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Le periferie e la pecorella Renza Guglielmetti Il tema delle “periferie”, soprattutto esistenziali, è un tema caro a Papa Francesco. Tutti comprendiamo l’ur- genza di porre attenzione alle perife- rie della povertà materiale. Ma il papa va oltre: parla delle periferie fatte di solitudine, di abbandono per malattia, emarginazione, disagio di ogni gene- re. C’è la povertà materiale e c’è la po- vertà dello spirito, non quella inse- gnata e vissuta da Francesco d’Assisi in obbedienza alle Beatitudini evan- geliche, ma quella intesa in senso deteriore, quella dello smarrimento esistenziale, del vuoto, del non senso o peggio del narcisismo spregiudicato che crede solo in se stesso e fa di se stesso un idolo. Gente che ha la sensazione di aver perso la strada o, peggio, che non si rende neppure conto che sta distrug- gendo la propria e l’altrui umanità con le proprie corte visioni. Quell’umanità creata a immagine di Dio e che Gesù ha vissuto in pienezza, mostrandoci nel concreto quotidiano la straordi- naria bellezza del progetto di uomo uscito dalla mente del Creatore. Sono le più diverse le cosiddette peri- ferie esistenziali ma sono tutte luoghi dove ci sono ferite da curare, piaghe da rimarginare, dolori da lenire, vere malattie dell’anima oltre che del cor-

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Le periferie e la pecorella Renza Guglielmetti

Il tema delle “periferie”, soprattutto esistenziali, è un tema caro a Papa Francesco. Tutti comprendiamo l’ur-genza di porre attenzione alle perife-rie della povertà materiale. Ma il papa va oltre: parla delle periferie fatte di solitudine, di abbandono per malattia, emarginazione, disagio di ogni gene-re. C’è la povertà materiale e c’è la po-vertà dello spirito, non quella inse-gnata e vissuta da Francesco d’Assisi in obbedienza alle Beatitudini evan-geliche, ma quella intesa in senso deteriore, quella dello smarrimento esistenziale, del vuoto, del non senso o peggio del narcisismo spregiudicato che crede solo in se stesso e fa di se stesso un idolo.Gente che ha la sensazione di aver perso la strada o, peggio, che non si rende neppure conto che sta distrug-gendo la propria e l’altrui umanità con le proprie corte visioni. Quell’umanità creata a immagine di Dio e che Gesù

ha vissuto in pienezza, mostrandoci nel concreto quotidiano la straordi-naria bellezza del progetto di uomo uscito dalla mente del Creatore.Sono le più diverse le cosiddette peri-ferie esistenziali ma sono tutte luoghi dove ci sono ferite da curare, piaghe da rimarginare, dolori da lenire, vere malattie dell’anima oltre che del cor-

po, persone da ricostituire nella loro dignità, da salvare dalla mancanza di speranza o da un vuoto di ideali, illu-soriamente paghe di un misero “carpe diem”.

L’invito del Papa ad andare verso le periferie si fa preciso e concreto quando afferma che occorre «sentire l’odore delle pecore», ossia vedere le situazioni come sono, starci dentro in qualche modo per poterle comprende-re davvero nella loro realtà.

Immediato viene l’accostamento (e il Papa non ha mancato di farlo in più occasioni) con la parabola evangelica dove si narra di un pastore che va in cerca della pecora smarrita e non de-siste nel suo camminare fino a che la raggiunge nel luogo dove si è perdu-ta, se la carica sulle spalle e la riporta nell’ovile.Lungo il tragitto quel pastore non avrà potuto certo evitare di sentire, suo mal-grado, l’odore della sua pecorella che, abbarbicata al collo, gli andava nar-rando di incontri pericolosi, di luoghi inospitali, di mancanza di erbe fresche e di acque limpide e tranquille.

Già all’inizio degli anni sessanta P. Giuseppe Maria Borgia, fondatore dell’associazione InformaCristo, par-lava dell’urgenza di un nuovo annun-cio nei paesi di antica cristianità come l’Italia, l’Europa, l’America del Nord e diceva testualmente: «Oggi Gesù sa-rebbe 99 volte più veloce nel lasciare il tranquillo gregge dei credenti, per-ché le cifre si sono quasi capovolte: � nell’ovile, 99 tra i rovi». Da questa sua ansia di ricerca per chi si è al-lontanato dalla fede cristiana è nata InformaCristo che dal �974 unisce persone che, insieme alla personale testimonianza di fede, promuovono percorsi di spiritualità mediante varie modalità comunicative. P. Giuseppe Maria, da buon discepolo di san Francesco, conosceva le parole del Santo che il Papa ha ripreso e ri-volto ai giovani ad Assisi la sera del 4 ottobre: «Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole! Ma, come? Si può predicare

EditoriaLE pag. �Le periferie e la pecorella un fratE, un sogno,un carisma pag. 4

domandE & (qualche) risPosta Vicini & Lontani pag. 6

fLash dai cEntri pag. 9• L’urlo di chi non crede: prima e seconda tappa• Notizie dalla sede• Mostra «Grafie dell’Anima» • Lutto• Presentazione di InformaCristo

al consiglio pastorale vicarialediciamoLo con L’artE pag. �8Sotto una buona stellacomunicazionE & dintorni Quanto pesano le parole? pag. ��

rELigioni cuLti magìa pag. �4Serie domande e fluide risposte Qui PubbLicità pag. �6

il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonian-za, dopo le parole!» Rovi o periferie esistenziali che dir si voglia, si tratta pur sempre di luoghi che domandano salvezza, intesa come richiesta di vita piena, compiuta, si-gnificativa e degna di essere vissuta in tutte le sue dimensioni.Pensiamo a quanti oggi sanno ricono-scere l’odore delle pecore e le loro situazioni di povertà, di marginalità, di abiezione, di sfruttamento, perché queste situazioni se le “accollano”, le sanno portare con fatica ma con ge-nerosità estrema.Stare nelle periferie esistenziali signi-fica pure entrare nelle esperienze di solitudine, di incapacità di dare un senso alla propria vita, di sofferenza morale e spirituale. Situazioni che non

