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MAGAZINE MERRY CHRISTMAS

Progettazione

Marketing & Comunicazione di Patrizia ManenteVia Luigi Longo, 21 - Teramo

FotoMassimo Di Dionisio, Patrizia Manente,Gianluca Pisciaroli, Tonino Tucci

Marketing e PubblicitàPaolo D’Ascenzo, Paola Manente, Patrizia Manente

CoordinamentoPatrizia Manente

Graphic designImago Comunicazione

StampaEditPress - Castellalto (TE)

Copyright© Marketing & Comunicazione di Patrizia ManenteTutti i diritti riservati

di Patrizia ManenteTel. 339.5653704 · 338.3972169

mail [email protected]

guide

brochures

cataloghi

fotogra�a

campagnepubblicitarie

SommarioLa TV CHE NoN mi PiaCE PiU’ 4di Patrizia Manente

PiETraCamELa 6di Valerio Negro

La CriSi DELLa CULTUra 8di Gianna Di Paolo

VigiLia Di NaTaLE 10di Patrizia Manente

oLTrE La moDa 12di Veronica Martinez Oliva

Fra TraDizioNE E SPiriTUaLiTa’ 14di Valerio Negro

FoNTE DELLa NoCE 15di Patrizia Manente

TEramo E i SUoi TESori Da VaLorizzarE 16di Alba Micheletti

aNgELa gioSia raCCoNTa 18di Paola Manente

LE TraDizioNi PoPoLari iN abrUzzo 20di Elisabetta Mancinelli

marCo DiViTiNi 22di Carla Di Giuseppe

ViTiCoLTUra abrUzzESE 23di Valentina Bianconi

iTiNErario SPiriTUaLE 24di Matteo Rastelli

TarTUFo rE DELLa TaVoLa 26di Marcello Martelli

UNa DoNNa abrUzzESE 28di Elisabetta Mancinelli

Laga TErra Di FUNgHi 30di Francesco Ciapanna

MAGAZINEMERRY CHRISTMAS

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La TV CHE NoNmi PiaCE PiU’

di Patrizia Manente

Alda D’Eusanio, nonostante il video le abbia dato larga notorietà, condanna gli eccessi di oggi e nella semplicità di abruzzese trova il segreto del

suo successo. Il 18 novembre scorso è stata ospite del FAI Salotto (delegazione di Teramo) presso l’Hotel Eu-ropa di Giulianova.

Alda D’Eusanio, giornalista e conduttrice. Chi non la cono-sce? L’intervista comincia dall’attaccamento mai tradito per l’Abruzzo, la sua regione. “Per me l’ Abruzzo - ammette - è il rapporto di tutti i giorni. Non solo di oggi, ieri, l’altro ieri. E’ mia madre, mio padre, i miei nonni. Quando vado al cimitero a portare fiori ai miei cari. E’ il mio paese, quando vado a messa a Natale con mia madre. Qui sono le mie origini. Qui la mia infanzia, la mia prima comunione. Quando torno in paese a trovare i miei amici e ritrovo ciò che è stata la mia formazione culturale. Quando assaggio i sapori di pasta e fagioli, dei dolci caratteristici natalizi e pasquali. Nel paese della cultura conta-dina…. E’ tutta la mia storia.’’Quando ha iniziato l’attività giornalistica?“Si può dire che ho iniziato a fare la cronista fin da piccola, piccolissima. La mia casa era al centro del paese. Molti emi-granti allora erano partiti dall’Abruzzo e persone di famiglia, venivano da me anche da altre contrade per leggere le lettere ricevute e poi farmi scrivere le risposte ai loro cari lontani: Canada, Belgio, Australia, Germania. Aveva iniziato mia madre e io l’aiutavo, perchè già a sei anni sapevo leggere e scrivere. Non solo: raccontavo le storie paesane. Scrivevo piccole cro-nache: la festa del paese, la tizia che scappava con il compare, il matrimonio di mio cugino e via dicendo. Insomma, una piccola cronista del mio paesello di allora e mai avrei immaginato di diventare una giornalista televisiva”Quando è cominciata, invece, la sua esperienza a Roma?“Avevo frequentato per due anni la facoltà di lettere e filo-

sofia all’università de L’Aquila. Poi, andai a Roma per studiare sociologia e nella Capitale conobbi colui che diventò mio ma-rito, Gianni Statera”.Parliamo ora del suo incontro con la televisione.“In televisione ci sono arrivata per caso. Ho iniziato il mio lavoro molto in punta di piedi. A Roma avevo un’amica che lavorava in televisione. Mi chiedeva di aiutarla a comporre i testi e così iniziai a dare e ricevere notizie. Devo dire che la mia carriera è stata lunga e faticosa. Sono stata caporedat-trice, aiuto regista, regista, montatrice, ricercatrice, autrice e conduttrice di tanti programmi. “L’ Italia in diretta”, primo quo-tidiano rotocalco popolare ideato come giornale, ha avuto una formula vincente. Continua anche oggi che ha cambiato nome ed è “la vita in diretta’’. Ho ideato e condotto numerosi programmi (Un pugno o una carezza, Qualcosa è cambiato, Al posto tuo, Il malloppo, Domani è un altro giorno, Ricomincio da qui, Ci vediamo domenica). Ho sempre raccontato storie di gente semplice come me”.Cosa le ha dato in termini umani e professionali la tv?“Ogni trasmissione mi ha dato qualcosa e io a ciascuna ho dato me stessa. Non ho mai vissuto il mio lavoro come vip, ma con molta naturalezza e semplicità, perché sono stati sem-pre presenti e forti dentro me gli insegnamenti contadini di mio padre e mia madre. Mio marito mi diceva di cambiare il mio cognome. Sai, diceva, non ti conosce nessuno. Invece, se prendi il mio cognome... Io mi arrabbiavo... Avrei rinnegato le mie origini di cui sono fiera e orgogliosissima. A cominciare dal mio cognome’’.Come vive il successo e la notorietà?“Il successo è come il potere: è responsabilità. Devi dare il buon esempio. Chi ha successo non è affatto migliore degli altri. Il successo devi metterlo a disposizione degli altri, deve essere utile per la gente. Io dico spesso questa frase: la televi-sione fa apparire un moscerino grande come un elefante. Ci sono colleghi, per esempio, che si scocciano quando qualcuno chiede loro un autografo. Non hanno voglia di farlo, mentre io mi stupisco e mi gratifica se mi fermano. In fin dei conti il successo ce lo dà il pubblico.Qual è fra i programmi quello che ricorda di più?“Ho amato tutti i miei programmi e li ricordo tutti con grande piacere. Programmi che si occupavano dei servizi sociali, ingiu-stizie, anoressia. Ho anche fatto andare in galera un anestesista.

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Qualche nemico me lo sono fatto, ma rifarei tutto, compresa l’ultima volta. L’anno scorso, invitata a ‘La vita in diretta’, per parlare del mio coma dopo il noto incidente, quando Franco Di Mare mi ha chiesto cosa ne pensassi dell’accanimento te-rapeutico, ho risposto di aver lasciato il testamento biologico. Precisai anche che non voglio assolutamente tenermi in vita se le mie condizioni sono disperate. Non avrei il coraggio di sopportare l’immobilità e di restare sepolta viva nel corpo diventato una bara. Naturalmente, il messaggio riguarda me. Non ho detto che anche gli altri la debbano pensare così. Per questo il presidente Tarantola mi ha inserita nella “black-list”. Il fatto è che ho coraggio, schiettezza e le mie idee le dico, senza offendere nessuno, nel rispetto degli altri”.Qual è il suo impegno professionale ora?“Sono assorbita da molte attività. Poche sere fa ho presentato un bel concerto natalizio, a Roma, presso la basilica di S. Gio-vanni. C’erano artisti famosi come Ivana Spagna e altri”.Può parlarci ora dei suoi maestri, se li ha avuti…“Non ho avuto un maestro professionale, ma un grande ma-estro di vita, mio marito Gianni. Io la passione e lui la ragione. Mi ha insegnato tantissimo nel guardare il mondo con curiosi-tà e occhi puliti, con serenità. A lui devo moltissimo; anzi, tutto. Ora che non c’è più, lo penso tutti i giorni, anche la notte quando dormo. È sempre vivo vicino a me. Ma anche gli altri lo ricordano come un grande maestro”.Ci vuol dire qualcosa al riguardo della politica?Quale politica? Oggi non c’è alcuna politica. Cosa pensa dell’informazione di oggi?“Non mi piace. Non mi piace la superficialità, il pressappo-chismo. Non mi piace il parolaio inutile. L’uso morboso che si fa in tutti i programmi, specie dei morti ammazzati, che sono diventati spettacolo per far innalzare lo share. La gente dovrebbe cambiare canale. Quando si mettono le mani su tante storie dolorose, drammatiche e piene di dolore. Cu-riosità morbose, con un tipo d’informazione usato in tutti i programmi. Questo perché le brutte notizie fanno ascolto. Io ho ricevuto un’educazione che mi porto da sempre, il rispet-to per la memoria dei morti. Ricordo perfettamente quando questa pessima informazione iniziò. Con la storia del piccolo Alfredino Rampi. Cresciuta poi sempre più, fino ad arrivare ad oggi. Dove non c’è più chi ha un minimo di coscienza morale e di rispetto”.Quali sono i suoi rimpianti, ammesso che li abbia?“Il mio rimpianto non è professionale. E’ quello di non poter più fare una carezza a mio marito. Di non poterci più parlare. Per il futuro, non ho progetti. Mi piacerebbe però riacquistare la forza e l’energia che avevo prima dell’incidente. Per chiudere, quali sono stati i casi che professionalmente l’hanno più coinvolta? “Tutti, potrei dire, ma due in particolare. Quello con protago-nista un noto e potente anestesista che, durante il suo lavoro, aveva violentato ben otto pazienti, dopo averle sedate. Nono-stante le ripetute denunce, era riuscito sempre a farla franca, fino a quando non sollevai quella gravissima impunità nel mio programma e il responsabile chiamato a rispondere dei suoi abusi. L’altra vicenda riguarda l’intervista al maggiordomo di casa reale sulla tragica scomparsa di Lady Diana. Con rivelazioni

