paola falcioni le porte basaltiche della siria cristiana...

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1 Paola Falcioni Le porte basaltiche della Siria cristiana. Processi di antropizzazione e cartografia del territorio Le porte basaltiche costituiscono certamente un elemento minore nella geografia del sacro della Siria bizantina e tuttavia si rivelano un nodo significativo che aggrega e attraversa piani differenti di lettura: da quello relativo ai processi di antropizzazione del Levante, agli stadi di sviluppo socio- economico tra tardo antico e conquista araba, alla organizzazione monastica ed ecclesiale della cristianità delle origini 1 . Il patrimonio delle porte fino a questo momento rinvenute è costituito da pezzi divelti, mutilati, decontestualizzati. Gli elementi di maggiore pregio stilistico sono stati musealizzati, ma altri sono divenuti chiusure per rustici e ricoveri di animali, oppure, scardinati dalla loro sede originaria, risultano utilizzati ad esempio come gradini di accesso a cortili e orti domestici nei villaggi e nelle campagne. E’ la pratica antica del riciclo dei materiali, che crea una oggettiva difficoltà nel riconoscere i siti e i contesti architettonici di origine. La mappa della localizzazione delle porte basaltiche elaborata da Francesca Severini (Fig.1) e che è parte integrante del Catalogo delle porte basaltiche siriane, costituisce il naturale punto di partenza per un’analisi dei processi di territorializzazione che hanno accompagnato la loro produzione e la successiva storia come manufatto/documento della Siria cristiana 2 . E già questa carta prefigura un primo nodo della ricerca che appare connesso alla esigua minoranza delle porte conservate in situ (Fig. 9). E tuttavia, a dispetto di tale processo di delocalizzazione, proprio la carta in esame disegna sul territorio siriano alcune regolarità, individua lacune e concentrazioni topografiche. Resta infatti escluso tutto il vasto entroterra del paese, che degrada ad oriente e a mezzogiorno verso la Mesopotamia e nel quale l’aridità dominante genera il paesaggio della steppa e del deserto. E’ questo l’orizzonte del nomadismo pastorale e del commercio carovaniero; un dominio a organizzazione tribale, certamente estraneo alle strutture centralizzate dell’ amministrazione romano-bizantina 3 . E’ quella che un geografo contemporaneo, Armand Fremont, il teorico dello spazio vissuto, chiamerebbe la ‘regione fluida’, per contrasto con la regione ‘radicata’, che è l’altra, quella del Levante 4 . Già in epoca ellenistica e romano-bizantina quest’ultimo appariva caratterizzato da una marcata antropizzazione e organizzato entro un tessuto di città sia antiche sia di più recente fondazione; un territorio innervato da una maglia di strade, con una economia agricola matura, da tempo aperta al mercato, anche di lungo raggio; uno spazio governato grazie ad una rete amministrativa sempre più strutturata e funzionale. Ed è all’interno di questa regione che riscontriamo le tracce delle porte basaltiche, non però secondo una distribuzione diffusa ed omogenea. I siti di rinvenimento individuano due specifici distretti: il Massiccio Calcareo e l’Hauran, due ambiti territoriali distanti tra loro. Il primo, dislocato nel nord del paese, si spinge quasi al confine con l’odierna Turchia; l’Hauran è un vasto complesso di 1 Il presente testo riprende, ampliandolo in talune parti, il contributo pubblicato in “Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo”, dal titolo: In margine alla ricerca sulle porte basaltiche siriane. 1. Nota geomorfologica e cartografia del territorio, I, 2006, Spoleto, pp. 353-363. 2 Le carte utilizzate per questo contributo (cfr. figg. 2, 7, 10) sono state realizzate da Paola Salvatori. La fig. 1 è una rielaborazione grafica di F. Severini su base di P. Salvatori. 3 La valle dell’Eufrate ospitava però forme di seminomadismo e colture irrigue, anche se una massiccia sedentarizzazione risale a non prima della metà dell’Ottocento. 4 A. FREMONT, La région, espace vécu, Paris, 1976 ; ed. it. a cura di M.MILANESI, La regione. Uno spazio per vivere, Milano, 1978 . Sul quadro geostorico della Siria in età romano-bizantina cfr. tra l’altro W.BOWERSOCK, Social and Economic History of Syria under the Roman Empire, in J.M.DENTZER, W. ORTHMANN (ed.), Archéologie et Historie de la Syrie. La Syrie de l’ époque achémenide à l’avènement de l’Islam, Saarbrücken, 1989, pp. 63-79; G.TATE, La Syrie à l’époque bizantine: Essai de synthèse, ibid. pp. 97-116 ; T.BAZOU, Les routes romaines de Syrie, ibid. pp. 205-221 ; E. WILL, Les villes de la Syrie à l’époque hellénistique et romaine, ibid. pp. 223-250

