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AIMC Sicilia - 9° Congresso regionale – Palermo, 14-15 novembre 2009 Lucio Guasti La Scuola come bene comune. Fondamenti pedagogici Lucio Guasti, “La scuola come bene comune. Fondamenti pedagogici” 1

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AIMC Sicilia - 9° Congresso regionale – Palermo, 14-15 novembre 2009

Lucio Guasti

La Scuola come bene comune.

Fondamenti pedagogici

PremessaLucio Guasti, “La scuola come bene comune. Fondamenti pedagogici” 1

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AIMC Sicilia - 9° Congresso regionale – Palermo, 14-15 novembre 2009

Affronterò tre temi principali: la scuola come sistema, la scuola come curricolo, la scuola e il mondo cattolico. Nell’infinita letteratura relativa alla scuola ho trovato soltanto due testi che hanno come titolo specifico “La pedagogia della scuola”: il primo di Guido Giugni1, il secondo di Cesare Scurati2. Il rapporto tra scuola e “bene comune” mi sembra invece, come intenzionalità specifica, nuovo. Inoltre, sarà presente nello svolgimento del tema, qualche riferimento personale, qui inteso solo come occasione “istituzionale” di stimolo per la riflessione in corso.

La mia non sarà una relazione costruita sulla base di una specifica situazione culturale, quella italiana, se non per qualche inevitabile riferimento e non avrà un approccio riconducibile al campo della politica scolastica; intende invece inserirsi nell’ampio universo della pedagogia sociale della scuola e avere come suo oggetto il crescente “sistema formativo” che ormai sta espandendo sempre più la sua presenza in ogni parte del nostro “globo”.

Non mi fermerò così a delineare il valore della scuola come bene comune di una società, intendo solo confermare, se fosse ancora necessario, che la società riconosce nella scuola un bene per tutti e che tale riconoscimento è stato una conquista politica di grande valore. Questo fatto, inoltre, ha portato la cultura sociale, durante la sua recente storia, ad affermare che l’istruzione doveva tradursi in un bene per tutti così come già l’educazione era un bene sociale indiscutibile. Il passaggio dal problema del “se la scuola dovesse essere per tutti” al problema della certezza che l’istruzione, identificata con il concetto di scuola, fosse un bene per tutti, si è ormai consolidato e mi pare che si possa dire che sia difficile ritornare indietro.

Ma ciò che si è conquistato come valore non conduce alla conseguente conclusione che intorno al modo di interpretare il ruolo e la qualità della scuola nella società ci siano state le stesse idee e che ci siano tuttora le stesse convinzioni. La scuola è certamente un bene tutelato dalle istituzioni politiche, richiesto dalle esigenze sociali, culturali ed economiche ma ancora soggetto ad una quantità di problemi che meritano ulteriori investimenti di energie di ricerca e di riflessione. Alcuni di questi nuovi problemi cercherò di affrontarli adesso.

1. La democratizzazione: dalla scuola al “sistema formativo”.

Nel 1995 il presidente dell’Aimc (Associazione Italiana Maestri Cattolici) Bruno Forte mi chiese di coordinare un gruppo di ricerca sul problema dell’autonomia. Accettai e gli presentai un programma di lavoro che prevedeva di focalizzare il tema dell’autonomia in relazione al concetto di sistema. Fu attivata così una prima riflessione, che qui voglio riprendere, dal titolo “Costruire il sistema”3 che poi ho ripreso più volte nei miei interventi, fino ad un seminario di qualche mese fa con alcuni colleghi di diverse discipline4 dove si è sviluppata l’ipotesi di integrare la teoria dei sistemi con la teoria delle comunità accentuando l’idea di commitment sia nella direzione longlife sia in quella widelife5. Riflessione alla quale attribuisco ancora oggi molta importanza: il rapporto tra democrazia e sistema o meglio, sul versante più

1 Le Monnier, Firenze 1977. 2 La Scuola, Brescia 1997.3 Aimc, Roma, luglio 1996.4 Piacenza, 21 aprile 2007.5 Un primo tentativo in questa direzione può essere rappresentato dall’esperienza del COMUNE DI CASTELNUOVO NE’ MONTI: Patto per una comunità educante. I valori della comunità e i progetti per il futuro, maggio 2008. Cfr. tutto il movimento “Learning City” o alcuni testi come quello di PRICE, B.H., Mobilizing the Community Help Students Succeed, ASCD, Alexandria 2008.

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epistemologico, il rapporto tra la concezione della democrazia politica e la possibile utilizzazione della “Teoria dei sistemi”6.

