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Notulac I — Ancora sul papiro berlinese di Tirteo. Dei ii) versi discretamente conscrvati di questo papiro, edito per la prima volta dal Wilamowitz (i), sono state proposte finer a restituzioni complete dal Gercke (2J, dal Sitzler (3) e da me (4). Ritengo ora necessário rîtornare su qualche punto. Nel v. g 'pîi.r.1, ti&ï ô' fatk y\y.zy. %xh<. il Diehl trova inammissibile (perchù la contrassegna con un punto esclama- tivo) la lezione ^st*)[W]> proposta dal Gercke e da me accettata. Eppure, nella mia memoria io avcvo già potuto, valendomi délia raccolta del Croenert(5), citare non poclii esempi di erro- née inserzioni, nei papiri, delTiota acritto appunto in forme di ottativi e próprio nelTottativo ï'-a. Gome prima parola del pentametro propongo ora: -jv//.^-y.z. Nel v. ID, dove il Wilamowitz, da me seguito, aveva scritto: l'Allen ((">} propone di correggere ptwÉw m fmpr/it. Si traita di un i-Kcã, tîçnpèvw supposto dal dotto come «Tonic sister to /*%*'»», (1) "Sitzungsber. d. kô'n. Preuss. Akad. d. Wiss.» 1018. pp. 728 ss. (2) '-Hermes- (icjzi), pp- 346 ss. (3) «Philol. Wochenschrift» 45 (ig^5), et. 27 ss. (4) ' Rivista Indo-Greco-ltalica» x (19*6), pp. i83 ss. Si veda anche Romagnoli, 1 Pocti Lirici, iv (Bologna IQ33). pp. 71 ss; Diehl, Anthologie Lyricã 1 2 pp. 6 ss. e Supplcmentum (1942), p. 1. (5) Memoria graeca kercuLviemis (Lipsiae i»>o3), pp. 44 e 27S. V. la mia memoria, p. 188. (6) «Revue de Philologie»» nj34, p. jj^S.

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Page 1: Notulac - Universidade de Coimbra€¦ · lica, in quanto riproducevano sulla scena con viva semplicità e (ine analisi psicológica non le vicende fatali di divinità ed eroi, ma

Notulac

I — Ancora sul papiro berlinese di Tirteo.

Dei ii) versi discretamente conscrvati di questo papiro, edito per la prima volta dal Wilamowitz (i), sono state proposte finer a restituzioni complete dal Gercke (2J, dal Sitzler (3) e da me (4). Ritengo ora necessário rîtornare su qualche punto.

Nel v. g 'pîi.r.1, ti&ï ô' fatk y\y.zy. %xh<. il Diehl trova inammissibile (perchù la contrassegna con un punto esclama-tivo) la lezione st*)[W]> proposta dal Gercke e da me accettata. Eppure, nella mia memoria io avcvo già potuto, valendomi délia raccolta del Croenert(5), citare non poclii esempi di erro­née inserzioni, nei papiri, delTiota acritto appunto in forme di ottativi e próprio nelTottativo ï'-a. Gome prima parola del pentametro propongo ora: -jv//.^-y.z.

Nel v. ID, dove il Wilamowitz, da me seguito, aveva scritto:

l'Allen ((">} propone di correggere ptwÉw m fmpr/it. Si traita di un i-Kcã, tîçnpèvw supposto dal dotto come «Tonic sister to /*%*'»»,

(1) "Sitzungsber. d. kô'n. Preuss. Akad. d. Wiss.» 1018. pp. 728 ss. (2) '-Hermes- 5ô (icjzi), pp- 346 ss. (3) «Philol. Wochenschrift» 45 (ig^5), et. 27 ss. (4) ' Rivista Indo-Greco-ltalica» x (19*6), pp. i83 ss. Si veda anche

Romagnoli, 1 Pocti Lirici, iv (Bologna IQ33). pp. 71 ss ; Diehl, Anthologie Lyricã 12 pp. 6 ss. e Supplcmentum (1942), p. 1.

