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1 Centro Culturale Lepanto L’Europa nichilista di Schuman, Adenauer e De Gasperi contro la Democrazia Sovrana Claudio Bernabei L a reazione dell’opinione pubblica europea contro l’impostazione illuministica dell’Unione Europea (1), così come si è sviluppata dal Trattato di Maastricht al Trattato di Lisbona, si è manifestata vivace ovunque i cittadini siano stati interpellati direttamente, tramite referen- dum, mentre è stata sistemati- camente ignorata dai politici di professione, pronti a ratificare i detti Trattati nei varî Parlamenti nazionali. La forza di questa reazione ha tuttavia allarmato i registi del processo di distruzione della sovranità delle singole Nazioni europee, i quali hanno riconsiderato la possibilità di sminuire l’esaltazione fin qui usuale di quegli esponenti della Sinistra riformista che si riconobbero nel cd. “Rapporto Delors” del 17 aprile 1989, in cui si annunciò il passaggio dalla Comunità Economica Europea all’Unione politica (2). DALLE RADICI CRISTIANE ALLE RADICI DEMOCRISTIANE Allo scopo di attenuare l’irritazione dell’opinione pub- blica per il rifiuto di onorare come fondamento dell’Unione quella Croce cui per secoli si sono rivolti tanti cuori europei, c’è chi sta rilanciando come surrogato delle Radici Cristiane d’Europa un trio di cattolici liberali, di area politica democratico cristiana, cui da molti si è attribuita la paternità della prima fase della distru- a cura del CENTRO CULTURALE LEPANTO Presidente Fabio Bernabei www.lepanto.org email : [email protected] Tel./fax: +39.06.60513116 cell: +39.347.2282760 Recapito postale: C. P. 6080 00195 Roma C/C Postale n. 47952007 LEPANTOFOCUS n. 6 4 novembre 2008

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La reazione dell’opinione pubblica europea contro l’impostazione illuministica dell’Unione Europea, così come si è sviluppata dal Trattato di Maastricht al Trattato di Lisbona, si è manifestata vivace ovunque i cittadini siano stati interpellati direttamente, tramite referendum, mentre è stata sistematicamente ignorata dai politici di professione, pronti a ratificare i detti Trattati nei varî Parlamenti nazionali.La forza di questa reazione ha tuttavia allarmato i registidel processo di distruzione della sovranità delle singoleNazioni europee, i quali hanno riconsiderato la possibilità disminuire l’esaltazione fin qui usuale di quegli esponenti dellaSinistra riformista che si riconobbero nel cd. “RapportoDelors” del 17 aprile 1989, in cui si annunciò il passaggiodalla Comunità Economica Europea all’Unione politica

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1 Centro Culturale Lepanto

L’Europa nichilista di Schuman, Adenauer e De Gaspericontro la Democrazia SovranaClaudio Bernabei

La reazione del l ’opinione pubb l i ca europea contro l’impostazione illuministica dell’Unione Europea (1), così come si è sviluppata dal Trattato di Maastr icht al Trattato di Lisbona, si è manifestata vivace ovunque i cittadini siano stati interpellati direttamente, tramite referen-dum, mentre è stata sistemati-camente ignorata dai politici di professione, pronti a ratificare i detti Trattati nei varî Parlamenti nazionali.

La forza di questa reazione ha tuttavia allarmato i registi del processo di distruzione della sovranità delle singole Nazioni europee, i quali hanno riconsiderato la possibilità di sminuire l’esaltazione fin qui usuale di quegli esponenti della Sinistra r iformista che si riconobbero nel cd. “Rapporto Delors” del 17 aprile 1989, in cui si annunciò il passaggio dalla Comunità Economica Europea all’Unione politica (2).

DALLE RADICI CRISTIANE ALLE RADICI

DEMOCRISTIANE

Allo scopo di attenuare l’irritazione dell’opinione pub-blica per il rifiuto di onorare come fondamento dell’Unione quella Croce cui per secoli si sono rivolti tanti cuori europei, c’è chi sta rilanciando come surrogato delle Radici Cristiane d’Europa un trio di cattolici l ibera l i , d i area po l i t i ca democratico cristiana, cui da molti si è attribuita la paternità della prima fase della distru-

a cura del

CENTRO CULTURALE LEPANTO

PresidenteFabio Bernabei

www.lepanto.org

email: [email protected]

Tel./fax: +39.06.60513116

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zione della sovranità delle Nazioni europee: “Più volte Giovanni Paolo II ha denunziato ‘i tentativi di dare un volto all’Europa escludente le eredità religiose e, in particolare, la propria anima cristiana (…) si tratta di un fatto che non può essere ignorato’. Aggiungiamo noi che c’è un altro ‘fatto che non può essere ignorato’: le basi dell’Unione Europea, storicamente, sono state poste in modo principale e determinante da tre uomini politici cristiani, e per giunta cattolici: Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi” (3).

Questa prima fase si apre con la firma del trattato di istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio a Parigi, il 18 aprile 1951 che si svilupperà poi nella Comunità Economica Europea con il trattato di Roma del 1957.