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Paola Falcioni Le porte basaltiche della Siria cristiana. Processi di antropizzazione e cartografia del territorio Le porte basaltiche costituiscono certamente un elemento minore nella geografia del sacro della

Siria bizantina e tuttavia si rivelano un nodo significativo che aggrega e attraversa piani differenti di lettura: da quello relativo ai processi di antropizzazione del Levante, agli stadi di sviluppo socio-economico tra tardo antico e conquista araba, alla organizzazione monastica ed ecclesiale della cristianità delle origini1.

Il patrimonio delle porte fino a questo momento rinvenute è costituito da pezzi divelti, mutilati, decontestualizzati. Gli elementi di maggiore pregio stilistico sono stati musealizzati, ma altri sono divenuti chiusure per rustici e ricoveri di animali, oppure, scardinati dalla loro sede originaria, risultano utilizzati ad esempio come gradini di accesso a cortili e orti domestici nei villaggi e nelle campagne. E’ la pratica antica del riciclo dei materiali, che crea una oggettiva difficoltà nel riconoscere i siti e i contesti architettonici di origine.

La mappa della localizzazione delle porte basaltiche elaborata da Francesca Severini (Fig.1) e che è parte integrante del Catalogo delle porte basaltiche siriane, costituisce il naturale punto di partenza per un’analisi dei processi di territorializzazione che hanno accompagnato la loro produzione e la successiva storia come manufatto/documento della Siria cristiana 2. E già questa carta prefigura un primo nodo della ricerca che appare connesso alla esigua minoranza delle porte conservate in situ (Fig. 9). E tuttavia, a dispetto di tale processo di delocalizzazione, proprio la carta in esame disegna sul territorio siriano alcune regolarità, individua lacune e concentrazioni topografiche.

Resta infatti escluso tutto il vasto entroterra del paese, che degrada ad oriente e a mezzogiorno verso la Mesopotamia e nel quale l’aridità dominante genera il paesaggio della steppa e del deserto. E’ questo l’orizzonte del nomadismo pastorale e del commercio carovaniero; un dominio a organizzazione tribale, certamente estraneo alle strutture centralizzate dell’ amministrazione romano-bizantina 3. E’ quella che un geografo contemporaneo, Armand Fremont, il teorico dello spazio vissuto, chiamerebbe la ‘regione fluida’, per contrasto con la regione ‘radicata’, che è l’altra, quella del Levante 4. Già in epoca ellenistica e romano-bizantina quest’ultimo appariva caratterizzato da una marcata antropizzazione e organizzato entro un tessuto di città sia antiche sia di più recente fondazione; un territorio innervato da una maglia di strade, con una economia agricola matura, da tempo aperta al mercato, anche di lungo raggio; uno spazio governato grazie ad una rete amministrativa sempre più strutturata e funzionale. Ed è all’interno di questa regione che riscontriamo le tracce delle porte basaltiche, non però secondo una distribuzione diffusa ed omogenea. I siti di rinvenimento individuano due specifici distretti: il Massiccio Calcareo e l’Hauran, due ambiti territoriali distanti tra loro. Il primo, dislocato nel nord del paese, si spinge quasi al confine con l’odierna Turchia; l’Hauran è un vasto complesso di

