l’industria alimentare cresce anche in una difficile situazione congiunturale
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Il punto sul settore alimentare:. L’industria alimentare cresce anche in una difficile situazione congiunturale. Guido Pellegrini- Università di Bologna. Il quadro congiunturale nel 2004. L’industria alimentare continua a crescere, sebbene più lentamente dello scorso anno - PowerPoint PPT PresentationTRANSCRIPT
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1 3.11.2004
L’industria alimentare cresce anche in una difficile situazione
congiunturale
Guido Pellegrini- Università di Bologna
Il punto sul settore alimentare:
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Il quadro congiunturale nel 2004
L’industria alimentare continua a crescere, sebbene più lentamente dello scorso anno
STIME FEDERALIMENTARE 2004 FATTURATO +1,9 % PRODUZIONE +0,5 %
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Il rallentamento nel 2004 nella produzione
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Alimentare Manifatturiero
2000-2003 2003-2004 (8 mesi)
Variazione % indice di produzione industriale
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L’export alimentare ha ripreso a crescere…
2003 2004 (primi 7 mesi)
… ma meno dell’export nazionale
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Alimentare Manifatturiero
2002-2003 2003-2004 (7 mesi)
Variazione % indice quantità esportate
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Le previsioni di sviluppo dell’industria alimentare sono un buon segnale:
Perché l’industria alimentare è parte importante del settore manifatturiero (con il 12% è il secondo settore per valore aggiunto)
Perché significa che la crisi di alcune imprese del settore è rimasta circoscritta all’ambito finanziario senza avere significative ricadute sulla produzione
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L’industria alimentare è importante in Italia e in Europa
È la prima industria per occupati e fatturato nel settore manifatturiero in Europa, con oltre due milioni e mezzo di addetti
È la prima industria in Francia e Germania In Italia con il 12% del valore
aggiunto è al secondo posto dopo il metalmeccanico. Impiega oltre 398.00 addetti.
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L’industria alimentare è in Italia molto frammentata rispetto all’Europa
In Italia abbiamo 36.600 imprese alimentari di cui 6.650 con più di 9 addetti
Gli addetti per impresa sono in media 14,1 in Europa, meno della metà (6,3) in Italia (19,4 la Germania, 9,0 la Francia)
Inevitabilmente, i margini di profitto sono tendenzialmente bassi, in genere minori del manifatturiero:
nel 2002 l’utile è stato pari all’ 1,3% dei ricavi nell’alimentare, 1,6% nel manifatturiero, anche se questo è dipeso principalmente dalla gestione finanziaria.
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La ridotta dimensione impatta sulla capacità di esportare
Quota % export sul fatturato dell'industria alimentare
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Italia EU Germ. Francia
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I 4 comparti principali lattiero caseario (13,8 miliardi di €, il 13%) dolciario (10,9 miliardi di €, il 10%) trasformaz. carne (7,4 miliardi di €, il 7%) vinicolo (5,4 miliardi di €, il 5%)
Il settore risulta molto frantumato anche tra i vari comparti produttivi
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Perché una crescita lenta? A fronte di una caduta dei consumi
alimentari delle famiglie… …Le imprese alimentari innovano,
proponendo nuovi prodotti e rinnovando quelli tradizionali
E migliorano le proprie capacità competitive, investendo in capitale umano.
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Calo dei consumi alimentari domestici in quantità (-2,9% nel 2004)
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2002-2003 2003-2004 (7 mesi)
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Le ragioni del calo dei consumi alimentari domestici
Oltre a motivi strutturali (i consumi alimentari si trasformano in servizi, ad esempio aumentano i pasti consumati fuori famiglia)
Soprattutto riduzione della capacità d’acquisto delle famiglie
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Il reddito risente degli aumenti dei prezzi al consumo (2,1%), non di quelli alla produzione (-0,2%)
Variazione % 2003-2004 (primi 7 mesi)(al netto di fresco e tabacchi)
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Prezzi alla produzione
Prezzi al consumo
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Il settore “tiene” perché si innova il prodotto
La struttura della produzione alimentare comprende i prodotti:
Tradizionali 66% Tradizionale evoluto 17% Tipici 9% Nuovi 8%
L’industria alimentare si orienta verso prodotti più specializzati, più nuovi e a più elevato valore aggiunto
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La competitività del settore viene sostenuta anche dagli investimenti in capitale umano
L’occupazione cala molto di meno che nel manifatturiero (nel decennio 1991-2001 è diminuita del -2,9%, rispetto al -6,1% del manifatturiero)
È privilegiata l’occupazione di “qualità” (il 22% degli addetti è destinato al controllo e gestione della qualità e sicurezza)
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Quali prospettive per il settore alimentare? Le domande da porsi Come reagire alla maggiore liberalizzazione e
facilità di trasporto e comunicazione tra paesi? Ovvero che cosa dobbiamo ancora continuare a produrre in Italia?