di rado si vestono di protesta anche violenta o di soluzioni illusorie che disumanizzano e distruggono la vita.Sono le periferie più difficili da fre-quentare perché per avvicinarsi, ri-chiedono molta delicatezza e passo leggero. E molto amore per l’uomo, nostro fratello.In fondo, nessuno può dire di non aver mai calpestato, almeno in parte, questi territori deserti che inaridiscono l’ani-ma, fiaccano la mente e indeboliscono le energie. Noi esseri umani dovremmo vivere più solidali perché nessuno è mai totalmente santo o peccatore, feli-ce o disgraziato, ma tutti cerchiamo di camminare verso il compimento delle nostre vite, con le nostre limitatezze e capacità. Affascinati e attratti più o meno consapevolmente dalla “luce che illumina ogni uomo”, Gesù Cristo.

A me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la pa-rola e con la testimonianza. Voglio dirvi una cosa. ... Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro! In questa cultura – diciamoci la verità – ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza! E noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo.

Papa FrancescoDiscorso del Santo Padre al Convegno ecclesiale Diocesi di Roma, 17 giugno 2013

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Un frate, Un sogno, Un carismaIl 7 ottobre u.s. P. giuseppe maria Borgia, frate cappuccino e fon-datore di InformaCristo, avrebbe compiuto cento anni. Entrato tra i Cappuccini nel 1929, P. Giuseppe ha speso le migliori energie e, soprattutto, la sua fede incrollabile nella Provvidenza, per trovare nuove forme adatte all’uomo d’oggi per parlare di Dio, per annunciare Cristo e il suo Vangelo.

eVangeLiZZare con La PUBBLicitÀ

Preoccupato per l’affievolirsi della fede cristiana già a partire dal primo dopoguerra, diede vita ad un movimento di persone la cui missione era quella di testimoniare e annunciare il messaggio evangelico, so-prattutto tra le persone lontane dalla fede.Nacque dalla sua passione per l’evangelizzazione l’idea originale e coraggiosa di entrare in dialogo con la gente utilizzando gli strumenti e il linguaggio della pubblicità. Per provocare negli animi la nostalgia di un Dio rimasto spesso un tenue ricordo dell’infanzia, ideò cartelloni e manifesti da collocare all’interno di negozi (i cosiddetti “crocicchi”*) e successivamente nelle vetrinette delle strade. Messaggi che faceva-no “pubblicità”, non alla saponetta o al detersivo, ma a Dio, a Gesù Cristo, spesso provocatori riguardo alle grandi domande della vita: chi sono?, quale sarà il mio destino? che senso ha la mia vita?

Si dedicò pure, senza risparmio di ener-gie, alla stesura di brevi pubblicazioni sull’esistenza di Dio e sui contenuti es-senziali della fede, da diffondere gratui-tamente ovunque possibile.Nel 1974 prese forma l’associazione Infor-maCristo e mentre la missione si espan-deva e ampliava le forme del comunica-re secondo l’evolversi dei tempi, il padre Giuseppe Maria si ritirava sempre più nel silenzio di una grave malattia che lo rese ogni giorno più conforme al Crocifisso. Terminò la sua giornata terrena il 26 ago-sto 1990.

narrare Per ricorDare

Il centenario della nascita ha fornito l’occasione non solo per creare un evento commemorativo che ne celebrasse convenientemente la memoria, ma anche per portare a conoscenza di un più vasto pubblico questa figura eccezionale, vero pioniere della nuova evan-gelizzazione.Un compito delicato e affascinante questo, affidato all’abilità artistica di Patrizia camatel la quale, con Dario cirelli e con l’accompagna-mento musicale di matteo ravizza, ha portato in scena al Politea-ma di Saluzzo, domenica 6 ottobre, attraverso una straordinaria ed efficace narrazione, la storia, i sogni, il carisma, il profilo spirituale di questo frate. Lo spettacolo dal titolo UN FRATE UN SOGNO UN CARISMA ha registrato un ottimo successo di pubblico, grazie anche alla risonanza data dai media locali.

* «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» Mt 22,9. Vengono chiamati crocicchi attività commerciali o, comunque, luo-ghi di grande passaggio, dove vengono esposti il manifesto e gli stampati (gratuiti) creati da InformaCristo.

Patrizia camatel, dario cirelli e matteo ravizza

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DomanDe & (qualche) risPosta

Vicini & Lontania cura di Fiorella Danella

Nel suo straordinario libro Vici-no ai lontani, Libreria Editrice Vaticana 2012, Tomàs Halìk* of-fre pensieri e riflessioni su come la Chiesa possa parlare oggi a quanti ne mantengono le distan-ze. L’Autore parte dalla conside-razione che nella sua vita Gesù è stato costantemente alla ricer-ca di quanti facevano parte di categorie malviste, degli esclusi dalla società: Samaritani, esat-tori, prostitute, peccatori, mala-ti… Tutte persone che erano ai margini, [papa Francesco direb-be alle periferie] della società del tempo. Nel suo percorso Halìk si fa accompagnare dalla figura di Zaccheo, il ricco pubblicano del Vangelo che era rimasto incurio-sito dalle parole e dai gesti di que-sto rabbi così diverso dagli altri. L’Autore vede raffigurati in Zac-cheo quegli uomini e donne del nostro tempo curiosi di “vedere Gesù”, forse anche “innamorati di Gesù” come ha affermato più volte Scalfari, ma critici e distan-ti da una Chiesa che molte volte non è riuscita ad ascoltarli nella presunzione di non aver nulla da

imparare, sicura di possedere tut-ta la verità.Ecco alcuni brani tratti dal libro (pp. 38-55).

