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Periodico del Centro Ascolto e Accoglienza Caritas Zonale di Darfo anch'io

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Page 1: Periodico del Centro Ascolto e Accoglienza Caritas Zonale ...Don mauro Orsatti Breve INDAgINe BIBLICA DeL termINe “pACe” Alla radice del signiicato Il termine italiano pace –

Periodico del Centro

Ascolto e Accoglienza

Caritas Zonale di Darfo

anch'io

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Il Centro di Ascolto e Accoglienza Caritas

ringrazia tutti coloro che hanno offerto

e stanno dando tempo, energie e denaro

Perché

anch'io

anch'io sono solo

anch'io ho bisogno di aiuto

anch'io ho freddo

anch'io ho bisogno di una casa

anch'io non riesco a trovare un punto di riferimento

anch'io non ho più speranze

anch'io ho del tempo libero

anch'io ho due stanze libere

anch'io posso dedicarmi a loro

anch'io posso condividere

E tu…

anch'io cosa?

Anch'io • dicembre 2001 - n. 13 • Periodico della Caritas - Vicaria di Darfo - Zona Terza - Bassa Valle Camonica • supplemento a "La Campana di Darfo" • Redattrice: Nadia Ghirardelli • impostazione graica: Input - Boario T. (BS) • stampa: Tipolitograia Quetti - Artogne (BS)

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don Danilo

ANCH'IO 2001

SeNtImeNtI, INterrOgAtIvI, SperAN-Per un verso continuano a martellare la mia mente le atroci immagini dell’11 settembre e mi sento smarri-to, per un altro verso mi rincorrono giorno e notte le immagini delle migliaia di profughi afghani in fuga, disperati (immagini purtroppo già viste – anche con gli stessi miei occhi – in quest’ultimo decennio in Bosnia, Serbia, Kosovo…) per un verso ancora mi angosciano le notizie di civili morti ‘per errore’ o per ‘le bombe intelligenti’ o per ‘nobili scopi’, per un verso inine mi rattristano e mi mettono i brividi certe opinioni ‘da bar’ diffuse o che si stanno diffondendo a macchia d’olio anche in bocca a credenti: l’idea di guerra giusta come risposta al terrorismo, la voglia di radere al suolo e per di più alla cieca ‘la culla’ di tutto il male, il senso di intolleranza che monta vero il ‘di-verso’, l’equazione che tutta la criminalità vada a braccetto con l’immigrazione. Confesso che non ho mai pregato così tanto per la pace e per il buon senso, come in questo periodo, ma non per quella pace che dà il mondo o che il mondo non conosce, ma per quella che solo il Cristo può donare e per la quale lui stesso è venuto nel mondo e ha dato la sua stessa vita. La pace evangelica non accetta inter-pretazioni: è estremamente chiara. Continuo a pensare a quel ‘Padre nostro’ vilipeso dal comportamento dei suoi igli, eppure mai stanco di dialogare con loro e di valorizzarne la igliolanza. Davanti a tanto orrore, ci si sente impotenti e serve piegare le ginocchia per ascoltare Uno più grande di noi e fare nostri i suoi pensieri, i suoi comportamenti, le sue scelte.La violenza genera solo violenza e nulla la può giusti-icare; circoscritta o planetaria, minacciata o praticata, lucidamente perpetrata o fatta per autodifesa, non costruisce mai niente e semina solo morte e dolore. La violenza è tale da qualsiasi parte venga. Le armi, qualsiasi esse siano, non hanno mai risolto nessuno problema, anzi, ne hanno creato di nuovi e hanno acu-

ito gli esistenti. La guerra non è mai la soluzione dei problemi, anzi, dovrebbe essere bandita anche da ogni vocabolario. Bisognerebbe, quest’inverno soprattutto, mentre fa freddo, siamo al calduccio e abbiamo il fri-go pieno di tutto, portare tanti e per un po’ di giorni a fare un giro (non turistico) anche solo qua vicino, come in Serbia, Kosovo, Bosnia… e vedere gli effetti della guerra o della ‘operazione di polizia o di pulizia

etnica’ o dell’ ‘interven-to umanitario’ che dir si voglia. Le stesse idee di intolleranza, di sospetto o di difidenza verso il ‘diverso’, palesi o ser-peggianti, non creano nulla di migliore: solo il dialogo, la comunica-zione, il rispetto di ogni persona sono i mattoni di una nuova società e l’eredità più bella da lasciare alle nuove generazioni. Non abbia-mo paura di abbattere i muri e di creare ponti

con le persone! Più ci si chiude e più si muore, più ci si apre e più si rivive!Voglio porre alcuni interrogativi per aiutarci a rilettere su quanto è accaduto e sta accadendo:- come si può arrivare ad un crimine così calcolato,

voluto, perpetrato come quello dell’11 settembre?- perché dopo 2000 anni di cultura permeata anche di

Cristianesimo, l’occidente davanti ad una violenza, per quanto inaudita, conosce come risposta solo la vendetta, fatta di bombardamenti, raid, …?

- perché ‘per errore’ e non, tanto sangue innocente deve essere versato e tante giovani vite spezzate o mutilate per sempre?

- perché, quasi come per puriicarci da morti violente, si ha bisogno di vedere ancora vittime innocenti?

- i bambini, i ragazzi, gli adolescenti che in questi giorni guardano le immagini o i dibattiti televisivi, che leggono gli articoli dei giornali, che ascoltano le opinioni degli ‘educatori adulti’, che mentalità

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si stanno formando?- da dove nasce il terrorismo, la violenza, il fanatismo

e quali sono le cause che lo alimentano?- perché non ricercare tali cause e, nel piccolo o nel

grande, ognuno dare risposte diverse dalla legge del ‘dente per dente’ o del più forte?

Sta terminando un nuovo anno anche per la nostra attività Caritas: non voglio fare cataloghi esaustivi di miserie incontrate (ce ne sono già in troppo e troppo grandi), ma solo sottolineare la presenza di ‘tanti occhi nuovi’ di gente, conosciuta o anonima, volontaria a tempo pieno o part time, che nel silenzio hanno donato e alleviato tante sofferenze prossime o lontane. In un

canone della Messa recitiamo: “Donaci, Signore, occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli”; ce ne sono ancora tanti, nelle nostre comunità, di occhi nuovi, non resi strabici dall’egoismo o miopi dal tornaconto, ma capaci di vedere le nuove povertà, di andare alla loro radice e di sprizzare generosità. Il male fa rumore ed è contagioso, ma anche il bene ancora lavora e rende bella la vita. Vorrei ringraziare Dio per avere incontrato, anche quest’anno, al Centro Caritas persone generose, capaci di sporcarsi le mani con i più emarginati: incontrandole mi hanno dato gioia e coraggio. La nostra società, per un verso, è una scena estremamente drammatica, per un altro verso, grazie a tanti gesti di amore, è grandemente meravigliosa e offre grossi segni di speranza.

Centro ASCoLto e ACCogLienZA CAritAS DArfo

viA SCurA 1 – 25047 DArfo BoArio terme

teLefoni e fAx: 0364 / 535777 – 535936 — e-mAiL: [email protected]

lunedì 14.00–18.00

da martedì a venerdì 09.00–12.00

14.00–18.00

sabato 09.00–12.00

La CAritAS è anche tua

C.C. Postale: 11389251 • C.C. Bancari: 5328/1 Cariplo / 15000 Banca Valle Camonica

Il Centro di Ascolto e Accoglienza è aperto tutti i giorni nei seguenti orari:

martedì 10.00–12.00

giovedì 16.00–18.00

sabato 10.00–12.00

il Legale della Caritas – dott. mario vernetti

– riceve nei seguenti giorni:

VENERDI’ 25/1/2002 – ore 20.30salone Caritas

INCoNtRo DEl VEsCoVo MoNs. GIulIo saNGuINEtI CoN la CaRItas zoNalE E I GRuppI DI VoloNtaRIato

VENERDI’ 1/2/2002 – ore 16 sede Caritas

INCoNtRo DEl VEsCoVo MoNs. GIulIo saNGuINEtI CoN Il DIREttIVo CaRItas zoNalE

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Don mauro Orsatti

Breve INDAgINe BIBLICA

DeL termINe “pACe”

Alla radice del signiicatoIl termine italiano pace – che deriva dal latino pax, proveniente a sua volta da pactum – rende solo par-zialmente la densità del signiicato che si sprigiona dalle radici delle lingue semitiche.La radice ebraica slm (da cui viene la parola shalom) ha tra i suoi signiicati principali quello di essere

completo, essere sano, essere perfetto, essere illeso. In arabo, la stessa radice signiica: essere salvo, essere sicuro, essere libero da colpa oppure sotto-

mettersi a qualcuno, specialmente a Dio. Il senso di essere completo, essere salvo si trova anche nelle radici dell’aramaico e del siriaco.Il sostantivo derivato da queste radici, da noi tradotto con “pace”, nel senso assoluto equivale a benessere, salute, prosperità, sia del singolo che della comu-nità (Es 18,23; Giud 8,9), soprattutto del popolo di Israele (1 Re 5,4) e del suo centro geograico e teologico, la città di Gerusalemme (Sal 122). In senso relativo il termine indica il buon rapporto tra molte persone, famiglie, popoli (2 Sam 3,20), nel matrimonio fra marito e moglie (Sir 26,2) e inine tra Dio e gli uomini.Il contrario del concetto semitico non è guerra (an-che una guerra ben condotta può essere slm), ma tutto ciò che può nuocere al benessere del singolo, della comunità e delle buone relazioni che legano gli uomini tra di loro e gli uomini con Dio. I traduttori greci dell’Antico Testamento (I Settanta) hanno sentito la dificoltà di tradurre questa radice e per essa hanno trovato ben 25 termini diversi. In ine è prevalso e si è imposto eirene che accanto al signiicato della lingua classica possiede le sfu-mature semitiche: in 2 Sam 11,7 Davide interroga Uria sulla eirene della guerra!

Quindi, solo per sempliicare un po’ e per poter comunicare meglio, accettiamo che l’italiano pace

corrisponda al latino pax, all’ebraico shalom e al greco eirene.La pace dono di Dio (Antico Testamento)Se la pace ha tutto quel valore che il campo se-mantico, sopra esaminato, ha messo in luce, è comprensibile che essa sia eminentemente dono di Dio. Israele imparerà nel corso della sua storia e nello sviluppo della rivelazione a comprendere sempre più questa verità, cosicché la pace, senza perdere la sua risonanza terrena, si trasforma pro-gressivamente e con crescente intensità in un bene celeste e spirituale. E’ Dio che crea al pace (Is 45,7) e la offre a quanti gli sono fedeli (Sal 4,9; 35,27). Egli ne fa dono agli Israeliti che hanno contratto con Lui l’alleanza: se Israele tiene fede all’alleanza, potrà godere la pace; se rompe l’alleanza, Jahvè lo priverà della sua pace, sempre però disposto a restituirla quando il popolo si converte (Lv 26).La pace, dono di Dio, non esime l’uomo dall’im-pegno e dalla collaborazione che diventano per gli autori biblici giustizia. Salomone, ad esempio, il cui nome signiica “il paciico”, fa vivere in fraterna unione i popoli del nord e del sud (1 Re 5): pratica la giustizia e rende possibile il dono della pace. Purtroppo la collaborazione umana è contrassegnata dall’ambiguità. Lo si vede per molti sovrani che, anziché cercare la pace come dono divino, ritengo-no di poterla costruire e garantirsela con alleanza umane, spesso inique.Si alza allora vigorosa la voce dei profeti a denun-ciare come falsa e illusoria questa pace senza Dio e a prospettare la pace vera che, libera da deformazioni

