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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 1 Laboratorio Didattico FDS DIPARTIMENTO di MATEMATICA “F. Brioschi” POLITECNICO di MILANO SUMMER SCHOOL 2011 note per gli allievi n.60/R , giugno 2011 effediesse Piano Nazionale Lauree Scientifiche Piazza Leonardo da Vinci, 32 – 20133 Milano (Italy)

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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 1

Laboratorio Didattico FDS DIPARTIMENTO di MATEMATICA “F. Brioschi”

POLITECNICO di MILANO

SUMMER SCHOOL 2011 note per gli allievi

n.60/R , giugno 2011

effediesse

Piano Nazionale Lauree Scientifiche

Piazza Leonardo da Vinci, 32 – 20133 Milano (Italy)

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INDICE DEGLI ARGOMENTI

1 Crescita lineare e crescita esponenziale Clelia Marchionna p. 3 2 Funzioni Periodiche Elena Marchetti p. 12 3 Elementi di Logica Matematica Luisa Rossi Costa p. 19 4 Elementi di Statistica e di Probabilità Tullia Norando p. 27 5 Le idee della geometria Renato Betti p. 44 6 La geometria delle trasformazioni Emanuele Munarini p. 56 Queste note sono state redatte dai docenti del Laboratorio Didattico FDS del Dipartimento di Matematica per gli allievi della Summer School al Politecnico di

Milano, riconosciuta come progetto-ponte dalla Direzione Scolastica Regionale. È una raccolta di appunti legati ad argomenti che verranno in parte presentati nei corsi di studio del Politecnico, rivolta a studenti che vogliono preparasi ad affrontare con serenità l’accesso alle facoltà scientifiche. Ai partecipanti alla Summer School, allievi in uscita dal quarto anno delle scuole secondarie, alcuni degli argomenti sono noti mentre altri risultano nuovi o neppure previsti dai programmi. Alcune parti si legano facilmente ad applicazioni della Matematica in vari ambiti e invitano ad approfondimenti. Maggio 2011

Laboratorio FDS Dipartimento di Matematica “F.Brioschi”

Politecnico di Milano http://fds.mate.polimi.it

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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 3

Crescita lineare e crescita esponenziale Clelia Marchionna

Il modello di crescita più semplice è naturalmente quello di crescita lineare, in cui la variabile dipendente y dipende dalla variabile indipendente t mediante una legge

y A Bt= + con A e B costanti. È naturalmente immediato verificare che l’incremento y∆ della variabile dipendente è proporzionale all’incremento t∆ , e che il coefficiente di proporzionalità è B. Un esempio noto a tutti di fenomeno retto da una legge lineare è il moto rettilineo uniforme: Consideriamo il moto di un punto lungo una retta orientata s, su cui sia stata scelta l’origine e fissata un’unità di misura (metri ad esempio); chiamiamo ( )s s t= la posizione del punto al tempo t. Supponiamo che all’istante 0 il punto parta dalla posizione iniziale (0) 2s = , e che si muova con velocità costante 3v = . La legge di moto sarà:

( ) 2 3s t t= + ed il grafico della funzione ( )s s t= nel piano cartesiano (t,s) sarà naturalmente una retta.

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 40

2

4

6

8

10

12

14

tempo

sp

os

tam

en

to

Costruiamo ora la tabella dei valori di s corrispondenti a valori interi di t: t in secondi 0 1 2 3 4 s in metri 2 5 8 11 14 Considerando due elementi successivi della seconda riga della tabella osserviamo che

( 1) ( ) 3s n s n v+ − = = . La seconda riga della tabella è una progressione aritmetica di ragione 3. Presentiamo ora un esempio di progressione geometrica (la seconda riga della tabella):

n 0 1 2 3 4 y 2 8 32 128 512

Una progressione si dice geometrica se il rapporto di due termini successivi è costante

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( 1)

( )

y nC

y n

+=

e la costante C (nell’esempio C = 4) si dice ragione della progressione geometrica. Si osserva subito che una funzione che interpola la progressione, cioè che assume i valori della progressione per x = n intero, è

( ) (0) 2 4x xy x y C= ⋅ = ⋅ Possiamo concludere quindi che, come le progressioni aritmetiche sono legate alla crescita lineare, le progressioni geometriche sono legate alla crescita esponenziale. Molti semplici fenomeni di crescita e decadimento sono modellizzabili con leggi di tipo esponenziale. Un esempio “famoso” è come datare un fossile con la misurazione del carbonio 14C : un organismo

vivente contiene una quantità di carbonio 14C che si mantiene costante fino a quando è in vita.

Quando l’organismo muore comincia il decadimento del 14C (in Carbonio 12). La quantità di

carbonio 14C si dimezza in un tempo τ (detto tempo di dimezzamento) che è precisamente di 6000

anni. Costruiamo, in base a questa osservazione, una tabella relativa al decadimento del 14C in un reperto

che al tempo t = 0 (morte dell’organismo) conteneva (0) 10y = mg di 14C :

t in migliaia di

anni 0 6 12 18 24

y = 14C in mg 10 10/2 10/4 10/8 10/16

La seconda riga della tabella è vistosamente una progressione geometrica di ragione C = 1/2 e la funzione esponenziale che interpola questi valori è

/6( ) 10 2 ty t −= ⋅ se misuriamo il tempo in millenni, o più in generale

/( ) (0) 2 ty t y τ−= ⋅ con tempo e tempo di dimezzamento misurati con la stessa unità di misura.

0 10 20 30 40 50 600

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

tempo (in millenni)

ca

rbo

nio

14

in

millig

ram

mi

Osserviamo ora in grafico dell’esponenziale, in rosso, dove i valori della tabella sono stati evidenziati con gli asterischi: possiamo osservare che quanto più Carbonio 14 è presente, tanto più

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è veloce il decadimento. Precisamente si osserva che la velocità di decadimento è proporzionale alla quantità di materiale presente, o, in formule, (per chi conosce già le derivate) che:

'( )

( )

y tK

y t=

ove K è una costante opportuna. Sempre per chi conosce già le derivate, è immediato verificare che, scegliendo come base per l’esponenziale il numero e, tutte (e sole) le funzioni ( )y y t= che soddisfano la relazione precedente (tecnicamente uno dei più semplici esempi di equazione differenziale) possono essere scritte come Kty C e= ⋅ , ove C è una arbitraria costante. Risolviamo ora un altro problema concreto: se consideriamo un oggetto “piccolo”, ad esempio una tazzina di caffè bollente in una stanza a temperatura costante, come varia nel tempo la sua temperatura? Considerando che è ragionevole supporre che la temperatura della stanza non sia influenzata da un oggetto caldo piccolo come una tazzina, la legge di Fourier riguardo allo scambio di calore fra due corpi può essere opportunamente semplificata. Chiamiamo T(t) la temperatura della tazzina al tempo t, e sia o20aT = la temperatura dell’ambiente;

la legge di raffreddamento afferma che la velocità di raffreddamento è proporzionale alla differenza di temperatura, cioè

'( ) ( ( ))aT t K T T t= −

ove la costante di proporzionalità K dipende naturalmente dal tipo di tazzina e dalla quantità di caffè contenuta in essa. Supponiamo che la temperatura iniziale al tempo t = 0 sia di o80 C e che ci serva calcolare quanto tempo debba trascorrere perché il caffè sia bevibile senza scottarsi (temperatura ideale o40 C ). Prima di tutto risolviamo il problema “riscalando” le temperature, ponendo per semplicità o0aT = .

La legge diventerebbe '( )

( )

T tK

T t= − , e abbiamo già visto che questo implica che ( ) KtT t C e−= ⋅ .

Più in generale avremo ( ) aKtT t T C e−− = ⋅ , e quindi ( ) a

KtT t C e T−= ⋅ + . Naturalmente la

costante C non può essere qualsiasi, perché al tempo t = 0 la temperatura è o(0) 80T = C. Sostituendo t = 0 nella precedente formula otteniamo 80 20C= + e quindi C = 60 ,

( ) 60 20KtT t e−= ⋅ + gradi centigradi. Per proseguire dobbiamo determinare sperimentalmente la costante di raffreddamento K ! Da un punto di vista matematico basterebbe una sola misurazione per un qualsiasi tempo positivo; ad esempio se misuriamo la temperatura della tazzina dopo due minuti e troviamo (2) 50T = gradi

centigradi, otteniamo la relazione 260 20 50Ke−⋅ + = , da cui 2 1

2Ke− = , e risolvendo l’equazione

esponenziale, 1 1 1

log( ) log 2 0,34662 2 2

K = − = ≈ (indichiamo con log il logaritmo naturale). Con

questo calcolo finalmente abbiamo la legge di evoluzione della temperatura della tazzina: 1

log2)2

(( ) 60 20

tT t e

−= ⋅ +

Infine, ponendo ( ) 40T t = , risolviamo un’ultima equazione esponenziale 1

log 2)2

(40 60 20

te

−= ⋅ + ,

che ha come soluzione log 3

2 3,17 3'10"log 2

t = ≈ ≈ . Dobbiamo aspettare circa tre minuti per non

scottarci. Da un punto di vista pratico una sola misurazione, affetta naturalmente da errore sperimentale, (il cui ordine di grandezza può essere stimato, conoscendo l’accuratezza degli strumenti) non basta a

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ottenere una attendibile costante di raffreddamento. Sarà necessario effettuare diverse misurazioni, meglio se a tempi t diversi. A questo problema sarà dedicato il paragrafo seguente.

Uso della scala semilogaritmica

Riprendiamo in considerazione l’esempio del Carbonio 14, ed aggiungiamo alla tabella una terza riga: t in migliaia di

anni 0 6 12 18 24

y = 14C in mg 10 110 2−⋅ 210 2−⋅ 310 2−⋅ 410 2−⋅

2logw y= 2log 10 2(log 10) 1− 2(log 10) 2− 2(log 10) 3− 2(log 10) 4−

Se in ordinata mettiamo il valore di 2log y invece di quello di y, il grafico di un esponenziale si

trasforma nel grafico di una retta!

0 10 20 30 40 50 60-8

-6

-4

-2

0

2

4

tempo (in millenni)

log

2 (

ca

rbo

nio

14

in

millig

ram

mi)

y= log2 (10) -t/6

E questo è vero, qualunque sia la base che noi scegliamo per calcolare i logaritmi.

Ricordiamo che log

loglog

ab

a

yy

b= .

Se mettiamo in ordinata 10logz y= otteniamo ancora il grafico di una retta :

0 10 20 30 40 50 6010

-3

10-2

10-1

100

101

tempo (in millenni)

ca

rbo

nio

14

in

millig

ram

mi

Avendo scelto la base 10, il programma di calcolo usato per generare questo grafico visualizza sull’asse delle ordinate i corrispondenti valori di y (pur disegnando il grafico di z), e indica con la

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griglia orizzontale, ordinatamente tra 010 e 110 , dal basso verso l’alto, z = Log 1 = 0 , z = Log 2 e così via fino a z = Log 10 = 1. Questo schema si ripete ordinatamente sull’asse delle ordinate: infatti nella fascia tra 110− e 010 le righe della griglia orizzontale indicano rispettivamente z = Log 1/10 = (Log1) –1 , z = Log 2/10 = (Log2) –1 e così via. Il fatto di usare la scala logaritmica sull’asse delle ordinate, per rappresentare un fenomeno retto da una legge esponenziale, porta un notevole vantaggio. Prima di tutto l’esponenziale è caratterizzato da una crescita (o decrescita, se l’esponente è negativo) estremamente rapida, quindi sarà difficile valutare come varia quantitativamente la y quando è piccola (visivamente quando il grafico si “schiaccia” sull’asse delle ascisse) utilizzando il grafico nel piano (t,y). Se ad esempio guardiamo il grafico nelle pagine precedenti, non possiamo distinguere ad occhio se y sia dell’ordine di 110− oppure di 210− . Questa informazione è invece in bella vista nell’ultimo grafico. Inoltre questo tipo di grafico può permettere di verificare se un fenomeno è retto da una legge di tipo esponenziale e di calcolare le costanti di modello opportune, a partire dai dati sperimentali. Supponiamo di voler realizzare il seguente esperimento: abbiamo una cultura di batteri in una vasca, e vogliamo sapere come si evolve. Sappiamo che il più semplice modello di dinamica delle popolazioni (Malthus, 1798) ipotizza che la velocità di accrescimento di una popolazione sia proporzionale al numero di individui. Come abbiamo osservato prima, questa ipotesi implica uno sviluppo esponenziale della popolazione nel tempo (sono sottese al modello le ipotesi che il numero medio di nascite per unità di tempo sia superiore al numero delle morti, e le risorse dell’ambiente siano illimitate). Questo tipo di modello sembra adattarsi, almeno in tempi relativamente brevi, ad una cultura di batteri “ben nutriti” in una vasca spaziosa! Supponiamo partire al tempo t = 0 con un “numero” di batteri 0 500N = e di misurare il “numero”

dei nostri batteri ad intervalli di 3 ore, fino a 72 ore, e mettiamo i dati nel seguente grafico :

0 10 20 30 40 50 60 70 80400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

2200

tempo (in ore)

nu

me

ro b

att

eri

È chiaro che ci sarà un po’ di oscillazione sul dato sperimentale, e che le nostre misurazioni, anche se il modello è corretto, non saranno esattamente “appoggiate” su una curva di tipo esponenziale, ma, a parte questo, come fare ad individuare la funzione esponenziale 0

kty N e= che meglio

interpola questi dati? Passiamo in scala semilogaritmica; il grafico relativo è il seguente:

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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 8

0 10 20 30 40 50 60 70 8010

2

103

104

tempo (in ore)

nu

me

ro b

att

eri

È evidente che i dati hanno un andamento praticamente lineare ed è immediato trovare la retta (in rosso) che meglio interpola i dati. L’equazione di tale retta sarà

10logz y A Bt= = +

Di conseguenza avremo

010 10 1010A Bt A Bt Bty N+= ⋅ = ⋅= con 10 0logA N= .

Per questo tipo di modelli è consuetudine utilizzare come base dell’esponenziale il numero di Nepero e (è la base privilegiata per il calcolo infinitesimale). Operiamo quindi il cambiamento di base; avremo infine:

log 100 0( )e Bt kty N e N e= ⋅ ⋅= con (log 10)ek B= .

Possiamo verificare nella seguente figura come il grafico dell’esponenziale trovato interpola i dati sperimentali:

0 10 20 30 40 50 60 70 80400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

2200

tempo (in ore)

nu

me

ro b

att

eri

Infine possiamo osservare che ci sono problemi per i quali è più conveniente utilizzare una scala semilogaritmica sull’asse delle ascisse, o una scala logaritmica su entrambi gli assi. L’idea è quella di trasformare il grafico di un fenomeno non lineare, retto ad esempio da una legge esponenziale, come nel nostro esperimento, oppure da una legge logaritmica, oppure da una legge Hy Kt= , nel grafico di una retta, per poter calcolare più facilmente i parametri significativi.

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Numero di Nepero ed interesse composto Il numero di Nepero e, e i logaritmi naturali, sono legati non solo al calcolo infinitesimale, ma anche ad uno dei più classici strumenti in economia, e cioè al calcolo dell’interesse composto. Cominciamo mostrando come si calcola l’interesse composto su base annua (la forma più comune): Supponiamo di investire un capitale 0C , ad esempio 5000 € ad un interesse del 3%, I=0,03.

Dopo un anno il nostro capitale sarà 0(1) (1 0,03)C C= + . Reinvestiamo C(1) allo stesso tasso: dopo

due anni avremo 02(2) (1) (1 0,03) (1 0,03)C C C= ⋅ + = + , dopo n anni avremo

0( ) ( 1) (1 0,03) (1 0,03)nC n C n C= − ⋅ + = + (il termine tecnico per C(n) = capitale originario +

interesse maturato è montante). Far fruttare il denaro è una preoccupazione vecchia quanto l’umanità! Un problema classico è calcolare in quanti anni il capitale raddoppia, noto l’interesse. La testimonianza più antica di soluzione (per ricorrenza) di questo problema risale ad una tavoletta babilonese del 1700 a. C. , conservata al Louvre. Una soluzione euristica con una formula approssimata affidabile è dovuta a fra Luca Pacioli (Venezia, 1494) prima che fossero stati introdotti i logaritmi naturali: la “formula “ del Pacioli è: ‘A voler sapere ogni quantità a tanto per 100 l’anno, in quanti anni sarà tornata doppia tra utile e capitale, tieni per regola 72, a mente, il quale sempre partirai per l’interesse, e quello che ne viene, in tanti anni sarà raddoppiato. Esempio: Quando l’interesse è a 6 per cento l’anno, dico che si parta 72 per 6 ; ne vien 12 e in 12 anni sarà raddoppiato il capitale.’ In formule, se τ è il tempo di raddoppio del capitale e i è l’interesse (in percentuale), avremo approssimativamente 72 / iτ = . Con la formula del Pacioli il capitale del nostro esempio raddoppierebbe in 24 anni. In effetti, se osserviamo il grafico seguente, in cui i valori di C(n) sono evidenziati dagli asterischi, abbiamo il raddoppio del capitale indicativamente tra 23 e 24 anni. Ripercorrendo i passi dei paragrafi precedenti, osserviamo che C(n) è una progressione geometrica di ragione (1 + I ) , e che i valori della progressione sono interpolati dalla funzione esponenziale

0 0log(1 )( ) (1 )t t Iy t C I C e += ⋅ + = ⋅

in rosso in figura.

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 504

6

8

10

12

14

16

18

20

22

tempo in anni

ca

pit

ale

in

mig

lia

ia d

i e

uro

C(n)=C(0)*(1+I)n

y=5*exp(t*log(1.03))

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Per calcolare il tempo di raddoppio τ basta risolvere l’equazione esponenziale

( )0 0( ) 1 2t

C t C I C= + = che si semplifica in ( )1 2t

I+ = , da cui otteniamo

log 2 / log(1 ) 23, 4498Iτ = + ≈

Naturalmente l’interesse composto può essere calcolato usando come periodo base un periodo più breve dell’anno (ad esempio il mese, tipicamente per calcolare il piano di ammortamento di un mutuo). Supponiamo di avere sempre lo stesso capitale 0C , lo stesso interesse annuo I e misurare il tempo

in mesi. Dopo un mese abbiamo maturato un interesse pari a I/12, ed il nostro capitale è diventato

0

0,03(1) 1

12C C

= +

; reinvestendolo, dopo due mesi sarà 0

20,03

(2) 112

C C

= +

, dopo n mesi

0

0,03( ) 1

12

n

C n C

= +

e in particolare dopo un anno 0

120,03

(12) 112

C C

= +

.

Adesso poniamoci un problema “accademico” (ma non privo di applicazioni in matematica finanziaria). Come varia l’interesse guadagnato in un anno se lo calcoliamo su un periodo sempre più piccolo? Più precisamente calcoliamo l’interesse composto su base annua, semestrale, quadrimestrale, trimestrale, bimensile,mensile, giornaliera. Creiamo la seguente tabella, ove nella prima riga è indicato in quante parti uguali è stato suddiviso l’anno, e nella seconda riga qual è il capitale dopo un anno. Numero suddivisioni

1 2 3 4 6 12 365

C ad un anno

0 (1 )C I+ 0

2

12

IC

+

0

3

13

IC

+

0

4

14

IC

+

0

6

16

IC

+

0

12

112

IC

+

0

365

1365

IC

+

Adesso ricordiamo che il numero e è definito da

1lim 1n

n

en→∞

= +

ed è approssimato per difetto dagli elementi della successione 1

1n

n

+

con sempre migliore

precisione, quanto più si sceglie grande l’intero n. Se K è una costante, si verifica immediatamente che

lim 1n

nK K

en→∞

= +

(stessa osservazione per l’approssimazione). È evidente che l’ultimo valore della tabella sarà molto prossimo a 0

IC e⋅ , che è il massimo

montante che si può spuntare implementando questa procedura. Visualizziamo i valori di C con un grafico, prima con un grafico fino a 24 suddivisioni:

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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 11

0 5 10 15 20 255150

5150.5

5151

5151.5

5152

5152.5

numero suddivis ioni in un anno

ca

pit

ale

do

po

un

an

no

in cui si evidenzia che, con il nostro capitale di 5000 € e l’interesse (modesto) del 3% la differenza di guadagno usando l’interesse semplice in un anno e l’interesse composto mensilmente è di poco più di 2 €. Di seguito visualizziamo il grafico fino a 365 suddivisioni, dove è stato indicato a destra con l’asterisco rosso il valore di 0

IC e⋅ .