Il trattato per la C.E.C.A. di Parigi del 1951 è quindi riconosciuto come l’inizio effettivo del processo politico che oggi si incarna nell’Unione Europea, per il fatto che, alla data del trattato di Roma, uno dei tre “‘padri fondatori’ Konrad Adenauer, Robert Schuman ed Alcide De Gasperi (…) ‘padri dell’Europa’” (4) era venuto meno, ossia il De Gasperi, deceduto nel 1954.

DUE PRECISAZIONI OPPORTUNE

Un’autorevole esperta di questioni europee quale è l’editorialista del quotidiano “La Stampa” Barbara Spinelli, che per di più è figlia dell’ideologo europeista Altiero Spinelli e compagna del politico ed economista europeista Tommaso Padoa Schioppa, lamentando la crisi del processo di unificazione, fa però propria una doppia precisazione: “Non c’è più spazio per le idee di Monnet e di Schuman. Perde senso l’Europa postmoderna” (5).

Prima precisazione: la paternità del processo distruttivo della sovranità delle Nazioni europee non va ricondotta alla mitica triade, che persino secondo i suoi sostenitori “andrebbe spogliata del velo romantico in cui sino ad oggi è stata ammantata” (6).

Seconda precisazione: tale processo ha un’impronta “postmoderna”.

IL MAESTRO DEL CORO ED I CORISTI

Giustifichiamo la prima precisazione: è per tutti evidente che, all’indomani della fine della guerra, una iniziativa di respiro europeo non poteva essere avviata alla pari da Francia, Italia e Germania.

La Francia faceva parte degli Alleati vincitori, mentre “Italia e Germania uscivano dalla guerra in una situazione in parte analoga: entrambe vinte, entrambi, anche se per motivi diversi, giudicate ‘inaffidabili’“ (7); perciò, di un progetto europeo, “purtroppo, la guerra perduta impedisce ora a queste due nazioni di prenderne l’iniziativa concreta” (8).

“Fortunatamente un altro grande cristiano, Robert Schuman (…) è ministro degli Esteri di una potenza vincitrice: la Francia” (9).

Se le aspirazioni europeiste dei Primi Ministri italiano e tedesco sono indiscutibili, è altrettanto indiscutibile che i due sono trainati dall’iniziativa francese: ne sono testimonianza gli intensi rapporti tra Schuman e De Gasperi e fra Schuman ed Adenauer, mentre al contrario “i rapporti tra De Gasperi e Adenauer risultano da un punto di vista archivistico poco consistenti: essi si limitano a scambi di lettere ufficiali tra capi di stato e di partito, il cui contenuto non permette di attestare quella tanto declamata amicizia, che dal secondo dopoguerra ad oggi ha rappresentato una delle pietre angolari della storiografia europeistica.

Tale presupposto indurrebbe infatti a sostenere la presenza di corposi carteggi tra i due leader e una corrispondente frequenza di incontri e scambi di opinioni politiche, di consistenza paragonabile, ad esempio, a quella intercorsa tra Adenauer e lo statista francese Robert Schuman” (10); e va anche rilevata “l’assenza di corrispondenti segni di attenzione per l’Italia e per De Gasperi nelle Memorie del Cancelliere tedesco” (11).

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Il ruolo di De Gasperi appare essere stato essenzialmente quello di assecondare prontamente le iniziative di Schuman, che di questo lo ringraziò vivamente (12).

LA MASCHERATA CAROLINGIA

Il ruolo di Adenauer, in più, fu quello di far réclame di fronte all’opinione pubblica mitteleuropea al processo di distruzione di s ov r a n i t à d e l l e N a z i o n i e u r o p e e spacciandolo per una rinascita carolingia: “Adenauer reclamò un’Europa unita come baluardo della civilizzazione cristiana (…) il topos del ‘Christliches Abendland’ <Occidente cristiano, N.d.R.> godette nei primi anni Cinquanta di notevole popolarità, in particolare nel milieu cattolico-conservatore. I sostenitori dell’Abendland (‘Abendländer’) (…) fraintesero il frequente ricorrere da parte di Adenauer a terminologia tipica del circolo culturale cristiano-abendländisch come vicinanza alle loro idee: con il loro pensiero (…) Adenauer, formato da una cultura umanistico-borghese, non aveva nulla a che fare. Ma la formula di facile presa dell’Abendland cristiano aiutò il Cancelliere a convincere la fascia conservatrice (…) per imporre l’unione europea.” (13).

Ad esempio l’Adenauer promosse l’istituzione del Premio Carlo Magno, da concedere a chi si era distinto nel promuovere l’unione europea: nella sua prima edizione, nel 1950, il premio fu conferito all’europeista liberaldemocratico Richard Coudenhove Kalergi; nel 1952 al De Gasperi, nel 1953 a Jean Monnet, nel 1954 all’Adenauer, nel 1958 a Robert Schuman (14).

