orazio satire

12
Satire di Orazio: analisi e commento sintetico Libro I, satira I Questa satira proemiale introduce i temi fondamentali della poetica oraziana: - problema della scontetezza di ogni uomo che non è mai soddisfatto della propria sorte e invidia sempre gli altri; - tutti si affaticano, si affannano e affrontano pericoli per avere una vecchiaia tranquilla (il poeta espone il concetto di insoddisfazione facendo ricorso ai vari mestieri dell’uomo e sottolineando che tutti si lamentano dei disagi delle loro occupazioni e invidiano quelle degli altri: i mercanti che viaggiano in lungo e in largo, i soldati che combattono, gli esperti di diritto che devono pensare alla loro attività anche quando sono a casa, i contadini che sgobbano nei campi); - dialogo con l’avaro (figura comica cara a Orazio al quale il poeta chiede quid iuvat accumulare argento e oro senza mai fermarsi?): l’avaro è colui che riempie i propri granai e le proprie casse senza guardare in faccia nessuno, è un uomo che vive come un poveraccio, non mangia, non si veste bene, si fa odiare da tutti (Scooge, zio Paperone) - est modus in rebus : ricerca della giusta misura, metriotes, della fuga dagli eccessi; - polemica contro la ricchezza ed il lusso: Sallustio. Libro I, satira IV Eupolis atque Cratinus Aristofanesque poetae Atque alii, quorum comoedia prisca virorum est… Incipit famoso nel quale Orazio si ricollega direttamente ai poeti che la critica ellenistica aveva incluso nel canone dei massimi commediografi arcaici greci. Il costume di bollare con la poesia i vizi risale,dunque, alla commedia antica ateniese. Ad essa si riattacca direttamente Lucilio Hinc omnis 1 pendet Lucilius, hosce secutus mutatis tantum pedibus numerisque 2 , facetus, emunctae naris 3 , durus componere versus. Nam fuit hoc vitiosus: in hora saepe ducentos, Ut magnum, versus dictabat stans pede in uno 4 . Cum flueret lutulentus 5 , erat quod tollere velles; Garrulus atque piger scribendi ferre laborem 6 , Scribendi recte… Da qui deriva per intero Lucilio, costoro seguì, mutando solo metri poetici e numeri, garbato, di fiuto sottile, duro a comporre versi. 1 Predicativo. 2 Nella sua opera prevalse l’esametro che divenne metro canonico della satira. 3 “Di naso ben pulito”. 4 Metafora, quindi vale “in modo trasandato”. 5 Aggettivo usato già in epoca alessandrina da Callimaco che così accusò il rivale Apollonio, paragonandolo ad un fiume che ha ampia corrente ma trascina con sé molte sozzure. 6 Labor limae, di matrice catulliana e neoterica.

Upload: no-panic

Post on 18-Jan-2016

12 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

Satire di Orazio: Analisi e commento sintetico

TRANSCRIPT

Page 1: Orazio Satire

Satire di Orazio: analisi e commento sintetico

Libro I, satira I

Questa satira proemiale introduce i temi fondamentali della poetica oraziana: - problema della scontetezza di ogni uomo che non è mai soddisfatto della propria sorte e invidia sempre gli altri; - tutti si affaticano, si affannano e affrontano pericoli per avere una vecchiaia tranquilla (il poeta espone il concetto di insoddisfazione facendo ricorso ai vari mestieri dell’uomo e sottolineando che tutti si lamentano dei disagi delle loro occupazioni e invidiano quelle degli altri: i mercanti che viaggiano in lungo e in largo, i soldati che combattono, gli esperti di diritto che devono pensare alla loro attività anche quando sono a casa, i contadini che sgobbano nei campi); - dialogo con l’avaro (figura comica cara a Orazio al quale il poeta chiede quid iuvat accumulare argento e oro senza mai fermarsi?): l’avaro è colui che riempie i propri granai e le proprie casse senza guardare in faccia nessuno, è un uomo che vive come un poveraccio, non mangia, non si veste bene, si fa odiare da tutti (Scooge, zio Paperone) - est modus in rebus: ricerca della giusta misura, metriotes, della fuga dagli eccessi; - polemica contro la ricchezza ed il lusso: Sallustio. Libro I, satira IV Eupolis atque Cratinus Aristofanesque poetae Atque alii, quorum comoedia prisca virorum est… Incipit famoso nel quale Orazio si ricollega direttamente ai poeti che la critica ellenistica aveva incluso nel canone dei massimi commediografi arcaici greci. Il costume di bollare con la poesia i vizi risale,dunque, alla commedia antica ateniese. Ad essa si riattacca direttamente Lucilio Hinc omnis1 pendet Lucilius, hosce secutus mutatis tantum pedibus numerisque2, facetus, emunctae naris3, durus componere versus. Nam fuit hoc vitiosus: in hora saepe ducentos, Ut magnum, versus dictabat stans pede in uno4. Cum flueret lutulentus5, erat quod tollere velles; Garrulus atque piger scribendi ferre laborem6, Scribendi recte… Da qui deriva per intero Lucilio, costoro seguì, mutando solo metri poetici e numeri, garbato, di fiuto sottile, duro a comporre versi.

