le lettere di nina

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Un viaggio attraverso i luoghi della memoria, alla scoperta delle radici del proprio io, in una Sicilia che strega l’anima. “Noi siamo la somma di ogni momento che si è impresso nella nostra mente, nel nostro cuore, sulla nostra pelle, e, allo stesso tempo, siamo già energia nuova ogni singolo istante che passa, siamo il prodotto della nostra storia ma al tempo stesso la trascendiamo, in una costante dialettica fra presente e passato e futuro, fra ciò che eravamo, ciò che siamo e ciò che saremo.” 2014 - ISBN 9788896926567- brossura - pp. 136

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Laura Giurdanella

Le lettere di Nina

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A mio padre

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Copyright © 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i PaesiCasa Editrice AntipodesVia Toscana, 290144 [email protected]

ISBN: 978-88-96926-56-7

In copertina: Il lungomare di Ortigia, fotografia di Rosario Russo

Laura Giurdanella, La lettere di Nina, Antipodes, Palermo 2014

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13 Gennaio 1989

La prigionia

Cara Maria, mi sento prigioniera. Come un pesce nella rete. Ho sgranato gli occhi nel silenzio.

Questa immagine, ieri notte, ha attraversato la mia mente im-provvisamente, come un baleno che passa veloce sul mare notturno,illuminandolo a giorno, per poi tornare a chiuderlo nel buio. Così,nel nero seppia della notte, ad occhi aperti, pensavo al pesce cattu-rato che cerca la via di fuga, la sgranatura nella rete cercata primadella definitiva prigionia, una lotta fino all’ultimo spasmo per lariconquista della libertà. E, alla fine, mi è piaciuto immaginare chequel pesce sia riuscito a trovarla, quella maglia sgranata e aperta.E ho provato anche ad immaginare che sapore meraviglioso abbiaavuto per lui quella libertà gustata dopo avere sperimentato, sep-pure per attimi, la prigionia e l’immobilità forzata, nell’acqua sa-lata fonte di vita, riconquistata e apprezzata come mai prima,mentre guizza libero nel mare immenso, scampato al suo pericolo.

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Ma la maglia sgranata l’ha trovata perché l’ha cercata, e non si èarreso.

E mi sono chiesta se, per me, ci fosse una maglia sgranata, daqualche parte. E se io abbia la forza e la voglia di cercarla, quellamaglia.

Impossibile continuare a dormire. Così, mi sono alzata senzaaccendere la luce, cercando di farmi strada con le mani, e ho gua-dagnato, finalmente, l’accesso alla cucina, per scaldarmi un po’ dilatte. Poi sono ritornata a letto, aiutata solo dalla luce azzurinadella luna che entrava dalla finestra, e, lì, ho aspettato che la lucedel giorno cominciasse a entrare, sempre più intensa, dalle fessuredelle persiane.

Poi mi sono assopita, e, allora, immagini più chiare, in quellostrano stato sospeso, a metà fra il sonno e la veglia, ho realizzatoche, forse, mi sento prigioniera del tempo di cui non mi sento pa-drona, un tempo che vorrei in armonia con il mio tempo interioree non scandito da alcun orologio segnatempo. Ho ripensato alleparole di Seneca, nelle sue Lettere a Lucilio, e, in particolare,quella nella quale il filosofo esorta Lucilio a non sprecare il suotempo, a impedire che esso, che è la cosa più preziosa che ab-biamo, possa esserci sottratto quando veniamo distolti da cose dipoco conto e futili. Il vero problema, però, riflettevo, è proprioquello di capire quando le cose che inseguiamo sono futili, perché,a volte, può anche succedere di investire tempo in cose futili rite-nendole importanti, salvo, poi, a rendersene conto quando il tempopassato è già da categorizzare come sprecato e non ben speso. E,in effetti, la morte non è davanti a noi, perché ogni giorno che tra-scorre, ineluttabilmente, ci avvicina sempre più all’appuntamentoa cui nessuno potrà mancare, data e luogo incerti, ma certo l’evento.

Il domani non ci appartiene affatto, perché la sola cosa che èveramente, autenticamente nostra, è il tempo. Il tempo presente.

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Ma, allora, mi chiedevo, perché facciamo così fatica a capire ladifferenza fra tempo sprecato e tempo speso, anche quando,spesso, siamo convinti di padroneggiare perfettamente la nostravita?

Ed è stato dopo queste riflessioni che, stamattina, ho deciso difare che non facevo da parecchio tempo, andare a passeggiare sullaspiaggia.

Non faceva freddo. Non troppo, almeno. Certo, era moltoumido, e il vento a raffiche, alitando dal mare, lo smuoveva fa-cendolo frusciare un poco a riva e incrinava l’orizzonte gelando,pungente, il collo e soffiando nelle orecchie, ma il sole splendevachiaro nel cielo pulito e puro, appena striato da fili bianchi di nubi.

