamo avuto, poi, massacri col-lettivi a partire dal genocidio degli armeni, alle esecuzioni di gruppi di cristiani in India, Nigeria, in Medioriente, in Vietnam, in Sudan… È quello che papa Francesco chiama l’e-cumenismo del sangue. Nell’e-poca delle guerre di religione in Europa abbiamo tragicamente avuto come “martiri” dei cri-stiani uccisi da altri cristiani, in nome della diversa confes-sione di appartenenza. Questo scandaloso paradosso si è ripe-tuto nel secolo scorso ed è vivo ancora oggi in alcune aree del mondo: cristiani uccisi a moti-vo della loro condotta in nome del vangelo. Si può pensare a chi ha posto resistenza contro i tiranni, come il pastore lute-rano Dietrich Bonhoeffer nella Germania nazista o a vittime della mafia. In questo senso il martire non sceglie la morte, ma un modo di vivere: quel-lo di Gesù. Il martire cristia-no sceglie un comportamento ispirato al vangelo.Vi sono poi persone che affron-tano una sorta di “martirio” con modalità non sempre concilia-bili con la definizione cristiana.

nel mondo islamico per defini-re gli attentatori suicidi, quelli che fanno della propria morte lo strumento dell’uccisione di anonimi innocenti e di nemici o presunti tali. Persone e gesti che, dal punto di vista concet-tuale, sono agli antipodi del termine “martire”, se quest’ul-timo è qualcuno che dimostra come solo chi ha una ragione per morire può anche avere una ragione per vivere. Questo tale è chiamato impropriamen-te “kamikaze”, (perché nella tradizione giapponese indica altro). È una persona che non ha sufficienti ragioni per vivere e alla quale l’ideologia fonda-mentalista gli ha inculcato una ragione per morire, soprattutto uccidendo altri per motivi di odio. Non si può dimenticare che Benedetto XVI, nel 2006 a Ratisbona, richiamò il mes-saggio della tradizione cristiana evidenziando che la fede deve sempre essere accompagnata dalla ragione umana, altrimen-ti degenera in fanatismo e vio-lenza, o in superstizione e ma-gia. Nessuna fede, quindi, può chiedere ciò che è umanamente contro la ragione: la morte di innocenti in nome di Dio!Il 14 ottobre 2018 Papa Fran-cesco ha proclamato santi due preti, un laico, due religiose, il papa Paolo VI e l’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnul-fo Romero, ucciso nel 1980 da un sicario degli “squadroni

“Martire della libertà” o “della giustizia” è chiamato anche chi è caduto in combattimento, magari dopo aver inferto la morte ad alcuni avversari, op-pure persone che si sono date in modo volontario alla mor-te, senza tuttavia infliggerla agli altri in nome di un ideale o come forma di estrema pro-testa, come Ian Palach, che si diede fuoco nel 1969 in piazza, durante la repressione sovietica della “Primavera di Praga”. Ma martire della carità o della soli-darietà, è anche chi si offre di morire per fermare una carne-ficina ancora più cruenta o al posto di persone innocenti, ba-sti pensare al francescano Mas-similiano Kolbe nel lager di Auschwitz che nel 1941 cerca di salvare un padre di famiglia sostituendosi a lui nel bunker della fame. Non manca, poi, l’accezione oggi così frequente che ha di-storto il senso del termine “mar-tire”: quella usata da un certo integralismo religioso presente

con le sofferenze per le persecuzioni prece-denti alla sua morte e continuò anche po-steriormente, perché non bastava che fosse morto: fu diffamato, calunniato, infanga-to. Fu martire prima e dopo la morte. Il suo martirio continuò an-che per mano dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato», la-pidato con la pietra più dura che esiste al mondo: la lingua.Il discepolo di Gesù, infatti, ama la vita e

non la disprezza, non cerca il martirio come autoimmola-zione e nemmeno come perse-guimento di una santità eroi-ca: questo sarebbe soltanto un orgoglio diabolico! Il martire cristiano non è un “uomo con-tro”, bensì un “uomo per”, un discepolo che si sente così ama-to che non teme, come il suo Maestro, di amare senza misu-ra. C’è martirio e martirio… ■

Monseñor, è come un serpen-te che morde soltanto noi che camminiamo scalzi”». Romero si schierò per la causa della giu-stizia e per una migliore distri-buzione delle ricchezze. I suoi oppositori, dopo aver tentato invano di farlo destituire, apri-rono all’arcivescovo la strada verso il martirio. L’arcivescovo sapeva di essere in pericolo, ma scelse di resta-re con il suo popolo. Romero, annunciando il vangelo, non solo chiedeva la conversione dei persecutori, ma lui stesso si lasciava convertire da quella Parola che annunciava, diven-tando sempre di più pastore con l’odore delle pecore, pasto-re che aveva a cuore la vicenda del suo popolo. Per questo i suoi oppositori lo considerava-no un nemico da eliminare. Di Romero, Francesco ha apprez-zato tanti aspetti, non ultimo il suo martirio che precisava «non fu solo nel momento del-la sua morte» ma «iniziò prima,

8 9

della morte” a cau-sa del suo impegno nel denunciare le violenze della dit-tatura militare del suo Paese. Quello dell’arcivescovo cat-tolico di San Sal-vador fu un marti-rio che potremmo chiamare “rosso”, come il sangue ver-sato sull’altare della cappella di un ospe-dale mentre celebra-va l’eucaristia. Da notare che il giorno precedente, durante un’omelia in catte-drale, Romero aveva chiesto ai militari di non uccidere, anche se questo avesse significato di-sobbedire agli ordini. Il Paese, di circa quattro milioni di abi-tanti, si trovava in preda a una terribile guerra civile che al ter-mine contò ottantamila morti. Tale operazione era sostenuta da alcune famiglie di una de-stra sanguinaria, che finanziava gli “squadroni della morte” per assassinare quelli che erano ri-tenuti gli oppositori. Romero, meticcio, di piccola statura, come la maggioranza dei salvadoregni, di formazione conservatrice, a contatto quo-tidiano con i suoi fedeli e con la loro sofferenza, divenne ben presto voce dei senza voce, voce scomoda di pace e di giustizia. A proposito della giustizia, nell’omelia del 20 agosto 1978, ammoniva i fedeli con queste parole: «Un povero, un giorno, mi ha detto una frase che non dovete dimenticare così come io non la dimentico: “La legge,

Padre Giuliano Franzan

La beatitudine della fede (1Pt. 1,6-9)

Più volte nei racconti evangelici e negli altri scritti del Nuovo Te-

stamento, viene presentata la fede in Gesù, l’adesione leale e cordiale a Lui, la sua seque-la decisa e coraggiosa, come una «beatitudine»: la parola di Dio vuole far capire all’essere umano che la sua felicità, cioè la pienezza della sua esistenza, la soddisfazione fondamentale delle sue attese, viene raggiunta seguendo fedelmente la pista tracciata da Dio stesso.La beatitudine di Maria sulle labbra della cugina Elisabetta sta nel suo «aver creduto» (Lc. 1,45) alle parole dell’Angelo, così come in Tommaso l’ade-sione al Cristo risorto da lui veduto concretamente come il «Signore e Dio» viene giudicata da Gesù stesso come beatitudi-ne.In altri momenti è la «fede che salva» che opera il miracolo at-teso dalle varie persone afflitte dal male, e libera da schiavitù fisiche e morali: aderire a Gesù, fidarsi di Lui e affidarsi a Lui, conduce a un senso di pienezza e sicurezza, a raggiungere quel-la totalità che sempre è sognata dalla creatura umana.Nella prima lettera di Pietro, c’è quasi la conferma che l’apo-stolo trova in coloro che senza