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peccaminose, diventa elemento essenziale della predicazione escatologica. Sarà il Messia che alla ine dei tempi ristabilirà la vera pace, lui che porta il nome di “principe della pace” (Is 9,5). Così il termine pace si associa e si confonde con quello di salvez-

za, inteso come liberazione dal peccato, ristabilimento di una piena e perfetta alleanza con Dio e avvio verso un godimento senza ine (Is 9,6).La pace dono di Cristo e impegno dell’uomo (Nuovo Testamento)La speranza e la promessa di pace alimentata dall’Antico Testamento trovano in Cristo adempimento e realizzazione. La pace è annunciata in dalla sua nascita. . “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomi-ni che egli ama” (Lc 2,14). Dio la dona in pienezza con la venuta del Figlio suo tra gli uomini: la pace diventa il contrassegno del tempo messianico inaugurato da Gesù. Poiché malattia e peccato sono vinti da Cristo, egli può giustamente congedare sia la donna guarita sia la peccatrice perdonata con queste esultanti parole “Va’ in pace” (Lc 8,48; 7,50).Anticipata nella vita pubblica e afidata anche ai discepoli che estendono l’attività di Gesù (Lc 10,5-9), la pace resta eminente-mente dono pasquale. Non ap-pare casuale che le prime parole del Risorto ai suoi discepoli siano “Pace a voi” (Lc 24,36). Non si tratta di una formula di saluto, né di una espressione di desiderio, bensì dell’affermazione di un dono presente che si esplica con la comunicazione dello Spirito (Gv 20,22).E’ Paolo che manifesta chiaramente il legame fra pace e redenzione. La pace parte da Dio che è il <Figlio della pace> (Rm 15,33) e giunge agli uo-

mini per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo che con il sacriicio della croce diviene “nostra pace” riunendo pagani e giudei in un solo corpo (Ef 2,14-22). Donata dal Padre, resa presente dal Figlio, la pace è diffusa nei cuori dei credenti dallo Spirito, di cui è un frutto (Gal 5,22). Ma-nifestazione della Trinità, la pace è vita eterna anticipata sulla terra (Rm 8,6), essa è più grande di quanto si possa immaginare (Fil 4,7), permane nella tribolazione (Rm 5,1-5), fa sentire il suo in-lusso nelle nostre relazioni con gli uomini (1 Cor 7,15).Si comprende allora perché una beatitudine viene riservata all’uo-mo “costruttore di pace” (Mt 5,9): egli diventa diffusore di quell’im-menso bene che ha ricevuto in dono dalla Trinità con l’impegno di comunicarlo agli altri. La pace è dunque valore teologico, valore personale e anche valore sociale. Essa si presta quindi a divenire elemento di saluto e formula di augurio, com’è attestato nel Nuovo Testamento (Lc 10,5; Rm 1,7; Cor 1,3) e nella Liturgia (“La pace sia con voi”; “la Messa è inita, andate in pace”).

Conclusione

Al pari di tanti altri concetti bi-blici, quello di pace risulta polie-drico e dinamico perché interessa Dio e gli uomini e si inserisce nella sfera dell’alleanza, della

giustizia, della salvezza, della redenzione. Con Sant’Agostino concludiamo che essa è tra i beni della terra “il più dolce di cui si possa parlare, il più desiderabile che si possa bramare, il migliore che si possa trovare” (De civ. Dei I, 19-11).

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Per raccontare il mistero dell’”Amore” e le sue risonanze morali sul versante della vita, le fonti bibliche del Nuovo

Testamento nel testo originale “greco” prediligono il termine “agàpe” e il corrispettivo verbo “agapao”.

Le traduzioni italiane oscillano tra “amore” e “carità”. Diciamo subito che entrambe le versioni sono insoddisfa-centi in quanto non rendo-no pienamente conto dello spessore lessicale-semantico dell’originale greco. Infatti, la parola “amore”, nel no-stro contesto culturale, ha una componente “emotivo-sentimentale” che è piuttosto aliena al greco biblico; mentre il termine “carità”, nell’acce-zione comune, conosce spesso riduzioni interpretative ino ai “pochi spiccioli all’indigente” come nell’abusato “fare la carità al povero”.E’ pur vero che il vocabolario italiano non offre di me-glio e noi siamo praticamente costretti a ricorrere alle parole “amore” e “carità”. Resta, però, da sottolineare che l’”agàpe” comporta una dimensione particolare e qualiicante che si traduce nel “fare”: l’”amore” è autenticamente evangelico quando si incarna in “gesti

operosi”. Anche le richieste più impegnative dell’”amo-

re”, nell’insegnamento di Gesù, sono accompagnate dalla sollecitudine dei “gesti concreti”. Per esempio, quando Gesù dice “amate i vostri nemici” subito aggiunge: “fate

del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che

vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Luca 6,27-28; cfr. Matteo 5,43-48). L’urgenza del “per-

dono” si concreta nel “porgere l’altra guancia… dare il

mantello…” (Matteo 5,38-42; Luca 6,29). Il “sentire in-teriore” dell’uomo, ovviamente, non resta completamente escluso, ma l’accento prevalente e la veriica estrema dell’”amore” stanno nel “fare”: l’”amore cristiano” è, per natura sua, “operoso”.Del resto, è ben nota l’insistenza del Vangelo sulla ne-cessità di non fermarsi alle parole o alle pie intenzioni, bensì di “agire”. Gesù afferma: “Non chiunque mi dice:

Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui

che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7,21). E Gesù stesso sembra ricapitolare tutta la forza normativa dell’”amore” nella celeberrima “regola d’oro”: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, an-

che voi fatelo a loro” (Matteo 7,12). Allo stesso modo

le altre fonti del Nuovo Testamento… Basti ricordare: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi

fatti e nella verità” (1 Giovanni 3,18).Il tutto, naturalmente, trova la sua “esemplarità” perfetta nel “Padre” che non ci ha amati solo a “parole”, ma “ha

tanto amato il mondo da dare

il Figlio unigenito” (Giovanni 3,16) e in “Gesù” che “ha

dato la sua vita per noi” (1 Giovanni 3,16).Per rispondere all’”imperati-

vo” del binomio “amare-fare”, la Tradizione Cristiana ha

codiicato un “vademecum” morale che si rispecchia nelle “Opere di Misericordia”. Per un utile ripasso della “memo-ria storica” le vogliamo qui ricordare:

I – Innanzitutto le “Opere Corporali” che riguardano principalmente le dimensioni della “vita isica”:1 – dar da mangiare agli affamati;

2 – dar da bere agli assetati;

3 – vestire gli ignudi;

4 – alloggiare i pellegrini;

5 – visitare gli infermi;

6 – visitare i carcerati;

7 – seppellire i morti.

II – E siccome l’uomo non è fatto solo di “corpo”, ma anche di “spirito”, ecco le “Opere Spirituali” che attingono la sfera “interiore-psicologica” dell’esistenza umana:1 – consigliare i dubbiosi:

2 – insegnare agli ignoranti;

3 – ammonire i peccatori;

4 – consolare gli aflitti;5 – perdonare le offese;

6 – sopportare pazientemente le persone moleste;

7 – pregare Dio per i vivi e per i morti.

Nell’insieme, il grande affresco delle “Opere di Miseri-

cordia” rilette in maniera speculare e perenne lo statuto provocante delle “Beatitudini” di Matteo (5,2-12) e delle “Beatitudini-Maledizioni” di Luca (6,20-26).Certo, in un mondo che evolve rapidamente a ritmo di progressione geometrica, è necessario un “ripensamento-aggiornamento” della Tradizione, nell’intento di co-gliere i nuovi volti della “povertà” e le nuove urgenze dell’”agàpe”. La realtà è sotto gli occhi di tutti e si fa

Don renato Faliselli

Le “Opere DI mISerICOrDIA”

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appello quotidiano e struggente. I lussi migratori di massa, dal Sud e dall’Est del mondo, e le molteplici crisi dell’Occidente ci costringono a rifare l’inventario delle antiche e delle nuove impellenze: l’arrivo degli extra-comunitari, gli anziani soli e indifesi, i portatori di handicap, le vittime dell’alcool e della droga, i malati di AIDS, i pazienti terminali spesso scaricati, i malati mentali, i bambini fatti oggetto di violenza isica e psicologica, le famiglie disgregate, le ragazze madri, l’esercito degli si-duciati-angosciati, … sono altrettante icone dell’universo dei poveri e degli emarginati (Cfr. CEI, Evangelizzazione

e testimonianza della Carità, 1990, spec. N. 47).Del resto, ricordiamo le parole di Gesù: “I poveri li

avete sempre con voi” (Giovanni 12,8) (Cfr. anche il CCC n. 2449 che cita Deuteronomio 15,11: “I bisognosi

non mancheranno mai nel paese”). Ogni stagione, e la nostra non fa eccezione, ha sempre le “sue” povertà da inventare e aiutare, le “sue” Opere di Misericordia, corporali e spirituali, da attuare.

Il campo di lavoro è immenso e tutti devono fare la loro parte. In nome dell’”agàpe”, ma anche e in primo luogo in nome della “giustizia”.Intanto perché, come amava ripetere il grande Papa bre-sciano Paolo VI, la giustizia è la misura minima della carità e il dare secondo giustizia è la prima forma della carità. E poi perché, in nome della “destinazione uni-

versale dei beni” della terra, ogni persona ha diritto alla sua quota parte di beni e risorse per una crescita degna dell’uomo. In molti casi, più che di elargizione benevola, si tratta di vera propria restituzione del dovuto: “Il pane

che a voi sopravanza è il pane dell’affamato; il vestito

appeso al vostro armadio è il vestito di colui che è nudo;

le scarpe che voi non portate sono le scarpe di chi è scal-

zo; il denaro che tenete nascosto è il denaro del povero;

le opere di carità che voi non compite sono altrettante

ingiustizie che

voi commettete” (S. Basilio).La quantifica-zione dell’amo-

re-giustizia non

può essere de-terminata a prio-ri per sempre e identica per tutti. Illuminato e ispirato dalla “misericordia”, che significa commozione del

cuore, ognuno è chiamato a issa-re la misura del “dovere”. Certo

è confortante per noi l’assicurazione del Vangelo: “anche

solo un bicchiere di acqua fresca” dato a un “fratello

piccolo” nel “nome di Gesù”… “non perderà la sua

ricompensa” (Cfr. Matteo 10,42; Marco 9,41). Ogni gesto d’”amore” compiuto nel “tempo” sporge in d’ora sull’”eternità”. Ora, nessuno è tanto “povero di spirito” da non poter dedicare un po’ di “ascolto” a chi è solo, o un “sorriso” a chi è triste, e nessuno è tanto “povero di risorse economiche” da non poter regalare un “bicchiere d’acqua” a chi ha sete, o un “pane” a chi ha fame!.L’ultimo rilievo apre la strada a un ulteriore percorso meditativo che, da un lato, proietta nuova luce sullo “speciico cristiano” e, per altro verso, fornisce un sup-plemento d’anima all’”esercizio storico” dell’”agàpe”. Bastino pochi “lashes”:- In una società che diventa sempre più multicolore e,

in larga misura, orfana di “Dio” e del “Sacro”, tutte le “risorse umane” sono preziose. Non chiediamo a nessuno il certiicato di “Battesimo”. Chiunque ha fantasia e cuore entri nel “campo” a lavorare: anche le ragioni dell’”Umanesimo Secolare” sono impor-tanti per costruire la “Città dell’uomo” a misura d’uomo. Ma il Cristiano sa e non dimentica che il suo “amare il prossimo” va ben oltre le valenze, pur nobili, dell’”umanesimo solidale”. Quel “l’avete fatto

a me” (Matteo 25,40) non si lascia eludere e segnala una identiicazione “reale”, quantunque misteriosa, tra “Gesù” e il “povero”: l’”amore cristiano” ha uno spessore “quasi-sacramentale”. E proprio questo “spe-

ciico” consente all’”agàpe” di superare ogni barriera e ostacolo, ogni resistenza e ritrosia, così da arrivare veramente a “tutti”.

- “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Matteo 10,8): è lo stile della “gratuità” che deve accompagnare le “Opere di Misericordia”! “Quando

dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi;

e sarai beato perché non hanno da ricambiarti” (Luca 14,13-14). Dio ci ha amati e ci ha amati “gratis” e sarebbe imperdonabile che noi amassimo i fratelli per un “tornaconto” e a “pagamento”!

- “Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia” (Romani 12,8)… “Ciascuno dia secondo quanto ha

deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza,

perché Dio ama chi dona con gioia” (2 Corinzi 9,7). Un gesto d’amore che nasce dalla “gioia” del cuore è il segno autentico di un “amore” che è generato da “Dio”.