IL COSIDDETTO “PIANO SCHUMAN”

Da quanto detto sopra si capisce perché l’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio venga anche definita come Piano Schuman “da quel

lontano 9 maggio 1950 in cui Robert Schuman avanzò ai Governi d’Europa la concreta proposta di fondare, per tappe successive, una Comunità di cooperazione e di pace (presentata anche al mondo quale esempio da imitare per giungere ad una solida e solidale organizzazione) (…) Si pensa a lui ma anche a tutto il ‘gruppo’ di Leaders che egli riuscì a coinvolgere nella grande impresa” (15).

Ma in realtà anche di Schuman si può dire che “la sua grandezza storica sta nel fatto di aver realizzato il piano Schuman – l’idea di un altro” (16).

In effetti l’elaborazione di quello che in seguito fu definito “piano Schuman”, del quale lo stesso “Schuman si dice solo il ‘padre adottivo’” (17), avvenne sotto la cura di Jean Monnet, commissario generale al piano economico francese: ma più che i problemi economici, “per Monnet ad avere la priorità erano i genuini ragionamenti politici” (18).

Monnet chiudeva il suo testo originale con queste righe: “Questa proposta ha una portata politica essenziale: aprire nel bastione delle sovranità nazionali una breccia che sia abbastanza limitata da raccogliere i consensi, e abbastanza profonda da portare gli Stati verso l’unità” (19)

L’ATTACCO NICHILISTA ALLA DEMOCRAZIA SOVRANA

Da quanto scritto sopra possiamo dire giustificata la prima precisazione di Barbara Spinelli, da un punto di vista storico, ed insieme dire giustificata anche la seconda precisazione, quella riguardante la qualità “postmoderna” dell’attuale processo di unificazione europea, da un punto di vista filosofico.

I l p e n s i e r o p o s t m o d e r n o s i accompagna infatti “a una visione del mondo sostanzialmente nichilista” (20), ove non solo “nulla appare provvis to di valore o di significato” (21), ma comporta in più la critica di ogni Soggetto (Dio, Io, etc.).

In politica il Soggetto è il Sovrano e perciò il nichilismo non può che portare alla

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critica di ogni Sovranità, divina ed umana (22).

La sovranità nel regime monarchico appartiene al Re, nel regime aristocratico appartiene all’élite dirigente, nel regime democratico appartiene ai Cittadini dello Stato: perciò dove sono Sovrani i Cittadini dello Stato c’è Democrazia.

Gli Stati europei si riconoscono tutti nel sistema democratico e quindi il tentativo di distruzione del “bastione delle sovranità nazionali”, per dirla col Monnet e dietro a lui Schuman, Adenauer e De Gasperi, si concreta in un tentativo di distruggere l’identità dei Sovrani delle Nazioni europee, ossia appunto i Cittadini di ciascuno Stato.

Ciò è avvenuto tentando di alterarne l’identità religiosa, culturale ed anche economica, chiudendo le fabbriche in Europa per aprirle in Oriente.

I Sovrani delle varie Nazioni Europee, ossia i Cittadini di ciascuno Stato, sono stati privati dei più elementari diritti di Sovranità e costretti ad obbedire a Leggi fatte a Bruxelles.

Addirittura si vuole annichilire il principale Diritto Sovrano, il Diritto di Voto, concedendolo anche a Cittadini di altri Stati, comunitari ed extracomunitari: vero culmine del l ’at tacco nichi l i s ta a l la Democrazia sovrana.

A TEATRO SI DICE: FUORI L’AUTORE

Dopo aver giustificato anche la seconda precisazione da un punto di vista filosofico, occorre aggiungere da un punto di vista storico che il nichilismo - non quello generico, si badi bene, sotteso alle vaghe aspirazioni europeiste che fra il XVIII ed il XIX secolo cominciarono a divenire tanto di moda nei salotti, sulle gazzette e nelle università, ma quello che ha concretamente animato il preciso itinerario politico-economico che dalla dichiarazione del

Governo francese del 9 maggio 1950 ha portato al trattato di Parigi del 1951 istitutivo della CECA, e poi alla Comunità Economica Europea, proseguendo poi la medesima traiettoria allora impostata fino all’attuale trattato di Lisbona - ha camminato sulle gambe di un uomo, Alexandre Kojève: “Se un giorno la vera storia della diplomazia economica degli anni 1946 – 1968 sarà scritta, il ruolo di Kojève verrà alla luce” (23).

Noi sappiamo che, in quello che è stato definito “il gran teatro del mondo”, perché possa essere rappresentata una tragedia o una farsa (più spesso una tragica farsa) sono senz’altro necessari generosi finanziatori, esperti impresari, attori preparati ed un pubblico che sia stato interessato ed educato ad apprezzarla: con tutto ciò, occorre sempre un autore.

Nel nostro caso l’autore è Alexandre Kojève, un filosofo nichilista (24) che definisce con disprezzo “nichilisti denominati ‘intellettuali di sinistra’” (25), da ricacciare “in quell’ambito letterario che è loro proprio” (26), chi scrive e chiacchiera ma non è in grado di cambiare la politica europea.

Kojève, “una sorta di eminenza grigia del governo” francese (27) che può al tempo stesso essere definito il maestro “des intellectuels les plus brillants de son époque” (28).