le proprie scelte e le proprie tendenze sull’orientamento se-gnato da lui, chi si mette de-cisamente alla sua sequela fa esperienza di gioia.Bisogna perciò che sia una fede autentica, la fede in Cristo, ancorata su di Lui, sulla sua presenza, una fede che diventa rapporto generoso, affettuoso, profondo con Lui, una fede che sia la continua ricerca di Gesù, nella umile convinzione di non averlo mai raggiunto del tutto, nella certezza di essere da Lui raggiunti e accolti pienamente.La vita e l’insegnamento di Gesù ci indicano le linee di una fede autentica che ci chiede di correggere abitudini e moda-lità acquisite che rischiano di ridurre il valore della fede ren-dendola un’ideologia, un’etica, una condotta particolarmente impegnata ma non ancorata sulla persona stessa di Gesù; ci aiutano a verificare la nostra fede, a misurarla non su como-de posizioni generiche e nem-meno su scomode scelte par-ticolari, ma unicamente così come i suoi discepoli l’hanno vissuta e descritta.Quando si ha il coraggio di giocare la vita – e non solo in alcuni momenti più gravi che segnano tutta l’esistenza – di condurre le giornate cercando

avere veduto Gesù si sono fida-ti di Lui e lo hanno accettato mettendosi alla sua sequela: sono nella gioia, sono ricolmi di gioia, anche se di fatto la persecuzione non ha tardato a colpirli nei modi più crudeli facendone dei martiri.La storia diventa garanzia e prova di quanto era stato vis-suto dai dodici e conferma la promessa di Gesù, che nel suo ultimo discorso non teme di annunciare la «tristezza» in cui verseranno i i suoi discepoli e che poi «sarà cambiata in gioia» (Gv. 16,20-23).Già i primi passi della iniziale comunità fedele a Gesù erano stati segnati dalla persecuzione di chi voleva impedire l’annun-cio rivoluzionario della risurre-zione del Maestro, ma non ave-vano potuto spegnere la loro gioia «per essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù» (At. 5,41).Si potrebbe rileggere tutta la parola di Dio in questa luce: la beatitudine di coloro che la ac-cettano e la mettono in pratica, di coloro che vivono concreta-mente nella fede e della fede.Ma è sempre così. Chi ha il coraggio di credere lealmente e di mettere a capo di tutto il rapporto col Signore Gesù, chi cerca ogni giorno di allineare

il rapporto vero e interiore con Gesù, quando realmente Gesù diventa il perché del nostro agire, delle nostre scelte, delle nostre fatiche, ci si accorge che tutto diventa più leggero e apre nel cuore squarci di gioia pro-fonda.Gesù lo ha garantito: «Il mio giogo è soave, il mio peso è leg-gero» (Mt. 11,30). La verifica è presto fatta, ma solo quando si accetta il suo peso, quando si porta il suo giogo, evitando le mezze misure e le fughe o le uscite di sicurezza che tradisco-no sempre.Nella vita non si può mai evi-tare il giogo, il peso del dovere, della relazione con gli altri del-la dipendenza, oppure il giogo delle proprie debolezze fisiche o morali: solo se si ha il corag-gio di mettersi alla leale sequela di Gesù ci si accorge che tutto il peso del vivere umano, quel pesante «mestiere del vivere» si alleggerisce e si colora di sere-nità, prende il valore di un rap-porto d’amore.Si tratta di fare una scelta e di farla senza fingimenti, senza sotterfugi, senza quei «pasticci» di cui siamo maestri e nei qua-li poi perdiamo lo slancio del dono generoso: molte situazio-ni di amarezza, di acidume che spesso si incontrano nelle per-sone che giuridicamente han-no un legame più concreto con Dio, dipendono precisamente da scelte dimezzate, da riserve e chiusure più o meno consa-pevoli, ma sempre in contrasto con la autenticità di una scelta di fede.La beatitudine della fede la si gode nella misura in cui ci si

ne da Lui, e che è sempre e solo da chiedere con umiltà, sapen-do di non essere mai arrivati, di non avere mai la certezza di una definitività, di non poter mai riposare su conquiste già avvenute, su posizioni acquisi-te.La mia fede è il Cristo, è l’umil-tà del mendicante che chiede senza averne merito e fidandosi unicamente della bontà di Dio che è Signore e Padre, di Gesù che è maestro ed è venuto per ricondurre l’essere umano alla sua verità, dello Spirito Santo che nell’animo di ciascuno gri-da «Padre» e costruisce la per-suasione di essere figli, amati e santificati.La mia fede è il Cristo, è il mi-stero che occupa l’animo, la mente e il cuore, e come mi-stero genera quel «santo timore di Dio» che conduce a restare nella posizione di discepolo, di figlio, di creatura infinitamente distante da Dio e infinitamente amata da Lui che colma l’abis-so col suo dono infinito. ■

lascia prendere e assimilare da Dio, affidandosi alla sua Paro-la, alla sua offerta, alla sua pro-messa.La mia fede è il Cristo, è la sua persona conosciuta e voluta, è il rapporto pieno e continua-mente arricchito con Lui, è l’umile e infaticabile ricerca di Lui, senza miscugli inventati dalla nostra paura di perdere o dall’orgoglio di avere capito e raggiunto quello che Dio ha voluto proporci.La mia fede è il Cristo, e quin-di è preghiera, esperienza pro-lungata e silenziosa di Lui, del suo amore, della sua presenza, è raccoglimento inteso come tensione verso il senso ultimo di tutto già in atto nelle scelte minute di ogni giorno, è asce-si come sforzo di liberazione da ciò che continuamente si contrappone alla solitudine di Dio, a quella solitudine che garantisce la pienezza della sua presenza.La mia fede è il Cristo perché è sempre e solo un dono che vie-

10 11

Suor Licia Rebonato

Camminare "la vita"

Mi colpisce questa espressione e mi fermo a pensare

cosa significhi e cosa comporti “camminare la vita” piuttosto che “camminare nella vita”. Certamente entrambe le acce-zioni portano in sé una ricchez-za di contenuto e di valori che meritano di essere considerate. Camminare è una esperienza vitale, che segna momenti di diversa intensità: è il desiderio di ogni creatura che nasce ma anche, e non meno, di chi sen-te che il cammino diventa fati-coso ed incerto. Camminare descrive l'atto con-sueto dello spostarsi a piedi ma include anche significati figura-ti che esprimono modi di esse-re e di fare, scelte che realizzano o umiliano, vivacità di risposte diversamente gratificanti. Cammina-re comporta un anda-re avanti, un desiderio mai sazio di pienezza, una volontà aperta al bene, al buono, al bello, una vita tutta protesa in avanti, impegnata a realizzare quel disegno di bellezza che ciascun uomo ha ricevuto in eredità nel suo nasce-re. Camminare è una attitudine propria del-la persona perché sot-tende delle scelte, degli orientamenti, una vo-lontà di perseguire una

pleta, fragile, forse anche me-schina e ripiegata su se stessa, come una foglia autunnale ca-duta da un albero stanco. Ed è proprio lì, in quel luogo più intimo e segreto di me stes-sa, dove mi ritrovo sola con le mie certezze e inconsistenze, che posso “camminare la vita” facendo delle scelte di valore assoluto perché non condizio-nate da agenti esterni. Sola, con la mia voglia di vivere, sento urgere in me un anelito di compimento, un desiderio di esternare, con tanti compa-gni di strada, ciò che credo nel profondo. Cito a tale proposito un invi-to che ci viene da un indub-bio “camminatore della vita”: “Sempre ti spiaccia ciò che sei se

vuoi arrivare a ciò che non sei. Infatti quan-do ti ritieni soddisfatto, allora ti sei fermato. Se dici “basta” sei perduto. Avanza sempre, cammi-na sempre, progredisci sempre! Non fermarti, non tornare indietro, non smarrirti. Chi non progredisce si ferma, chi si volge donde era partito retrocede, chi viene meno si smarrisce” (S. Agostino - Sermone 169,15-18). Allora, camminare la vita significa cercare dentro di noi la verità di ciò che siamo, avere il coraggio di ascolta-

