pastiche n° 47 settembre 2015

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Non voglio essere adorato da animali e vegetali e ogni altra presenza su questo pianeta che è la terra Non voglio aver paura di scambiare amore ovunque e chiunque libero e non fighe e cazzi immaginari Non voglio polizia per le strade suoni gialli e azzurri giorno e notte che ricordano manicomi e obitori Non voglio un lavoro che è solitudine miseria e povertà e avvelena la nostra vita Allora volate, volate davvero allora bruciate, bruciate davvero e respirate... respirate davvero allora volate, volate davvero Fausto Rossi

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Page 1: Pastiche n° 47 settembre 2015
Page 2: Pastiche n° 47 settembre 2015

COPERTINA A CURA DI:

RED TWENYpastiche

editorialeeditoriale

#47#47

PENSATA E REDATTA DA:PAOLO BATTISTA

IMPAGINAZIONE DI:ALESSANDRO VALENTINO

COLLABORATORICHIARA FORNESI

PER RICEVERE IN ABBONAMENTOPASTICHE (COSTO 15 EURO)SCRIVETICI A:pasticherivista @gmail.comPER INVIARE IL VOSTRO MATERIALEE PER AVERE INFO SULLE COLLABORAZIONISCRIVETE A:pasticherivista @gmail.com

FACEBOOK:WWW.FACEBOOK.COM/PASTICHERIVISTA

ISSUU:HTTP://ISSUU.COM/PASTICHERIVISTA

SETTEMBRE 2015

NON VOGLIO ESSERE ADORATO DA ANIMALIE VEGETALI E OGNI ALTRA PRESENZASU QUESTO PIANETA CHE È LA TERRANON VOGLIO AVER PAURA DI SCAMBIARE AMOREOVUNQUE E CHIUNQUE LIBEROE NON FIGHE E CAZZI IMMAGINARINON VOGLIO POLIZIA PER LE STRADESUONI GIALLI E AZZURRI GIORNO E NOTTECHE RICORDANO MANICOMI E OBITORINON VOGLIO UN LAVORO CHE È SOLITUDINEMISERIA E POVERTÀ E AVVELENA LA NOSTRA VITA

ALLORA VOLATE, VOLATE DAVVEROALLORA BRUCIATE, BRUCIATE DAVVEROE RESPIRATE... RESPIRATE DAVVEROALLORA VOLATE, VOLATE DAVVERO

FAUSTO ROSSI

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Dov'eri mentre spaccavamo i silenzi, nelle paludi del senso? Gli occhi tuoi nell'oceano a percorrere la schiuma.

E il rumore della risacca alto e sferzan-te nell'immensità piena di corpi caduti. Di battaglie dimenticate. In nome di divinità a me ignote.Ero sul monte delle inerzie a guardare co-nigli scappare dai recinti. Questa palude non la sopporto e mi crescono le orecchie e manca ancora un dente per essere libe-ro e saltare anch'io sotto questo sistema a ruote cingolate. Sono alla ricerca della mia divinità, la mia immensità, la carota delle carote.Coniglio pavido spaventato dal mondo ri-mango recintato tra le lettere t ed u e non c’è spazio là dentro, non un interstizio per apporvi altro, neanche una virgola,figu-riamoci poi un punto interrogativo. Perdo il pelo e ne faccio un vizio, creando il mio cappotto di lapin dove scaldare ogni ri-gore nel morbido di un passato squoiato, sguajato. Guaito i miei lamenti nell’odore di terra, guaio io di me stesso e null’al-tro che puzzo d’ansia e smarrimento. nudo e terribilmente sveglio mi aggiro tra le briciole della noia sforzandomi di cer-care parole nel disordine cosmico del mio cervello quando i carri armati avanzano e schiacciano, avanzano e schiacciano, e la parola non ha senso. e il tempo non ha sen-so…il tempo - è un urlo sguajato che non ha tempo.Guardo immagini distanti attraverso fred-di schermi privi di sostanza. E c'è guerra e morte. Corpi che potrebbero essere il mio. Non lo sono soltanto per un paradosso geo-grafico. Ora, sola, stretta in spesse pareti di illusioni. Chi sono io? Perché non sono lì, a morire, come i corpi umani che vedo sgre-tolarsi sulla striscia di Gaza? Ora, nel di-venire-meccanico di questa nebbia, questa pelle e questo gelo, vorrei aprire le labbra alla morte e strapparle via la lingua.