1 Predicativo. 2 Nella sua opera prevalse l’esametro che divenne metro canonico della satira. 3 “Di naso ben pulito”. 4 Metafora, quindi vale “in modo trasandato”. 5 Aggettivo usato già in epoca alessandrina da Callimaco che così accusò il rivale Apollonio, paragonandolo ad un fiume che ha ampia corrente ma trascina con sé molte sozzure. 6 Labor limae, di matrice catulliana e neoterica.

Page 2: Orazio Satire

In questo infatti fu difettoso: in un’ora, spesso, 200 versi, come (fosse) grande impresa, buttava giù stando su un solo piede. Fluendo come (fiume) melmoso, vi era pur qualcosa che avresti voluto togliere. Loquace e insofferente nel sopportare la fatica dello scrivere, dello scrivere bene… Orazio si ricollega a Lucilio per quanto riguarda l’attenzione all’individuo e i suoi limiti ma ne prende anche le distanze: nella poesia ci vogliono gusto e labor limae: l’età neoterica non era passata inutilmente. Orazio non aspira alla fama, ma non aspira neppure a essere messo fra i poeti: per la poesia vera e propria ci vuole una specie di ispirazione divina, sublimità di tono e lui, invece vuole comporre delle conversazioni alla buona, non lontane dalla lingua di tutti i giorni: Primum ego me illorum dederim quibus esse poetis, exceperam numero… Per prima cosa io mi toglierò dal numero di coloro ai quali concedo di essere poeti Ingenium cui sit, cui mens divinior atque os magna sonaturum, des nominis huius honorem… A chi possegga ingenio, a chi una mente più che divina e una bocca destinata a sublimare cose grandi, a costui devi concedere l’onore di questo nome… Il metro non basta a far poesia, ci vuole ingenium et mens divinior: la poesia satirica non vuole essere poesia vera e propria, è un modo di formare la coscienza morale e migliorare l’uomo. La sua satira non è malignità o bassa maldicenza, ma è una forma di ascesi morale. Questa via di miglioramento gli fu indicata dal padre: Liberius si Dixero quid, si forte iocosius, hoc mihi iuris Cum venia dabis: insuevit pater optimus hoc me, Ut7 fugerem exemplis vitiorum quaeque8 notando. Cum me hortaretur parce, frugaliter atque Viverem ut9i contentus eo quod mi ipse parasset. Se troppo francamente Dirò qualcosa, se per caso qualcosa di troppo scherzoso, questo diritto Con indulgenza lo concederai: mi ha abituato a questo l’ottimo padre A fuggire i vizi facendomeli notare con gli esempi. Esortandomi a vivere parcamente, con frugalità E contento di ciò che egli mi aveva procurato. Il padre gli è stato maestro di saggezza prima dei filosofi e a questo è riconoscente, perché i suoi vizi non sono gravi. In questa ottica mette in scena, nelle satire, una folla di personaggi insignificanti con la funzione paradigmatica di exemplum volti ad elaborare un modello etico positivo. 7 Dichiarativa 8 Regge vitiorum: a fuggire ciscuno dei vizi 9 Dichiarativa introdotta da hortaretur

Page 3: Orazio Satire

Ogni sera fa una specie di esame di coscienza e di bilancio della giornata. La poesia satirica è, quindi, luogo della ricerca morale e, quindi, riduzione della vis e dell’aggressività di Lucilio. - illustra i suoi modelli letterari (tra cui Lucilio) - chiarisce i suoi canoni stilistici (brevitas e compostezza formale) - scrive satire per la constatazione dei vizi che affligono la Roma del suo tempo, ma non con