mèta. A tale proposito ricordo una frase incisiva del papa San Giovanni Paolo II: “Sono pel-legrino sulle strade del mondo e cerco il tuo volto, Signore”. Ecco racchiuso in poche parole il significato profondo e costrut-tivo di “camminare la vita”. Soltanto chi sa dove è diretto e quale scopo abbia il suo andare può dire di camminare la vita e non soltanto di camminare nella vita. Entrare in se stessi per camminare dentro i propri pensieri, dentro la propria ani-ma, per visitare lo spazio più segreto, ricco e contradditorio che è il nostro io, ci mette in condizione di “camminare la vita”, quella mia vita che desi-dero grande, realizzata, felice ma che spesso ritrovo incom-

re la nostra anima, sentire nel nostro respiro la profondità del nostro essere, assaporare la bel-lezza che portiamo in cuore e non dimenticarci di ringrazia-re Colui che ha voluto l’uomo creato a sua immagine e somi-glianza. Chi ha coraggio e co-stanza di intraprendere questo cammino di vita sentirà dentro di sé un mondo che si dischiu-de ogni giorno nuovo, inedito e sarà invaso dallo stupore e dal desiderio di continuare ad andare oltre per poter condi-videre, con tanti fratelli e so-relle, la bellezza e la fecondità del “camminare la vita”. Tutto questo non ci estranea dalla realtà, non ci chiude in un in-timismo sterile anzi, ci apre ad una comunione con la realtà, con noi stessi, con Dio in un rapporto d’amore, di amicizia, di condivisione con tanti altri compagni di cammino. Questa è l’armonia di coloro che “can-tano con la vita” la bellezza di esistere.Il filosofo Martin Buber scris-se che la vera “casa” dell’uo-mo non è un luogo statico ma “l’essere tra” perché la “casa” è in realtà un “cammino”, da per-correre insieme con l'umanità, la creazione e il Creatore. Camminare “la vita” significa allora molto di più che cammi-nare “nella vita” perché questo comporta un equilibrio armo-nico tra la nostra interiorità e le relazioni che abbiamo con il mondo esterno e con Dio. Quando la nostra interiori-tà cammina in sintonia con il nostro vissuto, allora possiamo gustare la bellezza che è fuori di noi e l’armonia che ci abita.

possa il vento soffiare sempre alle tue spalle; possa il sole splendere sempre sul tuo viso e la pioggia cadere soffice sul tuo giardino e fino a che non ci incontreremo di nuovo possa Dio tenerti nel pal-mo della Sua mano” (Benedizio-ne tradizionale irlandese). ■

Termino con una benedizio-ne che accompagni il nostro cammino, sia quello interiore che quello arricchito dalle va-rie relazioni umane e spirituali di cui ogni esistenza umana ha bisogno e coltiva. “Possa la stra-da alzarsi per venirti incontro;

12 13

modo che sulle strade dei miei ex alunni ci possa essere la mia!Nella lista dei miei desideri vor-rei scriverne uno in particolare… Un ritorno alla scuola “del cuo-re” così come l’ho conosciuta io tanti anni fa. Spero che tutti gli insegnanti tornino ad “Insegna-re con il cuore” e ad “Insegnare il cuore” perché l’emozione e il sentimento si possono insegnare come si può insegnare a conci-liare ragione e istinto.Dunque… Ho ancora del cam-mino da fare... So di non essere sola come non lo sono mai stata. Mi rimetto in viaggio quest’an-no su una strada parallela a quel-la dei mei colleghi che spero con tutto il cuore possa essere la banchina di attracco o la corsia di emergenza per il loro, anzi Nostro lavoro.A proposito di Passione e di cuo-re… Un ricordo della mia mam-ma e di me bambina:“Ma tu da grande che lavoro vuoi fare con tutto il cuore?”“Mamma, quando sarò grande voglio fare la maestra”…

…e dopo 25 anni penso: "C’avevo visto giusto!”

Maestra Francesca Pesci

entrano in 25 anni e che io non cambierei mai con nessun altro! È un impegno quotidiano con il destino di ciascuno dei ragazzi che si incontrano, un impegno con la loro libertà. Insegnare è il percorso di uno sguardo che si incrocia con tanti altri occhi! È una strada in cui si studia, si prova, si riprova, si ricerca… per illuminare ciò che è oscuro e per sapere ciò che deve rima-nere in ombra. Ogni azione di un insegnante per trovare la sua efficacia deve essere un’azione “ di cuore”, fatta “con il cuore”. A tutti gli insegnanti che avverto-no l’esigenza del cambiamento, di un rinnovo che possa portar-li a recuperare la passione per la propria professione dico: "Met-tetevi in gioco, desiderate di es-sere dei bravi maestri perché lo siete. Siamo fatti di corpo, cuore e mente: nutriamoli allora… di sentimenti, idee, libri, tramonti e buone parole. Tutta la cura pri-ma di tutto per noi stessi si tra-duce poi nella formula mi curo di te… Vi auguro di trasformare la scuola delle passioni tristi nel-la scuola delle passioni felici così come le ho vissute io.” Il mio sentire di essere al mondo e di farne parte con il mio ruolo, mi rendo conto, ora più che mai, che è stato influenzato enorme-mente dalle persone e dagli inse-gnanti della mia vita e ringrazio ciascuno di loro per l’impronta che hanno disegnato sulla mia strada. Mi auguro allo stesso

ché un vero maestro sa di essere nel contempo anche discepolo ed è proprio questa coscienza del suo “essere sempre in diveni-re” che lo rende veramente capa-ce di educare, cioè di trar fuori, di far nascere nei propri alunni quell’entusiasmo e quell’amo-re al sapere che, mentre pone il docente nella condizione di esprimere il meglio di sé, viene lui stesso arricchito dalle attese e dalle sorprese che ogni alunno porta nella “sua cartella” fin dal giorno stesso in cui inizia il per-corso scolastico. Le due significative testimonian-ze che seguono ci confermano quanto sia bello e vero che inse-gnare è un’azione “di cuore”, che per trovare la sua efficacia deve essere fatta “con il cuore”. ■

L’anno scolastico è ormai ripreso a pieno ritmo e, assieme a qualche com-

prensibile fatica, si coglie negli insegnanti un grande desiderio di dare il meglio di loro stessi alla causa educativa. Il Collegio dei docenti è costituito da mae-stri che la “Scuola Don Baldo” la “frequentano” già da parecchi anni. Motivati da vera passione edu-cativa ogni docente è impegnato a formarsi alla scuola dei propri alunni, per indovinarne umo-ri e desideri e così impostare la giornata scolastica in maniera tale da svolgere il programma didattico mettendo sempre al centro l’alunno che va guardato ed accompagnato con vero “in-telletto d’amore”. Così, giorno dopo giorno, anno dopo anno si arriva a dei traguardi che sor-prendono gli stessi protagonisti per la celerità dello scorrere del tempo ma soprattutto per il te-soro di esperienza che l’impegno educativo fa crescere nel “docen-te - discente” Se è vero, come è vero, che inse-gnare è un’arte, lo è proprio per-

Insegnare è azione del cuore

Suor Licia Rebonato

“Non bisogna estinguer la passione colla ragione, ma convertir la ragione in passione.” (G Leopardi, Zibaldone)