0 50 100 150 200 250 300 350 4005150

5150.5

5151

5151.5

5152

5152.5

numero suddivis ioni in un anno

ca

pit

ale

do

po

un

an

no

Possiamo quindi concludere che, se vogliamo modellizzare un flusso continuo di pagamenti reinvestito in maniera continua; siamo condotti in modo naturale a definire il numero e .

Per approfondire Robert A. Adams Calcolo differenziale 1 Casa Editrice Ambrosiana

http://www2.polito.it/didattica/polymath/htmlS/argoment/APPUNTI/TESTI/Ott_04/Numeroe.htm

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Le funzioni periodiche Elena Marchetti

Nelle pagine seguenti considereremo le funzioni periodiche e metteremo in evidenza come ben si adattino a descrivere alcune tipologie di fenomeni fisici. Una funzione )(xfy = si dice periodica di periodo T quando è caratterizzata dalla seguente proprietà:

)()( nTxfxf += Zn ∈ La funzione xy sin= è periodica di periodo π2=T , infatti

....)4sin()2sin(sin =±=±= ππ xxx , anche xy cos= è periodica di periodo π2=T , mentre xy tan= è periodica di periodo π=T . È evidente che se una funzione è periodica di periodo T, è anche periodica di periodo multiplo di T. La periodicità si osserva anche nella rappresentazione geometrica: le curve di equazione xy sin= e

xy cos= , dette rispettivamente sinusoide e cosinusoide, assumono la stessa configurazione al variare di x in intervalli di ampiezza π2 . In modo analogo si comporta la tangentoide di equazione xy tan= al variare di x in intervalli di ampiezza π . Per costruire il grafico di una funzione periodica basta conoscerne l’andamento in un intervallo corrispondente al periodo. Ad esempio se )(xfy = è una funzione periodica di periodo 1=T , con andamento corrispondente a xy = per 10 <≤ x , allora il grafico di )(xfy = è:

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Funzioni del tipo b

xay sin= ( 0,, ≠∈ bRba ) sono periodiche di periodo πbT 2= , infatti

b

xa

b

xa

b

bxa sin2sin

2sin =

+=

π.

Nella figura seguente sono riportati i grafici di b

xy sin2= nell’intervallo ππ 42 ≤≤− x , nei casi

2/1,2,1=b in nero, rosso, blu, rispettivamente. Osserva che 2sin22 ≤≤−b

x.

In particolare le funzioni nxy sin= e nxy cos= ( Nn ∈ ) hanno periodo n

Tπ2

= e periodo

comune, al variare di n, π2 : sono dette funzioni periodiche semplici.

Anche le funzioni )(xf , somma di un numero finito di funzioni periodiche semplici

kxbkxaxbxaxbxaaxf kk sincos....2sin2cossincos)( 22110 +++++++=

hanno periodo π2 ( ,...,, 110 baa sono coefficienti numerici).

Seguendo il matematico J. B. Fourier (1768-1830), si potrebbe addirittura considerare una sequenza di infiniti addendi del tipo kxbkxa kk sincos + , con k=1,2, …n,…..: il periodo comune

rimane π2 . Ma è un poco prematuro parlare di serie e ancor più di serie di Fourier!! Osserva ora, nella figura che segue, il grafico relativo alla funzione:

xxxy 3cos2sin2

1cos22 +−+=

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Le funzioni periodiche si incontrano in Meccanica, in Fisica, in Ingegneria: nello studio dei fenomeni vibratori dei corpi elastici, delle correnti elettriche alternate, della propagazione del calore…. Come esempio di un moto periodico la cui equazione è rappresentata da funzioni periodiche puoi considerare il moto armonico. Se P è un punto che si muove di moto circolare uniforme su una circonferenza di raggio r, la proiezione di P sul diametro si muove di moto armonico: il periodo T è l’intervallo di tempo compreso fra due istanti nei quali punto P si ritrova nella stessa posizione sulla circonferenza.

La seguente equazione ))(sin()( 0ttrty −= ω rappresenta un moto armonico:

- r è l’ampiezza delle oscillazioni ( rtyr ≤≤− )( )

- ωπ2=T è il periodo

- 0t è detto ritardo

- 0tω si chiama sfasamento

- il reciproco del periodo, T1 , è la frequenza (misurata in hertz, cioè cicli al secondo)

- Tπω 2= si chiama frequenza angolare (misurata in radianti al secondo, essendo 1 ciclo = 1 rotazione = π2 radianti).

Osserva nella figura seguente l’andamento della curva nel caso 2

,4

,2 00

πω

π=== ttr . Il grafico

dello spostamento y in funzione del tempo t è la curva )sin()( trty ω= traslata a destra di 0t .

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Applicando opportunamente le formule di addizione, l’equazione del moto armonico è facilmente esprimibile come somma di funzioni periodiche semplici:

)cos()sin())(sin()( 0 tBtAttrty ωωω +=−=

dove )sin(),cos( 00 trBtrA ωω −== , 222 BAr +=

Tieni presente che una buona conoscenza delle equazioni e disequazioni trigonometriche permette di risolvere problemi del tipo: fissato il valore )( rara ≤≤−

- per quali valori di t lo spostamento y è uguale ad a? - per quali valori di t lo spostamento y è maggiore di a?

I valori cercati sono soluzione, rispettivamente, dell’equazione e della disequazione seguenti: atBtA =+ )cos()sin( ωω

atBtA >+ )cos()sin( ωω

Le funzioni trigonometriche nelle equazioni di curve e superfici Le funzioni trigonometriche si possono incontrare nelle equazioni di molte curve e superfici. Qui di seguito vedrai qualche esempio di rappresentazione di curve e superfici (a te note) in cui sono coinvolte le funzioni trigonometriche. Consideriamo ad esempio la circonferenza in figura:

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Le coordinate x,y del punto P sono esprimibili in termini dell’angolo t (in radianti, assumendo come positivo il verso antiorario) nel modo seguente trytrx sin,cos == . Al variare di t (detto parametro) si identificano i punti della circonferenza. La circonferenza può dunque essere descritta dalla seguente equazione parametrica:

π20sin

cos≤≤

=

=t

try

trx.

Se il parametro t varia nell’intervallo ]4,2[ ππ− il punto P descrive tre volte la circonferenza, se ),( +∞−∞∈t la curva è descritta infinite volte.

Supponiamo ora che il raggio non sia costante, ma si comporti come il parametro:

π20sin

cos≤≤

=

=t

tty

ttx

La curva non è più una circonferenza, ma un arco di spirale di Archimede, per ),0[ +∞∈t si descrive l’intera curva.

Utah: Spiral Jetty, Land Art (R. Smithson) Le curve di Lissajous hanno parametrizzazioni del tipo:

−=

−=

))(sin(

))(cos(

22

11

ttBy

ttAx

ω

ω

Sono curve che appaiono sugli oscilloscopi e sono descritte da un punto che è sottoposto nel piano a due moti armonici ortogonali.

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Osserva qui di seguito la curva di equazione: π20)5sin(10

)3cos(10≤≤

=

=t

ty

tx.

È possibile rappresentare anche le curve nello spazio cartesiano tridimensionale Oxyz , attraverso equazioni parametriche. Considera i due esempi seguenti:

π20sin

cos

≤≤

=

=

=

t

tz

try

trx

che corrisponde ad un arco di elica cilindrica, descritta interamente se ),( +∞−∞∈t e

π20sin

cos

≤≤

=

=

=

t

tz

tty

ttx

che corrisponde ad un arco di elica conica, descritta interamente se ),( +∞−∞∈t .

Qui di seguito sono riportate le loro rispettive rappresentazioni geometriche:

Attraverso equazioni parametriche che coinvolgono due parametri è possibile rappresentare superfici nello spazio tridimensionale.

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Osserva qui di seguito una parametrizzazione del cilindro e della sfera:

),(),2,0[sin

cos

+∞−∞∈∈

=

=

=

ut

uz

try

trx

π

Tokio: Torre dei venti (T. Ito)

],0[),2,0[

cos

sinsin

cossin

ππ ∈∈

=

=

=

ut

urz

tury

turx

Roma: Dives in Misericordia (R. Meier)

Per approfondire http://www.mathcurve.com/courbes3d/courbes3d.shtml http://www.physics.uoguelph.ca/tutorials/shm/Q.shm.html http://mathworld.wolfram.com/LissajousCurve.html

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Elementi di Logica Matematica Luisa Rossi Costa

Sarebbe interessante sviluppare almeno in parte un poco di storia della Logica, disciplina che costituiva parte della Filosofia (Aristotele), che è stata dibattuta dagli Scolastici e che in tempi più recenti (soprattutto a partire dal diciannovesimo secolo) è diventata Logica Matematica, costituendo poi fondamento dell’Informatica.

Aristotele (384a.c. –322a.c.) S. Tommaso D’Aquino (1225-1274) Questo iter sarebbe però troppo ampio e questi appunti non hanno simile pretesa; l’intento è di sottolineare la necessità di conoscere alcuni aspetti della Logica Matematica, indispensabili per seguire e comprendere meglio i contenuti e lo sviluppo di molti insegnamenti universitari. La logica ha coinvolto nel tempo molti ambiti della conoscenza e non è facile dare una definizione esauriente di questa disciplina. Si può forse più facilmente chiarire quale è l’oggetto della logica in termini di linguaggio comune: la logica ha a che fare con il ragionamento, dunque si occupa di come l’uomo, lo scienziato, pensa e dei criteri del pensare corretto. Il ragionamento di cui si occupa la logica è spesso un ragionamento deduttivo, in riferimento al quale si è sempre tentato di introdurre aspetti normativi, anche se nella cultura contemporanea c’è una certa riluttanza ad adottarne completamente le regole. Nel ventesimo secolo poi si sono sviluppate ricerche sempre più sofisticate, stimolate dall’individuazione di contraddizioni logiche (paradossi o antinomie). Rimane tuttavia consolidato, soprattutto nel pensiero scientifico, un aspetto metodologico irrinunciabile che fa da filo conduttore nello sviluppo delle scienze. Inoltre l’applicazione della Logica in campo informatico è peculiare proprio alla struttura sintattica dei linguaggi; in tale campo le ambiguità sono bandite.

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Di fatto nel linguaggio comune incappiamo molto spesso in ambiguità. Nel dire “ Ho visto Lucia con un cannocchiale” che cosa intendo? Che Lucia ha un cannocchiale o che l’ho vista per mezzo di un cannocchiale? Se la frase fosse inserita in un contesto forse sarebbe più facile comprenderne il vero significato –“Ho visto Lucia con un cannocchiale, mentre ne puliva le lenti” – ma se la frase rimane isolata l’ambiguità persiste.

Augustus De Morgan (1806-1871) Giuseppe Peano (1858-1932) Molti aspetti della logica si esprimono bene solo con una adeguata formalizzazione. Dal momento che nel nostro linguaggio la proposizione può essere considerata come elemento iniziale costitutivo – discorso compiuto per il quale ha senso affermare se sia falso o vero – è consuetudine costruire le cosiddette tavole di verità, connesse a una proposizione e alla relativa negazione. Esempio: - Roma è capitale d’Italia (è vera) - Ieri splendeva il sole (potrebbe essere vera o falsa, dipende dal vissuto) - Tre è un numero pari (è falsa) Data una proposizione p si distingue se è vera, V, o se è falsa, F. Si potrebbe anche collegare il numero 1 ad una proposizione vera e 0 ad una proposizione falsa, costruendo una sorta di calcolo delle proposizioni, simile a quello algebrico, correlato a simboli detti connettivi. Accanto alla proposizione p si considera spesso la sua negazione “non p” ( ¬ p), con la naturale assunzione che se p è vera, “non p” è falsa e viceversa. Il simbolo di negazione ¬ è uno dei connettivi logici molto usati e qui di seguito richiamati; tali connettivi vengono impiegati anche nella scrittura di proposizioni mediante un linguaggio sintetico.

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� negazione non ( ¬ ) (talvolta è indicata anche con ~) � congiunzione e ( ∧ ) � disgiunzione o ( ∨ ) � implicazione ⇒ (corrisponde a “se….allora…”) � doppia implicazione ⇔ (corrisponde a “…se e solo se…”)

Accanto ai simboli precedenti sono molto importanti i cosiddetti quantificatori:

� quantificatore esistenziale ∃ (“ esiste almeno un …”) � quantificatore universale ∀ (“ per ogni elemento …vale”)

oltre al simbolo di appartenenza ∈ ( “ …appartiene a…”). Utilizzando i simboli precedenti si possono scrivere proposizioni, ad esempio:

{ }p(x)xx X | ∧∈∃ ; ove il simbolo | , talvolta sostituito da : , si legge “tale che”. La precedente scrittura sintetizza “Esiste almeno un elemento x tale che x appartiene all’insieme X e per x vale la proprietà espressa dalla proposizione p”.

Gottlob Frege (1848-1925) Bertrand Russel (1872-1970) Prima di passare alle tavole di verità relative ai connettivi, invito il lettore a risolvere qualche quesito1.

1 R.Smullyan Satana,Cantor e l’infinito e altri inquietanti rompicapi, 1994 , Bompiani, Milano

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Q1 – Stai camminando in un’isola popolata da cavalieri che dicono sempre la verità (esprimono solo proposizioni vere), e da fanti che invece sono mentitori (esprimono sempre proposizioni false).

Ti imbatti in tre abitanti del luogo: Aldo, Giovanni e Giacomo. Chiedi ad Aldo “ Giacomo e Giovanni sono entrambi cavalieri?” e Aldo ti risponde “Si”; allora chiedi ancora ad Aldo “Giacomo è un cavaliere?” ma con sorpresa Aldo ti risponde “No”. Da queste due risposte alle tue domande che cosa deduci? Che Giovanni è un cavaliere o un fante? Prova a pensare quale è il ragionamento logico che ti porta alla conclusione; devi porre attenzione alle risposte che hai ricevuto….. ma in ogni caso troverai la soluzione alla fine del capitolo. Nella stessa isola ti sarebbe assai più facile individuare al primo colpo lo stregone! … No, non spaventarti, non perché ti tramuta subito in rospo o in pietra ma perché si avvale di una stregoneria logica! Lo stregone sa porti una domanda alla quale non potrai rispondere: Q2 - “ Risponderai no a questa domanda?” Dovendo rispondere solo con un SI o con un NO, che cosa pensi di fare? Riesci a dare una risposta coerente con il tuo pensiero e al tempo stesso coerente con la domanda? …o non sai proprio come rispondere in modo appropriato? …ho il sospetto che ti sia imbattuto proprio nello stregone! (troverai qualche chiarimento relativo al quesito Q2 alla fine del capitolo).

Kurt Gödel (1906-1978)- Albert Einstein(1885-1948) Alan M. Turing (1912-1954)

Tavole di Verità

Ora usciamo dalle magie e ritorniamo alle proposizioni e alle relative tavole di verità.

I connettivi prima introdotti servono per legare proposizioni p, q, delle quali si conoscono i valori di verità e di conseguenza si potranno ricavare i valori di verità di w, proposizione ottenuta da una o dalle due precedenti applicando un connettivo.

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Quando alla proposizione p applichiamo la negazione, si verifica che ¬ p è vera o falsa nei casi in cui rispettivamente p è falsa o vera: p ¬ p Esempio : p Il sole è una stella (V) _____________ ¬ p Il sole non è una stella (F)

V F p Il numero sette è pari (F) F V ¬ p Il numero sette non è pari (V) La congiunzione ∧ lega le due proposizione p, q e ne forma una terza w = p ∧ q, la cui tavola di verità è sotto riportata e naturalmente dipende dalla verità, o meno, di p e di q: p q p ∧ q _______________________

V V V La proposizione w = p ∧ q risulta vera solo nel caso in cui tutte e V F F due le proposizioni p e q sono vere; falsa in ogni altro caso. F V F

F F F

La disgiunzione ∨ (detta talvolta alternativa) nel connettere p a q forma una proposizione w = p ∨ q, “p oppure q”, la cui verità è legata alla verità di almeno una delle due proposizioni. p q p ∨ q E’ importante imparare a costruire ¬w: _____________________

V V V p “domani piove” V F V q “domani il termometro segnerà meno di 15°” F V V w “o domani piove o il termometro segnerà meno di 15°” F F F ¬w “domani non piove e il termometro segnerà non meno di 15°”

Come avete visto non sempre è immediato negare una proposizione; si deve fare molta attenzione e analizzarne il connettivo: se avessimo tra le ultime due p e q una congiunzione, la relativa negazione ¬ (p ∧ q), diventerebbe “domani o non piove o il termometro segnerà non meno di 15°”. Basta negare una sola delle due proposizioni per avere la negazione della loro congiunzione. Attenzione alle parentesi! Nel linguaggio simbolico, anche con i connettivi, le parentesi vanno utilizzate in modo da esprimere correttamente quanto si vuole intendere e non creare ambiguità: sopra ho scritto ¬ (p ∧ q); se avessi scritto ( ¬p) ∧ q, avresti letto allo stesso modo e con lo stesso significato? Rifletti! Segnalo che per convenzione ¬ è un connettivo prioritario rispetto a ∧ e ∨ , per cui l’ultima connessione si scrive senza ambiguità ¬p ∧ q , omettendo le parentesi.

L’implicazione (o connettivo condizionale)

Indicate con a e b due proposizioni, la scrittura a ⇒ b si legge “ la proposizione a implica la proposizione b” o anche “se a è vera , allora anche b è vera”. L’implicazione a⇒b , si può leggere anche: “condizione sufficiente perché valga b è che valga a”.

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In modo analogo si considera il simbolo simmetrico ⇐ ; la scrittura b ⇐ a si legge “ la proposizione b è implicata dalla proposizione a” o anche “b è condizione necessaria perché valga a” o, detto in altro modo: “se b non è vera , allora anche a non è vera” - proposizione detta anche contronominale. Esempio: “Giovanna è la mamma di Lucia” (proposizione a) “Lucia è più giovane di Giovanna” (proposizione b) Tra le due proposizione sussiste sicuramente l’implicazione: “Giovanna è la mamma di Lucia” ⇒ “Lucia è più giovane di Giovanna” Se “Giovanna è la mamma di Lucia” allora “Lucia è più giovane di Giovanna” Condizione sufficiente perchè “Lucia sia più giovane di Giovanna” è che “Giovanna sia la mamma di Lucia” oppure “Lucia è più giovane di Giovanna” ⇐ “Giovanna è la mamma di Lucia” Condizione necessaria perché “Giovanna sia la mamma di Lucia” è che “Lucia sia più giovane di Giovanna” Anche con il connettivo ⇒ si può costruire la tavola di verità; utilizziamo ora 1 per vero e 0 per falso e pensiamo di connettere le due proposizioni con l’implicazione. a b a ⇒ b -----------------------------

1 1 1 1 0 0 0 1 1 0 0 1 La tavola di verità non è molto convincente se le proposizioni riguardano “fatti veri” ma slegati tra loro; pensa ad esempio che a sia “la terra è un pianeta” e b sia “ Parigi è capitale della Francia”; non pare comprensibile che a implichi b! Il connettivo ⇒ non corrisponde propriamente al “se … allora…” del linguaggio comune, nel quale pensiamo che le due proposizioni a e b abbiano una relazione causale. Diverso invece l’uso nella Logica Matematica dove la verità di a ⇒ b è solo legata ai valori di verità di a e di b, anche se le due proposizioni non sono correlate tra loro. 2 Confronta la tavola di verità di ba ∨¬ con la tavola precedente e ti accorgerai che coincidono a a¬ b ¬a ∨ b ------------------------------------------------

1 0 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 0 1 0 1 Questa coincidenza può spiegare perché alcune frasi rimangono vere anche senza causalità: “se ho un guadagno faccio un viaggio a Parigi” “non ho un guadagno o faccio un viaggio a Parigi” Nota che il fatto che non ci sia un guadagno non implica decisioni relative al viaggio a Parigi.

2 Si veda a riguardo anche C. D. Pagani, S. Salsa ANALISI MATEMATCA Vol. 1 - Zanichelli

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Desidero ricordare che il connettivo condizionale è stato considerato fino dai tempi di Aristotele, nella regola di deduzione detta modus ponens: “ se a e a⇒b , allora b” , che in sintesi si può scrivere “ a ∧ (a⇒b) ⇒b. Ti invito a scrivere la relativa tabella di verità per constatare che il valore di verità è sempre 1.