intento fustigatorio, ma con bonarietà e pacatezza. Libro I, satira VI Il tema dominante della satira è la difesa di un mondo di valori veri, in cui l’uomo si eleva con le proprie capacità ed i propri sforzi. Questo mondo di valori ha la sua concretezza nel circolo di Mecenate. La satira è un’espressione di gratitudine sincera senza ombra di servilismo, verso il protettore ed amico (che ha valutato i meriti personali più importanti dei natali). Ma più ancora commossa è l’espressione di gratitudine per il padre (libertino10 patre natum) che lo guidò nel mondo con i suoi umili sforzi. E’ una satira più autobiografica delle altre, nella quale la riflessione generale diventa strettamente personale: vv. 45 e seg. Nunc ad me redeo libertino patre natum…ecc Ora ritorno a parlare di me, nato da padre liberto, di me che tutti denigrano (rodunt) per essere nato da padre liberto, e adesso lo fanno perché, o Mecenate, io sono tuo commensale; un tempo perché, col grado di tribuno, a me prestava ubbidienza una legione di Roma. Ma questo caso è diverso dal precedente: può essere che qualcuno a buon diritto mi invidi la carica, ma anche che tu mi sia amico, giacchè sei molto avveduto nel trascegliere persone degne, del tutto estranee all’arrivismo. Considerarmi fortunato11 per questo, cioè di averti avuto in sorte come amico per puro caso non potrei: Virgilio, un giorno, e dopo di lui Vario, ti dissero che tipo di uomo io fossi. Quando fui alla tua presenza pronunciai poche parole balbettando; un reticente ritegno mi impediva di dire di più: e ti raccontai non di essere nato da padre illustre, non di viaggiare intorno ai miei poderi con un cavallo satureiano, bensì ciò che io ero. Tu mi rispondi poche parole come è tua abitudine: io mi congedo; tu mi richiami dopo 9 mesi E mi inviti a essere nel numero dei tuoi amici. Questo è il merito di cui mi vanto: di essere piaciuto a te Che ben sai distinguere l’uomo degno dall’uomo spregevole, non perché nato da padre illustrissimo, ma perché di costume e cuore candido. Eppure12 se la mia indole è viziata da pochi e mediocri vizi, come se in un bel corpo tu notassi sparsi nei,

10 Liberto, schiavo affrancato. 11 “Felicem dicere non hoc me possim”:l’amicizia di Mecenate è un successo che Orazio deve alle sue qualità, al suo carattere: se fosse un dono del caso, non gli procurerebbe la stessa gioia. 12 Tu non ti sei mai preoccupato di sapere chi fosse mio padre, ed hai ragione. Ma io devo a mio padrre altre cose, che non la nobiltà dei natali: la formazione del mio carattere. Il merito dell’integrità morale la attribuisce al padre di cui ricorda l’affetto, la saggezza e la dignità.

Page 4: Orazio Satire

se nessuno, parlando con schiettezza mi rinfaccerà avidità, grettezze, volgari stravizi; se candido, incolpevole e candido io vivo e caro agli amici al punto da inorgoglirmene: di questo fu causa mio padre13… Le figure che dominano questa satira sono tre: Mecenate, il padre di Orazio, Orazio stesso. Il legame con la diatriba è qui più tenue ma non è del tutto assente: l’affermazione della propria indipendenza, l’irrisione della nobiltà di nascita erano già nella tradizione diatribica: si narrava che Bione di Boristene al re Antigono Gonata che gli domandava chi fosse e di che città, rispondeva che era figlio di uno schiavo furfante e di una meretrice e concludesse”������ �� �� ����”, “Giudica me da me stesso”. Questa perenne lotta tra il falso valore della nascita e il vero valore individuale Orazio lo ha vissuto sempre per tutta la vita. La satira si concentra tutta sul lato positivo del mondo oraziano, sulla serenità e la gioia che gli dà la sua saggezza.