Èesattamente questo che dopo 25 anni di servizio qui alla scuola Don Bal-

do credo di aver maturato den-tro di me: mente e cuore, cuo-re e mente che insieme vivono, convivono, bisticciano, non si comprendono per poi perdersi e riprendersi per viaggiare insie-me… Ho capito che è impor-tante amare ciò che insegniamo e far capire che il senso della nostra vita è lì dentro! Oramai sono una donna, non più la ra-gazzina di anni fa che aveva tut-to da imparare proprio quando invece ciò che le si chiedeva era insegnare! Ma l’essere una donna-inse-gnante è stato un processo lento che chi mi ha accompagnato ha visto maturare in me: le suore che mi hanno accolta, sostenuta, formata e indirizzata, i colleghi che sempre mi hanno fatto sen-tire parte di un unico corpo, mio marito e i miei figli che hanno sostenuto e hanno dato un sen-so, forse il senso, del mio essere donna e madre… E tanto più nel tempo cresceva questo mio essere donna tanto più maturava il mio essere insegnante. Guarda-re indietro ora con un po’ di no-stalgia non può far altro che far-mi apprezzare tutti gli incontri fatti, i visi di persone che hanno attraversato la mia vita con la certezza che ognuno di loro ha lasciato in me traccia. Insegna-re è un lavoro bellissimo, tutti i giorni, anche tutti i giorni che

è ascoltare la melodia del futu-ro, è regalare parole per vedere il mondo.Sono convinta che essere inse-gnante comporta vivere una vita un po’ da folli, una vita ricca di momenti particolari, che si ca-pisce solo vivendo a scuola, al-lacciando le scarpe degli alunni, asciugando le loro lacrime, te-nendo una lezione con l’enfasi di un attore!Tuttavia in mezzo al caos delle ricreazioni, al chiacchiericcio durante gli spostamenti da un luogo all’altro e ai discorsi con i colleghi sulle nuove normative

scolastiche, ho capito per-ché devo essere ancora Ma-estra…Perché…La mia aula è l’unico posto che considero casa,i bambini mi ricoprono di complimenti generosi anche se in realtà sono frutto della loro fantasia,mi disegnano come una re-gina,mi fanno sentire unica, mi regalano abbracci che gon-fiano il cuore, mi spingono a cercare lo sguardo complice del colle-

ga che capisce al volo una situa-zione particolare e prontamente porta un caffé perché hai un calo di zuccheri,vivo in questa scuola momenti esilaranti e incredibilmente in-tensie perché nessun giorno è uguale all’altro.E così ringrazio DIO, perché so cosa vuole il mio cuore…Non voglio un lavoro ordina-rio… voglio ancora questo la-voro... voglio ancora essere… la Maestra Daniela.

Daniela Mercuri

mo voglia di cambiare la scuola Don Baldo per renderla più ori-ginale, colorata, accogliente…noi che leggevamo titubanti le poche regole scolastiche davanti ad un piccolo gruppo di genitori attenti e scrupolosi…noi che di-scutevamo con grande passione come organizzare le lezioni di ogni giorno, senza segnare ore eccedenti da scalare o da recupe-rare….E poi ricordo loro, i miei veri da-tori di lavoro, le faccine, gli oc-chi vispi, le voci dei tanti alunni con cui ho condiviso un tempo prezioso cercando con fatica la

soluzione per insegnare loro a crescere, a pensare, a sorseggiare ore di semplici lezioni..Cercando di coltivare sogni e vo-glia di conoscere, i tanti bambini mi hanno regalato emozioni, la-crime preziose, sorrisi indimen-ticabili e ognuno un pezzetto di cuore che ora è diventato gran-dissimo!Oggi, dopo 25 anni, ho capito che voglio ancora essere Maestra perché insegnare è mostrare la vita che i piccoli non hanno an-cora visto,insegnare è immaginare anche quello che non esiste, insegnare

Guardo il calendario…..ci siamo…3 settembre 2018, pronta per rico-

minciare un nuovo anno scola-stico con l’emozione di sempre, con l’entusiasmo di un bambino davanti al suo nuovo gioco, sicu-ra che i miei alunni, coloreranno ancora una volta le mie intermi-nabili giornate di un anno im-portante… perché…Classe Va A ….ultimo anno del mio quinto ciclo di scuola pri-maria, 25 anni da “Maestra” qui nella “Scuola Don Baldo”, la mia grande seconda casa! Se ripercorro come in un film la mia storia, non mi vengo-no subito in mente il POF, le circolari, le griglie di va-lutazione, le prove Invalsi, il registro elettronico…No…rivedo subito i volti amorevoli delle Piccole Figlie di San Giuseppe, che mi hanno accolto te-nendomi per mano nella loro scuola, accettando la mia presenza nel picco-lo gruppo di insegnanti, dandomi la consapevolez-za giorno dopo giorno di essere Maestra e di poter dare il mio semplice con-tributo ad una piccola realtà sco-lastica.E così sotto lo sguardo attento di Suor Rosita, con la colorata viva-cità di Suor Clotilde, la saggezza di Suor Tarcisianna e la dolcezza di Suor Ausonia, ho rafforzato la mia passione nel cuore, nella mente e nello spirito in questa grande, piccola famiglia.Con la complicità poi, del mae-stro Luigi e della maestra Fran-cesca, ho vissuto e condiviso, emozioni intense e vere spesso ricche di risate, altre volte di in-comprensioni….Noi ragazzi, che già allora aveva-

Silvia Sandon

Lo Spirito nel Sinodo dei Giovani

È il sentimento e la certez-za che ho nel cuore da più di un anno! È ciò che

mi ha accompagnato nella me-ravigliosa esperienza del Sinodo dei Giovani che ho vissuto nella Chiesa di Padova.E' un dono poter ringraziare il Signore per quanto vissuto dalla mia diocesi, piccola porzione del grande gregge di Dio, che racco-glie tutti e ci unisce nel servizio ai fratelli. Il grazie mi apre anche alla speranza, perché la possibili-tà che noi abbiamo avuto, la au-guro anche ad altre Chiese.Ho partecipato all'Assemblea sinodale, un gruppo di 160 giovani che aveva il compito di operare il discernimento sulle oltre 2000 pagine di relazioni contenenti la voce di quasi 5000 giovani e rispondere alla do-manda: "Cosa vuole il Signore per la Chiesa di Padova?". Sono stati 4 mesi di “Grazia” per me, dove davvero si è sentita tutta la potenza dello Spirito Santo che era stato invocato su di noi, da più di mille giovani che hanno vissuto una veglia di preghiera il 13 di-cembre 2017, con l’invito a seguire una stella, la “Sua” stella.Fin dalla prima ses-sione siamo stati gui-dati dalle riflessioni del Vescovo che ci ha incoraggiati a non aver paura di soffer-marci sulla vita spi-

da tutti quei giovani che desi-derano impegnarsi non solo per un futuro migliore, ma anche perché altri giovani scoprano la bellezza della fede e del Vangelo.La conclusione del Sinodo è stata sabato 19 maggio 2018, vigilia di Pentecoste: una Catte-drale traboccante di giovani e di adulti hanno atteso la lettura e la consegna della “Lettera dei gio-vani alla Chiesa di Padova”, che è possibile trovare nel sito della Pastorale Giovanile di Padova (www.giovanipadova.it). Anche in questa occasione è stata in-vocata la potenza dello Spirito Santo nel nostro essere chiamati ad uscire, a seminare il buono incontrato, raccogliendo i frutti di questi due anni di Sinodo.Ora siamo nel tempo in cui le nostre comunità parrocchiali stanno prendendo in mano la Lettera e dove, prima di decide-re che cosa “fare per i giovani”, è chiesto di sedersi insieme a loro per ascoltarli, per far decantare le loro parole e per trovare, in-sieme, quali semi buoni sono da

spargere nella quoti-dianità delle nostre parrocchie e della so-cietà in cui viviamo.Il passo compiuto dalla Diocesi di Pa-dova ci ha onorati della nomina ponti-ficia del nostro Ve-scovo Claudio come “padre sinodale” del Sinodo sui Giovani

rituale, quella nostra e quella di quei giovani di cui avremo letto le relazioni!L’Assemblea sinodale si è divisa in 31 gruppi e a ciascuno sono state consegnate alcune pagine di queste relazioni. L’importan-za della preghiera quotidiana e l’invocazione allo Spirito Santo sono state le due “armi” che ci hanno accompagnato nella let-tura personale e poi nel lavoro di gruppo, perché non doveva emergere quello che piaceva e volevamo noi, ma quello che i giovani desideravano per la Chiesa di Padova e quello che lo Spirito voleva dirci e far scrivere poi nel testo finale.Probabilmente solo chi ha vis-suto questa esperienza può dav-vero “percepire” quanto ogni nostro incontro fosse guidato dallo Spirito Santo e come, dav-vero, quanto emerso, è “parola di giovane”, incarnata di Parola di Dio… non nostra, ma di chi ha davvero a cuore la Chiesa di Padova, formata dai suoi adulti, dalle sue comunità a volte ferite,