1 Il presente testo riprende, ampliandolo in talune parti, il contributo pubblicato in “Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo”, dal titolo: In margine alla ricerca sulle porte basaltiche siriane. 1. Nota geomorfologica e cartografia del territorio, I, 2006, Spoleto, pp. 353-363. 2 Le carte utilizzate per questo contributo (cfr. figg. 2, 7, 10) sono state realizzate da Paola Salvatori. La fig. 1 è una rielaborazione grafica di F. Severini su base di P. Salvatori. 3 La valle dell’Eufrate ospitava però forme di seminomadismo e colture irrigue, anche se una massiccia sedentarizzazione risale a non prima della metà dell’Ottocento. 4 A. FREMONT, La région, espace vécu, Paris, 1976 ; ed. it. a cura di M.MILANESI, La regione. Uno spazio per vivere, Milano, 1978 . Sul quadro geostorico della Siria in età romano-bizantina cfr. tra l’altro W.BOWERSOCK, Social and Economic History of Syria under the Roman Empire, in J.M.DENTZER, W. ORTHMANN (ed.), Archéologie et Historie de la Syrie. La Syrie de l’ époque achémenide à l’avènement de l’Islam, Saarbrücken, 1989, pp. 63-79; G.TATE, La Syrie à l’époque bizantine: Essai de synthèse, ibid. pp. 97-116 ; T.BAZOU, Les routes romaines de Syrie, ibid. pp. 205-221 ; E. WILL, Les villes de la Syrie à l’époque hellénistique et romaine, ibid. pp. 223-250

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origine vulcanica che si allarga a sud oltre la frontiera con l’attuale Giordania. Siamo in presenza di due fisionomie territoriali sensibilmente diverse tra loro e tuttavia associate dalla molteplicità di porte basaltiche rinvenute.

Fig. 1. La localizzazione delle porte basaltiche nello spazio siriano

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IL ‘DESERTO MONASTICO’ SIRIANO

Tale fenomeno consiglia alcuni brevissimi richiami sul processo di diffusione del cristianesimo in

Siria, ovviamente con attenzione ai risvolti territoriali del fenomeno. La localizzazione delle porte basaltiche presenta infatti strette analogie con l’area interessata da quella particolare espressione del monachesimo siriano che fiorì nei secoli IV e V e che è il fenomeno degli stiliti e dei reclusi. E’ noto che l’intero movimento monastico siriano, sia eremitico che cenobitico, si inquadra in quel clima di fervore religioso che seguì la fine delle persecuzioni cristiane. Occorre ricordare a questo proposito il dualismo che solcava il mondo della cristianità siriana e che alimentava una distinzione - e perfino una contrapposizione - tra le chiese e il clero legati alla gerarchia metropolita-patriarca-vescovo, insediati nelle città, e, dall’altro lato, la fioritura di esperienze monastiche, di orientamento monofisita, nelle campagne; una circostanza da tener presente di fronte all’emergere di tante porte basaltiche in alcuni distretti rurali5. Questi erano 5 C’è oggi sufficiente concordanza nell’ammettere le origini autonome del monachesimo siriano rispetto a quello coevo egiziano. Secondo Teodoreto di Ciro la sua culla sarebbe stata Edessa,

Fig. 2. Stiliti e reclusi nella Siria bizantina

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certamente più congeniali alla vita cenobitica, essendo agricoltura e allevamento fonte di sussistenza per la comunità, ma anche alle diverse forme di ascetismo anacoretico 6. In particolare i reclusi e gli stiliti esprimevano una proposta di estremo rigore, segnata certamente da una influenza di matrice stoica. Era un ‘vivere il deserto’, ma in assenza di un reale deserto geografico, come accadeva invece nel monachesimo egiziano, che aveva visto il proliferare di esperienze anacoretiche lungo i margini della valle del Nilo, in particolare nella Tebaide 7.