Non intendevo, in quel contesto, sviluppare il concetto di autonomia senza metterlo in relazione ad una particolare e speciale forma che i sistemi sociali potevano prendere in una società democratica. La prima forma di regolazione sociale che allora intravedevo come rilevante per lo sviluppo delle istituzioni sociali e della loro riorganizzazione passava attraverso la visione sistemica.

Così ripresi un’efficace descrizione della situazione di Romano Guardini perché essa metteva direttamente in rapporto la visione democratica con la coscienza soggettiva e il tema della formazione. Scriveva Guardini ponendosi l’interrogativo di che cosa fosse la democrazia nella sua essenza: “E’ la forma di ordinamento politico più esigente e, per ciò stesso, più esposta ai pericoli di ogni altra, cioè quella che risulta continuamente dal libero gioco di forze tra persone aventi uguali diritti. Il compito di costruirla è paurosamente grande, perché non sono molti quelli che ne colgono veramente la natura”7.

Non è necessario alcun commento a ciò che qui viene espresso con tanta immediata evidenza, ma due sottolineature sembrano utili.

La prima riguarda il rapporto tra due persone aventi uguali diritti, rapporto che viene indicato come fondante la democrazia; le regole, evidentemente, determinano la qualità di tale rapporto ma, se non esistono nella coscienza delle persone la volontà e la capacità di mantenerlo vivo e vero, tali regole non sono sufficienti a costruire la democrazia. La storia, d’altronde, si è già incaricata diverse volte di smentire i facili illuminismi.

La seconda mette in evidenza il problema della comprensione. C’è quasi, paradossalmente, una nota di pessimismo in questa visione di Guardini: non sono molti quelli che comprendono realmente la natura della democrazia. E’ un problema di intelligenza, di cultura o di abissale profondità del concetto per cui sono inevitabilmente pochi coloro che adesso o domani la potranno comprendere?

La risposta chiama direttamente in causa il problema della formazione. E’ in grado la formazione di colmare questo dislivello? E’ in grado di garantire una strategia intenzionale capace di raggiungere l’obiettivo della comprensione per tutti? E’ coinvolto solo il piano proprio dell’istruzione concettuale o anche della sensibilità morale per cui la democrazia è possibile soltanto se esperita? Problemi fondamentali ai quali l’organizzazione della formazione deve dare una risposta, in quanto il contenuto della democrazia viene ritenuto essenziale perché prioritario, quasi “condizione incondizionata”.

Guardini si rende ben conto che l’unica strada possibile risulta quella che concentra l’attenzione sulla responsabilità dei singoli ma, ancora una volta, si pone l’interrogativo inquietante della qualità di queste relazioni: esse devono essere basate sul “reciproco rispetto”. Si postula che ciascun individuo possa “fidarsi” 8 degli altri

6 Cfr. David Easton, A Framework for Political Analysis, 1965, trad. it. di Ugo Mancini: L’analisi sistemica della politica, Marietti, Casale Monferrato (AL), 1984, fino a Niklas Luhmann e Karl-Eberhard Schorr: Il sistema educativo, Armando, Roma 1988 (1979) e, allo stesso, Sergio De Giacinto: Educazione come sistema, La Scuola, Brescia 1977. Per i rapporti tra organismo e apprendimento, cfr. Piero Mella: Dai sistemi al pensiero sistemico. Per capire i sistemi e pensare con i sistemi, Franco Angeli, Milano 1997. Nelle opere del fondatore della teoria, Ludwig von Bertalanphy, è reso più esplicito il rapporto tra sistema e formazione: ”I termini chiave della nuova teoria che io propongo, sono: simbolismo e sistema” (p. 34) nel testo: L’uomo come sistema, Istituto Librario Internazionale, Milano 1971 (1967) piuttosto che nel testo fondativo: Teoria generale dei sistemi, Istituto Librario Internazionale, Milano 1971 (1968)7 Guardini, R., Ansia per l’uomo, Morcelliana, Brescia 1970, p. 145 e ss.8 Cfr., oggi: LUHMANN, N., La fiducia, Il Mulino, Bologna 2002 e la sua idea di “fiducia nella fiducia”.

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perché sa che tutti vogliono il bene comune; lo vogliono effettivamente e non soltanto dicono di volerlo. La democrazia è tanto più reale quanto più questo comportamento è operante.

Sarebbe così possibile verificare la posizione di Guardini dicendo che una democrazia è tanto più solida quanto minimale è il ricorso alla garanzia delle procedure, e che è tanto più in crisi quanto più alto è il conflitto formale. L’aumento dei conflitti e, soprattutto, dei microconflitti è quello che sta purtroppo esattamente avvenendo in questi anni in Italia, ma non solo. La democrazia senza rispetto per le persone è viziata; di conseguenza, le regole si utilizzano come forme di difesa o di attacco. Maritain fu molto chiaro nell’affermare che la democrazia o è etica e spirituale oppure non regge alla storia.