14 15

che si è tenuto a Roma lo scorso ottobre.Mi piace un po’ giocare con le parole e così sorrido nel pensare che abbiamo vissuto il Sinodo “dei” Giovani, mentre a Roma ci sarà quello “sui” Giovani… A Padova lo Spirito ci ha aiutati a dialogare tra giovani, a fare in modo che potessimo ritrovarci e non ci fossero “altri” a parlare di noi… ma che fossimo noi i veri protagonisti del tempo che abbiamo vissuto.E così rinnovo la mia preghiera di invocazione allo Spirito Santo sul cammino che si è aperto nel-la nostra Chiesa di Padova e su quello mondiale.L’invito ultimo che desidero fare è quello di credere sempre più alla “potenza dello Spirito San-to” che davvero è presente intor-no a noi, nelle nostre vite a volte travagliate, ma sempre aperte alla gioia e a nuove possibilità.Crediamoci insieme e possa la potenza dello Spirito dare anima e vita alle nostre comunità di ap-partenenza, rinnovando in noi il desiderio di conoscere il Vangelo e di viverlo in ogni angolo della terra. ■

La Celebrazione Giubila-re del 50° di Professione Religiosa, è stato per noi

tutte (6 sorelle), proprio un far “memoria grata” dei tanti benefici ricevuti dal Signore. Come allora, 50 anni fa, ma oggi forse ancor di più, ci stupisce il fatto di esse-re state tutte “chiamate” a con-sacrare la nostra vita al Signore; chiamate, come dice un canto…da mille strade diverse, in mille modi diversi, perché il Signore ha voluto così.Ritrovarci insieme come all’inizio del nostro cammino… raccontar-ci le nostre origini familiari e di fede, dove il nostro essere affon-da le sue radici e riceve sempre buona linfa, condividere i vissuti di un lungo cammino costellato di incontri, di presenze, di avve-nimenti significativi è stato ve-ramente bello e rigenerante per noi tutte. Questo ci ha portate a ripensare a quell’incontro iniziale con il mistero...a cui tutte, tre-pidanti ma altrettanto fiduciose e serene, ci siamo consegnate, a

quel sì al Maestro che, interior-mente ci chiamava a seguirlo, fidandoci di quella mano forte e provvidente che, nello scorrere del tempo ci ha sorrette ed ha guidato i nostri passi sulle sue strade della vita, secondo un suo disegno d’amore.Il cammino fatto, nello stile del nostro Carisma di “Piccolezza e Compassione Evangelica”, le va-rie esperienze, vissute nella frater-nità e nel servizio ai fratelli, costi-tuiscono le nostre “piccole storie” che, inserite dentro la grande storia della salvezza, acquistano tutte grande significato e fecon-dità apostolica. Ci siamo sentite coinvolte in questa storia ricono-scendo di aver ricevuto tanti doni e di aver potuto farci “dono” nel servizio ai fratelli, divenendo pic-coli strumenti del Suo grande amore che salva. In questa tappa giubilare, abbia-mo anche riscoperto e gustato la ricchezza di far parte di una bella Famiglia Religiosa che amiamo: le “Piccole Figlie di San Giusep-pe” e di avere un “Grande Padre”, il Beato Fondatore Don Giusep-pe Baldo che, assieme a Madre Ippolita e a tante sante Sorelle, ci indicano che “la santità nel quo-tidiano”, è una meta possibile per ciascuna di noi. In questa Famiglia siamo state ac-colte, accompagnate e formate se-condo il Carisma di fondazione. Con il passare del tempo, a volte può succedere di dare tutto per

scontato, ma non è così.La famiglia religiosa è un dono perché, se all’inizio ci ha accom-pagnate e avviate tramite la no-stra formazione iniziale, nel pas-sare del tempo ci accompagna e sostiene nella missione di servizio e di testimonianza nella Chiesa, responsabilizzandoci personal-mente nella formazione perma-nente e, offrendoci il “bene pre-zioso”, la grazia della Vita fraterna vissuta in Comunità.Con la convinzione che nulla ci è dovuto, possiamo dire davvero che Tutto è Grazia!Per questo, con animo grato, vogliamo ringraziare vivamente la Congregazione, nella persona della Madre Generale, del Consi-glio e di ogni Sorella che, vicina o lontana, ha reso possibile questo evento.Abbiamo vissuto un momento molto bello e significativo il 30 agosto, data storica per noi , nella giornata fraterna, di gruppo, ca-ratterizzata dallo stare insieme fa-cendo tappa, prima al Santuario Madonna dei Miracoli di Mot-ta di Livenza e poi nell’andare dove una forte esigenza del cuore ci chiamava, cioè al cimitero di Arcade (TV) per un saluto oran-

vissute con quella carica di fede e amore che ciascuna ha vissuto.«Scrutate». Eccoci con lo sguardo rivolto al passato. Quante cose Dio ha compiuto in noi e in tan-ti fratelli e sorelle che abbiamo incontrato sulla nostra strada. Quante volte ci siamo sentite spronate e accarezzate da Dio e abbiamo trovato la forza per con-solare.«Contemplate». Ora giunto il tempo dell’anzianità, cresce la gratitudine a Dio per il Suo amo-re che perdona e per aver reso il nostro servizio negli ospedali, nelle case di riposo, nella scuola e nella parrocchia, segno della Sua misericordia.Con Maria ripetiamo: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome” (Lc 1,49). «Annunciate» dice Papa France-sco. E noi? Con la gioia nel cuo-re, certe della continua presenza del Signore nella nostra vita ci auguriamo di continuare a testi-moniare l’amore evangelico nella quotidianità dell’esistenza.

Suor Luisidia Carteri

te a Suor Marzia Pagotto, nostra compagna di cammino, lei che ci ha precedute da tempo in cielo e di lassù ci sorride e ci incoraggia a continuare il cammino con gioia e fedeltà.Coronamento di tutto poi, è stato il grande dono del Pellegri-naggio a Fatima, insieme anche a Sr. Cleonice Alves da Silva che ha celebrato il 25o di Professio-ne Religiosa, un’esperienza spiri-tuale ricca, bella e profonda. A Maria, Madre e modello di ogni vita consacrata, ci siamo affidate, con la certezza che Lei sempre ci accompagnerà con il suo aiuto e la sua materna protezione. Per tutto… Deo Gratias - Amen - Alleluia

Sr. Raffaella Dugatto

* * *

Ritrovarci dopo 60 anni dal pri-mo «SÌ» e poter raccontarci, con-dividere, gioire fraternamente…è stata una vera emozione. Alcune parole del Santo Padre: «Rallegra-tevi - Scrutate - Contemplate - Annunciate» ci sono servite come chiave di lettura per la verifica di questo lungo cammino.«Rallegratevi…» Tanti anni vissu-ti con amore in Castità, Povertà e Obbedienza nella diversità del-le attività, in diverse situazioni e paesi, compresa l’Africa. Ora, non più giovani, ma con lo stesso amore a Cristo e ai fratelli gioia-mo per il dono del Carisma affi-dato alla nostra famiglia religiosa e che abbiamo accolto per vivere in compassione, tenerezza sem-plicità . Veramente la gioia del cuore difficilmente si esprime in parole, essa nasce da esperienze