L’OCCULTO MAESTRO DEL ‘900

Infatti, “tra il 1933 e il 1939, in un corso della sezione ‘Sciences réligieuses’ dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi, Alexandre Kojève propose un’originale e penetrante interpretazione della Fenomenologia dello spirito di Hegel che riscosse fin dall’inizio un grande successo.

Come è noto, tra i non numerosi uditori, vi erano personaggi come Jacques Lacan, Georges Bataille, Maurice Merleau-Ponty, Raymond Queneau, p. Gaston Fessard S.I., Éric Weil, Aron Gurvitch, Jean Hyppolite, Robert Marjolin e talvolta André Breton: personaggi tutti destinati a

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svolgere un ruolo importante nella cultura francese ed europea del secondo dopoguerra” (29). Pertanto, “generazioni di grandi intellettuali (…) si sono formati, direttamente o indirettamente, alla sua scuola” (30).

Il motivo per cui questo giovane immigrato russo, che “nato a Mosca nel 1902, a diciotto anni – sebbene si dichiarasse ‘comunista’ – aveva abbandonato l’Unione Sovietica per l’Europa occidentale” (31), “si era trovato, all’improvviso e per circostanze casuali” (32) ad avere per sei anni (1933-1939) una cattedra a Parigi è una quest ione che non è poss ibi le qui approfondire.

E’ invece possibile, dai suoi stessi scritti, chiarire come egli abbia lasciato una sicura e brillante carriera accademica e filosofica per abbracciare nel 1945 quella di “grande funzionario degli organismi economici europei e internazionali; morirà il 4 giugno 1968 a Bruxelles durante una riunione del Mercato Comune Europeo” (33).

UN RE E’ LA SUA CORTE

Secondo la sua interpretazione di Hegel, quale la propose all’attento e qualificato uditorio parigino, il filosofo tedesco distingue fra il Poeta o Intellettuale rivoluzionario, che nei suoi libri argomenta e pubblicizza le sue convinzioni, e colui che “impone le sue Convinzioni; agisce, cessa d’essere Intellettuale rivoluzionario, diviene Cittadino (Napoleone)” (34).

Secondo l’interpretazione kojèviana, per Hegel questa intellettualità, che nei suoi testi è “creatrice di ‘Mondi’ fittizi,‘meravigliosi’, culmina in Novalis (come l’azione politica creatrice d’un Mondo reale culmina in Napoleone)” (35).

Come sfuggire a questo dualismo fra intelletto ed azione? Kojève suggerisce una soluzione: “Questo (tutt’al più) potrebbe avvenire se Napoleone ‘riconoscesse’ Hegel come Hegel ha ‘riconosciuto’ Napoleone. Nel 1806, Hegel si aspettava di essere chiamato da Napoleone a Parigi per divenirvi il Filosofo (il Saggio) dello Stato

universale e omogeneo, che deve spiegare (giustificare), e forse dirigere, l’attività di Napoleone?” (36).

Kojève ammette che “da Platone in poi, la cosa ha sempre tentato i grandi filosofi” (37), ma è ben conscio che gli uomini politici hanno dei pregiudizi nei confronti dei filosofi: decide di affrontare la questione in un articolo intitolato L’action politique des phi losophes , apparso nel 1950 come recensione al libro di Leo Strauss On Tyranny del 1948, articolo che venne ampliato e ripubblicato nel 1954, con il titolo Tyrannie et sagesse.

L’AZIONE POLITICA DEI FILOSOFI

Kojève afferma che non è vero che la presunta astrattezza del filosofo non si incontri con la concretezza dell’attività politica, anzi questi è avvantaggiato perché “in primo luogo, il filosofo è più esperto nell’arte della dialettica o della discussione in generale:vede meglio del suo interlocutore ‘profano’ le insufficienze della sua argomentazione e meglio di lui sa far valere i suoi argomenti e confutare le obiezioni degli altri.

In secondo luogo, l’arte della dialettica consente al filosofo di liberarsi dei pregiudizi con più facilità del ‘profano’: è dunque più aperto del ‘profano’ alla realtà quale essa è, ed è meno dipendente dal modo in cui gli uomini, in un dato momento storico, si immaginano che essa sia (…) si accosta al concreto meglio del ‘profano’” (38

Pe r t a n t o “ l à d o v e l e ‘ r i f o r m e strutturali’ (N.d.R. sottolineatura mia) o l’’azione rivoluzionaria’ sono oggettivamente possibili e dunque necessarie, il filosofo è particolarmente idoneo a metterle in atto o a consigliarle” (39)

Perciò il Kojève crede “al contrario di un’opinione diffusa, che il filosofo sia perfettamente in grado di prendere il potere e di governare o partecipare al governo, dando, ad esempio, consigli politici al tiranno” (40).

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Dove nascono i pregiudizi che i politici hanno verso i filosofi?