E dunque in Siria lo si ricreava artificiosamente sulla sommità di una colonna o nel chiuso di una torre, strutture minimali, che tuttavia erano radicate e immerse in un contesto segnato da forte antropizzazione e all’interno di una società che, per quanto rurale, mostrava in quel tempo perfino segni di opulenza. Si tratta dunque di una forma di segregazione sociale, almeno per taluni aspetti, e non topografica. In tale contesto si assiste ad una forma di coesistenza, addirittura un rapporto dialettico, tra vita cenobitica e anacoretica. Spesso insomma gli uomini delle chiese e dei monasteri, gli stiliti e i reclusi intrecciavano le loro storie e costituivano un comune riferimento per i fedeli e i pellegrini. Per questo motivo la carta relativa ai siti interessati dal fenomeno degli stiliti e dei reclusi (Fig. 2) - che è stata elaborata sulla base degli studi e della documentazione cartografica realizzati dai Padri Francescani P. Castellana, I. Peña e R. Fernandez - pur nella stretta selettività del tema, sembra in grado di mediare all’interno dell’universo della religiosità e offrirci, in qualche misura, una topografia del sacro dello spazio siriano in età bizantina. Essa appare dunque evocativa dei probabili siti di alloggio delle porte basaltiche 8. Ma al di là di tale mediazione, resta l’esempio di una delle porte decorate che si è conservata in situ a Gerade, ed è tuttora parte integrante della torre del recluso 9 (Fig. 3). In questo caso porta e torre appaiono associate in modo inequivocabile entro l’originario contesto e in un rapporto che appare peraltro, data la natura del manufatto, più simbolico che funzionale.

nel bacino dell’alto Eufrate, oggi in Turchia con il nome di Şanli Urfa. Di lì avvenne la rapida diffusione nella Siria settentrionale, nelle regioni di Antiochia, Chalcis, Apamea, Cyrrhus, Zeugma e Harran. Cfr. PEÑA I., CASTELLANA P., FERNANDEZ R., Les cénobites syriens, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Minor, 28, Milano, 1999; P.CANIVET, Le christianisme en Syrie des origines à l’avenènement de l’Islam, in J.M.DENTZER, W. ORTHMANN (ed.), Archéologie et historie de la Syrie. La Syrie de l’ époque achéménide à l’avènement de l’Islam, Saarbrücken, 1989, pp. 117-148 ; J.A. MOLINA GOMEZ, El monacato cristiano en Syria. Introducción problemas y propuestas, in A. GONZÁLEZ BLANCO, G. MATILLA SÉIQUER (ed.), Romanización y cristianismo en la Siria mesopotamica, Murcia, 1998, pp. 379-397. 7 Per un breve riferimento ai criteri di localizzazione dei siti monastici cfr. P. FALCIONI, A. PIETRANGELI, Il «Convento Rosso» e il suo territorio: alle origini di un sito monastico, in B. MAZZEI (a cura di), Progetto pilota Deir el Ahmar Deir Anba Bishoi «Convento Rosso», Roma, 2004, pp. 119-127. 8 In oltre trent’anni di minuziose ricognizioni nell’area centrale del Massiccio Calcareo i Padri hanno prodotto un inventario archeologico dei siti del sacro che va ad integrare le diverse ricerche sulle villes mortes avviate dal De Vogüé a metà dell’Ottocento. Cfr. M. DE VOGÜÉ, Syrie Centrale. Architecture civile et religieuse du Ie au VIIe siècle, 2 voll., Paris, 1865-77. 9 Il villaggio fa parte del Jébel Zāwiyé, nel Massiccio Calcareo.

Fig. 3. La torre del recluso a Gerade (foto D. Renzulli )

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IL MASSICCIO CALCAREO E LE VILLES MORTES

Fig. 4. L’attuale paesaggio del Massiccio Calcareo. Doline e polje ospitano sul fondo, ricoperto di terra rossa, oliveti e piante della flora mediterranea (foto P. Falcioni).

E’ questa la prima delle due aree ad alta concentrazione di porte basaltiche e di siti sacri.

L’immagine attuale del territorio è quella di un paesaggio a tratti brullo e desolato, che si sviluppa con una sequenza di ripiani e colline le cui sommità si attestano sui 3-500 metri spingendosi fino ai 7- 800 nel Jébel Zāwiyé. Si tratta di una unità morfo-strutturale che si leva al di sopra delle piane di Antiochia e di Chalcis, allungandosi in forma tentacolare con diverse propaggini (Jébel Sim’an, Halaqa, Baricha, A’la, Doueili, Wastani, Zāwiyé). Ma sostanzialmente il complesso ha uno sviluppo meridiano che si distende in senso nord-sud per circa 130 km ed è caratterizzato da una forte identità geologica e tettonica per la presenza di un substrato di natura calcarea ed una idrografia superficiale intermittente e periferica. Il territorio, intensamente fratturato e percorso da linee di faglia, è formato per lo più da horst (blocchi emergenti) e fosse tettoniche fortemente carsificati, ricchi di doline e piccole polje, sul cui fondo è sedimentata la terra rossa prodotta dalla ossidazione dei sali di ferro lasciati in situ dalla dissoluzione del carbonato di calcio (Fig 4) 10. In questo paesaggio a dominanza carsica compare solo una marginale espansione lavica localizzata in una delle propaggini meridionali (Jébel Wastani)11.

