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Domenica 26 maggio 2013 – Anno 5 – n° 143 1,20 – Arretrati: 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 Partiti e tornati di Marco Travaglio P er ora l’abolizione del finanziamento pub- blico ai partiti è solo un tweet di Enrico Letta che annuncia un disegno di legge che ver- rà esaminato dalle commissioni parlamentari competenti e poi, se nel frattempo non sarà caduto il governo o finita la legislatura, appro- derà nelle aule di Camera e Senato che dovran- no discuterlo, emendarlo e infine approvarlo con doppia lettura conforme. Insomma, i titoli trionfalistici dei giornaloni (Repubblica : “Soldi ai partiti, stop entro luglio”, Corriere : “Letta: ba- sta soldi ai partiti”, La Stampa: “Partiti, stop ai soldi pubblici”) sono la solita propaganda a un governo che finora non ha fatto altro se non promettere mari e monti senz’avere un soldo in cassa. Dipendesse dai giornali, Letta e i suoi ministri sarebbero disoccupati, perché l’Italia l’avrebbe già salvata il governo Monti a colpi di “Salva Italia”, “Semplifica Italia”, “Sviluppa Ita- lia”, “Modernizza Italia”, “Cresci Italia”, piani per la crescita, agende e tavoli e road map delle riforme (ovviamente condivise), fasi-1 e fasi-2, spending review, superconsulenti, supersaggi e supercazzole. Insomma avrebbe rivoluzionato la sanità, la scuola, l’università, le infrastrutture e la pubblica amministrazione, sbaragliato la corruzione, l’evasione e la disoccupazione, va- rato la miglior legge elettorale di tutti i tempi. Ora il copione si ripete con i mirabolanti an- nunci del governo Letta, regolarmente seguiti dal nulla. Vedremo se i fondi ai partiti avranno una sorte diversa, nel qual caso lo riconosce- remo con gioia, visto che furono abrogati già vent’anni fa dal referendum del '93, subito an- nullato dalla legge-truffa che li fece rientrare dalla finestra sotto le mentite spoglie dei “rim- borsi elettorali”. Da allora i partiti hanno incassato indebita- mente 3 miliardi di euro solo per i “rimborsi”, cui però vanno aggiunte altre fonti di approv- vigionamento: i contributi ai gruppi parlamen- tari e regionali, gli sgravi fiscali sulle donazioni dei privati, le agevolazioni postali, i soldi ai giornali di partito (veri o finti). Decenza e coe- renza vorrebbero che i partiti di maggioranza, mentre annunciano una riforma così impegna- tiva, rinunciassero alla rata che sta per piovergli addosso per le scorse elezioni: 45,8 milioni al Pd, 38 al Pdl, 15 a Monti. Il tanto bistrattato M5S l’ha già fatto con i “suoi” (cioè nostri) 42,7. Non è difficile: basta non ritirarli. Perché non lo fanno? Perché l’annunciata abrogazione del fi- nanziamento pubblico puzza tanto di fregatura, cioè di una legge che i rimborsi non li abolirà, ma li chiamerà con un altro nome. Il ddl non c’è ancora, ma già si sa che introdurrà il mecca- nismo dell’1 per mille sulla dichiarazione dei redditi, affinché i contribuenti possano devol- vere una parte delle tasse ai partiti: non è chiaro se al proprio partito o a un unico bottino che le forze politiche si spartiranno in proporzione ai voti. Questa seconda ideona fu sperimentata nel 1999 col 4 per mille, ma quasi nessuno con- tribuì: un po’ perché non si poteva scegliere il partito da sostenere, un po’ perché i partiti sta- vano sulle palle agli elettori. In ogni caso, con l’1 per mille il gettito fiscale diminuirebbe per con- fluire in parte nelle casse di associazioni private quali sono i partiti: dunque sarebbe un’altra forma di finanziamento pubblico, non certo un’abrogazione. Non solo: il ddl confermerà gli sgravi fiscali del 26% sui contributi privati (70 volte superiori a quelli sulle donazioni bene- fiche), regalerà ai partiti sedi, spazi tv e spese postali gratuiti (cioè pagati da noi). E il nuovo sistema entrerà in vigore gradualmente in tre anni, perché i partiti vanno disintossicati poco per volta, come i drogati col metadone. Infine, nulla si sa del controllore (la Corte dei Conti o le Camere, cioè i partiti stessi che si coprono a vicenda?) né delle sanzioni: l’esclusione dalle elezioni, come in Germania, è respinta con or- rore dal ministro Quagliariello. Ma allora, se chi viola la legge