Per Kojève “la complessità e la difficoltà dipendono banalmente dal fatto che l’uomo ha bisogno di tempo per pensare ed agire, e che il tempo di cui dispone è in realtà molto limitato (…) In particolare, in forza della propria temporalità e finitezza, il filosofo è obbligato a scegliere fra la ricerca della saggezza e, per esempio, l’attività politica, magari quella di consigliere del tiranno. A prima vista, secondo la definizione stessa di filosofo, questi dedicherà ‘tutto il suo tempo’ alla ricerca della saggezza, che rappresenta il suo valore e fine supremo” (41).

NON ESISTE LA VERITA’, ESISTE L’AZIONE

Ma per giustificare questa scelta, “occorrerà ammettere che l’Essere è essenzialmente immutabile in sé ed eternamente identico a sé stesso (…) l’uomo (il filosofo) può in ogni momento partecipare a questa verità, sia in seguito a un’azione che proviene dalla verità stessa (‘rivelazione divina’), sia mediante uno sforzo individuale di comprensione (l’’intuizione intellettuale’ platonica) (…) ma se non si accetta questa concezione teista della verità (e dell’Essere), se si ammette l’ateismo radicale hegeliano secondo il quale l’Essere stesso è essenzialmente temporale (Essere = Divenire) e si crea, in quanto rivelato discorsivamente, nel corso della storia (o in quanto storia: Essere rivelato = Verità = Uomo = Storia) (…) se l’Essere si crea (‘diviene’) nel corso della storia, non è isolandosi da questa che si può rivelarlo (e trasformarlo col discorso in quella verità che l’uomo ‘possiede’ sotto forma di saggezza).

Per farlo, il filosofo deve al contrario ‘partecipare’ alla storia e non si vede allora perché non debba parteciparvi attivamente, dando per esempio dei consigli al tiranno, visto che, in quanto filosofo, è più adatto al governo di qualsiasi ‘profano’” (42).

ATTACCO ALLO STATO-NAZIONE

Kojève, nello stesso 1945 in cui uno dei suoi allievi degli anni ‘30, Robert Marjolin, soddisfa le aspirazioni che erano state espresse in quel corso su Hegel, aprendogli le porte degli ambienti di governo (43), aveva già steso un suo progetto politico, datato 27 agosto 1945 (44), in cui teorizzava la distruzione degli Stati nazionali a vantaggio di comunità transnazionali che definisce “imperi”: “La nascita dell’età moderna è caratterizzata dall’inarrestabile processo di progressiva eliminazione delle formazioni politiche ‘feudali’ che frammentavano le unità nazionali a vantaggio delle monarchie, e cioè degli Stati – nazione. Attualmente sono questi Stati-nazione a cedere inarrestabilmente a poco a poco il passo a formazioni politiche che fuoriescono dai limiti nazionali e che si potrebbero designare con il nome di ‘imperi’.

Gli Stati-nazione, ancora onnipotenti nell’Ottocento, cessano di essere realtà politiche, Stati, nel senso forte della parola, allo stesso modo in cui cessarono di essere Stati le baronie, le città e gli Stati medioevali (…)

Il processo storico che sostituì allora le entità feudali con gli Stati nazionali e che oggi sopprime le nazioni a vantaggio degli imperi può e deve essere spiegato con ragioni economiche “ (45).

Il Kojève, tratteggiando questa comunità transnazionale che definisce impero, ma in quel senso postmoderno e n i c h i l i s t a c h e e m e r g e d a l l a s u a interpretazione di Hegel, [cui arrivò peraltro partendo dallo slancio giovanile “per la filosofia e per i principi fondamentali dell’in – esistente. I principi attraversano tutto il mio pensiero come un filo rosso, e la loro eco si ritrova in ognuna delle questioni che affronto” (46)], afferma che “l’unione economica è la condicio sine qua non dell’unità imperiale latina. Ma non è la ragion d’essere dell’impero latino. Il fine ultimo ed autentico dell’unione imperiale è essenzialmente politico, ed è un’ideologia specificatamente politica che deve generarlo e ispirarlo” (47).

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LA NECESSITA’: METTERE IL GUINZAGLIO ALLA CHIESA CATTOLICA

Il problema per Kojève consiste nel fatto che un tale sforzo politico “non può, e non dovrebbe, fare a meno dell’appoggio della Chiesa cattolica, che rappresenta una potenza immensa, ancorché difficilmente calcolabile e ancor più difficilmente condizionabile (…) Bisogna però precisare che la riuscita dell’azione imperiale presuppone non solo una riforma politica radicale dei gov er n i la t in i , ma anche una pro fonda trasformazione della Chiesa cattolica” (48).

Come può un ateo nichilista, sia pure versato ed esperto nell’arte dell’”eminenza grigia”, convincere dei Cattolici a seguire le sue direttive?

La risposta si evince dall’entusiastica esaltazione che il Kojève fa del testo Art of Writing di Leo Strauss, la cui prima pubblicazione risale al 1941: “L’arte antica riscoperta da Leo Strauss consisteva nello scrivere all’incirca il contrario di quel che si pensa, così da camuffare ciò che si dice” (49).