(5) Memoria graeca kercuLviemis (Lipsiae i»>o3), pp. 44 e 27S. V. la mia memoria, p. 188.

(6) «Revue de Philologie»» nj34, p. jj^S.

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266 VITTORIO DK FALCO

rebucke. This may be concealed in Hesychius UMUJOíí- iiiutyu;, se. y.Mp. aí». Per eliminare la dilFicolta di una voce che pur si legge una volta presso Empedoclc, l'Allen ricorre ad una parola non attestata altrove, di cui il significato non si accorda bene con tutto il brano. In realtà, come lia visto il Gerckc, pcvîr, corrisponde alTomerico aay.jucvi/;, ncl senso di rittoria derivata dalla resisten^a, e opportunamente il lYaenkel (1) aveva ricor-dato x 2 5(j xi jtey iu.ci Zrùç 8£wrs x.zu.y.cvir,v e $ uV>o & õè » A~c/Àw O'or; y^ufjioviriv. II poeta, a mio avviso, nun potendo scrivere x.ap.[xcvirli per il metro, trovo una via di uscita considerando il sostantivo come composto (xotit-pcvin) e usando la voce sem-pl ice.

Nel v. i i ]v y.ci):f,i7' zv-ivi ^zlzyzvci l'Allen supplisce y.'Aí?j-j richiamandu per il senso Tirteo fr. 8, 23 s. e per la parola Aristofane, Nuvole 981 è 1018. Tale integrazîone non può essere accolta per parecchi motivi. Innanzi tutto, la voce non è di uso omenco, anzi non è attestata prima di Aristofane, dove, per di piii, è molto probabilmente lezione corrotta(2); mentre è noto (3), ed io credo di aver chiaramente messo in rilievo, che Tirteo adopera sempre locu/.ioni omeriche. Nè basta: x/ri/r,]v non è sufliciente nè per Io spazio (la lacuna com­porta selte leltere (4) ), nè per la métrica, chè war» táurnv ZQT.íIK yçzlzuzvoi non è un pcntametro (manca una sillaba).

Xella mia restituzione io avevo cos) completato il distico:

Y.zt -/açc-clvi léovcrij'j icv/.i-i; voj/jy; îM\J.î:J

^upyr/3c]y, 'tourna zardcn yçz'izuzvoi.

Per i! confronte; con varii luoghi omerici avevo anche pensato ad un'altra integrazione :

/.ai yocç,tmcï<Ti VZOVGL]V îîOCôTîC Í0è CTJÍTiJCJ

^xivr,\y.ï]v AT),.,

( I ) «Sitzungsber. d. phil. Verein* zu Berlin Sokraies» rgiS, p. 3('>t>. (3) V. P. Tnielschcr, «Philol. Wochenschr.» 19^7, c. aS'5 s.: l'cmenda-

mento yùx-' proposto dal Thielschcr mi sembla telicissimo, (3) V. Wilamowitz, o. c , p. 734 (4) V. il mio articolo, p 190.

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NOTUI.AE -67

ma avevo rinunziato a lale proposta perche l'esortativo Satv^cv non è prettamente omerico.

Ora, in un papiro contenente un ur^Vïi/jta antimacheo, edito dal Vogliano(i), è stato scoperto un breve (Vammento delia Smirneide di Mimnerno:

v,[il%]v v.;í/./)t[a «l'jrrttxt sc^çau/ívíi.

Il Vogliano avverte che il papiro consente anche altre inte-grazioni, oltre Y.IíZV, e cioè /i[wa:>]v oppure ijVrtt/sjv.