può candidarsi come se nulla fosse, perché dovrebbe rispettarla? dc L’ITALIA CHE SI AGGRAPPA AI DON di Antonio Padellaro F orse più delle parole giuste di don Ciotti e di Moni Ovadia si parlerà delle parole sba- gliate del cardinale Bagnasco nella chiesa del Carmine, davanti alla bara di don Gallo. Perché dire che Andrea “ha sempre considerato il car- dinale Siri un padre e un benefattore”, quando tutti a Genova sanno che fu il padre-padrone della curia genovese a trasferire in punizione l’allora viceparroco di quello stesso Carmine, è sembrata un’inutile provo- cazione. Oppure utile a riaffermare il potere della gerarchia, adesso che il pre- te degli “ostinati e dei con- trari” (letto su un grande lenzuolo bianco) non c’è più. Molti si chiederanno cosa ci faceva il solenne presidente della Cei accan- to ai sacerdoti che nelle strade si sporcano le mani, mentre altri avranno apprezzato la presenza del porporato in una situazione e in un clima non facili. Oltre però agli applausi e ai fischi, la colonna sonora della città erano i tamburi dei camalli che martel- lanti, dietro il Don, sembravano il tuono che precede il temporale. Perché ieri a Genova, gri- gia di pioggia e di rabbia, era come se sfilasse l’intero Paese che non ne può più. Cantava la folla Bella ciao, ma le note battagliere e festose tante volte intonate da Gallo ora erano quasi laceranti, un grido collerico contro il lavoro che manca e la politica delle promesse vane. Fa- rebbero molto male gli uomini delle cattedrali e dei palazzi a pensare: in fondo se n’è andato un rompiscatole, un piantagrane, un agitatore di poveri cristi che tanto neppure votano per noi. Perché senza più quegli argini morali e perfino fisici, senza quell’energia e quel prestigio con- quistati in una vita spesa sul marciapiede, la crisi che incattivisce gli animi può tracimare. E allora possono essere guai, come teme non un pericoloso sovversivo, ma perfino il premier Enrico Letta quando parla di un assai diffuso “risentimen- to” tra la gente. Succede allora che, a tendere la mano a questo popolo derubato e offeso, sia- no proprio quelli che stanno “non dalla parte di chi fa la sto- ria, ma di chi la subisce” (don Ciotti). Non certo gli uomini dei partiti che ieri, nella navata del Carmine, latitavano, salvo rare eccezioni. È l’Italia salvata dai mille fermenti del volon- tariato, dai santi laici che si sbattono in silenzio per i loro simili, dal coraggio generoso di “Libera”. L’Italia dei don Gallo e dei padri Puglisi che, porca miseria, devono morire per essere celebrati. In migliaia al funerale del “prete di strada” che cambierà per sempre la storia della Chiesa. Non solo per i fischi al presidente Cei per un infelice passaggio sul cardinal Siri. Ma anche per la varia e “diversa” umanità sotto l’altare. E il “Bella ciao” fra gli inni sacri Pre ss i o n e dell’Ilva sul governo: dopo il sequestro di 8 miliardi ai Riva, si di- mettono i vertici. Ma fino a quando a p a ga re saranno lavoratori e cittadini? GENOVA PER DON GALLO CONTESTA BAGNASCO OMBRE AMERICANE Il giovane JFK, il club dei ricchi e quel fascino nero di Adolf Hitler Ruby racconta che ad Arcore dormì da sola. La notte in cui era travestita da Rutelli » www.spinoza.it LA CATTIVERIA Oltre alla Capitale sono 563 le amministrazioni da rinnovare. Si teme un aumento delle astensioni. Per la sinistra anche la sfida nel capoluogo emiliano per il referendum sui soldi alle scuole paritarie » pag. 4 - 5 - 6 La folla davanti alla chiesa del Carmine a Genova Ansa » TEST » Oggi e domani vanno alle urne oltre 16 milioni di italiani Da Roma a Bologna il voto spaventa il Pd Colombo » pag. 18 - 19 Politi, Rosselli e Sansa » pag. 2 - 3 U di Gian Carlo Caselli QUEL SORRISO DI DON PUGLISI AL SUO KILLER D on Pino Puglisi muore (ce lo racconta il mafioso che lo uccise) sorridendo e pronun- ziando le parole “me lo aspet- tavo”. Cosa voleva dire? Per il sorriso la risposta è facile, tant’è che don Pino è stato – ieri, a Pa- lermo – beatificato come mar- tire. » pag. 14 All’interno » pag. I - IV GEORGOFILI, 20 ANNI FA “Fare la guerra per fare la pace”: la trattativa sul tritolo di Firenze ’93 Barbacetto e Lo Bianco » pag. 10 - 11 y(7HC0D7*KSTKKQ( +@!z!,!$!.