pietose e sconcertanti. Nessuno, quella notte, vegliò le spoglie della povera principessa, lasciata sola e senza neppure un vesti-to per il rito funebre. Fu la moglie dell’ambasciatore londinese a Parigi che pensò a metterne uno dei suoi abiti a disposizione per il rito di addio alla principessa. Sfortunata fino all’ultimo”.

CHi E’

Alda D’Eusanio (Tollo, 14 ottobre 1950) è una giornalista e conduttrice televisiva. Si è occupata soprattutto di questioni socio-politiche nel pro-

gramma d’attualità L’Italia a schede e nelle rubriche del Tg2, ma anche di sport per Sport sette, in politica interna ed estera come inviata speciale e poi come caporedat-tore per il Tg2 e di argomenti scientifici per la rubrica Scienze in TV. Dal 1988 al 1994 conduce il Tg2 Stanotte, e nella stagione 1994-1995 il Tg2 delle 19:45, edizione prin-cipale della testata. Nella stagione 1995-1996 ha ideato e condotto L’Italia in diretta, format il cui successo continua tutt’oggi con La vita in diretta. Dal 1996 al 1999, Domani è un altro giorno, in cui si batteva per i diritti degli anziani. Il programma televisivo per cui è più conosciuta è il talk show Al posto tuo, in onda il primo pomeriggio su Rai 2, iniziato nel 1999 e da lei ideato e condotto fino al 2003, diventando il programma leader nella fascia oraria del primo pomeriggio nelle stagioni 1999-2000, 2000-2001 e 2001-2002. Nello stesso periodo è impegnata nel pro-gramma serale Un pugno o una carezza. Dal 2007 al 2011 Ricomincio da qui e il serale Ricominciare. Il 24 gennaio 2012 è stata travolta da uno scooter in Corso Vittorio Emanuele a Roma, riportando una frattura occipitale e alcune emorragie. Dopo l’incidente, è stata in coma ed ha intrapreso una terapia riabilitativa neurologica ma in seguito si è completamente rimessa ed è tornata ad ap-parire come ospite in varie trasmissioni televisive.

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PiETraCamELapetra cimmeria

di Valerio Negro

Pietracamela (la Pròte, in dialetto) è ubicata alle falde del Gran Sasso, in una zona ricca di folti boschi. Frequentata nel periodo invernale è la frazione di Prati di Tivo. Le

origini sono avvolte nella leggenda: alcuni la vorrebbero fon-data dalle popolazioni slave (per il caratteristico vernacolo), probabile che esistesse già in epoca romana. Il nome antico sa-rebbe stato Petra Cimmeria (dalla popolazione dei Cimmeri), ma secondo il parere di altri studiosi deriverebbe forse dalla caratteristica roccia a forma di cammello che incombe sulla piazza principale dell’abitato (Pietra-Camela). Un’ultima ipotesi la fa derivare da Cimmeria (luogo inospitale), per le impressio-ni ricevute dai primi abitatori della zona. Dal XV secolo viene citata nei documenti con vari nomi, quali: Petracameri, Pietra Camelis, Petra Camelorum, Petra Camerii; assunse l’attuale to-ponimo nel XVIII secolo. Un tempo nota per i suoi cardatori di lana, rinomati soprattutto in Toscana. Fu feudo degli Orsini e dei Mendoza y Alarçon che la inclusero nel Marchesato della Valle Siciliana. È patria di Antonio Dionisi (1860-1931), illustre

scienziato e docente universitario a Roma.

MONUMENTIL’abitato è costituito da un borgo raccolto e caratteristico, con belle case rinascimentali in pietra, ben conservate, alternate a vicoli e scalinate. Interessanti: casa “li Signuritt” (Signorotti), quattrocentesca, con bifore, e quella detta “don Ioani”, del XVI secolo, con stemma araldico. Restano tratti di mura cinque-centesche in alcuni punti del paese. La chiesa parrocchiale del patrono S. Leucio custodisce altari barocchi, preziose statue lignee e un organo antico. La piccola chiesa di S. Rocco ha un portale del 1530 e ospita una statua lignea del santo in una nicchia dell’altare in pietra e un’acquasantiera (1523). La chiesa di S. Giovanni (1432) presenta un orologio sulla fac-ciata. Un’antica fontana è presente all’ingresso della cittadina. Per gli appassionati di natura si consigliano escursioni alla pa-rete di roccia, alle pitture rupestri, opera del pittore Guido Montauti e di altri quattro artisti (anni ’60 del XX secolo), all’area faunistica, habitat di camosci d’Abruzzo e alla faggeta di Intermesoli. Numerosi i rifugi montani sulla catena del Gran Sasso. Oltre alla rinomata località sciistica di Prati di Tivo, si suggerisce una visita anche alla località di Arapietra, posto pa-noramico suggestivo e sede del monumento alla “Madonnina” (Bianca Castellana del Gran Sasso). Infine, l’interessante fra-zione di Intermesoli, con bella chiesa parrocchiale (pregevoli altari barocchi e tele), la Riserva Naturale Corno Grande e il fiumiciattolo Rio Arno.

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La CriSi DELLa CULTUranei libri di annarosa mattei

di Gianna Di Paolo

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Annarosa Mattei vive e lavora a Roma dove ha con-dotto i suoi studi. Il tema medievale dell’amor cor-tese, le figure del simbolo e dell’allegoria,l’estetismo

e la poesia liberty, il primo romanticismo,il romanzo e la poesia del novecento sono tra i percorsi principali della sua ricerca. Si è sempre occupata di teoria della letteratura e della lettura, sia come studiosa che come docente, pub-blicando libri e saggi. Ha firmato i suoi primi due romanzi: UNA RAGAZZA CHE È STATA MIA MADRE (2005) e L’ARCHIVIO SEGRETO (2.008). Di recente ha presentato il suo nuovo romanzo “IL SONNO DEL REAME” presso la sala S.Carlo di Teramo, ospite del FAI. Perciò “IL SONNO DEL REAME”, a giudicare da eventi e situazioni reali tuttora in pieno corso nel nostro paese, ha origine da uno stato di vera patologia e radicale amnesia di sé, del senso del proprio essere nella storia e nel mondo di un’intera nazione. Castelli e principi della fiaba rispecchiano l’Italia di oggi, dove il pote-re si trincera e si arrocca considerando la cultura un corpo estraneo da espellere, un costo inutile e impossibile da sop-portare. Il tema dominante della fiaba, che si sviluppa nei due ritrovamenti paralleli di un famoso cartone di Michelangelo e di un antico codice di poesie d’amore, è quello della no-stalgia per la bellezza, obbligata a restare muta e a non poter più generare amore e sapienza a causa della grave smemo-ratezza che colpisce l’intero Reame. “IL SONNO DEL REA-

ME” è una fiaba allegorica e morale che racconta in modo grottesco la crisi della cultura umanistica, la deriva “econo-mistica” del sistema culturale italiano, il ricorso ai cosiddetti

manager, l’espulsione o la marginalizzazione dei veri esperti: in sintesi la guer-ra tra nuovi “obbedienti” e vecchi “intendenti”. IL SONNO DEL REAME’’ è dedicato a tutti coloro a cui sta a cuore la con-servazione della memoria del nostro paese,soprat-tutto ai tanti “intendenti” e alla loro lunga dedizione a una causa divenuta im-provvisamente estranea a molti amministratori poli-tici e incomprensibile alla maggioranza del paese.

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VigiLia Di NaTaLEa tavola coi saporidella tradizione

di Patrizia Manente

Dal punto di vista gastronomico, il Natale è la fe-stività magica che maggiormente ha conservato i legami con le tradizioni e con il passato.