10 E. WIRTH, Syrien. Eine geographische landeskunde, Darmstadt, 1971; P. SANLAVILLE, Le Moyen-Orient arabe. Le milieu et l’homme, Paris, 2000, p. 96 ; G. TATE, Les campagnes de la Syrie du nord du IIe au VIIe siècle, I, Paris, 1992, pp. 195-201. 11 I. PEÑA, P. CASTELLANA, R. FERNANDEZ, Inventaire du Jébel Wastani, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Minor, 36, Milano, 1999.

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Fig. 5. La campagna brulla e petrosa del Massiccio Calcareo (foto P. Falcioni). Un siffatto ambiente sembrerebbe decisamente congeniale a forme di anacoresi monastica.

Questa sorta di deserto roccioso (Fig. 5), con la sua morfologia rotta e compartimentata, la scarsa accessibilità dall’esterno, specialmente dalla sottostante vallata dell’Oronte che fiancheggia il Massiccio ad occidente, potrebbe apparire il contesto di elezione per un monachesimo aspro e rigoroso. In realtà l’attuale paesaggio carsico ha conservato per secoli, e rivela oggi, tracce di una splendida antropizzazione che gli archeologi fanno risalire proprio al periodo tardo-romano e bizantino12 (Fig. 6).

Fig. 6. Le villes mortes. Andron a Serğilla, Jébel Zāwiyé (foto D. Renzulli)

12 In complesso si tratta del periodo tra il II e l’VIII secolo, ma il fenomeno divenne particolarmente significativo durante i secoli IV-VI. Cfr. G. TATE, 1992, pp. 273-242.

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A partire dalle indagini pioniere del De Vogüé la ricerca archeologica ha portato alla luce il fenomeno delle villes mortes che si stagliano con i loro ruderi in una sorta di paesaggio fossile. George Tate poco più di un decennio fa dava una stima di ben settecento villaggi antichi, dislocati sui diversi ripiani carsici, molti totalmente abbandonati, altri parzialmente rioccupati in tempi recenti, a partire dalla metà dell’Ottocento13. Siamo in presenza di un tessuto insediativo composto quasi esclusivamente da nuclei e centri agricoli a sviluppo spontaneo, ma certamente gerarchizzati sul territorio per una diversa caratura demografica e funzionale. Gli edifici datano a partire dai secoli II e III e proprio per la loro vicenda di agri deserti costituiscono ancora - malgrado il progressivo smantellamento dei ruderi e l’asportazione dei materiali da parte della popolazione locale - un archivio di informazioni estremamente interessanti ai fini di una rivisitazione critica della situazione delle campagne nella Siria bizantina, avendo conservato tracce che altrove (ad esempio nella vicina piana vulcanica di Chalcis) sono andate cancellate per la ininterrotta occupazione del suolo 14.