«Una volta, sul muro di una sta-zione della metro di Praga ho vi-sto la frase: “Dio è la risposta”, scritta evidentemente da qualcuno che tornava da un esaltante raduno evangelico. Qualcun altro però di fronte a quest’affermazione aveva aggiunto vicino: “Ma qual era la domanda?” […]

Le risposte senza domande – quel-le domande che le hanno origi-nariamente provocate ma anche le altre, quelle che ogni risposta genera successivamente – sono come alberi senza radici. Quante volte tuttavia le “verità cristiane” ci vengono presentate come albe-ri abbattuti, senza vita, dove nes-sun uccello potrà più fare il nido! […]Solo un legame tra domande e risposte restituisce alle nostre as-serzioni un reale significato e una dinamica vitale: la verità avviene nel dialogo. Le risposte rischiano

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DomanDe & (qualche) risPosta

sempre di porre fine al processo della nostra ricerca, come se l’ar-gomento della conversazione fosse un problema – e come se fosse già stato risolto. Ma una nuova do-manda può riportare la luce nelle inesauribili profondità del mistero. Lo ripeteremo ancora una volta: nella fede non si tratta di proble-mi, bensì di mistero, e per questo motivo non si deve mai abbando-nare la via della ricerca e degli interrogativi. Sì, il nostro viaggio in cerca di Zaccheo è spesso un viaggio che parte dai problemi per arrivare al mistero, dalle risposte apparentemente definitive per arri-vare alle domande.[…] Compresi che “l’incontro con Dio”, la conversione, l’assenso nella fede al modo in cui Dio rivela se stesso e in cui la Chiesa presenta questa rivelazione, non è la fine del cam-mino. La fede è “proseguire”, la natura della fede in questo mondo è quella di un viaggio che non fi-nisce mai. La vera ricerca religio-sa nella nostra vita qui sulla terra non potrà mai essere come quelle ricerche su un argomento che cul-minano con il successo, ossia con la scoperta e con l’appropriazione; giacché essa non è rivolta ad uno

scopo materiale, bensì al cuore di un Mistero, che è inesauribile, che non ha fine.Il cammino verso gli Zacchei di oggi, verso le persone che sono ai margini – spesso ai margini, oppu-re anche al di là dei confini visibili delle chiese, in una zona di doman-de e di dubbi, in una interessante regione fra i due campi fortificati di coloro che “ci vedono chiaro” (ossia gli incrollabili credenti e gli incrollabili atei) – mi ha aiutato a comprendere in modo nuovo, da una diversa angolazione, la fede e Colui al quale la fede si riferisce.

In quanto discepoli di Cristo, noi vogliamo che a Lui si avvicinino gli Zacchei dei nostri tempi. Io mi sono chiesto a lungo, che cosa si-gnifichi oggi esattamente avvicina-re qualcuno a Cristo, e attraverso Cristo a Dio. […]

Essere vicini a chi cerca deve inse-gnare a noi l’apertura; non dobbia-mo pensare solo al fatto che dob-biamo istruire ed educare – possia-mo imparare moltissimo da loro. E possiamo cercare di dimostrare an-che a coloro che sono nella chiesa, coloro che hanno la loro certezza e sono “sazi” di religione, che bi-

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DomanDe & (qualche) risPosta

sogna almeno qualche volta uscire fuori e andare da quelli che sono ai margini della chiesa, e non solo per “convertirli” e renderli simili a loro. Si potrebbe per un momento andare a vedere come appare Dio dal punto di vista di chi cerca, di chi dubita e si interroga – non sa-rebbe un’esperienza religiosa nuo-va, eccitante, necessaria e utile?[…]In un momento come questo, in cui ci vengono offerte con tante lusin-ghe vari tipi di religiosità commer-ciali, ritengo anche utile, addirittura essenziale, considerare seriamente il fatto che Dio non è così facilmen-te “reperibile”. Comprendere coloro che affrontano il silenzio di Dio, la sua celatezza, la sua distanza – in-cludendo ovviamente anche chi a causa di questa esperienza è giunto a rifiutare la religione – potrebbe condurci ad una forma di fede più matura rispetto a un teismo inge-nuo e grossolano che giustamente ha suscitato e continuerà a suscitare la critica degli atei.

*Tomàs Halìk è nato a Praga nel 1948. Ordinato clandestinamente sacerdote ha lavorato nella “Chiesa sotterranea” in stretta collaborazione con il Cardinal Tomàsek. Ha pubblicato oltre 200 libri, molti tradotti in varie lingue. Ha ricevuto molti premi per la letteratura e il dia-logo interculturale e interreligioso. Nel 1992 Giovanni Paolo II lo ha nominato consulente del pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti. Nel 2006 è stato nominato membro del Consiglio Europeo di Esperti della Commissione del-le Conferenze Episcopali della Comunità Europea.

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Torino

L’urlo di chi non crede: prima tappa

Qualcuno ha detto che «Dio è sceso fin dove Dio non c’è».È un po’ su questa scia che inten-dono porsi gli incontri-cafè pensati dall’Associazione Informa-Cristo.Il locale denominato «Caffè del progresso», situato a poca distanza dal Po e dalla Mole Antonelliana, si presta bene ad accoglierli: una sala molto suggestiva, ricavata nel-le cantine sotterranee di un antico edificio, è stata attrezzata secondo le moderne esigenze anche della musica.Pertanto, il primo incontro Brani musicali a tema, tenuto il �6 otto-bre u.s. ed egregiamente presentato da Enrico Sabena, sembra essere piaciuto molto.I posti erano già tutti occupati quan-do un gruppo di giovani, che consu-mavano al bar del locale, sono scesi attratti da musica e testi ricchi di contenuti che forse non erano abi-tuati a sentire in quel luogo.Il gruppo di giovani voci di Au-relio Pitino, lui stesso cantante e compositore, ha veramente realiz-zato al meglio ciò che si sognava di fare.