La doppia implicazione ( o connettivo bi-condizionale)

Il simbolo ⇔ posto tra due proposizioni indica che le due proposizioni presentano un’equivalenza logica: o sono entrambe vere o sono entrambe false. La relativa tavola di verità è a b a ⇔ b -----------------------------

1 1 1 1 0 0 0 1 0 0 0 1 La doppia implicazione è vera solo nei casi in cui i valori di verità di a e b sono gli stessi. La scrittura a ⇔ b si legge “ la proposizione b vale se e solo se vale la proposizione a”. Possiamo esprimere lo stesso pensiero nella forma: “ condizione necessaria e sufficiente affinché valga a è che valga b”. Esempio: Essendo a conoscenza che la coppia “Giovanna e Lucia” è costituita da “madre e figlia” possiamo dire che “Giovanna è mamma di Lucia” ⇔ “Lucia è più giovane di Giovanna”

Tautologie Osserva che combinando connettivi, si possono scrivere delle proposizioni sempre vere (valore di verità 1), dette anche leggi logiche (o tautologie). Hai già incontrato il 1. modus ponens p ∧ (p⇒q) ⇒q Se hai costruito in modo corretto la tavola di verità del modus ponens, ti risulterà evidente che si tratta di una tautologia. Ricordane altre due particolarmente significative, le cui tavole di verità sono semplici da scrivere: 2. legge della doppia negazione ¬ ( ¬p) ⇔ p La legge vale anche in molte grammatiche linguistiche: due negazioni equivalgono ad una affermazione. 3. legge del tertium non datur p ∨ ( ¬p) Tieni conto che almeno una delle due proposizioni è sempre vera!… non c’è una terza alternativa. Per esercitarti a “confezionare” tavole di verità, aggiungi anche le seguenti: 4. principio di contrapposizione (p⇒ q) ⇔ ( ¬q ⇒ ¬ p)

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Si tratta dunque dell’equivalenza tra una proposizione diretta e della sua contronominale; nasce da qui il procedimento di dimostrazione per assurdo. 5. sillogismo ipotetico (p⇒ q) ∧ (q⇒ r) ⇒ (p ⇒ r)

La scrittura ti ricorda sicuramente il legame di transitività tra le tre proposizioni p, q, r. Per concludere aggiungi le leggi di De Morgan, che sono particolarmente utili per negare proposizioni composte (ne hai già visto un esempio). 6. legge di De Morgan DM1 ¬ (p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q 7. legge di De Morgan DM2 ¬ (p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q Nota che una legge si ottiene dall’altra scambiando i connettivi ∧ e ∨ ; per tale proprietà le due leggi si dicono duali.

Ripensiamo ai quesiti proposti Q1 – Aldo è certamente un fante: nessun cavaliere potrebbe affermare che Giovanni e Giacomo sono entrambi cavalieri e puoi aggiungere che Giacomo non è cavaliere. Questo ti fa concludere che tutte e due le risposte di Aldo sono bugie. Allora si può dedurre che “Giacomo è cavaliere” e che “Giovanni e Giacomo non sono entrambi cavalieri”, quindi Giovanni è fante. Q2 – Il personaggio al quale è rivolta la domanda “ Risponderai no a questa domanda?” può rispondere solo con un SI o con un NO. Se volesse rispondere SI, vorrebbe dire che alla domanda dovrebbe rispondere NO, mentre se rispondesse NO significa che la sua risposta avrebbe dovuto essere SI. Ogni volta si entra in contraddizione. È logicamente impossibile che l’interrogato dia la risposta corretta anche se conosce la propria risposta. …e per concludere un ultimo esempio di ragionamento logico: Q3: Anche lo stregone ha le sue difficoltà a riconoscere i propri concittadini; è molto bravo, sa captare qualche loro affermazione e, ragionandoci sopra, riesce spesso ad identificare quali siano i cavalieri e quali i fanti…e anche a capire di più! Un giorno incontrando un indigeno, del quale non aveva alcuna idea se fosse cavaliere o fante, lo sentì affermare: “ Sono un fante sposato”. Subito lo collocò nella giusta categoria. Per arrivare alle conclusioni il suo pensiero fu il seguente: “Nessun cavaliere direbbe di essere un fante sposato; chi ha parlato è un fante, ma siccome mente posso anche sapere che è un fante non sposato!” Tutto sommato sembra facile capire; prova anche tu a dare sempre risposte ragionate, e allora la risposta giusta é quasi garantita!

Per approfondire e… diverstirsi 1. G. Lolli Cos’è la logica matematica F. Muzzio Editore 1992 2. C.F. Manara Lezioni di Geometria Editrice Viscontea 1967 3. C.D. Pagani, S. Salsa Analisi Matematica Vol. 1 Zanichelli 1997 4. P. Shaw Logic and its limits Oxford University Press 1997 5. R. Smullyan Satana, Cantor e l’infinito e altri inquietanti rompicapi Bompiani 1992

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Elementi di Statistica e Probabilità Tullia Norando

Introduzione La scuola propone, quando lo fa, lo studio di alcuni elementi di statistica che fanno parte di quella che viene chiamata Statistica Descrittiva: uso di tabelle, disegno di istogrammi e diagrammi vari, calcolo di indici di posizione, calcolo di indici di dispersione, retta di regressione. Per quanto riguarda la probabilità la scuola propone, quando lo fa, il concetto “classico”, il modello uniforme e il calcolo combinatorio. Tutto ciò è positivo ma manca una visione di insieme e di scopo che non consente di cogliere l’importanza e il significato del lavoro svolto. Nella realtà la probabilità fornisce dei modelli di fenomeni reali che la statistica valida con gli strumenti della Statistica Inferenziale. L’importanza dei metodi Statistico-Probabilistici sta nel contributo scientifico offerto al processo di interpretazione della realtà e il contributo scientifico ai processi di decisione. Nello stendere questa nota ho supposto che gli allievi non avessero conoscenze precedenti per cui ho costruito un itinerario a problemi che offrisse gli elementi per sperimentare attivamente alcuni elementi di statistica e probabilità. PROBLEMA 1 : il premio di produzione Il consiglio di amministrazione di una catena di autolavaggi, costituita dalla tre stazioni BRILLA, SMART e LUX, deve attribuire il premio di produzione mensile alla stazione che, nel mese precedente, ha avuto la migliore prestazione. Il consigliere Carlo osserva che, anche se ci sono diversi tipi di lavaggio, i prezzi praticati per ciascun tipo sono i medesimi nelle tre stazioni. Per questo motivo propone di assegnare il premio sulla base del numero complessivo di lavaggi eseguiti. Carlo mostra al consiglio la seguente tabella

tipo di lavaggio A B C D E F G H I TOTALE

prezzo 3 4,5 6 7,5 9 10,5 12 13,5 15

n.lavaggi BRILLA 150 552 1357 2808 4791 6064 6255 5250 2798 30025

n.lavaggi SMART 957 3204 4941 6010 7105 4652 3003 1460 397 31729

n.lavaggi LUX 1508 5526 6257 8966 4791 2064 1255 1250 798 32415 Il consigliere Davide, però obietta che l’indicatore proposto non gli sembra adatto, infatti quando ha organizzato i dati della tabella in istogrammi, gli si sono presentate naturalmente all’occhio alcune osservazioni che intende condividere con i consiglieri e che potrebbero influire sulla decisione.

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BRILLA

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

3 4,5 6 7,5 9 10,5 12 13,5 15

SMART

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

3 4,5 6 7,5 9 10,5 12 13,5 15

LUX

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

10000

3 4,5 6 7,5 9 10,5 12 13,5

Dai grafici si deduce che: BRILLA esegue meno lavaggi ma ha fidelizzato una clientela migliore, SMART esegue più lavaggi di BRILLA ed ha una clientela media, LUX ha eseguito più lavaggi in assoluto ma la sua clientela si orienta sui tipi di lavaggio meno costosi. Il consigliere Filippo propone allora di esaminare i ricavi mensili delle tre stazioni e sottopone al consiglio la tabella aggiornata

tipo di lavaggio A B C D E F G H I RICAVO

prezzo 3 4,5 6 7,5 9 10,5 12 13,5 15

n.lavaggi BRILLA 150 552 1357 2808 4791 6064 6255 5250 2798 326832

n.lavaggi SMART 957 3204 4941 6010 7105 4652 3003 1460 397 266502

n.lavaggi LUX 1508 5526 6257 8966 4791 2064 1255 1250 798 242874 La consigliera Tullia, per tener conto delle proposte di entrambi i consiglieri, suggerisce di calcolare i ricavi medi di ciascuna stazione. Dividendo il ricavo per il numero di lavaggi eseguiti si ottiene

RICAVO MEDIO

BRILLA 10,89

SMART 8,40

LUX 7,49 La consigliera fa notare che riportando in ordine crescente i prezzi dei 9 tipi di lavaggio si ha

3 4,5 6 7,5 9 10,5 12 13,5 15 Per cui 9 è la mediana, cioè ci si aspetta che il 50% dei lavaggi abbia dato un ricavo unitario inferiore a 9 euro. Ora delle tre stazioni ha indubbiamente fornito la migliore prestazione quella per cui il ricavo medio è superiore alla mediana. Il vincitore è BRILLA. INDICI DI POSIZIONE esaminati nello svolgere il problema: MEDIA e MEDIANA. Definizione di MEDIA di n numeri

ix (i = 1,….,n)

∑∑∑∑====

====n

k

kx

nx

1

1

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Definizione di MEDIANA di m numeri i

x (i = 1,….,m)

Disposti i dati in ordine crescente Se m è dispari ( m = 2n + 1) la mediana è il valore centrale

nx

Se m è pari ( m = 2n) la mediana è la media dei due valori centrali (((( ))))1

2

1++++

++++nn

xx

PROBLEMA 2 : una questione di moda Alberto, un amico della consigliera Tullia, ama frequentare locali di tendenza e ha sentito dire che i bar della città della consigliera sono molto alla moda. Potendo muoversi solo in tarda serata Alberto chiede all’amica quando chiudono i locali della sua città. Cosa deve rispondere la consigliera? Tullia, che al contrario conduce vita ritirata, trova su un quotidiano locale un’inchiesta che riporta la tabella degli orari di chiusura dei locali di tendenza del centro. Bar Sport 23,00 Il Salotto 22,00

BonBon 23,00 la Mosca 18,00

Centrale 22,00 Latte e panna 23,00

Cocco bello 23,00 L'ombra 2,00

Coffea and Tea 23,00 Luna verde 23,00

Comunale 19,00 Notte e dì 23,00

da Mario 19,00 Panino mio 19,00

Dolce dolce 23,00 Pirandello 22,00

Festival 18,00 Sorbetto 23,00

Franco e Luigi 18,00 Tutti Frutti 23,00

il 18 19,00 Tullia ne deduce che l’orario di chiusura medio è 20,38. Ma è utile ad Alberto questa informazione? In realtà ci sono solo 6 orari di chiusura diversi: 18 – 19 – 22 – 23 – 2 . Si costruisce l’istogramma delle frequenze assolute e si ottiene

L’informazione utile è segnalare l’orario avente la maggior frequenza, in questo modo Alberto troverà più facilmente arrivando un locale ancora aperto. INDICI DI POSIZIONE esaminati nello svolgere il problema: MEDIA e MODA. Definizione di MODA di n numeri

ix (i = 1,….,n)

La moda è il valore più frequente

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RIFLESSIONE SUGLI INDICI DI POSIZIONE Esistono anche altri indici di posizione come la media geometrica e la media armonica. I tre indici presentati sono privilegiati dalla proprietà di conservare le trasformazioni di scala operate sui dati, cioè sono traslativi ed omogenei.

PROBLEMA 3 : le smanie della villeggiatura Un gruppo di anziani chiede ad un’agenzia di viaggio di organizzare alla comitiva la villeggiatura in montagna nel mese di luglio. L’agenzia propone due località: Montenero e Montallegro per cui ha spuntato il medesimo trattamento alberghiero. Per aiutare il gruppo a prendere una decisione, l’agente sottopone ai clienti la tabella delle temperature massime giornaliere registrate nel mese di luglio dell’anno precedente nelle due località. Sulla base di questa informazione gli anziani potranno scegliere la località che ritengono più confortevole.

33 28 27 29 25 32 35

36 30 34 35 33 30 24

24 28 26 26 27 29 29

30 35 36 36 33 30 28

27 28 27

Montenero

29 30 29 29 30 30 30

28 29 28 29 30 32 28

29 29 30 29 30 34 28

29 31 32 33 33 28 32

29 29 34

Montallegro

Alessandro, nipote di uno degli anziani, si accorge che in entrambe le località si registra la stessa media delle temperature massime giornaliere: 30 gradi. Costruisce allora un grafico che riporti contemporaneamente i dati delle due località e la media. Alessandro si accorge che a Montenero la temperatura subisce variazioni più consistenti. Prepara per il nonno e i suoi amici un grafico che mostri gli scostamenti assoluti dalla media.

Temperature

0

5

10

15

20

25

30

35

40

1 2 3 4 5 6 7 8 910111213141516171819202122232425262728293031

giorni

gra

di Montenero

Montallegro

Media

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Un indice da prendere in considerazione per sintetizzare l’informazione visibile nel grafico è allora lo scostamento semplice medio che misura la dispersione dei valori delle temperature rispetto alla media. Per Montenero si ottiene circa 3,10 gradi, per Montallegro circa 1,35 gradi. Un’altra possibilità consiste nel misurare la dispersione dei valori delle temperature rispetto alla media utilizzando lo scarto quadratico medio.

Per Montenero si ottiene circa 3,65 gradi, per Montallegro circa 1,74 gradi. In base a questa informazione il gruppo di anziani può scegliere il soggiorno a Montallegro sulla base della considerazione che la temperatura massima giornaliera varia meno rispetto alla media. Angela, la sorella di Alessandro, non è convinta degli indici scelti da Alessandro. Pensa infatti che al nonno possa interessare non tanto la media delle temperature massime giornaliere ma la mediana, cioè la temperatura massima al di sopra della quale è registrato il 50% dei giorni. La mediana è 29 gradi in entrambe le località. Allora Angela calcola come indice di variabilità lo scostamento assoluto medio rispetto alla mediana. Per Montenero si ottiene circa 3,06 gradi, per Montallegro circa 1,32 gradi. Ancora una volta Montallegro risulta preferibile. INDICI DI DISPERSIONE esaminati nello svolgere il problema: Definizione di SCARTO SEMPLICE MEDIO di n numeri

ix (i = 1,….,n)

(1) dalla media

(2) dalla mediana Definizione di SCARTO QUADRATICO MEDIO di n numeri

ix (i = 1,….,n)

(((( ))))∑∑∑∑====

−−−−====n

k

kmediax

n 1

21σσσσ

RIFLESSIONE SUGLI INDICI DI DISPERSIONE Tutti gli indici di posizione definiti sono traslativi e omogenei. Per quanto riguarda la mediana si privilegia lo scarto semplice medio, mentre per quanto riguarda la media si privilegia lo scarto quadratico medio. Il motivo risiede in una proprietà di minimo:

• la mediana è il valore m della variabile x in corrispondenza del quale la funzione

∑∑∑∑====

−−−−====n

k

kxxxf

1

)( assume il minimo;

• la media è il valore m della variabile x in corrispondenza del quale la funzione

Scarti assoluti dalla media

0

1

2

3

4

5

6

7

1 2 3 4 5 6 7 8 910

11

12

13

14

15

16

17

18

19

20

21

22

23

24

25

26

27

28

29

30

31

giorni

gra

di Montenero

Montallegro

∑∑∑∑====

−−−−n

k

kmediax

n 1

1

∑∑∑∑====

−−−−n

k

kmedianax

n 1

1

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(((( ))))∑∑∑∑====

−−−−====n

k

kxxxV

1

2)( assume il minimo.

Prendiamo ad esempio i dati delle temperature di Montallegro e calcoliamo le funzioni in oggetto, dopo aver organizzato i dati in modo intelligente. Osserviamo innanzitutto che a Montallegro le temperature massime giornaliere sono in realtà 7. Per ognuna di esse calcoliamo la frequenza assoluta:

Temperature Frequenze fk

28 5

29 11

30 7 media

31 1 30

32 3 mediana

33 2 29

34 2

Ricordando che media e scarto quadratico medio sono traslativi, passo alla tabella

Temperature Frequenze fk

1 5

2 11

3 7 media

4 1 3

5 3 mediana

6 2 2

7 2

Allora (((( ))))∑∑∑∑====

−−−−====7

1

2)(k

kxxV , mentre ∑∑∑∑====

−−−−====7

1

)(k

kxxf . I grafici delle due funzioni mostrano

chiaramente gli estremanti di minimo.

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UN ESEMPIO STORICO – Esperimento di Darwin 1878 “Molte specie delle Galapagos si presentano con piccole differenze caratteristiche…. Fatti come questi si possono spiegare supponendo che le specie si modifichino gradualmente” “I have called this principle, by which each slight variation, if useful, is preserved, by the term

Natural Selection.” Darwin ha ipotizzato che l’impollinazione eterologa favorisse la crescita delle piante in maniera superiore all’autoimpollinazione. Per testare l’ipotesi raccolse accuratamente i dati su un campione di piante. Ottenne la tabella delle altezze riportata di seguito (X sono le piante frutto di impollinazione eterologa, Y le piante frutto di autoimpollinazione)

Codice X Y

1 23,5 17,375

1 12 20,375

1 21 20

2 22 20

2 19,125 18,375

2 21,5 18,625

3 22,125 18,625

3 20,375 15,25

3 18,25 16,5

3 21,625 18

3 23,25 16,25

4 21 18

4 22,125 12,75

4 23 15,5

4 12 18 Organizzando la colonna dei dati X, si ha la possibilità di fare tre importanti osservazioni:

� ci sono ben 3 mode � la media vale circa 20,192 e non compare tra i dati

Altezza delle piante

0

5

10

15

20

25

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

codice

po

llic

i

X

Y

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X dati ordinati

23,5 12 moda

12 12

21 18,25

22 19,125

19,125 20,375

21,5 21 moda

22,125 21

20,375 21,5 mediana

18,25 21,625

21,625 22

23,25 22,125 moda

21 22,125

22,125 23

23 23,25

12 23,5 Queste due situazioni ovviamente possono accadere, infatti la moda non è detto che debba essere unica e la media deve appartenere all’intervallo cui appartengono i dati, ma non è necessariamente coincidente con uno dei dati.

� La media si può visualizzare sfruttando un’analogia meccanica. Interpreto i dati xk come

ascisse sull’asse x di punti materiali ciascuno di massa data dalla corrispondente frequenza fk. Allora la media è il baricentro della distribuzione di massa.

Si può pensare di normalizzare la massa totale del sistema, cioè di considerarla unitaria; in questo caso la massa di ogni punto pesante è data dalla frequenza relativa. La media si può allora interpretare come il punto in cui si può pensare sia concentrata la massa unitaria. Si può vedere nel grafico ottenuto con i dati della colonna X.

Sinora nei problemi trattati si è usata come rappresentazione visiva di una o più tabelle di dati l’istogramma o il grafico a linee. Ci sono altre tipologie grafiche efficaci tra cui le più note sono l’istogramma in pile e la torta. Vediamo su un esempio UN ESEMPIO STORICO – Il naufragio del Titanic 1912 I dati dei sopravvissuti al naufragio ripartiti secondo la classe di trattamento durante il viaggio sono

I Classe II Classe III Classe Somma

SI 203 118 178 499

NO 122 167 528 817

Somma 325 285 706 1316 Costruendo la tabella delle frequenze relative, si ottiene

0,000

0,200

0,400

0,600

0,800

1,000

1,200

frequenze

relative

12,018,319,120,220,421,021,521,622,022,123,023,323,5

punti materiali

centro di massa

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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 35

I Cl. II Cl. III Cl.