Il confronto tra Mimnermo e Tirteo è evidente; il De Marco afferma che la «coincidenza non autorizza a supporre imita-zione da parte di uno dei due»; ma io ritengo che imitazione ci sia: si puô 0 col Vogîiano cont'essare che non sappiamo chi dei due sia l'imitatore, oppure col Dichl credere che Mimnermo abbia desunto t u t l o il verso da Tirteo. Tutio il verso o solo le tre parole sicuramente tramandate, Yatk-mv w-rii ^xlúaí-joil Anche questa seconda ipotesi è, a mio avviso, possibile; e in tal caso la restituzione già da me proposta dei dístico di Tirteo potrebbe essere mantenuta. Il Diehl, invece, sulla base del pentametro di Mimnermo preíerisce supporre un «í|SBí 0 sim. nel pentametro di Tirteo: ma Tinsieme di tutto il Irammento e in particular modo il v. 13 sembrano escluderc In Tirteo la possibilita di un verbo in 3:i pers. plût. Kd allora, se davvero il verbo iniziale del pentametro era i! medesimo in ambedue i poeti, si puù, prclerendo hcm%e» in Mimnermo, scrivere in 'Tirteo:

/.OLL -///.cor.zïGi ïèc-j?ip ieixcTc.: r,\ok croirai

Ho già detto clic alTinizio del pentametro la lacuna è di sette lettere: ma non si pua perciù esclud^re vni/rwj, perché Tiota occupa pochissimo spazio.

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2Ô8 VITTORIO DE KA t.CO

Il ^-Menandro, Epitrepontes, v. i4<):

La collocazione délie parole è assai singolare : stranissimo davvero è che oxt sia posto alla fine delia frase, quando, invece, serve ad introdurre Voggettiva --z^éxvixi T ^ ' / ' . ^ J ; . Per quanto riguarda, poi, la frase stessa, occorre pure osservare che Sirisco, il quale non conosce affatto Smicrine ma gli parla ora per la prima volta, non può certo sapere che il vecchio ha assistito a rappresentazioni tragiche, può soltanto supporlo. Tutto si spiega nel modo seguente: Sirisco comincia dicendo Hai visto tragedie, con Tinten/ione di aggiungere subito un parentetico come credo o qualcosa di simile; ma poi, nel timoré che la dubbiosa riserva possa suonar offensiva a Smicrine e predi-sporlo in suo sfavore, procede ad un'affermazione recisa e ai come credo sostituisce çî&*,

III — Menandro, Epitrepontes, vv. 241-2:

uùîTsar $17. TOUTí Tzxvxa vuvi 'jtUtzxy.i. • •

I commentatori (Wilamowitz, Coppola, ecc.) rilevano che qui Menandro prende in giro la mania degli Ateniesi per i processi. Di avviso contrario è, invece, il Festa (1), il quale osserva che con queste parole, che chiudono un atto, il carbo-naio ateniese agli occhi degli spettatori di quei tempi deve essere apparso come oggi ai lettori dei Promessi Sposi appare, alia fine di un capitolo, Renzo Tramaglino che dice: « . . . ma in ogni caso saprò farmi ragione, o farmela fare. A questo mondo c'è giustizia finalmente»

Ma è difficile pensare che nei due versi non ci sia una certa ironia, che voglia colpire, col garbo caratteristico di Menandro,

(1) "Dioniso» vi (jcj38), 217 ss.

