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Quadrimestrale - Anno VII - n° 21 - aprile 2012 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO” La voce dell’ordine di Pistoia Rivista di informazione medica n. 21 aprile 2012 Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia

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IL RINNOVODEL CONSIGLIO DELL’ORDINE

Il risultato elettorale per il rinnovo del consiglio dell’Ordine del dicembre 2011 è stato caratterizzato dalla scarsa partecipazione dei colleghi e la cosa più preoccupante è stata la dimostrazione delle divisioni presenti all’interno della categoria.È stato riconfermato per 9/11 il Consiglio uscente e questo rappresenta un attestato di stima ed approva-zione per chi ha operato nell’ultimo triennio, ma per altro verso ha deluso le aspettative di rinnovamento.In un clima di contrapposizione vi è stata una netta affermazione delle donne medico che hanno raggiun-to una rappresentanza in seno al Consiglio pari a quella dei colleghi uomini.Oltre ad uno scarso interesse della maggioranza de-gli iscritti è mancato l’apporto dei giovani che non hanno colto l’occasione per organizzarsi elettoral-mente per inserire nuove forze.Nel nuovo Consiglio sono rappresentate tutte le ca-tegorie professionali con la presenza anche di molti pensionati che avranno il compito di traghettare ver-so il nuovo, forti dell’esperienza maturata nei man-dati precedenti. Un vero rinnovamento non si è concretizzato, ma sono convinto comunque che questo consiglio saprà lavorare con passione e competenza per il prossimo triennio, coinvolgendo i giovani che si dichiareranno interessati e disponibili a partecipare. Esistono motivi di incertezza e di preoccupazione per la situazione economico-politica generale che si riflette particolarmente sui giovani ma questo non deve essere causa di disaffezione verso le istituzioni mediche, ma al contrario deve spingere a superare le divisioni affinchè molti altri assumano ruoli di re-sponsabilità per le nuove sfide. I destini delle varie categorie mediche sono interdipendenti non esisten-do più separazione fra territorio ed ospedale.Qualunque considerazione si possa fare o qualunque ruolo si possa attribuire agli Ordini professionali, il dato obiettivo rimane questo: il Governo ha stabilito che gli Ordini rimarranno in essere e manterranno le loro funzioni fino ad una auspicata riforma della legge istitutiva. L’influenza che gli Ordini hanno sul-la previdenza, formazione professionale, certificazio-ni e potestà disciplinare dovrebbe indurre le nuove generazioni di medici ad occuparsi attivamente di questi importanti problemi senza delegare ad altri la soluzione dei tanti problemi che li riguardano.

EDITORIALE

Egisto Bagnoni Presidente dell’Ordine di Pistoia

La voce dell’ordine di PistoiaBollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pistoia; anno VI n. 21 – aprile 2012Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni, Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione NiccolaiReg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti

In copertina: Gavinana, monumento a Francesco FerrucciA sinistra: Gavinana, pieve di Santa Maria AssuntaIn ultima pagina: panorama di San Marcello Pistoiese

Sommario3 editoriale• Il rinnovo del consiglio dell’Ordine

4 CoMUNiCaZioNi• Corsi di aggiornamento

5 aGGiorNaMeNto SCieNtiFiCo• Il laboratorio di immunologia nella diagnosi delle malattie autoimmunosistemiche

8 lettera• L’Anatomopatologo moderno: medico morfologo-clinico

11 orGaNiZZaZioNe SaNitaria• Cure Palliative - Legge 38

12 attUalitÀ• È scoppiato il caso

13 liVello MiNiMo 15• I denti dei bambini (parte prima)

17 aGGiorNaMeNto SCieNtiFiCo• Fisiologia del tessuto adiposo: vecchie e nuove teorie

19 Med-news dalla letteratura internazionale• Bambini oggi, adulti domani

23 MediCiNa di tUtti, MediCiNa Per tUtti• Humanitarian Help for Poor People Onlus

25 ProbleMatiChe FUtUre• Medicina di genere: un nuovo approccio alla pratica clinica

27 ProbleMatiChe FUtUre• La storia dell’uomo e le malattie infettive

31 PaSSato e PreSeNte• La battaglia di Gavinana (3 agosto 1530)

C O M U N I C A Z I O N I

CORSI DI AGGIORNAMENTO I SEMESTRE 2012

ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRIVIALE ADUA 172, PISTOIA

SABATO 21 APRILE ore 8.30 Dott.ssa Deanna BellitiLa Medicina di Genere: un nuovo approccio per la pratica clinica(in corso di accreditamento)

SABATO 12 MAGGIO ore 9.00 Dott. Paolo PetrocelliL’audit clinicoCorso residenziale su materiale FAD della FNOMCEO12 crediti formativi

GIOVEDI’ 17 MAGGIO ore 21.00 Dott. Filippo FassioSeminario di allergologia(in corso di accreditamento)

GIUGNO (data da stabilire) Sicurezza dei pazienti e degli operatoriCorso residenziale su materiale FAD della FNOMCEO15 crediti formativi

CORSI DI AGGIORNAMENTO ANDI 2012

ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRIVIALE ADUA 172, PISTOIA

MARTEDI’ 22 MAGGIO ore 21.00 Gli impianti postestrattivi:una tecnica mini-invasiva

MARTEDI’ 16 OTTOBRE ore 21.00. Terapia dei difetti ossei vestibolari negli impianti post-estrattivi

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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA

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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

Dott. Filippo Fassio, SOD Immunologia e Terapie Cellulari - AOU Careggi - Firenze

Il laboratorio di immunologia nella diagnosi delle malattie autoimmunosistemiche

Nel campo dell’immunologia di laboratorio, gli auto-

anticorpi rivestono un ruolo di primo piano. La loro

identificazione nel siero del paziente fornisce al Medi-

co importanti informazioni ai fini della diagnosi delle

più comuni malattie autoimmuni sistemiche (MAIS) o

organo-specifiche. La presenza di autoanticorpi rivolti

verso antigeni nucleari costituisce, infatti, parte dei

criteri classificativi di molte MAIS.

Tuttavia, il continuo progredire delle conoscenze sul-

la natura degli autoanticorpi e sulla caratterizzazione

molecolare dei bersagli antigenici, nonché il prolife-

rare di nuove metodiche e sistemi analitici, possono

creare difficoltà nella richiesta del corretto test dia-

gnostico e nell’interpretazione del risultato da parte

del Medico.

La presenza di anticorpi anti-nucleari (ANA) è il re-

perto di laboratorio fondamentale per la diagnosi di

molte MAIS. L’immunofluorescenza indiretta (IFI) è

la tecnica più usata, per le sue caratteristiche di sen-

sibilità, facilità di esecuzione e basso costo; viene

eseguita su substrato costituto da linea cellulare di

epitelioma della laringe umano (cellule Hep-2) e la

concentrazione anticorpale è espressa come titolo (re-

ciproco dell’ultima diluizione ancora reattiva). ANA a

basso titolo (1:40 - 1:80) possono essere normalmente

presenti nel siero di soggetti sani, in particolare in gra-

Figura 1. Test ANA in immunofluorescenza, con differenti pattern di fluorescenza. In alto: pattern omogeneo (sinistra) e granulare o speckled (destra); in basso: pattern centromerico (sinistra) e nucleolare (destra).

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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

vidanza, nelle donne sopra i 40 anni, negli anziani e come epifenomeno senza significato clinico in alcune patologie (infezioni virali, sindromi neurologiche pa-raneoplastiche, epatopatie, neoplasie, ecc.). Si tratta nella maggior parte dei casi di autoanticorpi naturali, cross-reattivi verso numerosi antigeni microbici e ap-teni chimici ambientali. Per tale motivo, la maggior parte dei laboratori indica nel titolo 1:160 il cut-off di franca positività del test. La positività degli ANA permette inoltre l’identificazione di differenti pattern di fluorescenza (omogeneo, granulare o speckled, nu-cleolare, anti-centromero, citoplasmatico; figura 1) a loro volta associati con differenti specificità autoanti-corpali.

Gli anticorpi anti-DNA nativo a doppia elica (anti-dsDNA) sono altamente specifici per la diagnosi di LES, di cui costituiscono uno dei criteri diagnostici (ACR 1997). La metodica comunemente impiegata per questo test è l’IFI su Crithidia luciliae, un organismo monocellulare flagellato che presenta un voluminoso mitocondrio (chinetoplasto) contenente DNA nativo a doppia elica, dove si vanno a legare gli anticorpi anti-dsDNA. Anche in questo caso la concentrazio-ne anticorpale è espressa come titolo, partendo da una diluizione 1:10 (cut-off di positività per gli anti-dsDNA). Sono tuttavia disponibili anche metodiche immunoenzimatiche (EIA), che presentano buona sensibilità oltre al fatto di essere automatizzabili e di

Tabella 1. Utilità clinica dei principali autoanticorpi diretti contro antigeni nucleari.(1) Gli anticorpi anti-nucleo (ANA), in presenza di sospetto clinico di MAIS, costituiscono un test di primo livello dotato di elevatissimo potere predittivo negativo. La negatività degli ANA rende poco probabile la diagnosi di malattia autoimmune sistemica, fatta eccezione per artrite reumatoide e vasculiti sistemiche.(2) Gli anticorpi anti-DNA a doppia elica (anti-dsDNA) sono un marcatore altamente specifico per la diagnosi di LES, ed hanno una sensibilità superiore al 60%.(3) Gli anticorpi anti-nucleari estraibili (anti-ENA) sono un gruppo di autoanticorpi diretti verso numerosi antigeni nucleari. Sono di ausilio nella diagnosi di molte MAIS e nell’identificazione di particolari subset di malattia.

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fornire risultati quantitativi; tuttavia risultano essere meno specifiche rispetto alla metodica IFI.In presenza di un risultato ANA-IFI positivo, un mag-giore potere diagnostico e prognostico è ottenibile con la caratterizzazione delle specificità anticorpali dirette contro i diversi antigeni nucleari. La determinazione di anticorpi diretti verso gli antigeni nucleari estrai-bili (anti-ENA) è quindi utile per la diagnosi delle dif-ferenti MAIS (tabella 1). Poiché la varietà di autoan-tigeni bersaglio degli ANA è estremamente ampia, il pannello diagnostico anti-ENA dovrà necessariamente essere limitato a quelli di maggior interesse dal punto di vista diagnostico. Tra questi abbiamo:anti-SS-A/Ro, sono marcatori sierologici della sindro-me di Sjogren; possono essere riscontrati nel LES e, con prevalenza minore, in molte altre MAIS. Possono essere rivolti contro antigeni nucleari di 52 o 60 KDa (quest’ultimo poco espresso, e quindi spesso negati-vo, su cellule Hep-2). Questi autoanticorpi sono inol-tre responsabili del blocco atrio-ventricolare congeni-to, con un’incidenza di circa 1 su 20 figli di madri SS-A/Ro positive.• anti-SS-B/La, sono presenti in circa il 90% dei pa-zienti con sindrome di Sjogren primaria ed in una pic-cola parte dei pazienti con LES e sindrome sicca• anti-Sm, costituiscono un marcatore sieroimmuno-logico altamente specifico del LES, ma la loro sensi-bilità è modesta in quanto sono dimostrabili solo nel 20-30% dei casi.• anti-RNP o U1-snRNP, possono essere riscontrati in

AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

corso di LES (solitamente associati agli anti-Sm) oppure nei pazienti af-fetti da connettivite mista. • anti-nucleosomi, specifici per la diagnosi di LES con impegno renale, solitamente associati alla presenza di anti-dsDNA ma presenti anche in un sottogruppo di pazienti con LES e anti-dsDNA negativi.• anti-Topoisomerasi I (Scl-70), specifici per la sclerosi sistemica va-riante diffusa.• anti-Proteina B centromerica (CENP-B), specifici per la sclerosi sistemica variante limitata.• anti-Istidil-tRNA sintetasi (Jo-1), è uno dei marcatori sierologici della “sindrome da anticorpi anti-sinte-tasi”, che si caratterizza principal-mente per impegno reumatologico, interstiziopatia polmonare, miosite.Gli anticorpi anti-ENA possono esse-

re determinati in laboratorio con differenti metodiche, e mostrano scarsa tendenza a fluttuare nel tempo. So-litamente viene eseguito un test di screening immuno-enzimatico (ELISA) con un pool di antigeni, che può essere approfondito − in caso di positività − median-te test Immunoblot per i singoli autoanticorpi.In conclusione, il laboratorio di immunologia contri-buisce in maniera essenziale alla diagnosi delle MAIS. La ricerca degli autoanticorpi ANA, anti-dsDNA, anti-ENA costituisce un test di primo livello semplice, am-piamente diffuso ed affidabile, economico. Poiché la positività ANA a basso titolo può essere presente in una parte considerevole della popolazione sana, que-sti test presentano un basso potere predittivo positivo ed andrebbero richiesti solo in presenza di fondato sospetto clinico di MAIS. Al tempo stesso, una negati-vità di questi autoanticorpi è associata ad un elevato potere predittivo negativo nei confronti della diagnosi di MAIS, fatta eccezione per l’artrite reumatoide (dove i marcatori sierologici sono rappresentati dai fattori reumatoidi e dagli anticorpi contro peptidi citrullinati) e le vasculiti sistemiche (per le quali può essere uti-le testare la presenza di anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili − ANCA).