Attraverso le loro bellissime voci è risuonato “dal vivo” l’urlo di quan-ti vivono come se Dio fosse morto lungo le strade e nelle situazioni della vita di oggi.Ma quest’urlo di morte, di profondo smarrimento, sembra aver risveglia-to una speranza laddove è stato rac-colto e condiviso. E allora… urlia-mo insieme… almeno fino alla fine degli incontri.

F.C.

fLasH Dai centri

torino - incontri cafè giuseppe oppedisano

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fLasH Dai centri

...seconda tappa

Estremamente impegnativo e coin-volgente è stato il secondo incontro della serie, la sera del 13 novembre che ha avuto come base di rifles-sione la notissima «Leggenda del Grande Inquisitore», tratta dal romanzo di Dostoevskij I fratelli Karamàzov.Gli interventi previsti, tenuti da Fa-bio Bailo, ricercatore presso l’Uni-versità del Piemonte Orientale, da don Giorgio Garrone, parroco di Sant’Andrea di Bra e la lettura del testo curata in modo appropriato da Rinaldo Allais, hanno fatto da mo-tore per il dibattito tra il pubblico.I relatori hanno focalizzato le que-stioni essenziali per ogni essere

umano che abbia il coraggio di in-terrogarsi sul suo essere al mondo e non si lasci stordire e intorpidire dal bombardamento mediatico cui siamo quotidianamente sottoposti. Domande come: che senso ha la vita? Siamo capaci di vivere nella libertà? Dove sta il fondamento del bene del male? Esiste Dio? E Dio, se c’è, chi è? Un padre o un pa-drone? hanno percorso la serata e agganciato l’attenzione dei presen-ti, suscitando molteplici riflessioni e domande. Gli interventi musicali del bravissi-mo chitarrista Beniamino Trucco ha creato un’atmosfera speciale e sol-lecitato ciascuno a entrare in contat-to con la propria interiorità.

R.G.

da sin. beniamino trucco, fabio bailo, rinaldo allais, don giorgio garrone

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INCONTRI CAFèCaffè del Progresso corso san maurizio 69 torino ore 20,45

ingresso libero possibilità di apericena € 8,00

nell’urlo apparentemente blasfemo contro Dio, spesso si cela una ricerca inconscia di verità e di senso.i nostri incontri vogliono interpretare l’urlo di chi non crede espresso da

cantautori, letterati, pittori.

«L’u

rlo»

di Z

EBO

19 febbraio 2014

19 marzo 2014

15 gennaio 2014

16 aprile 2014

V. Van gogh e e. munch Visualizzazione e presentazione delle opere a cura di Mirella LovisoloAccompagnamento musicale: Beniamino Trucco

«anno Domini gospel choir»Brani gospel & spiritualsPresenta: Aurelio Pitino

camus: il grido di chi non credebrani scelti da «La Peste»Legge: Rinaldo AllaisPresentazione e approfondimento a cura di Fabio RondanoAccompagnamento musicale: Beniamino Trucco

H. matisse e m. chagallVisualizzazione e presentazione delle opere a cura di Mirella LovisoloAccompagnamento musicale: Beniamino Trucco

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fLasH Dai centri

Preghiera di affidamento

Mi metto nelle tue mani, Signore. Tu mi hai creato per te. Non voglio più pensare a me, ma solo seguirti. Che cosa vuoi che io faccia? Permettimi di fare la strada con te, di accompagnarti sempre, nella gioia e nel dolore.

Consegno a te desideri, piaceri, debolezze, progetti, pensieri che mi trattengono lontano da te e mi ripiegano continuamente su di me. Fa’ di me ciò che vuoi! Signore a che serve la mia vita se non per donarla?

Voglio impegnare la mia vita, Signore, sulla tua Parola, voglio mette-re in gioco la mia vita sul tuo Amore. Gli altri pensano ai risparmi, tu mi hai detto di dare; gli altri sistemano, tu mi hai detto di camminare e di essere pronto alle gioie ed alle sofferenze, alle vittorie ed alle sconfitte; di non mettere la fiducia in me, ma in te; di mettere in gioco la mia vita puntando su di te senza preoccuparmi delle con-seguenze. E infine di rischiare la mia vita contando sul tuo Amore. Così sia, Signore Gesù!

AlbAElena Cillario

Il � novembre �0�� ha avuto luo-go ad Alba, nella Chiesa di San Damiano, una veglia di preghiera intitolata «Tutti quanti in Para-diso» per riflettere sulla “vita oltre la vita”. L’incontro, ben preparato dai gio-vani, aveva lo scopo di pregare ed evangelizzare altri giovani ed è pienamente riuscito. Dopo quattro ore di presenza in strada (via Maestra) e di volanti-

naggio nelle altre strade della cit-tà, la chiesa si è riempita di tanti giovani (e meno giovani), molti dei quali si sono fermati dalle ore ��,�0 alle ore �4 per pregare, ri-flettere e adorare. Ha veramente ri-scaldato il cuore vedere ragazze e ragazzi semplici, lieti, determinati e ricchi di fiducia in Dio. Hanno guidato la veglia di preghiera con convinzione e fede grande, lascian-do in tutti pace e gioia.