Nella storia italiana questi concetti prendono corpo nella Costituzione della Repubblica. Nel commento che ne fa uno dei suoi maggiori protagonisti, Giuseppe Dossetti9 fra i principi che ne stanno a fondamento, c’è quello personalistico, garantito a tutti i cittadini: “In ognuno la Costituzione riconosce il valore insopprimibile ed inviolabile della persona umana e, quindi, della pari dignità sociale ed uguaglianza davanti alla legge, senza nessuna distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di posizioni personali e sociali” (art. 3). Mi pare utile qui sottolineare che l’art. 3 non esprime soltanto il più generale concetto di persona (art. 2) ma che lo qualifica come “persona umana”. Anche l’Unesco ha “adottato” il concetto di “persona umana”10. In questa visione, la scuola italiana è collocata come un corpo intermedio in grado di rispondere ai diritti civili espressi dalle esigenze personali. Essa diventa così una condizione essenziale della concezione democratica. Da quel momento in avanti, diversi interventi legislativi relativi alla scuola hanno sentito il bisogno di riprendere il concetto di persona e di travasarlo nella premessa alla normativa, quella a carattere prevalentemente pedagogico, quasi come una carta d’identità della riforma che si intendeva produrre. Mi pare che questa sia una forma di esercizio retorico, ciò che si chiede è che le azioni politiche che vengono promosse siano concretamente personaliste. Le affermazioni di principio sono già state fatte ed appartengono ad altra sede.

Il principio democratico ha inciso sullo sviluppo della scuola e continua a farlo in tutti i sistemi. La scuola, così come è stata ereditata dal passato, ha subito un’espansione rapida e intensa sia nella sua dimensione longitudinale sia in quella orizzontale. Ha fatto un grande sforzo di ampliamento del servizio verso tutti.

La tensione verso l’aumento degli anni vincolanti di scolarizzazione è cresciuta col tempo fino ad attestarsi al diciottesimo anno d’età - almeno -, proiettandosi contemporaneamente verso l’alto ma anche verso il basso. Lo sviluppo ulteriore della scolarizzazione è stato posto a programma delle società occidentali facendo leva sugli anni antecedenti la scolarizzazione formale fino ad anticiparne l’accesso di due, tre e anche oltre. La tendenza sembra quella di favorire processi di inserimento per tutti, integrando dimensione formativa e servizio sociale, fin dal primo anno di vita. La direzione intrapresa si orienta verso la costruzione di un grande investimento collettivo dalla nascita fino alla maturità: il diciottesimo anno, con uno sviluppo ulteriore nell’età adulta correlando sempre più strettamente formazione e professionalità. Tale orientamento contribuisce a creare il depotenziamento giuridico del concetto di obbligo e la sua sostituzione con i criteri posti per l’accesso al lavoro.

9 La Costituzione italiana. Il valore di un patrimonio, in Aggiornamenti sociali, n. 117, 1994.10 La philosophie saisie par l’Unesco, Paris 2003.

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Ma postula anche la necessaria revisione del concetto di istruzione considerando lo sviluppo del sistema nelle due direzioni indicate.

Sul versante orizzontale la scuola si trova a convivere con altre istituzioni orientate più direttamente e immediatamente alla formazione lavorativa dotate di modalità che tendono a perfezionare il loro specifico versante formativo e ad articolarsi progressivamente verso l’alto con propositi di sviluppo ulteriore ma anche di integrazione col sistema dell’educazione scolare. Sicché quella scuola che la storia ha conosciuto è diventata ormai un sistema plurimo caratterizzato da aspetti diversificati al proprio interno che solo parzialmente le consentono di riconoscersi nel suo passato.

2. Il rapporto e la relazione tra sistemi.

L’esperienza fatta nel Consiglio Superiore della pubblica istruzione11 mi aveva condotto ad una conclusione: quel modo di rapportare la democrazia scolastica col sistema politico non poteva più essere efficace e non poteva ulteriormente continuare. Il conflitto tra natura rappresentativa dell’organo dotato di sola funzione consultiva e il sistema politico, ugualmente rappresentativo ma dotato di tutti i poteri compresi quelli di natura pedagogico-didattica, generarono in me la convinzione che occorresse modificare sostanzialmente il rapporto tra “sistema politico” e “sistema formativo” (che l’aggettivo sia formativo o pedagogico o altro non ha qui importanza, il riferimento riguarda tutte le forme istituzionali di formazione che fanno parte del nostro quadro sociale). Nel tempo questa convinzione crebbe fino a sostenere, oggi, che questa è la condizione politica indispensabile per dare al sistema formativo la sua dignità sociale e culturale12. Opinione analoga a questa veniva trattata dall’economista Beniamino Andreatta13 il quale riteneva che si dovesse attuare una distinzione netta tra “potere politico” e “potere economico”, separazione che per lui risultava più importante della stessa separazione tra i poteri tradizionali dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario).