RE-BEL-

POEMSCRITTO A QUATTRO MANI DAI

CARDIOPATICI: PAOLO BATTISTA, ILARIA PALOMBA,

LUIGI ANNIBALDI, DANIELE CASOLINO;

E LETTO PER LA PRIMA VOLTA SABATO 27 SETTEMBRE A 27TH SEPT FOR CHANGE MILANO ROMA

CATANIA –

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E i cani abbaiano. Li sento anche nei miei sogni ansiogeni e occhi liquidi da pesce bramosi di sgretolarsi come calcinacci tra le mani. In una fred-da alba blu [ antiumana ], dove non batte il sole, dove non batte il cuore, il linguaggio sta morendo, l’umanità sta morendo. E noi incapaci di fare quello che dobbiamo soffriamo in si-lenzio come cani che si mordono la coda. la salvezza è lontana.Mi fermo. Sento in lontananza. Stanno arrivando. Non so ancora come sono fatti, perché finora li ho solo sentiti. Ho però una visione: centinaia di carri armati pezzati di marche commerciali come macchi-ne da formula1 che mi circondano e sparano su di me prima detersivi e saponi Coccolino! Omo! Bio Presto! Svelto! Vim! Cif! Lysoform! Surf! Lux! Dove! Rexona! e poi BOM con i dentifrici e spazzolini Gibbs! Dur-ban’s! Benefit! Lose-up! Pepsodent! Mentadent! E poi mi sparano le cre-me che sponsorizzano sulle fiancate Leocrema! Cutex! E poi mirano alla testa con lo shampoo SVUOSH Clear! Elidor! Axe! Denim! Dimension! Dove! Timotei! Cosme-tici all'attacco Atkinson! E profumi come proiettili Fabergè! Brut 33! e poi mirano in bocca Milkana! Gra-dina! Rama! Maya!Althea! E gelati confezionati Algida! Carte d’Or! El-dorado! Magnum! Solero! Sorbette-ria di Ranieri! E poi sparano TATA-

TATA Findus! Genepesca! Igloo! E Olio SPLASH Bertolli! Dante! Friol! Maya! E maionese SPLACH Calvè! Mayò! Top down! E infine gli stessi carri armati mi offrono seppellendo-mi il te Lipton! TE’ati! È buono qui è buono qui e sono morto.E' di metallo, ridacchia l'ultimo mentre io torno di carne e dimentico. Ricordo solo i ricordi, e non le cose di cui i ricordi sono fatti. Ricordo che qualcuno lo disse già ma non so chi sia, ricordo.E poi riscrivo, risciacquo, reinven-to, reinterpreto, ripeto, ripropongo, riparto, si, io riparto, ciao, non mi fermare.Vedo infrangersi nel mare il volto de-gli uomini. Loro. Tutti. Vivi e morti. Sono tutti qui. Erano tutti qui. Per sempre lo saranno. Soffia la bora dei tramonti su questa brulla terra sen-za organi. Ho ripreso in mano la sab-bia. Eppure non la sento. Ho ripreso in mano i colori. Eppure non li vedo. Ora prendo le mani delle donne e degli uomini. Loro non possono ve-dermi. Invisibile è tutto ciò che spro-fonda. Abisso. Io. Di me stessa. Non sono più io né me stessa. Ora sono ovunque e altrove. In ogni brandello di carne. Negli alberi. Negli oceani. Nel freddo delle nevi. Nella cocente luce che tutto sovrasta. Cosa sono? Cosa siamo? Forse era questo l'esi-stere. Un filo invisibile di corpi. Che tutti li unisce.

RE-BEL-POEM

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MI VENIVI A TROVARE E MI SFAMAVI

CON LA TUA CARNE PERCHÉ CHIUNQUE

DÀ DA MANGIARE A UN CANE SE GLIELO CHIEDI.

MI STUDIAVI.I TUOI OCCHI ERANO STRETTI

COME CERTI TAGLIETTI CHE CI SI FA CON LA CARTA.

ERA BELLO AL BUIO.

LA LAVATRICE NON FACEVA RUMORE

E NON MI RENDEVO CONTO QUANDO FINIVA IL CICLO.

I MIEI VESTITISAPEVANO DI QUELLO

CHE SAREMMO DIVENTATI ED ERA INUTILE

STENDERLI AL SOLE.

RICORDI QUANDO ABBIAMO BRUCIATO LE FRAGOLE?

CI AGITAVAMO SUL LETTO E IL TEMPO CI È SFUGGITO DALLE MANI.

SAPEVI CHE SAREBBE ANDATA COSI’SAPEVI CHE ERO TROPPO GIOVANE

PER NON TROVARMI BENEDA UN’ALTRA PARTE.