Ho parcheggiato l’auto a Valdesi, lungo il viale che costeggiala spiaggia di Mondello. La strada era quasi deserta, ed anche laspiaggia, e, a vederla così, silenziosa e maestosa, dava quasi l’im-pressione di una remota spiaggia tropicale, con il mare piatto ecristallino e la sabbia distesa a onde regolari, ben diversa dallaspiaggia rumorosa e sovraffollata che olezza di profumi di pelle,olio solare e salsedine a partire da maggio e fino a ottobre. Ho af-fondato i piedi nudi nella sabbia, ho gustato la sensazione beneficadella sabbia fredda a contatto con i miei piedi, l’ho attraversatacon calma e mi sono avvicinata alla riva del mare, toccando l’ac-qua con una mano, come sempre mi piace fare quando mi trovoin riva al mare. E, nel frattempo, una pace, seppure temporanea,mi ha avvolto quasi completamente.

Questa lunga spiaggia, nel corso dell’anno, subisce mutamentistraordinari. In questo periodo, a gennaio, nella parte tirrenicadella Sicilia, nelle giornate di sole come questa, quando ancora lamorsa del freddo non ci ha lasciato, ma già le ore del pomeriggiocominciano ad allungarsi verso la luce, sfumando sempre più tardinel tramonto ed aprendosi verso la promessa di primavera, i colori

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smeraldo del mare, il candore della sabbia immacolata, l’azzurrointenso del cielo, le barche del borgo marinaro, i pescatori che rac-colgono e riparano le reti con gli stessi gesti ripetuti da secoli, ilpiccolo bar in legno sulla sabbia, il silenzio, ammantano e incan-tano questo luogo di una suggestione senza tempo.

Percorrendo la spiaggia a passi lenti, lungo la battigia, osser-vavo le forme mutevoli e irregolari dell’acqua schiumosa sullariva, e, nel frattempo, osservavo il mare e lo spumeggiare delleonde che, ritmicamente, si ritraevano e ritornavano, e giocavo aschivarle. Ho percorso tutta la lunghezza del bagnasciuga, arri-vando fino al piccolo borgo, e, poi, ho proseguito fino alla Riservanaturale di Capo Gallo fino a dove si apre la veduta dell’ Isoladelle Femmine. E, quando mi sono finalmente fermata, trafelata,mi sentivo già più lucida, con la mente sgombra da ogni pensiero,con il mio respiro affannoso e il sudore che si asciugava sullafronte raggelandola.

Ho capito che devo cominciare da me, ed ora. Non domani, nonfra un mese, né fra un anno. Ora. Niente catastrofismi, niente radi-cali cambiamenti, niente di tutto questo. Soltanto il bisogno di pas-sare in rassegna ogni singolo aspetto della mia vita, nella quale,stranamente, come in una specie di puzzle difettoso, non tutte le tes-sere sembrano combaciare perfettamente armonizzandosi in un tuttocoerente, dandomi, piuttosto la sensazione di essere proiettata, con-temporaneamente, verso direzioni diverse che, tuttavia, mi distol-gono dal salto necessario e rischioso che -forse- potrebbe dare unsenso compiuto a tutto questo. Forse. Ma, allora, perché Adornodice che la libertà non sta nello scegliere fra bianco e nero, ma nelsottrarsi a questa scelta prescritta? Esiste dunque una libertà, mas-sima e assoluta, di non-scelta, che non imbrigli in una forma e inuno stato fisso, ma che consenta di assecondare la mutevolezza? Invia ipotetica certamente si, all’atto pratico credo che sia un’utopia.

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Chiederò un’aspettativa, ho deciso. Domani stesso avviserò lascuola e informerò i miei studenti.

Rifletto, quasi pellegrina, su di me bisognosa di sciogliere lac-cioli e stringhe da ciò che è consueto, di togliere gli strati sovrap-posti negli anni, per ritrovare la parte autentica di me, rimastasepolta da qualche parte. Cosa estremamente difficile, non tantoperché siano le persone che ci circondano ad impedircelo, quantoper noi stessi, che siamo i primi ad imbrigliarci e a volerci incate-nare, a farci prigionieri da soli per trovare alibi alle nostre pauredi scoprire i nostri errori.

Nina

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15 Gennaio 1989

Il viaggio della memoria

Cara Maria, Oggi sono arrivata qui, a Modica, dopo avere preso la de-cisione di partire. Per un po’, solo per qualche giorno. È da

tanto tempo che non mi allontano dalle cose di sempre, e questo, forse,mi ha fatto perdere, in qualche modo, la giusta prospettiva delle cose.Perché, come tu stessa mi hai detto tante volte, le cose bisogna guardarlecon un po’ di distacco, dalla giusta distanza, come quando ammiri ungrande affresco e, a distanza ravvicinata, riesci solo a cogliere i dettaglima non il respiro di insieme, o come quando, dall’alto di una collina,osservi una città cogliendone la pianta, la concentrazione dei palazzi,lo snodo delle strade, ma ti sfugge, magari, l’essenza. Perché è così: osei lontana e ti sfuggono i dettagli, o sei vicino e ti sfugge l’insieme.

Quando sono arrivata qui, a Serrauccelli, a casa dei nonni, nellecampagne modicane, era già pomeriggio inoltrato.

Le ombre si allungavano nel rapido crepuscolo invernale, sottol’incalzare della notte.

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