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NOTULAE 26g

la passione del popolo ateniese per i procès si. Taie cunvinci-mento è ribadito da un esame stilistico. 1 na ditïeren/.a tra la frase di Sirisco e quella di Ren/.o Tramaglino è data dal tono générale délia prima in contrasto col riferimento particolare délia seconda: Renzo dice «saprò far//// r agio ne, o far///ela lare.» ; Sirisco omette il soggetto. I commentatori osservano che corne soggetto di uih-dcv è sottinteso ïiii a cui si riferisce y.i)ùi.~u-jT.y.. Ora , è vero che in Menandro si potrebbe avère lomissione di ï^i, la quale si spiegherebbe (non mancano esempi analoghi è ancora più arditi: v. Epitr. v. >S) corne un solecismo delia lingua parlata; ma io credo che si tratti di altro. l/omissione del soggetto dipende, a mio avviso, dal desiderio dei poeta di dare alla frase un signiticato générale e non solo specifico. Evidentemente Sirisco parla di se, ma non lo dice appunto perche vuole riferirsi non solo a se ma a tutti: nella vita di oggi occorre che si trascurino tutti i propri affari e ci si dedichi solo aile cause; tutto ora si salva hm rmtti. propria a causa di c/ò. Arbitrariamente si è voluto correg-gere TC-JT: ta TSVTCU: Menandro ha scritto TCVTî perché con lo accusative ha voluto meglio porre iu rilievo la sua irónica allusionc: i processi costituiscono non tanto il mezzo quanto addirittura il motivo dei S";>£*3rSr»t r.y.-j-?.. E viva etlicacia con-íerisce alia frase anche il susseguirsi dei due iota òZM-V/.?..

che richiamano 1'attenzione próprio sul motivo e sul momento attuale.

IV — Menandro, Epitrepontes, v. 314.

in un mio lavoro giovanile, a propósito di Menandro e Teocrito, ebbi occasione di s c r i ve r e ( i ) : «lmita/ioni singole dei commediografo ateniese io non credo che siano state finora avvertite dagli studiosi neglidilli dei Siracusano; ma è ovvio che quesfultimo nella composizione dei suoi idilli, riprodu-zione drammatica e popolare delia semplice vita campestre, tenesse presenti le commedie dei maggiore rappresentante delia vËa, di lui contemporâneo e di appena una trentina d'anni più

(1) Suindillio dcciwo di Teocrito (Napoli i'j' 3). p. i5 s.

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2J0 YITTOKIO DE PALCO

anziano, tanto più che esse bcn convenivano alia poesia bucó­lica, in quanto riproducevano sulla scena con viva semplicità e (ine analisi psicológica non le vicende fatali di divinità ed eroi, ma la vita quotidiana di uomini comuni» (i), e rilevai la stretta, evidente- aflinità che il dialogo ira Oeta e Daos neir "HfWí di Menandro présenta con quello fra Mi lone e Buceo allinizio dellidillio decimo di Teocrito.

Credo ora dl poter segnalare un altro confronto. Negli Epitrépontes^ Abrotono, narrando i particolari dei-

1..-incidente occorso alia fanciulla, ancora non identiticata, nella festa, dice (vv. 3l(í ss,): «Klla, mentre era là con noi, si allontanò; poi, all'improvviso, piangendo, ritorna di corsa, sola, strappandosi i capelli, col bcllissimo e fine abito di Taranto, o numi, completamente rovinato; chè era divenuto tutto un cencio», c/cv yy.ç iyiyivn pobecç (2).

Orbene. in un idillio, che fa parte delia raccolta teocritea e che, sebbene sia stato riconosciuto spurio, è sotto la diretta influenza teocritea, — il dialogo tra una fanciulla e il pastore Dafni (xxvii)—, quando quest'ultimo si fa ardito e spinge la fanciulla nel fosso, ella cosi protesta (v. 53):

'íúlhu íIZ àp.ãcav juiô Jtai v.\xa~a X&M p.aivst;.

Anchella dunque — come Abrotono in Menandro — pensa soprattutto alia rovina dei vestito. E quando, come dice Dami, i cipressi si bisbigliano fra loro il compimento delle nozze fra i due, la fanciulla esclama (v. by): ?á$tirç£ôv$v r.cir,7x; zt.zv ix/.zz.

Kitroviamo qui la stessa frase, lo stesso movimento dei v. 314 degli Epitrepontes; onde mi appare assai verisimile che Tignoto autore dell'idillio abbia tenuto presente la scena menandrea.