SI 0,625 0,414 0,252

NO 0,375 0,586 0,748 Disegno il grafico a pile o a torta

Dal grafico risulta evidente la correlazione tra la sopravvivenza al naufragio e la classe di appartenenza. In sala professori In sala professori il professore di matematica mostra le verifiche di Andrea, Bruno, Claudio e Dario alla professoressa di lettere. “Questi sono i compiti migliori e il preside vuole premiarli. Mi ha chiesto di disporli in ordine crescente di merito, ma per me i compiti sono tutti sostanzialmente di ugual merito. Secondo te quante sono le classifiche che potrei fare, volendo affidare la scelta al caso? In quante di queste classifiche Andrea è primo? Qual è la probabilità di Andrea di avere il primo premio, lasciando la scelta al caso?” Come aiutare la prof di lettere ad evitare una figuraccia? PROBLEMA 4 : le permutazioni Per rispondere alla domanda del prof di matematica si può ragionare in questo modo: si devono riempire 4 caselle ordinate con 4 nomi A,B,C,D

Quanti sono i modi possibili? La prima casella si può riempire in 4 modi, per ciascuno di essi la seconda casella si può riempire in 3 modi, ……Evidentemente il numero dei modi (casi) possibili è

24!41234 ========×××××××××××× . Andrea è primo in 6!3123 ========×××××××× classifiche (casi favorevoli). La probabilità di Andrea di ricevere il primo premio è il rapporto tra il numero dei casi

favorevoli e il numero dei casi possibili cioè il 25%. Del resto a questo risultato la prof di lettere può arrivare senza dover fare conti: i 4 ragazzi hanno la stessa probabilità di essere primi e perciò ciascuno di loro ha il 25% di probabilità. Ma la prof di lettere ha un asso nella manica!

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Laboratorio FDS – Dipartimento di Matematica “F. Brioschi” – Politecnico di Milano 36

“Anche a me il preside ha detto la stessa cosa. Avendo parlato con te in precedenza, ha aggiunto che premierà solo 4 allievi. Ma per me i meritevoli sono 10! Secondo te quante sono le classifiche che potrei fare, se poi volessi affidare la scelta al caso?” PROBLEMA 5 : le disposizioni semplici Per rispondere alla domanda della prof di lettere devo calcolare tutti i modi possibili con cui posso riempire 4 caselle usando 10 nomi. Evidentemente, replicando il ragionamento del problema 4, 10 sono i modi di riempire la prima casella, per ciascuno di essi la seconda casella si può riempire in 9 modi, ……Si trova che il numero di tutte le possibili classifiche è 504078910 ====×××××××××××× . La prof di lettere, con espressione ispirata, afferma “Se scrivessi tutte le mie 10! permutazioni e poi prendessi in ciascuna i primi 4 nomi, potrei evitare i conti!” Il prof di matematica, scuote la testa. “Cara collega, visto che per scrivere un nome ci metti 3 secondi, quanto pensi di metterci per scrivere 10! allineamenti ciascuno di 10 nomi? Tranquilla, te lo dico io: scrivendo giorno e notte, 24 ore al giorno, senza distrarti mai ci metteresti 1260 giorni. Sono circa 3 anni e mezzo!”

Il fattoriale cresce molto rapidamente, infatti 25! è già dell’ordine di 102 5

. La prof di lettere infuria “Davanti alle mie rimostranze, il preside, pur ribadendo che non premierà più di 4 allievi, ha accettato di dare lo stesso premio ex aequo a quattro dei miei 10 meritevoli. Se il fattoriale cresce così rapidamente come farò a calcolare quante sono le possibili combinazioni di 4 nomi scelti tra 10! “ Il prof di matematica, comprensivo “Cara collega, non è difficile abbiamo già fatto il calcolo per metà.” PROBLEMA 6 : le combinazioni semplici Basta identificare le 4! disposizioni semplici che contengono gli stessi nomi; per ottenere il numero delle combinazioni semplici bisogna allora dividere il numero di disposizioni semplici, calcolato nel problema 4, per 4!. Si ottiene

Qual è la probabilità che Andrea, Bruno, Claudio e Bruno siano la quaterna prescelta anche dalla prof di lettere? La probabilità è di 1 su 210, cioè circa 48%. Arriva il Preside in sala professori ed estrae di tasca un sacchetto, poi chiede a tre professori di estrarre ciascuno una pallina dal sacchetto. Tre palline nere vengono deposte sul tavolo. Il preside dice:”Cari colleghi il sacchetto contiene palline bianche e palline nere. La probabilità che fossero estratte tre palline nere era del 50%. Il primo di voi che mi dirà qual è il numero minimo di palline contenute nel sacchetto e il loro colore potrà accompagnare a mie spese la classe V A in gita a Parigi.” PROBLEMA 7 : la gita a Parigi

Impostiamo la soluzione del problema: nel sacchetto ci sono n palline nere (n ≥ 3) e b palline bianche. In tutto n+b=N palline. Per prima cosa calcolo la probabilità che l’estrazione a caso di tre palline dal sacchetto dia come esito 3 palline nere. Dato il tipo di domanda non interessa l’ordine con cui le palline sono estratte per cui il numero dei possibili esiti dell’estrazione è dato dal numero

delle combinazioni semplici di N palline prese a 3 a 3. Il numero dei casi possibili è dunque

3

N.

Il numero dei casi favorevoli all’esito che si è verificato è dato dal numero delle combinazioni di n

210!4

78910====

××××××××××××

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palline nere prese a 3 a 3. Il numero dei casi favorevoli è dunque

3

n. La probabilità che siano

estratte 3 palline nere è il rapporto R tra i casi favorevoli e i casi possibili. Vediamo allora di calcolare il valore di R al variare di n e di b.

Allora il numero minimo di palline contenute nel sacchetto è 6, di cui 5 palline sono nere e 1 pallina è bianca.

Schema fondamentale di calcolo combinatorio Il quesito principale del calcolo combinatorio si può parafrasare nel seguente modo: “ calcolare quante sono le possibili parole di n caratteri che si possono formare con un alfabeto di N simboli distinti”. La risposta dipende dalle regole di formazione delle parole. Le regole

parola con ordinamento senza ordinamento

con ripetizioni Disposizioni con ripetizioni

Combinazioni con ripetizioni

senza ripetizioni Disposizioni semplici

Combinazioni semplici

Il numero delle parole

numero

con ordinamento

senza ordinamento

con ripetizioni nN

−−−−++++

n

nN 1

senza ripetizioni (((( ))))!

!

nN

N

−−−−

n

N

n b n+b

3

n

++++

3

bn R

3 1 4 1 4 0,25 4 1 5 4 10 0,40 5 1 6 10 20 0,50

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COGITO (Benoît Rittaud, L’assassino degli scacchi, BarberaEditore 2004)

Alcuni scienziati hanno insegnato alla scimmia Miki a scrivere al computer. La scimmia batte i 26 caratteri della tastiera senza interruzione. Un giorno gli scienziati si accorgono che la scimmia all’interno del testo battuto il giorno prima ha scritto la sequenza COGITO. Qual è la probabilità che sia successo per caso, cioè che non sia successo perché la scimmia è diventata filosofa e ha imparato il latino?

L’alfabeto è composto da 26 lettere quindi per un messaggio di n lettere le possibilità sono n26 . Calcoliamo ora quanti sono i modi di scrivere un testo di n lettere che contenga la lettera C almeno una volta. È più facile calcolare quanti sono i possibili testi di n lettere che non contengono la C e

ottenere il risultato per differenza : nn 2526 −−−− . Allora la probabilità di scrivere un testo di n lettere che non contenga la C è

n

n

nn

−−−−====

−−−−

26

251

26

2526. Passiamo ora a considerare la sequenza COGITO: dividiamo il testo in

blocchi di 6 lettere consecutive (le prime 6 formano il primo blocco, ecc.). Se n non è multiplo di 6

non consideriamo le lettere residue. Abbiamo 6

n blocchi . Il numero dei modi possibili in cui si può

ottenere un blocco di 6 lettere scelte tra le 26 lettere dell’alfabeto è 626 . Il numero dei casi in cui

COGITO non compare in un blocco è 1266 −−−− , per cui il numero dei casi in cui COGITO non

compare in nessuno dei 6

n blocchi è (((( )))) 6/6 126

n

−−−− .

La probabilità che COGITO non appaia in nessun blocco è (((( )))) 6/

6

6/6

26

11

26

126n

n

n

−−−−====

−−−−

e quindi la probabilità che COGITO appaia in almeno un blocco è

6/

626

111

n

−−−−−−−− .

Ma non abbiamo ancora terminato, infatti COGITO potrebbe apparire nel testo senza essere inclusa in uno dei blocchi. Si può pensare allora di scalare i bordi dei blocchi, ritornando alla configurazione iniziale (con lo spostamento di un blocco) dopo 6 spostamenti. Dunque i casi in cui

COGITO non appare mai nel testo diventano (((( )))) 6/6 1266n

−−−−×××× e la probabilità cercata è dell’ordine

di

−−−−−−−−××××

6/

626

1116

n

. Per valutare l’ordine di grandezza del risultato basti pensare che per

n=40000, corrispondente a circa una ventina di pagine, la probabilità trovata è circa 0,0001, praticamente nulla.

STATISTICA INFERENZIALE ovvero la statistica come strumento di previsione

CARPE CARPAS Un allevatore di carpe vuole stimare il numero N di carpe presenti nel suo laghetto. Come si pensa di risolvere il problema? L’allevatore preleva n carpe dal laghetto, le marca e poi le reintroduce in acqua. Quindi attende …. Ma non troppo, altrimenti chissà cosa combinano nel frattempo!

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Preleva ancora n carpe dal suo laghetto e trova k carpe marcate. Naturalmente k può assumere solo i valori 0,1,2, … , n . Supponiamo che k non sia nullo. L’allevatore come può stimare N in base ai dati osservati? Ragionevolmente o meglio, nel nostro caso, pescando dal buon senso l’allevatore può fare una

proporzione: n

k

N

n==== da cui ricava

k

nN

2

==== . Ma come essere certi che il valore trovato sia una

buona stima di N ? Proviamo a fare i conti. In quanti modi possibili è possibile estrarre n carpe da una popolazione di

N carpe? Ovviamente

n

N.

Su un campione di n carpe in quanti modi possibili si possono trovare k carpe marcate e n-k non

marcate? Anche qui non è difficile

−−−−

−−−−

kn

nN

k

n.

Allora la probabilità dell’evento osservato è

−−−−

−−−−

n

N

kn

nN

k

n

.

Il valore giusto dovrebbe essere il valore di N in corrispondenza del quale è massima la probabilità di osservare il campione che si è osservato. In statistica si dice di avere uno

stimatore di massima verosimiglianza

L’allevatore, visto che la pesca è il suo mestiere non ha ragionato male; assumendo ad esempio 50====n e 3====k , facendo una simulazione con il foglio elettronico, si vede come la stima

dell’allevatore ...333,8332

====k

n sia una buona approssimazione del valore 833====N in

corrispondenza del quale è massima la probabilità dell’evento osservato

833

0

0,05

0,1

0,15

0,2

0,25

0,3

0 500 1000 1500 2000

massimo

probabilità

IL BALLOTTAGGIO Nella cittadina di Belcolle si deve tenere il ballottaggio tra Anna e Bruno, entrambi candidati alla carica di sindaco. Il corpo elettorale è costituito da 10000 abitanti. Anna commissiona un’indagine statistica per valutare la propria probabilità di vittoria. Si tratta, per essere più precisi, di determinare in anticipo quale proporzione di elettori intende votare per lei. Come fare? Si deve organizzare un sondaggio su un campione rappresentativo degli elettori.

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Si procede nel seguente modo: si associa ad ogni nome che compare sulla lista elettorale un numero da 1 a 10000. Per estrarre un campione rappresentativo si può procedere secondo diversi schemi. Il più semplice consiste nell’estrazione con ripetizione di n numeri, in seguito alla quale si inseriscono nel campione i corrispondenti elettori. La scelta di n è a discrezione dello sperimentatore anche se è ovvio che n<10000. Del resto n non può essere troppo piccolo, altrimenti i risultati ottenuti sono inattendibili. Si eseguono quindi le interviste agli elettori del campione e si contano gli elettori favorevoli alla elezione di Anna. Siano k (0≤k≤n) gli elettori del campione favorevoli ad Anna e quindi n- k contrari ad Anna (favorevoli a Bruno). Dunque la percentuale di elettori favorevoli ad

Anna nel campione è n

k, che rappresenta una stima p della percentuale

0p nell’intero corpo

elettorale. Eseguita una prova dell’esperimento, siamo certi di aver determinato il valore della proporzione incognita

0p con sufficiente esattezza per rassicurare Anna circa la propria vittoria o, al contrario

spronarla a incrementare la sua visibilità e incisività per persuadere gli elettori che attualmente preferiscono Bruno? Naturalmente no, in quanto un campione diverso potrebbe dare risultati significativamente diversi. Dobbiamo procedere ad eseguire un test d’ipotesi. Sulla base del dato osservato p, sottoponiamo ad un esame statistico l’ipotesi che la percentuale di favorevoli ad Anna nel corpo elettorale sia %51

0====p contro l’ipotesi alternativa che sia %51

0<<<<p .

Con l’aiuto del foglio elettronico è possibile vedere ad esempio come se n=1500 si possa accettare l’ipotesi che la percentuale di favorevoli ad Anna nel corpo elettorale sia %51

0====p , con una

probabilità del 90% , se gli elettori favorevoli ad Anna nel campione sono almeno 760.

DAI UNA MANO …. AL METANO La società che distribuisce il metano per riscaldamento a Belcolle, vuole costruire un modello per prevedere l’importo della spesa totale per il riscaldamento sulla base dell’area da riscaldare. Avvia una rilevazione nella popolazione di n = 15 abitazioni monofamiliari di Belcolle. Come si pensa di utilizzare il campione di dati osservato? Nel caso si costruiscano in seguito tre abitazioni: la Residenza Relax di 2,1 centinaia di metri quadri, Villa Arzilla e Villa Magnolia rispettivamente di 1,40 e 1,67 centinaia di metri quadri, quale si prevede sia la spesa di riscaldamento per ciascuna di esse? L’indagine ha prodotto una tabella a doppia entrata : x è la variabile che rappresenta l’area da riscaldare ( in centinaia di metri quadri), mentre y è la variabile che rappresenta la spesa per il riscaldamento (in migliaia di euro). Naturalmente ci si aspetta che ci sia una correlazione tra le due variabili: y dipende da x. Tabella dei dati osservati

area da riscaldare spesa per riscaldamento

(in centinaia di metri quadri) ( in migliaia di euro) xi

yi

1,858 34,4

1,589 27,4

1,347 25,7

1,635 35,9

1,793 29,1

1,115 20,4

1,440 25,8

1,793 35,9

1,477 28,5

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1,394 29,2

1,765 36,7

1,291 29,3

1,431 24,5

1,756 33,8

1,477 26,8

Si rappresenta la tabella mediante un diagramma a dispersione

Diagramma a dispersione

15

25

35

45

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0

centinaia di metri quadri

mig

liaia

di

eu

ro

Una retta fatta passare attraverso la nuvola dei dati può descrivere bene i dati stessi. Si tratta allora di scrivere l’equazione di una retta del tipo bxay ++++==== , dopo aver stabilito il

criterio in base al quale si calcolano i parametri a e b . Ripensando all’analogia meccanica già utilizzata per la media, sembra naturale pensare ai punti del grafico come a un sistema di punti pesanti nel piano, per cui la disposizione migliore rispetto a una retta è quella in cui la retta passa per il baricentro del sistema e la somma delle distanze di ciascun punto dalla retta sia minima. Il baricentro B del sistema è il punto di coordinate (((( ))))

yxmm , , dove

xm è la media delle xi e

ym

la media delle yi .

La somma S delle distanze è espressa dalla formula: (((( ))))∑∑∑∑====

−−−−−−−−====n

i

iibxayS

1

22 .

Si pensa ora di fissare in modo arbitrario una delle due variabili e trovare il valore dell’altra che rende minima la distanza. Fissato b la distanza è una funzione della sola variabile a e precisamente:

]2[)(2)(11 1

2222 ∑∑∑∑∑∑∑∑ ∑∑∑∑======== ====

−−−−++++++++−−−−++++====n

i

ii

n

i

n

i

iiyxyxbxbymbmnanaaz

Sul piano delle variabili a,z questa è l’equazione di una parabola con coefficiente di 2a positivo per cui il minimo si ha in corrispondenza della ascissa del vertice cioè

xybmma −−−−====

Fissato a la distanza è una funzione della sola variabile b e precisamente:

]2[2)( 2

1

2

11

22 nanamyyxnambxbbzn

i

yi

n

i

iix

n

i

i++++−−−−++++

−−−−++++==== ∑∑∑∑∑∑∑∑∑∑∑∑

============

Sul piano delle variabili b,z questa è l’equazione di una parabola con coefficiente di 2b positivo per cui il minimo si ha in corrispondenza della ascissa del vertice cioè

∑∑∑∑

∑∑∑∑

====

====

−−−−

====n

i

i

x

n

i

ii

x

anmyx

b

1

2

1

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Mettendo a sistema le due equazioni otteniamo i seguenti valori

−−−−====

−−−−==== ∑∑∑∑====

xy

n

i

yxii

ba

yxn

b

µµµµµµµµ

µµµµµµµµ1

1

.

La retta ottenuta con il criterio descritto si chiama retta di regressione e il modello di previsione si dice modello di regressione lineare.

RETTA DI REGRESSIONE Quando il diagramma a dispersione mostra la presenza di una relazione lineare tra le due variabili x e y la retta che fornisce un modello di tale relazione ha equazione bxay ++++====

L’intercetta a e il coefficiente angolare b della retta si determinano in base ai dati osservati mediante le formule

−−−−====

−−−−==== ∑∑∑∑====

xy

n

i

yxii

ba

yxn

b

µµµµµµµµ

µµµµµµµµ1

1

Sulla base dei dati dell’esempio, si scrive l’equazione della retta e si disegna sul diagramma a dispersione.

15

25

35

45

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0

centinaia metri quadri

mig

liaia

eu

ro

dati osservati

retta

baricentro

Per valutare l’adeguatezza del modello si possono calcolare i residui

iiibxaye −−−−−−−−==== e disegnare

il grafico a dispersione dei punti (((( ))))ii

ex , . Se il modello di regressione lineare è adeguato per

rappresentare i dati, il grafico non mostrerà un andamento particolare dei residui i

e rispetto ai valori

di i

x , come avviene per il nostro grafico.

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residui

-6,0

-4,0

-2,0

0,0

2,0

4,0

6,0

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0

centinaia di metri quadri

mig

liaia

di

eu

ro

Vediamo ora cosa prevede il modello per le tre nuove abitazioni

previsione

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5

centinaia di metri quadri

mig

liaia

di

eu

ro

dati

retta di regressione

previsione

La spesa prevista, in migliaia di euro, è la seguente: Villa Magnolia 31,8; Villa Arzilla 27,0; Residenza Relax 39,5. Ma la valutazione per la Residenza Relax è corretta? Conclusioni in questi tre esempi si è solo accennato a come la statistica inferenziale possa contribuire alla validazione di ipotesi, senza mostrarne gli strumenti con la profondità dovuta. Dal punto di vista matematico infatti si impegnerebbe lo studente oltre i limiti che questa dispensa si propone. Tuttavia si è voluto almeno aprire uno squarcio nel sipario che copre gli occhi dello studente di scuola superiore di fronte alla conoscenza dei metodi probabilistici e statistici e alla loro valenza per l’interpretazione scientifica della realtà.