13 Causa fuit pater his

Page 5: Orazio Satire

Libro I, satira 9 Mi trovavo a passeggiare lungo la via Sacra, come è mia abitudine, non so quali bazzeccole meditando, tutto assorto in quelle; Mi corre incontro un tale, noto a me soltanto di nome, e presa la mano: “Come va, o più caro tra le cose?” “Bene, per adesso” dico “e ti auguro ogni bene”. Continuando a venirmi dietro:” Desideri qualcosa?” lo prevengo. Ma quello: “Mi conoscerai” disse “ Sono un letterato”. E io: “di più per questo” dissi “varrai per me”. Disperatamente cercando di stacarmi, procedevo ora più in fretta, talvolta mi fermavo, nell’orecchio dicevo non so cosa allo schiavo, mentre il sudore fino in fondo alle calcagna scorreva: “ O beato te, Bolano, che hai la testa calda!”, dicevo tra me e me, mentre quello cinciava di qualunque cosa, lodando le vie, la città. Poiché a quello nulla rispondevo: “Desideri ardentemente “ disse “andertene: da un po’ lo vedo; ma non ce la fai, fino all’ultimo ti tratterrò; ti seguirò. Di qui dove ora sei diretto?”. “ Non c’è bisogno che tu faccia un giro così lungo: voglio far visita ad un tale che non conosci; lontano oltre il Tevere giace malato, quasi vicino agli orti di Cesare”. “Non ho nulla da fare, e non sono pigro: fino là ti seguirò”. Abbasso le orecchie come un asinello di animo scontento quando ha dovuto sobbarcarsi sul dorso un carico troppo pessante. Incomincia quello: “Se so vlutarmi bene, non stimerai di più come amico Visco o Vario: infatti chi è capace di scrivere più versi e più velocemnte di me? Chi (è capace) di danzare con più molle eleganza? Io canto ciò che anche ermogene potrebbe invidiare”. Questo era il momento di interromperlo: “Non hai una madre, un parente che abbiano bisogno che ti conservi in buona salute?”. “Li ho sepolti tutti”. “ Fortunati! Ora resto io. Finiscimi: infatti mi pende sul capo un triste destino, che una vecchia Sabina14 mi predisse da piccolo, agitando l’urna profetica: - Costui non veleni funesti né una spada nemica uccideranno, né un dolore al fianco, né una tosse né una lenta podagra; un un garrulo costui lo sfinirà prima o poi: dai chiacchieroni, se ha cervello, si tenga lontano, non appena sarà adulto-. Si era giunti presso il tempio di Vesta, ormai era trascorsa la quarta parte del giorno e per fortuna doveva comparire in tribunale avendo versato una cauzione, cosa che, se non avesse fatto, avrebbe perso la somma depositata. “Per favore, disse, assistimi qui un momento” “Possa io morire se ho la forza di stare in piedi o mi intendo di diritto. Mi affretto dove sai”. “Sono in dubbio su che cosa fare” disse “se lasciare te o la causa”. “Me, per favore”. “Non lo farò” (disse) quello E cominciò ad andare innanzi. Io, poiché è dura litigare con il vincitore, lo seguo. “Mecenate in che rapporti è con te?”.

14 Orazio, esasperato, esprime parodicamente la propria morte per opera di un chiacchierone come gli fu predetto da una Sabina

Page 6: Orazio Satire

Da qui riattacca. “E’ di pochi uomini e di mente ben assennata”. “Nessuno in modo più abile si è servito della fortuna. Avresti un grande aiutante che potrebbe farti da spalla, se volessi introdurre questo uomo. Possa io morire se non avresti già fatto fuori tutti”. “Non in questo modo viviamo là, come tu immagini. Non c’è casa più pulita di questa né più estranea a questi mali. Non mi sento per nulla danneggiata, te lo dico, perché questo è più ricco o più dotto: ognuno ha il suo posto”. “Dici una gran cosa, a mala pena credibile”. “E Così è”. “Mi spingi a desiderare di essergli Ancora più vicino”. “Purchè tu lo voglia: col valore che hai (est) Lo espugnerai, ed è uomo che può essere vinto e per questo Ha feddi i primi approcci”. “Non verrò meno a me stesso: corromperò i servi con doni, se oggi sarò messo alla porta, non mi darò per vinto, cercherò le occasioni, accorrerò nelle strade, lo accompagnerò. Nulla senza grande sforzo la vita dà ai mortali”. Mentre dice queste cose, ecco Fusto Aristio accorre, a me caro e che conosceva Bene quello. Ci fermiamo. “Da dove vieni?” e “dove vai?” domanda e risponde. Comincio a tirare la toga, e a tastare con la mano le inerti braccia, facendo cenni, distorcendo gli occhi, affinchè mi strappi (dal guaio). Malamente spiritoso, ridendo finge di non capire, il mio fegato brucia di bile. “Certamente dicevi di voler parlare con me di non so cosa in segreto” “ me ne ricordo bene, ma te lo dirò in un momento migliore: oggi è il trentesimo sabato: vuoi tu offendere i Giudei circoncisi?” “Per nulla, dico, ho di queste superstizioni. “ma io sì: sono un po’ meno sicuro, uno fra i tanti: mi perdonerai, un’altra volta te lo dirò”. Questa giornata così nera è spuntata per me! Fugge il furfante e mi lascia sotto il coltello. Per caso viene incontro a quello l’avversario e “Dove fuggi, tu, o svergognatissimo?” a gran voce urla e “vuoi farmi da testimone?” davvero io pongo l’orecchio. Lo trascina a giudizio: clamore da ogni parte da ogni parte corsa. Così mi salvò Apollo Satira vivacissima che rappresenta un carattere fuori dal tempo: il secccatore, lo scocciatore sciocco e presuntuoso che non si arrende mai. Il valore della satira risiede nella composizione dei dialoghi (andamento teatrale) e nelle scelte linguistiche aderenti al parlato; inoltre il ritmo rapido e incalzante coinvolge il lettore nello stato d’animo di oppressione in cui viene a trovarsi Orazio. Il componimento è caratterizzato dalle immagini proprie dell’assalto e dell’attacco fisico: per esempio. Il prendere la mano che, con l’uso di arripio (= afferrare, impossessarsi di) diventa un tentativo di catturare l’avversario. La satira si articola alternando dialoghi e veri momenti di suspance = parodia epica e ironia.