Esistono nella nostra società alcuni sistemi forti che si sono strutturati e che stanno aumentando la loro presenza e il loro potere: il sistema politico, il sistema economico, il sistema informativo-comunicativo. Credo che ad essi si debba associare il “sistema formativo” come struttura organizzata in grado di interagire con gli altri sistemi in modo paritetico e non dipendente.

Il sistema più forte, in questo momento, appare quello economico mentre quello informativo si sta imponendo con una forza sempre maggiore e con una rapidità di sviluppo impensata rispetto alla capacità di progressione degli altri sistemi. La scuola contemporanea è continuamente pressata dal sistema economico con la richiesta di adeguamenti ai nuovi problemi che lo sviluppo richiede. D’altronde, nella prima parte secolo scorso, è stata oppressa dalle diverse ideologie di Stato e poi governata comunque dal sistema politico.

La strategia adottata dalla scuola italiana relativa all’ipotesi di autonomia dei singoli istituti appare debole e possibile soltanto in alcuni casi, mentre il vero problema è la costituzione di un sistema della formazione autonomo rispetto agli altri 11 Sono stato membro del CSPI per alcuni anni, dal 1966 al 1971.12 Cfr. I nodi fondamentali della riforma della scuola, in La Scuola Cattolica, 129/2001, pp.479-504.13 BAZOLI, Speranza, ragione e morale. Il prezioso messaggio di Andreatta, in La Repubblica, 27 aprile 2007; SCANSANI, a cura di, Un riformatore solido e geniale. In memoria di Beniamino Andreatta, Diabasis, Reggio Emilia 2007; ANDREATTA, N., La riforma dell’ONU, curato da Mariantonietta Colimberti, AREL, Roma 2005; Nino Andreatta, in AREL la rivista, n.2/2007; SALSANO, F., Andreatta a via XX settembre: semi e tracce, Ministero dell’economia e delle finanze, Roma 2008.

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sistemi, in grado di organizzare al proprio interno ciò che ritiene funzionale allo sviluppo degli spazi di autonomia adeguati alla realtà anche dei singoli istituti. Tutto ciò, però, all’interno di una cornice organizzativa e strutturata di relazioni e di solidarietà del sistema. Un sistema dotato di autoregolazione con una posizione istituzionale strutturalmente democratica data dal fatto che si pone come fattore costruttivo delle dinamiche sociali e dal fatto che le regole del processo di sviluppo avvengono al proprio interno, seppure in relazione con gli altri sistemi e con tutti coloro che vi si rapportano: utenti, famiglie, società.

Sul versante internazionale solo il modello anglosassone, sebbene piuttosto differenziato fra i paesi maggiormente rappresentativi, si avvicina a questa ipotesi. Ipotesi, mi rendo conto, totalmente astratta rispetto alla realtà attuale ma non priva di fondamento se se ne analizzano anche alcuni altri aspetti. Mi pare che si vada comunque verso una forma di “costellazione sociale” della formazione.

Mentre la scuola nei sistemi anglosassoni ha, nei confronti dello Stato, un rapporto di autonomia pur con intensità piuttosto diverse (molto alta negli Usa meno in UK e in altri Stati), la scuola europea si muove all’interno delle regole dei singoli Stati con tentativi progressivi finalizzati al raggiungimento di una maggiore autonomia. La fuoriuscita della scuola dal controllo pressoché totale dal parte del sistema politico che governa lo Stato in quel particolare momento, ha rappresentato un anelito, quasi un obiettivo, che ha percorso il dibattito sulla scuola italiana in questa ultima parte del secolo. E’ convinzione diffusa che l’apparato dello Stato non sia più in grado di gestire direttamente i processi di trasformazione e di qualificazione del sistema. Sono stati fatti diversi tentativi ma mi pare che la soluzione verso la quale si sta andando per dare alla questione uno sbocco positivo sia quella federalista già percorsa da altri stati europei: Germania, Svizzera, Spagna. La soluzione potrebbe migliorare la situazione delle comunità regionali già organizzate e forti, creerà inevitabili problemi di ripiegamento nelle comunità regionali già deboli. Lo stesso problema si ebbe e si ha nella scuola Usa per la differenza che esiste tra la capacità delle comunità statuali di avere una società più o meno attrezzata ed economicamente efficiente. Stesso problema si registra oggi nelle comunità regionali spagnole. La politica ha tentato di rispondere a questo problema identificando nel concetto di “strategia compensativa” la linea per colmare le differenze qualitative e, quindi, per fare fronte alle esigenze perequative che i territori, con diverso sviluppo sociale ed economico, portano con sé.