Per approfondire

1. E. Battistini Probabilità e Statistica un approccio interattivo con Excel McGraw-Hill, Milano, 2004 2. B. Rittaud L’assassino degli scacchi Barbera Editore 2004 http://www.istat.it/servizi/studenti/binariodie/CorsoExcel/main.htm (corso di Excel per la statistica) http://www.ds.unifi.it/VL/VL_IT/index.html (laboratorio virtuale di probabilità e statistica) http://cirdis.stat.unipg.it/files/macchina_galton/index.html (macchina di Galton virtuale)

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Le idee della geometria Renato Betti

Che cos’è la Geometria? In senso etimologico, com’è noto, “geometria” significa: “misura della terra”, e questo è stato senz’altro – dicono gli esperti (storici, archeologi, antropologi...) – il suo statuto per molti secoli: misura dell’area degli appezzamenti per questioni ereditarie, ricalcolo dei confini dopo le alluvioni, valutazioni in caso di acquisto o vendita, misura della distanza fra località etc. ma anche, forse, calcolo del volume di qualche oggetto solido, del peso, dell’altezza di monumenti e così via. La nascita della geometria come scienza razionale viene fatta risalire al VII-VI secolo a.C. quando nella Grecia antica si capisce che una idealizzazione delle forme concrete in termini di figure immateriali consente di studiare alcune loro proprietà di tipo generale, e questo significa essere in grado di ricercare le “cause prime” dei fenomeni e di applicare i metodi in modo sistematico ed uniforme. Non si considera più un oggetto particolare, ma la classe di cui fa parte, astraendo dalle sue proprietà concrete per consentirne una più efficace indagine razionale. Il pensiero “operativo” viene affiancato ad un pensiero “ideale”. In questo periodo si afferma così, in maniera naturale, un nuovo punto di vista, più incorporeo ma non meno preciso del precedente, che resterà in auge per molto tempo e che per molti costituisce tuttora il paradigma di ciò che si intende con “geometria”, o almeno una maniera importante per capirne il senso: “è lo studio delle proprietà che hanno le forme dello spazio” o, nel caso più elementare: “che hanno le figure del piano”, senza riguardo per il loro immediato utilizzo. I teoremi di Talete. È noto che si attribuisce a Talete di Mileto (VI secolo a.C.) la capacità di misurare la distanza degli oggetti in mare per mezzo di vere e proprie triangolazioni (come diciamo oggi) oppure di calcolare l’altezza di monumenti utilizzando semplici triangoli simili. Ma allo stesso tempo, proprio a Talete – forse il più famoso dei sette saggi dell’antichità – vengono fatti risalire i primi autentici teoremi della nostra cultura occidentale, i quali si riferiscono allo studio delle forme per se stesse, in maniera indipendente dalle applicazioni pratiche: 1. un diametro divide il cerchio in due parti di uguale area,

2. due rette che si incontrano dividono il piano in quattro angoli, a due a due uguali (“opposti al vertice”)

3. se un triangolo ha due lati uguali ha anche due angoli uguali

(questa proprietà si trasferirà nella cultura medioevale con il nome di “ pons asinorum”, sia per la forma della figura, sia perché si considerava “asino” chi non fosse in grado di dimostrarla), 4. ogni angolo inscritto in una semicirconferenza è retto.

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La “dimostrazione” di queste proprietà, se mai se ne avvertì la necessità, non avvenne certamente nel senso della deduzione formale. Probabilmente fu basata su considerazioni relative alla simmetria ed all'estetica delle figure e spesso riferita al desiderio di classificare le possibili forme prima di “metterle in azione”. I solidi platonici. Nel primo periodo classico, uno dei risultati più importanti è dovuto ad un allievo di Platone – Teeteto, del quale si ha notizia solo attraverso l’omonimo dialogo platonico. Secondo Platone, il suo allievo è il primo a dimostrare che “nello spazio non esistono altri solidi regolari convessi oltre i cinque già conosciuti”: tetraedro, cubo (o esaedro), ottaedro, icosaedro e dodecaedro. Un grande risultato classificatorio, tanto che a questi solidi verranno associati da parte di Platone gli elementi fondamentali dell’universo (che, per sfortuna, secondo la sua concezione, erano soltanto quattro – acqua, aria, terra e fuoco – ma il quinto solido regolare, il dodecaedro, passa a rappresentare l’universo stesso, “il tutto” o “l’etere” che permea tutte le cose.

Con il passaggio alle figure che idealizzano le situazioni concrete, non scompare tuttavia l’uso pratico della geometria, che anzi estende il proprio ruolo potendosi applicare a contesti più generali: la pratica rimane, in molti casi, come possibilità di impiegare semplici schemi visivi per risolvere problemi di tutti i giorni o addirittura per l’esigenza di studiare i fenomeni del mondo fisico. Lo studio dei corpi celesti, del loro moto e delle loro caratteristiche quantitative costituisce buona parte della geometria classica. Fra i risultati più noti del III secolo a.C. ci sono senz’altro la misura del raggio terrestre eseguita da Eratostene di Cirene e le conseguenti valutazioni della distanza della Terra dalla Luna e dal Sole (fatte da Aristarco da Samo). La misura del raggio terrestre: Eratostene di Cirene. Questa misurazione a noi appare come una semplice applicazione della trigonometria. È vero, e forse proprio nella semplicità risiede la sua importanza, insieme al fatto che richiede una profonda conoscenza dell’astronomia.

Il giorno del solstizio d’estate, a mezzogiorno, il sole è allo zenit delle località che si trovano sul tropico del Cancro: fra queste la città di Siène (situata nei pressi dell’attuale Assuan). Allo stesso tempo, nella città di Alessandria d’Egitto (situata sullo stesso meridiano di Siène) l’angolo formato dai raggi solari con la perpendicolare al suolo non è nullo e si vede facilmente che è uguale all’angolo formato dai raggi terrestri passanti rispettivamente a per Siène e per Alessandria: da qui, nota la distanza fra Alessandria e Siène, è facile risalire alla misura del meridiano terrestre e quindi al raggio della Terra (che di fatto fu ottenuta da Eratostene con buona approssimazione). La distanza della Terra dalla Luna: Aristarco da Samo. In questo caso viene sfruttata una eclissi di Luna. È noto che ciò avviene quando Sole, Terra e Luna sono allineati e la Luna entra nel cono d’ombra della Terra.

Alessandria

Siene

Sole allo zenit

di Siene

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L’orbita della Luna viene assimilata ad una circonferenza di raggio R (che si pensa percorsa con moto uniforme) ed è noto il tempo T impiegato (circa 29 giorni). Il cono d’ombra della Terra, che la Luna percorre durante l’eclissi nel tempo t (misurato) vale 2r se r è il raggio terrestre. Dunque:

da cui si ricava:

Il risultato di questo calcolo fu molto accurato, risultando che la distanza fra Terra e Luna è circa 60 volte il raggio terrestre. La distanza della Terra dal Sole. In questo caso le misurazioni venivano fatte quando dalla Terra si vede esattamente una mezza Luna. Allora il triangolo Sole - Luna - Terra è rettangolo (e l’angolo retto è quello della Luna). Potendo ancora calcolare l’angolo del triangolo che ha il vertice sulla Terra (in condizioni di non oscurità) e nota la distanza dalla Luna, si calcola anche la distanza dal Sole. Il risultato di questo calcolo, in realtà, non fu per niente preciso. Ma il valore dello studio rimane. Fra aritmetica e geometria. Ancora nel corso del III secolo a.C., Euclide di Alessandria, nella sua grande opera “Gli elementi”, formalizza tutto il sapere matematico dell’epoca e, com’è noto, la geometria piana diventa addirittura un canone di rigore scientifico per tutte altre scienze. Il primo libro degli “Elementi”, in particolare, si chiude con un grande risultato che lega una forma specifica (il triangolo rettangolo) ad una relazione fra quantità costruite a partire dai suoi lati: il “teorema di Pitagora”. Questo tipo di rapporto fra gli enti geometrici e quelli analitici preciserà e renderà più fine il livello di comprensione della geometria in quanto studio delle forme dello spazio. Infatti tende a separare gli aspetti qualitativi delle forme (propriamente geometrici) da quelli quantitativi (all’inizio essenzialmente aritmetico-numerici, poi algebrici) che in precedenza risultavano confusi fra di loro: in Pitagora ad esempio, certe nozioni come quella di “numero figurato”, contenevano in maniera congiunta ed indistinguibile entrambe le essenze. Gli storici ritengono che larghi settori della matematica si possano (in maniera sintetica e generale) ricondurre a questa distinzione, e vedere ancora oggi come lo studio delle relazioni che intercorrono fra le “forme” e le “quantità”:

“forme dello spazio” “rapporti quantitativi” La geometria distingue così i propri ruoli: è lo “studio delle forme dello spazio nei loro rapporti fra le qualità e le quantità”. Questi rapporti sono ad esempio quelli che permettono di associare un numero (come il volume) ad un solido, o viceversa di interpretare geometricamente e magari realizzare fisicamente qualche figura che soddisfa una data proprietà di tipo quantitativo: tipico della algebra classica (non a caso detta da noi “algebra geometrica”) era la risoluzione di equazioni attraverso le proprietà geometriche delle figure.

Terra

Cono d’ombra

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C D

Numerosi testi insistono ancora oggi sul fatto che alcuni problemi classici avevano una natura essenzialmente algebrica (ad esempio richiedevano di risolvere certe equazioni o certi sistemi di equazioni) e che una funzione della geometria fosse quella di rendere visibile il problema, incorporandolo in una figura. Nel ‘600, la nascita della geometria analitica si può considerare una vera e propria “glorificazione” del rapporto fra “forme” e “quantità”, in quanto consente di passare sistematicamente e regolarmente da una forma ad una quantità e viceversa: un dato analitico viene associato direttamente alle forme più elementari dello spazio (i punti con le loro coordinate). Per studiare le proprietà di una curva, ad esempio, è spesso utile trovare la sua “equazione” oppure, viceversa, è possibile visualizzare le soluzioni di un’equazione intersecando due curve, salvo poi tornare alle considerazioni di tipo analitico-quantitativo. Algebra geometrica. A titolo d'esempio, ecco la maniera con cui i classici risolvevano l’equazione di secondo grado x2+ax=b (qui i coefficienti a e b sono positivi, e si cerca la soluzione positiva dell'equazione).

Si costruisce il rettangolo ABCD avente lati a e (le costruzioni vanno fatte con riga e compasso, gli unici strumenti ammessi nel mondo classico), quindi dal punto medio M del lato superiore si traccia il segmento MC la cui misura, in virtù del teorema di Pitagora, vale

Con un arco di circonferenza di centro in M si riporta C sul proseguimento del lato AB, ottenendo il punto X. Si vede facilmente che la misura

del segmento BX è la soluzione (positiva) dell’equazione data.

Quali forme? La geometria è diventata lo studio delle proprietà delle forme dello spazio nei suoi vari aspetti. Di quali forme si occupa? Le forme studiate dalla geometria classica sono necessariamente semplici – poligoni, spezzate, archi di circonferenza – nel piano. Oppure poliedri, cioè solidi limitati da facce piane, o superfici di rotazione, nello spazio. In generale sono prodotte da qualche meccanismo, tipicamente riga e compasso o loro combinazioni, ottenendo comunque delle curve che tuttavia non sono affatto “elementari”: ad esempio, la spirale di Archimede, ottenuta combinando i due moti, ha un’equazione trascendente, oppure, nel tentativo di descrivere il moto apparente dei corpi celesti, le cicloidi, descritte dal movimento di un punto su una circonferenza la quale rotola, senza strisciare, su un’altra circonferenza o su un piano. Ecco la spirale di Archimede e la cicloide:

Nel tempo sono state ideate diverse curve o particolari superfici allo scopo di risolvere i problemi più diversi.

X M B A

bb

aax ++−=

42

2

a

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Ad esempio le “sezioni coniche, intersezione di un piano con un cono circolare retto, che sono studiate in dettaglio con le loro proprietà fin dal III secolo a.C. con Menecmo e poi nel II conApollonio da Perga.

Anche se le coniche non possono essere tracciate direttamente sul piano, perché non è ammesso alcun meccanismo diverso da quelli classici di riga e compasso, le loro proprietà vengono intensamente studiate. Dopo la nascita della geometria analitica, nel XVII secolo, il panorama delle curve piane (per fissarsi su questo caso più semplice) si arricchisce e si semplifica, grazie alla possibilità classificatoria che viene fornita dall’equazione associata alla curva: le rette si rappresentano con equazioni di primo grado, tutte e sole le coniche con equazioni di secondo grado... e Newton affronta la classificazione delle cubiche (rappresentate da equazioni di terzo grado in x e y) etc.

In figura: il “folium Cartesii”, una cubica piana introdotta da Cartesio allo scopo di studiare le tecniche di ricerca dei minimi proposte da Fermat. Cambia la nozione stessa di curva: non è più il risultato di un meccanismo per il quale si potranno in seguito dimostrare certe proprietà. Ora, la curva è direttamente legata, in particolare, con le coordinate dei suoi punti, ad un’opportuna equazione. E, nel caso che le loro equazioni siano “algebriche”, possono essere classificate in base al proprio “ordine” (cioè al grado dell’equazione che le rappresenta). Il panorama delle forme che si sono succedute nel corso del tempo come oggetto di studio della geometria è abbastanza definito. Più difficile da sistematizzare è il panorama delle proprietà che si studiano in relazione a queste forme. Quali proprietà? Ci sono essenzialmente due “metodi” per l’indagine geometrica e per essi il discorso è relativamente semplice: da un lato una trattazione geometrica può essere “analitica”, e quindi sfruttare i metodi del calcolo, ma non solo, impostare e risolvere, ad esempio, equazioni caratteristiche, che tengano conto dei rapporti fra i dati etc. Dall’altro, il ragionamento si può presentare in maniera “sintetica”, ed allora sulla figura e sui dati si conduce un ragionamento in primo luogo deduttivo, non necessariamente numerico. È chiaro che, più spesso, si ricorre a combinazioni variamente articolate di questi artifici e comunque, rispetto al metodo, in essenza la situazione è chiara. Le proprietà che si possono prendere in esame invece sono moltissime e difficili da distinguere e catalogare. Una maniera che, nel corso dell’800, si è rivelata efficace per classificare le proprietà e che costituisce tuttora un punto di vista di interesse anche per la ricerca è quella di legare le proprietà alle trasformazioni dello spazio. Precisamente, le proprietà delle forme si possono distinguere tenendo conto delle trasformazioni dello spazio rispetto alle quali non variano. Questo punto di vista introduce in geometria un “principio dinamico”. Ecco un terzo “livello” di comprensione secondo il quale è utile riguardare la geometria, dopo la “misura della terra” e lo “studio delle proprietà delle forme”: è “lo studio delle proprietà invarianti rispetto a certe trasformazioni”.

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Il programma di Erlangen. Il merito di avere espresso con chiarezza questo punto di vista, che è diventato un vero e proprio programma per la geometria, spetta al matematico tedesco Felix Klein (1849-1925) che, molto giovane, lo espose come “prolusione” in occasione della sua chiamata all’università di Erlangen nel 1872 (e che per questo è noto come “Programma di Erlangen). L’essenza è questa: è chiaro, prima di tutto, che le proprietà delle figure piane che si studiano nella geometria classica non dipendono dalla posizione che le figure stesse hanno nel piano.

Questo significa che si potranno “traslare” e “ruotare”, o anche “riflettere” rispetto ad una retta, senza che per questo le loro proprietà interessanti si perdano o comunque si alterino. Da un altro punto di vista questa invarianza delle proprietà corrisponde a dire che il piano è omogeneo – tutti i punti sono “uguali”, ed allora possiamo traslare la figura – e isotropo – tutte le direzioni sono “uguali”, ed allora possiamo ruotarlo e rifletterlo senza conseguenze sulle proprietà che studiamo. Oltre a ciò, sarà possibile cambiare l’unità di misura, giacché questa è a nostro arbitrio e viene assunta in modo convenzionale: questa operazione corrisponde a “dilatare” o “restringere” la figura senza tuttavia alterarne la forma. È noto che il termine “similitudine” si riferisce a una trasformazione generale di questo tipo e “simili” sono per l’appunto due figure diverse per dimensione ma che hanno la stessa forma, indipendentemente dalla loro posizione nel piano. La geometria classica è precisamente lo studio delle proprietà che sono invarianti rispetto alle similitudini. Ad esempio, quando Talete affermava che un diametro divide un cerchio in due parti uguali, si riferiva ad una circonferenza dovunque disposta, comunque ruotata e di raggio arbitrario. Ma, nel corso del tempo, lo studio della geometria ha portato ad isolare anche altre proprietà delle forme che non hanno una natura così evidente. E non si tratta solo di una classificazione fine a se stessa. A titolo d’esempio: a quali trasformazioni ci si riferisce enunciando la seguente proprietà:

La somma degli angoli interni di un poligono di n lati è uguale a (n-2)π ? E su quale figura va condotta la dimostrazione per garantire che sia del tutto generale? La dimostrazione si può fare prima di tutto su un triangolo: per n=3 il postulato delle parallele garantisce subito che la proprietà è vera:

Poi, per un poligono qualsiasi con n lati, si prenderà un punto interno in modo da spezzarlo in n triangoli e, sottraendo un angolo piatto (quello al centro) si calcola:

A voler guardare questa proprietà dal punto di vista dell’invarianza rispetto ad opportune trasformazioni del piano, si capisce che queste sono molto generali. Non è necessario ricorrere alle rototraslazioni, alle riflessioni e neppure alle similitudini. Basta che siano corrispondenze biunivoche del piano in se stesso tali che:

- portino rette in rette (in modo da trasformare poligoni in poligoni)

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- facciano corrispondere tre punti non allineati qualsiasi del piano ad altri tre punti non allineati qualsiasi (in modo da conservare il numero dei lati dei poligoni trasformati)

In sostanza, in queste trasformazioni: “tutti i triangoli del piano sono da considerarsi equivalenti”, e di fatto lo sono rispetto alla proprietà che si vuole dimostrare. Ciò corrisponde all’idea intuitiva per cui non esiste una classe di poligoni particolari rispetto al quale è necessario condurre la dimostrazione: non si altera la generalità della dimostrazione riferendosi ad un poligono qualsiasi. Le trasformazioni precedenti (che portano un triangolo in un triangolo qualsiasi) sono dette affinità e già ben prima che i matematici le formalizzassero in maniera precisa, in più problemi ci si era imbattuti in proprietà di “carattere affine”, vale a dire invarianti rispetto alle affinità. Ecco un altro esempio. Esempio. Si consideri un’iperbole qualsiasi. Allora vale la seguente proprietà:

L’area del triangolo formato dagli asintoti e dalla tangente in un punto qualsiasi è costante (indipendente dal punto che si è scelto).

La verifica della proprietà per una iperbole particolare si rivela di grande semplicità. Ad esempio, per l’iperbole equilatera di equazione xy=1, un semplice conto garantisce che la tangente nel punto di coordinate (x0,y0) ha equazione xx0+yy0=2. Quindi i punti di intersezione di questa tangente con gli assi delle x e delle y sono rispettivamente A(2/y0,0) e B(0,2/x0). Si vede ora subito che l’area del triangolo OAB formato dagli asintoti (che sono gli assi del sistema di riferimento) e dalla tangente è costante:

tenuto conto del fatto che il punto appartiene all’iperbole e quindi x0y0=1. Quanto è valido questo conto ai fini di una dimostrazione generale della proprietà? La sorpresa è che quella precedente “è una dimostrazione che vale per tutte le iperboli”, non solo per quella particolare iperbole equilatera sulla quale è stato condotto il calcolo. Per rendersene conto bisogna conoscere le proprietà delle trasformazioni affini. Ma anche senza di ciò si possono capire i passi elementari:

- tutte le iperboli sono equivalenti dal punto di vista affine. Quindi, con una affinità ogni iperbole può essere trasformata in un’iperbole equilatera,

- La proprietà richiesta (il fatto che l’area del dato triangolo sia costante) è una proprietà di tipo affine: operando una affinità cambia l’area del triangolo, ma non cambia la sua proprietà di essere indipendente dal punto scelto.

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Risultato: dal punto di vista della geometria affine (cioè dello studio delle proprietà che sono invarianti per affinità) l’iperbole equilatera è l’iperbole più generale e la dimostrazione di una proprietà affine che sia condotta sull’iperbole equilatera vale automaticamente per tutte le iperboli. La natura dei problemi: gli invarianti geometrici. Il problema si sposta: ora, allo scopo di dimostrare una proprietà, è necessario dapprima capirne la natura. È necessario riconoscere qual è l’ambiente generale nel quale ha senso considerarla, cioè rispetto a quali trasformazioni del piano (continuiamo a supporre di lavorare con la geometria piana) risulta invariante. Per questo si ricorre in generale agli “invarianti elementari” delle varie trasformazioni. Ad esempio, rispetto ad una “isometria”, vale a dire una trasformazione del piano in sé che conserva la distanza fra coppie di punti corrispondenti, l’invariante fondamentale è dato per l’appunto dalla misura dei segmenti, mentre rispetto ad una similitudine, quello che non cambia è il rapporto di segmenti, e quindi anche l’angolo fra direzioni. Si può vedere che l’invariante fondamentale di una affinità è il rapporto semplice di tre punti allineati:

In particolare è di tipo affine la proprietà di un punto M di essere il punto medio di un segmento AB. Infatti questa proprietà si esprime attraverso un rapporto semplice di punti:

Vediamo altri casi, a titolo d'esempio. Esempi 1. L'incentro e il circocentro di un triangolo sono nozioni di carattere “simile” (invarianti per similitudine). Infatti, l’incentro è l’intersezione delle bisettrici degli angoli interni del triangolo, e il circocentro è l’intersezione degli assi dei lati. In ogni caso si ha a che fare con la nozione di angolo, che viene conservata per similitudine. La dimostrazione di proprietà che riguardino questi enti avrà luogo in un “piano simile”.