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fLasH Dai centri

notizie dalla sede

Ottobre 2013. Dalla sede di Cuneo sono stati realizzati in settembre tre gazebo a Busca, Cuneo, Saluzzo. Come sempre, sono esperienze molto belle che sentiamo consone alla nostra vocazione dell’annuncio sulla strada e all’invito del Papa che è venuto a confermare la nostra bel-la missione, sognata dal fondatore P. Giuseppe M.: “cercare” la gente,

i fratelli cui annunciare Cristo, là dove sono. Una bella novità: in questi tempi è venuta alla sede una ragazza alba-nese che parla bene l’italiano e che ha studiato qui in Italia, è sfuggita ai TdG che l’avevano irretita. Ha visto l’Associazione ed è venuta a conoscerci per “sentire parlare di Gesù”. Si è trattenuta con noi, entu-siasta delle nostre pubblicazioni. Ha voluto tradurre in albanese i fogliet-

CuneoMirella Lovisolo

gazebo a saluzzo

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ti su arte e fede così da presentarli, con gli altri, sull’espositore esterno, in modo che anche i fratelli albanesi possano conoscere l’annuncio che viene fatto tramite l’Associazione. Ringraziamo il Signore. Giornal-mente studiamo insieme la Parola di Dio mentre stanno maturando altre idee che, se possibile attuare, racconteremo. Vorrebbe, sul piano lavorativo, occuparsi di turismo Italia-Albania, nazione ricca di lo-calità molto suggestive, inesplorate dal grande turismo. Spera di trovare lavoro in questo campo e gruppi da accompagnare. Se qualcuno fosse interessato si rivolga a: [email protected]

Mostra «Grafie dell’Anima»

Ad agosto la mostra è andata in montagna, a Sampeyre in Val Va-raita, centro turistico molto frequen-tato d’estate, ospitata nel Museo Storico etnografico del Comune in un simpatico connubio con gli ele-menti della antica tradizione locale. Numerosi e interessati i visitatori per i quali il sabato e la domenica c’era la visita guidata. I dialoghi con gli ospiti sono stati caratterizzati da quella tranquillità con cui si vivono le esperienze in vacanza e quindi con molta possibilità di scambio di riflessioni e di conoscenza di perso-ne e realtà varie, in quanto i turisti

fLasH Dai centri

La mostra Grafie dell’Anima a sampeyre

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fLasH Dai centri

provenivano da luoghi diversi, mol-ti da Torino e dall’estero.Attualmente la mostra sembra es-sere stata richiesta da un centro vi-cino a… Roma! Vi dirò se andrà in porto. Un’altra cosa bella che si sta viven-do è la presentazione della mostra, tramite proiezioni, nel carcere di Saluzzo. Per ora si fa in una se-zione, ma il progetto comprende la presentazione a tutti i detenuti. Le difficoltà burocratiche d’ingresso sono notevoli e servono ad eserci-tare la pazienza nella precisa inten-zione di arrivare all’obiettivo che è l’annuncio di Cristo a questi fratelli

sicuramente ultimi, persone di tutte le religioni, persone che non credo-no, ma desiderose di sapere e feli-ci che qualcosa di nuovo permetta loro di uscire dalla cella. Vorrei da queste righe esprimere an-cora tutta la solidarietà alla moglie del carissimo Tonino, volontario della sede di InformaCristo a Ge-nova. Un carissimo amico con cui abbiamo avuto una viva, cordiale e generosa collaborazione per le mo-stre realizzate a Genova. Era molto affezionato all’InformaCristo cui dava moltissimo. Ora è certamente tra i “giusti” nel Signore.

Sala del Museo storico-etnografico di Sampeyre

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GenovALaura Rossi

Lutto

Il � agosto scorso un grave lutto ha colpito l’associazione. Il Signore ha preso con sé Tonino Andreacchio, il nostro collaboratore che la delica-tezza di Dio ci aveva inviato in un momento in cui si doveva decidere, dopo la malattia della responsabile Lelia, il futuro della sede genovese dell’InformaCristo. Tonino arrivò in sede proprio il mattino del giorno in cui eravamo lì per valutare la situa-zione. Appena entrate nel locale, che aveva le serrande ancora a metà, un signore con il casco da motociclista in testa, domanda se può parlare alla

responsabile. La sua intenzione, visto che da mesi vedeva che le serrande erano sempre abbassate, era quel-la di offrire la propria disponibilità a fornire aiuto affinché il centro di Genova potesse riaprire. Senza an-cora aver valutato la possibilità e la portata dell’offerta, la sensazione che provammo fu che la Provvidenza c’è e che si manifesta proprio nel mo-mento del bisogno, quando tutto pare andare a rotoli.

In seguito Tonino si incontrò a Tori-no con il consiglio dell’InformaCri-sto che accettò la sua collaborazio-ne. Così Tonino, aiutato dalla nostra

tonino al gazebo di via XX settembre

fLasH Dai centri

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fLasH Dai centri

Teresa e poi in seguito da altre vo-lontarie e volontari, fu l’aiuto che il Signore ci dette per portare avanti la missione dell’InformaCristo fino ad oggi. Tonino ha portato la Buona No-tizia dove la gente passa frettolosa, ha allestito con noi piccoli gazebo nei luoghi più frequentati da ogni tipo di persona.

Ora siamo sicuri che Tonino ci aiuterà ancora di più, in un modo più grande: quello di raccomandarci a Colui che un giorno lo inviò in Piazza Bandiera per offrire e spezzare il “pane della fede” a chi non lo conosce ancora, l’ha dimenticato o messo da parte, perché Lui non dimentica mai, né mette da parte alcuna sua creatura. Grazie Tonino!

Presentazione di informacristo al consiglio pastorale vicariale

Il �� ottobre in occasione di una riunione del Consiglio Pastorale Vi-cariale della nostra circoscrizione, ci è stato chiesto di spiegare lo scopo dell’associazione che a Genova è attiva dal �998. Ben volentieri si è accettata questa possibilità e, per aiu-tare a comprendere la missione del-l’InformaCristo, sono stati molto utili alcuni spunti raccolti dalle parole di

Papa Francesco che riflettono per-fettamente le intenzioni del Fonda-tore dell’Associazione. Per esempio: «Dobbiamo uscire … verso le perife-rie, tutti gli incroci … e là seminare il seme del Vangelo, con la parola e la testimonianza …» (Roma, Con-vegno ecclesiale, 17 giugno 2013). Il Fondatore, padre Giuseppe Maria Borgia, ripeteva spessissimo: «Dob-biamo metterci sui passaggi e luo-ghi frequentati da tutti – i crocicchi – per incontrare la gente, interessarla e scuotere chi forse è indifferente o contrario al discorso sulla fede».Alcuni interventi sono stati molto uti-li per l’approfondimento.