Bisogna però riconoscere che molto, attualmente, si è ridotto a mera consuetudine e anche ciò che sembra ri-masto immutato nel tempo, in realtà si è svuotato del suo significato più profondo. La differenza quindi è sostanziale, se si pensa che una volta, dietro il rispetto assoluto di cer-te “regole” alimentari (la partecipazione di tutta la famiglia alla cena della vigilia, l’astinenza dai piatti di carne, ecc.), si nascondeva una profonda devozione sia verso i valori di spiritualità e fratellanza infusi dal messaggio cristiano, sia verso le usanze della propria zona di appartenenza.

“Chi nën dijunë la viggilië dë Natalë, duvendë o lupë o canë” dice un proverbio popolare. Era impensabile mangiare il giorno del 24 dicembre e nessuna circostanza poteva impedire a ciascun componente della famiglia di par-tecipare alla cena della vigilia. Nessuno, inoltre, poteva rompere il digiuno senza il consenso delle stelle: non si

poteva iniziare a mangiare prima della loro apparizione in cielo.

“Primë dë Natalë ne freddë ne famë - Dapù Natalë freddë e famë”.Dai ricordi della tradizione di famiglia, da nonna Giulietta a mia madre Adele, discende lo stesso menu di un tempo, mai abbastanza rimpianto. Trovo perciò importante con-servare la tradizione culinaria teramana, anche per non rischiare che molti piatti (un po’ dimenticati) rischino di andare perduti per sempre. PRANZO DELLA VIGILIA DI NATALE:LA ZUPPA DI CECI

La zuppë dë cicë - Mittë a mmullà li cicë che lu salë do sarë apprimë. Dopë do jurnë li cucë. Dapù ca fattë lu primë vollë, cë mittë lu laurë, la sellerë, nu ciuffattë de pertesannelë e l’ajë... a crudë. Quandë a sa cuttë bunë, ajugnë mezzë bicchirë dë cunservë, l’ujë e nu pizzichë dë salë.Fa vullì simprë a fuchë lentë peccà te da scì bellë tustarellë.

Tenere a bagno i ceci nell’acqua tiepida e salata per due giorni. Dopo le ore d’ammollo si mettono a cuocere.Quando avranno bollito per circa dieci minuti, aggiunge-re tre o quattro foglie d’alloro, il sedano un ciuffetto di prezzemolo, tre spicchi d’aglio, a crudo. Una volta cotti versare metà bicchiere di conserva di pomodoro, l’olio e un pizzico di sale. Far bollire sempre a fuoco lento perché la zuppa di ceci deve risultare piuttosto densa.

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LA CENA DELLA VIGILIALE LINGUINE CON TONNO,FUNGHI, CARDARELLE E ALICI

Li linguinë chë tonnë, cardarellë e li liciattë (le linguine al sugo di tonno, funghi cardarelle e una o due alici).Pë prima cosë së mattë a sfrijë li cardarellë chë la cepollë, l’ajë e l’ujë. Së fa calà do liciattë pulitë e spinitë. Dapù ië së dà na vruccenitë e quandë li funghë a sfrittë pë dieci minutë, së jettë na buttijë dë pummadorë, lu tonnë e na cì dë pertesannelë. Së fa sta tuttë ‘nzimbrë e së té da cocë a fuchë lentë pë ‘na bella mezzorë. A partë si fà vullì li linguinë, quand s’à quascë cuttë, cë së mattë lu bellë sughë, e së fa sta ‘na cì ‘nzimbrë.

Si mettono a soffriggere le cardarelle con olio, mezza ci-polla e tre o quattro spicchi d’aglio, dopo un dieci minuti di cottura si aggiunge l’alice pulita e spinata; per ultimo si versa la conserva di pomodoro e si fa cuocere il tutto a fuoco lento per circa mezz’ora. A parte far bollire le linguine in acqua salata e tirarli su prima che abbiano rag-giunto la cottura completa; scolarli e metterli nel tegame del sugo, e far cuocere il tutto per altri due o tre minuti.

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oLTrE La moDadagli abiti dell’800alla minigonna

di Veronica Martinez Oliva

“Quando un individuo viene a trovarsi alla presenza di altre persone, queste, in genere, cercano di avere informazioni sul suo conto o di servirsi di quanto già sanno su di lui. (…) Se non conoscono affatto l’individuo, gli osservatori possono rac-cogliere indizi dalla sua condotta e dalla sua apparenza, così da potersi servire di precedenti esperienze fatte con persone abbastanza simili all’individuo presente, o, cosa più importan-te, applicare ad esso stereotipi non controllati in precedenza” Erving Goffman

Con il termine moda, dal francese “mode”, ossia “maniera” si intende la foggia corrente nel vesti-re, e oggi più che mai si estende a un contesto

socio-culturale ed economico che rappresenta uno dei massimi capitali economici del nostro paese. Sin dai tempi più antichi l’abbigliamento non è stato utilizzato semplice-mente per coprirsi da fattori ambientali sfavorevoli o pura pudicizia, ma per esprimere la propria personalità e con la precisa volontà di affermazione della propria identità.I risultati della moda dunque provengono non solo dall’i-dentità propria del singolo stilista, ma anche dal contesto

storico all’interno del quale si trova.Se dunque da metà ‘800, a partire da Charles Frederic Worth, con cui appaiono i primi bagliori di quel che oggi si identifica con il termine moda e stilista, il principale sco-po era quello di liberare la donna dai loro scomodissimi e ingombranti abiti e crinoline, tra gli anni ‘60 e ’70 la moda incarna alla perfezione il desiderio radicale di cam-biamento, che giunge al suo picco con l’invenzione della minigonna (Mary Quant, 1963-65, Swinging London). La moda dunque si concretizza anche nella raffigurazione di idee e ideologie.Ogni individuo possiede un personale modo di presen-tarsi al mondo. E lo fa con un linguaggio a sé congeniale. Questo rappresentarsi si rivolge ad ambiti diversi e coin-volge dunque linguaggi diversi, come il modo di vestire, il linguaggio verbale, il linguaggio corporeo. Nel mondo occidentale contemporaneo l’immagine che ciascuno offre di sé è il primo biglietto da visita che si presenta all’interlocutore.L’abbigliamento può essere espressione del cambiamento di status dei giovani nella società.Gli stili possono contenere una forma esplicita di opposi-zione e di protesta, per esempio il punk, il grunge, e altre forme in continua trasformazione e mutamento. La moda tuttavia è una possibilità espressiva generica e non solo di protesta. Gli individui della società attuale usano la moda come strumento per rendere chiaro il rapporto che li lega a una società sottoposta a continui cambiamenti: la moda offre allora una via d’uscita e un collegamento con il futuro. In tal senso il fenomeno della moda è coerente con la società contemporanea.Attualmente i fashion designer offrono grandi possibilità espressive, e l’abbigliamento permette quindi di individua-

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re l’inclinazione politica, personalità del singolo e perfino l’orientamento sessuale di chi lo adotta. Di conseguenza la bravura dello stilista sta proprio nella capacità di interpre-tare le tendenze e le direzioni che il mondo circostante sta abbracciando.Oggi la moda può essere definita come sistema mediatico, mezzo di comunicazione di massa che racconta attraverso il linguaggio del simbolo un’intera storia, capace di comu-nicare la nostra identità, e che rischia però di sfociare nella ricerca di emulazione dell’immagine di stereotipi che non ci appartengono, dettati da riviste di settore. Dall’abbiglia-mento, al taglio di capelli, alla stessa conformazione fisica di modelli presentati dai media.

Nell’ultimo decennio il mondo della moda ha offerto e continua a offrirci un ampio margine di libertà riattualiz-zando tendenze passate con capi come minigonne, ma-xigonne, pantaloni a vita bassa o alta, a zampa d’elefante o a sigaretta, diffondendo stili etnici e vestendo le donne con abiti un tempo considerati maschili e gli uomini con accessori tipicamente femminili.Insomma, ciascun individuo dispone dei mezzi per trovare ed esprimere sé stesso tramite l’abbigliamento. L’abilità, a questo punto, risiede nel saper sfruttare quello che la moda può offrirci, ossia un mezzo di espressione della nostra identità individuale, capace di inventare mondi e raccontare bellezza e arte.