La risposta che le istituzioni politiche stanno dando è quella dell’autonomia “a cascata” sempre all’interno dello stesso sistema statuale. E’ ancora il sistema politico che continua a pensare come si può distribuire meglio il potere all’interno dello stesso quadro istituzionale. Ritengo ormai tale strategia insufficiente anche se può essere in grado di produrre effetti di miglioramento. Ma non esiste più soltanto il problema istituzionale. La pressione culturale delle comunità identitarie e delle varie forme di aggregazione sociale impone un ripensamento anche di questa possibile via. Ed è il problema dell’oggi.

La posizione della Chiesa cattolica, espressa nel documento più significativo: la Gravissimum educationis14 affronta sia il tema della pluralità culturale sia quello del ruolo dello Stato. Mi pare che si possa dire che l’orientamento che viene proposto preme nella direzione di una scuola articolata sul piano sociale, non soggetta allo Stato, caratterizzata dalla pluralità delle presenze “ideologiche”.14 Cfr. anche il numero monografico di Orientamenti pedagogici, n. 2/2007: A 40 anni dalla Gravissimum Educationis. A confronto con i giovani, le organizzazioni internazionali e le scienze dell’educazione.

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In primis, c’è un diritto di tutti all’educazione: “A tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona, compete il diritto inalienabile ad un’educazione, la quale risponda al loro proprio fine, sia adattata alla loro indole, alle differenze dei sessi, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme sia aperta alla fraterna comunanza con gli altri popoli, per formare sulla terra la vera unità nella pace. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana in ordine al suo fine ultimo e insieme al bene della società, di cui l’uomo è socio, posto che egli da adulto parteciperà agli obblighi in essa vigenti”, diritto che va associato al tema rilevante del pluralismo: “Perciò la Chiesa elogia quelle autorità e società civili che, a ragione del pluralismo esistente nella società moderna ed a favore della debita libertà religiosa, assecondano le famiglie in modo che l’educazione dei loro figli possa avere luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi che essi fanno propri” (7,b).

La prospettiva auspicata, cioè quella del rispetto delle appartenenze religiose e del loro conseguente diritto a vivere e a prosperare in quella specifica educazione, pone problemi molto nuovi per gli Stati, per le loro forme di democrazia e alla stessa organizzazione della società.

Con questa posizione culturale la Chiesa cattolica incentiva la visione sociale della scuola dove la funzione dello Stato è sempre più quella della sussidiarietà (e non viceversa) e dove la pluralità educativa ne diventa la componente determinante. Il testo distingue, infatti, tra “pluralismo esistente nella società moderna” e la “debita libertà religiosa”, sicché ne deriva che i diversi gruppi sociali si possono organizzare per avere scuole caratterizzate da una propria pedagogia o di origine religiosa o di origine non religiosa. Un orientamento siffatto non può che provocare una riflessione attenta a tutte le democrazie che hanno nel principio del rispetto individuale il cardine della loro strutturazione. Nello stesso tempo, però, hanno anche il problema della salvaguardia del bene comune e, pertanto, il tema delle regole risulta centrale. Ma, come è evidente, anche l’oggetto “regole” è soggetto ad opinioni diverse negli stessi paesi a democrazia costituzionale consolidata.

Resta comunque il fatto che nella visione della Chiesa Cattolica si afferma il diritto prioritario delle diverse “confessioni”, basate sempre sul diritto primario della famiglia, di attuare l’educazione che appartiene alla loro cultura e, quindi, al loro modo di intendere i significati della vita.

Il tentativo fatto dagli stati nazionali è stato quello di favorire il principio dell’uguaglianza, il tentativo delle democrazie liberali o personalistiche va nella direzione della valorizzazione delle differenze. All’affermazione di principio consegue la scelta politica e sociale: non si tratta solo di accettare la presenza della pluralità ma di sostenere tale pluralità perché ritenuta un bene per la democrazia e per il conseguente vivere nella pace intesa, questa, come “bene comune”.