Da questo incontro che è stato molto cordiale, dovrebbe concretizzarsi una collaborazione con le parrocchie. Le riflessioni di Papa Francesco sull’ur-gente bisogno di annuncio rinnovato della fede, esigono dagli annunciatori una essenziale mobilità cioè «usci-re… andare verso le periferie… cer-care le 99 pecorelle smarrite… sulle strade”. È necessario stare al passo con i cambiamenti culturali anche nello stile dell’annuncio, soprattutto a coloro che cercano consciamente o no le ragioni della speranza.Seguiranno altri incontri per una più precisa programmazione.

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sotto una buona stellaMirella Lovisolo

Sul sarcofago d’inizio sec. IV detto di Arles del Museo di Arles e che si trova oggi nel Museo Pio Cristiano a Roma detto del Presepe, è scolpi-ta la scena che rimanda subito alla più nota e poetica immagine nata-lizia. Ma a una più attenta osser-vazione degli elementi compositivi, essa ci rivela qualche anomalia e ci trasmette qualcosa di più profondo che c’induce a ricercare il signifi-cato reale che lo sconosciuto autore dell’opera voleva comunicare.“Presepe” significa letteralmen-te “mangiatoia” e la mangiatoia è l’unico riferimento ambientale che identifica, nel vangelo di Luca (2,7), la prima dimora del neonato Gesù. Nella scultura del “Presepe” la mangiatoia è una grande cesta di vimini posizionata al centro della composizione e molto ingrandita secondo l’antico uso egiziano che ingrandiva il personaggio più im-portante. Accanto al Bambino – che è un piccolo adulto, fasciato come una mummia – appare la figura di un giovane uomo, un pastore, o for-se più probabilmente il profeta che,

come nel dipinto della Catacomba di Priscilla, indica la stella. Accanto al Bambino i due animali, il bue e l’asino, al di sopra la stella e i tre Magi, molto definiti nei loro atteg-giamenti e descritti con precisione nei loro costumi orientali. Accanto a Gesù manca la madre; la figura femminile di destra raccolta nel panneggio classico potrebbe essere Maria, ma più probabilmente è una figura appartenente ad una scena successiva del sarcofago.La raffigurazione esprime il raccon-to della Natività narrato dall’evan-gelista Matteo secondo cui Gesù è il Messia, preannunciato dai profeti, che porta a compimento le Scritture; Egli è l’Emmanuele-Dio-con-noi di Is 7,14 che, rifiutato dal suo popolo, è adorato dalle genti, simboleggia-te nei Magi. La presenza dei due animali rimanda simbolicamente a quel rifiuto, infatti, essi sono meta-fora del popolo ebraico e pagano, cioè di tutta l’umanità che Cristo incarnandosi è venuto a salvare (S. Ambrogio). Essi hanno un signifi-cato che è stato fatto derivare da

DiciamoLo con L’arte

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DiciamoLo con L’arte

Isaia �,�: «Il bue conosce il proprie-tario e l’asino la greppia del padro-ne, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». La scultu-ra rende sinteticamente il racconto: il bambino nella cesta-mangiatoia è il nuovo Mosè nato per salvare il suo popolo, egli è rappresentato nelle fasce della morte con cui darà compimento all’Incarnazione.Nella raffigurazione non si allude alla “grotta”, Matteo (�,��) infatti parla di “casa”, al di sopra della quale appare la stella. L’immagine della stella iconograficamente deri-va dal monogramma cristologico: la sovrapposizione X e I di Cristo, la “stella annunciata da Balaam” (Nm �4,�7).I Magi sono dunque i protagonisti del “Presepe”; vestiti all’orientale – berretto frigio, tunica, mantello,

brache – avanzano dialoganti, nel classico atteggiamento tramanda-to dal racconto apocrifo, verso il Bambino da adorare (Mt �,9-��). Matteo non spiega nulla di questi rappresentanti del primo annuncio di Cristo ai pagani; dice solamen-te che essi provengono dall’Orien-te e che, seguendo “la sua stella”, giungono al luogo dove si trova il bambino. Non dice quanti sono, né i loro nomi. Essi rappresentano, secondo una tradizione successiva, tutte le razze, l’intera umanità in tutti i tempi e luoghi. Il numero tre – stabilito con Origene, è rapporta-to alle tre età dell’uomo: infanzia, giovinezza, vecchiaia. L’identificazione dei Magi come re si riferisce ad una rilettura di Is 60,�-6: «Cammineranno le nazioni alla tua luce, i re allo splendore del

Epigrafe di severa – sec. iii

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tuo sorgere». Il termine màgos li definisce come aruspici, incantato-ri, astronomi, sapienti, sacerdoti di Zoroastro. Clemente di Alessandria nel sec. III dice che erano persiani; Tertulliano e Origene affermano che erano caldei o babilonesi. Giustino (Dial. 78) – è l’ipotesi considerata più affidabile – fa provenire i Magi dall’Arabia, la zona cui apparteneva la città di Damasco dove vi era una forte presenza di giudei e dove era molto nota la profezia di Balaàm sulla stella (J. Daniélou, I simboli cristiani primitivi, �997, p. ���). La stella, nell’antico Oriente, è segno di un re divino. Quello di Balaàm è allora un grande annuncio, per questo la sua figura (identificata a volte con lo stesso Zarathushtra) è sempre presente nell’antica ico-nografia della Natività. Dice infatti Origene: «I magi, scorgendo quel segno divino nel cielo, vollero in-dagarne il significato. Essi possede-vano le stesse profezie di Balaàm» e vivevano l’attesa annunciata dalla visione.