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Fra TraDizioNEE SPiriTUaLiTa’viaggio tra i presepidell’abruzzo teramano

di Valerio Negro

La festa del Natale, soprattutto nelle comunità rurali, serba ancor oggi il suo fascino sacrale, in un connubio di tradizione e spiritualità che ben si svincolano dal

consumismo della nostra epoca. Nel Teramano si annove-rano manifestazioni molto singolari. Lo studioso francesca-no P. Donatangelo Lupinetti da Castilenti ci racconta che il primo presepe abruzzese venne realizzato e animato da un compagno di S. Francesco d’Assisi, il Beato Agostino, inviato nel 1216 come Ministro in Terra di Lavoro, che compren-deva anche Campania e Abruzzo. Rinnovò e ripropose nel 1223 la scena della Natività a Penne (PE). Il più antico pre-

sepe allestito in una casa, come riportato da documenti del tempo, è quello di Celano (AQ), risalente al 1567. Già nel XVI secolo venivano preparati in abitazioni private, con personaggi in ceramica, legno e cartapesta. Il Presepe Vi-vente di Cerqueto, frazione di Fano Adriano, rappresentato per la prima volta nel 1965 e denominato recentemente “Presepe Vivente del Parco Gran Sasso - Monti della Laga”, testimonia la partecipazione della popolazione locale alle iniziative proposte per la tutela della natura e del territorio. Si svolge nel tardo pomeriggio del 26 dicembre e vede coinvolte circa 200 persone. Secondo uno schema teatrale “a quadri”, vengono riproposti gli episodi più significativi dell’Antico e del Nuovo Testamento: dalla Creazione del mondo all’Adorazione dei pastori e degli abitanti di Bet-lemme. Stupenda è la cornice: i fianchi della collina a ridos-so del piccolo borgo, ricca di querce spesso imbiancate, un armonioso gioco di luci, ombre e musiche, grotte rupestri

e vecchi ponticelli. Al numeroso pubblico vengono offerti dolci tipici natalizi e bevande calde. Ogni anno uno degli artisti teramani ritrae la scena della Natività esposta poi, nel locale Museo delle Tradizioni Popolari. Altro presepe interessante è quello di Gino Di Benedetto, ideatore dal 2003 del “Museo - Presepe Le Genti della Laga”, allestito nella propria abitazione di Torricella Sicura. Su una superfi-cie di circa 800 mq, divisa in sezioni, vengono proposte ri-costruzioni animate della vita rurale e degli antichi mestieri dell’Abruzzo teramano. Le case sono riproduzioni di quelle dei primi anni ’50 del 1900, con tipiche scene quotidiane. La sezione più interessante è dedicata a Mario Capuani,

pediatra e martire partigiano nel 1943. Da 14 anni, invece, a Giulianova viene allestito un presepe subacqueo all’inizio di gennaio, dalla Lega Navale Italiana e dall’Associazione Sportiva Subacquea Up and Down, patrocinato dal Co-mune, dall’Ente Porto, dalla Parrocchia della Natività della SS. Vergine Maria, in collaborazione con la Guardia Costie-ra e la Croce Rossa. Nella tarda mattinata della domenica viene immersa la capanna e successivamente ripescata nel

pomeriggio inoltrato. I sub - Re Magi, muniti di fiaccole, par-tono dai pontili del Circolo Nautico “Migliori” e dalla Lega Navale per giungere davanti la Natività. Dopo l’esposizione della Sacra Famiglia sulla banchina, una processione raggiun-ge il piccolo monumento ai caduti del mare, dedicato alla Madonna del Portosalvo, per la benedizione finale. Dette tradizioni perdurino nel tempo, conservando quel fascino mistico che da sempre le caratterizza.

Presepe vivente - Cerqueto

Presepe subacqueo - Giulianova

Presepe - Torricella Sicura

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FoNTE DELLa NoCEbellezza dimenticata

di Patrizia Manente

Un sito storico fra i più interessanti, caro alla regina Giovanna, da recuperare e valorizzare, al servizio del turismo e della cultura.

La medioevale Fonte della noce (che si trova in uno stato di completo abbandono) ha una notevole im-portanza. Per secoli ha rifornito acqua necessaria alle

famiglie di tutta la zona nord della città. Fino agli anni ’30 l’acquedotto del Ruzzo non esisteva. Oltre ad essere il lavatoio dove le nostre bisnonne lavavano i panni anche d’inverno, lo storico Muzio Muzii nella sua “Storia di Te-ramo’’ racconta che la regina Giovanna d’Aragona a Te-ramo per prendere possesso della città (luglio 1514), fu accolta in modo festoso dai cittadini teramani nel palaz-zo vescovile. Dove cenando apprezzò moltissimo un’in-salata che non aveva mai assaporato durante il lungo viaggio da Napoli a Teramo nell’estate torrida del 1514. La regina volle conoscere la provenienza di quella insala-ta tenerissima. Seppe che veniva raccolta negli orti degli Acquaviva e volle visitarli. Si trovavano nella zona sotto la chiesa della Madonna delle Grazie. Tornando verso la città il percorso della regina, accompagnata dalla sorella, dalla figlia e dalla corte, si imbatté con il suggestivo e fresco sito di Fonte della noce. Chiamata così per la pre-senza di un boschetto di noci, idoneo per ripararsi dalla calura. La purezza e la freschezza dell’acqua piacquero moltissimo alla regina Giovanna che volle dai due sindaci della città (all’epoca due capitani del reggimento) che venisse imbandito un bel banchetto, allietato da musici. Mentre due fontane zampillanti dispensavano vino bian-co e vino rosso.

La regina ricordò per molto tempo l’accoglienza dei teramani e la straordinaria Fonte della noce. Da allora una tradizione tramanda che l’acqua di questa fonte, se bevuta, fa innamorare della città e della sua ospitalità. Si spera perciò che l’amministrazione comunale, magari con sponsor amanti delle bellezze storiche, si impegni in un progetto di recupero e valorizzazione di un posto così suggestivo e interessante. Soprattutto, per eventi culturali,visite turistiche e didattiche.

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TEramo E i SUoi TESori Da VaLorizzarEturismo e gastronomiascommesse per il futuro

di Alba Micheletti

La importante ribalta conquistata dall’Abruzzo sulla Guida Michelin conferma che abbiamo un tesoro, la gastrono-mia, che a lungo non siamo riusciti a valorizzare al meglio.

Non a caso, la geografia della tavola stellata ha escluso per anni territori ignorati nelle classifiche. Siamo d’accordo che le guide enogastronomiche, più o meno credibili, non sono il Vangelo. Dobbiamo però ammettere che la cucina regionale, nonostante i molti titoli acquisiti sul campo, ha sempre sof-ferto per una esclusione confermata nel tempo. La promo-zione a tre stelle per Niko Romito è, perciò, una bella storia italiana e abruzzese. Stanchi di sentire che il merito non viene mai riconosciuto, questa volta finalmente non è così. Talento e qualità hanno fatto strada, e poi premiati con un successo crescente. Dopo due stelle Michelin, al noto chef abruzzese ne è arrivata una terza. Mentre la Regione Abruzzo ha fatto la sua parte, assicurando al giovane Niko, 39 anni appena, un consistente sostegno finanziario. Ciò che gli ha consentito di aprire una scuola di alta cucina per aspiranti cuochi, già funzio-nante alla grande. Magnifico, no? Una volta tanto, qualcosa si è mosso, per le nuove leve, in una regione ferma e a sviluppo zero. Come ormai quasi ovunque in Italia. Da dove, ogni anno, 60mila giovani (moltissimi con una laurea in tasca) scappa-no in paesi esteri. Non dalla miseria, come nel dopoguerra gli emigranti con la valigia di cartone, ma da un Paese che

ha smesso di credere e investire nel futuro. Né può bastare la storia del fortunato e bravo chef di Castel di Sangro per risollevare le sorti. Ma tornare a sperare si deve. L’enogastro-nomia, non da oggi, è e resta una importante risorsa per il turismo e il futuro dell’economia. Specie in Abruzzo, regione con disoccupazione-record (12,8%) e tanti giovani meritevoli, magari con due lauree e master brillantemente conseguiti. Molti, coetanei di Niko Romito, alla cerca d’una opportunità per mettere alla prova talento e voglia di fare. Aspirazioni che spesso restano, purtroppo, nel libro dei sogni. Tutto più facile all’estero. E per la maggioranza, infatti, emigrare resta la sola strada percorribile. Adesso però c’è un’opportunità in più: i giovani in cerca di lavoro possono frequentare, vo-lendo, prestigiosi corsi di cucina. In Abruzzo con Romito o fuori, a costi maggiorati, con Gualtiero Marchesi o altri. Non è poco avere maestri simili in un campo che offre prometten-ti prospettive. Ma basta? Le scuole d’eccellenza sicuramente sono importante supporto al rilancio della enogastronomia regionale. Fulcro e punto nodale, non va dimenticato, d’o-gni seria ripresa legata alle risorse del territorio. Un lavoro da fare comunque in fretta,recuperando un pezzo di tempo perduto. Il Belpaese, pur ricco di risorse e beni culturali ap-prezzati in tutto il mondo, fra tanti enti e carrozzoni inutili, ha avuto un giorno la pazza idea di abolire proprio il ministero più indispensabile e necessario. Così archiviando il turismo e incassando il sorpasso di altri paesi privi di analoghi requisiti. E nessuno si meravigli se ora Berlino ha più visitatori di Roma. Non solo il turismo, tutto ciò che è “made in Italy” ha un fu-turo e siamo probabilmente noi soli a non volerci credere. Di recente una importante multinazionale svizzera, la Nestlé, ha investito cento milioni su marchi italiani, considerandoli “glo-bali” e “patrimonio incomparabile in ogni parte del mondo”. Vogliamo finalmente capirlo? O non ancora sufficiente aver perso 50 anni e tarpato le ali all’industria nazionale delle va-canze? Certamente bene fa la Regione Abruzzo a sostenere una qualificata struttura di formazione professionale, al ser-vizio d’un settore trainante mai valorizzato. Ma può bastare?