- All’”esame inale”, materia obbligatoria (anche se non esclusiva!) sarà proprio questa: “io ho avuto fame e

mi avete dato da mangiare…(Matteo 25,35) … “ho

avuto fame e non mi avete dato da mangiare…” (Matteo 25,42). E Gesù ammonisce: “Procuratevi

amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa

verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Luca 16,9). Già! Chi altri, se non il “povero” aiutato

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Sotto la data del 10 ottobre 1884, don Bernardo Contessi (1824-1899), rettore della chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Ossimo Inferiore, annotava nel libro adibito alla registrazione dei defunti della cura la morte di un parrocchiano trentacinquenne, tale Francesco Isonni soprannominato Marchè, avvenuta poso più di tre mesi prima, “in America, ove trovasi da due anni, come da lettera privata scritta da un suo compagno”, certo Bonariva di Villa di Lozio. Lo sventurato, che lasciava nel lutto e nella miseria la giovane consorte con tre bambine in tenera età, era deceduto, “a quanto pare, di crepacuore per essergli stato rubato tutto il guadagno fatto e la valigia”. In calce al documento il successore del Contessi, il sacer-dote don Pietro Stefano Giacomelli (1846-1905), ap-puntava la laconica indicazione di un recapito, ormai inutile: “Antonio Pastine 308. Reconquista. I. Cuvo 401. Boenos Aires”, ricavato da un rapporto uficiale ricevuto dal servizio di Stato Civile del municipio di Ossimo una dozzina di anni dopo, nel 1896. Il caso pietoso di questo sfortunato lavoratore emigrante non è che uno dei molti che afiorano dall’analisi delle fonti d’archivio che restituiscono una parvenza di isionomia a tanta povera gente ed invita a rilettere sulle drammatiche traversie cui furono esposti i nostri padri nel corso delle ‘bibliche’ peregrinazioni che li videro calpestare sofferenti tutti i suoli della terra, non certo per diletto, bensì per procacciarsi il vitto quotidiano, pronti a sopportare per questo pesanti sacriici ed inenarrabili privazioni. Così scrivevano, ad esempio, due fratelli pisognesi che si trovavano presso il centro minerario di Mele, in Val di Leiro (provincia di Genova), agli inizi dell’autunno 1892 ad un industriale loro compaesano, manifestando disponibilità ad essere impiegati nel forno fusorio di Govine, “siccome già avevamo intensione di venire a casa un mese o due quest’inverno sul più freddo, così siamo contenti di non restare inoperosi”: “noi qui stiamo discretamente bene in salute, ma capirà che son quasi due anni che si lavora in galleria e vi si sta proprio per il bisogno perché ora si è dentro 2 chilometri che quando si è all’imbocco ci vuole 40 minuti per arrivare dove si lavora”. Accanto alle notizie sulla buona fortuna guadagna-

ta da parecchi soggetti che riuscirono a ritagliarsi discrete posizioni ed ebbero persino ruoli di rilievo nei luoghi di adozione, le cronache che risalgono i ili del secolare lusso dell’emigrazione camuna recano, con signiicativa abbondanza, tristi resoconti di sfruttamento, orribili mutilazioni ed invalidità permanenti, mortali infortuni sui cantieri, furibonde risse scatenate per motivi di campanile o per con-tendersi una minestra, malattie professionali aventi decorso particolarmente doloroso e raccapricciante, abusi e violenze a sfondo sessuale, forme di tratta delle bianche, delitti di ogni sorta. Per i secoli (XV-XVIII) nei quali si distese la do-minazione della Repubblica Serenissima, si hanno fasci di informazioni che tracciano episodicamente i percorsi di vita di centinaia di camuni residenti a Venezia, molti colà stanziati in maniera deinitiva, altri soggiornanti per periodi più brevi essendo per lo più “soliti de ritornar a casa una volta l’anno”. Nell’allora capitale dello Stato i valligiani esercitava-no i mestieri più disparati, anche se la maggioranza si concentrava su umili occupazioni: facchini e sca-ricatori di porto, portatori d’acqua, vino e granaglie, servitori di nobili e garzoni di bottega, cestaioli, cernitori di lana, pettinatori e tessitori, cuochi e sguatteri, muratori, manovali, falegnami, raccoglitori di stracci, magazzinieri, calzolai. Non mancavano artigiani di qualche rilevanza (fabbricanti di specchi, perle inte, cappelli di feltro e cordami, conciatori, battiloro), piccoli bottegai (macellai, salumieri) e merciai ambulanti, osti, imprenditori (alcuni Zendrini di Valle di Saviore avevano in funzione un opiicio di “caldera” per la produzione di candele di sego), appaltatori di servizi di pubblica utilità (‘dispensator’ di posta, cambiavalute, ‘partitanti’ – ovvero forni-tori – di carne e di sale), sacerdoti in cerca di una decorosa mansionaria, qualche libero professionista (notai, medici, avvocati).La già massiccia emigrazione si moltiplicava a se-guito di epidemie, fatti militari, inondazioni, stagioni rovinate da cattivi raccolti, ricorrenti crisi nei vitali comparti del ferro e della lana. Ad esempio, a causa di disastrosi eventi alluvionali che nell’estate 1757 devastarono le campagne e gli abitati di numerose

Oliviero Franzoni

SIAmO FIgLI DI emIgrANtI

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comunità valligiane, molte persone furono costrette a partirsi dalla patria “perché non sapevano come pagar i pubblici aggravi e guadagnarsi il pane per esser decaduto il commercio per la general povertà e miseria di tutto questo popolo”. A svuotarsi erano allora interi paesi, prosciugati dalla maligna sferza dell’indigenza, a presidiare i quali rimanevano, in pratica, solo le donne cui toccava il gravoso compito di custodire e continuare a lavorare la montagna senza l’assistenza dei mariti.Come sempre accade, l’emigrante tirava con sé paren-ti e compaesani, tanto che venivano a formarsi vere e proprie colonie: molti di Monno andavano a Roma, quelli di Saviore erano di casa a Venezia, prestatori d’opera di Cortenedolo percorrevano in lungo e in largo le regioni della Germania. L’uscita dai conini prendeva precise direzioni anche per assecondare la richiesta di determinate tipologie d’impiego: il Belgio attirava i mineranti, gli scalpellini facevano pietre in Argentina, nella parte orientale della pianura Padana spopolavano i salumai. E’ fuor di dubbio che l’emigrazione, da purulenta piaga sociale fonte di dure tribulazioni quale è stata, ha inito per rappresentare un formidabile, insosti-tuibile strumento di sviluppo per la Valle Camonica (oltre che per le nazioni di destinazione), tramite le rimesse che consentivano alle famiglie di uscire un poco alla volta da situazioni di degrado e di campare dignitosamente, permettevano acquisti di beni di consumo e piccoli investimenti immobiliari, addirit-tura – grazie alla spiccata devozione dei camuni ed al loro associazionismo confraternale – rendevano possibile inanziare l’abbellimento di luoghi di culto e la commissione di opere d’arte. Il fenomeno migratorio assunse dimensione di scala superiore a far tempo dalla seconda metà dell’Otto-cento. Da quell’epoca, laddove ci fosse per il mondo

una grande opera in costruzione – una strada, una diga, un collegamento ferroviario, un traforo – o un’area da colonizzare, sul posto c’era sempre almeno un camuno. A montanti ondate o alla spicciolata, i disoccupati abbandonavano i pendii del monte, spesso per non farvi più ritorno. Già con l’unità d’Italia prese avvio una consistente corrente stagionale alla volta delle miniere di carbone della Sardegna, nelle quali molti incontrarono la morte. Intorno al 1875 lavora-vano nell’isola un migliaio di camuni (allora la Valle contava circa 60.000 anime). Più tardi si spalancarono le vie per l’estero: Svizzera, Francia, Lussemburgo, Grecia, Prussia, Austria, Belgio, Australia, Stati Uniti e America Latina. Negli anni settanta i protagonisti di questo esodo, provenienti soprattutto dal distretto di Edolo, riempirono i piroscai che salpavano verso l’immensa insenatura del Rio de la Plata, alla ricer-ca di un posto di scarpellino, muratore, falegname, carbonaio, contadino. Molti lasciarono la vita nelle insidiose cave del Tandil in Argentina, negli umidi pozzi del Belgio, nelle tetre spelonche dell’Alsazia-Lorena, nei lerci bassifondi delle città portuali; oppure attesero l’avvento del loro ultimo respiro ritirati in cronicari, distrutti da inguaribili affezioni da polve-ri. A tutelarne, in qualche maniera, i misconosciuti diritti sorsero iniziative di patronato e di soccorso. Fondamentale fu il ruolo dell’Opera assistenziale eretta nel 1900 dal vescovo di Cremona monsignor Geremia Bonomelli (1831-1914); su sollecitazione del dinamico uomo politico Livio Tovini (1876-1951) nacque l’Unione fra gli emigranti camuni, costola della benemerita Lega Camuna, assai attiva nella promozione sociale. Pure la Federazione popolare, di orientamento laicista e liberale, partecipò all’azione umanitaria con la creazione di un Uficio di colloca-mento e dell’emigrazione. Agli inizi del Novecento, i giornali locali davano spazio a rubriche incentrate sulle problematiche del settore, ospitavano corri-spondenze e ricordi che pervenivano dagli sperduti anfratti del globo, fornivano ragguagli sui mercati esteri di manodopera. Gli emigranti trasmettevano ai propri cari rimasti a casa lettere piene di nostalgia, unendo talora qualche fotograia che annunciava lieti avvenimenti, un matrimonio o la nascita di un iglio. L’invio di notizie dava al mittente la sensazione di mantenere un legame profondo con la terra nativa, attenuando l’enorme distanza con il mezzo della preghiera, assidua e sincera.

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In Valle abbiamo tante ricchezze. Fra queste, ne esiste una del tutto speciale alla

quale abbiamo chiesto di poter dare voce per arricchire il nostro pensiero. Abbia-

mo così scoperto di avere da tempo delle amiche in più, oltre che delle affezionate

lettrici.

Carissimi, fratelli e sorelle, che in tanti modi vi dedicate all’esercizio della carità verso il prossimo, siate benedetti dal Signore Gesù, adesso e quando verrà nella sua gloria! Risentiamo infatti come rivolte a voi quelle parole del Vangelo di Matteo (25, 31-40): “Venite , benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato

per voi in dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,

nudo e mi avete vestito, carcerato e siete venuto a trovarmi”. Allora anche voi, increduli, gli risponderete: “ Signore, quando mai ti abbiamo veduto…?”. Ed Egli vi risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo

di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ci ha chiamati tutti a servirlo in santità e giustizia, ciascuno per la sua parte, nella grande famiglia che è la Chiesa. Siamo tutti chiamati a servire Dio nella Chiesa, a servire i fratelli, perché, come abbiamo visto nel Vangelo, Egli ritiene fatta a Sé qualunque cosa avremo fatto anche ad uno solo, anche al più piccolo dei nostri fratelli. Il vostro cuore perciò si apra alla gioia, perché il Signore è fedele e la sua Parola, viva ed eficace, è lampada ai nostri passi.

Giustamente voi, come tante altre persone, ci ponete la domanda: “Che senso ha oggi un monastero di clausura?”. Perché ci possiamo comprendere, vi invitiamo ad andare oltre un certo schema di eficientismo. Ci sembra che bisogna superare una certa mentalità dominante, che dà valore solo a ciò che appare e a ciò che si fa, per porsi in un’altra prospettiva, quella del regno di Dio, paragonato da Gesù nel Vangelo “al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre misure di farina, inché sia tutta fermentata” (Lc 13,20-21). Da questi versetti si può trarre qualche considerazione sulla nostra realtà. Piccola è la nostra vita, che il Signore ha preso e nascosto nella vita della Chiesa. Piccola realtà di fede è la nostra vita nascosta con Cristo in Dio, prima col Battesimo e poi con la Professione religiosa, quale risposta personale e libera alla sua scelta e alla sua chiamata. Crediamo che, inserite in Cristo, per mezzo dello Spirito, collaboriamo con Lui per il bene dei fratelli, a lode del Padre. Il regno di Dio corre sui binari della fede e dell’obbedienza. Gesù ce ne ha dato l’esempio. Nella piccolezza e nell’umiltà, nella povertà e nel silenzio, si comprendono le vie di Dio. Lui agisce nel cuore di chi si apre ad accoglierlo. Il suo perdono e il suo amore rinnovano la vita di chi a Lui si afida. La nostra preghiera incessante s’innalza a Dio misericordioso ogni giorno nella Celebrazione Eucaristica, nella Liturgia delle Ore, nella meditazione della Sacra Scrittura, nella condivisione fraterna, nel servizio e nel lavoro in comunità. La nostra giornata è intessuta di semplici cose, di gesti quoti-diani che si trasigurano e diventano grandi perché riempiti dall’amore del Signore e a Lui offerti con la pienezza del cuore. Noi crediamo che il dono che ci è stato

le vostre Sorelle Clarisse

LA pregHIerA COme AZIONe

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fatto viene dall’Alto e possiede in sé la capacità, misteriosa ma reale, di raggiun-gere tutti. Crediamo che in ogni luogo, nelle situazioni più diverse, nei mo-menti lieti, come in quelli più dificili o drammatici, ci pos-sono essere uomini e donne nostri fra-telli e nostre sorelle, che sono raggiunti dall’amore di Dio, un amore che si fa forza, consolazione, speranza e pace.