Dove sarebbe apparsa la stella? Per Jean Daniélou (ivi) doveva essere apparsa in una regione, meno lon-tana dalla Persia, nella quale si pra-ticavano culti astrali, probabilmente Damasco in Siria. Chi è questa stella? La stella «sor-ta da Giacobbe» è quel «Sole che sorge» di cui canta Zaccaria (Lc �,78), «la stella luminosa del mat-tino», radice e stirpe di Davide (Ap ��,�6); è la «Luce che splende nelle tenebre» di Gv �,�: Gesù, che, nel-la precarietà della nostra esistenza, continua a rassicurarci: «Io sono la luce del mondo perché chiunque crede in me non rimanga nelle te-nebre» (Gv ��,46).I cristiani possono davvero dire di essere “nati sotto una buona stel-la”: quella di Cristo, luce annun-ciata a tutti i popoli “di buona vo-lontà”: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra te-nebrosa una luce rifulse» (Is 9,�).

frammento di sarcofago. roma - museo Pio cristiano

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Quanto pesano le parole?Angela Silvestri

Un chilo? Un quintale? Una tonnel-lata? Non saprei, ma le parole pe-sano. Pesano soprattutto se volano lie-vi, come quelle di Pablo Neruda: «Perché tu mi oda le mie parole a volte si assottigliano come le orme dei gabbiani sulle spiagge».

È innegabile la forza delle parole. Le parole hanno un peso, talora an-che travolgente. E possono lasciare ferite indelebili. Non sono mai leg-gere. Una volta pronunciata, una parola non torna mai indietro, si fa strada nella mente di chi ascol-ta, diventa un pensiero e produce azione. Spesso non è tanto nei fatti raccontati, ma nei sostantivi, negli aggettivi e negli avverbi utilizzati che risiede la potenza delle parole. È scegliendo le parole che i media plasmano l’opinione pubblica.

Senza volermi riferire ad eventi in atto, o di un passato recente, di fat-to parlando del “regime” piuttosto che del “governo” si delegittimano le autorità di un paese; parlando di “combattenti” o di “militanti”, si neutralizzano le percezioni di

atti – altrove qualificati terroristici – quali l’esplosione di autobombe o l’assassinio di personalità del “regi-me”. Se i terroristi che sequestrano persone sono definiti “partigiani”, è ovvio che le forze di pace sono “aggressori, forze di occupazione” e i terroristi possono diventare “la resistenza”. Parlando di “parti in conflitto” si suggerisce quantomeno la parità morale tra governo ed in-sorgenti. Un’operazione delle forze del “regime” viene dichiarata “stra-ge”, mentre l’equipollente operazio-ne degli oppositori potrebbe essere “militare”. O viceversa. Non è tan-to una questione dei fatti, ma della loro “qualificazione mediatica”�.

Pensiamo alla forza delle parole nella pubblicità, nella politica, nel contesto familiare o civile, dove possono essere mortificati o esaltati con una semplice parola la vita di persone o di popolazioni intere. Pensiamo all’abisso di orrore che copre la parola “negazionismo”, o la dichiarazione [di un politico] «rastrelleremo casa per casa» rife-rito agli immigrati, dopo una rissa tra maghrebini e latinoamericani. In

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una situazione delicata si è usata la parola «rastrellamento», poi smenti-ta; ma ormai nessuno potrà cancel-larla: è stata pronunciata e sentita. Gli italiani dovrebbero indignarsi e pretendere il rispetto per chi è morto a causa di quella parola, forse dopo essere stato caricato su un treno per Auschwitz.

Anche nel blog Ewriters qualcuno si è posto il nostro stesso interroga-tivo. E risponde:«Le parole hanno un peso. O me-glio: le parole hanno un peso? Ci sono parole capaci di far rivo-luzioni, parole che fanno gli uomini grandi o che li rendono infinitamen-te piccoli. Ci sono parole cariche di significato, e parole vuote.Ci sono parole che avevano un si-gnificato, ma qualcuno le ha usate troppo o le ha usate male, o ora quelle stesse parole ci tornano vuo-te, insipide nel pronunciarle o nel sentirle pronunciare.Ci sono parole capaci di uccidere, di renderci aridi e irriconoscibili.Ci sono parole capaci di farci ri-sorgere, o di emanciparci. Ci sono parole devastanti e parole risolutri-ci. Le parole hanno un peso diverso per ognuno di noi.E a volte capita di non capirlo, e si pensa che le parole, che fanno fra-

si, che esprimono concetti, abbiano il solo significato e il solo peso che noi gli attribuiamo, ignorando mal-destramente che ci sono parole che hanno una precisione chirurgica nel rappresentare qualcosa, e che l’intenderle diversamente cambia i concetti stessi.ma ci sono parole universali, il cui peso non può essere rimesso ad un canone di soggettività, se non entro limiti assai stretti. E se queste pa-role vengono usate, devono avere il loro peso. Perché se non ce lo avessero, le si svuoterebbe di ogni significato, e rimarrebbero involu-cri freddi, insipidi, spenti.E quando certe parole si spengono, si fa fatica a ricostruirne il vero si-gnificato.E perdiamo parte di noi stessi e del mondo che ci circonda, perché non riusciamo più a descrivere qualco-sa per come lo vorremmo. Le pa-role giuste ci usciranno, ma non avranno più lo stesso peso, perché le abbiamo svuotate senza neanche accorgercene. Noi stessi perderemo di credibilità.Le parole hanno un peso, dunque, ma non basta. bisogna dargli peso, soprattutto quando si tratta di parole univer-sali. Ecco perché con le parole tal-volta occorre essere precisi, fare at-

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tenzione e sceglierle con cura. Non a caso certe parole non s’improvvi-sano, ma ci si pensa molto prima di dirne una piuttosto di un’altra, o si impiegano moltitudini di parole per assicurarci che una sola parola sia stata davvero compresa per come la intendiamo. Alcune parole vanno custodite, usate con cura e solo se si è davvero certi di volerle usare. Non bisogna commettere l’errore di usarle con leggerezza. Altrimenti… non saremo più credibili nel pro-nunciarle, e noi stessi che le pro-nunciamo le ritroveremo sbiadite, vuote, consumate».