Lo Strauss scrive che quando il filosofo ha come fine la “ricerca rivoluzionaria” (50) che si traduca in scelta politica – e fa gli esempi di “Marsilio da Padova e Machiavelli” (51) – quando parla ad un pubblico benpensante, dovrebbe evitare “il conflitto con il popolo” (52) “pericolo che, per quanto possano variare le sue forme, è coevo con la filosofia” (53), soprattutto se per “filosofia ‘genuina’” (54), si intende insieme al Kojève, che si professa “fedele discepolo di Strauss” (55), “la strenua rivendicazione della necessità filosofica dell’ateismo come rifiuto di qualsiasi orizzonte trascendente, metastorico, escatologico” (56): tale “filosofo” dovrebbe invece cercare di far gradualmente “subentrare” le sue idee “al posto delle opinioni correnti” (57)), ostentando tuttavia piena “conformità alle opinioni della comunità religiosa” (58).

Il Kojève concorda con lo Strauss nel trovare ovvio che, quando si tratta di sostenere tesi che vanno contro il buon senso comune e “un oratore per timore dell’odio dei suoi

ascoltatori, ha paura di esprimere apertamente il suo oggetto, egli cerca di dissimulare sotto un velo qualsiasi i propri insegnamenti e le proprie esortazioni” (59).

LO STRUMENTO: I CATTOLICI LIBERALI

DEMOCRATICOCRISTIANI

Si è scritto de “l’ossessione straussiana per la dissimulazione” (60), una dissimulazione che il Kojève trova utile ad “educare gli individui” (61), in particolare i Cattolici (62), a seguire “un’élite naturalmente atea” (63).

Oltre alla dissimulazione, il Kojève fin dal 1946 si mostrò deciso a sfruttare, per il suo progetto di unione transnazionale nichilista [giustificato con lo slogan “che nella nostra epoca (…) non è più possibile una politica ‘nazionale’ o nazionalista” (64)], il fatto che ”numerosi cattolici moderni sono sinceramente ‘liberali’. Lo si può spiegare, come si spiega il liberalismo in generale, con una certa mancanza di fede o, con maggiore precisione, considerando che i cattolici non possono più accettare integralmente e senza riserve tutte le tradizionali espressioni verbali del loro credo” (65).

Il Kojève evidentemente condivide le speranze espresse in un articolo apparso sul periodico diretto da Antonio Gramsci, “L’Ordine nuovo”, nel 1919, cioè che “il cattolicesimo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida (…) questi individui (…) diventeranno uomini, nel senso moderno della parola, uomini che attingono nella propria coscienza i principi della propria azione, uomini che spezzano gli idoli, che decapitano Dio” (66).

DALLE INTENZIONI AI FATTI

Alla luce di quanto detto sopra possiamo osservare con occhi diversi la presunta paternità cattolico-liberale e democratico cristiana del processo che ha portato all’Unione Europea: anzitutto

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osserviamo che il cd. Piano Schuman era un progetto “de l’équipe de Jean Monnet” (67).

Lo stesso Jean Monnet, pur tenendo a sottolineare che il gruppo dei suoi collaboratori non faceva che sviluppare i suoi suggerimenti generali, ne ricorda più volte il ruolo nella sua autobiografia.

Ad esempio: “Il 1946 fu l’anno dell’elaborazione dei grandi programmi di modernizzazione e, dato che tutto doveva procedere di pari passo, ci fu un’attività intensa in rue de Martignac, dove affluivano senza sosta i risultati dei lavori (…) Hirsh e Marjolin (Sottolineatura mia, N.d.R.) riunivano i relatori e confrontavano le loro proposte: essi sapevano meglio di me come coordinare i programmi e non pretendevo certo di sostituirmi a loro” (68).

Ed ancora, anni dopo, a proposito dell’impostazione della Comunità Europea di Difesa (CED): “Il gruppo si rimise al lavoro negli intervalli di tempo tra le sedute della conferenza: Hirsch, Uri, Clappier (Sottolineatura mia, N.d.R.) e Reuter, ai quali si aggiunse Alphand, affrontarono i problemi della difesa con lo stesso rigore logico e la stessa capacità immaginativa che avevano loro permesso di risolvere quelli dell’economia. Anche questa volta lasciammo da parte i tecnici (I “profani”, N.d.R.), che complicano le cose e si oppongono ai cambiamenti. Non avevamo bisogno di esperti militari, come non avevamo avuto bisogno di esperti in siderurgia per far sì che l’acciaio diventasse europeo” (69).

Il Marjolin surricordato è esattamente quell’alto funzionario entusiasta discepolo di Kojève, il quale appunto lo aveva fatto entrare nel gruppo dei collaboratori di Monnet e senz’altro non per trattarlo come tutti gli altri del gruppo.

Nella sua autobiografia Monnet cita Robert Marjolin otto volte (70): invece il Kojève, morto diversi anni prima della redazione del testo, non viene mai citato, eppure, come vedremo, nel giro diplomatico aveva acquistato una discreta notorietà; in compenso Monnet non cessa di ripetere nella sua autobiografia, pagina dopo pagina, che la paternità dell’impulso originario

all’Unione Europea spetta a se stesso e solo a se stesso.