(L. Filippo Santaniello)Foto: DANIELE CAMBRIAhttp://danielecambria.com/

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di creativo?Una sola semplice cosa, il mio sguardo è il mio.E il mondo che il mio sguardo guarda è il mio mondo.Accecatemi e tutto sparirà.Ma che ne sapete voi, voi non mi vedete!

Mentre GUARDOSono stato a guardare, è da un po’ che lo faccio. Non che resti fermo. Rispetto la mia vita. Solo che ho scoper-to che l’osservatore è uno dei personaggi che più mi somi-glia. Non che sia passivo, le mie osservazioni producono sempre azioni, a volte fuori controllo, impulsive.Sono un ana-litico che non vede l’ora di sporcarsi le mani nell’empirico. Nell’ansia di confutarsi. Non cerco confer-me. La conferma è stasi. Sono un intuitivo che scopre il suo potere profetico. Un sintetico che collassa la realtà attorno ai suoi assurdi. Guardo e rea-lizzo.

Realizzo che il mio sguardo modifica il reale come nella migliore meccanica quanti-stica e che ogni sguardo lo fa.Il mio sguardo crea, manipo-la, trasforma, reinventa, giu-

dica, guida, sceglie esclu-de, focalizza, amplifica,

allarga, restringe, gioca, spaven-

ta, spegne, accende. Come ogni altro sguardo.

Cosa ha allora di speciale il

mio sguar-do? Cosa ha

di speciale il mio punto di vista privi-legiato? Cosa ha

di magico, di creativo?Una sola semplice cosa, il mio sguardo è il mio.E il mondo che il mio sguardo guarda è il mio mondo.Accecatemi e tutto sparirà.Ma che ne sapete voi, voi non mi vedete!

Daniele Casolino

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Oggi ho conosciuto il silenzio, il si-lenzio e la solitudine, come non li avevo mai incontrati, come non li avevo mai ascoltati. Mi guardavo intorno e non c’era altro che me, un riverberato io tutto intorno e ba-sta. Non era egoismo, come spesso l’ho confuso. Era la solitudine. Io per me e con me. E ci sarebbero potute essere, anzi ci sono state centinaia di per-sone a condividere il mio spazio. Io restavo solo. I suoni erano distanti e non mi appartenevano, le voci, quelle più familiari, non avevano nessun ri-cordo ad accompagnare il messaggio, nessun senso che potesse distogliermi dal mio vuoto pieno di io. Ho compre-so il silenzio oggi, e la distanza, ho compreso l’incomunicabilità e l’in-comunicabile, l’indicibile e l’incom-prensibile. Ho compreso la distanza e la cecità, l’inguardabile e l’immo-strabile, il mostro e la sua gabbia nella tenda vuota. Ho compreso la distanza e l’inaudibile. L’inaudito. La mia faccia vuota fra facce vuote. Che la solitudine è incontenibile. Non puoi racchiuderla in un corpo o in un volto. La solitudine non ha dimensio-ne. Eppure mi sono stupito a non sof-frire. O meglio, a contemplare il do-lore come non lo avevo mai permesso. E mi sono stupito a non spaventarmi. Che mica è brutto il mio dolore, sa! Non è brutto affatto e non spaven-ta. Fa male, si, ma non per nuocere. Fa male per salvare.Ti guardi, capisci, ti carezzi, sor-

ridi, piangi, rimpiangi e taci, ché ti vuoi ascoltare. Ascoltare in silenzio, ascoltare il silenzio. Che pace, vero? questo silenzio che non è affatto cupo. Non il silenzio che nega, che co-pre, che nasconde il rumore. Il silenzio che senza tradirsi mostra se stesso.La mia solitudine è popolata di mille volti, tutti i personaggi che mi sono disegnato, tutti i ruoli che ho asse-gnato, tutte le battute che ho scrit-to, tradotto, trascritto. Tutti gli infiniti tu di cui ho popolato questo io.E quando ho guardato, oggi, per la prima volta, l’io, ho finalmente po-tuto riconoscere ogni tu. Ogni tu al di fuori del mio leggerlo. Ogni tu intraducibile e quindi, per me, incomprensibile. Ho speso una vita a cercarmi tra i tu. Io non vedo e non ho specchi, dimmi, dunque, chi sono?Come? Mi vuoi meno me? O più te? Dim-mi come mi vuoi.Che altrimenti non esisto.E le corse forsennate verso i mille io cercati, senza mai, mai raggiungermi.Io non sono il tuo me. Tu non sei il mio te.La teoria dei vasi incomunicanti ci ha prosciugato.Ho sete.Io ho sete.Ti va di bere qualcosa?