Bibliografia essenziale:Shoenfeld Y, Gershwin ME, Meroni PL. Autoantibo-dies, 2nd ed. Elsevier, 2007.

UTLIZZO DELLA IMMUNOFLUORESCENZA

INDIRETTA PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE

AUTOIMMUNI

di Ylenia Pancione

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LETTERA

Ho appreso dalla stampa locale di metà mese che presto a Pistoia sarà inaugurato il nuovo ospedale senza i locali per l’U.O. Anatomia Patologica. È vero che esistono ospedali che per questo servizio fanno capo ad altri meglio attrezzati, ma non capisco la necessità di costringere il Presidio ospeda-liero di Pistoia, dotato di questo importante servizio, a privarsene.Mi viene il sospetto che sia completamente mancata la programmazione strutturale nel progetto ingegneristico e che chi ha approvato il progetto dal punto di vista sanitario, anche se medico, o non conosce le problematiche assistenziali o le ha completamente trascurate per altri scopi. È certo che se quel che bolle in pentola si realizza succederanno sicuramente due cose. Ritardi di refertazione. Minore certezza diagnostica per la possibilità di deterioramento del materiale da studiare. Si, da studiare perché non esiste l’analizzatore nel quale collocarlo, come fosse una provetta, ed aspettare la risposta stampata dal computer.È bene ricordare sia ai progettisti ed ai loro consulenti che negli ultimi anni la medicina è cambiata. L’anatomia patologica da scienza morfologica è diventata anche clinica, pur non venendo sempre a contatto diretto con il paziente. Con le nuove tecniche diagnostiche (immunoistochimica, biolo-gia molecolare, ecc.) si sono verificati anche notevoli processi di trasformazione sia culturale che biologico-clinica con assunzioni di nuove e gravi responsabilità nell’indirizzo terapeutico di molte patologie oncologiche.L’anatomo patologo deve infatti riconoscere oltre alle variazioni morfologiche i processi molecolari particolarmente utili nel campo oncologico in generale ed ematologico in particolare (leggi classifi-cazione dei linfomi).Molti tumori maligni con manifestazioni cliniche simili e apparentemente morfologicamente omo-genei alla diagnostica per immagini, devono essere tipizzati dall’istopatologo in sottoclassi data la possibilità di “differenziazioni multi direzionali” della lesione in oggetto alle quali corrisponde una diversa prognosi e una diversa strategia terapeutica (basti pensare al carcinoma polmonare a piccole cellule, da differenziare dai linfomi e da trattare con chemioterapia e al carcinoma polmonare non a piccole cellule, che può essere squamo cellulare o adenocarcinoma con le sue molteplici varianti suscettibili di terapia chirurgica e chemioterapica, senza parlare della radioterapia). L’istopatologo quindi deve essere messo in condizioni di poter dialogare con il chirurgo ed il radiologo nel più breve tempo possibile: è passato il tempo della barzelletta che l’anatamopatologo è quello che sa tutto e diagnostica tutto ma arriva sempre troppo tardi.Per rispondere nel migliore dei modi alle esigenze sopra esposte occorre che al Servizio di Anatomia Patologica arrivi direttamente dalla sala operatoria o dall’ambulatorio il materiale fresco, compreso quello citologico, non manomesso o mal fissato con cellule coartate e margini di resezione chirurgica retratti, per non pregiudicare la completezza ed affidabilità della successiva diagnosi sulla quale si baserà la prognosi e la giusta terapia.L’anatomo patologo non è omnisciente, da solo non può sempre stilare una netta e precisa diagnosi sulla sola base della caratteristica morfologica osservata. Esistono infatti numerose sfumature sulle quali giuoca un ruolo importante l’esperienza e la cultura specifica dell’operatore. Ciò è partico-larmente importante nella diagnostica estemporanea quando si tratta di “patologia rara” e nelle lesioni “border line” nelle quali i parametri morfologici non sono sempre facilmente riconoscibili. Inconvenienti ai quali solo la rapida consultazione reciproca fra specialisti della stessa materia può ovviare.Questi sono i motivi per i quali dagli anni 90 è entrata in uso la richiesta di un “secondo parere” sui preparati sia cito che istologici dal momento che spetta all’anatomo patologo la definizione esatta

L’Anatomopatologo moderno: medico morfologo-clinico

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera del collega Giancarlo Bartolini

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LETTERA

della lesione in oggetto a fini terapeutici e prognostici. Non si tratta di trascrivere un dato numerico che esce da un analizzatore, ma di un ragionamento circostanziato e perfettamente compiuto.Con queste premesse, credo inconfutabili, e con tutto l’impegno che la Regione Toscana ha profuso nei corsi sulla prevenzione del “Rischio Clinico” e sui concetti preliminari di pericolosità rappre-sentati da metodi e pratiche potenziali cause di errore, confesso di essere rimasto particolarmente colpito che nella nuova struttura ospedaliera, dotata di ben tredici sale operatorie, non sia previsto un adeguato locale per il Sevizio di Anatomia Patologica completo. Non può corrispondere alle esi-genze moderne alle quali ho sopra accennato un semplice locale mini attrezzato con chiamata di volta in volta di un tecnico ed un medico da allontanare dalla sede del Servizio, magari anche senza supporto di appropriati testi specifici.Alla faccia del da più parti richiesto contenimento dei tempi di risposta diagnostica e della tanto decantata, giustamente, “Prevenzione del Rischio Clinico”!

Giancarlo BartoliniFirenze 28 novembre 2011

Gavinana

Gavinana, targa sulla Capanna Ferrucci

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ORGANIZZAZIONE SANITARIA

Cure Palliative - Legge 38

Le Cure Palliative trovano una loro definizione nel 1987 in Inghilterra quando si istituisce la specializ-zazione universitaria “Medicina Palliativa”, rappre-sentata dallo studio e dalla gestione dei pazienti con malattia avanzata, in progressione con prognosi limi-tata. L’assistenza è focalizzata al miglioramento della Qualità di Vita; nel 1990 l’OMS definisce le Cure pal-liative “L’assistenza globale attiva ai Pazienti affetti da malattia non guaribile” e l’obiettivo principale è il controllo del dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali.Esistono malattie inguaribili ma non malati incurabili e in queste situazioni è necessario il massimo di at-tenzione verso le persone e il mondo di affetti che le circondano.Nel nostro paese, nonostante i ritardi culturali sulle Cure Palliative, si può usufruire di servizi che pos-sono essere erogati sia a domicilio che in ospedale, oppure in Hospice.In questo contesto, da più di un anno è stata emanata dal Parlamento della Repubblica la legge 38 che san-cisce il diritto del cittadino ad avere adeguate Cure Palliative e Terapia del Dolore. Senza dubbio è una grande conquista che dà voce alla sofferenza di tanti malati e impegna le istituzioni sa-nitarie ad erogare servizi di qualità in questo ambito di cura. La legge infatti fissa le modalità di erogazione dei sevizi indicando la necessità di una Rete di Cure Palliative che garantisca continuità assistenziale a questi soggetti.Accanto all’aspetto tecnico, la filosofia della pallia-zione ha riposto un’importanza fondamentale negli aspetti relazionali, quali l’attenzione alla persona, il rispetto della sua autonomia e la ricerca di condivi-sione nelle scelte terapeutiche in un contesto di con-sapevolezza.Altro elemento di fondamentale importanza è il lavo-ro di Equipe multi professionale: soltanto con la pre-senza di comunità terapeutiche dedicate e formate a tale scopo è possibile rispondere ai bisogni non solo fisici ma anche psicologici, sociali ed spirituali della persona malata e della sua famiglia.La legge infatti prevede percorsi formativi per il perso-nale medico, infermieristico e di altre professioni che

si occuperanno delle Cure Palliative.Non è un caso che si parli di Cure Palliative e non soltanto di Medicina Palliativa, in quanto l’orizzonte e la filosofia da cui nasce il movimento Hospice è quello della globalità dell’intervento e della pluralità di attori sanitari e non, che si dedicano alla assistenza dei pa-zienti in fase avanzata di malattia.La Rete di assistenza, come già in parte prevedeva la legge 39/99 e la delibera Regionale 996/2000, si arti-cola nelle seguenti linee organizzative differenziate e nelle relative strutture dedicate alle Cure Palliative:• assistenza ambulatoriale • assistenza domiciliare integrata • assistenza domiciliare specialistica Ricovero Ospe-daliero in regime ordinario o Day Hospital • assistenza in Hospice in residenzialità o Day Ho-spiceNon vi è dubbio, come già accennato, che la cultura della palliazione è ancora in fase di sviluppo nel no-stro paese ma rappresenta un nuovo paradigma della medicina moderna che si interroga sull’idea neo posi-tivistica della sua onnipotenza e richiama il concetto di finitezza della vita.Il cammino è comunque ancora impervio. Non a caso, quando si ricorre alle Cure Palliative, spesso lo si fa solo nelle ultimissime fasi di malattia mentre i pazien-ti e le loro famiglie potrebbero avvalersi dei servizi molto prima.Ormai è superato il vecchio concetto che vedeva una separazione fra le cure volte alla guarigione e le Cure Palliative nella fase avanzata di malattia quando l’in-tervento causale non trova più ragione di esistere.Oggi il modello è quello della implementazione fra terapia causale e palliazione in quelle patologie che possono essere infauste quali, senza dubbio, il tumo-re ma anche patologie degenerative come la Sclerosi Laterale Amiotrofica.Anche il ricovero in Hospice deve essere considerato un’opportunità assistenziale nelle varie fasi della ma-lattia e quindi una struttura, reale nodo di quella Rete che deve garantire continuità di cura con la partecipa-zione di vari attori sanitari, medici di famiglia, Onco-logi e/o Neurologi, Palliativisti, Infermieri, Psicologi, Fisioterapisti.

Dott. Luca Lavacchi, Direttore UF Cure Palliative Hospice “La Limonaia”Vania Poli, Coordinatrice Continuità Assistenziale e Rete di Cure Palliative

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ATTUALITÀ

La situazione penosa che è stata evidenziata dalla Commissione Parlamentare nel pronto soccorso del Policlinico Umberto Primo di Roma ha creato scon-certo, sorpresa e scandalo a vari livelli, ma non certo agli addetti ai lavori.La situazione in cui versa il pronto soccorso di uno dei più grandi ospedali della capitale non è molto di-versa da quella di molti ospedali regionali o di di quel-li di molte città grandi o piccole che siano.Il problema è stato denunciato da molte parti in tempi non sospetti, ma i responsabili hanno sempre rispo-sto, anche con senso di fastidio, che il progetto e l’or-ganizzazione erano giusti e che vi era solo la necessità di potenziare strutture e personale.Gli investimenti sono stati fatti, sia in strutture che in risorse umane e nonostante il miglior impegno di medici ed infermieri non sono stati ottenuti grandi ri-sultati pratici. Non è possibile centrare l’obiettivo perché ogni anno aumentano in modo esponenziale gli accessi con ri-chieste improprie crescenti. Stime attendibili dicono che le emergenze e le urgen-ze vere che afferiscono ai pronti soccorso non supera-no il 40% del totale degli accessi. Gli eventi contrari che si determinano in questo si-stema organizzativo tendono a colpevolizzare ora i medici di famiglia, ora la continuità assistenziale e molto spesso i professionisti che lavorano in queste strutture.Esiste però una costante in tutte queste vicende: l’av-viso di garanzia arriva sempre ad un medico che sia il direttore del pronto soccorso oppure il direttore sani-tario dell’ospedale.È evidente che i Magistrati considerano i medici re-sponsabili della gestione e dell’organizzazione dei servizi. Conseguentemente da questi professionisti dovrebbe partire la proposta del superamento di questo modello che non risponde più ai criteri di appropiatezza. Fino ad oggi si è chiesto troppo al pronto soccorso,non è possibile dare risposte di livello anche a problemi ba-nali che non rivestono i caratteri di urgenza. In mol-te regioni si è preso coscienza del problema e si va facendo strada l’idea di attrezzare il territorio per ri-

È scoppiato il caso

spondere alla domanda di salute crescente facendo da filtro per l’ospedale. Credo che l’affidamento dei codici minori alla medici-na territoriale rappresenti l’arma vincente per rende-re al pronto soccorso ospedaliero il ruolo primario di presidio per le emergenze e le urgenze non differibili.Non è più possibile continuare a copiare modelli stra-nieri che male si adattano alle nostre realtà .Se l’imperativo è quello del risparmio, facciamolo at-traverso scelte ponderate condividendo con le istitu-zioni e con le parti sociali gli obiettivi e le priorità.In questo senso si è mossa la Toscana con l’accordo fra Regione e Fimmg per la realizzazione delle AFT (aggregazioni funzionali territoriali) dove medici di medicina generale opereranno insieme alla Continuità assistenziale nell’arco delle 24 ore. Auguriamoci che arrivino i fondi necessari per queste realizzazioni sul territorio.