2. Più in generale, il “baricentro” di un triangolo è una nozione affine. Infatti, com’è noto, il baricentro è l’intersezione delle mediane del triangolo ed i punti medi si conservano per affinità. In

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particolare, ad esempio per dimostrare che le tre mediane di ogni triangolo ABC si intersecano in un punto X che gode della seguente proprietà:

- Il baricentro X taglia ogni mediana in due segmenti, di cui quello che ha per estremo un vertice è doppio dell'altro:

è sufficiente verificare questa proprietà su un triangolo equilatero. Allora siamo sicuri che valga per ogni triangolo:

Il livello di generalità. Il metodo delle trasformazioni del piano può essere usato anche dal punto di vista metodologico per capire quanto è generale una proprietà e sfruttare eventualmente il risultato. A questo scopo, ecco un paio di esempi. Esempio (Il teorema di Pitagora). A partire da una proprietà generale delle similitudini si può ottenere una nuova (e più generale) dimostrazione del teorema. Ecco la proprietà:

se S e T sono due figure simili e k è il “rapporto di similitudine”, vale a dire il rapporto fra due grandezze lineari corrispondenti, allora il rapporto fra le aree di due parti di piano che si corrispondono nella similitudine è k2.

Dato ora un triangolo rettangolo T di cateti a e b ed ipotenusa c, si osservi che, tracciando l’altezza relativa all’ipotenusa il triangolo rettangolo si suddivide in altri due triangoli rettangoli U e V che sono simili fra di loro e simili a T.

Il rapporto di similitudine fra U e T è dato da a/c, mentre fra V e T è b/c, dunque fra le aree si ha:

Da qui si ricava subito:

e quindi: a2+b2=c2. Ma questa dimostrazione dice qualcosa di più rispetto al classico teorema di Pitagora. Dice che la proprietà non è vera solo quando si costruiscono i “quadrati” dei cateti ed il “quadrato”

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dell’ipotenusa. Rimane valida anche quando si prendono, sui cateti e sull’ipotenusa, figure simili qualsiasi, come ad esempio nelle figure seguenti:

Riassumendo:

In un triangolo rettangolo, la somma delle aree di due figure simili costruite sui cateti è uguale all’area della figura, simile alle precedenti, costruita sull’ipotenusa, purché il rapporto di similitudine sia dato, nei due casi, dal rapporto fra ciascuno dei cateti e la misura dell’ipotenusa.

Esempio (Area dell’ellisse). Si vuole calcolare l’area dell’ellisse di equazione (in forma canonica):

Una proprietà generale delle trasformazioni lineari (cioè di quelle trasformazioni che si esprimono mediante equazioni di primo grado nelle incognite) permette di calcolare l’area dell’ellisse come trasformata affine della circonferenza. La proprietà è la seguente. Sia :

una trasformazione lineare nella quale a11a22 - a12a21 sia diverso da zero (questa condizione è necessaria affinché la corrispondenza sia biunivoca). Allora il rapporto fra le aree di due figure corrispondenti è dato proprio dalla quantità a11a22 - a12a21. Ora è chiaro che la data ellisse si ottiene dalla circonferenza di raggio r e centro nell’origine (che ha equazione x2+y2=r2) mediante la trasformazione:

Il rapporto delle aree è pertanto ab/r2 e dall’area della circonferenza si ricava subito l’area dell’ellisse S'=πab.

Esempio (Il teorema dei triangoli omologici). Per concludere, una proprietà di geometria proiettiva. Si intende con questo una proprietà delle figure che rimane invariata rispetto a un numero finito di proiezioni da un punto dello spazio e di sezioni con altri piani dello spazio. In questo caso neppure i rapporti semplici di terne di punti allineati rimangono invarianti e, a differenza che nella geometria affine, può avvenire che due rette convergenti siano trasformate in

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rette parallele. Un invariante fondamentale è tuttavia noto da tempo: il “birapporto di quattro punti allineati” (che per comodità supponiamo distinti):

Teorema (Girard Desargues, 1636). Se due triangoli ABC e A'B'C' sono disposti nel piano in maniera tale che le rette AA', BB' e CC' sono concorrenti (cioè passano per lo stesso punto V), allora le coppie di lati corrispondenti AB eA'B', AC e A'C', BC e B'C' si incontrano in tre punti H, K ed L che sono allineati. E viceversa.

Due triangoli come quelli dell’enunciato si dicono omologici. Da osservare:

- non è mai banale assumere, come nel teorema, che tre rette siano concorrenti. Ma non è mai banale neppure dimostrare, come nella tesi, che tre punti siano allineati. E comunque ipotesi e tesi sono equivalenti.

- L’enunciato prescinde da ogni misura di segmenti o di angoli e da ogni rapporto di similitudine. Si basa solo sul fatto che le rette si trasformano in rette e che viene mantenuta la proprietà di appartenenza fra punti e rette. Quindi l’enunciato stesso dice che si tratta di una proprietà invariante per proiezioni e sezioni: è una proprietà di geometria proiettiva.

È chiaro che la dimostrazione condotta su una figura del tutto generale, non appare facile. Ma la natura proiettiva del problema permette di semplificare la figura senza alterare la generalità della dimostrazione. Con un po’ di proiezioni e sezioni è infatti facile riportarsi a una figura in cui due coppie di lati corrispondenti, ad esempio sia AB e A'B' che AC e A'C' sono parallele: in questo caso la retta HL su cui si deve dimostrare che cada anche il punto K di intersezione della terza coppia BC e B'C' di rette corrispondenti, è andata all’infinito, nel senso che è “scomparsa” dal piano – ma questo è un fatto di cui si deve tener conto, o anzi saper utilizzare, ogni volta che si lavora con proiezioni, giacché ora il parallelismo di rette diventa una “modalità” della loro intersezione: in “geometria proiettiva” il piano di cui occorre tener conto è più esteso di quello consueto perché bisogna pensare che due rette parallele si incontrino sempre in un punto (convenzionale, e convenzionalmente detto “punto all’infinito” delle rette) e che tutti i punti all’infinito si prestano a formare una “retta all'infinito”. È su questa retta che bisogna dimostrare che sono andati a finire i punti H, K ed L.

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Ora, sulla nuova figura, la dimostrazione che anche il punto di intersezione di BC e B'C' è “andato all'infinito” (cioè che anche le rette BC e B'C' sono parallele) si conduce più agevolmente: è ridotta a facili considerazioni relative ad opportuni triangoli simili. Ma si può anche fare di più: perché non mandare all’infinito con qualche proiezione anche il punto V che è comune alle tre coppie di rette corrispondenti AA', BB' e CC'?

In questo caso la figura si semplifica ulteriormente – e la dimostrazione diventa addirittura banale – ma non si perde in generalità. Grazie al fatto che la proprietà dei triangoli omologici è invariante rispetto alle operazioni di proiezione e sezione, la dimostrazione su questa ultima figura è del tutto generale. E si impara a cercare, per ogni problema geometrico – ma non solo – qual è il suo “giusto” livello di generalità. Perché è in questo contesto che il problema può essere trasformato, quasi fosse dotato di ipotesi ulteriori che permettono di trattarlo più agevolmente.

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La geometria delle trasformazioni Emanuele Munarini

1. Il programma di Erlangen Nella matematica moderna, a partire dal programma di Erlangen di Felix Klein del 1872, la geometria si presenta come lo studio delle proprietà invarianti rispetto ad un dato gruppo di trasformazioni. Da questo punto di vista le proprietà delle figure geometriche non sono determinate dalla forma della figura ma dalle trasformazioni che possono agire su di essa. Per fissare le idee consideriamo l’usuale piano π della geometria elementare. Chiamiamo figura piana un qualsiasi sottoinsieme del piano. In questo modo i punti, le rette, i rettangoli, i triangoli, le circonferenze sono tutti esempi di figure piane. Inoltre chiamiamo trasformazione piana una qualunque funzione biunivoca T : π → π. Date due trasformazioni piane T1 : π → π e T2 : π → π possiamo considerare la trasformazione composta T2 ° T1 : π → π definita applicando prima T1 e poi T2. Più precisamente T2 ° T1 è la funzione definita ponendo (T2 ° T1)(P) = T2(T1(P)) per ogni punto P del piano π. Poiché la composizione di due funzioni biunivoche è ancora una funzione biunivoca, la composizione di due trasformazioni piane è ancora una trasformazione piana. L’insieme S(π) di tutte le trasformazioni del piano π possiede una struttura di gruppo rispetto alla composizione di funzioni, ossia possiede le seguenti proprietà: G1) la composizione è un’operazione interna: ossia, come abbiamo già osservato, la composizione di due trasformazioni piane è ancora una trasformazione piana; G2) la composizione è un’operazione associativa, ossia, comunque prese tre trasformazioni piane T1, T2 e T3, si ha T1 ° (T2 ° T3) = (T1 ° T2) ° T3; G3) la composizione possiede un elemento neutro, dato dalla funzione identità E : π → π che ad ogni punto P del piano associa il punto P stesso. Questa funzione possiede la proprietà che, comunque scelta una trasformazione piana T, si ha T ° E = E ° T = T; G4) ogni trasformazione piana possiede una trasformazione inversa, ossia per ogni trasformazione piana T esiste una trasformazione T-1 (la funzione inversa di T) tale che T ° T

-1 = T-1 ° T = E. Una trasformazione piana è definita sui punti del piano, ma può essere immediatamente estesa alle figure facendola agire sui singoli punti della figura. A questo punto possiamo dire che due figure piane F1 ed F2 sono equivalenti, o congruenti, se esiste una trasformazione piana T che porta la prima figura nella seconda, ossia se F2 = T(F1). In questo modo abbiamo definito una relazione tra le figure del piano che generalizza la relazione di uguaglianza. Più precisamente, questa relazione è una relazione di equivalenza, ossia possiede le seguenti proprietà: R) proprietà riflessiva: ogni figura è equivalente a sé stessa; infatti per ogni figura piana F si ha F = E(F), dove E è la trasformazione identica; S) proprietà simmetrica: se una figura F1 è equivalente ad una figura F2 allora anche la figura F2 è equivalente alla figura F1; infatti se F1 è equivalente ad F2 allora esiste una trasformazione piana T per cui F2 = T(F1) e quindi, per l’invertibilità delle trasformazioni piane, si ha F1 = T-1(F2), cioè si ha che F2 è equivalente ad F1;

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T) proprietà transitiva: se una figura F1 è equivalente ad una figura F2 e la figura F2 è equivalente ad una figura F3, allora la figura F1 è anch’essa equivalente alla figura F3; infatti se F1 è equivalente ad F2 ed F2 è equivalente ad F3, allora esistono due trasformazioni piane T1 e T2 tali che F2 = T1(F1) e F3 = T2(F2). Quindi F3 = T2(F2) = T2(T1(F1)) = (T2°T1)(F1). Poiché la composizione di trasformazioni piane è ancora una trasformazione piana, F1 è equivalente a F3. Come si vede nella dimostrazione di queste proprietà ha giocato un ruolo fondamentale il fatto che

S() sia un gruppo. Tuttavia, in generale, l’insieme S() di tutte le trasformazioni del piano è troppo ampio. Per avere le geometrie che vengono usualmente studiate si considerano degli opportuni sottoinsiemi di trasformazioni piane. Più precisamente, per avere una geometria si

considera un sottoinsieme G di S() che, a sua volta, sia un gruppo rispetto alla composizione di trasformazioni piane, ossia tale che gli assiomi G1, G2, G3 e G4 continuino ad essere soddisfatti. In questo modo abbiamo una geometria piana rispetto al gruppo G di trasformazioni. Ancora diciamo che due figure piane F1 ed F2 sono equivalenti, o congruenti, se esiste una trasformazione piana T appartenente al gruppo G che porta la prima figura nella seconda, ossia se F2 = T(F1). Ancora questa relazione è di equivalenza (ossia è riflessiva, simmetrica e transitiva). In realtà, si può facilmente dimostrare che la relazione di equivalenza tra figure piane è effettivamente riflessiva, simmetrica e transitiva se e solo se l’insieme G delle trasformazioni è un gruppo. Le relazione di equivalenza tra figure permette di ripartire l’insieme delle figure del piano in classi di equivalenza, dove ogni classe è formata esattamente da tutte le figure equivalenti ad una data figura. Tali classi di equivalenza sono anche chiamate tipi. Uno dei problemi classici della geometria è quello della classificazione delle figure geometriche, ossia della determinazione dei vari tipi delle figure geometriche. Più avanti prenderemo in considerazione, a titolo esemplificativo, il problema della classificazione delle coniche in alcune delle più importanti geometrie piane. Come avremo modo di vedere in geometrie diverse si possono avere tipi diversi di figure. Un altro problema classico della geometria è quello della determinazione delle proprietà geometriche delle figure. Nella geometria determinata da un gruppo G di trasformazioni, le proprietà delle figure sono esattamente le proprietà invarianti rispetto alle trasformazioni appartenenti al gruppo G. Più precisamente, una proprietà geometrica di una figura piana F è una proprietà che vale non solo per F ma anche per ogni altra figura T(F) che si può ottenere da F mediante una trasformazione piana T appartenente a G. Gruppi diversi di trasformazioni piane determinino geometrie diverse. Si hanno tante geometrie

quanti sottogruppi di S(). Naturalmente alcune geometrie risultano più interessanti di altre. Ad esempio, se prendiamo il gruppo banale G = {E} formato solo dall’identità si ha una geometria dove tutte le figure sono diverse tra di loro (a meno che non coincidano). Se invece prendiamo il

gruppo totale G = S() di tutte le trasformazioni piane si ha che figure molto diverse tra loro

risultano invece equivalenti. Qui di seguito presentiamo alcune delle geometrie più importanti.

Geometria euclidea metrica. Supponiamo che il piano sia munito di un’unità di misura e di

conseguenza di una distanza. Un’isometria piana è una qualunque trasformazione T : → che conserva le distanze, ossia tale che d(T(P),T(Q)) = d(P,Q) per ogni punto P e Q del piano (dove d(A,B) indica la distanza tra i punti A e B). Ad esempio, le traslazioni, le rotazioni e le simmetrie sono tutti esempi di isometrie piane. Fissato un opportuno sistema di riferimento, le isometrie possono essere rappresentate analiticamente da equazioni del tipo

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dove i coefficienti a, b, c, d, e, f sono numeri reali tali che ae-bd = 1. Si può dimostrare che l’insieme delle isometrie piane forma un gruppo. La geometria determinata da questo gruppo di trasformazioni è l’usuale geometria euclidea metrica. Alcune figure invarianti di questa geometria sono le rette, le circonferenze, le coppie di rette parallele, le coppie di rette perpendicolari, gli angoli (ossia le coppie di rette che formano un dato angolo). Geometria euclidea simile. Una similitudine del piano è una trasformazione T : π → π che conserva i rapporti tra le distanze. Fissato un opportuno sistema di riferimento, le similitudini si possono rappresentare analiticamente mediante equazioni del tipo

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dove i coefficienti k, a, b, c, d, e, f sono numeri reali tali che ae-bd = 1. Anche le similitudini formano un gruppo e la geometria da esso determinata è la geometria euclidea simile. Le similitudini conservano il parallelismo tra rette e l'ampiezza degli angoli, esattamente come le isometrie, ma non le lunghezze e le aree. Poiché le equazioni che definiscono una similitudine si riducono a quelle che definiscono una isometria quando k = 1, si ha che la geometria euclidea simile è contenuta nella geometria euclidea metrica, nel senso che ogni proprietà simile è anche una proprietà metrica. Il teorema di Pitagora, ad esempio, è un teorema della geometria euclidea simile. Geometria affine. Una trasformazione affine, o affinità, del piano è una trasformazione T : π → π che conserva le rette, ossia l’allineamento di tre qualsiasi punti distinti. Fissato un opportuno sistema di riferimento, un’affinità può essere rappresentata analiticamente da equazioni del tipo

++=

++=

feydxy

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'

dove i coefficienti a, b, c, d, e, f sono numeri reali tali che ae-bd 0. Come si vede, le isometrie e le similitudini sono particolari trasformazioni affini. L’insieme delle affinità del piano è un gruppo e la geometria da esso determinata è la geometria affine. Il parallelismo di rette e la congruenza tra segmenti sono proprietà affini, mentre non ha più senso parlare di lunghezze e di angoli (poiché queste quantità non si conservano mediante trasformazioni affini). Una proprietà affine è, ad esempio, quella che afferma che le mediane di un triangolo si intersecano in un unico punto. Invece la “forma” delle figure non è una proprietà affine, cioè non viene conservata dalle affinità. Ad esempio, l'immagine di un rettangolo in generale è un parallelogrammo, mentre l'immagine di una circonferenza è un'ellisse. Inoltre nella geometria affine tutti i triangoli sono equivalenti. Geometria proiettiva. Gli studi rinascimentali sulla prospettiva, dovuti ad artisti come Leon Battista Alberti (Della pictura, 1435), Piero della Francesca (De prospectiva pingendi, 1478) e Leonardo da Vinci, germogliati dal problema di rappresentare in modo realistico scene spaziali tridimensionali su superfici piane bidimensionali, hanno portato a quella che oggi chiamiamo geometria proiettiva e che intuitivamente possiamo pensare come la geometria delle proiezioni o delle ombre. Si tratta della geometria attraverso la quale i nostri occhi vedono il mondo esterno. Per definire le proiezioni consideriamo due piani π1 e π2 nello spazio ordinario e un punto P ad essi esterno. Definiamo la corrispondenza che ad un punto A del piano π1 associa il punto B del piano π2 che si ottiene intersecando la retta PA con il piano π2, come nella seguente figura:

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Tuttavia, per avere una corrispondenza biunivoca tra i due piani bisogna aggiungere dei nuovi punti (i cosiddetti punti all’infinito), come vedremo meglio più avanti. Nella figura qui sopra, i punti all’infinito del piano π1 sono quelli che vengono mandati nella retta che si ottiene intersecando il piano π2 con il piano π' parallelo a π1 e passante per il punto P. Analogamente, i punti all’infinito del piano π2 sono quelli che vengono mandati nella retta che si ottiene intersecando il piano π1 con il piano π'' parallelo a π2 e passante per il punto P. I punti all’infinito di un piano formano una retta, detta retta impropria. Le trasformazioni che definiscono la geometria proiettiva nel piano si chiamano proiettività, o anche omografie, e sono definite come le trasformazioni che si ottengono componendo un numero finito di proiezioni e sezioni. Esse formano un gruppo e hanno la proprietà di portare rette in rette e di conservare il birapporto. Le proiettività non conservano i punti all’infinito, ossia possono portare un punto proprio in un punto all’infinito e viceversa. Le proiettività che conservano la retta impropria coincidono esattamente con le affinità del piano. Quindi la geometria proiettiva è un’estensione della geometria affine. Di conseguenza, ogni proprietà proiettiva è anche una proprietà affine. Topologia. Spesso si fa risalire l’origine della topologia al problema dei sette ponti di Königsberg risolto da Leonhard Euler nel 1736. La città di Königsberg (oggi chiamata Kaliningrad) viene divisa dal fiume Pregel in quattro zone, come si vede nella figura seguente

Ai tempi di Eulero, queste zone erano collegate tra di loro da sette ponti. I cittadini di Königsberg si chiedevano se fosse possibile partire da una qualunque delle quattro zone della città, attraversare tutti e sette i ponti esattamente una volta e tornare infine al punto di partenza. Eulero dimostrò, con un semplice ragionamento, che la passeggiata che i cittadini di Königsberg desideravano fare non era possibile. Ciò che qui è importante osservare è che questo problema non coinvolge i concetti usuali della geometria (distanze, angoli, rette, e così via), ma coinvolge soltanto la forma della città.