16 17

Benedici il Signore anima mia

50° di Professione:Sr. Marta, Sr. Luigia, Madre Elisa, Sr. Raffaella, Sr Danila

Sorelle del 60° di Professione

25° di Professione: Sr. Cleo Alves da Silva con Madre Elisa

Sfogliando un libro scrit-to da un amico, mi sono imbattuto in una poesia

di Rainer Maria Rilke che mi ha fatto compagnia per alcuni giorni. “Sii paziente” è il titolo del componimento poetico: “Sii paziente verso tutto ciò/che è ir-risolto nel tuo cuore e…/cerca di amare le domande,/che sono simili a stanze chiuse a chiave/e a libri scritti in una lingua stra-niera./ Non cercare ora le rispo-ste/che non possono esserti date/poiché non saresti capace/di con-vivere con esse./Vivi le domande ora./Forse ti sarà dato,/senza che tu te ne accorga,/ di vivere fino al lontano giorno/in cui avrai una risposta”.Leggendo e rileggendo questi versi, la mia fantasia è stata in-vasa da una pioggia di punti in-terrogativi, collocati lungo tutto il mio percorso esistenziale. Sono affiorate alla memoria le doman-de che rivolgevo ai miei genitori e educatori nella stagione dell’in-fanzia, quelle più impegnati-ve che agitavano il mio spirito nell’età adolescenziale e quelle, infine, che continuano a muo-versi dentro di me negli anni della maturità. Ognuno di que-sti interrogativi era e continua ad essere suscitato dal desiderio di risolvere qualcosa di irrisolto, cioè che non ha ancora trovato compimento.Come nel passato, anche ora mi riesce facile trovare risposte sod-disfacenti se le domande riguar-dano argomenti di poco rilievo. La fatica si fa sentire quando gli interrogativi nascono da si-

della Bibbia e della letteratura di ogni tempo descrivono l’uomo davanti alla dimensione miste-riosa della realtà. Ricordo i versi di E. Montale nella sua poesia Il limone: “Vedi, in questi silenzi in cui le cose/s'abbandonano e sembrano vicine/a tradire il loro ultimo segreto,/talora ci si aspet-ta/di scoprire uno sbaglio di Na-tura,/il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,/il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/nel mezzo di una verità”. La pazienza di cui parla Rilke non è però da intendersi come passività, bensì come atte-sa vigile, inserita in un processo di crescita, attenta a cogliere il momento in cui le porte chiuse a chiave” cominciano ad aprirsi e “i libri scritti in lingua straniera” diventano decodificabili. Quan-do questo impegno si realizza, angoli della mia vicenda perso-nale si illuminano e la gioia della crescita s’intensifica.Consapevole che il ridursi dell’irrisolto è un processo che dura tutta la vita, mi pongo in un atteggiamento di accoglien-za del nuovo che il trascorrere del tempo non manca di offrir-mi, aprendomi alla gioia della scoperta, senza eliminare la sof-ferenza. Mi accompagnano in questo cammino le persone che amo e la forza dello Spirito così pregato in un inno liturgico: “Sii luce all’intelletto, fiamma arden-te nel cuore, sana le mie ferite con il balsamo del tuo amore”. ■

tuazioni riguardanti tematiche impegnative come il senso della vita, una relazione, la fede, una scelta importante, il perché di avvenimenti e comportamenti umanamente inspiegabili, l’e-mergere di una crisi, la gestione degli innumerevoli sogni… Nei momenti in cui il desiderio di avere delle risposte si fa acuto spesso avverto in me l’emergere dell’impazienza da cui mettono in guardia i versi di Rilke. Un chiaro segno della difficoltà, che a volte avverto, di con-vivere con l’irrisolto. So che quando è ben dosata, questa impazienza di fronte all’assenza di risposte è benefi-ca perché mi spinge alla ricerca, aiutandomi a mantenere nel mio spirito quella sana inquietudine necessaria per non adagiarmi nella routine dei soliti pensieri e delle provate e riprovate comode vie d’uscita. Nello stesso tempo, però, mi rendo conto che se essa non è gestita appropriatamen-te può portarmi a un’insisten-za fastidiosa, capace d’intristire l’animo. Per questo trova una forte risonanza in me l’invito del grande poeta tedesco ad amare le domande, lasciando che esse si muovano dentro il cuore fino al momento in cui giungerà la risposta.A contrastare l’impazienza di cui a volte sono vittima mi aiuta la consapevolezza del mistero in cui è avvolta la persona umana e l’universo. Non è stato scrit-to, infatti, che “un baratro è l'uomo e il suo cuore un abisso (Salmo 63,7)”? Pagine mirabili

18 19

p. Luigi Mantovani

La Giorgia dal vivo

Avvicinandosi il giorno dell'elezione del Presi-dente della Repubblica

georgiana, il 28 ottobre, la vita del Paese viene spiattellata sui giornali, prevalentemente nei suoi aspetti negativi facilmente intuibili, specialmente di ordine economico.Per conoscerli direttamente, ho preferito ricorrere a una fonte diretta: non però a una persona altolocata, ma a una semplice spazzina cittadina (detta pure operatrice ecologica), quella del-la nostra via, via New Port (niù-porti), già via Majakovsky. L'ho intervistata, con sr. Anna Maria al mio fianco, il 21 settembre u. s., festa della Natività di Maria per la Chiesa ortodossa (il cui calendario è ancora quello giu-liano, in ritardo, rispetto a quello attuale mondiale, di 13 giorni - si tratta quindi della festività che per il mondo cattolico ricorre l'8 settembre).Mi ha sorpreso la religiosità di questa umile persona, che subi-to al primo incontro mi porta gli auguri della festività del giorno, quella suddetta.E ancor più la sua semplicità.Indossava una sottana lunga fino ai piedi (assai comune da queste parti specialmente per le persone anziane), un giubbino bianco-rosso (distintivo dello spazzino), un copricapo a larghe falde; nella mano sinistra aveva un secchio e nella destra una semplice scopa.Dopo un cordiale saluto rivoltole da sr. Anna Maria con la motiva-zione della mia intervista, lei ha

Per arrotondare un po' il misero stipendio pulisce anche il cortile della scuola materna che dà sul-la stessa via e lavora anche in via Varlamishvili, quella della chiesa cattolica ora officiata dagli orto-dossi.Incuriosito, le chiedo quante sono le spazzine della città. Mi risponde: 19 in centro, 300 in tutta la città.Poi entriamo nel vivo dell'in-chiesta, nel suo rapporto cioè con la gente. Tutti la salutano con espansione, anche perso-ne straniere perché lei sa anche il russo (che fino a vent'anni fa era la lingua ancora in uso). Ma a fatti non tutti sono riguardosi nei confronti del suo lavoro rite-nendolo quasi una loro pretesa, e, per maleducazione, gettano per terra carte e altri rifiuti: pre-tendono, ma non hanno cura.Poi le chiedo quello che mag-giormente mi interessa: che cosa pensa la gente della situazione economica attuale?C'è molta povertà - risponde -, la gente è triste e sfiduciata per il si-stema politico-sociale-economi-co: molte donne vanno all'estero a fare le badanti.Quanto la spazzina mi esprime

fatto con disinvoltura la sua pre-sentazione. Mi chiamo Jujuna e ho 70 anni (settant'anni); ho quattro figli (uno però è morto), ma vivo sola in una stanza presa in affitto all'inizio di questa via, perché voglio essere vicina al mio luogo di lavoro. Non mi dimen-tico però dei miei figli con i ni-poti che vivono sul colle accanto alla celebre antica basilica di Ba-grati, e di quando in quando li vado a trovare.Io sono poi entrato nei dettagli del suo lavoro. Mi dice che lavora sei ore al gior-no nella pulizia della nostra via: tre al mattino (dalle 6 alle 9/9.30) e tre nel pomeriggio (dalle 17 alle 20). Io la osservo spesso con un senso di ammirazione e, quando piove o fa freddo, di compassio-ne. È sempre intenta a raccoglie-re carte e foglie (che in autunno non le danno tregua), ma anche, con mia meraviglia, mucchietti di sabbia o altra sporcizia.E questo per lo stipendio men-sile di 450 lari (150 euro) e una giacca colorata, una sola all'anno (che talvolta non riesce a lavare e a far asciugare in tempo per il lavoro e deve indossarla ancora inumidita).