(1) Cfr. anche Rostagni. Poeti Alessaitdrini (Torino 1916), p. yt> s. (2) Qucsia scena é staia da me aiudiz/utn nçi miei Stuái sal Teatro

Greco (Napoli 1943). p. siy.

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NOTULAE 27 /

V — Ps. Mosco, Megara, vv. 84 .ss.

A questi versi:

fzei òè/.oí {iryxz IV.7U.VCJ

irctv '/.at Trip T' $££iv mv, h//ji -j-i r,-xz' iyy*>-7<z. Mi u£ r.-j).xz-y.c vyyïcv vr/at'/zV Xi&wfôoç'

il Legrand(i) annota: «l iera , par jalousie et pour que son protège Euristheus naquit avant Héraclès, avait prolonge la grossesse d'AIcmène et rendu ses couches diiliciles». Eviden­temente da iota íjvjzi egli ha dedotto che la dea abbia prolun-gato il periodo délia gesta/.ione; ma taie rilievo è inesatto. Corne dimostra il v. S7, il poeta parla solo delia diiticoltà del parto e dei suui dolorosi travagli; con òív.a pwz c* indicato il periodo n o r m a l e delia gestazione: e basta richiamare al riguardo i brani da me ricordati altrove (2) a propósito di un verso di Yirgilio, ecî. iv 61 , che pruprio con la frase òèx.% prmç hsjLprsj présenta stretta e lorse non casuale aflinità: matri longa decern tuleruni fasti dia menses.

V I — B r a n i aritmologici in tes t i alchimistici .

Ho già altrove (3) segnalato gli accenni aritmologici che ricorrono nel trattato de magna et sacra arte di Stefano Ales-sandrino (4). Occorre ora aggiungere un altro passo, 11 228, 12 ss. Idcler : Tciir yio eiç^rat T.azù. ~b TTíCCíV arríyua %$t á./.y.za-TCVÏJTCV CÙ/.ÉT'. yZZ XZUVE-XL ctÇ ÒvO. X/J.7. c Ù TgMÉ, TCZ UMxÒOZ (j/W)

(1) Bucoliques, drecs, 11 174 n. J ('Les Belles Lettres» ly*7). (i) «Rivista indo-Greco-Italica-' vu (H)i3). 33 ss. (3) «Rivista di Filologia Clássica» N. S. xiv (iy3ô), 38.1 s. (4) Ed. Idcler. Physici et Mediei grjeci minores, n (Berolini 1841),

uj() ss. L'insufliden/a dell'ed. Klclcr c stuta da me dimostrata neU'ari. cit., «Riv. di Filol. Cl.», J77 ss.

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2J2 Y1TTORIO DI:: l-ALCO

Il valore delia voce •7-':/}% e il senso di tutto il brano appaiono abbastanza cliiari: il nome -çtxz deriva dalla qualità del 3 di essere divisibile soltanto per se stesso e non per 2, cioè di essere stabile, immutabile. È evidente che Stef'ano ha omesso, per mera negligenza, di menzionare Fetimologia vera e propria; e noi non sapremmo a quale parola egli alluda, se nun avessimo un passo dei Theologwnena Arithmetical', clie c in tutto narallelo al nostro: p. 18, () >W,>j.y.73y\ -/.xi za-j-r.-j Z£'.ù.r)x ^»7! ~y.zy. ~b aTîftïii ~.i; zvjxt /.y.i y:s.y.-.y.~ivr~'~' Cí TM <5i /£-/£T«i

Qià xc a-(. d-j'^x7x:xi. XJ-'IV m òi)c ter» QtstKtïj&xt, i't TTCOTCV rXrïzcz % L • k

TCtXZ. I

Questo brano risale a \icomaco, che è, quindi, anche la Tonte indiretta di Stefano. Si confronti pure il cod. Athen. i u 5 , éd. dal Delatte, Etudes sur la lit ter at. pythagoricienne, p. 172, 12: Tctiç etiTt'oi'. nsfé ib àTSif*/,; ?ts -y-jxi v,xt ov,y~:y.-ivr-î-.' «pyr, yy.c ~c^ àx.a.-riy-cvr-CJ TT/./.^C^; i Tf£<"; y.zfcy.èz (1).