Egisto Bagnoni

Gavinana: capanna di Francesco Ferrucci (luogo in cui fu assassinato)

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SChedA dI LIveLLo mInImo n°15Pierluigi Benedetti

LIVELLO MINIMO

I DENTI DEI BAMBINI (parte prima)

Queste righe si rivolgono ai Colleghi Medici non Odontoiatri e, fra di essi, in particolare, ai Pediatri. Per gli specialisti del settore, potranno rappresentare un sommesso invito a riflettere su quanto sia integra-to e complesso l’apparato su cui operano, e di conse-guenza di quanto l’intervento del Medico deve essere discreto e responsabile, trattandosi di soggetti in età evolutiva.

La dentatura decidua, che si completa intorno ai due anni e mezzo, ha un significato e un’importanza che vanno ben al di là della sua vitale funzione ma-sticatoria, perché una dentatura decidua sana e fisio-logicamente evoluta, permette e guida l’eruzione dei denti di sostituzione e dei molari.Cioè, detto in altre parole, una dentatura decidua “sana” è la miglior garanzia per avere una dentatura definitiva sana, stabile e funzionale per tutta la vita.Purtroppo la dentatura decidua dei nostri bambini, all’inizio della permuta nel sesto anno di vita, di rado si trova in queste condizioni: spesso più di un dente presenta lesioni cariose, le basi scheletriche mascellari sono in ritardo nella loro evoluzione e la masticazione e la deglutizione risultano ipoevolute rispetto all’età.La causa più importante di tutto questo è riferibile all’alimentazione moderna: i bambini mangiano cibi troppo morbidi e troppo ricchi di zuccheri, cibi che non hanno bisogno di essere masticati a lungo e che, essendo molto ricchi di calorie, coprono i fab-bisogni energetici con poco impegno dei denti, dei muscoli e delle ossa dell’apparato stomatognatico. L’effetto conseguente, per questi ultimi, è un ritardo del loro naturale sviluppo, in mancanza degli stimoli fisiologici necessari. N.B. Nelle realtà più povere del mondo va peggio, perché i bambini di quei paesi soffrono di gravi de-ficit nutrizionali e di una quasi assoluta mancanza di presidi igienici (per esempio la scarsità di acqua).Esiste un numero ridotto di alterazioni della denta-tura in cui la causa non è riconducibile alla “dieta

moderna”: sono i casi secondari a difetti genetici più o meno importanti, a malattie organiche complesse, ad esiti di interventi chirurgici ecc. In questi casi la dieta, per necessità in certi casi, poco consistente, pur non essendo il fattore eziologico principale del-le alterazioni della dentatura decidua e/o definitiva, contribuisce al loro aggravamento.

La dentatura decidua dei bambini dell’età della pietraDurante la Preistoria il bambino viveva, fino all’età di circa due – tre anni, del latte della madre, con la quale aveva un rapporto fisico strettissimo: viveva continuamente a contatto con lei, che se lo portava dietro nei frequenti spostamenti del gruppo e quando raccoglieva il cibo.Nelle tribù di cacciatori le donne procuravano circa l’80% delle calorie della dieta del gruppo racco-gliendo bacche, frutta, foglie, funghi e scavando tuberi e radici; oltre a integrare i vegetali raccol-ti con insetti, larve e piccoli animali come rane e uova di rettili e di uccelli ecc.

L’allattamento durava più o meno tempo a seconda delle disponibilità alimentari della tribù: se il cibo era scarso l’allattamento si protraeva più a lungo, perché la madre impiegava più tempo per riacquista-re peso sufficiente (cioè scorte di grasso) per portare avanti una nuova gravidanza.Quindi, in tempi di carestia, il bimbo veniva svezzato più tardi e aveva una dentatura più completa, che gli permetteva una masticazione efficace del poco cibo a disposizione; se c’era abbondanza, lo svezzamento avveniva prima e il bimbo, che aveva più cibo a di-sposizione, si poteva arrangiare con una dentatura ancora incompleta.In ogni modo, quando per il nostro piccolo Homo Sapiens, arrivava il terribile momento, in cui la madre gli negava il latte per riserbarlo al fratellino appena nato, se era deciso a non morire di fame, doveva darsi da fare sul serio; e, contendendo il cibo

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LIVELLO MINIMO

agli altri fratelli più grandi e non meno affamati di lui, doveva cercare di mangiare il più possibile. Mangiava di tutto, seguendo la madre nella raccolta del cibo; e da lei imparava a distinguere fra le foglie, le radici, le erbe e i frutti delle piante: quelli buoni da quelli “cattivi”e velenosi; vedeva come si poteva far fuggire le formiche dai loro formicai, per cercare, rufolando nella terra, in fondo alle gallerie abbando-nate dagli insetti, le loro dolcissime larve; imparava molte altre cose, indispensabili per crescere in un am-biente tanto duro e “ inconcepibile” per l’uomo delle società moderne ed “evolute”.Nella dieta del bambino, oltre a tutto quello che si è detto, entrava anche un altro elemento, fondamenta-le per l’evoluzione del suo apparato stomatognatico e in particolare dei suoi denti: la silice, cioè la terra e la sabbia.La silice insieme alla durezza e alla consistenza dei cibi giocava un ruolo fondamentale nell’evoluzio-ne dell’apparato stomatognatico.Il bimbo, mangiando di tutto e di continuo, consuma-va molto presto, per l’intensa abrasione, le superfici occlusali dei denti, fino ad avere due arcate quasi completamente “piatte”, che scivolavano, durante la triturazione del cibo, l’una sull’altra. L’efficienza ma-

sticatoria non diminuiva, perché con lo spianamen-to dei denti, cambiava il modo di masticare: da un tipo di masticazione simile a quello che comunemen-te consideriamo normale, cioè con movimenti molto scarsi in lateralità, passava a un tipo di masticazione in cui, come negli erbivori, prevalevano i movimenti di lateralità: il cibo veniva ridotto in piccoli frammen-ti facendo scivolare in senso latero-laterale l’arcata inferiore sulla superiore e sbriciolando anche le fibre più dure del cibo fra i margini dei denti. Questi, pri-vati dello smalto superficiale della corona, mantene-vano un taglientissimo bordo smalto-dentinale, con-tinuamente affilato per lo sfregamento latero-laterale dei denti antagonisti.Quasi identico è il modo in cui gli animali erbivori, come le mucche, gli elefanti ecc., masticano anche i vegetali più duri.Per tutti questi motivi, a circa quattro anni, i denti del bambino, così consumati, non erano più “ingra-nati” fra di loro (come quando si erano disposti dopo la loro eruzione); e le ossa mascellari, libere dall’in-granamento dei denti, potevano crescere in tutte le dimensioni per prepararsi ad accogliere i denti di so-stituzione di dimensioni a volte anche doppie rispetto al corrispondente deciduo.

Savana africana

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Si arrivava così all’inizio della permuta (sesto anno) con dentini quasi completamente consumati per l’abrasione e ben distanziati fra di loro per la cre-scita completa delle ossa, in cui erano impiantati (diastemi preeruttivi); condizione questa che mette-va al sicuro dagli affollamenti dentali. Esattamente l’opposto di quello che si verifica, quasi sempre, nei bambini moderni, che hanno denti non abrasi, con superfici intatte e tenacemente ingranate fra di loro, quando il bambino stringe i denti.È bene ribadire questo dato di fatto, che risulta dai reperti fossili: la dieta “naturale” dei bambini prei-storici, determinando un’abrasione accentuata delle superfici dentarie, permetteva la crescita delle ossa mascellari, libere dall’ingranaggio dei denti. In questo modo veniva eliminato il rischio delle ma-locclusioni, in particolare degli affollamenti. Inoltre un’assenza assoluta di cibi ricchi di zuccheri raffinati, impediva l’insorgenza della carie.

La dentatura decidua dei nostri bambiniLe cose sono cambiate dalla Preistoria, ma fino a non molto tempo fa, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, erano relativamente poche le dif-ferenze apprezzabili dal punto di vista della denta-tura dei bambini.È un dato di fatto che la scomparsa completa della silice dall’alimentazione moderna si è verificata da non molti decenni, con il passaggio dalla macinatura dei cereali nei mulini “a pietra” alla macinatura nei moderni mulini “a cilindri”.Nelle farine moderne è sparita la silice e con essa è scomparsa l’abrasione dentale “fisiologica” della dentatura decidua (e permanente).Facilmente si comprende, quindi, che l’alimenta-zione “moderna”, fatta di cibi “morbidi”, che non provocano abrasione dentaria ed espongono i denti a sostanze artificiali (zuccheri raffinati), facilmente fermentabili dalla flora batterica orale, determina nell’apparato stomatognatico danni di diverso tipo, divisibili in due gruppi.A) Alterazioni che riguardano direttamente i denti:1) Carie, cioè la distruzione del tessuto duro del dente (se l’igiene non è sufficiente).2) Malocclusioni, cioè alterazioni nella corretta di-sposizione dei denti definitivi, nella fase della denta-tura mista ed in quella permanente.B) Alterazioni non direttamente riguardanti i denti, ma correlate ad essi:

1) Ritardo nello sviluppo della funzione alimentare (deglutizione infantile, che si protrae oltre lo svez-zamento, e conseguenti discinesie labio-linguali); 2) Un alterato sviluppo della funzione respiratoria nasale (respirazione orale abituale), per iposvilup-po del mascellare superiore;3) Abitudini “viziate” (ad esempio il succhiamento del dito o di altro, bruxismo (?), serramento ecc.), sulla genesi delle quali si potrebbe parlare a lungo.Queste alterazioni si ripercuotono direttamente sul-la morfologia dei mascellari e di conseguenza sulla morfologia del terzo medio e inferiore della faccia, cioè possono incidere notevolmente sull’aspetto del volto del bambino prima e dell’adulto poi.

Sia chiaro che la dieta moderna non deve essere criminalizzata, “tout court”.Si sa bene che, quando in una popolazione del mon-do l’abrasione dei denti decidui e permanenti spari-sce, contemporaneamente si abbassa la mortalità in-fantile e le malattie infettive diventano meno diffuse e meno micidiali.Premesso quanto sopra ed essendo chiaro che non si può far mangiare ai nostri bambini cibi non più accettabili per la loro grossolanità e durezza, è cer-to che, per quanto riguarda “i denti”, come per al-tre situazioni legate a una vita “migliore” rispetto al passato, la situazione non deve essere accettata passivamente.Cercare di capire i meccanismi patogenetici di queste alterazioni è il primo passo per individuare i possi-bili rimedi, in questo caso, almeno in parte, facili da mettere in pratica.

Considerazione finale (dedicata soprattutto ai Pe-diatri)Quanto è stato detto a proposito delle differenze fra la dieta dei bambini di una volta ed i bambini “mo-derni”, può essere motivo di riflessione sul fenome-no del bruxismo notturno dei bambini nella fase della dentatura decidua.Non è raro che genitori di bimbi anche molto picco-li, riferiscano, con una certa apprensione che il loro bambino, mentre dorme, “scricchiola” i denti, cioè, come si dice in linguaggio medico, “bruxa”. Nessuno fino ad ora ha saputo trovare una spiega-zione esauriente per questo fenomeno, che, si noti bene, è di natura benigna e, di solito non dura per moltissimo tempo.