Come deve evolvere la struttura produttiva del settore? Ovvero ci possiamo permettere così tante piccole imprese?
Come cambierà la filiera agroalimentare? Ovvero quale sarà lo spazio per il settore industriale?
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Quali conseguenze per l‘industria alimentare da un mercato globalizzato?
Nuovi mercati e nuova domanda I paesi produttori di materie prime si
orientano verso la prima trasformazione Possibilità di sfruttare costi di produzione più
bassi, anche delocalizzando, come è già successo per alcuni settori ad alta intensità di lavoro (tessile, calzature). Potrebbe essere interessata l’industria molitoria, saccarifera, zootecnica.
Ma è possibile delocalizzare mantenendo il “cuore” della produzione in Italia?
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Essere più internazionali ma non essere meno italiani
La delocalizzazione può essere un’opportunità e non un problema se:
Serve a localizzarsi in nuovi mercati Se vengono mantenute tecnologie e controlli di
qualità Se lo sviluppo tecnologico e l’investimento in
capitale umano non viene a sua volta delocalizzato
Se soprattutto rimane il rapporto con i prodotti e le ricette e le tecnologie inimitabilmente italiane
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Le imprese alimentari italiane sono troppo piccole?
In termini di occupati, delle 6650 imprese con più di 9 addetti:
10 sono grandi 200 sono medie 6440 sono piccole
Dal 1991 al 2001 è diminuito il numero di addetti per impresa sia in quelle artigiane (<10 addetti) sia in quelle industriali
Questa diminuzione è più elevata nel Mezzogiorno
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Quali gli svantaggi di essere piccoli? La grande frantumazione consente al
settore di valorizzare le infinite tradizioni produttive diffuse sul territorio ma ….
Riduce la capacità di competere adeguatamente sul mercato globale (poca R&S, poca capacità finanziaria)
Riduce la capacità di resistenza alla forte pressione della Grande Distribuzione.
Riduce la capacità innovativa basata su nuove tecnologie e nuovi prodotti
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Le conseguenze? Bassa internazionalizzazione e basso export Ridotta profittabilità Ridotta innovazione
Governare i processi di trasferimento dei consumi interni dal fresco al trasformato, e all’evoluzione di questo verso segmenti sempre più ad alto valore aggiunto richiede alle imprese di adeguarsi anche come dimensione alle soglie richieste dal mercato
Non basta cercare le nicchie, bisogna innovare anche nei prodotti tradizionali
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Il ruolo dell’industria nella filiera agroalimentare: in discesa
15.1
11.8
31.1
24.5
14.2
15.6
38
46.3
1.6
1.8
0 20 40 60 80 100 120
1995
2004
Materie prime agricole
Prodotti dell’IndustriaAlimentare
Ristorazione
Commercio e trasporti
Imposte nette
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Quale spazio per l’industria?
La riduzione della quota industriale nella filiera agroalimentare ha due cause prevalenti:
La trasformazione degli acquisti di beni alimentari in acquisti di servizi di ristorazione
La capacità della GDO di ridurre i margini industriali, a fronte di un settore molto frammentato
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L’industria deve mantenere una quota importante della catena del valore alimentare Sebbene una redistribuzione dei margini è
inevitabile e in parte necessaria, specie a vantaggio della distribuzione di nicchia e di prossimità….
…La penalizzazione dell’industria nazionale avrebbe riflessi negativi pesanti sull’intera catena, data la forte integrazione del settore
Questo richiede una minore frammentazione delle industrie e una maggiore presenza internazionale della distribuzione italiana che faccia da traino ai prodotti nazionali