Un'etimologia análoga si Icgge in Giovanni Diácono (2), secundo il quale rçía deriva da ?X£Stv ~l UVJXOVáí-J v,%\ èvtaèsv: questa frase, in sè abbastanza oscura, diventa ura chiara pel confronto con i passi di Nicomaco e di Stefano (3).

Un altro brano aritmologico si legge nel trattato alchimi-stico r, T«5 {x-Sziy.cí uõxt:; r.z(r,7iz, edito da Berthelot-Ruelle, Col­lection des anciens Alchimistes grecs (Paris 1888), p. 402, ù: ci> -.ctL-.b-j oï asvâk /.%<• 3vác, íiári h D.VJ ïTXVJ y.ayï, ravric y.'.&azl,

La qualità fondamentale ^/v, ájp&pteã delTunità è affermata in tutti i trattati aritmologici, a cominciare dai Theolug. Aritlun. p. 1, 4 ; v. anche Théo Smyrnaeus, Expos. Rerum mathem. éd. Miller p. 18, G; cod. Ath. éd. Delatte, p. 171, 1, ccc. (4). Cos'i,

(t) Osservu, il Delatte: «Nicomaque donne ici la vraie signification de ces cpitlu-tes. Notre auteur en présente une explication qui est sans doute de son cru et qui est absurde».

{2) Ed. Gaisford, Poetcie minores gj-aeci 112 55o, 21 = Flach, Gtossen und Schclicn ^ur hesiod. Théogonie, p. Sot..

(3) Per utValtra etimologia assai diversa v. 7heol. Antlim. p. 17, 1 s. (4) Un nutrito elenco di questi passi fu da me dato in «Rivista Indo-

Gieco-halica» Vit (ït)ii3), p. I8<J n. 1.

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NOTtJLAE 2j3

pure, sappiamo che la dia Je era chiamata xbrtpic (1) e òiv.n ác-jú òíyr, (2). Circa Sa frase TUúZ-^ç a.yfh (in cui ishl&a significa di pluralità) va ricordato che, infatti, in alcuni testi la diade è detta àp/A -/vfcc-j; (3) opp. «nacia; (4), sabbene però in altri tale qualità sia invece attribuita alla triade (5).

YITTORIO DE TALCO.

(t) Theolog. Arithm. p. 8, 2 ; Alex Aphr. in Aristot. Met.iph. ed. Hay-duck p. 3o, 16; Cod. Ath. ed. Dchute p. 167, õ; Theo Smyrnacus p. 100, 11; Martianus Capella ed. liysscnlutrdt vu j&fcj FavonhiS Kulogms ed. Holder p. 3. 32; Isidorus ed. Migno, PL; 83, t8y.

(2) Theolog. Arithm. p. i3. 12; Phottus, #/'£>/. cod. 187; Martian. Cap vu 7J2 discórdia... iustitia, ecc,

(3) Cod. Ath. ed Delatto p. 167, 5; Giovanni Diácono p. 540. Gaisford = p. 3oo Flach. Nel nostro passo forse ->E:VJí va corretto in KïX$&ç,

(4) Joann. Laurentius Lydus de mensibus 11 7 ; cf. Isidor. Migne PL 83, 181 bhhirius Humerus prima mimerorum prncrcJtto.

|5J P. es. Theol. Arithm. p. 18, 11 -nu>-w ~>.r..jcç r. Tf.aí' ívwà -às /.ai íjixa >.í"'/ii.av, il?" vs/.iri 7i*.y.')t/.à á>./.5t —>x-v/r'./.i !»>&»*.

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