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È suggestivo ipotizzare che questo comportamen-to potrebbe essere un tentativo per compensare lo scarso ed insufficiente uso che il bambino fa della propria dentatura, data la natura del cibo “moder-no”, troppo facile da triturare e che, per il suo alto contenuto in calorie, impegna per un tempo insuffi-ciente i denti, i muscoli masticatori e le ossa su cui si inseriscono.Con il bruxismo notturno, il sistema stomatognatico tenterebbe (di solito con scarso successo) di ripro-durre le condizioni fisiologiche necessarie per il suo normale sviluppo; cioè cercherebbe di consumare le cuspidi dei dentini di latte, che ingranandosi troppo strettamente fra di loro in occlusione, impediscono la crescita delle ossa (mascellari superiori e mandi-bola).

LIVELLO MINIMO

Queste ossa, infatti, a sei anni dovrebbero essere cre-sciute a sufficienza per accogliere i denti permanen-ti, i quali sono tutti, meno uno, di dimensioni molto più grandi dei denti di latte, che, cadendo, lasciano loro il posto. Ricordiamo ancora che bruxismo notturno, in den-tatura decidua, viene considerato un fenomeno di natura benigna ed autolimitantesi, senza lasciare, di solito alcuna conseguenza (Jeffrey P. Okeson); ben diverso dal bruxismo dell’adulto, fenomeno, in molti casi, di estrema complessità eziopatogenetica e spes-so con aspetti patologici di rilievo.Nel prossimo Bollettino l’argomento sarà ripreso, par-lando ancora dei denti di latte e del bruxismo not-turno dei bambini, così detto benigno dagli Autori Americani.

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Quasi fino agli ultimi anni ottanta il tessuto adipo-so era ritenuto poco rilevante nell’omeostasi generale dell’organismo. Le sue funzioni conosciute, legate ai due tipi cellulari che costituiscono il tessuto, pur im-portanti, si consideravano abbastanza limitate.a) Una funzione meccanica. Infatti, riveste i nervi, i

vasi, i muscoli e funge, in base all’età e al sesso, da cuscinetto in varie parti del corpo: nel tessuto sottocutaneo, nelle regioni addominali, nel gluteo femorale e a livello mammario.

b) Una funzione termo stimolante e termogenetica, che consente di non dissipare il calore prodotto dall’organismo.

Questa funzione è tipica degli adipociti bruni, cel-lule con grandi mitocondri e gocce di trigliceridi sparse nel citoplasma. I loro mitocondri si caratte-rizzano per la presenza di una sostanza proteica “ PROTEINA 1” che induce termogenesi ed è in grado di dissipare energia sotto forma di calore.

c) Infine una funzione di produttore di energia per le altre cellule dell’organismo, da parte degli adipociti bianchi: le cellule più numerose che sono, di fatto, depositi di molecole ad alta energia. Quando l’orga-nismo ha bisogno di energia sotto forma di lipidi,

negli adipociti si attiva la lipolisi e i trigliceridi sono idrolizzati a glicerolo e ac. grassi insaturi (N.E.F.A.).

I NEFA sono trasportati ai tessuti legati all’albumina, ove si ossidano a formare energia.Questo fino a pochissimi anni fa, circa la fine degli anni novanta. Da allora il tessuto adiposo ha assunto un ruolo estremamente importante, di tipo secretorio, che si esprime attraverso il rilascio in circolo di so-stanze con funzioni simil ormonali, le “adipochine” che hanno a livello sistemico ruoli molto incisivi: con-trollo del bilancio energetico, del comportamento ali-mentare, dell’apporto calorico, della disponibilità di glucosio, della spesa energetica, e molto altro.Il tutto cominciò con la scoperta, alla fine degli anni 80, della “adipsina” una sostanza affine al comple-mento, regolatrice fondamentalmente della quantità di tessuto adiposo dell’organismo.La sua affinità con il sistema del complemento lasciò, fino da allora , intendere l’importanza del tessuto adi-poso anche nel sistema immunitario e soprattutto nel sistema dell’infiammazione.La scoperta della “leptina” nel 1994 ha portato la de-finitiva consapevolezza che il tessuto adiposo ha una fondamentale funzione endocrina con effetti molto

Fisiologia del tessuto adiposo: vecchie e nuove teorieIone Niccolai

AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

Gavinana: abside della chiesa

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importanti nell’omeostasi dell’organismo e nella rego-lazione del metabolismo energetico.Da allora il numero delle “ADIPOCHINE”, che sono state scoperte e ben documentate nelle loro funzioni, è salito moltissimo, e delle principali siconosce ormai il ruolo, profondamente incisivo su molte funzioni me-taboliche.Con certezza alterazioni quantitative di queste sostan-ze determinano le maggiori complicanze dell’obesità e della “Sindrome Metabolica”.Tra queste, quasi tutte di natura proteica, le più impor-tanti sono la leptina e l’adiponectina, ma ne sono state scoperte molte altre tra cui la resistina e la visfatina, per citare le più recenti, e tutte svolgono, come già det-to, funzioni sul metabolismo energetico, sul trasporto lipidico, sull’infiammazione, ma anche sullo sviluppo neuronale e vascolare.Occupiamoci brevemente delle principali e più studiate che sono adiponectina e leptina, ambedue fondamenta-li per il corretto funzionamento del metabolismo ener-getico.La leptina esercita i suoi effetti sul bilancio energetico, ma anche sulla funzione riproduttiva e sulla regolazio-ne plastica neuronale regolando funzioni ipotalamo- ipofisarie attraverso recettori specifici.Riduce l’appetito inducendo senso di sazietà.I suoi livelli plasmatici sono aumentati nell’obeso, dove sembra determinarsi uno stato di “leptino resistenza”. L’adiponectina è una delle proteine più attivamente

AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

secrete dagli adipociti e nel sano i suoi livelli sono piuttosto alti.Sensibilizza l’organismo all’insulina modulando l’in-sulino -sensibilità.Nei pazienti obesi, i livelli di adiponectina circolante sono nettamente diminuiti, e questo causa ridotta sen-sibilità all’insulina.Bassi livelli di adiponectina si associano anche ad au-mentato rischio di diabete dovuto alla diminuita capa-cità di utilizzazione periferica del glucosio.Un’altra proteina scoperta abbastanza recentemente è la visfatina.Questa sembrerebbe avere azione insulino simile e quindi la sua alterazione potrebbe causare obesità e insulino resistenza.Lavori molto recenti associano la visfatina anche al metabolismo del colesterolo HDL di cui potrebbe es-

sere un modulatore.

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San Marcello Pistoiese

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mednews dalla letteratura internazionalea cura di Gianna Mannori

Bambini oggi, adulti domaniLe origini precoci delle malattie

In un numero precedente di questo giornale venne fatto un confronto fra le grandi patologie delle aree del mondo ad alto te-nore di vita rispetto a quelle che si riscontrano nei paesi segnati dal marchio della povertà. In quelle pagine, un impassibile occhio satellitare scansionava la Terra durante la notte e registrava la luce prodotta dall’uomo per mezzo dell’energia elettrica. Nell’immagine del planisfero notturno, aree di luce e di buio si alternavano sulla superficie del pianeta con una distribuzione che solo in parte disegnava la geografia dei continenti e tracciava, piuttosto, la mappa del benessere degli abitanti: maggiore la ricchezza di una regione, più intensa e brillante era la luce emanata. Su quell’immagine terrestre si indagava la diffusione delle malattie, dall’oscura Africa subsahariana alla costa scintillante della California. Le differenze nella quantità di luce erano tante ed enormi; ma ancora maggiori, e sconcertanti, erano le disparità fra le patologie prodotte dalla privazione e quelle generate dall’abbondanza, fra gli effetti della disperata mancanza di risorse e quelli dell’eccesso di ogni bene materiale.Fra le tante diversità, però, emersero anche somiglianze. Risultò che le malattie provocate dall’abuso alimentare, dilaganti nel primo mondo, erano presenti anche nei paesi poveri: paradossalmente, la mappa mondiale della fame presentava contorni quasi sovrapponibili a quelli dell’obesità. E non solo. Anche l’ipertensione, il diabete, le malattie cardiovascolari apparivano infiltrare le aree della povertà, esasperandovi il dramma della privazione: come se, nelle zone buie del pianeta, non fossero sufficienti le

sofferenze inflitte dalla carenza di tutto ma fosse necessario portare anche il fardello degli effetti della falsa ricchezza.La spiegazione di questo paradosso appar-ve evidente. L’ipotesi era che un’esporta-zione incontrollata degli stili di vita dell’Oc-cidente producesse un condensato di be-nessere facile ma fittizio, origine di dispa-rità culturali, tensioni sociali, squilibri fisici: fino a generare condizioni di malattia. Ma non è questa l’unica causa possibile. Dietro all’epidemia mondiale dell’obesità e delle patologie croniche a questa correlate si trovano, forse, altri motivi, più profondi e sottili della semplice adozione di modelli di vita sconsiderati. I protagonisti di queste malattie, nel primo come nel terzo mon-do, potrebbero essere piccoli codici scritti nelle triplette del DNA, messaggi genetici sprofondati nelle cellule del feto che ope-rano in silenzio e, dentro l’utero materno, programmano la struttura metabolica dell’organismo futuro, quella dell’adulto che verrà. Codici uguali per tutti, che non distinguono fra il ricco e il povero ma solo fra ambiente di salute e ambiente di ma-lattia.Pablo Picasso, Mother and child, 1901. Harvard Art Museum, Cambridge, MA

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MEDnewsdalla letteratura internazionale

L’ipotesi di Barker Verso la fine degli anni novanta un epidemiologo britannico pro-pose un’idea che al momento apparve difficile da accettare nel-la sua novità e che, ancor oggi, è fonte di discussione scientifica. Studiando grandi campioni di popolazioni europee e statuniten-si, David Barker si rese conto che esisteva una correlazione fra rischio di insorgenza di obesità e peso neonatale: la probabilità di sviluppare un eccesso ponderale negli anni della maturità era più elevata nei soggetti che alla nascita avevano presentato un peso inferiore alla norma. Quest’osservazione fu in seguito estesa ad altri gruppi di studio e fu valutato il rischio di insulino resistenza, diabete tipo 2 e ma-lattie cardiovascolari: tutte queste patologie risultarono ugual-mente correlate con un basso peso neonatale. Risultati analoghi furono riscontrati quando l’analisi fu applicata a popolazioni con stile e tenore di vita diversi da quelli occidentali, come ad esem-pio gli abitanti dell’India.In anni più recenti Barker affinò ulteriormente la sua ipotesi e cercò correlazioni non solo con il peso alla nascita ma anche con l’accrescimento conseguito durante tutto il periodo infantile. Emerse che il rischio più elevato di sviluppare malattie cardiova-scolari era in quei soggetti che erano nati sottopeso ma avevano recuperato completamente il difetto di crescita iniziale, fino a raggiungere valori normali al termine dell’infanzia. Il recupero avveniva in tempi piuttosto brevi e, di conseguenza, tutti questi individui andavano incontro a un accrescimento intenso e rapi-do. La conclusione di questi studi fu che, agli effetti del rischio cardiovascolare, non era tanto importante il valore ponderale raggiunto alla fine della crescita quanto la rapidità con cui i sog-getti prendevano peso durante i primi anni di vita (vedi figura). Da queste osservazioni nacque l’ipotesi che l’obesità e le sue complicanze potessero avere origine in età molto precoci dello sviluppo: addirittura, durante la vita intrauterina. Un’ipotesi ricca di implicazioni e di grande utilità per capire la diffusione del-

le malattie croniche in ambienti e contesti di vita tanto diversi come il primo e il terzo mondo.