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Domenica 26 maggio 2 01 3 – Anno 5 – n° 143 € 1,20 – Arretrati: € 2 ,0 0

Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)

tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

Partiti e tornati

di Marco Travaglio

Per ora l’abolizione del finanziamento pub-blico ai partiti è solo un tweet di Enrico

Letta che annuncia un disegno di legge che ver-rà esaminato dalle commissioni parlamentaricompetenti e poi, se nel frattempo non saràcaduto il governo o finita la legislatura, appro-derà nelle aule di Camera e Senato che dovran-no discuterlo, emendarlo e infine approvarlocon doppia lettura conforme. Insomma, i titolitrionfalistici dei giornaloni (Re p u b b l i ca : “Soldiai partiti, stop entro luglio”, Co r r i e re : “Letta: ba-sta soldi ai partiti”, La Stampa: “Partiti, stop aisoldi pubblici”) sono la solita propaganda a ungoverno che finora non ha fatto altro se nonpromettere mari e monti senz’avere un soldo incassa. Dipendesse dai giornali, Letta e i suoiministri sarebbero disoccupati, perché l’Italial’avrebbe già salvata il governo Monti a colpi di“Salva Italia”, “Semplifica Italia”, “Sviluppa Ita-lia”, “Modernizza Italia”, “Cresci Italia”, pianiper la crescita, agende e tavoli e road map delleriforme (ovviamente condivise), fasi-1 e fasi-2,spending review, superconsulenti, supersaggi esupercazzole. Insomma avrebbe rivoluzionatola sanità, la scuola, l’università, le infrastrutturee la pubblica amministrazione, sbaragliato lacorruzione, l’evasione e la disoccupazione, va-rato la miglior legge elettorale di tutti i tempi.Ora il copione si ripete con i mirabolanti an-nunci del governo Letta, regolarmente seguitidal nulla. Vedremo se i fondi ai partiti avrannouna sorte diversa, nel qual caso lo riconosce-remo con gioia, visto che furono abrogati giàvent’anni fa dal referendum del '93, subito an-nullato dalla legge-truffa che li fece rientraredalla finestra sotto le mentite spoglie dei “rim-borsi elettorali”.Da allora i partiti hanno incassato indebita-mente 3 miliardi di euro solo per i “rimborsi”,cui però vanno aggiunte altre fonti di approv-vigionamento: i contributi ai gruppi parlamen-tari e regionali, gli sgravi fiscali sulle donazionidei privati, le agevolazioni postali, i soldi aigiornali di partito (veri o finti). Decenza e coe-renza vorrebbero che i partiti di maggioranza,mentre annunciano una riforma così impegna-tiva, rinunciassero alla rata che sta per piovergliaddosso per le scorse elezioni: 45,8 milioni alPd, 38 al Pdl, 15 a Monti. Il tanto bistrattatoM5S l’ha già fatto con i “suoi” (cioè nostri) 42,7.Non è difficile: basta non ritirarli. Perché non lofanno? Perché l’annunciata abrogazione del fi-nanziamento pubblico puzza tanto di fregatura,cioè di una legge che i rimborsi non li abolirà,ma li chiamerà con un altro nome. Il ddl non c’èancora, ma già si sa che introdurrà il mecca-nismo dell’1 per mille sulla dichiarazione deiredditi, affinché i contribuenti possano devol-vere una parte delle tasse ai partiti: non è chiarose al proprio partito o a un unico bottino che leforze politiche si spartiranno in proporzione aivoti. Questa seconda ideona fu sperimentatanel 1999 col 4 per mille, ma quasi nessuno con-tribuì: un po’ perché non si poteva scegliere ilpartito da sostenere, un po’ perché i partiti sta-vano sulle palle agli elettori. In ogni caso, con l’1per mille il gettito fiscale diminuirebbe per con-fluire in parte nelle casse di associazioni privatequali sono i partiti: dunque sarebbe un’altraforma di finanziamento pubblico, non certoun’abrogazione. Non solo: il ddl confermerà glisgravi fiscali del 26% sui contributi privati (70volte superiori a quelli sulle donazioni bene-fiche), regalerà ai partiti sedi, spazi tv e spesepostali gratuiti (cioè pagati da noi). E il nuovosistema entrerà in vigore gradualmente in treanni, perché i partiti vanno disintossicati pocoper volta, come i drogati col metadone. Infine,nulla si sa del controllore (la Corte dei Conti o leCamere, cioè i partiti stessi che si coprono avicenda?) né delle sanzioni: l’esclusione dalleelezioni, come in Germania, è respinta con or-rore dal ministro Quagliariello. Ma allora, sechi viola la legge può candidarsi come se nullafosse, perché dovrebbe rispettarla?