Il bene comune diventa dinamico: la pace, la cui base si trova nel rispetto della persona e nel riconoscimento del valore della libertà di organizzazione delle diverse linee culturali ed educative e che passa attraverso l’idea e la struttura della forma democratica. Questa scelta tende ad un rafforzamento delle identità e all’affermazione del vincolo coerente che viene richiesto sul piano dell’adesione: “Ai genitori cattolici ricorda poi l’obbligo di affidare i loro figli alle scuole cattoliche, quando e dove possono, di aiutarle secondo le loro possibilità e di collaborare con esse, per il bene dei loro figli” (8,c). Si può, allo stesso modo, pensare che la scelta valga per tutte le confessioni religiose e per i gruppi non religiosi. Molto più dura, a

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questo proposito, la posizione dell’enciclica Divini Illius Magistri15 la quale afferma: “… la frequenza delle scuole acattoliche, o neutrali, o miste, quelle cioè aperte indifferentemente ai cattolici e agli acattolici, senza distinzione, è vietata ai fanciulli cattolici, e può essere solo tollerata, unicamente a giudizio dell’Ordinario, in determinate circostanze di luogo e di tempo o sotto speciali cautele. E non può neanche ammettersi per i cattolici quella scuola mista (peggio, se unica a tutti obbligatoria) in cui, pur provvedendosi loro a parte l’istruzione religiosa, essi ricevono il restante insegnamento da maestri non cattolici in comune con gli alunni acattolici”(n. 78). E’ quello che avviene oggi nelle scuole pubbliche dello Stato italiano – che è per la quasi totalità partecipato da cattolici.

Al di là della “storicità” delle affermazioni resta comunque l’obbligo consolidato per i cattolici di mandare i loro figli alle scuole cattoliche e di accettare che la società sia pluralista non solo nelle sue confessioni religiose e nelle diverse ideologie sociali ma anche nell’organizzazione stessa del sistema di istruzione e di educazione.

Passare dalla visione istituzionale dell’organizzazione dell’istruzione e della formazione ad una visione sistemica significa transitare da un’istituzionalizzazione con forte prevalenza verticale e con parallelismi strutturali ad un nuova organizzazione orizzontale dove le singole parti si muovono e cambiano con una loro relativa autonomia dinamica. Per la stessa ragione appare superato il concetto di scuola nazionale: il rispetto delle culture religiose tende a superare ogni forma di nazionalità della religione. La religione contribuisce così a denazionalizzare la cultura e i relativi programmi delle scuole. La storia europea delle religioni nazionali ha ormai lasciato il posto ad un disegno universale del valore della cultura e della cultura personale superiore ad ogni forma di identità nazionale o territoriale. C’è molta più coesione tra le scuole cattoliche delle varie nazioni che non tra scuole cattoliche e visioni e valori nazionali in non pochi paesi contemporanei. Così ci può essere una diffusione orizzontale di un modello pedagogico al di là delle convergenze del modello stesso con i valori del proprio paese. Soltanto una nuova rete ben organizzata può pensare di stabilire connessioni e rapporti orizzontali per il buon funzionamento complessivo del valore della formazione per tutti.

Credo che oggi si debba ripartire da qualcosa di analogo a quanto fatto da Maritain insieme al Gruppo di Chicago con la proposta di una carta dei diritti universali dell’uomo16 e della conseguente ipotesi di governo mondiale con il fine di ridurre, inevitabilmente, il concetto di sovranità nazionale. Potrebbe essere utile riprendere in mano il documento e cominciare a trattare il tema culturale della formazione come un oggetto specifico con le proprie opzioni fondamentali in modo da creare una base riflessiva comune per i problemi posti dallo sviluppo della mondializzazione formativa in corso. Il principio potrebbe essere quello del primato della formazione nello sviluppo dei sistemi di mondializzazione politica e di globalizzazione economica. La posizione dell’Unesco tende ad incentivare questo modello secondo il principio delle Learning Societies17 e non solo della Learning Society come invece sottolineano i documenti europei. Si veda anche il contributo di Maritain per la costruzione della filosofia dell’Unesco confluito in un visione condivisa: « l’UNESCO n’a pas été crée pour veiller aux progrès théoriques de l’éducation, mais

15 Pio XI, 31.12.1929.16 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 10 dicembre 1948.17 UNESCO, Towards Knowledge Societies, Paris 2005.

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bien pour les employer à l’oeuvre concrète et positive de la paix entre les peuples. La finalité de l’Organisation n’est donc pas d’ordre théorique, mais d’ordre pratique »18.

3. Il curricolo.

La letteratura internazionale ha continuato, in questi decenni, ad approfondire e ad allargare la riflessione sul curricolo per cui sarebbe impossibile affrontarne tutti i temi. Ne ho scelto alcuni, quelli che mi sembravano immediatamente più pregnanti e più funzionali ad affrontare il mio argomento. Ne ho scelti cinque: l’innovazione del sistema, la personalizzazione, il lavoro e il capitale umano, i nuovi contenuti e il concetto di core curriculum, l’educazione cattolica.