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Posto che una rondine non fa primavera, occorre ben altro. Intanto, una politica convinta e un serio progetto organico a sostegno del “made in Abruzzo” (un appello che anche qual-che sindaco ha fatto proprio), per coordinare e orientare con professionalità pure le tante iniziative di singoli e gruppi, che spesso sorgono spontanee sul territorio. Apprezzabili, ma se-gnate quasi sempre dai limiti dell’improvvisazione e scarsità di mezzi. Troviamo significativo il recente successo, da “star dei fornelli”, di una decina di cuoche di Mosciano S. Angelo, che “in tournèe” fra importanti ristoranti americani hanno presentato, molto applaudite, la tavola del loro territorio. Fra le specialità più apprezzate il “libretto”, ghiotto e rinomato torrone moscianese con fichi secchi e mandorle. A parte i prodotti tipici trovati eccellenti, hanno entusiasmato soprat-tutto la bravura delle cuoche abruzzesi e i sapori tradizionali, assai rimpianti dagli ex emigranti italiani e non solo. Le am-basciatrici dei fornelli, insomma, hanno portato in America un’arte che ovunque rende vincente la nostra gastronomia. D’altronde ciò che si ha da fare per il “made in Abruzzo” lo raccontò a Parigi, già 48 anni fa per incarico dell’Enit, un noto e straordinario giramondo. Ad ascoltarlo una selezionata pla-tea di autorità, operatori, giornalisti, esperti francesi e di altre nazioni. Il memorabile “invito all’Abruzzo” fu lanciato da Gian Gaspare Napolitano, brillante scrittore e giornalista.Lo scrittore seppe rappresentare, e con grande maestria, tut-to ciò che c’era da vedere e vivere in una regione allora lon-

tana e appartata. Avvertì, poi: “Parlare di cucina abruzzese è un impegno. Piatti tipici ce ne sono, ma l’itinerario che bisogna percorrere per trovarli non coincide sempre con la carta del turismo”. Problemi oggi pressoché simili, sicché proprio da qui sarebbe opportuno ripartire, per acquisire competitività e attrattiva nuove alla nostra offerta. Anzi, il testo di quella con-ferenza sull’Abruzzo, sempre attualissimo, potrebbe fare da base al sempre atteso vero rilancio del turismo. Una risorsa in cui credeva persino d’Annunzio, eccellente testimonial della sua terra, che pur nelle morse d’una vita letteraria e mondana assai frenetica, non dimenticava mai l’Abruzzo. Anche quando era in esilio ad Arcachon e stanco di ostriche, champagne e allori poetici, nonostante a tavola fosse parco e di scarso appetito, aveva nostalgia dell’alloro del suo paese, accompa-gnato all’anguilla cotta sui carboni. Aveva voglia di “peperoni ardenti”, come quelli della sua terra. Fascino della tavola e delle tradizioni come fortissime attrat-tive per ex emigranti e turisti. Patrimonio prezioso, ora, con blasone a tre stelle, che valorizza e premia, sia pure un po’ in ritardo, l’arte gastronomica di un intero territorio. Ottimo trampolino di tutto quanto il Vate pescarese e lo scrittore di “Magia verde” auspicavano per restituire alla loro regione l’appeal di terra “da scoprire”. Adesso per fermare anche la fuga, almeno in parte, di tanti giovani. Assodato che, come di-ceva l’altro grande abruzzese, Ennio Flaiano, “il modo migliore per arrivare è non partire”.

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aNgELa gioSiaraCCoNTaquando una donna guidail pullman

di Paola Manente

Angela Giosia, giovane teramana da cinque anni au-tista di autobus. Fin da piccola attratta da mezzi pesanti, fino a conseguire tutte le patenti. “In tanti

- racconta - mi stimano e rispettano. Poche le persone diffidenti, quando vedono una donna alla guida. Ormai, questo succede in ogni campo lavorativo, penso. Durante il servizio extra urbano ho subito conquistato la fiducia dei miei colleghi, grazie anche al mio carattere socievole e soprattutto perché avevo e ho la padronanza del mez-zo. Il segreto? La mia innata passione per il lavoro che faccio. Durante le escursioni turistiche, poi, sono i ‘ma-schietti’, appena notano una donna alla guida, a mostrarsi dubbiosi e poco tranquilli. Basta poco, però, per far loro cambiare idea, osservando la mia perizia nel guidare”.Esperienze particolari di una donna al volante di un pul-lman? “Nella mia umile esperienza di “gran turismo” - ag-giunge Angela - ho capito che fuori dai confini nazionali c’è più rispetto per il codice della strada. Nella provincia teramana poche sono le donne che fanno il mio lavoro rispetto al Nord”. Consigli da dare in tempo di disoccu-pazione? “A tutte le donne appassionate di guida dico di conseguire tutte le patenti. Non tutti si rendono conto

forse della grande responsabilità e dell’impegno sia fisico che di concentrazione continui per poter svolgere ap-pieno il trasporto dei passeggeri. Tuttavia tutti i giorni so di dare il meglio grazie alla preparazione acquisita. Allo stesso tempo posso dire che in questo lavoro non si finisce mai di imparare”. Angela conclude ringraziando il titolare dell’azienda (non sempre capita, oggi), Maurizio Ripani, per il fatto di aver creduto in lei e nello staff, dan-do la possibilità di fare formazione ed esercitarla.

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LE TraDizioNiPoPoLari iN abrUzzo

di Elisabetta Mancinelli

L’etimologia del termine “folklore” deriva dall’unione di due parole di antica origine sassone: “folk” popolo e “lore” sapere, sapere del popolo.

Lo studio e l’interpretazione delle tradizioni popolari in Abruzzo sono iniziati ad opera di studiosi che ne avevano intuito l’importanza molto tempo prima che Gramsci così definisse il folclore: “non una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola ma una cosa molto seria. Finora il folclore è stato studiato prevalentemente come elemento pittoresco, occorrerebbe studiarlo invece come concezione del mon-do e della vita”. Uno dei padri delle tradizioni popolari si deve ritenere il medico siciliano Giuseppe Pitrè che iniziò il lavoro di rac-colta, studio ed interpretazione del folclore con la creazione della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Egli uscì dai confini della sua isola e si relazionò con altri studiosi tra cui l’eminente antropologo Gennaro Finamore (Gessopalena 1836-1923) che per primo sistemò organicamente la cultu-ra popolare abruzzese; anch’egli medico, proprio dall’eserci-zio della sua professione ebbe il primo impulso a raccogliere

i documenti della vita popolare della nostra regione. I suoi due vo-lumi “Curiosità e cre-denze “costituiscono il corpus più completo delle tradizioni regio-nali: materiale relativo a credenze, consuetudini, superstizioni, norme di medicina popolare. Suo contemporaneo e altro studioso del folclore abruzzese fu Antonio

De Nino ( Pratola Peligna 1832-1907) che si dedicò agli stu-di demiologici e linguistici contenuti nella sua raccolta “Tra-dizioni popolari abruzzesi” che fu definita letteraria in con-trapposizione a quella dello scientifico Finamore. Un saggio di questa tipologia di studi è il racconto “La gallina nera” ispi-rato alla credenza popolare secondo cui la cresta della gallina nera guarisce dal mal di testa. Anche il sulmonese Giovanni Pansa (1865-1929) legò il suo nome ad importanti ricerche relative a superstizioni e miti abruzzesi. I suoi due volumi “Miti e leggende e superstizioni d’Abruzzo” sono ritenuti fondamentali per gli studi etnografici regionali. Domenico Ciampoli (Atessa 1852-Roma 1926) narratore e saggista fu un fecondo scrittore di fiabe e racconti in stile ve-rista ispirati alla tradizione folcloristica abruzzese e, anche se non fu un vero e proprio studioso, trascrisse leggende e credenze della vita popolare del proprio tempo. Nella sua raccolta “Fiabe abruzzesi” descrive il mondo agropastorale, le celebrazioni votive del mese di maggio in onore della Madonna e le con-suetudini magico-sacrali legate al matrimonio.