di madre in figlioCentrale nell’ipotesi di Barker è l’idea che il microambiente meta-bolico e ormonale cui viene esposto il feto nell’utero sia determi-nante per la formazione dell’organismo adulto. È noto che all’origine del sottopeso neonatale esiste sempre un’anomalia nell’ambiente placentare, consistente nella carenza di nutrienti disponibili per la crescita fetale. Secondo l’ipotesi di Barker, questo deficit nutrizionale influenzerebbe la struttura me-tabolica del feto, stimolandolo a sviluppare un assetto mirato alla conservazione delle risorse nutritive pur di garantire la propria sopravvivenza. Il feto crescerebbe all’insegna metabolica della “frugalità”, dell’ottimizzazione dei meccanismi di consumo e della riduzione degli sprechi, per riuscire a portare a termine il proprio sviluppo in un microambiente non idoneo a soddisfare le richieste energetiche.Dalla nascita in poi, la situazione nutrizionale dell’organismo cambia in modo radicale e la crescita del neonato viene a dipen-dere da risorse ambientali diverse rispetto a quelle fornite dalla placenta. Se durante l’infanzia il bambino si trova a vivere in una situazione di buona disponibilità di nutrienti, recupera rapidamen-te peso e raggiunge valori normali. Tuttavia, l’assetto metabolico originario, quello impostato in utero in dipendenza del difetto nu-tritivo, non è più idoneo per la mutata situazione ambientale: lo schema della frugalità si satura rapidamente di fronte al nuovo tenore di abbondanza e l’organismo si indirizza verso un modello non più di consumo, ma di accumulo. Paradigmatico di questo nuovo assetto è il precoce svilupparsi di uno stato di insulino resistenza, il classico meccanismo con cui l’organismo reagisce all’eccesso calorico. Le implicazioni di questo modello sono evidenti e trasferibili a molti aspetti della dimensione globale delle malattie. Nel paesi in via di sviluppo, in cui la cultura della gravidanza è poco radicata e l’assistenza alla maternità ancora scarsa o assente, lo sviluppo del feto è fortemente soggetto ad avvenire in condizione di deficit nutrizionale e molti bambini nascono sotto peso. Dopo la nasci-ta, grazie al progressivo miglioramento delle condizioni di vita, la crescita infantile riesce solitamente a procedere con modalità accettabili ma rimane nell’organismo la memoria o, come si dice, l’”imprinting” metabolico della sofferenza fetale. Così, in queste aree del pianeta le malattie metaboliche e cardiovascolari prolife-rano con ritmi paragonabili a quelli dell’Europa e degli Stati Uniti.Ma anche il ricco primo mondo è soggetto a pagare il suo prezzo al tradimento della frugalità. Nei paesi occidentali l’alto grado di tutela dei sistemi sanitari consente di portare a termine gravi-danze che in altri contesti sarebbero difficili o impossibili; però, i nostri bambini, super assistiti, nascono spesso sottopeso. Così, allo straordinario risultato raggiunto dall’efficienza delle capacità assistenziali si affianca un prezzo biologico da pagare: le strutture metaboliche dei neonati tendono ad essere labili e più esposte al rischio di complicanze future.

Valore normale

Età (anni)Età (mesi)

Curva di crescita infantile in portatori di malattie cardiovascolari in età adulta

Peso

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Genoma o ambiente ?L’ipotesi di Barker è rimasta per molto tempo poco più che una brillante teoria, fondata su correlazioni epidemiologiche dotate di grande potenza suggestiva ma poco sostenuta dalla dimo-strazione degli aspetti patogenetici fondamentali. Per esempio, non si era capito con quale meccanismo molecolare un difetto nutritivo verificatosi durante la vita fetale potesse creare conse-guenze di malattia durevoli per tutto l’arco della vita. Questo quesito sta trovando oggi una soluzione e la svolta si è avuta grazie alla convergenza di settori di ricerca lontani fra loro. La chiave di lettura è venuta dall’epigenetica, la scienza che indaga in termini molecolari i rapporti fra genoma e am-biente. Da molto tempo è noto ai genetisti che, durante lo sviluppo dell’embrione, il corredo genico è soggetto a una serie molto complessa di attivazioni e disattivazioni. Per esempio, nel pro-cesso di differenziamento vengono ‘accese’ sequenze genetiche assolutamente specifiche di ogni distretto tissutale. Completato l’iter differenziativo, i geni devoluti a questa funzione vengono ‘spenti’ e se ne accendono di nuovi.Questo processo di attivazione genica viene operato da una serie di molecole chiamate marcatori epigenetici. Si tratta di piccole strutture, tipicamente gruppi metilici o alchilici, che ven-gono apposte sui geni destinati ad essere accesi o silenziati du-rante il programma differenziativo. Sorta di ‘post-it’ molecolari, i marcatori servono a segnalare agli enzimi che decodificano il DNA quali sono le zone da trascrivere e quali quelle da mante-nere inespresse: infatti, nelle aree marcate nel senso dell’attiva-zione, la cromatina viene svolta in modo da rendere i filamenti di DNA accessibili all’apparato di trascrizione; così, l’espressione del gene può avere inizio (vedi figura).Anche gli schemi metabolici dell’organismo, quelli devoluti all’utilizzazione delle risorse energetiche, sono codificati da geni la cui attivazione è controllata da marcatori epigenetici. Quanto emerso negli ultimi anni è che questi marcatori sono fortemente influenzati dall’ambiente della placenta. Il livello di ossigenazio-ne del sangue placentare, infatti, controlla la marcatura del gene del recettore glucocorticoide, una struttura molecolare chiave nel controllo periferico della glicemia. Così, in funzione del pro-prio stato nutrizionale, la placenta modula la quantità di recettori presenti a livello dei tessuti ed è in grado di impostare l’assetto metabolico del feto.Il modello epigenetico ha anche permesso di dimostrare che un certo programma di espressione genica, una volta impostato durante la vita fetale, rimane attivo durante tutta la vita. Infatti, la marcatura dei geni si verifica solo in momenti specifici del-la vita del feto e, una volta avvenuta, rimane associata ai geni come un tratto indelebile. Così, con il variare della disponibilità di nutrienti, l’apparato metabolico dell’organismo rimane fonda-mentalmente quello impostato nell’utero. In questo modo il feto disegna la vita dell’adulto.Su questo tema, si stanno aprendo orizzonti ancora più innovati-

vi. Da studi recenti è emerso che l’ambiente intrauterino influen-za molti aspetti dello sviluppo dell’organismo, alcuni veramente insospettabili. Per esempio, è risultato che l’habitus psichico ed emotivo proprio di ciascun individuo, quello che guida ognuno di noi nelle scelte e nelle azioni della vita quotidiana, è il prodot-to di circuiti neuronali impostati durante la vita fetale. Sembra,

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infatti, che la capacità di reagire allo stress fisico e psichico, la tendenza ad assumere atteggiamenti di natura depressiva, o addirittura la propensione verso le tossicodipendenze siano tutti aspetti del carattere che derivano da un imprinting realizzato in utero. Addirittura, studi sperimentali suggeriscono che un atteg-giamento materno più o meno distratto o più o meno appren-sivo in gravidanza potrebbe condizionare lo sviluppo emotivo del nascituro, con implicazioni che si proietterebbero su tutta la durata della vita adulta… Sulla base dell’epigenetica. E non è fantascienza.

Il futuro?Questi sviluppi della ricerca indirizzano a rivalutare i rapporti fra genoma e ambiente in modo molto articolato. Fin dalle sue origini, l’uomo ha sempre mirato a modificare il suo ambiente nella ricerca continua di un progressivo miglioramento delle condizioni vitali. Lungo tutta la storia è riuscito ad apportare modifiche enormi al mondo che lo circonda, a volte con scelte sbagliate o discutibili. Ma riesce a modificare l’ambiente anche codificando il proprio stile di vita, perché i modelli culturali, una volta radicati, condizionano l’esistenza di tutti in modo estre-mamente importante e duraturo. La scienza ha dimostrato che i comportamenti che appren-diamo dal nostro contesto vitale modificano non solo i nostri pensieri ma anche i geni, creando imprinting che si mantengo-no per tutta la durata dell’esistenza e che si possono trasmet-tere attraverso le generazioni e i continenti. Il risultato è un equilibrio dinamico fra genoma e ambiente, in un’evoluzione continua in cui entrambi i fattori si influenzano a vicenda nella ricerca di risposte adattative sempre più articolate. Ma che, a volte, entrano in crisi. L’obesità è solo uno dei grandi quadri patologici in cui il dialogo fra genetica e stimoli ambientali ha mostrato elementi di frattura. Cancro, osteoporosi, malattie psichiatriche: questo è il nuovo orizzonte.

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HUmANITARIAN HeLP FOR POOR PeOPLe ONLUs

MEDICINA DI TUTTI - MEDICINA PER TUTTI

Due grandi occhi neri pieni di gioia di un bambino indiano che esce dall’ambulatorio ricavato in una chiesetta di campagna con in mano un piccolo regalo portato dall’Italia, lo sguardo umile e riconoscente di una donna africana che torna alla sua capanna con in mano indispensabili medicine dono della generosità venuta dall’estero, queste sono le più gratificanti ri-compense per i volontari tutti di H.H.P.P. (Humanita-rian Help for Poor People) Onlus.Era il 27 marzo 2003 quando 7 soci fondatori, 4 Me-dici e 3 persone non sanitarie, hanno dato vita a que-sta Associazione con lo scopo di portare aiuti sanitari ed umanitari alle popolazioni più povere del mondo. La conoscenza personale con le Suore Francescane di Ognissanti di Firenze (quelle che gestiscono la Casa di Riposo San Francesco di Montecatini Alto) ha fatto in modo che i primi scenari dell’attività di aiuto siano

stati l’India ed il Brasile, espandendosi negli anni al Perù, alla Romania, al Kenya, al Senegal, al Malawi, all’Isola di Pemba in Tanzania ed ultimamente all’ Uganda. Durante questi quasi 9 anni di attività sono state realizzate 31 missioni sanitarie (32 con quella chirurgica che è in corso in questi giorni in India nella piccola città di Thullur nello stato di Andhra Pradesh). L’attività sanitaria conta negli anni oltre 32.000 visite mediche ad adulti e bambini con somministrazione naturalmente gratuita dei necessari medicinali; sono stati vaccinati complessivamente più di 9.400 bambini indiani contro l’epatite B; è stata effettuata campagna di prevenzione dentaria informando e consegnando ad oltre 12.750 bambini spazzolino da denti e denti-fricio; fino ad oggi sono stati effettuati dai Chirurghi volontari 100 interventi ed inoltre sono stati distribuiti giocattoli, materiale scolastico, indumenti vari e ge-

Solidarietà dalla valdinievolewww.humanitarianhelp.it

L’orfanotrofio Assisi Baby Sadan a Panacceppally nello Stato del Karala in India

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neri di prima necessità portati dall’Italia o comprati direttamente in loco.Nel corso degli anni è stato costruito in India un pic-colo Ospedale Ginecologico dato che la Suora nostra corrispondente Sr Jain è Medico Specializzato in Gi-necologia ed è stato attrezzato dello strumentario es-senziale, un Poliambulatorio Dentistico ed Oculistico dotato di Riunito con Apparecchiatura per Rx, di Lam-pada a Fessura e Cheratometro; è stata finanziata la costruzione dell’Assisi Baby Sadan nella cittadina di Panacceppally nello Stato del Karala sempre in India, un orfanotrofio che offre una casa molto accogliente a 90 bambini abbandonati da tutti; è stata ristrutturata ( prima era solo un grande capannone semicoperto perché il tetto era crollato) la scuola vicina all’orfa-notrofio frequentata dai piccoli ospiti; nel 2011 è sta-ta cofinanziata la costruzione della Portiuncola, casa di accoglienza che ospita i ragazzi più grandi dello stesso Assisi Baby Sadan che frequentano scuole pro-fessionali per assicurare loro un futuro meno incerto; nel mese di Ottobre 2011 sempre a Thullur è stato inaugurato un Punto Acqua Potabile che sta permet-tendo agli oltre 5.000 abitanti del villaggio di approv-vigionarsi di acqua da bere così da evitare le ricorrenti epidemie di dissenteria, tossicosi ed anche tifo; dal 2010 H.H.P.P. cofinanzia anche l’ampliamento della English Medium Hight School di Thullur dove oltre 950 alunni avranno adeguati spazi per studiare con una sala computer ben attrezzata.Dal 2004 ha visto la nascita il progetto Jeevan (in lin-gua indiana vita) di adozioni a distanza ; con una pic-cola somma mensile di denaro corrispondente nean-che al costo di un caffè al giorno gli oltre 300 bambini seguiti in India e Brasile da H.H.P.P. in questi anni hanno avuto la possibilità di avere la certezza di un costante sostegno economico che ha permesso loro

di studiare, di mangiare in modo adeguato, di essere vestiti, di essere curati quando sono malati, in buona sostanza di vivere una vita simile ai loro coetanei eu-ropei. Quando ci soffermiamo ad elencare tutto quello che in questi anni è stato realizzato la nostra mente tor-na al giorno dell’inizio di questa avventura, quando i 7 soci fondatori versarono davanti al notaio la ci-fra di euro 50,00 ciascuno quale capitale della Onlus. Vi chiederete come sia stato possibile realizzare nel tempo tutto quello che è stato descritto; non rilevanti finanziamenti da parte di enti pubblici, non consisten-ti elargizioni da parte di istituti bancari, ma sempre e fortunatamente molto spesso più o meno cospicue somme di denaro offerte da privati e da piccole e medie Aziende che hanno creduto nella trasparenza dell’Associazione, assolutamente certi che ogni euro raccolto sarebbe stato utilizzato per gli scopi di soli-darietà prefissati.Oggi più che mai, con i tutti i progetti in essere e con la necessità finanziaria per mantenere quelli già rea-lizzati, l’Associazione ha bisogno della partecipazio-ne di tutti: il dono di una cifra in denaro di qualsiasi entità e del 5per1000 della propria dichiarazione dei redditi, la partecipazione agli eventi per la raccolta fondi, la disponibilità professionale per prendere par-te alle missioni sanitarie che sempre più sono attese con gioia dalle popolazioni che negli anni ci hanno visti presenti in mezzo a loro.Ricordando che “ chi salva una vita salva il mondo “invitiamo tutti a partecipare alla realizzazione del SOGNO UMANITARIO DALLA VALDINIEVOLE NEL MONDO.