Amare le domande

Angelo Brusco

vagamente lo vengo a conoscere specificatamente qualche giorno dopo da un dépliant pubblici-tario (sempre in vista delle ele-zioni), approntato da "ZALA ERTOBASCIA" (la forza è nell'unione) trovato infisso nel cancello del nostro cortile. Un signor dépliant che credo faccia invidia a quelli italiani. Mi soffermo solo su un lato del pieghevole, intitolato "che cosa avviene oggi?"Eccone i punti essenziali: - il 69% della popolazione vive nella povertà;- c'è quindi una continua fuga all'estero (ci pensa anche la no-stra domestica): negli ultimi sei anni ha lasciato la patria un milione di individui (la popola-zione che nel 2006 ammontava a 4.350.000 su una superficie di quasi 70.000 kmq., due anni fa (2016) era di soli 3.719.000 ab., e ora è ulteriormente in calo;- la criminalità è aumentata del 53%;- la pensione, che nel 2013 era di 90 dollari (260 lari), ora è di 72 dollari (187 lari);- la corruzione si è impadronita del Paese.Ora ritorno alla nostra operatrice ecologica per una forza di attrat-tiva che si prova verso le persone

semplici, serene, fedeli al loro dovere non perché controllate, ma per una rettitudine interiore, e oso rivolgerle un'ulteriore do-manda: che cosa pensa la gente di noi cattolici? - Pensa molto bene di voi - è la

20 21

come seguace di quel Gesù di Nazaret che è venuto fra gli uo-mini perchè tutti abbiano vita e vita in abbondanza (Gv.10,10).Ritornando con la memoria al quadro programmatico per gli anni – 2007 - 2010, Sr. Cassilda proclamava con fede quanto at-traverso il libro dell’Esodo il Si-gnore diceva a tutti i religiosi: “Il Signore disse a Mosè: ‘Perché mi chiami in aiuto? Ordina piutto-sto agli Israeliti di riprendere il cammino’ “(Esodo 14,15).Si! I religiosi dovevano ripren-dere il cammino! Era, necessario un forte impegno di servizio alla vita di fronte alle grandi questio-ni sociali e ambientali. Era ne-cessario coltivare una spiritualità incarnata e profetica alla scuola della Parola di Dio vivendo così da veri discepoli aperti alle di-versità culturali e religiose; es-sere dinamici nella formazione iniziale e permanente davanti ai continui cambiamenti di epoca; rinvigorire e far crescere la colla-borazione con le tante congrega-zioni religiose esistenti ; intensi-ficare la condivisione dei carismi con i laici; cercare nuove forme di vicinanza e presenza con i gio-vani.Il quadro programmatico per gli anni – 2010-2013, invitava i religiosi a “Tenere gli occhi fissi

minciato, non ve ne accorgete?” (Isaia 43,19). È un meraviglioso invito a scorgere il “Nuovo” ad aprire gli occhi e vedere i “Se-gni” della misericordia e della bontà di Dio. Il cammino non è facile per nessuno, abbi corag-gio Vita Religiosa, il Signore, il Risorto cammina con te, ti tiene per mano e ti vuole strumento del suo Grande Amore vicino al fratello e alla sorella, soprattutto al più povero in un mondo in continua trasformazione.L’assemblea ha accolto con pro-fonda riconoscenza la bella e provvidenziale riflessione di Sr. Cassilda e ancora una volta can-tava con gioia e con rinnovato impegno il ritornello: “Tutto per causa di un grande Amore, tut-to, tutto per causa di un grande Amore”. ■

Comunità di Riacho das Pedras Contagem - Brasile

in Gesù” (Ebrei 12,2). Era im-portante riprendere il cammino ma senza staccare gli occhi dalla fonte, continuando a riscopri-re il senso profondo della Vita Religiosa e la sua passione per Gesù ed il suo Regno; rinnovare e continuare l’impegno a favo-re dei più poveri e delle grandi cause sociali, economiche, poli-tiche, ambientali.Il triennio – 2013 – 2016 è sta-to un forte invito a donne e uomini consacrati a supplicare con fiducia il Signore, come i di-scepoli di Emmaus: “Resta con noi Signore” (Luca 24,29) Si! Riprendere il cammino con lo sguardo fisso in Gesù era fonda-mentale, ma Signore Gesù “resta con noi”, cammina con noi la sera perchè il nuovo ci spaventa e riconosciamo che ci troviamo ad un crocicchio della nostra storia: crediamo che il Risorto cammina con noi e ci riscalda il cuore. La Vita Religiosa deve continuare la sua missione pro-fetica per essere presenza efficace in mezzo alla gioventù e in ogni luogo dove la vita è minacciata.Finalmente per il triennio -2016-2019 la luce della Parola di Dio proposta ai Religiosi arriva dalla bocca di Isaia, ed è una parola consolante: “Fra poco farò qual-cosa di nuovo, anzi ho già co-

Era questo, il ritornello che il gruppo di Religio-si e Religiose cantavano

con allegria, con entusiasmo e con rinnovato ardore. Fuori dalle quattro pareti del grande teatro della scuola Padre Machado – Belo Horizonte, il clima era freddo e piovoso... Per i Religiosi partecipanti all’As-semblea dell’USMI Regionale di Belo Horizonte, nei giorni 18 e 19 Agosto 2018, il clima non era per niente freddo anzi, era col-mo di un calore vitale che pro-veniva dalla certezza di apparte-nere a quel “grande Amore” al quale ognuno aveva risposto con generosità e che ora riuniti in Assemblea, proclamavano di vo-lere continuare a manifestare e annunciare all’uomo del nostro tempo: “quel grande Amore”. L’Assemblea dei Religiosi è sem-pre um momento di grazia e, pur avendo la stessa come obbiettivo il rinnovo del gruppo di coordi-namento a tre anni dall’ultima elezione, l’Eucarestia, il confron-to fraterno e alcuni momenti forti di formazione, hanno avu-to il loro posto privilegiato.

Vogliamo in questo articolo, sottolineare in modo del tutto particolare, la riflessione di Suor Cassilda della Congregazione Sacramentina di Nosso Senho-ra, rappresentante dell’USMI nazionale. Sr. Cassilda, ha ricordato il cammino degli ultimi vent’an-ni di vita dell’USMI. È sempre bello e costruttivo ricordare un “CAMMINO”, aiuta non solo a rivedere il vissuto, a verificare l’a-zione concreta, ma soprattutto stimola nel continuare a vivere e concretizzare i valori vitali ed essenziali della vita consacrata.Ricordare l’impegno della vita consacrata di questi ultimi 20 anni significa porgere l’orecchio e ascoltare ancora una volta con cuore aperto e disponibile, la Parola di Dio sempre viva e at-tuale; è ascoltare il grido dell’u-manità che ci circonda, è sentire compassione, è essere servi della vita. Le linee programmatiche dell’USMI di fatto, sono sempre “luci” provenienti dalla Parola, sono indicazioni e forti inviti per vivere quel progetto che ogni religioso è chiamato a realizzare

Tutto per causa di un grande amore!

sua risposta immediata.La ringraziamo, convinti non solo di aver ricevuto, ma anche di aver dato, perché è solo nello scambio di cuori che la vita fiori-sce e ride. ■

Parenti defuntiSorella di: Suor Carmela GiannattasioSuor Costanza DragoSuor Roselda AntenucciSr. Christine KoskePapà di:Suor Ceciliah N. KimaniFratello di:Suor Damaris Kiilu W.