LA TEORIA DEI VASI INCOMUNICANTI

Daniele Casolino

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FINE

DI: PAOLO BATTISTA

FORNACE

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-L I T I O

Bulimia empatica, sintesi automatica, elettroni geriatrici, valvole a tre vie contornate di pneumatici a mescola morbida. Balene silenti, asfalto, aria al sapore di litio.

Le strade sono emancipate dal sole autunnale, gerarchicamente assue-fatte all’andirivieni dei mezzi pubblici impolverati ed assorti; il cambio automatico dell’autobus sembra non essere ancora allenato alla curva a gomito in discesa dell’ultimo tratto, cinquanta metri, prima del capolinea.Quello che vedo dal finestrino: albero secco di pino piegato a metà, il vento del mare che spinge sui rami dopo l’ultima mareggiata;panda 70 in sorpasso, donna sui sessanta che scala la marcia, dalla quarta alla terza, motore in sofferen-za, ma ce la fa, forse;Scatola cinese, pardon negozio cinese di abiti da donna; commessa cinese con occhiali viola che sistema uno scialle, o un top (non sono molto esperto di abiti da donna), matite ce-lesti rottamate attorno l’iride marrone scuro, trucco emaciato, frettoloso connubio fra abitudine e decoro rintuzzato dietro una falsa cortesia, apparenza liquida, assurdo tramite fra dare e avere.La corsa prosegue:Cane al guinzaglio, parco pubblico che scorre fra i cartelloni pubblicitari, offerte di pannolini a due euro e no-vanta ad acqua e sapone conviene, recita il terzo cartellone a sinistra della fiancata dell’autobus,

DI: ATTILIO SCATAMACCHIA

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ragazza in bicicletta in jeans e giub-botto con cappuccio di pelo di qual-cosa di sintetico (il vento muove in avanti i capelli lunghi, ricci, arruffati dallo spostamento d’aria); non molto bella a dire la verità

Autunno inoltrato gigante ipertrofico che lava le sentine dei sobborghi di-menticati .Ancora: vedo un vecchio, il suo bastone d’acciaio, chiuso nel cappotto verdastro abbastan-za orgoglioso da fottersene che ė fuori moda, una coppola azzurra sulla testa pelata, foglie morte che scivolano sulla massicciata del tram, cartacce, fogli di di giornale sfuggo-no alla vista dei controllori, passanti frettolosi che schivano i cantieri stradali ed i cartelli lavori in corso.Cartellone pubblicitario nove metri per sette appollaiato sui ponteggi di un palazzo in ristrutturazione,Donna linfa emotiva matrice serafica avvenente che pubblicizza profumo dall’alto della sua bellezza distante, inesistente.Curva a destraDiscesaCurva a sinistraSemaforo rossoVerde Rettilineo nervoso Suoni di clacson, disperati, inutili.Un barbone sfuggente beve birra peroni seduto a gambe stese sull’a-sfalto bagnato dall’ultima pioggia, la strada balugina sotto i riflessi del sole traverso, flauto rigido, mastica-to dall’assuefazione alla rotazione

terrestre.Un passante, unno serafico, mastica una gomma da masticare, esita un attimo, barcolla su una gamba mos-sa da pietà, una mano, la sinistra esita in una delle tasche dei pantalo-ni, emerge una moneta, impossibile indovinare quale da questa distanza; non si legge dalle labbra ma il barbo-ne accenna sicuramente a un grazie, indelebile.Ultima fermata, prima del capoli-nea; salgono due ragazzine con su occhiali di celluloide, spessi, irritanti alla vista, rosso acceso anni ottanta, blu carminio, silenzioso abbraccio della moda dominante; libri di scuola maltrattati al punto giusto escono sgarrupati dagli zaini semi aperti, frettolosi, scaraventati a terra con il massimo del disprezzo, liquidi abbastanza da scomparire sotto le sedute laterali e sopra il pavimento antiscivolo, rumoroso per il contat-to delle suole con l’acqua portata dall’esterno, irriverente.Capolinea.Squillo di cellulare, il mio.Numero sconosciutoIntanto scendo, apro la custodiaLeggo: batteria scaricaPremo il tasto verdeNiente da fare, lo schermo diventa nero, mutoLa chimica, e tutto il resto, anche oggi mi si rivolta contro.