A ben riflettere, la localizzazione geografica di questo complesso calcareo, avrebbe potuto prefigurare per quest’area un destino di relativa marginalità, tanto più ricordando la tendenziale aridità superficiale dei suoli calcarei. Il Massiccio risulta infatti circondato da poli urbani periferici e ad esso esterni, centri di primaria grandezza a cominciare da Antiochia, antica sede patriarcale - ma vanno ricordate anche Aleppo, Chalcis, Apamea - tutti insediati all’interno di fertili pianure e capaci dunque di intercettare a proprio vantaggio le dinamiche di sviluppo del territorio. Nella realtà, il dato archeologico, cioè il ritrovamento di un patrimonio insediativo che appare di notevole pregio architettonico, la grande quantità di frantoi per la produzione di olio e per la lavorazione del vino, danno del Massiccio l’immagine di un distretto agricolo prospero ed evoluto, legato alle classiche colture mediterranee e all’allevamento, ma in particolare alla grande olivicoltura praticata come monocoltura specializzata, una agricoltura di mercato gestita dalla grande proprietà, a sua volta frazionata sulla base di un contratto enfiteutico 15. Si tratta di un distretto che in età bizantina ha vissuto più cicli di espansione demografica ed edilizia (IV-VI sec.) e in cui, dopo la conquista araba del VII secolo, una serie di meccanismi involutivi ha prodotto un esodo della popolazione verso le piane sottostanti, l’abbandono della economia agricola e infine la desertificazione dell’area. Sulle cause e sulle dinamiche di tale processo il dibattito è ancora aperto, ma l’evidenza archeologica e la memoria delle fonti letterarie sono concordi nel documentare un processo di dilavamento e di asportazione del suolo, non più trattenuto dalla copertura arborea16.

Ma ciò che più interessa in questo contesto sono le tracce di quei luoghi della religiosità cristiana che sono rimaste sul terreno tra i ruderi delle dimore padronali e degli edifici pubblici. La carta che localizza gli insediamenti e i siti sacri nella parte centrale del Massiccio (Fig. 7) indica intenzionalmente con un unico simbolo la presenza - che spesso è compresenza - di chiese, monasteri, torri dei reclusi e colonne degli stiliti17. Essa disegna in tal modo una ‘topografia del

13 G. TATE, 1992, in particolare a p.1; pp. 203-226 14 Come conferma anche M. GRIESHEIMER, Cimetières et tombeau des villages de la Syrie du Nord, in Syria, LXXIV (1997), pp. 165-211, cfr. la nota a p. 166 15 TATE 1992, p. 3 ; O. CALLOT, Huileries antiques de Syrie du Nord, Paris, 1984 16 Le testimonianze vanno dal parziale interrimento subito dagli edifici localizzati nelle piane interne, ad alcune gradinate incise su pareti rocciose e che partono da un livello più alto dell’attuale; agli antichi terrazzamenti a secco abbandonati; alle fonti arabe del XII secolo che raccontano di fitti oliveti, piante di fico, di pistacchio e altra frutta; cfr. I. PEÑA, P. CASTELLANA, R. FERNANDEZ, 1999, in part. p. 56. Sulla problematica resta fondamentale G. TATE 1992 (cfr. pp. 287-295) nel quale vengono formulate ipotesi in parte alternative a quelle avanzate da Tchalenko (cfr. G. TCHALENKO, Villages antiques de la Syrie du Nord, Paris, 1953). 17 La mappa in questione costituisce una ‘esplosione’ grafica della fig 2, infatti rappresenta il territorio corrispondente al rettangolo in quest’ultima evidenziato. E’ stata realizzata sulla base delle carte elaborate dai Padri Peña, Castellana e Fernandez e raccolte negli ‘inventari’ archeologici relativi ad alcuni Jébel del Massiccio: PEÑA I., CASTELLANA P., FERNANDEZ R., Inventaire du

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Fig. 7. Insediamenti e siti sacri di età bizantina nel Massiccio Calcareo centro- settentrionale

Jébel Baricha, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Minor, 33, 1987; PEÑA I., CASTELLANA P., FERNANDEZ R., Inventaire du Jébel el –A’la, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Minor, 31, Milano, 1990; PEÑA I., CASTELLANA P., FERNANDEZ R., Inventaire du Jébel Wastani, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Minor, 36, Milano, 1999; PEÑA I., CASTELLANA P., FERNANDEZ R., Inventaire du Jébel Doueili. Recherches archéologiques dans la région des Villes Mortes de la Syrie du Nord, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Minor, 43, Milano, 2003. Occorre precisare che la mappa in esame è ancora, in questa fase di avvio della ricerca, ad un primo stadio di elaborazione; su di essa andranno operate ulteriori verifiche di dettaglio, anche con riferimento alla più appropriata traslitterazione dei toponimi originali, in lingua araba, e per i quali si è fatto esclusivo riferimento alla fonte principale.