Un grazie dalle missioniCarissime Sorelle, carissimi Amici, Volontari e Benefattori, dal-la missione delle Piccole Figlie di S. Giusep-pe in Guinea Bissau, noi, Sr. Margaret, Sr. Catherine, Sr. Elizabeth, Sr. Lydia e Sr. Ce-cilia, desideriamo ringraziarvi per il vostro sostegno. Ci troviamo in questa missione, nata nel 2007, dove svolgiamo diverse at-tività di evangelizzazione: catechesi, pa-storale giovanile e della famiglia all’interno della parrocchia di Blom, attenzione ai ma-lati a domicilio e nel piccolo ambulatorio da poco iniziato, con un’attenzione tutta speciale alle mamme e ai bambini perché la mortalità infantile è molto alta a causa di malattie legate all’igiene e malnutrizio-ne. Affrontiamo questo problema accom-pagnando le mamme in attesa, educandole sul valore della vita spesso minacciata dalla cultura prevalente che vede, soprattutto i gemelli come una maledizione e perciò, con facilità, vengono uccisi. Siamo riuscite salvare tanti bambini da quando la missio-ne è stata aperta.Grazie perché quello che siamo riuscite ad ottenere finora è dovuto anche al vostro aiuto spirituale, morale e materiale espres-so in diversi modi. Le parole non bastano per dire quanto avete fatto per realizzare e rendere funzionante la Scuola materna, l’ambulatorio e tanti altri servizi essenziali. Insieme con voi abbiamo asciugato e asciu-ghiamo molte lacrime della gente sofferen-te che incontriamo ogni giorno, condivi-dendo con le persone la Bella Notizia del Vangelo. Vediamo già i segni di un futuro migliore che sta sorgendo grazie alla no-stra presenza missionaria e al vostro aiuto. Il Signore vi ricompensi quanto avete do-nato a questa missione, per il tempo de-dicato a preparare ed inviare aiuti, e per il tempo molto prezioso che avete passato concretamente in questa missione offren-do il vostro servizio di volontariato.

Sr. Margaret, Sr. Catherine, Sr. Elizabeth, Sr. Lydia, Sr. Cecilia

Carissimi amici benefattori, a tutti e a ciascuno in particolare il nostro saluto e un grazie riconoscente. Ogni familiare e benefattore partecipa a quel “an-date” di Gesù e risponde con generosità assieme a noi, a quell’invito che il Maestro fa ad ogni bat-tezzato per essere strumento di salvezza in mezzo all’umanità. Cari parenti e benefattori, voi siete per noi una grande forza con la vostra vicinanza fatta di preghiera, di ricordo costante e affettuoso e anche di aiuto concreto. Forse, voi non vi rendete conto, ma per noi è molto importante il sapere che ci siete vicini... Quell’ “andate” Evangelico, è per noi fonte di grande gioia e con immensa passione cerchiamo di essere testimoni della misericordia e tenerezza di Dio Padre, rispondendo per quanto ci è possi-bile alle necessità dei fratelli che ci circondano, nel contesto ambientale e culturale in cui ci troviamo. Non vi nascondiamo però che, come per ciascuno di voi, il vivere la propria vocazione, richiede non solo continua fedeltà alla nostra consacrazione ma anche tanto sacrificio, rinuncia e capacità di donarsi. Siamo riconoscenti al Signore della fiducia che ci ha concesso, di poter essere a nome di una Congrega-zione seminatrici di amore e di speranza in questa porzione di terra Brasiliana e ripetiamo: voi, cari pa-renti, amici e benefattori siete partecipi con noi di questa meravigliosa opera perchè siete parte di noi. Che Iddio vi ricompensi, vi benedica e come diceva il nostro Fondatore Don Giuseppe Baldo cerchiamo ogni giorno di fare “In modo straordinario le cose ordinarie”e di fare “il bene fatto bene”.

Sr. Roselvira, Sr. Bruna, Sr. Franca, Sr. Luzinete, Sr. Ana Vilma, Sr. Annamaria

Carissimi amici, che oggi siete convenuti qui per questa gior-nata con i parenti e altri volontari delle nostre missioni, Grazie! Noi, Sr. Loredana, Sr. Annapaola, Sr. Anna-maria dalla Georgia non siamo presenti fisi-camente ma lo siamo attraverso voi. L'espe-rienza di volontariato nasce per mille motivi, sentirsi utili fa bene ma sappiamo che la vo-stra azione in mezzo a noi non è solo uma-nitaria, ma nasce da una fede profonda che spinge a mettersi a servizio dei più poveri. “Andare alle periferie”, condividere con loro il cammino di testimonianza evangelica in un mondo dove l’incontro con le altre confes-sioni religiose non è sempre facile. Con voi anche la vita delle nostre comunità cambia, rallenta, prende un altro colore, non solo per un adattamento necessario, per conoscenza che man mano si approfondisce, ma anche l’accoglienza reciproca e il raccontarsi della ricca esperienza che muove le nostre scelte. Sperimentiamo quanto la presenza in missio-ne permetta di donarsi completamente, av-vertendo così la meravigliosa sensazione di “vivere pienamente e densamente” un’espe-rienza di vita cristiana. Si parte per donarsi e per stare “con”, senza altri obiettivi in testa ma partendo dal semplice “farsi prossimo”, e poi, stando insieme, si può capire come si può essere utili e come inserirsi nelle varie re-altà. Siamo certi che non siete tornati come siete partiti ma avete portato con voi un pez-zetto di noi e, ora condividete con le vostre famiglie e comunità quello che avete vissuto.Grazie per la vostra condivisione. Vi aspettia-mo ancora perché “la messe è molta”!

Sr. Loredana, Sr. Anna Maria, Sr. Annapaola

Carissimi volontari e amici delle missioni, noi Piccole Figlie di San Giuseppe della Delegazio-ne dell’Est Africa, presenti in Kenya, Rwanda ed Uganda, vogliamo vivamente ringraziarvi per tutto il bene che state facendo per le nostre missioni.Grazie di cuore! E siate sempre aperti alle tante necessità e povertà della società contemporanea.Per noi, voi siete dei ponti che collegano l’Italia con le nostre missioni; ci seguite passo dopo pas-so e desiderate, come noi e con noi, di migliorare la vita di tante persone sofferenti che vivono tanti disagi sociali: cibo, salute, malattie, mancanza di dignità umana, ecc.Voi indossate il grembiule dell’amore-servizio: è questo il segno che vi contraddistingue. Siete i volontari dell’amore, della carità e della solidarie-tà che, come noi che lavoriamo sul campo spes-so molto difficile, non gridano parole vuote, ma operano gesti concreti. Il vostro arrivo nelle nostre missioni ci porta tanta gioia; ci sentiamo sostenute e accompagnate nelle fatiche quotidiane; ci aiu-tate a guardare al futuro con fiducia e speranza. Vedervi felici di aiutarci ci rianima e ci riempie il cuore di serenità e tenacia nel continuare il cammi-no di samaritani-viandanti di questo nostro piccolo mondo.Grazie amici e continuate ad essere uomini e don-ne di carità nell’unità. Vi assicuriamo la nostra preghiera quotidiana e vi auguriamo di:- saper sempre essere missionari in famiglia; - missionari della porta accanto; - missionari dalle mani aperte pronte a donare e ricevere il calore dell’umanità che soffre e che gri-da aiuto; - missionari sempre in cammino donando il seme della bontà alle persone che incontrate.

Sr. Jane Nderi (Delegata) e sorelle tutte della delegazione Est Africa

22 23

IN C

ASO

DI M

AN

CAT

O R

ECA

PITO

RES

TITU

IRE

ALL

’UFF

ICIO

CM

P D

I VER

ON

A PE

R L

A R

ESTI

TUZI

ON

E A

L M

ITTE

NTE

CH

E SI

IMPE

GN

A A

CO

RR

ISPO

ND

ERE

LA

TASS

A D

OVU

TA

Natale è tempo per trasformare la forza della paurain forza della carità,in forza per una nuova immaginazione della caritàPapa Francesco

Buon Natale