CREDENZE POPOLARI, RITI E PRATICHE MAGICHE

Dalle ricerche e dagli studi compiuti da questi padri del folklore e delle tradizioni popolari sono venuti alla luce tutta una serie di documenti riguardanti i riti di

magia, le superstizioni e le terapie naturali dei tempi passati. Tante erano le pratiche magiche che avevano lo scopo di scongiurare gli eventi da ogni influsso negativo proveniente dal soprannaturale. Queste riguardavano tutti gli aspetti e le tappe della vita umana secondo un ritmo cadenzato del tempo: la nascita, il fidanzamento, il matrimonio, la morte.Numerose erano le credenze popolari che accompagna-vano la nascita di un bimbo e i suoi primi anni di vita, si tratta in genere di una serie di precauzioni miranti a tenere lontano i mali, da quelli reali a quelli “magici”. La necessità di protezione da quanto può provocare danno anche da un’occhiata invidiosa, causa di malocchio, si spiega con il fatto che la venuta dei figli era considerato segno della benevo-lenza divina in Abruzzo come in tutto il centro Sud. Antiche usanze al riguardo erano il divieto di baciare il bambino pri-ma del battesimo e quella di appendere alla camicina del neonato cornetti, oggetti d’oro e d’argento a forma di cuore. Molti erano gli scongiuri per i mali dell’infanzia dalle forme di incantesimo per la verminara e il Fuoco di Sant’Antonio ai riti per la propiziazione del buon afflusso del latte mater-no con il ricorso all’acqua “terapeutica” di alcune fontane considerate miracolose, dedicate alla Madonna a Santa Sco-

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lastica e Santa Eufemia. Ri-guardo il fidanzamento e gli usi nuziali vi erano norme particolari nella scelta della sposa, la richiesta ai genito-ri, il trasporto della dote, il canto della partenza, il pian-to rituale della madre per il distacco dalla figlia.Ma un momento importante era rappresentato dal traspor-to della dote nuziale: venivano scritti veri e propri contratti tra i genitori degli sposi nel corso di lunghe riunioni alla pre-senza di testimoni. Il trasporto avveniva il un lungo corteo di carri addobbati in cui la biancheria veniva esposta in modo che tutti ne potessero ammirare merletti e ricami. In alcuni paesi vi era l’usanza di seguire gli sposi in corteo dopo il rito religioso e creare barriere di nastri colorati con cui i partecipanti sbarravano il cammino al seguito nuziale che potevano venire tagliati dallo sposo solo dopo il pagamen-to di un metaforico pedaggio in dolci, confetti e denaro. La festa comportava la partecipazione di tutto il paese e le più antiche costumanze vogliono che il banchetto nuziale considerato un vero e proprio rito di aggregazione, si tenes-

se a casa della sposa e durasse molte ore. Esso era rallegra-to da canti e brindisi che in-neggiavano alla bellezze della sposa, augura-vano ricchezza e abbondanza soprattutto di figli e tesseva-no complimenti per il cibo e il

vino. Le usanze legate alla morte secondo arcaiche tradizioni comportavano tutta una serie di rituali dopo la constata-zione del decesso. I familiari del defunto interrompevano il lavoro, non dovevano pulire la casa e stare in silenzio. Al trapassato venivano fatti indossare gli abiti migliori, le mani gli venivano giunte sul petto e gli si metteva una moneta in bocca o in tasca che gli doveva servire perché si potesse pagare il tragitto verso l’aldilà. La bara veniva corredata di tutti quegli oggetti che furono in vita cari all’estinto, cappello, pipa, bastone, attrezzi per la barba… Largamente in uso era il pranzo funebre, chiamato “consolo” preparato da parenti ed amici della famiglia dell’estinto a scopo consolatorio.

TERAPIE NATURALI DEI NOSTRI NONNI

Gli abruzzesi per secoli per curarsi hanno ricorso alla cosiddetta “farmacia del buon Dio” cioè alle erbe e ad altri prodotti naturali. Si trattava di ricette molto

diffuse tra il popolo e alla portata di tutti a base di sambuco, rosmarino, salvia, menta, camomilla, vino che venivano usati come veri e propri medicamenti. Per ogni malattia c’erano almeno cinque erbe a curarla. L’acqua del fiore di sambuco era considerata un rinfrescante, l’infuso di rosmarino misto a vino fermentato era usato per purificare le gengive e pro-fumare l’alito, il succo delle rose veniva ritenuto un ottimo aperitivo, mentre quello delle viole un efficace purgativo. I di-stillati di fiori di sambuco, di finocchi e di salvia servivano per lenire il male agli occhi, mentre il mal d’orecchi si curava con succo di zucca unito ad olio di miglio, mentre l’impasto di farina di fave serviva a curare le piaghe. Per lenire gli arrossa-menti dei lattanti si spalmava olio d’oliva talvolta mescolato con cipria. Il male alle ginocchia si curava applicando stoppa imbevuta di vino nero. Il singhiozzo si debellava sorseggian-do lentamente uno sciroppo di papaveri misto ad orzo, il succo di ciclamino serviva invece ad arrestare un’emorragia nasale, infine le piume di pioppo, raccolte a suo tempo, so-stituivano il cotone idrofilo.

SAPONI E DETERSIVI DI UN TEMPO

Le casalinghe di un tempo portavano a lavare lenzuola, federe e tovaglie al fiume le sbattevano contro i sassi e poi le stendevano al sole sui prati finché non acquista-

vano il candore ed il profumo caratteristico del bucato di un tempo. Il sapone per lavare la biancheria si ricavava da lunghi e pazienti procedimenti. Si mettevano, in un sacco appeso ad un chiodo della cucina o del fondaco, cenere, legna e calce miste ad acqua che si aggiungeva di tanto in tanto. Il liquido che da esso gocciolava, che aveva forti proprietà detergenti, veniva raccolto in un recipiente e poi, mescolato ad olio d’oliva di scarto ed a grassi di maiale, veniva fatto bollire fino ad ottenerne un miscuglio pastoso e sodo. Una volta raffreddato veniva tagliato in pezzi di sapone. La lisci-via veniva ricavata dalla decantazione della cenere di legna nell’acqua bollente e poi usata in dosi misurate per met-tere in ammollo la biancheria sporca. Un altro lavoro che richiedeva fatica e pazienza alle massaie di un tempo era la lucidatura dei recipienti di rame: conche, pentole, tegami, bracieri e scaldini. Specialmente in prossimità delle feste le donne di casa toglievano a questi recipienti la patina scura strofinandoli con sabbia bagnata e poi con aceto e sale ri-sciacquando alla fine con acqua e sapone. La sabbia, il sale e l’aceto erano usati quotidianamente dopo ogni pasto nel lavaggio di pentole e posate per farle tornare nitide e terse.

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marCo DiViTiNie l’infrarosso

di Carla Di Giuseppe

Marco Divitini, di origine bresciana ma teramano d’a-dozione, è un fotografo-artista che utilizza la tecnica a raggi infrarossi per immortalare le bellezze invisibili

naturali, dando ad esse un notevole tocco magico. L’obiet-tivo, spiega il maestro Divitini, è quello di rendere onore a un patrimonio storico-culturale e paesaggistico che ha avuto un’enorme influenza su tutta l’arte e l’architettura dal Rinasci-mento in poi. È una tecnica molto complessa usata durante la

seconda guerra mondiale, soprattutto per scopi militari. Con l’infrarosso, usato di giorno, si ottengono immagini in bianco e nero, che però appaiono alterate dal punto di vista cromatico. Richiede l’uso di un filtro molto scuro, rosso appunto, e sull’o-biettivo crea immagini in una dimensione quasi onirica, dove si apprezza la foto semplice e pura, creando uno scenario in-cantato e fiabesco. Quindi, sottolinea Marco, l’intento è quel-lo di immortalare la bellezza “invisibile della natura”, facendo godere un’irripetibile esperienza di percepire le cose oltre ciò che i recettori umani consentono solitamente di individuare. L’artista Divitini espone le sue foto a infrarossi nelle mostre teramane e italiane, ricevendo grande interesse dal pubblico.

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ViTiCoLTUraabrUzzESETeramo la provinciadelle D.O.C.G.

di Valentina Bianconi

La viticoltura in Abruzzo ed in particolare nella provincia teramana, ha vissuto negli ultimi anni una notevole crescita sotto il profilo enologico.

Lo dimostrano i diversi riconoscimenti ottenuti dal-le nostre aziende ad innumerevoli concorsi enologici e guide del settore. La coltivazione della vite risulta essere un’importante risorsa economica e turistica che spinge sempre più giovani a far parte di questo mondo. I nostri vini risultano avere un buon rapporto qualità/prezzo ed il punto di forza delle nostre canti-ne sta proprio nella valorizzazione del “Montepulciano D’Abruzzo”, vitigno a bacca rossa da cui nascono gran-di vini, sia giovani che invecchiati, ma anche cerasuoli e ottime basi spumante. Non a caso l’unica DOCG “Montepulciano D’Abruzzo Colline Teramane” è pro-dotta proprio nella nostra provincia. Solo nel terama-no sono presenti ben 27 aziende e ciò dimostra che il nostro è un territorio vocato alla coltivazione della vite. Piccole e grandi aziende, hanno puntato sia alla valorizzazione di vitigni come “Montepulciano”, ma anche “Pecorino”, “Passerina”, “Cococciola” e alla ri-scoperta di antichi uvaggi come il “Montonico”, che

sono stati la scommessa negli ultimi anni dei produt-tori abruzzesi che li hanno vinificati valorizzandone le peculiarità.Il mestiere del viticoltore, così come quello dell’enolo-go non sono mestieri facili, bisogna avere molta passio-ne, rispetto per la terra, umiltà, sacrificio, cercare sem-pre di valorizzare ciò che la natura ci dà, visto che le annate non sono tutte ottimali per produrre dei grandi vini. Concludendo credo che noi abruzzesi dovremmo credere di più nei nostri prodotti, nel nostro territorio, questo è ciò che dobbiamo fare da qui in avanti per-ché abbiamo tutte le carte in regola per poterlo fare e sicuramente nulla da invidiare alle altre regioni.