Page 7: Orazio Satire

Libro II satira VI (traduzione dal verso 79, il resto bene in italiano) Hoc erat in votis15: modus agri non ita magnus, hortus ubi et tecto vicinus iugis aquae fons et paulum silvae super his foret. auctius atque di16 melius fecere. bene est. nil amplius oro, Maia nate, nisi ut propria haec mihi munera faxis. 5 si neque maiorem feci ratione mala rem nec sum facturus vitio culpave minorem, si veneror stultus nihil horum 'o si angulus ille proximus accedat, qui nunc denormat agellum!' 'o si urnam argenti fors quae mihi monstret, ut illi, 10 thesauro invento qui mercennarius agrum illum ipsum mercatus aravit, dives amico Hercule!', si quod adest gratum iuvat, hac prece te oro: pingue pecus domino facias et cetera praeter ingenium, utque soles, custos mihi maximus adsis. 15 ergo ubi me in montes et in arcem ex urbe removi, quid prius inlustrem saturis musaque pedestri? nec mala me ambitio perdit nec plumbeus auster autumnusque gravis, Libitinae quaestus acerbae. Matutine pater, seu Iane libentius audis, 20 unde homines operum primos vitaeque labores instituunt—sic dis placitum—, tu carminis esto principium. Romae sponsorem me rapis: 'eia, ne prior officio quisquam respondeat, urge.' sive aquilo radit terras seu bruma nivalem 25 interiore diem gyro trahit, ire necesse est. postmodo quod mi obsit clare certumque locuto luctandum in turba et facienda iniuria tardis. 'quid tibi vis, insane?' et 'quam rem agis?' inprobus urget iratis precibus, 'tu pulses omne quod obstat, 30 ad Maecenatem memori si mente recurras.' hoc iuvat et melli est, non mentiar. at simul atras ventum est Esquilias, aliena negotia centum per caput et circa saliunt latus. 'ante secundam Roscius orabat sibi adesses ad Puteal cras.' 35 'de re communi scribae magna atque nova te orabant hodie meminisses, Quinte, reverti.' 'inprimat his cura Maecenas signa tabellis.' dixeris: 'experiar': 'si vis, potes,' addit et instat. septimus octavo propior iam fugerit annus, 40 ex quo Maecenas me coepit habere suorum in numero, dumtaxat ad hoc, quem tollere raeda vellet iter faciens et cui concredere nugas hoc genus: 'hora quota est?' 'Thraex est Gallina Syro par?' 'matutina parum cautos iam frigora mordent', 45

15 Votum: desiderio. 16 La villetta era un dono di Mecenate, ma Orazio ne ringrazia più gli dei che i potenti (ma è evidente che l’espressione è un modo di dire).

Page 8: Orazio Satire

et quae rimosa bene deponuntur in aure. per totum hoc tempus subiectior in diem et horam invidiae noster. ludos spectaverat, una luserat in campo: 'fortunae filius' omnes. frigidus a rostris manat per compita rumor: 50 quicumque obvius est, me consulit: 'o bone—nam te scire, deos quoniam propius contingis oportet—, numquid de Dacis audisti?' 'nil equidem.' 'ut tu semper eris derisor.' 'at omnes di exagitent me, si quicquam.' 'quid? militibus promissa Triquetra 55 praedia Caesar an est Itala tellure daturus?' iurantem me scire nihil mirantur ut unum scilicet egregii mortalem altique silenti. perditur haec inter misero lux non sine votis: o rus, quando ego te adspiciam quandoque licebit 60 nunc veterum libris, nunc somno et inertibus horis ducere sollicitae iucunda oblivia vitae? o quando faba Pythagorae cognata simulque uncta satis pingui ponentur holuscula lardo? o noctes cenaeque deum, quibus ipse meique 65 ante Larem proprium vescor vernasque procacis pasco libatis dapibus. prout cuique libido est, siccat inaequalis calices conviva solutus legibus insanis, seu quis capit acria fortis pocula seu modicis uvescit laetius. ergo 70 sermo oritur, non de villis domibusve alienis, nec male necne Lepos saltet; sed, quod magis ad nos pertinet et nescire malum est, agitamus, utrumne divitiis homines an sint virtute beati, quidve ad amicitias, usus rectumne, trahat nos 75 et quae sit natura boni summumque quid eius. Cervius haec inter17 vicinus garrit anilis18 ex re fabellas. siquis19 nam laudat Arelli20 sollicitas ignarus opes, sic incipit: 'olim rusticus urbanum murem mus21 paupere22 fertur23 80 accepisse cavo, veterem vetus24 hospes amicum, asper et attentus quaesitis, ut25 tamen artum solveret hospitiis animum. quid multa? neque ille sepositi ciceris nec longae invidit avenae, aridum et26 ore ferens acinum semesaque lardi 85 frusta dedit, cupiens varia fastidia cena vincere tangentis male singula dente superbo,