Ma delle parole ne abbiamo tuttavia un bisogno immenso, essenziale. «Le parole sono importanti», dice-va Nanni Moretti in Palombella Rossa. Pare che Federico II avesse compiuto un esperimento: affidare alcuni orfani a nutrici con l’ordine di provvedere ai loro bisogni ma di non rivolgere mai loro la parola. L’imperatore voleva scoprire quale lingua avrebbero parlato una vol-ta cresciuti. I bambini non crebbe-ro mai, morirono tutti prestissimo. Perché anche gli animali sanno co-municare, ma l’animale culturale è solo uno, e di parole si nutre.

Parole, parole, parole… cantava-no Mina e Alberto Lupo. Ma non sempre sono “solo parole”.Le parole esigono il massimo ri-spetto, e le dobbiamo utilizzare con cura, per dire solo ed esattamente quello che intendiamo dire. Molto, troppo spesso si dice una cosa per dirne un’altra, le frasi si contor-cono, si creano ad arte sottintesi, allusioni, si ventilano giudizi che si insinuano nella mente di chi ascolta e sono in grado di sfalsare del tutto la verità: non ne possiamo forse fare a meno, “siamo fatti così”, si dice, ma quanto si possano talora violen-tare le convinzioni altrui, e si diven-ta capaci di distruggere persone o di ribaltare ingiustamente situazioni.In un’epoca come la nostra domi-nata dai media che ci costringono a percepire e ad emettere un flusso ininterrotto di parole, capace di tra-volgerci, ricordiamolo soprattutto quando l’utilizzo di questi mezzi è finalizzato a trasmettere in qualche modo ad “amici” o “seguaci” che dir si voglia, il grande messaggio dell’amore eterno di Dio per noi, da sempre: «In principio era la Parola…»

� Cfr. rivista Terrasanta, gennaio-febbraio �0��.

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Serie domande e fluide risposte diffusione di uno spiritualismo “à la carte”

Laura Rossi

Le serie domande sono quelle in-sopprimibili richieste di spiegazioni dettate dalla fame di senso. Senso della vita, della fatica quotidiana, della gioia, del dolore, del bene e del male, della morte e del destino umano …. Domanda di senso che viene talvol-ta espressa con violenza, quasi un urlo disperato alla ricerca di rispo-ste che sazino la fame. Il progredire della modernità sta causando un radicale individuali-smo e la mentalità consumistica è la mentalità del voglio tutto e subito, tutto ciò che è possibile è lecito.In questo contesto, dove tutto può essere lecito purché sia possibile, la seria domanda di senso incontra inevitabilmente risposte sbagliate, forse attraenti, ma che mettono in discussione quei fondamenti cultu-rali e spirituali che stanno all’origi-ne della domanda stessa. Agli albori dell’emergere di nuove forme di re-ligiosità, in occasione della GMG di Denver (USA) �0-�� agosto �99�, Giovanni Paolo II inviava questo messaggio ai giovani:

«Esistono profeti ingannatori e falsi maestri di vita. Ci sono innanzitutto maestri che insegnano ad uscire dal corpo, dal tempo e dallo spazio per poter entrare nella vita vera. Essi condannano la creazione e, in nome di uno spiritualismo ingannevole, conducono migliaia di giovani sulle strade di una impossibile liberazio-ne che li lascia alla fine più soli, vittime della propria illusione e del proprio male».

Le fluide risposte alla fame di sen-so sono quelle che hanno portato al diffondersi dello spiritualismo contemporaneo che si presenta in modo sfumato, vago, molte volte senza il bisogno di formalizzarsi. Si parla di “reti” o “galassie” in cui confluiscono realtà differenti, ma accomunate dai più svariati concetti e credenze. Alla base della multiforme varietà di gruppi, c’è l’affermazione della divinizzazione dell’Io e tutta una serie di pratiche come l’astrologia, lo spiritismo, la magia, le terapie al-ternative, le pratiche per lo sviluppo

reLigioni cULti magìa

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reLigioni cULti magìa

del potenziale umano… e migliaia di altre. Non c’è che da scegliere in questo menu à la carte senza ren-dersi conto che alla fine un tale ge-nere di religiosità produrrà fragilità psichica, insicurezze e paure.

Le parole di Paolo sono attualissi-me, sono uno specchio di chi vuol costruirsi una sua “religione”:«Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi die-tro alle favole» (�Tm 4,�-4).Purtroppo a serie domande si pre-feriscono fluide risposte.

Il Pentacolo è uno degli strumenti del-l’officiante di magìa bianca.È un piatto medio (in legno, metallo o argilla) su cui è incisa la figura di un pentacolo, ossia, una stella a cinque punte dentro un cerchio. Simbolizza la terra.

«Con franchezza, il consumismo della spiritualità mi preoccupa. Nel cammino di una persona ci sono motivazioni diverse, ma io credo che suun milione di individui chepensano a una conversione,uno soltanto abbia profonde spinte.Se si cresce dentro unatradizione religiosa, non la si lascia pensando cheun’altra dia un benesserespirituale o psicologico.Ciascuno continui con lasua tradizione. Ma, soprattutto, se cambiate, ricordatevi sempredi non criticare e umiliare lareligione che avete appenalasciato.Rispettatela con amore».

Dalai Lama

(La Stampa, 29 giugno 2001)

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