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iTiNErario SPiriTUaLEtra storia e leggenda

di Matteo Rastelli

La chiesa di San Lorenzo a Faognano, immersa in un paesaggio suggestivo, rappresenta un importante edificio medievale della regione Abruzzo. La chiesa

parrocchiale di Magliano è intitolata a San Lorenzo al servizio sia di Faognano che di Magliano. La presenza della chiesa è attestata a partire dal XIV secolo: risulta dapprima di proprietà privata (1323), poi dipendente dal capitolo della cattedrale di Teramo fino a divenire patro-nato feudale nel XVI secolo. Allo stato attuale è rimasto soltanto qualche rudere del-la vecchia chiesa realizzata in laterizio e pietra, visibile sopra la collina, nei pressi del cimitero e della “muraglia dei Saracini” vecchia roccaforte per la difesa dai nemici provenienti dalla costa adriatica, i temibili Saraceni con-tro i quali, secondo la leggenda, i difensori furono scon-fitti. Nella Chiesa di San Lorenzo si può notare una tipica copertura a capanna accompagnata da un piccolo cam-panile a vela. Nella parte posteriore, invece, è situato un piccolo corpo di fabbrica che costituiva la casa canonica. All’interno si possono ancora ammirare l’altare e, sopra di esso un piccolo crocifisso, un’icona di San Francesco e il fonte battesimale.

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TarTUFo,rE DELLa TaVoLadiamante dell’economia

di Marcello Martelli

In Abruzzo siamo i maggiori produttori al mondo, anche se non si fa abbastanza per valorizzare una preziosa risorsa non solo gastronomica.

Un anno sì per la raccolta dei tartufi. Nessuno lo sa e nessuno lo dice, ma l’Abruzzo è il maggior produtto-re al mondo. Basta dare la parola ai numeri: i tesserini

per l’esercizio dell’attività di raccoglitori sono in costante au-mento. Senza contare quelli che di tesserino e di regole da rispettare non vogliono neppure sentir parlare. Un’attività florida, in piena espansione che vede il pellegrinaggio con-tinuo dei “raccoglitori” che battono porta a porta la nostra regione, strappando il miglior prezzo a cercatori disorganiz-zati, divisi, spesso in feroce lotta l’uno contro l’altro. Lasciati da parte i professionisti che si dedicano al “diamante del bosco” per vivere (e bene), dedichiamo la nostra attenzione a quanti (e sono sempre di più) praticano la raccolta senza regole, lasciando i segni della distruzione dove arrivano. Un fenomeno negativo e persino paradossale: fino a mezzo se-colo fa pochi conoscevano l’esistenza e il valore del tartufo nella nostra regione. Oggi tutti conoscono e apprezzano il

re della tavola, la gemma sotto terra, il diamante vegetale. Eppure, sono in tanti a non rispettare l’ambiente in cui la preziosa specialità nasce e si riproduce, fino a compromet-tere una risorsa sia economica che gastronomica. Il pericolo infatti c’è e si allarga a macchia d’olio: si moltiplicano i casi di raccolta selvaggia del prezioso prodotto. Perché il mestiere del tartufaio non si inventa dall’oggi al domani. Sarebbe il caso di lasciare ai professionisti la gioia e la fatica del raccol-to. Chi volesse comunque provare l’ebbrezza di trovare un tesoro di altissimo valore economico e gastronomico (il tar-tufo ormai è al livello delle pietre preziose), potrà parteci-pare a una delle tante visite guidate da esperti cercatori nei boschi. Il cavatore deve imparare a “leggere l’ambiente” nel quale si muove, capirlo e rispettarlo. La raccolta del tubero è un’attività delicata, che ha le sue tecniche e i suoi rituali, tanto che spesso non si parla di “raccolta”, ma di “caccia” al tartufo. In Abruzzo, purtroppo, siamo alla fase primitiva, a quella

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selvaggia della ricerca. Come esattamente si è verificato in passato per la raccolta nei boschi dei funghi porcini e per la pesca delle trote nei fiumi. Le distruzioni lasciate alle spalle da chi non aveva alcun rispetto per il bosco e per i fiumi erano all’ordine del giorno. Storia passata. Ora è il turno del tartufo, anche se in molte zone, per iniziativa delle autorità locali, si sta correndo ai ripari. Guardaboschi e addetti alla vigilanza si danno da fare per fermare l’esercito dei “senza regole” e per tutelare un prodotto che è una vera ricchezza. Montano la guardia contro i cercatori abusivi e selvaggi, che dove passano distruggono persino le radici, scavando all’im-pazzata. Questi “fuorilegge” del bosco non usano i cani, che per una ricerca fruttuosa e ordinata sono indispensabili, an-che per salvaguardare la continuità del prodotto. Non si cu-rano di rincalzare lo scavo operato. Fanno una “caccia” solo dannosa. Per difendere il “diamante del bosco” sono suffi-cienti i controlli in atto? Forse è necessario aumentarli per eliminare dalla scena gli abusivi e gli irresponsabili. Negli ultimi anni, comunque, si evidenzia un incremento nelle attività di controllo che hanno avuto un considerevole incremento con l’entrata in vigore della L.R. 66/2012. Da non sottovalutare che quella intorno al tartufo e ai suoi derivati è una realtà economica ed occupazionale rilevante. Qualche tempo fa l’associazione ecologica di un piccolo paese della Val di San-gro, conosciutissimo per i tartufi, ha organizzato con succes-so una mostra-mercato ed un convegno per iniziare l’opera di sensibilizzazione di politici e amministratori. Obiettivo: la creazione di un marchio di tutela, di incentivi e agevolazioni fiscali per regolarizzare i molti giovani che in questa attività potrebbero trovare una valida e redditizia alternativa alla ca-

renza di occupazione, endemica nelle zone interne abruzzesi. Anche questo è il segno che qualcosa sta iniziando a muo-versi. In Abruzzo si possono trovare quasi trenta tipi diversi di tartufo, diffusi dai trecento fino a circa millecinquecento metri di altitudine. La produzione totale si aggira intorno ai quattrocento quintali (cifra indicativa per difetto), molti dei quali finiscono per alimentare i redditizi mercati di altre re-gioni italiane. Il più abbondante è il “tartufo estivo”, detto anche “scorzone”. Tartufo bianco, nero, invernale o estivo stiamo parlando comunque di un mercato in piena salute, che coinvolge nei vari passaggi diverse figure: professionisti o cercatori per hobby, trasformatori del prodotto, operatori turistici, buongustai, ristoratori. Far emergere questo mondo sommerso, soprattutto difendendolo da chi invece vorrebbe distruggerlo o comprometterlo, si tradurrebbe in una catena di benefici e di positive ricadute sul territorio.

ASSOCIAZIONE CORALE “G.VERDI” TERAMO

CONCERTO DI NATALEXXII edizione 2014

L.Perosi “Missa Pontificalis”

Direttore ANTONIO DI MARCO

Alba Adriatica, fraz. Basciani - Chiesa dell’ImmacolataSabato 20 Dicembre - ore 21:00

Teramo - Cattedrale Santa Maria AssuntaDomenica 21 Dicembre - ore 21:00

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UNa DoNNaabrUzzESEprotagonista del nostrorisorgimento

di Elisabetta Mancinelli

Una figura femminile, che con la sua vita e il suo operato,

ha contribuito alla nascita di questo nostro Paese è la teramana Giannina Milli. Grande esempio di impe-gno civile, poetessa educa-trice e patriota è una delle donne che hanno fatto l’I-talia, la protagonista di quel Risorgimento invisibile che gli storici stanno riportando alla luce nei 150 anni dell’I-talia Unita.