17 anastrofe 18 aniles 19 Si aliquis 20 Ricco proprietario della zona 21 chiasmo 22 iperbato 23 Costruzione personale 24 poliptoto 25 consecutivo 26 anastrofe

Page 9: Orazio Satire

cum pater ipse domus palea porrectus in horna esset27 ador loliumque, dapis meliora relinquens. tandem urbanus ad hunc "quid te iuvat" inquit, "amice, 90 praerupti nemoris patientem vivere dorso? vis tu28 homines urbemque feris praeponere silvis? carpe viam, mihi crede, comes, terrestria quando mortalis29 animas vivunt sortita30 neque ulla est aut magno aut parvo leti fuga: quo, bone, circa31, 95 dum licet, in rebus iucundis vive beatus, vive memor, quam sis aevi brevis." haec ubi32 dicta agrestem pepulere33, domo levis exsilit; inde ambo propositum peragunt iter, urbis aventes moenia nocturni subrepere. iamque tenebat 100 nox medium caeli spatium34, cum ponit uterque in locuplete domo vestigia, rubro ubi cocco tincta super lectos canderet vestis eburnos multaque de magna superessent fercula cena, quae procul exstructis inerant hesterna canistris. 105 ergo ubi purpurea porrectum in veste locavit agrestem, veluti succinctus cursitat hospes continuatque dapes nec non verniliter ipsis fungitur officiis, praelambens omne quod adfert.35 ille cubans gaudet mutata sorte bonisque 110 rebus agit laetum convivam, cum subito36 ingens valvarum strepitus lectis excussit utrumque. currere per totum pavidi conclave magisque exanimes trepidare, simul domus alta Molossis personuit canibus. tum rusticus: "haud mihi vita 115 est opus hac" ait et "valeas: me silva cavosque tutus ab insidiis tenui solabitur ervo."' Questo era nei (miei desideri): un pezzo di campo non tanto grande, Dove fossero un giardino e una fonte di acqua perenne vicino alla casa, E oltre a ciò un po’ di alberi. Di più E di meglio fecero gli dei. E’ andata bene. Non chiedo nulla di più, O figlio di Maia, se non che tu stabili renda per me questi doni. Se non che non ho mai reso maggiore il patrimonio con mezzi disonesti, Nè ho intenzione di renderlo minore con il vizio o la colpa,

27 Imperfetto congiuntivo di edo. 28 Formula colloquiale di invito. 29 Mortales. 30 Participio passato di sortior 31 Quo…circa = tmesi per quocirca 32 Anastrofe. 33 Perfetto sincopato di pello. 34 Inizia qui una evidente parodia epica: le imprese notturne sono quelle più temerarie e audaci (di notte agiscono Ulisse e Diomede per l’inganno del cavallo, di notte si svolge l’episodio di Eurialo e Niso, poi di notte abbiamo visto anche i combattimenti in Ariosto). 35 Nelle corti e nelle case delle persone molto ricche c’è uno schiavo, detto praegustator, il cui compito specifico era di assaggiare le vivande prima di metterle in tavola. 36 Dalla serena e contemplativa immobilità del rusticus si passa improvvisamente all’agitazione parossistica dell’agguato dei cani: il brusco cambiamento di tono è sottolineato dagli infiniti descrittivi che denotano l’intensità dell’affanno nella ricerca della via di fuga.