Per informazioni visitare il sito web www.humanitarianhelp.it

MEDICINA DI TUTTI - MEDICINA PER TUTTI

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PROBLEMATICHE FUTURE

Nel novembre 2011 è stata istituita e inserita

nel Consiglio Sanitario della Regione Toscana la

Commissione permanente per le problematiche di ge-

nere . Compiti della Commissione saranno, da una

parte, l’individuazione di quante e quali differenze

siano dovute a fattori intrinseci alla biologia di genere

e alla fisiopatologia della malattia e quante, piutto-

sto, siano da ascrivere alla società e al sistema sanità;

dall’altra, verteranno sulla diffusione di una politica

di intervento sulla salute di genere. Ci inseriamo così

nel processo inarrestabile di sviluppo di questa nuova

branca della medicina, che già ha espresso informa-

zioni, conoscenze e problemi da cui la ricerca e la pra-

tica medica non possono più prescindere, così come le

scelte di sanità pubblica.

Le differenze di genere sono una realtà scientifica

ormai consolidata che la medicina deve saper ben

valutare . Uomini e donne, pur essendo accomuna-

ti da una fisiopatologia condivisa legata alla specie,

mostrano differenze fondamentali nell’incidenza,

nella prevalenza e nella sintomatologia delle malat-

tie e rispondono in modo diverso alle terapie. È in-

dispensabile quindi considerare ciascun genere nella

sua specificità, non solo quando si tratta di valutare

il modo in cui si sviluppa una patologia, ma anche

nella ricerca e nella sperimentazione di nuove terapie

farmacologiche.

Il concetto di “gender sensitivity “, termine introdotto

dalle scienze sociali, si riferisce alla capacità di perce-

pire le differenze esistenti fra i due sessi, differenze

indotte dalla cultura e dalla società, e di riconoscere

che il genere è fattore essenziale nella determinazione

delle condizioni di salute e malattia.

In medicina avere un approccio di genere significa

considerare le interazioni fra dimensioni biologiche,

psicologiche e sociali insite “nell’essere uomo o essere

donna “, riconoscendo le differenze, identificando gli

specifici bisogni e affrontandone gli squilibri .

medicina di genere: un nuovo approccio alla pratica clinicaDott.ssa Deanna Belliti, U.F. Consultoriale Zona Valdinievole

Guido Reni, Atalante e Ippomene, 1625. Napoli, Museo Capodimonte

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La MEDICINA DI GENERE è quindi la scienza che stu-dia l’influenza del sesso - dimensione biologica e del genere - dimensione socio-culturale - sulla fisiologia, sulla fisiopatologia e sulla clinica di tutte le malattie per giungere a decisioni terapeutiche basate sull’evi-denza specifica per l’uomo e per la donna . Volendo trovare un inizio ufficiale, si potrebbe datare con buona approssimazione la nascita della medicina di genere nel 1985, anno in cui si poteva leggere la pri-ma relazione “Women’s Health“ del National Institute of Health (NHI) negli Stati Uniti. In questo documento si denunciava il ritardo conoscitivo della medicina per quanto riguardava la salute della donna e si indicava-no delle priorità di intervento . Era il 1991 quando la cardiologa americana Bernardine Healy, che era sta-ta anche a capo del National Institute of Health, de-nunciò sul New England Journal of Medicine il com-portamento discriminante dei cardiologi americani nei confronti delle donne parlando a proposito della Sindrome di Yentl (Yentl era il nome di una ragaz-za ebraica personaggio di un libro di Isaac Bashevis Singer, diventato poi un famoso film, che per poter studiare le sacre scritture ebraiche – Torah – fu co-stretta a travestirsi da maschio).Negli anni successivi è stato un susseguirsi di studi, ricerche, convegni che rafforzavano la portata politica della medicina di genere. Dal 2002 l’O.M.S. ha costituito il Dipartimento per il Genere e la salute della donna “The Department of Gender and Women’s Health”, riconoscendo che esi-stono differenze per fra uomini e donne nei fattori che determinano la salute e determinano il carico di ma-

lattia. L’O.M.S. riconosce che il sesso (dati biologici) ed il genere (dati di ruolo socio-culturale ) sono im-portanti determinanti di salute .Si ribadisce che, oltre alle differenze inerenti il diverso sistema riproduttivo, ci sono molte altre diversità tra genere maschile e femminile, che danno origine ad un’ampia gamma di patologie con decorso e manife-stazioni cliniche completamente diverse nell’uomo e nella donna, o che possono determinare una risposta differente del corpo ai farmaci .Alcune di tali differenze possono essere di carattere sociale poiché spesso, laddove si trovano condizioni di vita e di lavoro differenti, differenti possono esse-re anche i fattori di rischio patologico a cui donne e uomini sono esposti ; altre invece sono di carattere biologico e sono il risultato di divergenze genetiche, ormonali e metaboliche. E ‘ ormai riconosciuto come un approccio di genere alla salute possa essere capa-ce di contrastare le disuguaglianze, i pregiudizi e gli stereotipi della medicina.Infatti è evidente come alcune malattie ritenute tipi-camente maschili siano invece molto diffuse e spesso trascurate o mal curate nel genere femminile, basti pensare al tumore al polmone o alle patologie cardio-vascolari ; viceversa altre patologie, quali l’osteoporo-si ed alcuni disturbi psichici, siano poco considerate e studiate nel genere maschile.Inoltre nella sperimentazione farmacologica le donne sono ancora poco rappresentate e, anche quando vi prendono parte, i risultati degli studi non sono ela-borati tenendo conto della diversità di genere, fon-damentale per stabilire dosaggio, effetti collaterali e sicurezza nell’uso dei farmaci .La conoscenza delle differenze di genere, quindi, fa-vorisce una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi. e L’obiettivo finale diventa quello di una medicina ri-ferita non solo alla patologia ma anche al paziente e ad una terapia veramente personalizzata, in assenza di discriminazioni sia per quanto riguarda l’accesso a risorse e benefici sia nella fruibilità dei servizi.

BIBLIOGRAFIA

1- La salute della donna. Un approccio di genere, a cura di F. Franconi, Ed. Franco Angeli, 2010, Milano2 - Training Manual for gender mainstreaming in Health, Pub. Medical Women’s International Association, 2002, Dortmund.3 - Applicare il mainstreaming di genere, F. Signani Gender, anno 4, n° 1, maggio 2011

PROBLEMATICHE FUTURE

Lucas Cranach, Adamo e Eva in Paradiso, 1528. Firenze, Galleria degli Uffizi

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Ai nostri tempi sembra del tutto assurdo pensare che alcuni microrganismi, esseri invisibili ad occhio nudo, abbiano potuto condizionare, spesso in maniera fon-damentale e decisiva, alcuni importanti fatti storici quali assedi, battaglie, conquiste d’intere popolazioni. Sembrerebbe più logico ritenere che simili fatti pos-sano essere stati provocati da eventi naturali quali violenti ed improvvisi cambiamenti climatici o gravi calamità come terremoti, alluvioni, carestie, ma in ef-fetti è stato ampiamente dimostrato che nel corso dei secoli le malattie infettive hanno causato più morti di tutti questi avvenimenti nel loro insieme.Dai primordi della comparsa dell’uomo sulla terra fino quasi ai tempi nostri, in pratica fino ad oltre la metà del diciannovesimo secolo, i microrganismi (batteri, miceti, virus e parassiti) erano del tutto sconosciuti proprio perché invisibili all’occhio umano e solo le menti più acute potevano immaginare una loro pre-senza, che veniva per lo più attribuita alle divinità che volevano punire gli uomini per le loro azioni nefande.Un esempio eloquente di questo pensiero si trova espresso da Omero nell’Iliade nel corso di un’epide-mia diffusasi tra i Greci, assalitori di Troia…. “Nove giorni volâr pel campo acheo le divine quadrelle”, e

spingono Achille a dire: “qualche indovino interro-ghiamo, o sacerdote, o pure interprete di sogni (ché da Giove anche il sogno procede), onde ne dica perché tanta con noi d’Apollo è l’ira: se di preci o di vittime neglette il Dio n’incolpa, e se d’agnelli e scelte capre accettando l’odoroso fumo, il crudel morbo allontanar gli piaccia. (Iliade I,53-91). La storia evolutiva dei microrganismi inizia con la comparsa della vita sulla Terra, circa 4,5 miliardi d’anni fa, essendo stati presumibilmente loro i primi abitanti del nostro pianeta dotati di vita autonoma e, da allora, sono riusciti a colonizzare ogni angolo del pianeta e tutte le specie viventi di piante ed animali, compreso l’uomo. Questo rapporto adattativo è stato molto vario com-prendendo il commensalismo o la simbiosi mutualisti-ca, ma è evoluto anche in parassitismo determinando spesso una lotta per la sopravvivenza tra il microrga-nismo e l’ospite: in molti casi la battaglia si conclude-va con la morte di quest’ultimo, ma in altri si arrivava ad una specie di “status quo”, con la cronicizzazio-ne dell’infezione e la persistenza del microrganismo nell’ospite, che rendeva endemica l’infezione.Infatti, non sempre il parassita sfrutta l’ospite fino alla sua morte perché in questo caso anche lui è costretto a soccombere se non riesce a riprodursi in un altro organismo vivente.La grande capacità di rispondere agli stimoli ambien-tali ha permesso loro di sopravvivere, moltiplicarsi e addirittura mutare le proprie caratteristiche originali per contrastare le difese messe in atto dagli organi-smi parassitati: basti pensare al fatto che un germe può evolversi attraverso milioni di generazioni nel corso di una sola vita umana dando, ad esempio, una spiegazione della capacità dei batteri di diventare resi-stenti agli antibiotici, anche in corso di terapia.Le prime testimonianze dirette sugli effetti delle ma-lattie infettive si sono potute ottenere solo quando alcuni cronisti, grazie all’uso della scrittura, furono in grado di raccontare gli effetti nefasti delle varie epi-demie perché ne furono i diretti testimoni o perché informati da altri soggetti considerati fonti attendibili della calamità.