Questo può avvenire poiché siamo in Cristo un solo Corpo. Nella misura in cui partecipiamo alla vita di Cristo entriamo in comunione con ogni uomo, a cui Egli è misticamente ma realmente unito. Il nostro impegno di comunione con il Signore, unico Bene, si riversa necessariamente a beneicio dei fratelli. Se meditiamo sul mistero della Chiesa, Corpo di Cristo, comprendiamo il senso della nostra comu-nione con tutti, della nostra partecipazione alle gioie e alle sofferenze dei fratelli. E la comprensione di questo mistero viene facilitata dalla conoscenza di noi stessi. Noi siamo una persona, una unità di corpo e di spirito: tutto di noi soffre, sia che siamo feriti nel corpo, sia che siamo feriti nell’anima. Un’affer-mazione pubblicata sull’”Anch’io” di qualche anno fa, ci aveva fatto molto rilettere: “La Carità soffre

perché l’amore cura i corpi e dimentica l’anima.

La Carità soffre perché l’amore di tanti non diventa

carità”. Un’affermazione sofferta di chi ben sa quali sono le esigenze della Carità, di chi ben conosce gli effetti devastanti dell’amore che si concentra sul corpo e dimentica l’anima, e quindi non è carità rettamente intesa. Se con occhi nuovi, puriicati dalla sofferenza, guardiamo la realtà del nostro mondo; se con cuore nuovo, rigenerato dalla Pasqua di Cri-sto, vediamo l’esistenza di ogni fratello, possiamo comprendere anche la vocazione e la gioia di chi, afferrato dall’amore di Cristo, lo segue e offre la sua vita al Padre, perché Lui la possa usare come strumento per arrivare là dove soltanto Lui sa e può! L’anelito del cuore di San Francesco era quello

di essere usato dal Signore come uno strumento della sua pace. L’impegno della vita e della preghiera assidua di Santa Chiara era teso all’unità con Cristo per diventare “collaboratrice di Dio stesso e soste-gno delle membra deboli e vacillanti del suo ineffabile corpo”.

L’esistenza di un monastero dice ancora al mondo d’oggi la scelta di donne che vogliono rispondere di sì, in modo radicale, alla chiamata del Signore, riconosciuto come l’unico, l’assoluto, il centro della vita e della storia. La clausura è il segno che sta ad indicare una scelta precisa: il sì totale di una vita pienamente offerta e aperta sul cuore di Dio, anche se nascosta agli occhi del mondo. E l’apertura sul cuore di Dio comprende e sostiene anche l’apertura ad ogni fra-tello, perché coglie più in profondità le esigenze, le problematiche, i desideri di ogni uomo. “Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore”: questa è stata l’intuizione di Santa Teresa di Gesù Bambino ed è anche oggi l’intuizione di chi entra in clau-sura. La clausura non può essere un ripiegamento egoistico o un estraniarsi dal mondo, ma è segno di chi ha compreso una modalità per essere vicino ad ogni uomo, per amare tutti, per spendere e donare la propria vita credendo ad una eficacia e ad una profondità, che sono quelle proprie del regno di Dio. La grata può essere un segno sconcertante o provocante, ma tale provocazione , ben lo sappiamo, apre ad una nuova comprensione della vita propria ed altrui, nella luce di Dio, e favorisce l’instaurarsi di rapporti semplici e veri. Ci sentiamo tutti igli e fratelli, pellegrini in questo mondo, legati alla carità e sorretti dalla comunione dei Santi. Con questi sentimenti vi salutiamo e ci promettiamo il nostro ricordo e la nostra preghiera.Pace e bene

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Il Vangelo di Matteo (cap 19, 16-22) narra di un giovane che incontra Gesù e , riconoscendo in Lui un maestro buono, gli chiede di dare senso alla sua vita. Quel giovane, simbolicamente, rappresenta tutti i nostri ragazzi, ricchi nei beni materiali e sempre più mendicanti di senso per la loro vita. La risposta evangelica, ieri e oggi, rimane la medesima: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. La coraggiosa risposta di Gesù continua ad essere perpetrata all’interno dell’annuncio: “non sono i beni materiali a dare pienezza alla vita, ma la sequela di Cristo”(JP II).I giovani ancora oggi sono affascinati da Cristo e da igure profetiche come quella di San Francesco, don Milani, Madre Teresa di Calcutta, Padre Alex Zano-telli e molti altri; in oratorio ci accorgiamo di come i giovani chiedano sempre più testimoni del Vangelo, vogliano sì parlare di Vangelo, ma preferiscano esempi cristiani di fede vissuta.Molti giovani che fanno cammini di fede approdano al volontariato, che vivono in molte associazioni e realtà come la Caritas piuttosto che il 118; tuttavia molte volte vengono accusati di poca competenza, di immaturità rispetto alle scelte impegnative, di saltua-rietà e allergia rispetto ai tempi lunghi.Spesso si sentono volontari adulti lamentarsi nei ri-guardi dei più giovani, perché dicono che vorrebbero più entusiasmo e continuità. Gli adulti dimenticano che i giovani e gli adolescenti sono ancora concentrati nella lotta per deinire la loro identità in una società complessa; dunque non bisogna parlare di volontaria-to giovanile, ma di ‘volontariato educativo’, cioè di un’esperienza concreta che, oltre ad aiutare i poveri e gli emarginati, diventi un cammino di maturazione umana e cristiana.Il volontariato giovanile, pur essendo naturalmente anomalo, diventa per le parrocchie un’opportunità importante per formare umanamente e cristianamente le persone. Il vescovo Mons. Giulio Sanguineti, nella nota pastorale di quest’anno in gran parte dedicata ai giovani, sottolinea l’urgenza di creare itinerari formativi o laboratori di fede: “Comunicando la fede ed educando ad essa, noi stessi ci realizziamo come comunità dei credenti che cammina ogni giorno nella sequela cristiana. In questo siamo mossi da uno schietto

spirito educativo che accoglie e conduce verso mete che realizzano la vita di coloro che ci sono afidati: aiutiamo e sosteniamo quindi il cammino dei giovani afinché possano sempre e sempre meglio realizzare la vita di Cristo che è già in loro, perché sempre più consapevolmente crescano come discepoli del Signore verso la maturità della fede che è adeguata alla loro età e alla loro condizione”. Inoltre il vescovo insiste afinché si incoraggino e sostengano cammini per indirizzare le nuove generazioni verso una presenza operosa nelle comunità cristiane. Al numero 23 della Nota pastorale, il Vescovo invita gli educatori delle parrocchie a non disdegnare di entrare in realtà di volontariato dove operano i giovani, o creare percor-si educativi nella carità. Infatti il Vescovo dice: “In tali contesti possono svilupparsi forme di catechesi occasionale, senza dimenticare che rilettere, con-frontarsi con la parola di Dio, pregare e impegnarsi nel servizio degli altri sono componenti irrinunciabili del cammino nella fede e alla fede anche al di fuori dell’oratorio”.Nella solidarietà gratuita l’adolescente e il giovane apprendono lentamente la dura ascesi delle fedeltà dell’altro, del calore da offrire con continuità, perché l’altro possa vivere, del servizio non occasionale ma fedele, della competenza come modo di realizzare il bene dell’altro.La solidarietà, lo dice il Vescovo stesso, è il luogo irrinunciabile e per noi preferenziale dove si riesce a capire che il Vangelo può diventare vita.Nessuna comunità educante o educatore può dimen-ticare la domanda del giovane ricco; essa è la tema-tizzazione delle istanze dei giovani d’oggi. Occorre portarli ad incontrare i poveri, perché, come dice la Bibbia, nel volto degli ‘anawim’ (poveri) si incontra il volto di Dio; anche Ghandi, pur non essendo cristiano, amava dire: “Ricordati che l’uomo è il rappresentante di Dio per servire tutto quello che vive. Sia il servizio la tua sola gioia e non avrai bisogno di altro piacere nella vita”.In Valle Camonica la Caritas rappresenta un’opportu-nità da non perdere per incontrare la povertà; la porta è sempre aperta a gruppi giovanili o singole persone disponibili a vivere l’esperienza della solidarietà, come scelta evangelica.

Don endrio Bosio

“vOLONtArIAtO eDUCAtIvO”

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CArItAS: CeNtrO DI ASCOLtO

I meno giovani fra noi ricordano le diatribe feroci (e a volte non solo quelle) che esistevano tra paese

e paese, se non fra contrada e contrada dello stesso paese. In storie di cattivo vicinato che duravano

dalla notte dei tempi, si attribuiva a tutta una popolazione un archetipo per cui quelli del tal paese

erano riconosciuti per avere per forza la stessa caratteristica particolare. Era oggettivamente dificile farsi riconoscere per come si era davvero e, nel caso di persone particolarmente dotate delle quali non

si poteva disconoscere il valore, si giungeva a dire che, “nonostante sia di….. è bravo!”. L’istruzione e

l’evolversi della conoscenza hanno fatto ormai tramontare queste situazioni e nel giro di pochi decenni

siamo stati in grado di assimilare senza grossi traumi l’idea che il nostro vicino possa essere, non solo

di diverso paese, ma di diversa nazionalità, lingua, religione, mentalità… Certo molto lavoro deve essere

ancora fatto, e non mancano situazioni in cui con la buona volontà si potrebbe ottenere di più, ma la

strada in qui compiuta lascia ben sperare in un proseguo migliore.

E’ dificile per tutti ascoltare, ma anche ascoltarsi o farsi ascoltare: servono intelligenza, preparazione, convinzione, ma soprattutto, a mio modo di vedere, sensibilità, generosità, impegno ed amore. La dif-icoltà dell’ascolto, nei nostri giorni, è dovunque: nelle famiglie, nei rapporti con amici e parenti, nei gruppi, nelle istituzioni. E igurarsi alla Caritas!

Arrivano tantissime persone, italiane, ma soprattutto straniere, ciascuna con le sue richieste di aiuto, di cibo, di indumenti, di soldi, di lavoro: hanno in testa i loro bisogni, hanno fretta, non vogliono essere ascoltati, oppure, abituati all’intolleranza esterna nei loro riguardi, non hanno iducia, non si apro-no. Noi volontari spesso non riusciamo a metterci in contatto empatico con loro: c’è sofferenza da entrambe le parti e scoraggiamento per non essere riusciti nell’ascolto, per non aver colto domande mute, per aver suscitato insofferenza. Io, che solo da un anno e per pochi giorni, frequento il Centro, torno a casa a volte scoraggiata, mi sfogo con Do-menica e Gianprimo, con le bravissime signore del magazzino dei vestiti e insieme ritroviamo la forza per continuare.Ma che gioia quando si trovano delle soluzioni, quando si riesce a parlare, quando i contatti diventano stretti, amichevoli, quando la solidarietà è reciproca, perché ciascuno ha bisogno dell’altro.Due giovani indiani, con il permesso di soggiorno, con bellissimi occhi iduciosi, parlano con noi della fatica di trovare una casa più grande per farsi rag-giungere da mogli e igli. Sorridono parlando dei

loro cari e noi chiediamo i nomi, l’età, i bisogni, la provenienza, la situazione dei loro paesi. Potreb-bero essere i nostri igli e senti di amarli come tali. Loro captano la nostra disponibilità e la ricambiano comportandosi con grande gentilezza, miti e dolci come la maggior parte della gente indiana. Non abbiamo risolto niente dei loro bisogni contingenti, ma ci separiamo da amici. Penso che tutto ciò sia molto importante, che questa volta, anche per me-rito loro, abbiamo saputo accoglierli senza perdere di vista la loro ricchezza interiore, la loro cultura, i loro limiti, insomma, per quello che sono. Sento il cuore leggero! Siamo riuscite a mandare Alberto, un omone nero, ecuadoriano gentile, a Casa Giona di Breno (la ringraziamo di vero cuore per la preziosa collabo-razione che ci offre sempre); ma non lo abbiamo abbandonato e siamo diventati amici. Ora Alberto è riuscito a trovare un lavoro e una casa, è stato raggiunto dalla moglie, si fa voler bene da tutti. Mi dice sempre che senza di noi non ce l’avrebbe fatta, che io sono la sua migliore amica, che quando tornerà in patria mi farà costruire un monumento tutto d’oro massiccio intitolandolo all’amicizia fra i popoli. E insieme facciamo una bella risata. I volontari della Caritas, quelli che lavorano di più e da lunghi anni, don Danilo, potrebbero raccontare tante storie di tante persone che hanno amato ed aiutato con un vero spirito d’umanità, ascoltando-le, capendole, ricevendo da esse gratiicazioni e… speranze di un mondo migliore. Anch’io ho tanta speranza e tanti sogni.