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sacro’ dalla cui lettura emerge intanto la fedele corrispondenza tra i siti religiosi e le comunità di villaggio. La ricerca effettuata da Ignace Peña nel Jébel Baricha individuava 61 villaggi e 63 conventi con una presenza stimata di circa 780 monaci e 42 anacoreti 18. Solo alla periferia del Massiccio alcuni degli insediamenti civili non risultano associati a luoghi di culto cristiano. Ma ancora più rilevante è la sensibile rarefazione delle tracce del fenomeno monastico nelle aree estreme a nord e a sud, costituite dal Jébel Sim’an e dal Jébel Zāwiyé, che per tale motivo è stato per gran parte escluso dalla rappresentazione cartografica. Ambedue sono aree non ancora coperte da specifiche campagne di rilevamento archeologico dei Padri Peña, Castellana e Fernandez. E tuttavia la mappa mostra significativi punti di concordanza con quella relativa alle chiese con bèma elaborata da Tchalenko, che considera il Massiccio nella sua interezza. Insomma, una esplorazione archeologica esaustiva dell’area, a completamento di quelle già effettuate, potrebbe meglio evidenziare le articolazioni dei siti religiosi e fornire sotto questo profilo un quadro complessivo del Massiccio.

LA REGIONE VULCANICA DELL’ HAURAN

Fig. 8. Edilizia rurale nei villaggi dell’Hauran (foto P. Falcioni)

Anche questa è una unità paesaggistica fortemente strutturata, ma di natura diversa. Si tratta di un complesso vulcanico che ad oriente si trova a contatto diretto con il deserto siro-mesopotamico, e dunque con il commercio carovaniero e il nomadismo pastorale con cui ha sempre vissuto fasi alterne. Più difficile è l’accesso al Mediterraneo, mentre una via romana lo connetteva facilmente a Damasco. Al suo interno la regione appare articolata in tre ambienti geografici distinti. A sud una serie di coni vulcanici, oggi spenti, si spingono fino a quasi 1.800 metri nel Jébel Druze. Pur essendo inserito in un contesto semiarido, la sua mole è in grado di intercettare i venti umidi di provenienza mediterranea che assicurano almeno 3-400 mm di pioggia all’anno e un sistema di sorgenti, spesso perenni, nelle aree pedemontane circostanti. A nord-est si apre una distesa di campi di lava - è l’Hauran propriamente detto – con colate antiche e dunque degradate e trasformate in fertile humus. Infine a nord-ovest si stende il tavolato basaltico della piana di Lejā, un basamento di lave recenti, che hanno reso sterile e inospitale una campagna tradizionalmente percorsa da pastori e da briganti, e i cui villaggi sorgono preferibilemente lungo i margini

18 Ovvero 3,8 monaci per kmq. Cfr. PEÑA I., CASTELLANA P., FERNANDEZ R., 1999, pp. 31-32.

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dell’altopiano19. In ogni caso il vulcanesimo impronta fortemente sia il substrato fisico, per gli affioramenti lavici più o meno alterati, sia il paesaggio antropico. Il basalto viene infatti comunemente utilizzato sia per l’edilizia rurale (Fig. 8) sia per i muretti a secco che attraversano le campagne, destinate all’allevamento, alla cerealicoltura e al vigneto. Anche l’Hauran, come il Massiccio Calcareo, presentava, già prima della sua annessione alle province romane, un insediamento costituito da villaggi e da alcuni centri urbani periferici - Bosra in primo luogo - con funzioni amministrative, militari e commerciali. Il degrado attuale del territorio non dà certo la misura della sua antica prosperità. Nel paesaggio sono infatti rimaste tracce di muretti e terrazzamenti, sentieri, cisterne, i segni dell’antica parcellizzazione, impronte di una occupazione del suolo più intensa, ampia e compatta di quella attuale. Una relativa vitalità del sistema territoriale locale si è protratta anche in età bizantina quando, dalla seconda metà del IV secolo, la pressione dei nomadi venne a combinarsi con la nascita di monasteri di credo monofisita, impegnati sia nella loro conversione sia a sostegno di una società e una economia rurale in difficoltà 20. Nel medioevo le carovane in pellegrinaggio da Damasco alla Mecca transitavano ancora per Esra e sostavano nella vicina Bosra, per visitare la moschea della cammella (Al-Mabraq). L’insicurezza davanti alle incursioni dei nomadi Anazah 21 e lo spostamento ad ovest della via dei pellegrini sono probabilmente due delle cause che hanno innescato un processo di abbandono di alcune aree del massiccio. Le ragioni e le modalità di tale fenomeno restano ancora poco esplorate, ma sembra che esso si sia protratto almeno fino alla fine del XVII secolo, quando il trasferimento di gruppi di Drusi dal vicino Libano ha avviato una prima fase di ripopolamento dell’area.