PROBLEMATICHE FUTURE

La storia dell’uomo e le malattie infettiveDott. Roberto Rossetti, microbiologo

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Lo studio dei fossili antropomorfi ha permesso di os-servare i segni incontrovertibili della presenza di mi-crorganismi patogeni, come certi parassiti trasmessi con le carni di alcuni animali acquatici infestati da Paragonimus nei coproliti (residui trasformati delle feci) degli ominidi.Del tutto recentemente, è stato possibile confermare la presenza del bacillo della peste in alcune salme sepolte in una chiesa nel corso di un’epidemia, gra-zie all’impiego di tecniche di biologia molecolare che hanno confermato la presenza della Yersinia pestis nella polpa dei denti di alcuni uomini del VI secolo in un cimitero londinese, oppure i segni incontrovertibili della tubercolosi nella spina dorsale di mummie egi-zie, circa 3.000 anni prima di Cristo.L’evoluzione umana è un cammino in continuo dive-nire e ha presentato spesso modifiche radicali nelle prime società arcaiche dei nostri antenati, come dimo-strato, circa 10.000 anni fa, dal passaggio dai gruppi di cacciatori-raccoglitori, in continuo movimento per procacciarsi il cibo, a quello degli agricoltori-addome-sticatori, che decisero invece di fermarsi stabilmente in alcune zone particolarmente adatte all’agricoltura e all’allevamento degli animali.E’ evidente che nelle due popolazioni i comporta-menti quotidiani e l’ambiente in cui vivevano erano completamente diversi e questo ha influito in modo fondamentale anche sul rapporto tra uomo e micror-ganismi. Nel primo caso le infezioni erano prevalentemente di tipo parassitario, causate da protozoi od elminti, pas-sati all’uomo ad esempio per la scarsa o nulla cottura delle carni o dei pesci; nel secondo invece, la vita in ambienti privi d’igiene e il contatto diretto con gli ani-mali, impiegati anche per un riscaldamento naturale durante i freddi inverni, favorì i contatti costanti con scambio diretto di microrganismi da un ospite all’al-tro. In particolare ci fu una notevole diffusione di infe-stazioni da vari tipi di parassiti a trasmissione fecale-orale (teniasi, elmintiasi e trichinellosi) e di infezioni batteriche come la salmonellosi (trasmessa dagli ani-mali con le uova, la carne o le acque contaminate), la tubercolosi e la brucellosi, entrambe passate con una forma d’adattamento all’uomo dal bestiame infetto.La defecazione dell’uomo e degli animali addomesti-cati nelle stesse aree favorì anche la proliferazione di insetti e roditori, portatori di varie malattie infettive spesso di tipo epidemico: il biologo russo Evgeny Pavlovsky ha stimato che l’uomo condivide circa 300 malattie con gli animali domestici e circa 100 con uc-

celli ed altri animali selvaggi.Il successivo passaggio dalla campagna alla città, quindi con un aumento notevole della popolazione e una sua concentrazione in aree relativamente poco estese, determinò una nuova modificazione del rap-porto uomo-microrganismo, favorendo la diffusione di tutte quelle malattie provocate dall’assenza di igie-ne, da un più stretto contatto tra le persone e, non ul-time, dalla diversità dell’alimentazione e dalla scarsità delle risorse disponibili. Anche il cambiamento del tipo di dimora, dei compor-tamenti sessuali, della dieta (prevalentemente vege-tariana o carnea), e dello stesso modo di vestire può incidere profondamente sulla tipologia delle infezioni contratte dall’uomo, che va incontro a microrganismi cui prima non era esposto e che quindi possono facil-mente superare le difese immunitarie, in assenza di una pregressa copertura anticorpale.Nel corso dei secoli questi continui e spesso rapidi mutamenti delle popolazioni umane hanno inciso profondamente sui rapporti tra microrganismo e ospi-te e sono alla base di molte epidemie che si sono suc-cedute con estrema gravità in varie parti del nostro Pianeta, causando la morte di una gran parte della popolazione esistente. Tra queste basta ricordare alcune malattie, come la peste nera, il colera o il vaiolo; quest’ultimo, sembra riconosciuto come un fattore determinante della cadu-ta dell’impero romano o della vittoria degli spagnoli sugli indigeni messicani.Arrivando ai giorni nostri, si stanno ripetendo in continuazione alcune malattie infettive di cui sono responsabili sia i comportamenti umani, sia le modi-fiche del clima. Basti pensare alle varie epidemie causate da virus influenzali in cui è dimostrato il ruolo fondamentale dello stretto contatto tra uomo, volatili e maiali, ma anche della facilità di trasmissione dell’infezione in tempi brevi da un continente all’altro grazie ai voli transoceanici; oppure alla comparsa della malattia di Lyme, causata dal disboscamento scellerato e massi-vo di alcune aree del nostro Pianeta con conseguente passaggio delle zecche, portatrici del batterio, dagli animali all’uomo insediatosi in quei territori. La malaria è un esempio evidente di quanto le possi-bilità di contagio possano cambiare in modo profon-damente diverso se si modificano gli ambienti in cui vivono normalmente i vettori del plasmodium: a) con la bonifica della maremma negli anni ’30 si è assistito ad una scomparsa della malattia nel nostro Paese, b) con la deforestazione del bacino amazzonico l’anofele

PROBLEMATICHE FUTURE

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ha rivolto la propria attenzione dagli animali all’uo-mo trasmettendo ad esempio l’infezione a oltre mezzo milione di persone alle fine degli anni ’80. E’ del tutto recente la notizia che con i cambiamen-ti climatici registrati negli ultimi decenni sul nostro Pianeta, anche la malaria sembra destinata a spostarsi dalle zone tropicali o sub-tropicali a quelle più euro-pee perché aumentano le zone in cui la zanzara vetto-re della malattia puo’ vivere e infettare l’uomo.Sulla base di queste scarne e forzatamente ridotte ri-flessioni dobbiamo immaginare che l’uomo e i micror-ganismi si trovino in un equilibrio instabile, come su un’asse sopra un fulcro, un bilanciamento che tutta-via può variare anche rapidamente se si modificano i pesi alle due estremità. Da una parte l’uomo che si difende aumentando le proprie forze con le vaccinazioni o giovandosi della terapia antibiotica, dall’altra il microrganismo che ri-esce a cambiare rapidamente il suo genoma per sfug-gire all’azione del sistema immunitario dell’uomo, o a diventare resistente all’azione degli antimicrobici.

Anche il fulcro dell’asse, che rappresenta il contesto in cui si trovano a vivere i due attori, può essere mo-dificato da cambiamenti climatici, sociali, comporta-mentali, culturali e perfino tecnologici, che di volta in volta possono favorire l’uno o l’altro dei contendenti.La speranza, che si prefigurò con la scoperta della pe-nicillina, di vedere finalmente debellate tutte le malat-tie infettive, è ormai definitivamente tramontata ma l’uomo potrà ancora riuscire a “cavarsela” riflettendo su tutte le interconnessioni tra il suo mondo e quel-lo dei microrganismi e, soprattutto, agendo concre-tamente per evitare interventi che nel medio o lungo periodo portino a cambiamenti tali da far pesare di più la forza dei microbi nei confronti della nostra spe-cie. Lederberg, nel suo saggio sulle infezioni emer-genti del 1998, diceva testualmente: “ … l’emergere di nuove infezioni non è altro che il lato oscuro della co-evoluzione, un tipico, inesorabile, fenomeno ecolo-gico” , ricordandoci che non potremo mai fare a meno della spesso scomoda presenza dei nostri microscopi-ci competitori.

Gavinana

PROBLEMATICHE FUTURE

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La battaglia di Gavinana (3 agosto 1530)Un fatto d’armi, divenuto epopea nell’immaginario collettivo

Pierluigi Benedetti

PASSATO E PRESENTE

La mitica terra di Toscana, insanguinata da mille bat-

taglie, quasi sempre combattute fra fratelli (”quelli che

un muro e una fossa serra” Div.Comm. Purg. C. VI v.

84), ebbe, nella battaglia di Gavinana, la più retori-

ca delle sue celebrazioni; tanto che perfino nell’Inno

Nazionale Italiano, vi si fa riferimento, ricordando

l’eroismo di Francesco Ferrucci (Ferruccio), il capi-

tano dell’esercito fiorentino, ucciso alla fine di quello

scontro:

“Ogn’uom di Ferruccio,

Ha il core, ha la mano”

La storia della battaglia, in verità di scarso rilievo, per

il destino irrimediabilmente segnato della Repubbli-

ca Fiorentina, fu narrata con toni epici dagli storici

del Risorgimento e del Regno d’Italia; e la morte di

Francesco Ferrucci per mano di Fabrizio Maramaldo,

indicata a generazioni di giovani come esempio di su-

blime eroismo e di amor patrio.

Così, i bambini, di quinta elementare del 1955, pren-devano coscienza dalle pagine del Sussidiario “Sole” della coraggiosa nobiltà d’animo di Francesco Ferrucci e della perfida viltà del cuore di Fabrizio Maramaldo.Quei libri di scuola, così “primitivi”, rispetto ai mezzi didattici moderni, difettavano di critica storica, erano pieni di nozioni ed avevano disegni ingenui ed espres-sivi solo per occhi vergini di video immagini; tuttavia contribuirono a creare, nella mente di quei fanciulli, una minima base culturale utile per comprendere il presente e indispensabile per progettare il futuro.

* * * * *In decine di libri è narrata la storia di quella battaglia ed ogni anno il paese di Gavinana la ricorda con rie-vocazioni in costume e festa “medioevale”, come va tanto di moda, negli ultimi anni, dalle nostre parti, spesso con travisamenti grotteschi della realtà storica.Le notazioni seguenti, in verità un po’ fuori dal coro delle celebrazioni, non hanno alcuna pretesa di essere una ricostruzione storica dell’evento (si veda sull’ar-gomento il recentissimo ed accurato saggio critico di Alessandro Monti sul Bollettino Storico Pistoiese anno 2011 “La rotta di Ferruccio”). Vorrebbero soltanto far riflettere su quanto l’odio di parte abbia fatto male alla gente delle nostre terre; e come la guerra sia, in ogni tempo, una tragedia per i soldati e per la popolazione inerme, che deve sopportarne le terribili conseguenze.

… a peste, a fame, a bello, libera nos Domine !* * * * *

Nell’anno 1530 la Repubblica Fiorentina, nata dopo la terza cacciata dei Medici, non aveva alcuna possibilità di sopravvivere. Il suo destino era stato deciso nel Congresso di Bolo-gna del novembre del 1529, dall’Imperatore Carlo V e dal Papa Clemente VII, che si erano accordati per restaurare, una volta per tutte, la dinastia medicea a Firenze, dopo la liquidazione del governo e dell’eser-cito repubblicano.E così accadde pochi mesi dopo; ed un’ ipotetica vit-toria dei Fiorentini sul campo di Gavinana avrebbe soltanto prolungato l’agonia del piccolo Stato “repub-blicano” condannato dalla storia.I Medici rientrarono in Firenze e questa volta nessu-“ Vile ! Tu uccidi un uomo morto !”

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PASSATO E PRESENTE

no li avrebbe più cacciati: il Papa Clemente VII (al secolo Giulio di Giuliano de’ Medici, nipote quindi di Lorenzo il Magnifico) riuscì nel suo disegno: Firenze fu consegnata ad Alessandro de’ Medici, ritenuto dai più figlio naturale del Papa stesso e non di Lorenzo Duca d’Urbino, come veniva ufficialmente indicato.Per distruggere l’esercito fiorentino, di cui era a capo il Commissario della Repubblica Francesco Ferrucci, fu ordita una trama di ampio respiro, che trovava il suo principio nel tradimento di Malatesta Baglioni, preposto dal governo repubblicano alla difesa di Fi-renze, assediata dall’esercito imperiale. Il Baglioni, d’accordo con la Curia di Roma, organizzò l’inganno nei minimi particolari; niente fu lasciato al caso. Prima di ogni altra cosa fece in modo che le difese della città fossero indebolite; tanto che Michelangelo Buonarroti, responsabile delle opere murarie di dife-sa, più di una volta si scontrò verbalmente con lui, dicendogli in faccia, com’era sua abitudine, quello che pensava; cioè che i suoi provvedimenti facevano Firenze più debole e non più forte. Il Baglioni, per queste accuse, minacciò di denunciare il Buonarruoti per tradimento. I fatti avrebbero dimostrato chi era il vero traditore.Nello stesso tempo il Baglioni si accordò, in segreto, con gli Imperiali, assicurandoli che le loro truppe che assediavano Firenze, non sarebbero state attaccate dai Fiorentini assediati, anche se il grosso delle forze, si fosse allontanato dalle mura della città, per affron-

tare il Ferrucci, che, con l’esercito repubblicano, stava arrivando da Pisa, per portar viveri e soccorso militare alla città.In questi intrighi di alto livello si inserirono le me-schine trame delle fazioni pistoiesi dei Cancellieri e dei Panciatichi, che non perdevano occasione per re-car danno gli uni agli altri, senza alcun pensiero del-le conseguenze e “non si curavano che rovinasse il mondo, purché riuscissero a scannare uno della parte nemica”. Infatti i Cancellieri, per danneggiare i Panciatichi, pur essendo sostenitori della Repubblica Fiorentina, non si fecero scrupolo di portare alla perdizione l’esercito repubblicano.Anche i Panciatichi ci misero del loro per distruggere le truppe di Ferruccio, permettendo a Fabrizio Mara-maldo di arrivare con le sue bande nell’ultima fase della battaglia per dar man forte agli Imperiali in gra-ve difficoltà

* * * * * Non tutto è chiaro nello svolgimento dei fatti, che si successero dal tramonto del 31 luglio alla sera del 3 agosto del 1530; e diversi sono gli interrogativi ai qua-li la ricerca storica non ha dato sicura risposta.Prima di tutto viene da chiedersi perché il Ferrucci, dovendosi recare con l’esercito da Pisa a Firenze, sia andato a finire nella valle della Lima.Già un’altra volta fra quelle montagne, più di 1500 anni prima (nel 62 a. C.), c’era stata una battaglia im-portante e sanguinosa: l’esercito di Catilina, inseguito

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PASSATO E PRESENTE

dalle legioni dei consoli della Repubblica Romana, fu raggiunto e distrutto in quella zona (il luogo preciso non si conosce).Ma Ferruccio non era inseguito da nessuno; quindi che cosa, o chi, lo spinse a compiere una cosi strana diversione per andare da Pisa a Firenze?