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Farsi tatuare sull’inguine per aver amato lo sguardo di un tatuatore, per aver desiderato che le sue mani toc-cassero la tua pelle segreta. E’ da te, vergine di silenzio. Rubare gioie è una tua attitudine. Lo hai guardato dentro agli occhi, così da vicino, mentre lui guardava tra le tue gambe con l’ago in mano. I suoi capelli ti hanno sfiorata. Ne hai sentito il profumo, e il profumo della sua pelle. Ti sei persa dentro ai suoi occhi verdi. Mentre le sue dita ti toccavano sicure. Ci hai fatto l’amore così. E hai deglutito piacere. Dopo sei giorni sei tornata da lui. Un’altra sirena. Ancora nera. Ancora tua. “Non sono mai esistite sirene nere”, ti dicevi. “Sono io che le ho create”. Sono tue le sire-ne africane, Eva. Immagini nate dentro di te. Mai esistite prima. Ancora le sue dita su di te, calde. Ancora i tuoi oc-chi nei suoi, verdi. Solo lui ti ha toccata. Suo il brivido che ti ha attraversata. Ripensi al turgido sorriso dei muratori carioca. Lo tatui nella memoria da giorni. Il loro sguardo voluttuoso. Lo senti, il loro canto brioso. “E’ viola”, pen-sasti quel giorno. Un canto viola. Hai immaginato le dita di quei giovani sulle squame delle tue sirene nere. Li hai spiati nei loro andamenti di animali. Ne hai immagina-to ogni lieve movimento. In silenzio. Sola con te, vergine bianca. Come faceva quel canto? Mugoli piano. Pensi a quando il tatuatore ti guardò negli occhi, smettendo di spararti inchiostro nella pelle. Non lo hai dimenticato quello sguardo. Il suo sorriso appena accennato. La sua mano si portò dove era attesa da tempo. Il tuo sonoro schiaffo la fermò. Seguì un silenzio difficile, rotto qualche istante dopo dall’ago che riprese a ronzare. Come faceva quel canto? Per un attimo gemi di piacere, ti mordi le lab-bra stringendo gli occhi. I muratori di Rio de Janeiro sono svaniti. Svanito il tatuatore senza nome. Restano sirene africane a sorridere una gioia nera sulla tua pelle bianca. Lascive sorridono dai tuoi seni e tra le tue gambe. “ A chi sorridete così?”, chiedi loro. E gli occhi verdi del tatuatore risorgono come soli.

Davide Cortese

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Red Tweny, A head against the wall

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Poesie come molotov.Intelligenti.Distruttive.Incendiarie.Rivoltose.Armate.Intelligenti.Pronte all’uso.Lanciate per le strade e nelle piazzeper disinfettare, con fuoco intelligente,fascismo & ignoranza,odio & intolleranza.Lanciate per le strade e nelle piazzeper accecare, con fuoco intelligente,l’occhio onnipresente che vigila aguzzino sulla libertà d’esser se stessi nell’esser collettivo.Lanciate per le strade e nelle piazzeper illuminare, con fuoco intelligente,l’orizzonte del buco nero come la peceche il mondo attrae.Poesie come molotov.Intelligenti.Distruttive.Incendiarie.Rivoltose.Armate.Intelligenti.Pronte all’uso.Tutto muoreperché l’ammazziamo,ma l’amor mio non muore;in poesia.

RiotRiot

Poesie di: Pippo Marzulli

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Poesie come molotov.Intelligenti.Distruttive.Incendiarie.Rivoltose.Armate.Intelligenti.Pronte all’uso.Lanciate per le strade e nelle piazzeper disinfettare, con fuoco intelligente,fascismo & ignoranza,odio & intolleranza.Lanciate per le strade e nelle piazzeper accecare, con fuoco intelligente,l’occhio onnipresente che vigila aguzzino sulla libertà d’esser se stessi nell’esser collettivo.Lanciate per le strade e nelle piazzeper illuminare, con fuoco intelligente,l’orizzonte del buco nero come la peceche il mondo attrae.Poesie come molotov.Intelligenti.Distruttive.Incendiarie.Rivoltose.Armate.Intelligenti.Pronte all’uso.Tutto muoreperché l’ammazziamo,ma l’amor mio non muore;in poesia.

Come Circe l’astuto maretesse tele d’inganno

e gli uomini come pesciin esse depongono

volontà celate nel subconscio del pensieroper abbuffarsi come porci

alla mensa dei propri escrementi.È piacevole crogiolarsi

nella menzogna di un buon propositoo nella scusa di volerlo disfare.

Vaghiamo storniin questo mondo lambito dal mare

che cela tesori come orrorientrambi malvisti

perché abbagliati dalla lunache depone opprimente le argentee spoglie

sulle acque immote della memoria.Ricordo a stento chi sono

e da quanto sonoe perché sono

e se sonoin questo mondolambito dal mare.

In questo mondo

lambito dal mare

Poesie di: Pippo Marzulli

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RED

TW

ENY,

BLA

CK

JAC

KET