Siamo in presenza di una regione che, come il Massiccio Calcareo, ha conosciuto una stagione di prosperità in età classica e bizantina e un susseguente lungo stadio di eclissi e di spopolamento, anche se dovuti a fattori differenti 22. E di nuovo, come ci ricorda l’immagine della porta rinvenuta in situ nel villaggio di Mahla (Fig. 9) torna l’attenzione sulla particolare rilevanza numerica delle porte basaltiche, disperse sul territorio o musealizzate. Una consistenza che per l’Hauran appare legittimata, almeno sotto il profilo della materia prima, dalla diffusa presenza nella regione di espandimenti lavici e conseguentemente di cave di basalto (Fig. 10).

19 Per la regione dell’Hauran cfr. i diversi contributi raccolti in DENTZER J.M. (ed.), Hauran I. Recherches archéologiques sur la Syrie du sud à l’époque hellénistique et romaine, Paris, 1985 ; e inoltre M. SARTRE, Villes et villages du Hauran (Syrie) du Ier au IVe siècle, in E. FRÉZOULS (ed.), Sociétés urbaines, sociétés rurales dans l’Asie Mineure et la Syrie héllenistiques et romaines, Strasbourg, 1987, pp. 239-257. 20 Cfr. F.VILLENEUVE, L’économie rurale et la vie des campagnes dans le Hauran Antique (Ier siècle av. J.-C. – VII e siècle ap. J.-C.). Une approche, in DENTZER J.M. (ed.), 1985, pp. 63-136. 21 Solo dopo la I guerra mondiale essi sono stati sedentarizzati. 22 Come riconosceva già G. Tate, 1992, cfr. p. 344.

Fig. 9. Una delle porte basaltiche rinvenute in situ. Villaggio di Mahla, Hauran (foto P. Falcioni)

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Fig. 10. Aree basaltiche e calcaree in Siria

INTERROGATIVI APERTI E PROSPETTIVE DI RICERCA La sistematica decontestualizzazione del patrimonio delle porte basaltiche rinvenute sul

territorio della attuale Siria e la complessità del processo che ne ha determinato la creazione-fruizione-delocalizzazione impongono un percorso investigativo in gran parte su base indiziaria. Alcuni interrogativi sono affiorati già sulla base della semplice cartografazione dei fenomeni considerati e sono stati sopra esplicitati. Altri interrogativi restano aperti, a partire dalla individuazione delle cave di basalto utilizzate per le porte del Massiccio Calcareo. E, all’interno della medesima regione, si evidenzia un altro momento di indagine, sollecitato dallo sfasamento topografico tra i siti che si riferiscono alle porte basaltiche (di fatto il Jébel Zāwiyé) e per contro l’area di proliferazione dei luoghi del sacro, che prende sviluppo più a nord.

Ma in un’ottica più complessiva, con riferimento ad ambedue le regioni qui considerate, ci si chiede in qual modo i processi di sviluppo socio-economico della fase romano-bizantina si sono intersecati e intrecciati con le dinamiche di un radicamento religioso-monastico che sembrano disegnare uno spazio sacro all’interno del quale il linguaggio simbolico delle porte e dei segni astratti scolpiti nelle formelle raccontano i valori ultimi di una civiltà sotto questo profilo ancora da decifrare. Resta dunque, come progetto investigativo di lungo termine, la ricostruzione, da sviluppare con ottica sistemica, dei processi storico-territoriali che hanno generato e configurato il fenomeno delle porte basaltiche della Siria cristiana, una microrealtà che tuttavia si colloca nel punto di intersezione tra strutture ambientali, processi socio-economici e dinamiche religioso-culturali.