Cronaca di tre giorni dell’estate 1530 Montagna Pistoiese. Per portar soccorso a Firenze assediata, l’esercito re-pubblicano comandato dal Commissario Francesco Ferrucci, “la notte del 31 luglio tre ore dopo il tramon-tare del sole, uscì di Pisa, e traversando quel di Lucca, tentò di entrare nel piano di Pescia, fingendo per in-gannare il nemico, muover difilato a Pistoia. Favorito però dall’oscurità della notte, tralasciato l’agevol cam-mino e risaliti i monti, si condusse a Medicina, castello lucchese, quindi il giorno appresso a Calamecca sulle montagne pistoiesi”.Due sono le ipotesi fatte per spiegare la scelta di tale improbabile itinerario.Alcuni pensano che Ferruccio volesse evitare lo scon-tro con gli Imperiali e temesse che la via della pianu-ra fosse tenuta dai nemici. Ipotesi, questa, che non convince, perché il Commissario, in quel momento, era certo che l’esercito imperiale circondasse Firenze, come, secondo una tradizione, risulta dalla sua reazio-ne (“Ah ! Vil Malatesta traditore !”), due giorni dopo, quando seppe che, grazie al tradimento di Malatesta Baglioni, il grosso delle truppe nemiche aveva lasciato Firenze e stava cercando di bloccarlo sui monti. L’altra ipotesi, più realistica, è che la via delle mon-tagne fosse stata consigliata al Ferrucci da due emis-sari dei Cancellieri, Melocchi e Pazzaglia, suscitando in lui la speranza di rifornire ed “ingrossar l’esercito per aiuti di parte Cancelliera, molto bene affetta del-la Repubblica Fiorentina”, nel castello di Calamecca. Il Ferrucci seguì questo consiglio e da Calamecca in-viò al Governo Fiorentino la sua ultima lettera, datata 2 agosto, in cui manifestava chiaramente l’intenzione di volersi dirigere verso il piano, passando per il Mon-tale allo scopo di rifornirsi di cibo: “ … Domattina, piacendo a Dio, marceremo alla volta del Montale, e ci bisognerà, a voler pascer la gente, sforzar qualche luogo …” Ma Ferruccio, partito da Calamecca il giorno seguente, e giunto al monte delle Lari con l’esercito, sull’antica via, che da Pistoia portava a San Marcello, contraddis-se nei fatti, quello che il giorno prima aveva scritto al Governo di Firenze: invece di volgere a destra in dire-zione di Pistoia, piegò a sinistra verso San Marcello,

compiendo così un’altra apparentemente inspiegabile deviazione.È quasi certo che sia stato convinto a mutar pensie-ro da Pazzaglia e Melocchi, che perseguivano, fin dall’inizio, il disegno di distruggere San Marcello, piazzaforte dei Panciatichi, nemici giurati dei Cancel-lieri.E così avvenne.I soldati Fiorentini, posto l’accampamento fuori del paese di San Marcello, in quello che da allora si sareb-be chiamato Campo di ferro, per la presenza di tante corazze e tante armi in quel luogo, misero a ferro e fuoco il paese; e la Porta da cui fu appiccato l’incen-dio, da allora, si chiamò Port’arsa.Il saccheggio e le distruzioni durarono fino a quando non ci fu più niente da bruciare o distruggere; e tutte le genti di quella terra erano state uccise o erano fug-gite nei boschi.Intanto le truppe imperiali, risaliti i monti da Pistoia, si avvicinarono inaspettate a Gavinana; e furono le campane di quel castello, di parte cancelliera, ad av-vertire il Ferrucci del loro arrivo, mentre era ancora San Marcello. I due eserciti si scontrarono nel piccolo paese di Ga-vinana. La battaglia fu cruentissima ed ebbe fasi al-terne.In un primo momento, dopo la morte del Comandante degli Imperiali, Filiberto di Chalons, Principe d’Oran-ges, sembrò che i Fiorentini prevalessero; poi, con l’arrivo delle bande di Maramaldo e di un corpo di Lanzichenecchi, le sorti si rovesciarono e l’esercito di Firenze fu sconfitto.Alcuni avanzano l’ipotesi, che il Principe d’Oranges, descritto da amici e nemici, come soldato leale ed intelligente, di levatura ben superiore a tutti gli altri protagonisti di quel dramma (compreso lo stesso Fer-rucci), sia stato ucciso da mano amica, perché non si arrivasse ad una tregua e forse ad una onorevole pace. Francesco Guicciardini nella sua Storia d’Italia (Libro XX cap. 2), quasi rimprovera al Principe d’Orange l’ eroico comportamento che lo portò alla morte, (sem-pre ammettendo che non sia stato ucciso da uno dei suoi):“… facendo il Principe offizio di uomo d’arme e non di capitano, spintosi temerariamente in avanti, fu am-mazzato.”Nell’ultima parte della battaglia, decisivo fu l’aiuto delle bande di Gualtiero Panciatichi, che impedirono all’Orsini, capitano fiorentino di dar manforte a Fer-ruccio e permisero, con la loro copertura, il passaggio

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LA VOCE DELL’ORDINE DI PISTOIA

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PASSATO E PRESENTE

dei mercenari di Maramaldo e dei Lanzichenecchi, i quali, giunti freschi sul campo, fecero strage dei Fio-rentini ormai esausti. Tutti sanno come finì la storia di quella giornata e non vale la pena raccontarla di nuovo.I soldati uccisi furono parecchie centinaia e corse mol-to sangue. Un fosso, lì vicino, ne fu così pieno, che da quel giorno non volle portar più acqua; e da allora si chiamò Seccheta.Quanti furono i morti e gli offesi fra gli inermi abitan-ti di quelle terre nessuno può dirlo; e nessuno potrà mai raccontare le loro lacrime e i loro dolori, uguali a quelli delle vittime di ogni guerra.Vogliamo dedicare a quella gente alcune righe, tratte da un romanzo storico dell’800, in cui si narra della precipitosa fuga degli abitanti di San Marcello dalle loro case, all’annuncio che Ferruccio stava piomban-do sul paese con l’esercito.Sono riprese da un’Antologia Militare, che veniva uti-lizzata negli anni trenta del secolo scorso, per miglio-rare la cultura patria ed esortare all’eroismo i soldati di leva di quei tempi; apparteneva ad un Artigliere del Regio Esercito Italiano, classe 1913, ucciso dal-le schegge di una granata durante la Seconda Guerra Mondiale (vedi figura in alto a destra).Le case di San Marcello bruciavano e “ dall’altra parte della terra, su per la costa del Cerreto, era una pro-

cessione di donne, di fanciulli, di vecchi che si inge-

gnavano campar da quella rabbia, e tutti con qualche

fagotto in capo, carichi de’ loro fanciullini e di quante

masserizie di casa avevan potuto raccorre e portare, e

tirandosi dietro qualche asinello, pur carico, o qualche

loro vaccarella od altro bestiame, si vedevano ora sì

ora no tra i gruppi de’ castagni, e si sentivano insino

le voci e i pianti delle donne e de’ bimbi …”

Fuggivano da un piccolo villaggio di montagna bru-

ciato e distrutto; ed erano uguali ai profughi di tutte le

guerre antiche e moderne: donne e uomini privati del-

le memorie di una vita, disperati per il futuro dei figli.

Da notare nella parte sinistra del dipinto l’immagine di San Marcello in fiamme

C O M U N I C A Z I O N INOTIZIE IMPORTANTI

CERTIFICATI D’ISCRIZIONE ALL’ORDINEI certificati di iscrizione all’Ordine saranno rilasciati agli iscritti solo su richiesta per USO PRIVATO.L’art. 15 della legge 183/2011 vieta il rilascio di certificati attestanti stati, qualità, titoli di studio e altro e consegnati a Pubbliche Amministrazioni. Questi certificati debbono essere sostituiti con AUTOCERTIFICAZIONE O CON ATTI SOSTITUTIVI DI NOTORIETA’.

OFFERTE DI LAVORO SUL SITO PUBBLICATO DAL MINISTERO DELLA SALUTESul portale www.trovalavoro.salute.gov.it, sito pubblicato dal Ministero della Salute, si possono trovare offerte di la-voro del SSN. Sul portale si possono trovare tutti i concorsi in ambito sanitario pubblicati nella G.U. 4° Serie Speciale Concorsi.

Circolare FNOMCEO DEL 15 DICEMBRE 2011 CERTIFICATI CARTACEI PER IL PERSONALE DELLA BANCA D’ITALIALa Banca d’Italia ha segnalato a questa Federazione che “dopo l’introduzione dell’obbligo dell’invio telematico della certificazione medica all’INPS” vi sarebbero “numerosi casi di medici di base che si rifiutano di rilasciare certificati cartacei tradizionali ai dipendenti della Banca d’Italia”. Orbene si rileva che dal campo di applicazione della disposizione di cui all’art. 55-septies del D.Lgs 165/01, in-trodotto dall’art. 69 del D.Lgs 150/09 recante “Controlli sulle assenze”, che prevede che in tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia all’istituto nazionale della previdenza sociale, è escluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3 del D.Lgs 165/01 (magistrati, avvocati dello Stato, professori universitari, personale appartenente alle forze armate e alle forze di polizia, corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale delle carriere diplomatiche e prefettizie e le altre categorie che ai sensi del citato art. 3 sono disciplinate dai propri ordinamenti tra le quali rientra anche la Banca d’Italia).Pertanto, ai sensi della normativa vigente sopraccitata, al personale appartenente alla Banca d’Italia deve essere rilasciato esclusivamente il certificato medico in forma cartacea. I medici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale nel caso di specie, quindi, non debbono inviare il certificato per via telematica.Ciò detto, nell’evidenziare che la normativa di cui all’art. 55-septies del D.Lgs 165/01, introdotto dall’art. 69 del D.Lgs 150/09 recante “Controlli sulle assenze”, potrebbe comportare con riferimento alle categorie di dipendenti di cui all’art. 3 del D.Lgs 165/01 sopraccitate, escluse dal campo di applicazione della stessa, qualche discrepanza nell’am-bito del territorio nazionale, si rileva che, affinchè le stesse non abbiano più a verificarsi, gli appartenenti al personale della Banca d’Italia dovrebbero specificare ai propri medici di fiducia il proprio status giuridico, richiedendo quindi il rilascio del certificato nella forma cartacea, evitando così l’invio per via telematica.

DECRETO LIBERALIZZAZIONI – G.U. N. 19 DEL 24 GENNAIO 2012 SUPPL. ORDINARIO N. 18/LDECRETO LEGGE N. 1 DEL 24 GENNAIO 2012 (dovrà essere convertito in legge ento 60 gg. dalla data di pubbli-cazione)“Disposizioni urgenti per la concor renza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”.Nuovi adempimenti per la professione medica e odontoiatrica:Art.9 ‘Disposizio ni sulle professioni regolamentate” prevede in parti colare al comma 3 che -Il compenso per le presta-zioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve ren dere noto al cliente il grado di complessità dell’ incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotiz zabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del compenso, previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi richiesta, deve essere adeguata all’impor tanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. L’inottemperanza di quanto disposto nel presente comma costituisce illecito disciplinare del professionista”Appare importante evidenziare che l’obbligo del professionista di comunicare per iscritto attraverso il c.d. preventivo al cliente il valore della prestazione vi è solo se è il cliente a chiederlo.Art. 11 “Potenziamento del servizio di distribu zione farmaceutica, accesso alla titolarità delle farma cie e modifica alla disciplina della somministrazione dei farmaci” al comma 9 dispone invece che “Il medico, nel prescrivere un farmaco, è tenuto, sulla base della sua specifica competenza professionale, ad informa re il paziente dell’eventuale presenza in commercio di medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e dosaggio unitario uguali. Il medi co aggiunge ad ogni prescrizione di far-maco le seguenti parole: “sostituibile con equivalente generico”, ovvero, “non sostituibile” nei casi in cui sussistano specifiche motivazioni cliniche contrarie.Il farmacista, qualora sulla ricetta non risulti apposta dal medico l’indicazione della non sostituibilità del farmaco prescritto, è tenuto a fornire il medicinale equivalente generico avente il prezzo più basso, salvo diversa richie sta del cliente” (...omississ...).