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sCHEDaDiamo i numeri:

- dall’apertura del Centro, hanno una scheda da noi 2.680 persone (quindi 2.680 fami-glie);

- di queste, 935 sono italiani e 1.745 stranieri (quasi sempre extracomunitari);

- abbiamo avuto contatti con 53 carcerati e 32 ex carcerati (esclusi tutti quelli contattati direttamente in carcere da Bruna e Gianni)

- abbiamo avuto contatti con 93 tossicodipendenti e 56 ex tossicodipendenti;

- abbiamo avuto contatti con 161 tra nomadi e girovaghi(vari tentativi di scuola per bambini nomadi inora non sono durati a lungo per mancanza di collaborazione con le loro famiglie che preferivano ‘usarli’ per chiedere l’elemosina);

- abbiamo avuto contatti con 11 alcolisti;

- abbiamo avuto contatti con 23 persone con problemi psichici (a una associazione che li segue abbiamo dato in comodato una casa, avuta nello stesso modo dalle suore Dorotoee di Cemmo, perché sperimenti una autogestione);

- abbiamo la scheda di 85 ragazze prostitute contattate dai 2 gruppi che le avvicinano settimanalmente, ma quelle seguite in questi 4 anni sono più di 200.

Ogni mese un ‘volontario trasportatore’ usa il suo tempo e il suo mezzo per ritirare viveri distribuiti dal Banco Alimentare di Paderno Dugnano. Per noi è una gran manna che risolve i problemi di tanta povera gente che ancora nel nuovo millennio ha il problema del cibo. A volte il ‘carico’ ci procura un po’ di problemi perché è pieno di merce che deperisce nel giro di pochi giorni; allora si deve intervenire con grande sollecitudine e si distribuisce specialmente a comunità e asili. Quando invece il carico è ‘bello’, signiica che c’è cibo buono e a lun-ga scadenza. Questo ci permette di poterlo distribuire con maggiore oculatezza. Sono le occasioni in cui interveniamo su persone segnalate dai parroci o dai volontari del paese le quali apparentemente hanno una vita normale, in alcuni casi hanno anche igli e parenti, ma, costrette a vivere con la pensione minima, hanno delle grosse dificoltà ad arrivare dignitosa-mente a ine mese. Sono persone che non verrebbero mai in Caritas, ma che accettano ben volentieri questo aiuto, portato silenziosamente da persone amiche. Il problema è ben descritto da un articolo apparso su “Specchio” di qualche settimana fa.

«Combattono una guerra ogni giorno, per arrivare alla ine del mese. Combattono con le mille lire che non valgono

nemmeno un euro, per far quadrare bilanci impossibili.

Sono anziani, pensionati con la ‘minima’, una virgola nelle

statistiche, una promessa in bocca ai politici. Specchio ha

raccolto le loro storie, è entrato nelle loro case dignitose,

pulite e ordinate. Ha ascoltato le voci di chi, tolto l’afitto e le bollette, deve vivere con meno di 10.000 lire al giorno;

neanche 5 euro, nemmeno i 4 dollari che secondo l’ONU e

la FAO sono appena più del limite di sopravvivenza.

Non sono i disperati delle favelas brasiliane o delle bidonville

africane. Sono italiani che vivono nel nostro Paese.»

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assistenza agli anziani o ai malati terminali) e di cui sbarazzarsi quando l’emergenza è superata. La storia della nostra emigrazione in tutto il mondo, che spesso viene dimenticata, dovrebbe aiutarci ad essere più tolleranti e più solidali.I fatti spaventosi dell’11 settembre e la risposta terribile della guerra, sembra far lievitare la paura dello straniero con la tentazione di ‘fare di ogni erba un fascio’.Da molte persone però continuano a venire mes-saggi di speranza attivati da comportamenti di solidarietà. Tutti insieme si cerca di manifestare la reciproca necessità di dialogo per vivere insieme nel reciproco rispetto.

Domenica Pellegrini

Intolleranza

Una delle richieste più pres-santi rivolte al Centro di Ascolto della Caritas, oltre al cibo, alla doccia e ai vestiti, riguarda la casa. Si veriica, purtroppo, che a persone con regolare permesso di soggiorno e regolare lavoro viene riiutato un alloggio pur essendoci locali liberi e sitti. Anche in ambienti a conduzione religiosa che, mi sembra, dovrebbero dare esempi di disponibilità, si fanno disquisizioni sul credo religioso delle persone possi-bili locatarie, oppure non si afitta ad immigrati.Abbiamo notizia di atti di intolleranza verso ragazzi stranieri anche nelle scuole che dovrebbero essere, con le famiglie, i luoghi deputati alla valorizzazione della convivenza come arricchimento reciproco. Non sempre un aiuto in questo senso ci arriva dai media. Spesso viene attribuita agli stranieri la colpa dei reati, prima ancora di conoscere come si sono svolti i fatti. E’ vero che alcuni immigrati entrano nel giro della criminalità (ed è giusto che vengano perseguiti con severità), ma è importante ricordare che l’emarginazione può rappresentare uno stimolo molto grande a che ciò avvenga. Sicuramente in condizioni di regolarità e con la possibilità di attuare il ricongiungimento familiare, il comportamento di tutti migliorerebbe con vantaggi per tutti.Invece a volte i clandestini non sono visti come persone, ma come oggetti da usare solo nel momento in cui risolvono i nostri problemi (per esempio, di

CArItAS: CeNtrO DI ASCOLtO

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Davide è un ragazzo,

molto dolce e servizie-

vole, che ogni venerdì

viene ad aiutarci. Ha

scritto la seguente re-

lazione per il notiziario

della Cooperativa Azzurra

Da alcuni anni faccio la volonta-

ria per il magazzino dei vestiti della

Caritas.

So che il mio aiuto serve a tanti per

stare un po’ meglio nell’esistenza di

povertà nella quale si trovano.

Questo impegno mi ha aiutato a

superare momenti dificili della mia vita e a riacquistare serenità e desi-

derio di stare con gli amici.

Per questo, sono io che devo dire

grazie alla Caritas per l’arricchimento

e l’aiuto che mi ha dato.

lettera irmata

Ogni venerdì pomeriggio, da un po’ di tempo, vado a dare una

mano alla CARITAS di Darfo.

Quando arrivo preparo il caffè per me, Domenica e gli altri

obiettori Emil, Luca, Michele.

La CARITAS aiuta i bisognosi, infatti distribuiamo alle persone

che vengono da mangiare, vestiti puliti; possono anche fare la

doccia. Possono raccontare i loro problemi perché c’è qualcuno

che li ascolta.

Sono molto contento di questo lavoro perché anche a me piace

aiutare gli altri; inoltre gli obiettori sono simpatici, bravi.

Davide

Essendo venuto a mancare l’apporto degli obiettori, la Caritas fa ap-

pello a persone generose le quali, dando settimanalmente o quindi-

cinalmente la loro opera, possano sostituire brillantemente il lavoro

che prima era svolto dagli obiettori di coscienza. Già un buon numero si è messo a disposizione, c’è spazio anche per altri.

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In una società nella quale il principio del proitto impera indiscusso, esistono anche persone disponi-bili per tutti, poiché sono capaci di aprire il proprio cuore agli altri.E’ quello che avviene da parte di un gruppo di insegnanti in pensione, operanti per la Caritas, che dedicano 2 pomeriggi alla settimana a ragazzi ex-tracomunitari frequentanti le scuole medie di Darfo Boario Terme ‘Ungaretti’ e ‘Tovini’. Seguono 10 bambini, dei quali 7 sono al loro primo impatto con la scuola italiana, e si prendono cura di 1 o più bambini contemporaneamente. Sono ben otto le persone che hanno dato la loro disponibilità e questa è una cosa molto bella, un po’ speciale. Tutti lavorano gratuitamente, dagli organizzatori agli insegnanti.L’obiettivo principale è che l’insegnante dedichi il tempo disponibile a curare i ragazzi nelle loro tante lacune relative alla lingua italiana. Con i ragazzi, già seguiti l’anno scorso, si potrà eventualmente passare ad una veriica sull’an-damento scolastico.Questi progetti di assistenza hanno una sola condizione: devono essere fatti senza distinzioni di carattere politico o religioso. La motivazione di queste persone è infatti quella di dare un aiuto concreto a chi, abitando qui, ha bisogno di inserirsi al meglio nella nostra comunità.Molte volte si è constatato che il problema di coloro che seguono con dificoltà l’insegnamento scolastico è quello di abbandonare la scuola per la strada, con tutti i pericoli e le conseguenze che si conoscono molto bene, o di registrare un ritardo intellettuale dannoso, per mancanza di cultura dall’ambiente sociale, povero di stimoli per l’isolamento.L’aiuto a superare sia il problema della lingua che quello dell’integrazione è la vera arma per battere l’emarginazione di questi ragazzi e per prevenire le diversità che dovrebbero essere rispettate da ambo le parti.Lavorare nel campo del sostegno sia ai bambini che agli adulti (in Caritas anche quest’anno per

elisabetta giudici

e ANCOrA SCUOLA!!!

mesi è stata fatta una scuola ad adulti impossibilitati a frequentare quella pubblica), spesso a confronto con culture diverse dalla nostra, richiede una ‘energia interiore’ molto speciale, fatta di pazienza, di umiltà, di disponibilità e grande capacità di ascoltare, di capire e di adattarsi alle varie condizioni.Tra breve partirà il corso di alfabetizzazione per gli adulti extracomunitari che si terrà al mattino presso la Caritas, il cui impegno sarà quello di sostenere gli individui nell’adattarsi rapidamente al posto in cui vivono. Preparare gli individui vuol dire predisporre i gruppi stessi che si costituiranno a riconoscere ed accettare il dovere sociale.

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progetto della Caritas diocesana di Brescia a favore

della Caritas diocesana di Scutari (Albania) proposto,

delegato e realizzato dalla Caritas zonale di Darfo

con i fondi della missione Arcobaleno.

Ripercorro con la mente il viaggio interminabile e indimenticabile con un tir di aiuti umanitari a Kukes,

nell’aprile del ’99 durante l’emergenza dei profughi koso-vari; la sosta alla sede della Caritas di Scutari; l’idea, al ritorno dall’inferno di Kukes, di fare qualcosa di concreto per quelle persone che, come da un girone dell’inferno dantesco, imploravano aiuto; risento le sollecitazioni di tante persone della Vallecamonica, conosciute e scono-sciute, che mi consegnavano le loro offerte chiedendoci di intervenire con aiuti ad alleviare tanta pena; ripercorro la fatica di una quindicina di viaggi, in un anno, a Scutari, per reperire un terreno, acquistarlo, contattare un’impresa edile, eseguire i lavori; i viaggi di una quindicina di tir che impiegavano una vita per arrivare a destinazione e che trasportavano il materiale di costruzione di una quarantina di casette prefabbricate; gli incontri con i responsabili della Missione Arcobaleno per reperire i circa due miliardi di lire per allestire il villaggio e per mettere a punto l’intero progetto. La sequenza del tutto, che potrebbe sembrare un ilm, si sofferma su tanti volti incontrati, tanti amici, veri amici, che qui e là ci hanno sostenuto con ogni mezzo e sforzo. Sfoglio le foto scattate in occasione dell’inaugurazione, il 22 settembre scorso: eravamo in tanti, tantissimi… quelli che hanno sudato, altri che sono stati alla inestra, altri che non ci avevano neppure creduto… Che bello però, trovarsi in tanti e tutti insieme alla ine, per un’opera davvero grandiosa che fa

onore all’intera diocesi di Brescia.Che gioia vedere il Villaggio terminato, ben curato e utilizzato. L’acqua in casa, l’energia elettrica, dei letti, coperte, un tetto, una cucina…: cose normali nelle nostre case, ma beni di lusso da quelle parti. Dono della nostra Chiesa bresciana a quella di Scutari, parte di esso serve per incontri formativi, parte per la scolarizzazione di una settantina di bimbi rom, parte per l’accoglienza di ragazze che stanno uscendo dal giro della prostituzione, parte per persone che stanno fuggendo a vendette e parte per famiglie gravemente bisognose. Mentre il Vescovo di Scutari benediceva il Villaggio, continuavo a pensare a quelli non presenti, a tanti volontari valligiani e amici di là che hanno saputo sporcarsi le mani per gli altri e che hanno creduto in un’opera la cui realizzazione sembrava impossibile.Dall’alto della collina dove sorge il villaggio, si domina a nord il lago di Scutari, a ovest la città, a sud il maestoso castello di Rozafa e a est, a pochi chilometri, il mare. Immerso in una città dove per tanti arrivare a sera con la pancia anche solo semipiena è un’impresa non da poco, è un punto di aggregazione, un centro di propulsione di valori e di educazione al volontariato e un riferimento di aiuto concreto per tanti.E adesso è tutto inito? Ciò che è frutto di amore vero non conosce la ine, ma germoglia sempre: le esperienze di dono profonde fatte dai volontari sicuramente lasce-ranno un segno indelebile nei loro cuori; il rapporto bello stabilito con la chiesa locale di Scutari certamente conoscerà nuove forme di collaborazione.