Rispetto al primo punto relativo all’innovazione del sistema, credo che si abbia la percezione comune che la storia degli Stati ha creato una complessità tale di norme e di prescrizioni burocratiche da rendere la loro analisi estremamente complessa e luogo per specialisti di un ipotetico nuovo diritto, quello scolastico. Il sistema formativo è oggi sostanzialmente bloccato e solo in quei paesi dove la capacità istituzionale degli enti interessati è svincolata dalle sovrabbondanze normative pare presente un processo di trasformazione più alto rispetto agli altri. Pur non essendoci modelli perfetti credo che si possa dire che elementi di maggiore facilitazione dei processi sono ancora possibili anche là dove la normativa degli stati sembra debordante.

Ma ciò che può apparire un atto quasi soltanto tecnico di semplificazione è, nello stesso tempo, una proposta dotata di valore più o meno intenso e con possibili risultati trasformativi. A titolo di esempio, nella Commissione “Scoppola”, della quale ho fatto parte e che, insediata dal ministro Berlinguer19, aveva come scopo la produzione di un documento che potesse portare ad un contributo per la soluzione dell’annoso problema della parità scolastica, una delle proposte fatte fu quella dell’abolizione dei concorsi pubblici per l’assunzione del personale docente della scuola affidando alle università il compito di portare a termine, d’intesa con i Ministeri interessati, il percorso formativo con la necessaria abilitazione e poi di permettere alle istituzioni scolastiche di accettare o di scegliere il personale sulla base delle loro necessità e della presentazione del relativo curricolo. Questa procedura che in diversi paesi anglosassoni è una norma consolidata, per la politica italiana rappresentò un’ipotesi inaccettabile - sia da una buona parte della maggioranza sia dall’opposizione. E le conseguenze ormai negative risultano sempre più evidenti. Questo perché la scelta implicava un’assegnazione di valore, quello del “concorso pubblico”, di conseguenza la scelta non poteva riferirsi soltanto al semplice disegno di facilitazione dei processi e delle procedure. La stessa difficoltà si ebbe sull’ipotesi di pluralismo curricolare.

Si pone così il problema dei processi di innovazione e del loro rapporto con la struttura di una democrazia. I modelli operativi di democrazia nei paesi occidentali non sono gli stessi in tutti i paesi. Già l’Ocse aveva indicato un orientamento da me richiamato in altri interventi 20 ma senza esito per la centralità della concezione della primarietà della strategia legislativa dello Stato per tutti i problemi, anche quelli sui 18 VERMEREN, P., La philosophie saisie par l’Unesco, Unesco, Paris 2003. 19 Cfr. I lavori della commissione sulla “parità scolastica, in Pedagogia e Vita, n.1/1998; Ministero della Pubblica Istruzione, Bozza di documento della Commissione istituita con D.M. 4 luglio 1996 per l’attuazione dell’art. 33, comma 4 della Costituzione in tema di parità scolastica, Roma 10 marzo 1997.20 Cfr. La “sperimentazione” come innovazione. Il caso italiano di pianificazione scolastica, in DAMIANO, E., Idee di scuola a confronto. Contributo alla storia del riformismo scolastico in Italia, Armando, Roma 2003.

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quali non esiste da parte del sistema politico alcuna specifica competenza. La proposta allora avanzata è confermata dagli orientamenti culturali già indicati ma ciò non significa che prenderà realmente corpo nella maggior parte dei sistemi europei.

La stabilità del rapporto tra Stato - anche con tutte le sue componenti: regioni, enti locali - e riforme ha un primato diffusivo, permanente e fortemente strutturato, in tempi brevi difficilmente superabile, ammesso che si voglia realmente il suo superamento. Senza però tale superamento, tutta la strategia autonomistica è debole, anzi ha un che di mitico e di futuribile, un rinvio costante al dopo. E’ senza un modello. Lascia intendere di avvicinarsi al modello dell’autogestione degli anni Sessanta che ha rappresentato un mito politico e che sui grandi sistemi non si è mai realizzata. Direzione evidentemente illudente e impraticabile.

4. La personalizzazione.

Un secondo elemento di diversificazione è proprio quello attinente ad una visione dell’uomo di tipo personalistico. L’adattamento delle istituzioni allo sviluppo della persona conduce inevitabilmente verso forme accentuate di differenziazione dei percorsi formativi. L’orientamento formativo che si avverte sul versante della mondializzazione è appunto quello di una crescita delle scelte orientate alla personalizzazione dei percorsi anche in relazione all’aumentata richiesta, sul versante politico e giuridico, di soddisfacimento dei diritti del soggetto intesi questi non come categoria generale ma come individualità: il singolo soggetto. Personalizzazione e diritti soggettivi si presentano in maniera interrelata e contestuale. Persona e non solo individuo, una dialettica che ha radici profonde e che si ripercuote nel sistema formativo.