Page 10: Orazio Satire

Se è vero che non ti rivolgo da stolto nessuna di queste preghiere: “oh, se quel lembo (di terra) confinante si aggiungesse (alla mia proprietà), che ora rende irregolare il mio campicello! Oh, se una qualche sorte mi mostrasse un’urna di argento, come quel tale che, Scoperto un tesoro, lavorando a mercede, arò quel campo quel campo dopo averlo comprato, ricco per favore di Ercole!” se ciò che possiedo mi rende soddisfatto, con questa preghiera ti chedo: Rendi al padrone pingue il gregge e tutto il resto tranne L’ingegno, e come sei solito, sii per me sommo custode. Dunque, dopo che da Roma mi ritirai sui monti e sulla rocca, Che cosa di più dovrei cantare con le satire e con la musa in prosa? Non mi manda in rovina una funesta ambizione, nè un afoso Austro Nè un autunno malsano, fonte di guadagno per la funebre Libitina. O tu padre del mattino, o se preferisci essere chiamato Giano, Dal quale gli uomini danno inizio alle prime fatiche della loro vita (così è gradito agli dei), tu sarai il l’argomento primo del mio canto A Roma mi trascini a forza come garante: “suvvia, Sbrigati perchè nessuno prima di te si presenti alla chiamata”. Sia che il vento del nord spazzi la terra, sia che il solstizio invernale con più stretto giro Faccia presto tramontare un giorno nevoso, è d’obbligo mettersi in cammino. Subito dopo, dopo aver detto a voce chiara e decisa ciò che potrebbe nuocermi, Devo fare a pugni con la folla e devo fare violenza ai lenti. “che vuoi, pazzo?” e “Cosa fai?” un maleducato mi investe Con rabbiose imprecazioni,”tu rovesceresti tutto ciò che ti ostacola, Se corri con la mente fissa a Mecenate”. Questo mi fa piacere, mi è dolce come il miele, non mentirò. Ma non appena si giunge al Fosco Esquilino, nei miei pensieri e da ogni parte irrompono 100 affari altrui. “roscio ti prega di dargli assistenza domani, prima della seconda ora presso il puteale”, “gli srbi ti pregano, o Quinto, di rammentarti di tornare oggi per una questione importante e nuova, di comune interesse”, “fa’ in modo che Mecenate metta il suo sigillo su questi Documenti”. Mettiamo che tu dica “ci proverò” “se vuoi, puoi” aggiunge e insiste. Il settimo anno, quasi l’ottavo sarà trascorso, da quando Mecenate ha incominciato a considerarmi dei suoi, unicamente per questo, perchè vuole prendermi in carrozza Quando fa un viaggio e (avere) a chi confidare sciocchezze Di questo tipo: “che ora è? Il tracio Gallina può affrontare Sirio? Ormai i freddi mattutini pungono chi non sta abbastanza attento” E altre cose che si dispongono bene su un orecchio pieno di fessure. Per tutto questo tempo, di giorno in giorno, di ora in ora, il nostro fu soggetto All’invidia. Aveva osservato i giochi con Mecenate? Aveva giocato (con lui) nel campo Di Marte? “figlio della fortuna” tutti dicevano. Dai rostri si diffonde per i crocicchi di Roma una notizia che raggela. Chiunque mi venga incontro mi consulta: “o caro, è naturale che tu lo sappia perchè sei Vicino agli dei: forse sai qualcosa dei Traci?” “Per nulla” “Come hai sempre voglia di scherzare!” “ma che tutti gli dei mi perseguitino se so quacosa!” “E che? Cesare ha intenzione di distribuire i poderi promessi ai veterani in Sicilia o in Italia?” E mentre io giuro di non sapere nulla mi guardano come l’unico uomo al mondo (dotato) di straordinario e profondo silenzio. Va sprecata tra queste cose da me misero la giornata non senza preghiere: O campagna, quando ti rivedrò e quando mi sarà concesso Ora con le opere degli antichi, ora nel sonno e nelle ore tranquille Assaporare il piacevole oblio di una vira assillante? Oh, quando mi saranno