Don Danilo

IL vILLAggIO BreSCIA

OrmAI e’ UNA reALtA’

Una parte del Villaggio Brescia

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Tre Paesi della Valle hanno ospitato anche quest’an-no i bambini bielorussi colpiti da ibrosi cistica: Anfurro, ormai da qualche anno, Breno e Malegno da quest’anno.In collaborazione con l’as-sociazione ‘Aiutiamoli a vivere’ hanno programmato la permanenza per un mese prevedendo un ciclo di cure termali volte ad alleviare i problemi della malattia, che ha fondamentalmente esiti letali.Questa iniziativa rappresenta una bella pagina di solidarie-tà, scritta senza troppa enfasi e pubblicità, dalle persone che hanno accolto con gioia questi piccoli.Malegno durante tutto il mese di settembre ha ospitato per la prima volta i bambini Marina, Cristina e Roman con le mamme Ilena, Anna e Tamara. Rispetto all’iniziativa di luglio, quando arrivano gli orfani ucraini di Gorodnja, di cui Malegno vanta orami 6 anni di ospitalità, questa richiede molto meno impegno per i volontari in quanto la presenza delle loro mamme allevia i problemi della costante

Dario Domeneghini

AIUtIAmOLI A vIvere

permanenza per accudire i piccoli ospiti. Il nostro impegno consisteva più che altro nel garantire gli alimenti, il trasporto alla Terme di Angolo per le

cure, e l’organizzazione del tempo libero sia dei bambini che delle mamme.Questi piccoli sforzi sono stati ampiamente ripagati dall’affetto che i 3 picco-li hanno manifestato alle persone che sono state loro vicine. Anche le mamme hanno trovato mille modi per ringraziarci e per farci capire quanto apprezzassero la nostra disponibilità.Ringrazio la Caritas di Darfo che mi ha trascinato in questa bella avventura e tutti coloro che ne hanno permesso la bella riuscita e concludendo mi permetto di usare le paro-le di San Paolo il quale soste-neva che la Carità non è solo una delle 3 virtù teologali, ma è la maggiore di tutte ed è quella che, facendo leva su

un nobile sentimento umano, dispone a soccorrere chi ha bisogno del nostro aiuto materiale.

Anche quest’anno sono continuate le adozioni a distanza del Centro Diurno di riabili-

tazione di portatori di handicap a Scutari. Ben 15 persone hanno aderito alla proposta

permettendo ad altrettanti ragazzi di essere seguiti e curati.

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Siamo al IV anno di ‘lavoro’ e come sempre vo-gliamo informare sulla modalità e sulle motivazioni del nostro operare sperando che questo faccia sì che siano sempre meno le persone, disinformate, che qualche volta hanno la tentazione di criticarci.Qualsiasi persona abbia la volontà di rilettere su questo fenomeno che sta diventando sempre più rilevante, dovrà convenire che il numero sempre maggiore di ragazze prostituite che gravitano in zona non può essere sicuramente dovuto al fatto che queste possano avere una parola di conforto da noi che le contattiamo un paio di sere alla settimana. Infatti anche qui, come in tutti i cam-pi, l’offerta è strettamente legata alla domanda e quindi se non ci fossero tanti clienti ci sarebbero anche meno prostitute in strada. Viene quindi da chiedersi che tipo di rapporti esistono all’interno delle nostre famiglie e che tipo di educazione umana, prima ancora che sessuale, venga proposta ai nostri uomini. Se poi proviamo a immaginare che lusso di denaro serva per mantenere un mercato con tante addette, in una zona considerata da sempre depressa, viene da chiedersi cosa si potrebbe costruire usando in modo proicuo questi soldi.

Altra domanda a cui non si può non tentare una ri-sposta è: perché questo trafico (abbiamo conosciuto oltre 200 ragazze) si è instaurato proprio in questa zona? c’è forse qualcuno che lo organizza e che ci specula? perché sono tutte ragazze nigeriane? Ogni volta che torniamo a casa dopo aver incontrato ragazze nuove, siamo delusi e rammaricati e nella mente per parecchi giorni rivediamo i visi di queste ragazze che potrebbero essere nostre iglie.Pochi giorni fa, in via Cadeo a Boario, una delle più giovani (18 anni forse) è stata picchiata tanto sel-vaggiamente da dover essere ricoverata in ospedale per 2 settimane. Quando siamo andati all’ospedale a trovarla non l’abbiamo riconosciuta tanto aveva la faccia devastata: aveva il naso rotto, gli occhi goni da non poterli aprire, punti di sutura su tutto il viso, le orecchie strappate, la bocca talmente gonia da non riuscire ad aprirla. I medici e gli infermieri l’hanno curata dimostrando eccezionale sensibilità e umanità. Quando inalmente è stata in grado, ci ha detto che un italiano l’aveva derubata e poi picchiata. Chi si comporta in modo così selvaggio, può essere con-siderato un essere umano? Se vedessimo qualcuno comportarsi in questo modo con un animale, tutti reagiremmo scandalizzandoci. Riteniamo forse che esistano esseri umani considerati di serie Z? Gesù Cristo stesso ha esplicitato il suo giudizio su queste persone e sulla loro collocazione vicino a Dio.

operatori e operatrici

prOStItUZIONe

E’ BELLO

… Quando sulla terra

ricco e povero

si danno la mano per fare insieme

la stessa strada

… Quando povero

viene scritto

con la P maiuscola contro gli usi imposti

dalla grammatica

… Quando dietro il volto

incavato del bisognoso sul ciglio della via

il passante sa vedere

in iligranal’immagine del Cristo

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From Tuesday, 09-10-2001 from 20.30 to 22.30We re-start the Italian Lessons for Nigerian - Ghana Girls In CARITAS

Address: Via Scura, n° 1 in DarfoWe’ll speak together,we’ll try to cook some Italian (but also Nigerian) food, we’ll explain the new

European Money (EURO), and, if you want, you can speak all alone with us about your problems...

No Cost for You...it’s Free !

Some Important Rules:

• We all are volunteers, we don’t earn money for this work: so, you have to help us in helping you !

• Anyone of you girls is the same for us: noone is the leader.

• The white Caritas Van is not a Taxi !

• From nextTuesday, we’ll be in Boario in two places to ind you:The First place is back the railway station (Missioni della Consolata).

The Second place is at the crossing near Disetti’s large sheed – Firemen’s barrack.

• We ix a time to bring you at School onTuesday:we’ll be in Boario to take you from 20.30 to 21.00.

No more time to wait anyone: otherwise, is impossible for us to make school !

• When you arrive in Caritas to make school, you have to switch off your personal telephones: all of you !

• The school is free and non-compulsory: but for us is a very important project, and we spend our time and our money for this.

So, if you decide to come to school on Tuesday, you have to be correct in the class, to listen, to partecipate....and to stay with us not only for 30 minutes !!

• If someone has some personal problem or question, it’s possible to talk all alone with us:

you have only to ask this !

For Help or Information you can call us at 347-7819984 or 339-7488145

Volantino in inglese distribuito a tutte le ragazze sulla strada per invitarle ogni martedì sera in Caritas per un

corso di alfabetizzazione, di apprendimento lavori domestici e soprattutto per un instaurare contatti umani.

L'iniziativa funziona.

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Recentemente, sulla stampa nazionale e alla tele-visione è stato riproposto il problema del sovraf-follamento nelle carceri italiane. Abbiamo detto, volutamente, riproposto perché ciclicamente questo problema viene portato all’attenzione dell’opinione pubblica.Ci si indigna, ci si commuove, si fanno buoni pro-positi, si interpellano esperti del settore e … ino ad un nuovo ciclo non si fa nulla di concreto.Quello del sovraffolla-mento è un problema rea-le che andrebbe affronta-to non come un’inluenza stagionale, ma come una malattia pericolosa che ha bisogno di cure ade-guate ed urgenti. Nel carcere di Brescia, che ha una capienza di circa 220 persone, si raggiungono punte anche di più di 500 detenuti. Il disagio di dover condivi-dere con altri uno spazio già in origine angusto crea problemi non solo ai detenuti, ma anche agli agenti penitenziari che sono costretti a lavorare in una perenne condizione di tensione che può anche diventare, e a volte diviene realmente, pericolosa. Che fare allora?Dovrebbe essere seguita la strada, già tracciata almeno per i reati di minore gravità, delle pene alternative al carcere, come: gli arresti domiciliari, l’afidamento alle comunità terapeutiche o ai servizi sociali (per i numerosissimi tossicodipendenti), l’in-centivazione del lavoro inframurario ed esterno al carcere. L’ozio non è mai un buon consigliere. Ecco

perché bisognerebbe istituire o incrementare, specie per i detenuti di lunga durata, corsi di formazione professionale che possano fornire, una volta scontata la pena, titolo per un inserimento lavorativo meglio qualiicato. Nei colloqui che facciamo in carcere, la lamentela maggiore, dopo il disagio per il sovraf-follamento, è dovuta alla mancanza di un impegno di lavoro e, in qualche caso, di studio.In un clima più sereno e operoso, sicuramente i

risultati non mancherebbero e non sarebbero solo a vantaggio dei detenuti, ma soprattutto della società civile nella quale dovranno, prima o poi, essere inseriti.Ci auguriamo che da qui alla nuova campagna sul sovraffollamento in carcere qualcosa di concreto venga realizzato, anche perché la dignità umana deve essere salvaguardata in qualsiasi situazione. Speriamo di non dover ancora tornare in futuro a

Bruna e gianni Carancini

CArCere e SOvrAFFOLAmeNtO

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Nei giorni di maggio in cui ci siamo fermati presso la casa delle suore, abbiamo potuto conoscere meglio alcune realtà della zona. Sicuramente là non ci sono problemi di spazio e di forte densità di popolazione. C’è infatti una pianura enorme, contornata da colline dolci; il paesaggio è quindi molto diverso da quello a cui noi siamo abituati. Tutti i terreni sono coltivati a frumento, mais, patate e barbabietole da zucchero. Rimane quindi inizialmente inspiegabile come sia possibile che ci siano problemi persino per avere il pane. Ma qualcosa si intuisce subito, vedendo tutti questi campi con molta gente che zappa: infatti il lavoro è fatto per la maggior parte a mano, con rese che sicuramente non possono essere paragonabili a quelle dei terreni, per esempio, delle nostre pianure, coltivati con mezzi meccanici.Dopo il 1990, alla caduta del regime, la terra è stata redistribuita ai vecchi proprietari così come l’avevano subito dopo la seconda guerra mondiale. La proprietà è sancita da decreti emessi dai sindaci dei comuni che passano le giornate impegnati a cer-care di ricostruire vecchi conini e soprattutto a se-dare le liti che insorgono tra i vari pretendenti. Pen-siamo cosa succederebbe anche a noi se ci chiedes-sero di ricostruire conini e proprietà sui ricordi di 50 anni prima e dopo la

vita di 2 generazioni, tra l’altro caratterizzati da un gran numero di igli. La suora ci ha confessato che ci sono anche omicidi, per assicurarsi la proprietà del terreno. Infatti la terra è l’unica speranza di sopravvivenza della gente che abita in questi posti, perché non c’è segno di alcuna industria, in un luogo in cui anche l’artigianato sembra non esistere. Inoltre, quelli che erano i grossi proprietari terrieri della prima metà del secolo scorso, adesso hanno di nuovo grandi estensioni di terreno, ma la stragrande maggioranza delle persone, che è decisamente povera, ha a disposizione per vivere dei piccoli appezzamenti di terreni estesi, in media, per meno di un ettaro. La stragrande maggioranza della gente non è quindi in grado di pagare il trattore per arare (l’aratura costa quanto uno stipendio medio men-sile e la semina altrettanto). Il lavoro manuale porta a una resa piccola che fa impoverire sempre più chi

coltiva. Inoltre i giovani che vogliono sposarsi non possono sperare di vivere con una spartizio-ne del terreno e quindi non hanno prospettive se non quelle di lavorare a giornata per i proprie-tari più grossi. La media mensile della paga è pari a nostre 100.000 lire al mese e permette una sopravvivenza molto stentata (c’è la consue-tudine di consumare un pasto al giorno) e sicuramente l’impossi-