Il Monnet riserva invece a Bernard Clappier, collaboratore di Schuman e suo, nove citazioni (71): d’altronde è difficile sminuire il suo ruolo nella nascita della Comunità Europea, se nei suoi ricordi lo stesso “Schuman vuole condividere il merito con Bernard Clappier scrivendo: ‘E’ grazie a lui che ho osato’” (72).

In effetti il progetto redatto dall’équipe di Monnet era stato da questi spedito il 28 aprile 1950, nell’imminenza della riunione del Consiglio dei Ministri di martedì 9 maggio 1950, al Primo Ministro francese, Bidault, tramite il capo di Gabinetto Falaize, i quali non lo lessero nemmeno (73).

Nella seduta del 9 maggio il Governo francese doveva stabilire l’atteggiamento da p r e n d e r e n e i c o n f r o n t i d i u n a “riabilitazione” della Germania su cui si doveva decidere in una riunione della NATO fissata a Londra alla metà di maggio (74).

Fu invece Bernard Clappier , capo di Gabinetto di Schuman, Ministro degli Esteri, che lo stesso venerdì 28 aprile si mise in contatto col Monnet, chiedendo informazioni. Monnet gli diede il testo appena spedito a Bidault: Clappier, gli chiese di poterlo dare allo Schuman e corse alla stazione ferroviaria, dove lo Schuman stava partendo per il week-end: “Clappier lo trovò nel suo vagone: ‘Vuole leggere questo scritto di Monnet? E’ importante’. Il lunedì mattina egli tornò allo stesso posto ad accogliere Schuman. Questi, appena sceso dal treno, gli disse: ‘Ho letto il progetto, ci sto’. Queste poche parole bastarono a mettere in moto le cose” (75)

Il medesimo “Clappier ci aiutò a mettere a punto il testo che, il sabato 6 maggio, assunse la sua forma definitiva con queste nuove frasi (…) ‘L’Europa non si farà tutt’a un tratto né in una edificazione globale: essa si farà attraverso realizzazioni concrete, che creeranno prima di tutto una solidarietà di fatto’. Era la scelta fondamentale

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di un metodo che si proponeva di incorporare senza fine le cose e gli uomini” (76).

Così, il “9 maggio 1950 avevamo buttato all’aria il corso della storia, raddrizzando con un at to di volontà l ’andamento c ieco de gl i avvenimenti” (77).

Anni dopo, in missione a Washington, furono mandati tre alti funzionari francesi: Olivier Wormser, (del quale abbiamo letto più sopra l’opinione secondo cui se un giorno la vera storia della diplomazia economica degli anni 1946-1968 sarà scritta, il ruolo di Kojève verrà alla luce), Bernard Clappier ed Alexander Kojève: “L’ambasciatore francese negli Stati Uniti invitò a pranzo alcuni funzionari americani per far conoscere i loro omologhi francesi. Uno dei funzionari americani, Henry Kissinger, amava e conosceva la letteratura francese. Così l’ambasciatore presentò Wormser e Clappier come Bouvard e Pécuchet. E guardando dubbioso Kojève, rimasto qualche passo indietro, Kissinger lo indicò domandando: ‘E lui chi sarebbe?’ ‘ Lui? Ma lui è Flaubert…’” (78).

Claudio Bernabei

NOTE

1 Claudio Bernabei, Illuminismo: radice o malattia dell’Europa?, in “Il Borghese”, n.7 luglio 2008; Centro Culturale Lepanto, Il Trattato di Lisbona: un problema di comunicazione, “Lepanto Focus” n. 4.

2 Roberto De Mattei, 1900-2000. Due sogni si succedono: la costruzione, la distruzione, Roma, Edizioni Fiducia, 1990, p. 41.

3 Gerlando Lentini, Alle radici cristiane dell’Unione Europea: Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Roma, Città Nuova, 2004, p. 9.

4 Ulrich Lappenküper, Robert Schuman e l’unificazione europea, in, Eckart Conze, Gustavo Corni, Paolo Pombeni, Alcide De Gasperi: un percorso europeo, Bologna, il Mulino, 2005, p. 263.

5 Barbara Spinelli, L’anima dell’Europa, “La Stampa”, 31 agosto 2008.

6 Tiziana Di Maio, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, Torino, Giappichelli, 2004, p. 382.

7 Tiziana Di Maio, cit., p. 381.8 Giuseppe Audisio, Alcide De Gasperi, per la

Patria, per l’Europa, Leumann (Torino), Elle Di Ci, 1997, p. 25.

9 Ibidem.10 Tiziana Di Maio, cit., p. 196.11 Op. cit., p. 378.12 Maria Romana De Gasperi, De Gasperi,

ritratto di uno statista, Milano, Mondadori, 2007, p.226; Elisabeth Arnoulx de Pirey, De Gasperi, le père italien de l’Europe, Paris, Ed. Téqui, 1991, p.253.