Page 11: Orazio Satire

Servite a tavola le fave parenti di Pitagora e insieme un po’ di verdura condita con pingue lardo? Oh, notti e cene celesti, dove io e i miei amici mangiamo davanti al sacro focolare! E gli schiavi impertinenti nutro con i cibi appena assaggiati! Come a ciascuno piace, un commensale scola diverse tazze, libero da leggi Sciocche, oppure uno, forte bevitore, Prende coppe di vino forte, oppure un altro, più moderatamente, si inumidisce la gola con vino leggero. Dunque nasce la chiacchierata, non riguardo alle ville o alle case altrui, Nè se Lepore danzi bene o male; ma discutiamo su ciò che ci riguarda e che è un male non sapere, se gli uomini sono felici per ricchezze o per virtù, che cosa ci spinga All’amicizia, se l’utilità o l’onestà, quale sia la natura del bene e quale il bene sommo. Il vicino Cervio, tra questi discorsi, racconta favole delle nonne Adatte all’occasione. Ad esempio, se qualcuno di poca esperienza loda le travagliose Ricchezze di Arellio, così incomincia: “si racconta che una volta un topo campagnolo Abbia accolto nella sua povera tana un topo di città, come un vecchio ospite accoglie Un vecchio amico, lui scontroso e attento ai guadagni, ma tuttavia tale da aprire l’animo ai Doveri dell’ospitalità. A cosa (servono) tante parole? E infatti quello Non risparmiò ceci messi da parte e avena lunga, Portandoli con la bocca e offrì chicchi di uva passa e pezzi di lardo rosicchiati, desideroso di vincere con la varietà della cena la schizzinosità Dell’ospite che toccava di mala voglia le singole portate con dente sprezzante, Mentre lo stesso padrone di casa, disteso su paglia fresca, mangiava Farro e loglio, lasciando i bocconi migliori. Alla fine il topo di città disse a questo: “che piacere provi, o amico, a vivere di stenti sul dorso di un bosco dirupato? Vuoi preferire alle selvagge selve gli uomini e la città? Mettiti in strada, credimi, in mia compagnia, dal momento che gli esseri terrestri vivono avendo avuto in sorte esistenze mortali e non c’è alcuna fuga di morte nè per il potente nè per il povero. Perciò, caro, Finchè è lecito, tra cose piacevoli vivi beato, vivi ricordando quanto sia breve la vita”. Allorchè tali parole covinsero il campagnolo, lieve dalla tana saltò fuori; poi Ambedue percorrono il viaggio concordato, desiderosi di strisciare di notte Lungo le mura della città. Ormai la notte occupava tutto il cielo, quando entrambi Pongono piede in un ricco palazzo, dove sui divani di avorio splendeva Una coperta tinta di rosso scarlatto E della grande cena erano rimasti molti avanzi che dal giorno prima erano in disparte dentro colmi canestri. Dunque come (il topo di città) ebbe sistemato il campagnolo su una coperta di porpora, L’ospitante, come se avesse la veste tirata su, corre di qua e di là e rinnova le portate e secondo i modi di uno schiavo di casa adempie agli stessi doveri, assaggiando tutto ciò che porta. Quello sdraiato gioisce della mutata sorte e, in mezzo a tante buone cose, fa la parte del lieto commensale, quando all’improvviso un grande strepito Di porte li fece balzare giù entrambi dal divano. Corrono impauriti per tutta la stanza e, ancora di più, senza fiato, trepidano, non appena la grande casa risuona di cani molossi. Allora il campagnolo: “non ho bisogno di questa vita” dice e “stammi bene: il bosco e la tana sicura dalle insidie mi renderanno appagato”. Asse sintagmatico: Ora che ha avuto in dono la villetta sabina con un po’ di terra, Orazio è felice e non chiede null’altro a Mercurio, il suo protettore, ma solo che conservi intatti i doni che ha già. Che cosa canterà, ora che si è ritirato in campagna? Innanzitutto canterà la gioia di essersi

Page 12: Orazio Satire

liberato della città: la fiatica di alzarsi presto anche in inverno perchè hai da fare il garante per qualcuno; il fare a pugni con la folla per passare; le raccomandazioni di coloro che credono che Orazio abbia una grandissima influenza presso Mecenate e che conosca tutti i segreti di stato (al contrario, Mecenate non ama le chiacchiere e parla con lui di cose senza importanza). Tra tante seccature Orazio anela alla campagna come alla felicità lontana fatta di gioie semplici: le cene con i vicini, le conversazioni sulla virtù, sul sommo bene, sull’amicizia. Può accadere che il vicino Servio illustri la sua morale con una favoletta, per esempio quella del topo di campagna e di città, che dimostra come i beni semplici, goduti nella tranquillità della campagna siano mlto superiori al fasto, tormentato dall’inquietudine e dal pericolo, della vita di città. Commento: Il tema sostanziale della satira è la antitesi città/campagna: Roma, in cui pochi anni prima Orazio riusciva a isolarsi nella sua meditazione morale e nella sua poesia, ora che è divenuto personaggio noto e troppo amico dei potenti, non gli concede più nessuna calma nè gioia. Il poeta è infastidito dalla folla petulante, insofferente verso coloro che lo invidiano e desidera solo una vita qiueta e tranquilla. Ora la serenità e la saggezza saranno da ricercare in campagna. L’introduzione della favola rientra nei canoni della diatriba, come anche il topos dell’abbandono della città. Al genere favolistico (Esopo) si riaggancia il gusto profondamente moraleggiante: il lusso e l’abbondanza costano forse troppo cari. Il tono della favola è scherzoso, la premessa ironicamente riduttiva nel richiamare le storielle delle nonne, ma la morale è profonda: l’incipit (olim) situa la vicenda in un mondo atemporale, ma nei versi successivi il richiamo all’attualità romana è preciso: la vasta e opulenta casa, i beni di lusso, i mobili raffinati, i cani di pregio (i molossi erano grossi cani dell’Epiro, apprezzati come cani da guardia) ci indicano che il riferimento è ai grandi ricchi di Roma. Il contrasto si gioca tutto nell’antitesi tra il cibo povero offerto da rusticus e il raffinatissimo ed elegante ambiente urbano: Orazio dà umanità ai due animaletti, conferendo all’uno il carattere dell’accorta parsimonia, all’altro lo snobismo dei cittadini.