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La topologia è quella parte della geometria che studia le proprietà delle figure che dipendono solo dalla loro forma. Più precisamente, la topologia è la geometria determinata dagli omeomorfismi, ossia dalle trasformazioni piane continue T : π → π che ammettono una trasformazione inversa anch’essa continua. Intuitivamente, un omeomorfismo può essere pensato come una deformazione continua, cioè come una trasformazione che porta punti vicini in punti vicini. Possiamo allora dire che la topologia studia le proprietà delle figure che non cambiano quando tali figure vengono deformate con continuità (senza strappi) e che due figure sono topologicamente equivalenti quando una delle due può essere deformata con continuità nell’altra (senza produrre strappi). Ad esempio, la matita che compare nella figura qui accanto viene deformata con continuità quando viene riflessa sulla superficie cilindrica e quindi la matita e la sua immagine riflessa sono figure topologicamente equivalenti. Dal punto di vista topologico l’ellisse, la parabola e l’iperbole non sono equivalenti tra di loro. Tuttavia, le ellissi sono tutte equivaleti tra loro e in particolare sono equivalenti alla circonferenza. Le parabole sono tutte equivalenti tra di loro e in particolare sono equivalenti ad una retta. Infine, tutte le iperboli sono equivalenti tra di loro e in particolare sono equivalenti ad una coppia di rette che non si intersecano. Se si toglie un punto ad una circonferenza, si ottiene una figura topologicamente equivalente ad una retta. Tuttavia la retta e la circonferenza non sono topologicamente equivalenti. Infatti, se ad una retta togliamo un punto qualsiasi, la retta si sconnette in due parti distinte, mentre questo, come abbiamo osservato poco sopra, non accade con una circonferenza. Essere di un solo pezzo (connessione) oppure avere o non avere un buco, sono alcune importanti proprietà topologiche di una figura. Ad esempio, un quadrato è topologicamente equivalente ad un disco (e più in generale ad un solo punto), ma non è topologicamente equivalente ad un anello quadrato (che invece possiede un buco):

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Tutto quello che abbiamo detto sulle geometrie piane può essere immediatamente generalizzato allo spazio (sostituendo il piano con lo spazio ordinario). Più in generale, possiamo considerare un insieme qualsiasi, infinito (come nelle geometrie classiche) o finito (come nelle moderne geometrie finite). Una geometria è semplicemente una coppia (X,G) dove X è un insieme qualsiasi e G è un sottogruppo del gruppo S(X) di tutte le trasformazioni biunivoche di X. L’insieme X è pensato come l’insieme dei punti che formano lo spazio geometrico mentre il gruppo G è pensato come il gruppo delle trasformazioni ammissibili. Un problema importante della geometria consiste nel classificare, a meno di equivalenze, tutte le figure appartenenti ad una data classe di figure. Ad esempio, se si considerano le coniche nel piano, si tratta di stabilire quali sono tra di loro equivalenti. La risposta, naturalmente, dipende dalla geometria che si sta considerando (ad, esempio, coniche equivalenti dal punto di vista affine possono non esserlo dal punto di vista metrico).

Nel prossimo paragrafo, parleremo un po’ più in dettaglio delle coniche, presentando alcune loro proprietà poco note (come le sfere di Dandelin) e affrontando il problema della loro classificazione. Nel paragrafo 3 presenteremo un semplice modello del piano proiettivo reale, basato sul piano euclideo ordinario. Infine, nell’ultimo paragrafo, presenteremo i primi rudimenti della topologia

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delle superfici nello spazio ordinario ed enunceremo il teorema di classificazione delle superfici chiuse connesse.

Concludiamo questo paragrafo osservando che il concetto di geometria introdotto dal programma di Erlangen di Felix Klein è importante non solo perché permette di avere una visione sistematica e generale della geometria stessa ma anche perché ha notevolmente influenzato lo sviluppo della fisica matematica moderna portando a formulare le leggi fisiche in modo che fossero invarianti rispetto alle trasformazioni di coordinate. Ad esempio, l'invarianza delle equazioni di Maxwell rispetto alle trasformazioni di Lorenz, ha portato alla formulazione della teoria della relatività ristretta.

2. Sezioni coniche Nel terzo secolo avanti Cristo, il matematico greco Apollonio da Perga ha dimostrato3 che le curve che noi oggi chiamiamo coniche si possono ottenere tutte come sezioni piane di un cono circolare retto, ossia come intersezioni di un piano con la superficie generata dalla rotazione di una retta r intorno ad un'altra retta a (asse di rotazione) incidente a r. Più precisamente, se Γ è la conica che si ottiene intersecando un piano π con un cono circolare retto K, e se α è l'angolo acuto formato dalla retta r con l’asse a e β è l'angolo formato dal piano π con l'asse a, allora si ha la seguente classificazione. 1. Se il piano π non passa per il vertice V di K, allora la conica Γ è non degenere o irriducibile.

Più precisamente: 1.1. se β > α, si ha un’ellisse: in questo caso il piano π taglia solo una delle due falde del cono;

in particolare, se il piano π è ortogonale all’asse a del cono K, si ha una circonferenza; 1.2. se β = α, si ha una parabola: in questo caso il piano π taglia il cono lungo una sola falda; 1.3. se β < α, si ha un’iperbole: in questo caso il piano π taglia il cono lungo le due falde.

2. Se il piano π passa per il vertice V di K, allora la conica Γ si spezza in due rette e quindi è

degenere o riducibile. Più precisamente: 2.1. se β > α, si ha una conica degenere in un punto (detta di tipo ellittico): in questo caso

l'intersezione del piano π con il cono si riduce al solo vertice; 2.2. se β = α, si ha una conica degenere in due rette coincidenti (detta di tipo parabolico): in

questo caso il piano π è tangente al cono; 2.3. se β < α, si ha una conica degenere in due rette reali distinte incidenti ( tipo iperbolico): in

questo caso l'intersezione del piano π con K si riduce a due generatrici distinte del cono.

3 nel suo famoso trattato intitolato “Le coniche”.

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Coniche come luoghi di punti

Anche se sono definite come curve nello spazio, per loro natura le coniche sono curve piane. Per questo motivo oggi vengono usualmente introdotte direttamente nel piano come particolari luoghi di punti. Per passare dalla definizione iniziale di curve spaziali a quella più nota di curve piane, si può utilizzare la costruzione di Germinal Pierre Dandelin (1794 – 1847), che si basa sulla seguente proprietà elementare Teorema. Sia Γ una circonferenza e sia P un punto esterno ad essa. Siano s e t le due tangenti a Γ passanti per P e siano A e B i rispettivi punti di tangenza. Allora PA = PB.

Dimostrazione. Consideriamo i due triangoli OAP e OBP. Il lato OP è in comune, mentre i lati OA e OB sono congruenti, essendo A e B sulla stessa circonferenza di centro O. Inoltre, poiché le rette AP e BP sono tangenti alla circonferenza Γ, si ha che l’angolo in A e l’angolo in B sono entrambi angoli retti. Quindi, per il teorema di Pitagora, si ha

.2222 BPOPOBOPOAAP =+=+=

Questa semplice proprietà si estende immediatamente al caso di una sfera inscritta in un cono, come appare nella figura qui a lato. Infatti, per la simmetria della configurazione, basta far ruotare l’intera configurazione attorno al suo asse verticale. La curva formata dai punti di tangenza tra la sfera e il cono è una circonferenza.

A questo punto siamo pronti per dimostrare il seguente teorema.

Teorema. Le coniche non degeneri possono essere definite come luoghi piani nel modo seguente.

1. L’ellisse è il luogo dei punti del piano tali che la somma delle sue distanze da due punti distinti fissati (detti fuochi) è costante.

2. L’iperbole è il luogo dei punti del piano tali che la differenza delle sue distanze da due fissati punti distinti (detti fuochi) è costante.

3. La parabola è il luogo dei punti del piano tali che la loro distanza da un punto fisso, detto fuoco, sia uguale alla distanza da una retta fissa, detta direttrice

Dimostrazione. Sia Γ un’ellisse ottenuta tagliando un cono K con un piano π. Consideriamo ora due sfere inscritte nel cono, una sopra e l’altra sotto l’ellisse, in modo che siano tangenti al cono e al piano π, come nella figura seguente:

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Sia B il generico punto dell’ellisse Γ e sia r la retta (appartenente al cono Κ) che passa per B e per il vertice V di Κ. Siano poi A e C i punti di intersezione di r rispettivamente con la prima e con la seconda sfera. La lunghezza dei segmenti VA e VC non dipende dalla retta r, ossia non dipende dal punto B che abbiamo scelto su Γ. Di conseguenza, il segmento AC, essendo la differenza di VA e VC, è anch’esso costante, ossia indipendente dalla scelta di B. Inoltre, il segmento AC è la somma di BA con BC. Siano ora D ed E i punti in cui le due sfere considerate sono tangenti al piano π dell'ellisse. Poiché le rette BA e BE sono entrambe tangenti alla prima sfera, si ha che BA = BE. Analogamente, poiché le rette BC e BD sono entrambe tangenti alla seconda sfera, si ha che BC = BD. Di conseguenza, si ha

BD + BE = BA + BC = AC = costante.

Resta così dimostrato l’enunciato del teorema. In particolare, i fuochi dell’ellisse coincidono con i punti di tangenza D ed E. Si possono dimostrare analoghi risultati per l’iperbole e la parabola.�

Le due sfere che compaiono nella dimostrazione del teorema precedente si chiamano sfere di Dandelin. Come abbiamo visto, un’ellisse possiede due sfere di Dandelin entrambe tangenti alla stessa falda del cono. Anche un’iperbole possiede due sfere di Dandelin, ma esse risultano tangenti a falde opposte. Infine, la parabola possiede una sola sfera di Dandelin. Le sfere di Dandelin non solo permettono di definire le sezioni coniche come luoghi di punti del piano, ma permettono anche di definire i vari elementi delle coniche. Ad esempio, come abbiamo visto, i fuochi sono i punti di tangenza delle sfere di Dandelin con il piano della conica. Osserviamo ora che ognuna delle sfere di Dandelin interseca il cono in una circonferenza. Intersecando i piani che contengono queste due circonferenze con il piano della conica si ottengono due rette parallele che coincidono con le direttici della conica. Poiché nel caso della parabola c’è una sola sfera di Dandelin, la parabola possiede una sola direttrice. Naturalmente, capovolgendo le cose, possiamo assumere questa costruzione come definizione di direttrice di una conica.

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Classificazione euclidea e affine delle coniche Algebricamente una conica viene definita come il luogo dei punti del piano (munito di un opportuno sistema di riferimento cartesiano ortogonale monometrico) le cui coordinate soddisfano un’equazione polinomiale di secondo grado:

022 =+++++ feydxcybxyax dove a, b, c, d, e, f sono numeri reali tali che a, b e c non siano tutti nulli. Si può dimostrare che per ogni conica irriducibile esiste sempre un’opportuna rototraslazione che permette di rappresentare la conica mediante una delle seguenti equazioni in forma canonica:

12

2

2

2

=+b

y

a

x (ellisse), 1

2

2

2

2

=−b

y

a

x (iperbole), pxy 22 = (parabola)

dove a, b e p sono numeri reali non nulli. Pertanto, nella geometria euclidea, le coniche irriducibili sono soltanto le ellissi, le iperboli e le parabole. Tuttavia, non tutte le ellissi sono equivalenti tra di loro, ma solo quelle che hanno la medesima forma canonica. Un discorso analogo vale anche per le iperboli e per le parabole. Ma quando si passa alla geometria affine, si può dimostrare che ci sono solo tre tipi di coniche irriducibili, ossia l’ellisse, l’iperbole e la parabola. In altre parole, nel caso affine, tutte le ellissi sono equivalenti tra di loro, tutte le iperboli sono equivalenti tra di loro e tutte le parabole sono equivalenti tra di loro. 3. Geometria proiettiva Un modello del piano proiettivo

Costruiremo ora un semplice modello di piano proiettivo a partire dall’usuale piano euclideo Ε2. Iniziamo col ricordare i seguenti assiomi fondamentali della geometria euclidea nel piano, riguardanti l’incidenza tra punti e rette: E1) per due punti distinti passa una ed una sola retta; E2) due rette distinte si intersecano esattamente in un punto oppure non hanno punti in comune. Come si vede, questi due assiomi non sono simmetrici. Più precisamente si ha, per così dire, un difetto nell’assioma E2, nel caso delle rette parallele senza punti in comune. In realtà, anche in questo caso le due rette hanno qualcosa in comune, ovvero la direzione. Pertanto, per rendere simmetrici (duali) i due assiomi di incidenza, possiamo ampliare il piano euclideo ordinario introducendo un nuovo tipo di punti. Più precisamente, possiamo pensare alle direzioni delle rette come a punti di un nuovo tipo e aggiungerli a Ε2. Possiamo così definire una nuova geometria in cui P) i punti sono dati da tutti i punti del piano euclideo Ε2 e da tutte le direzioni in esso contenute; i punti del piano euclideo Ε2 verranno chiamati punti propri, mentre le direzioni verranno chiamate punti impropri, o anche punti all’infinito; R) le rette sono date da tutte le rette del piano euclideo Ε2 e da una nuova retta r∞, formata da tutti i punti impropri; le rette del piano euclideo Ε2 verranno chiamate rette proprie, mentre la retta formata dai punti impropri verrà chiamata retta impropria o retta all’infinito.

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Chiameremo piano proiettivo (reale) l’insieme Π2 formato dai punti e dalle rette che abbiamo appena introdotto. Vediamo ora in che modo si modificano i due assiomi E1 ed E2 che definivano la geometria euclidea nel piano. Il primo assioma continua a valere, ossia P1) per due punti distinti passa una ed una sola retta. Dimostrazione. Consideriamo due punti distinti P e Q. Dobbiamo distinguere i seguenti casi, a seconda che i punti siano propri o impropri. Se P e Q sono propri, per l’assioma E1 esiste esattamente una retta propria che passa per essi. Se P è proprio e Q è improprio allora esiste esattamente una retta propria che passa per P e che ha la direzione data da Q (in virtù, sostanzialmente, del quinto postulato di Euclide). Lo stesso vale se P è improprio e Q è proprio. Infine, se entrambi i punti P e Q sono impropri, essi appartengono alla retta impropria. Inoltre non possono appartenere ad una stessa retta propria perché essi sono distinti ed ogni retta propria ha esattamente un punto improprio (che coincide con la sua direzione).

� P2) Due rette distinte si intersecano esattamente in un punto. Dimostrazione. Consideriamo due rette distinte r ed s. Se r ed s sono entrambe proprie, per l’assioma E2 hanno esattamente un punto proprio in comune (e chiaramente non possono avere alcun punto improprio in comune) oppure non hanno punti propri in comune e allora sono parallele e hanno esattamente un punto improprio in comune (la direzione). Infine, se una delle due rette è propria e l’altra è impropria, allora hanno in comune esattamente il punto improprio che dà la direzione della retta propria.

� Abbiamo così una geometria in cui c’è una maggiore simmetria tra punti e rette. Più precisamente, abbiamo una dualità tra punti e rette, nel senso che ogni proposizione (vera) che coinvolge solo punti e rette ammette una proposizione duale (anch’essa vera), che si ottiene scambiando i punti e le rette tra di loro. Un primo esempio è ovviamente dato dai due assiomi P1 e P2 che si trasformano l’uno nell’altro scambiando tra loro punti e rette. Le trasformazioni del piano proiettivo sono date dalle proiettività, ossia dalle trasformazioni del piano ampliato che conservano le rette (cioè l’allineamento dei punti). Le proiettività possono portare un punto proprio anche in un punto improprio e viceversa. Supponiamo ora che una proiettività porti punti propri in punti propri e punti impropri in punti impropri. Allora tale trasformazione può essere ristretta al piano di partenza formato solo dai punti propri e continua a possedere la proprietà di conservare le rette. Questo significa che abbiamo un’affinità, ossia che le affinità coincidono con le proiettività che conservano la retta impropria. Coniche nel piano proiettivo A livello intuitivo, possiamo rappresentare il piano proiettivo come un disco il cui bordo rappresenta la retta impropria (formata da tutti i punti all’infinito). Poiché i punti impropri (le direzioni del piano) coincidono con le rette che passano per il centro del disco, si ha che tali punti sono rappresentati da coppie di punti antipodali (cioè simmetrici rispetto al centro) appartenenti al bordo del disco. In altre parole, i punti che formano queste coppie devono essere identificati. Pertanto, ad esempio, i due punti P che compaiono nella seguente figura

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devono essere considerati come lo stesso punto improprio. Si può dimostrare che nel piano proiettivo le coniche irriducibili sono tutte equivalenti tra di loro, nel senso che esiste sempre una proiettività che porta una conica irriducibile in un’altra qualsiasi conica irriducibile. Intuitivamente, se pensiamo alle coniche come sezioni piane di un cono circolare retto, si vede immediatamente che ogni conica irriducibile è proiettivamente equivalente ad una circonferenza. Se invece usiamo la rappresentazione del piano proiettivo introdotta qui sopra, possiamo vedere l’equivalenza delle coniche irriducibili pensando che esse sono la medesima curva posta in modo diverso rispetto alla retta impropria. Così l’ellisse è la conica tutta al finito (ossia è la conica che non ha punti impropri), la parabola è la conica che ha un solo punto improprio che coincide con la direzione del suo asse (e che è tangente alla retta impropria nel suo punto all’infinito), mentre l’iperbole è la conica che ha due punti impropri che coincidono con le direzioni dei suoi asintoti, come si vede dalle seguenti immagini:

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4. Topologia Analogamente a quanto abbiamo detto nel primo paragrafo parlando della topologia nel piano, la topologia nello spazio è la geometria determinata dalle trasformazioni continue (omeomorfismi) dello spazio. A livello intuitivo, una trasformazione continua è una trasformazione biunivoca che porta punti vicini in punti vicini. Può essere utile pensare gli oggetti topologici come fogli di carta che possono essere piegati o accartocciati a piacere, senza però strapparli o tagliarli. In questo modo si ottengono nuove figure con le stesse proprietà topologiche della figura iniziale. Se si appallottola un foglio di quaderno, si ottiene un oggetto che possiede ancora certe proprietà; ad esempio, è formato da un solo pezzo e non presenta buchi, esattamente come il foglio iniziale. Tuttavia, più in generale, può essere utile pensare gli oggetti topologici come se fossero oggetti perfettamente elastici che possono essere piegati, tirati, compressi o ritorti a piacere (senza, però, produrre strappi, lacerazioni o tagli). Ad esempio, una superficie a forma di ciambella può essere gradualmente deformata (senza essere lacerata) in una tazza, come si vede nella figura qui a fianco. Pertanto, le due superfici sono topologicamente equivalenti. Inoltre, si vede facilmente che una sfera è topologicamente equivalente ad un cubo (intuitivamente possiamo pensare di gonfiare il cubo fino a farlo diventare una sfera), ma non è topologicamente equivalente ad un toro (superficie a forma di ciambella):

Possiamo vedere che la sfera e il toro possiedono proprietà topologiche differenti osservando che esiste almeno una circonferenza (ad esempio, una circonferenza equatoriale) che rimossa dalla sfera sconnette la superficie in due parti distinte, mentre non esiste alcuna circonferenza che rimossa dal toro sconnetta la figura in due parti distinte. Questa proprietà deriva dal fatto che la sfera non possiede buchi, mentre il toro ne possiede esattamente uno. Una superficie che non possiede buchi può essere deformata (con continuità) quanto si vuole, ma non potrà mai avere un buco. Come abbiamo già osservato nella parte introduttiva, la presenza di uno o più buchi è una proprietà topologica importante.