13 Tim Geiger, Konrad Adenauer e l’Europa, in Conze, Corni, Pombeni, cit., pp. 240-241.

14 Tiziana Di Maio, cit., pp. 361-362.15 Giovanni Bersani, Presentazione, in

Giuseppe Audisio, Robert Schuman, Bologna, Ed. Conquiste, 1994, p. 3.

16 Ulrich Lappenküper, cit., p. 289.17 Giuseppe Audisio, Robert Schuman, cit., p.

54.18 Ulrich Lappenküper, cit., p. 276.19 Jean Monnet, Cit tadino d’Europa.

Autobiografia, Napoli, Guida, 2007, p. 26620 Giovanni Fornero, Postmoderno e filosofia, in

Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, vol. 9, Novara, De Agostini, 2006, p. 10 e passim.

21 Johan Goudsblom, Nichilismo e Cultura, Bologna, il Mulino, 1982, p. 5.

22 Franco Volpi, Il nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 25 e 30.

23 Marco Filoni, Il filosofo della domenica, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, p. 29.

24 Franco Volpi, cit., pp. 138-143.25 Alexandre Kojève, d’ora in poi A. K.,

L’impero latino, in Idem, Il silenzio della tirannide, Milano, Adelphi, 2004, p. 203.

26 Ibidem.27 Antonio Gnoli, Kojève, l’occulto maestro del

‘900, in A. K., Il silenzio, cit., p. 256.28 Dominique Auffret, Présentation, in A. K.,

L’Idée du determinisme dans la physique classique et dans la physique moderne, Paris, L.G.F., 1990, p. 7.

29 Gian Franco Frigo, Postfazione, in A. K., Introduzione alla lettura di Hegel, Milano, Adelphi, 1996, p. 751.

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30 Remo Bodei, Il desiderio e la lotta, in A. K., La dialettica e l’idea della morte in Hegel, Torino, Einaudi, 1991, p. VIII.

31 Op. cit., p. IX.32 Op. cit., p. VIII33 Gian Franco Frigo, cit., p.756.34 A. K., Introduzione, cit., p. 190.35 Op. cit., p. 191.36 Op. cit., p. 193.37 Ibidem.38 A. K., Tirannide e saggezza, in, Idem, Il

silenzio, cit., p. 29.39 Op. cit., p. 30.40 Op. cit., p. 31.41 Op. cit., p. 32..42 Op. cit., pp. 34-35.43 A. K., Intervista, in Idem, Il silenzio, cit., p.

237.44 A. K., L’impero latino, in op. cit., p. 163.45 Op. cit., pp. 164-165.46 A. K., Diario di un filosofo, citato in Marco

Filoni, Estetica dell’ in-esistente. Il giovane Kojève e l’arte, in A. K., Kandinsky, Macerata, Quodlibet, 2005, p. 72.

47 A. K., L’impero latino, cit., p. 191.48 Op. cit., p. 206.49 A. K., L’imperatore Giuliano e l’arte della scrittura,

Roma, Donzelli, 1998, p. 25.50 Leo Strauss, Scrittura e persecuzione, in Idem,

Scrittura e persecuzione, Venezia, Marsilio, 1990, p. 14.

51 Op. cit., p. 13.52 Op. cit., p. 14.53 Op. cit., p. 19.54 Mario Vegetti, Introduzione, in A. K.,

L’imperatore Giuliano, cit., p. 10.55 Op. cit., p. 12.56 Op. cit., p. 10.57 Leo Strauss, cit., p. 14.58 Op.cit., p. 15.59 A. K., L’imperatore Giuliano, cit., p. 32.

60 Mario Vegetti, cit., p.22.61 Op. cit., p.16.62 Op. cit., p. 17.63 Ibidem.64 A. K., Cristianesimo e comunismo, in Idem, Il

silenzio, cit., p.154.65 Op. cit., p. 155.66 Antonio Gramsci, L’Ordine nuovo. 1919-1920,

Torino, Einaudi, 1987, p. 274.67 René Lejeune, Robert Schuman. 1886-1963,

Paris, Desclée de Brouwer, 1988, p. 154.68 Jean Monnet, Cittadino d’Europa, cit., p. 231.69 Op. cit., pp. 309-310.70 Op. cit., p. 468.71 Op. cit., p. 466.72 Giuseppe Audisio, Robert Schuman, cit. p. 54.73 Jean Monnet, cit., p. 268.74 René Lejeune, cit., p. 154.75 Jean Monnet, cit., p. 268.76 Op. cit., p. 269.77 Op. cit., p. 301.78 Marco Filoni, Il filosofo della domenica, cit., p.29.

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Il Centro Culturale Lepanto è una organizzazione non profit, indipendente da partiti politici, fondata a Roma nel 1982 per promuovere i principi e le istituzioni della Civiltà Cristiana nell’ambito culturale e sociale. Presieduta da uno dei fondatori, Fabio Bernabei, il Centro nella sua azione si ispira al Magistero immutabile della Chiesa cattolica e rappresenta, in Italia e all’estero, un punto di riferimento per tutti coloro che hanno a cuore la difesa delle Radici cristiane.

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