ImpegNO IN rOmANIA

Suor Maria Cristina, la forza propulsiva della nostra collaborazione in Romania, è venuta a trovarci nel mese

di settembre, prima tappa del suo periodo di “vacanza” in Italia. Molti hanno così avuto modo di conoscerla

direttamente, di sapere come lavora, di sentire quali principi muovono la sua attività frenetica. Le adozioni a

distanza di bambini, lanciate l’anno scorso anche attraverso l’”Anch’io”, sono ormai oltre 70. Le necessità

sono tante, ma la suora ci assicura che il nostro aiuto ha già aiutato a risolvere molte situazioni disperate.

Due gruppi di noi sono andati a trovarla a Buruienesti, uno in maggio e uno in agosto. Da questi ‘sopral-

luoghi’ sono partite due proposte concrete:

- la collaborazione con l’Istituto Pastori di Brescia per la stesura di un progetto agricolo per piccole pro-

prietà, teso a far fruttare meglio la terra nel tentativo di togliere almeno il problema del pane a chi pur

vivendo in una pianura sconinata e tutta coltivata, non ha conoscenza e mezzi per un adeguato sfrutta-

mento della terra.

- l’aiuto per costruire un pozzo abbastanza profondo da ottenere acqua potabile per tutti, in un paese in

cui i pochi pozzi danno appena acqua di un colore più o meno marrone a seconda della stagione.

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bilità di accedere all’acquisto di tutti quei prodotti che provengono dall’estero e che assicurerebbero una qualità di vita molto diversa. I paesi non hanno acque-dotto e fogne. L’acqua viene presa da pozzi scavati lungo la strada. Abbiamo provato a prenderne un po’ e l’abbiamo vista marrone. Le strade sono sterrate e quando piove il fango regna sovrano.Le persone più sveglie e intraprendenti della zona sono già emigrate all’estero. Le loro case e le loro famiglie si distinguono perché sono quelle dove si vedono i primi segni di benessere. Per tutti gli altri c’è la miseria e proprio qui la speranza è portata dall’aiuto delle suore. E’ spettacolare vedere come, quando passano, tutti, piccoli e adulti, si affaccino alla onnipresente staccionata, che delimita la casa e l’orto, per salutare. Le suore conoscono tutti i numerosissimi bambini per nome, conoscono i problemi delle famiglie e devono intervenire direttamente con tempi e modi

giusti perché non si possono idare degli adulti che in gran parte sono alcolisti. Una caratteristica che non si può notare è la nume-rosissima partecipazione di tutte le persone del paese alle funzioni religiose. Ad esempio valga solo il fatto di sapere che alla messa delle 6 del mattino dei giorni feriali la chiesa (grande) è già gremita di gente che canta accompagnata dall’organo. Le funzioni sono poi lunghissime, per i nostri canoni, e spaziano da preghiere a tanti santi a baci di reliquie varie.Visto che le famiglie sono numerosissime, si incon-trano tantissimi bambini e tutti sono bellissimi, anche quelli trascurati. Le nostre adozioni a distanza sono ormai oltre 70, ma i bisogni sono ancora tanti, per cui sarebbe bello che ognuno parlasse ad amici di questa esperienza, sperando che l’esempio venga seguito anche da altri.

Nadia Ghirardelli

Una cartolina dalla Romania

Maria fa parte invece del gruppo che in agosto ha organizzato il

Grest e di seguito ci descrive le sue ‘vacanze’ in Romania:

Io quest’estate la mia cartolina l’ho scritta dalla Romania. La scelta della destinazione è frutto di una proposta promossa e organizzata dalla Caritas di Darfo che offriva la possibilità di vivere un’esperienza di 15 giorni con bambini rumeni di età diverse (per organizzare il Grest) nel paese di Buruienesti, a 8 km. da Roman, dove opera una congregazione italiana di suore. Io, insieme ad altre 5 persone (2 preti, 2 ragazze e 2 ragazzi), ho aderito con entusiasmo perché alla ricerca di ‘sapori’ diversi e sconosciuti che mi consentissero di arricchirmi nel profondo.Siamo partiti dalla Valle all’alba di lunedì 23 luglio con un pulmino carico di materiale, ma, soprattutto, di energia e di entusiasmo. Dopo 2 giorni siamo arrivati al paese: il primo col-po d’occhio mi ha subito colpito perché sembrava che fossimo stati catapultati indietro nel tempo di 50 anni: strade sterrate e polverose, animali che razzolavano liberamente, carri trainati da cavalli, pozzi sulla strada dove attingere l’acqua, bambini che correvano scalzi. Il nostro arrivo ha suscitato l’interesse dell’in-tero paese. Siamo stati accolti prima con difidente curiosità, poi con cordialità; se i primi giorni ero ‘una degli italiani’, poi sono diventata Maria e il resto non contava più. Per due settimane mi sono immersa in una dimensione culturale differente, ho adottato ritmi diversi e ho comunicato con la lingua universale:

quella dell’amore, degli abbracci e delle carezze. E’ stato bello vedere bambini entusiasmarsi per una partita di pallone, una corsa coi sacchi, o semplicemente perché giocavamo con loro; con la medesima gioia poi si recavano in chiesa per pregare e cantare. Sono bambini che mi sono rimasti nel cuore perché cresciuti in un luogo interessante e fuori dai canoni, per certi versi strano, dove si percepiva nei volti degli adulti la sofferenza, la fatica dell’andare avanti, la paura del domani. Sorridevano e il loro sorriso aveva il volto di Dio.

Maria Zeziola

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Carissimo don Danilo, inalmente ho potuto riunire i miei giovani, essendo iniziato l’anno scolastico e sono tutti tornati a Mostar. Al nostro incontro, il 28/9/2001, abbiamo analizzato la nostra permanenza nella Valcamonica. Ora che gli avvenimenti e gli affetti si sono messi un po’ in ordine, i miei giovani non sanno trovare parole adatte per esprimere tutta la bellezza dell’esperienza che hanno vissuto durante quei 15 giorni.Il tuo amore così generoso e così pronto al sacriicio, la bontà e la generosità delle donne che ci accudivano nella sede della vostra Caritas, l’ospitalità delle famiglie nelle parrocchie che offrivano pranzo e cena, hanno lasciato una bellezza pro-fonda nei nostri cuori e di tutto questo ci ricordiamo con piacere parlandone spesso. I giovani inoltre sono pieni di lode e riconoscenza a tutti i sacerdoti, dai quali hanno dimorato e lavorato nelle parrocchie. Ricordano con piacere la gentilezza e la compagnia amichevole di Luca, mentre con i loro singoli amici hanno cominciato a scambiarsi i messaggi tramite i cellulare, appena sono tornati a Mostar. Carissimo don Danilo, mai potrò ringraziarti e ricam-biarti abbastanza per questo tuo grande atto di amore e di sacriicio che hai compiuto nei nostri confronti. So che la nostra permanenza a Valcamonica (e anche le gite a Milano e a Venezia) ha richiesto parecchi soldi, tempo (in particolare tuo), molto sacriicio, rinuncia e pazienza. Possa il buon Dio ricompensare cento volte tanto te, i sacerdoti di Valcamonica, le donne che ci hanno cucinato, le famiglie che ci hanno ospitati, Luca e tutti coloro che si sono impegnati con noi.Noi ricordiamo molto spesso nelle preghiere te e tutti voi e parliamo spesso di voi. Ringraziamo te e tutte le persone su menzionate per grande esempio dell’amore

l Grest 2001 organizzato in luglio dalle parrocchie di Angolo, Angone, Artogne, Breno, Corna, Corti,

Darfo, Fucine e Montecchio ha avuto degli ‘osservatori stranieri’ provenienti dalla Bosnia. Don Kreso,

parroco a Mostar, ha accompagnato da noi un gruppo di 23 giovani con il preciso compito di osservare

come vengono organizzati i Grest delle nostre parrocchie e esportare modello e idee anche nella loro.

Sono stati accolti benissimo in ogni parrocchia e hanno avuto la possibilità di consumare i pasti presso

famiglie del paese che generosamente li hanno accolti.

greSt 2001 e mOStAr:

SCAmBI DI eSperIeNZe trA gIOvA-

cristiano e dell’amicizia, grazie per la vostra compren-sione, grazie perché ci avete accolti senza pregiudizi. Grazie per la nuova speranza che avete inculcato nei miei giovani, per l’entusiasmo che sentono di nuovo per la vita. Loro adesso socializzano di più, si sento-no più utili e responsabili nella parrocchia e a casa. Ora loro collaborano meglio nella nostra parrocchia, propongono, progettano, diventano animatori. Si oc-cupano più degli altri.Carissimo don Danilo, ti invitiamo a Mostar. Vieni con i tuoi giovani e i tuoi collaboratori. Abbiamo bi-sogno di contraccambiarvi l’amore. Vogliamo vedervi e abbracciarvi di nuovo, ma qui a Mostar.Ti vogliamo tanto bene e ti portiamo con gioia nel nostro cuore. Salutaci tutti gli amici.La benedizione di Dio vi accompagni sempre e ovunque

Don Kreso Pulijc, parroco a Mostar

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CONgO-ZAIre:

NOtIZIe DAI NOStrI AmICI

Don Egidio Capitanio è venuto a trovarci in occasione del periodo di vacanza che ha trascorso in patria

questa estate. Speravamo ci portasse delle notizie tranquillizzanti sulla situazione politica del Congo-

Zaire, ma…

Cari amici della Caritas,Vi mando la foto della decorticatrice del riso che

è inalmente arrivata alla missione di Obi (funziona benissimo e fa un servizio ottimo per la popolazione di tutta la zona). Per arrivare dalla capitale Kinshasa a qui nell’alto Congo-Zaire ha impiegato al bellezza di 3 anni e mezzo, complici non soltanto la man-canza assoluta di strade degne di questo nome, ma soprattutto gli ultimi avvenimenti militari: l’arrivo di Kabila al potere e l’invasione di tutta la nostra regio-ne da parte dei soldati ugandesi e ruandesi. Adesso noi non sappiamo più in che repubblica siamo. Non esiste nessuna autorità valida e quindi nessuna sicu-rezza per la gente di qui. Per sopravvivere tutti sono tornati al lavoro nei campi, l’unico rimasto dopo la scomparsa del commercio e di ogni altro lavoro. La nostra moneta è tanto svalutata che praticamente non la usa più nessuno.

Le scuole sono aperte solo grazie alla buona vo-lontà dei genitori degli alunni e di noi missionari che diamo un aiuto ai maestri: lo stato se ne disinteressa da ormai 15 anni. Gli unici ospedali che funzionano sono i nostri, anche quelli tra dificoltà enormi, visto che tutte le medicine si possono trovare solo nella vicina Uganda.

Siamo in zona di foresta e la grande nemica resta la malaria che uccide il 40% dei bambini al di sotto dei 5 anni di età; è tanto grave che perino l’AIDS, il colera o la terribile ebola (che è sorta qui e periodicamente fa delle rapide apparizioni, dimezzando interi villaggi) e le epidemie di meningite passano in secondo piano. Quindici giorni fa, per esempio, è morta per malaria cerebrale una ragazza di 14 anni che la sera prima era stata in missione con noi per la messa.