dc

L’ITALIA CHESI AGGRAPPA AI DONdi Antonio Padellaro

Forse più delle parole giuste di don Ciotti edi Moni Ovadia si parlerà delle parole sba-

gliate del cardinale Bagnasco nella chiesa delCarmine, davanti alla bara di don Gallo. Perchédire che Andrea “ha sempre considerato il car-dinale Siri un padre e un benefattore”, quandotutti a Genova sanno che fu il padre-padronedella curia genovese a trasferire in punizionel’allora viceparroco di quello stesso Carmine, è

sembrata un’inutile provo-cazione. Oppure utile ariaffermare il potere dellagerarchia, adesso che il pre-te degli “ostinati e dei con-trari” (letto su un grandelenzuolo bianco) non c’èpiù. Molti si chiederannocosa ci faceva il solennepresidente della Cei accan-to ai sacerdoti che nelle

strade si sporcano le mani, mentre altri avrannoapprezzato la presenza del porporato in unasituazione e in un clima non facili. Oltre peròagli applausi e ai fischi, la colonna sonora dellacittà erano i tamburi dei camalli che martel-lanti, dietro il Don, sembravano il tuono cheprecede il temporale. Perché ieri a Genova, gri-gia di pioggia e di rabbia, era come se sfilassel’intero Paese che non ne può più. Cantava lafolla Bella ciao, ma le note battagliere e festosetante volte intonate da Gallo ora erano quasilaceranti, un grido collerico contro il lavoro chemanca e la politica delle promesse vane. Fa-rebbero molto male gli uomini delle cattedrali edei palazzi a pensare: in fondo se n’è andato unrompiscatole, un piantagrane, un agitatore dipoveri cristi che tanto neppure votano per noi.Perché senza più quegli argini morali e perfinofisici, senza quell’energia e quel prestigio con-quistati in una vita spesa sul marciapiede, lacrisi che incattivisce gli animi può tracimare. Eallora possono essere guai, come teme non unpericoloso sovversivo, ma perfino il premierEnrico Letta quando parla diun assai diffuso “risentimen-to” tra la gente. Succede allorache, a tendere la mano a questopopolo derubato e offeso, sia-no proprio quelli che stanno“non dalla parte di chi fa la sto-ria, ma di chi la subisce” (donCiotti). Non certo gli uominidei partiti che ieri, nella navatadel Carmine, latitavano, salvorare eccezioni. È l’Italia salvatadai mille fermenti del volon-tariato, dai santi laici che sisbattono in silenzio per i lorosimili, dal coraggio generosodi “Libera”. L’Italia dei donGallo e dei padri Puglisi che,porca miseria, devono morireper essere celebrati.

In migliaia al funerale del “prete di strada” che cambierà per sempre la storia della Chiesa. Non

solo per i fischi al presidente Cei per un infelice passaggio sul cardinal Siri. Ma anche per la varia

e “diver sa” umanità sotto l’altare. E il “Bella ciao” fra gli inni sacri

Pre ss i o n e dell’Ilva sul governo: dopo il sequestro di 8 miliardi ai Riva, si di-mettono i vertici. Ma fino a quando a p a ga re saranno lavoratori e cittadini?

GENOVA PER DON GALLO

CONTESTA BAGNASCO

OMBRE AMERICANE

Il giovane JFK,

il club dei ricchi

e quel fascino nero

di Adolf HitlerRuby racconta che ad Arcoredormì da sola. La nottein cui era travestita da Rutelli

» w w w. s p i n oza . i t

LA CATTIVERIA

Oltre alla Capitale sono

563 le amministrazioni

da rinnovare. Si teme un

aumento delle astensioni.

Per la sinistra anche

la sfida nel capoluogo

emiliano per il referendum

sui soldi alle scuole

paritarie » pag. 4 - 5 - 6

La folla davanti alla chiesa del Carmine a Genova Ansa

» TEST » Oggi e domani vanno alle urne oltre 16 milioni di italiani

Da Roma a Bolognail voto spaventa il Pd

Colombo » pag. 18 - 19

Politi, Rosselli e Sansa » pag. 2 - 3

U di Gian Carlo Caselli

QUEL SORRISO

DI DON PUGLISI

AL SUO KILLER

Don Pino Puglisi muore (celo racconta il mafioso che

lo uccise) sorridendo e pronun-ziando le parole “me lo aspet-tavo”. Cosa voleva dire? Per ilsorriso la risposta è facile, tant’èche don Pino è stato – ieri, a Pa-lermo – beatificato come mar-tire. » pag. 14

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“Fare la guerra per fare

la pace”: la trattativa

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