UNA VITA INTENSAGiannina Milli nacque il 24

maggio 1825 a Teramo, in una casa adiacente al duomo (immagine a lato). La madre , Regina Rossi , figlia di un libra-io della città, le insegnò a leggere e a recitare sonetti, tanto che a soli cinque anni Giannina sapeva declamare versi ed improvvisare componimenti. Nel 1832, dopo che la fami-glia si era trasferita temporaneamente a Chieti, Giannina si esibì per la prima volta su un palcoscenico, insieme ad una compagnia itinerante di comici, recitando alcuni versi della Divina Commedia e della Gerusalemme Liberata. Il successo fu tale che il re di Napoli volle conoscerla e si impegnò a farla studiare in un collegio femminile. Non si applicò allo studio, lesse molto da sola e si affidò a: Giu-seppe Regaldi, noto poeta improvvisatore. Imparò così a comporre versi sempre più raffinati e soprattutto a perfe-

zionare la sua capacità innata di improvvisatri-ce. Giannina si esibì il 24 giugno 1847 nel te-atro di Teramo dinanzi ad un folto pubblico: fu un trionfo. Il giornale romano “ Fanfulla”, che pubblicò una recensio-ne dell’avvenimento, contribuì a diffondere la fama della poetessa, che da allora conti-nuò ad improvvisare in molte città italiane. Spinta da un grande amor patrio compo-neva anche canti patriottici, in cui esaltava eroi, glorie e speranze del Risorgimento. Ebbe molto a cuore la causa unitaria nazionale, per questo i suoi versi furono vietati e fu minacciata di prigionia come testimonia Oreste Raggi nella sua “Biografia di Giannina Milli”. “per il suo poetare troppo libero ella veniva accusata di repubblicanismo e minacciata di prigionia; onde dovette per due o tre mesi guardarsi, e una raccolta dei suoi versi pubblicata in Teramo, divenne libro pericoloso a chi lo possedeva...”. La sua raccolta “Poe-sie” divenne libro proibito; molti che lo avevano acquistato lo nascosero, mentre le copie ancora pos-sedute dalla famiglia dell’autrice furono bruciate per timore di ritorsioni. Gli eventi politici del 1848 co-strinsero la donna a ri-piegare su studi solitari. Dopo la prima guerra di indipendenza la Mil-li, considerata ormai la più grande poetessa improvvisatrice italiana, riprese a girare l’Italia: Roma, Ferrara, Firenze, Siena, dove “osava can-

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tare di patria, di cittadine virtù, di militare valore, osava ri-cordare l’Italia là dove e quando d’Italia anche il solo nome era delitto pronunciare” ( Raggi). I suoi viaggi costituivano un momento di propaganda e partecipazione culturale e politica al movimento nazionale, come attesta, anche, il suo ricco epistolario. Nel 1859, dopo aver improvvisato a Bologna alcuni versi in memoria di Galileo, in cui faceva ri-ferimento alla situazione politica contemporanea, ricevette l’ordine di lasciare la città. Nonostante l’opposizione del governo pontificio, Bologna coniò, insieme a città come Perugia, Lucca, e la natia Teramo, medaglie in onore della poetessa. Anche le donne di Milano, dove Giannina si era recata dopo la liberazione della città, vollero coniare una medaglia d’oro con la sua immagine: aveva commosso il pubblico milanese. Nel 1859 fu ricevuta dal Manzoni. Giannina dopo la proclamazione dell’ unità d’Italia, tornò a Napoli, dove ricevette da Francesco De Sanctis, allora direttore della Pubblica Istruzione, “una pensione in testi-monio di onore…ed è giusta cosa che un libe-ro governo apprezzi la virtù quale essa sia e la rimuneri, perché non solo con le armi, ma con la sapienza e con l’esercizio di ogni virtù cittadina, si onora, si assetta e si fa grande e rispettato un popolo” (Raggi ). Ripresi i viag-gi, Giannina continuò a manifestare il suo im-pegno civile; a Firenze improvvisò, in teatro,

versi in onore di Cavour e di Garibaldi. E, sempre a Firenze, il 14 maggio 1865, nacque l’Istituzione Milli che, finanzia-ta dal testamento di Giannina, avrebbe premiato, dopo la sua morte, fanciulle meritevoli e bisognose. Tra le vincitrici del premio vi fu Ada Negri con il racconto Fatalità. All’isti-tuzione parteciparono, tra gli altri, Niccolò Tommaseo e Luigi Settembrini. Nel 1865, mentre la Milli meditava di ritirarsi dalla vita pubblica, fu nominata, dal ministro della Pubblica Istruzione, Ispettrice delle scuole e elementari di Napoli. Nel 1872, dopo l’annessione di Roma, fu chiamata a dirigere la Scuola Normale superiore femminile da poco costituita, in cui successivamente insegnò storia e morale. Nel 1876 sposò Ferdinando Cassone, ispettore scolastico e lasciò il suo incarico di direttrice per seguire il marito nei suoi spostamenti, quando questi divenne Provveditore agli Studi di Caserta di Bari e poi di Avellino. Dopo pochi anni di felicità, Cassone si ammalò di una lunga malattia, nella quale la moglie lo assistette assiduamente fino alla morte.Giannina Milli si spense a Firenze l’8 ottobre 1888, stronca-ta dal dolore di aver perduto, in poco tempo, la madre ed il marito. Paolo Boselli, allora ministro della Pubblica Istruzio-ne, così scrisse al Municipio di Firenze per commemorarla: “La poesia dell’anima italiana brillava nell’estro di Giannina Milli per il trionfo degli ideali patriottici. Non si può vedere senza mestizia spegnersi questa luce, che nei giorni delle prove ha confortato gli animi trepidanti” (Raggi).

I documenti sono tratti da: “Biografia con alquante poesie inedite” di Oreste Raggi, “Milli Giannina” di Raffaele Aurini, “L’Ottocento di Gianni-na Milli”: mostra storica e documentaria dell’ Istituto Magistrale Statale “G. Milli” Teramo. Le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione. Indirizzo: Via Veneto 10 Montesilvano tel. 085 834879 email: [email protected]

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Laga TErra Di FUNgHie non solo

di Francesco Ciapanna

All’interno del comprensorio montano boschivo e non della Laga, nell’area rappresentata dall’Abruzzo teramano, prosperano molteplici generi di macro-

miceti micorrizogeni, le cui specie eduli sono raccolte. Le specie eduli, però, si distinguono principalmente in comme-stibili e non commestibili. I funghi sono distribuiti sull’intero territorio a seconda delle zone altimetriche, e a seconda delle specie vegetali presenti, come ad esempio faggete,

quercete, cerrete, abetine. Le specie che si possono tro-vare sui monti della Laga sono riferibili principalmente alla specie Boletus, di cui esistono molteplici generi come B. reticulatus, B. aereus, Bedulis, B. aestivalis, B. albus; B. pinicola e B. fuscoruber a seconda della zona e della vegetazione presente nella zona, ma anche Agaricaceae riferibili al ge-nere Amanita, Lepiota, Clitocybe, Russula, Lactarius, Hy-grophorus, Pholiota, Armillaria e Tricholoma. Oltre a queste specie di funghi, reperibili esclusivamente in natura, esistono anche funghi come il Prataiolo (Agaricus campestris) e lo Champignon (Agaricusbisporus), sempre riferibili alla fami-glia delle Agaricaceae, che hanno la caratteristica di poter essere coltivati e quindi di essere più reperibili sul mercato.Il fungo per antonomasia è il Boletus, volgarmente deno-minato Porcino, ricercato da tutti i raccoglitori di funghi. Dal punto di vista ecologico sono funghi simbionti che vivono in rapporti micorrizici con le radici delle essenze arboree forestali, in quanto come nutrienti hanno bisogno di sostanze già elaborate da altri organismi a causa del-la loro incapacità di produrle. Dal punto di vista del ciclo produttivo, questo è condizionato dagli agenti atmosferici, infatti a seconda del periodo in cui ci troviamo, possiamo reperire diversi generi di Boletus. Ad esempio il B. aereus è abbondante nel periodo primaverile-estivo (giugno-luglio) sempre a seconda della zona, in quanto più sviluppato nella zona sub-montana e meno nella zona montana inferiore; il B. reticulatus compare saltuariamente sempre nel periodo primaverile estivo (nella zona montana inferiore; il B. edulis è abbondante nella zona montana inferiore in primavera ed in autunno; B. pinicola è abbondante nei mesi autunnali nel-la zona montana, dove anche saltuariamente sono reperibili B. fuscoruber e albus. Queste specie di funghi, reperibile esclusivamente in na-tura, rappresentano la specie più ricercata dai raccoglitori di funghi. Poiché rappresentano una prelibatezza per molti, il loro consumo avviene per l’intero arco dell’anno e ciò comporta, che nei periodi in cui il fungo non è presente, si faccia uso di funghi congelati. Purtroppo il congelamento è una pratica che come conseguenza comporta un accumulo di tossine nel fungo stesso, che anche non essendo nocive, causano difficoltà di digestione dell’alimento e successiva eliminazione delle tossine dall’organismo umano. Proprio per questo si sconsiglia un uso continuo dei funghi durante i periodi non idonei, così da evitare spiacevoli inconvenienti.

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UN aFFETTUoSo

aUgUrio

Di bUoN NaTaLE

iN ParTiCoLar moDo

a TUTTi

gLi iNSErzioNiSTi

Paola Manente

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