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Come ulteriore esempio, possiamo osservare che una sfera a cui venga tolto un punto, o un disco, è equivalente ad un disco. Analogamente, una sfera a cui vengano tolti due punti distinti è equivalente ad un cilindro. In realtà, però, è concessa un’ulteriore operazione che permette di tagliare e ricucire. Più precisamente, si può tagliare l’oggetto topologico e deformarlo con continuità, purché poi si incollino di nuovo i punti lungo cui si è effettuato il taglio in modo che punti originariamente vicini tornino ad essere vicini. Questa operazione può essere utile per “sciogliere” certe configurazioni. Ad esempio, utilizzando questa operazione, si vede immediatamente che una circonferenza ed un nodo sono topologicamente equivalenti anche se nello spazio ordinario non è possibile deformare l’una nell’altra senza tagliare e poi incollare. Questo fenomeno è dovuto al fatto che lo spazio ordinario è troppo piccolo per poter sciogliere il nodo. Infatti si può dimostrare che ogni nodo può essere sciolto, senza questa operazione di taglia e incolla, in ogni spazio di dimensione superiore a 3. Essere annodato, pertanto, non è una proprietà topologica di un curva, ma è soltanto una proprietà delle curva quando questa è immersa nello spazio ordinario. Un secondo esempio è dato dalla superficie (a) rappresentata nella figura qui a lato. Tagliando l’anello del primo tubo (come in (c)), i due anelli possono essere separati. Infine, incollando le due estremità tagliate (esattamente come erano all’inizio), si ottiene la superficie (b). Possiamo così concludere che le superfici (a) e (b) sono topologicamente equivalenti. Anche in questo caso, l’annodamento degli anelli non è una proprietà topologica della superficie considerata.

Superfici topologiche In questo paragrafo, introdurremo le superfici nello spazio ordinario (accontentandoci di utilizzare l’idea intuitiva che normalmente se ne ha). L’esempio più semplice di superficie è il disco

topologicamente equivalente ad un piano ( se lo si estende all’infinito) o a un punto ( se lo si ritrae nel suo centro). Altri esempi tipici di superfici sono la sfera, il toro ed il cilindro.

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Oltre a queste superfici ne esistono molte altre meno note, come il toro a due buchi

e il piano proiettivo reale e la bottiglia di Klein:

Esistono poi molte altre figure che non potremo prendere in considerazione, anche se intuitivamente le chiameremmo superfici, come la seguente:

In realtà, considereremo solo le superfici in cui ogni punto è circondato da una regione topologicamente equivalente ad un disco. La superficie precedente possiede un punto singolare circondato da una regione che non è topologicamente equivalente a un disco (ma a due dischi incollati in un punto, ossia a un cono).

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Le superfici possono avere un bordo (come nel caso del disco e del cilindro), oppure possono essere senza bordo (come nel caso della sfera e del toro). Una superficie chiusa è una superficie senza bordo (la sfera ed il toro sono superfici chiuse, mentre il disco ed il cilindro non lo sono). Una superficie connessa è una superficie formata da un solo pezzo (tutte le superfici considerate qui sopra sono connesse, mentre la superficie che si ottiene facendo ruotare un’iperbole attorno al suo asse focale è formata da due falde distinte e quindi non è connessa). Superfici orientabili e non orientabili Come abbiamo detto una superficie è una figura che localmente è del tutto simile ad un piano (ossia toplogicamente equivalente a un disco). Poiché un piano possiede due orientazioni, ogni superficie localmente può essere orientata in due modi. Tuttavia, in generale, non è detto che l’orientazione locale possa estendersi ad un’orientazione globale di tutta la superficie. Quando questo è possibile la superficie è orientabile, mentre in caso contrario è non orientabile. Intuitivamente, una superficie è orientabile se ha due facce (una “interna” ed una “esterna” se chiuse), come la sfera, il toro, il disco ed il cilindro. In questo caso, una formichina posta su una delle due facce non può passare sull’altra faccia senza bucare la superficie stessa e senza attraversare il bordo. Analogamente, una superficie è non orientabile se possiede una sola faccia. Questo significa che la nostra ipotetica formichina può percorrere tutta quanta la superficie senza mai dover fare buchi e senza mai dover oltrepassare il bordo (in modo equivalente, possiamo colorare tutta la faccia della superficie senza mai staccare il pennello dalla superficie stessa e senza mai oltrepassare il bordo, cosa ovviamente impossibile nel caso di una superficie orientabile). Questo significa anche che la nostra formichina può percorrere un cammino chiuso sulla superficie che la riporta al punto di partenza con l’orientazione invertita (ossia capovolta). Le superfici orientabili sono ovviamente le più note e intuitive. Tuttavia, esistono anche superfici non orientabili. La prima superficie non orientabile fu scoperta da August Ferdinand Möbius nel 1858 ed è chiamata nastro di Möbius, o striscia di Möbius. Questa superficie può essere ottenuta incollando due lati opposti di un rettangolo dopo averlo ritorto di 180° lungo l’asse maggiore. Per comprendere meglio la forma e le proprietà del nastro di Möbius, potrebbe essere utile costruirene un semplice modello utilizzando una striscia di carta:

La superficie che si ottiene ha una sola faccia ed un solo bordo (topologicamente equivalente ad una circonferenza):

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Come si vede nella seguente immagine di Maurits Cornelis Escher (Möbius Strip II (Red Ants), 1963)

la formichina riesce a percorre tutta quanta la superficie del nastro di Möbius senza mai fare buchi e senza mai attraversare il bordo. Ma cosa succede alla formichina dopo avere compiuto un giro completo del nastro? Se si guarda attentamente si vede che la formichina si trova nello stesso punto ma a testa in giù. Poiché una superficie è non orientabile quando un ipotetico osservatore che cammina su di essa può percorrere un giro che lo riporta al punto di partenza a testa in giù, possiamo dire, equivalentemente, che una superficie è non orientabile quando contiene un nastro di Möbius (e, quindi, che una superficie è orientabile quando non contiene alcun nastro di Möbius). Il nastro di Möbius possiede numerose proprietà interessanti. Se si taglia il nastro lungo la linea mediana si ottiene un nastro più lungo che non è più un nastro di Möbius. Infatti il taglio genera un secondo bordo e come sappiamo il nastro di Möbius possiede un solo bordo. Ciò che si ottiene in questo modo è una superficie topologicamente equivalente ad un cilindro (anche se, nello spazio ordinario, presenta un doppio avvitamento). Se invece si taglia il nastro, non lungo l'asse mediano, ma lungo una linea distante 1/3 dal bordo, si ottengono due nastri, uno equivalente ad un nastro di Möbius ed uno equivalente ad un cilindro (che nello spazio ordinario risultano annodati come gli anelli di una catena). Oltre al nastro di Möbius esistono molte altre superfici non orientabili, anche chiuse. Queste ultime sono superfici che hanno una sola faccia e non hanno un “dentro” e un “fuori”. Come vedremo in seguito, il piano proiettivo reale e la bottiglia di Klein (1882) sono due superfici di questo tipo. Costruzione delle superfici chiuse Come ben noto i poliedri possono essere sviluppati nel piano dopo aver effettuato opportuni tagli lungo alcuni lati. Ad esempio, il tetraedro possiede il seguente sviluppo piano:

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In modo analogo, le superfici chiuse possono essere rappresentate mediante opportuni sviluppi piani. Più precisamente, ogni superficie chiusa può essere costruita a partire da un poligono orientato con un numero pari di lati, identificando a due a due i lati stessi. Un poligono di questo tipo è detto il poligono fondamentale della superficie. Un quadrato, ad esempio, a meno di opportune simmetrie, può essere orientato soltanto nei seguenti quattro modi:

sfera

piano proiettivo reale

toro

bottiglia di Klein

Identificando i lati etichettati con le medesime lettere, rispettando la direzione delle frecce, si ottengono rispettivamente la sfera, il piano proiettivo reale, il toro e la bottiglia di Klein. Ad esempio, possiamo costruire una bottiglia di Klein a partire dal suo poligono fondamentale

nel modo seguente:

Il risultato finale è la seguente superficie che si autointerseca:

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La bottiglia di Klein può essere immersa nello spazio ordinario in molti modi. Uno di questi è ad esempio la figura a otto:

Ogni poligono fondamentale può essere completamente descritto mediante una opportuna parola. Si percorre il bordo del poligono, a partire da un vertice qualunque, fino a tornare al punto di partenza. Ogni volta che si attraversa un lato, si scrive la lettera corrispondente se il senso di percorrenza del poligono coincide con l’orientazione del lato, oppure la lettera corrispondente con in –1 ad esponente nel caso contrario. Ad esempio, nei quattro casi considerati qui sopra, partendo dal vertice in alto a sinistra e percorrendo il bordo del quadrato in senso orario, si ottengono le seguenti parole: ABB − 1A − 1 (sfera), ABAB (piano proiettivo reale), ABA − 1B − 1 (toro), ABA − 1B (bottiglia di Klein). Di queste quattro superfici, solo la sfera e il toro sono orientabili. Il piano proiettivo reale e la bottiglia di Klein non sono orientabili (ossia contengono un nastro di Möbius). Più precisamente, si hanno i seguenti teoremi. Teorema. Il piano proiettivo reale si può ottenere incollando un disco lungo il bordo di un nastro di Möbius. Dimostrazione. Rimovendo un disco da un piano proiettivo reale, si ottiene un nastro di Möbius:

Teorema La bottiglia di Klein si può ottenere incollando due nastri di Möbius lungo il loro bordo. Dimostrazione. Si considerino due nastri di Möbius come nella seguenti figure:

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Dopo aver identificato il bordo dei due nastri (indicando con α e con β i due lati opposti), tagliamo il primo nastro lungo il suo asse. In questo modo si ottiene la seguente configurazione

A questo punto, incollando tra di loro i lati contrassegnati con e con si ottiene il poligono

che rappresenta una bottiglia di Klein.

� Nella bottiglia di Klein raffigurata qui sotto, i due nastri di Möbius sono colorati in modo diverso. Per ottenerli basta tagliare la superficie lungo la linea che separa le due regioni di colore diverso.

Contenendo almeno un nastro di Möbius, la bottiglia di Klein risulta essere una superficie chiusa non orientabile. Questo, come sappiamo, significa che tale superficie possiede una sola faccia, ossia

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che non separa lo spazio in due porzioni distinte (determinando una zona interna e una zona esterna, come accade, ad esempio, con la sfera). Di conseguenza, a dispetto del suo nome4, la bottiglia di Klein non potrà mai essere utilizzata come contenitore (se si praticasse un foro in questa superficie e si versasse dell’acqua all’interno, questa uscirebbe tutta quanta). Classificazione delle superfici chiuse La somma connessa di due superfici M ed N è la superficie M # N che si ottiene rimovendo un disco da entrambe le superfici e incollandole lungo il bordo dei due dischi rimossi. Ad esempio, la somma connessa di due tori è un toro a due buchi:

La somma connessa è commutativa, ossia la superficie M # N è topologicamente equivalente alla superficie N # M. Inoltre, è associativa, ossia la superficie ( M # N ) # P è topologicamente equivalente alla superficie M # ( N # P ). Infine, possiede un elemento neutro, dato dalla sfera S, ossia S # M = M # S = M (infatti, se si toglie un disco da una sfera, si ottiene ancora un disco che va a sostituire il disco rimosso da M nell’incollamento che dà la somma connessa). La somma connessa di una superficie M con un toro T può essere pensata come la superficie M alla quale si attacca un manico. Inoltre, se M è orientabile, allora anche M # T lo è. La somma connessa di due tori è un toro a due manici (con due buchi). La somma connessa con un piano proiettivo reale dà sempre origine ad una superficie non orientabile. Teorema. La somma connessa di due piani proiettivi è una bottiglia di Klein. Dimostrazione. Si può procedere nel modo seguente, utilizzando i poligoni fondamentali. Si considerano due piani proiettivi e da questi si rimuove un disco (tratteggiato nella figura seguente):

Poi si incollano i due poligoni lungo il bordo del disco rimosso, ottenendo una botiiglia di Klein:

In modo analogo, si può dimostrare anche il seguente Teorema. La somma connessa di un piano proiettivo reale con una bottiglia di Klein è topologicamente equivalente alla somma connessa di un piano proiettivo reale con un toro. 4 In realtà, il nome di “bottiglia” deriva dall’errore di un traduttore che confuse il tedesco “kleinsche Fläche”, che significa superficie di Klein, con “kleinsche Flasche”, che invece significa bottiglia di Klein.

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Inoltre la rappresentazione piana delle superfici mediante i loro poligoni fondamentali permette di dimostrare il seguente teorema di classificazione delle superfici chiuse. Teorema. (Deh - Heergaard, 1907) Ogni supeficie chiusa e connessa è omeomorfa (ossia è topologicamente equivalente)

1. a una sfera S o alla somma connessa di g tori, con 1≥g , se è orientabile; 2. alla somma connessa di k piani proiettivi reali, con 1≥k , se non è orientabile.

La sfera e le somme connesse di tori sono tutte superfici orientabili, mentre le somme connesse di piani proiettivi reali sono tutte superfici non orientabili. La sfera, essendo l’elemento neutro della somma connessa, può sempre essere vista come la somma connessa di 0 superfici. In questo caso, tuttavia, per una questione di uniformità conviene pensare la sfera come la somma connessa di 0 tori. Il genere di una superficie orientabile è il numero g di tori coinvolti nella somma connessa. Intuitivamente, possiamo pensare al genere di una superficie orientabile come al numero di manici (o di buchi) di questa superficie.

Caratteristica di Eulero A questo punto possiamo introdurre la caratteristica di Eulero, un altro importante invariante topologico che permetterà di riformulare il teorema di classificazione delle superfici chiuse e connesse. Iniziamo a definire la caratteristica di Eulero di un poliedro Π come il numero

FSV +−=Π)(χ

dove V è il numero dei vertici, S è il numero degli spigoli ed F è il numero delle facce di Π.

Teorema. (Formula di Eulero) Per ogni poliedro Π semplicemente connesso (cioè senza buchi) la caratteristica di Eulero è χ(Π) = 2. Tutti i poliedri convessi sono semplicemente connessi (topologicamente equivalenti ad una sfera) e quindi per essi vale la formula di Eulero. Questo fatto permette di classificare i poliedri regolari, ossia i cosiddetti solidi platonici. Si può dimostrare che esistono solo cinque poliedri regolari: il tetraedro (V = 4, S = 6, F = 4, χ = 2), il cubo o esaedro (V = 8, S = 12, F = 6, χ = 2), l’ottaedro (V = 6, S = 12, F = 8, χ = 2), il dodecaedro (V = 20, S = 30, F = 12, χ = 2) e l’icosaedro (V = 12, S = 30, F = 20, χ = 2), rispettivamente corrispondenti ai poliedri che appaiono qui di seguito:

La caratteristica di Eulero di una superficie chiusa Σ è definita come la caratteristica di Eulero di una qualunque superficie poliedrale topologicamente equivalente a Σ. Si può dimostrare che la definizione è ben posta, ossia che χ(Σ) non dipende dalla superficie poliedrale utilizzata per calcolarla.

Teorema. La caratteristica di Eulero della somma connessa Σ1 # Σ2 di due superfici è

2)()()#( 212 −Σ+Σ=ΣΣ1 χχχ .

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Dimostrazione Fissiamo su Σ1 ed Σ2 una qualunque suddivisione poliedrale in modo che entrambe posseggano un n-agono. Formiamo la somma connessa di Σ1 e Σ2 rimovendo un n-agono da entrambe le superfici e incollando ciò che si ottiene lungo questo n-agono, facendo coincidere vertici e sipigoli. Allora si ha V(Σ1 # Σ2) = V(Σ1) + V(Σ2) - n, S(Σ1 # Σ2) = S(Σ1) + S(Σ2) - n, F(Σ1 # Σ2) = F(Σ1) + F(Σ2) - 2 e di conseguenza (Σ1 # Σ2) = (Σ1) + (Σ2) - 2.

� Il teorema precedente si generalizza immediatamente nel modo seguente. Teorema. La caratteristica di Eulero della somma connessa di k superfici è

χ(Σ1 # ∝ # Σk) = χ(Σ1) + ∝ + χ(Σk) – 2(k-1).

In particolare, se Σ1 = ∝ = Σk = Σ, allora si ha

χ(Σ # ∝ # Σ) = k χ(Σ) – 2(k-1).

Osservazione. Poiché per la sfera S e per il toro T si ha χ(S) = 2 e χ(T) = 0, per una superficie orientabile Tg = T # ≡ # T di genere g, ossia somma connessa di g tori, si ha

χ(Tg) = χ(T#g) = g χ(Τ) – 2(g-1) = 2 – 2 g. Analogamente, poiché per il piano proiettivo reale P si ha χ(P) = 1, per una superficie non orientabile Pk = P # ≡ # P, somma connessa di k piani proiettivi reali, si ha

χ(Pk) = χ(P#k) = k χ(P) – 2(k-1) = k – 2 k + 2 = 2 – k. Teorema. Per ogni g ρ 0 e per ogni k ρ 1, si ha

χ(T#g # P#k) = 2 – 2 g – k. Dimostrazione. Si ha

χ(T#g # P#k) = χ(T#g) + χ(P#k) – 2 = 2 – 2 g + 2 – k – 2 = 2 – 2 g – k. �

Il teorema di classificazione delle superfici chiuse e connesse può essere riformulato nel modo seguente. Teorema. (di classificazione delle superfici chiuse) Le superfici chiuse e connesse sono completamente caratterizzate, a meno di omeomorfismi, dalla caratteristica di Eulero e dall’orientabilità. Le uniche superfici chiuse con caratteristica di Eulero dispari sono non orientabili. Queste superfici si ottengono dal piano proiettivo reale attaccando un numero finito qualunque di manici, ossia sono tutte della forma P # T # ≡ # T. Le altre superfici non orientabili, ossia quelle con caratteristica di Eulero pari, si ottengono dalla bottiglia di Klein attaccando un numero finito qualsiasi di manici, ossia sono tutte della forma K # T # ≡ # T. Le superfici chiuse orientabili hanno invece sempre caratteristica di Eulero pari. Per concludere, vediamo qualche esempio.

• Che superficie si ottiene dalla somma connessa di un toro con di un piano proiettivo reale? Si ha una superficie non orientabile T # P con caratteristica χ(T # P) = χ(T) + χ(P) – 2 = -1.

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Poiché χ(P # P # P) = 3 χ(P) – 4 = 3 – 4 = - 1, la superficie T # P è topologicamente equivalente alla somma connessa di tre piani proiettivi reali, ossia T # P = P # P # P.

• Che superficie si ottiene dalla somma connessa di una bottiglia di Klein con un piano proiettivo reale? Si ha una superficie non orientabile con caratteristica χ(K # P) = χ(K) + χ(P) – 2 = -1.Quindi si ha K # P = P # P # P. Di conseguenza T # P = K # P, anche se il toro e la bottiglia di Klein non sono topologicamente equivalenti.

Utilizzando la caratteristica di Eulero abbiamo dimostrato queste proprietà con estrema semplicità, benché tali proprietà siano poco intuitive. Al fine di sviluppare l’aspetto intuitivo di queste situazioni può essere utile riottenere tali proprietà utilizzando la tecnica dei poligoni fondamentali. 5. Bibliografia e links Bibliografia

1. C. B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1982. 2. K. Jänich, Topologia, Zanichelli, Bologna 1994. 3. C. Kosniowski, Introduzione alla topologia algebrica, Zanichelli, Bologna 1988.

Letture

1. M. Gardner, L’ellisse, in “Enigmi e giochi matematici”, vol. 3, Sansoni, Firenze 1979. 2. M. Gardner, I cinque solidi platonici, in “Enigmi e giochi matematici”, vol. 2, Sansoni,

Firenze 1983. 3. M. Gardner, Strani modelli topologici, in “Enigmi e giochi matematici”, vol. 1, Sansoni,

Firenze 1983. 4. M. Gardner, Le bottiglie di Klein e altre superfici, in “Enigmi e giochi matematici”, vol. 5,

Sansoni, Firenze 1980. Links

1. Paper Strip Activities: http://www.cut-the-knot.org/do_you_know/paper_strip.shtml 2. 3D-XplorMath - Mathematical Visualization program: http://3d-xplormath.org/ 3. Virtual Math Museum: http://virtualmathmuseum.org/gallery4.html 4. JavaView - Interactive 3D Geometry and Visualization: http://www.javaview.de/ 5. 3D Graph Explorer: http://www.geocities.com/hirak_99/java/uvmodeller.html

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Per affrontare meglio gli studi universitari

Si consiglia di rafforzare le proprie conoscenze e competenze, rammentando i vari percorsi formativi svolti nel proprio itinerario scolastico: nulla è inutile e tutto costituisce un importante tassello irrinunciabile. … e questa considerazione vale per ogni materia!

Ogni volta che, a fronte di un esercizio/problema, vi ritrovate in difficoltà, cercate di inquadrare l’argomento e riprendere le conoscenze fondamentali, imparando ad applicarle adeguatamente.

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