Dove ero prima, avevamo costruito 2 ospedali (non grandi, ma molto funzionali per gli standard di qui) che continuano a fare un ottimo servizio. A volte i soldati ribelli hanno cercato di saccheggiarli,

ma la gente li ha difesi senza paura, coscienti del loro prezioso valore. Li hanno costruiti loro direttamente, con il nostro aiuto, mettendoci molto più tempo, ma ne sono orgogliosi. Si sono convinti che, anche nella situazione disastrosa in cui si trova attualmente il nostro Congo-Zaire, loro stessi possano fare grandi cose; se sono uniti possono costruire un domani migliore.

Adesso ci siamo spostati in una zona più centrale per costruire (se la guerra ce lo permetterà) un centro di formazione pastorale e sociale: abbiamo bisogno di gente che sappia trascinare e incoraggiare gli altri. Ma la nostra ‘fama’ ci ha preceduto e la gente ci ha chiesto che anche nella vasta zona in cui siamo adesso sia costruito un ospedale; hanno già incominciato a preparare mattoni, sabbia e sassi e sono pronti a la-vorare. E’ impossibile non essere d’accordo con loro, soprattutto girando i villaggi e trovandoci davanti tanta gente ammalata la cui unica medicina è la… rasse-gnazione. Siamo disperati a vedere che ogni epidemia porta via tanti bambini solo perché non hanno fatto nessuna vaccinazione. Durante l’ultimo controllo, nelle nostre scuole abbiamo trovato ancora una quindicina di ragazzi affetti dalla lebbra. Così si capisce come non possiamo assolutamente restare con le mani in mano, anche perché, dopo 33 anni passati in Congo, non posso che sentire come miei tutti questi bambini.

Come ho detto, tutto quello che loro possono fare con i loro mezzi, lo fanno; certo che la realizza-zione di un ospedale (sia pure strutturato all’africana) rappresenta sempre una grossa spesa. Ecco perché vi dico sinceramente che, se qualcuno ci dà una mano, è senz’altro il benvenuto. Noi, aspettando questo aiuto, incominciamo comunque: è impossibile trovarsi da-vanti a una persona o a un bambino ammalato che ti guarda e non avere una risposta da dare.

Buon lavoro a te, don Danilo, e a tutti voi nella nostra valle

tuo Padre Egidio

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anch'io • 28

Carissimi benefattori e amici,la parola di Dio ci invita a meditare e ci

suggerisce la solidarietà, il perdono, la ricon-ciliazione, la conversione. Invochiamo gli uni per gli altri lo Spirito afinché la sua grazia ci illumini, ci incoraggi e ci renda fedeli al nostro essere cristiani.

Questa mia vuole essere un augurio e nello stesso tempo un segno di sincera riconoscenza per tutto ciò che fate per i nostri bambini. Colgo l’occasione per comunicarvi qualche notizia.

La situazione politico-sociale-economica diventa sempre più critica.

Nei villaggi ci sono gruppi che distruggono, uccidono e violentano. La gente è obbligata a fuggire per mettersi in salvo. Sovente ci sono famiglie intere che bussano alla porta e ciò che fa veramente pena sono i bambini.

Qui nel nostro settore abbiamo più di 400

profughi. Le famiglie locali che vivono già molto poveramente, condividono la piccola casa e il frugale cibo. Purtroppo questa situazione crea nu-merose preoccupazioni e problemi nelle famiglie. Il padre, se è ancora in vita, deve partire in cerca di lavoro per poter nutrire i familiari e non sempre ritorna, e se ritorna, spesso è a mani vuote. La mamma, se può disporre di una piccola somma, fa un pochino di commercio e passa giornate intere al mercato. Che cosa compra e vende? Qualche chilo di riso, sale, alcuni pezzi di sapone, scatole di iammiferi, carbone, ecc. Al suo rientro, la sera, il piccolo guadagno serve per preparare la cena ai igli. E i bambini? Coloro che hanno la fortuna di poter andare a scuola sono impegnati e contenti, gli altri girano le strade.

Tra i fortunati ci sono coloro che beneicano della vostra generosità e costante solidarietà.

In questo periodo la malaria e l’inluenza hanno colpito un po’ tutti, ma, poiché erano abba-

stanza in forma isicamente, ne sono usciti senza complicazioni. Tutto ciò grazie anche a voi che continuate a sostenerli.

Incontro tutti i bambini, spesso, per i momenti di formazione e di preghiera. Insieme domandiamo al Signore di benedire e proteggere tutte le persone che ci vogliono tanto bene.

Vi chiediamo di invocare la pace per noi

Cordialmente

Suor Patrizia Mondini

CONgO-ZAIre:

NOtIZIe DAI NOStrI AmICI

Dal Congo-Zaire e precisamente da Bukavu, ci scrive anche suor Patrizia Mondini. Purtroppo da lei la

situazione e molto precaria e la richiesta di aiuto traspare da ogni parola.

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anch'io • 29

Carissimi, questa è la mia prima lettera dopo le vacanze in famiglia. Il

viaggio di ritorno è andato bene, è durato solo 5 giorni quando ci sono altri missionari che l’hanno fatto in 15! Il Congo e Isiro dopo questi 3 mesi d’Italia non sono migliorati, anzi la situa-zione politica, sociale ed economica è peggiorata. Qui non si sa mai cosa può capitare! Quante volte mi piange il cuore nel chiedermi come fa la nostra gente a sopravvivere, come fanno i genitori a mandare a scuola i loro igli, come possono pagare l’ospedale e le medicine quando tutti i prezzi aumentano ogni giorno! Ogni giorno, quanti bambini, ragazzi, giovani e adulti bussano alla mia porta per chiedere un aiuto nella scuola, nelle medicine, all’ospedale! Dove stiamo andando!

La prima visita l’ho fatta al Centro Nutrizionale per Bambini Malati e Malnutriti (CNBM) per incontrarmi con le mamme e i bimbi che ricevono un aiuto per combattere la malattia della Fame! E’ un centro che abbiamo aperto qualche mese fa qui a Isiro come risposta a tanta sofferenza e pianti dei nostri bimbi. Più di 100 bambini erano lì con le loro mamme o nonne per accogliermi e ringraziare. Questo grazie lo giro a voi che mi aiutate a tenere aperto questo centro.

Le prime piogge sono iniziate e tutti siamo contenti: ci sarà acqua pulita nei pozzi, nelle sorgenti; le verdure cresceranno in fretta; si possono già seminare fagioli, riso, arachidi; ci sarà meno polvere nell’aria… Ma i più contenti di tutti sono i bambini: ai primi bagliori dell’alba raccolgono le gustosissime termiti che, uscendo dai termitai, volano per qualche momento, perdono le ali e sono facilmente catturabili. I bimbi le mangiano subito. Si possono fare anche fritte e venderle ai mercatini o fuori casa. Le mamme ne ricavano dell’ottimo olio ricco di proteine… serve tutto per ammazzare la fame.

In questi giorni, in occasione del primo centenario della nostra famiglia della Consolata, sto visitando le scuole superiori di Isiro per incontrare i giovani e animarli a essere responsabili e missionari a scuola, in casa, nei loro quartieri… La loro voglia di studiare e di conoscere è grande, ma i mezzi… A Isiro abbiamo aperto un centro doposcuola, ma come possiamo comperare libri, dizionari, enciclopedie quando da Kinshasa non arrivano più aerei da 3 anni? Molti giovani hanno abbandonato la scuole e, se hanno la bicicletta, si lanciano nel piccolo commercio facendo 1400/1800 km. in 15 giorni per guadagnarsi la vita in strade ridotte a sentieri e militari sempre pronti a requisire.

Insieme ai nostri cristiani, ringrazio il Signore della storia per tutte le meraviglie che continua a fare qui in Congo, per gli esempi che ricevo dai miei confratelli missionari e dalla gente semplice e buona. Il Signore ci sorprende ogni giorno. Voglio essere sempre pronto a incontrarLO e a camminare con LUI. Arrivederci ad ogni EUCARESTIA!

Padre Rinaldo Do

CONgO-ZAIre:

NOtIZIe DAI NOStrI AmICI

Sempre dal Congo, da Isiro, ci giungono notizie da padre Rinaldo Do

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anch'io • 30

L’impegno per l’Ucraina si è sviluppato nel corso dell’anno su 3 iloni:- un rapporto più stretto con la Caritas di

Kiev e il sostegno di una loro iniziativa;- un intervento di manutenzione straordina-

ria presso l’orfanotroio di Gorodnja;- l’accoglienza degli orfani di Gorodnja.

La Caritas di Kiev ci ha chiesto un aiuto per l’acquisto di una casa da adibire a loro sede e ad accoglienza di ragazzi di strada. Quando venne tra noi il Vescovo ausiliare di Kiev, contattammo per questa iniziativa la Caritas ambrosiana di Milano, la Caritas diocesana di Brescia e l’associazione Cuore Amico di Brescia. Quest’ultima ha fatto proprio il grosso del progetto e l’ha sostenuto versando Lire 60.000.000 in due rate. Inoltre, con la Caritas di Kiev il Centro Caritas Zonale ha dato il via ad una nuova iniziativa, circa gli orfani di Gorodnja: in alternativa all'accoglienza in Italia, alcuni paesi ospitanti degli anni precedenti potevano offrire delle vacanze più vicine, presso una casa-vancanza della Caritas di Kiev. Alcune parrocchie hanno aderito a tale iniziativa che è andata in porto nel mese di novembre.

Nel mese di agosto un buon gruppo di volontari della Valle e del Sebino, dopo contatti, raccolte di denaro da

privati e da ditte, sensibilizzazione, invio di un carico di materiali edili, si è recato presso l’orfanotroio di Gorodnja e, impiegando il tempo delle proprie ferie, ha messo in piedi un campo di lavoro realizzando, a tempo di record e con estrema abilità, nuovi servizi igienici al posto di quelli vecchi fatiscenti e anti igienici. Grazie a questa realizzazione, il progetto Gorodnja ha conosciuto un ulteriore sviluppo. Gli stessi volontari hanno fatto un’esperienza di dono molto forte e si-gniicativa e, tornati a casa, stanno predisponendo il rifacimento della cucina del medesimo orfanotroio: il tutto nel prossimo agosto.

Nel mese di luglio, 13 paesi hanno continuato o, per alcuni di essi, terminato l’esperienza dell’accoglienza degli orfani di Gorodnja. Come sempre ha brillato an-che quest’anno la generosità e la disponibilità di tante comunità parrocchiali. A tutte loro, sia che continuino sia che terminino l’esperienza, va il grazie più vivo da parte della Caritas di Darfo e la certezza che la collaborazione continui in futuro nei numerosi progetti di solidarietà in cui siamo impegnati.Per l’anno prossimo il Centro Caritas di Darfo ritiene compiuta l’esperienza dell’accoglienza dello stesso gruppo di orfani per quei paesi che per 5 anni e più hanno accolto sempre i medesimi. Questi paesi, se vogliono e ammesso il superamento degli intoppi burocratici, possono accogliere altri orfani, avvicen-dandoli annualmente o, al massimo, biennalmente. Questo anche per dare la possibilità ad altri piccoli di fare da noi un periodo di vacanza. Non è detto che la proposta sia rivolta esclusivamente agli ucraini; nulla vieta che un domani sia indirizzata, per esempio, a

prOgettI UCrAINA

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anch'io • 31

Chiesi la forza… e Dio mi ha dato le dificoltà per essere forte.Chiesi la sapienza… e Dio mi ha dato problemi da risolvere.

Chiesi la prosperità… e Dio mi ha dato cervelli e muscoli per lavorare.Chiesi di poter volare… e Dio mi ha dato ostacoli da superare.

Chiesi l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiuta-

re.

Chiesi favori… e Dio mi ha dato opportunità.

Non ho ricevuto niente di quello che chiesi, però ho ricevuto tutto quello

LA LeZIONe DeLLA FArFALLA

Un giorno apparve un piccolo bruco in un bozzolo: un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore si sforzava per uscire da quel piccolo buco. Dopo molto tempo, sem-

brava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva e che non avesse più la possibilità di fare nient’altro.Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era pic-

colo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! La farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu capace di volare. Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario af-inché la farfalla potesse trasmettere il luido del suo corpo alle sua ali, così che essa potesse volare. A volte, lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.

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