La crescita della personalizzazione dei percorsi di formazione si è particolarmente sviluppata nei contesti di democrazia liberale dove l’accentuazione dell’individuo21 porta inevitabilmente verso forme di marcata differenziazione educativa. Si tratta di sapere se esiste una reale differenza tra una strategia basata sull’individuo e una basata sulla persona o se i due elementi, di fatto, nella concretezza delle azioni, finiscano per coincidere. Se si considera ancora Maritain come un personalista “autentico”, si può con lui ritenere che la prudenza che dimostrava verso l’uso del concetto di persona come “dottrina”22 debba stimolare una certa attenzione nel momento in cui tale concetto viene assunto con funzione politica di organizzazione della formazione.

21 “L’hyperfunctionnement de soi e la trascendance de soi se caracterisent tous le deux par l’intensité, voire l’exès, de l’investiment personnel opéré par l’individue. Le premier se situe sur le registre professionnel, le second sur un registre beaucoup plus large, personnel ou professionnel. Dans le premier cas, la quète de sens fait défaut, soit parce qu’on ne la recherche pas, soit parce qu’on n’y a pas accès. Dans le second cas, au contraire, la recherce de sens imprègne toute la démarche et l’individu se porte en quelque sorte à l’incandescence de lui-même pour trouver du sens » in Nicole Aubert, L’intensité de soi, in AUBERT, N., sous la direction de, L’individue hypermoderne, Erès, Ramonville Saint-Agne 2004, p. 75.22 “Nulla sarebbe più falso di parlare di “personalismo” come di una “scuola” o di una “dottrina”. E’ un fenomeno di reazione contro due opposti errori, ed è un fenomeno complesso. Non c’è nessuna dottrina personalista, ma ci sono aspirazioni personaliste e una buona dozzina di dottrine personaliste, che non hanno talvolta in comune nulla al di là della parola persona, e delle quali alcune piegano più o meno verso uno degli errori contrari tra i quali sono situate. Ci sono personalismi a tendenza nietzschiana e personalismi a tendenza proudhoniana, personalismi che tendono alla dittatura e personalismi che tendono all’anarchia. Una delle grandi preoccupazioni del personalismo tomista è di evitare l’uno e l’altro errore” in MARITAIN, J., La personne et le bien commun, Desclée de Brouwer, Bruges 1947, p.8.

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La Costituzione italiana è personalista 23. Significativa la sottolineatura fatta da un’attenta studiosa della Costituzione italiana, Lorenza Carlassare: “Il principio personalista è uno dei principi fondamentali del sistema costituzionale italiano. Ma personalismo non equivale a individualismo. Di quest’ultimo, in particolare, le due principali ‘culture’ presenti in Assemblea Costituente – quella cattolica e quella socialista – temevano le interpretazioni estreme e, soprattutto, la limitatezza. Perciò, volendo fermamente mettere l’essere umano al centro del sistema, l’accento fu posto sul concetto di ‘persona’, più completo di quello di ‘individuo” 24. Si deve quindi,supporre che tutta l’organizzazione dell’attuale scuola abbia prodotto una cultura e un’organizzazione discendente e coerente con quel principio – di contro, si può ritenere che il personalismo sia una meta ancora da raggiungere e allora si dovrebbe prospettare il suo modello con relative distanze e distinzioni rispetto all’attuale situazione. Mi pare che gli interventi legislativi dicano ben poco a questo proposito.

Si potrebbe anche ritenere che la Costituzione americana, basata sul concetto di individuo25 abbia prodotto una scuola individualista e non personalista. Anche questo punto non mi pare facilmente dimostrabile. Mortimer Adler, che si può considerare un personalista fedelmente aristotelico, proprio in base a questo principio, contestava la scuola del suo paese e traeva la conclusione che tutti gli studenti dovessero studiare gli stessi contenuti per tutto il periodo di istruzione obbligatoria, finendo persino per ritenere che gli stessi due anni finali di preparazione alla scelta universitaria concedessero troppo alle differenziazioni soggettive26. Anche se la posizione di Maritain era molto simile a quella di Adler a proposito del progetto di un governo mondiale27 questo non autorizza a sostenere che avessero le stesse posizioni sull’impostazione del curricolo. Si può desumere che, su questo punto, le posizioni di Adler non potessero certo coincidere con quelle di Maritain considerando le riflessioni da questi fatte sull’educazione proprio nella sua permanenza negli Usa28. Ma l’esperienza di Adler non era l’esperienza del disastro prodotto dagli Stati europei con la seconda guerra mondiale; la sua proposta nasceva all’interno di una democrazia liberale che sentiva, al fine di evitare le derive individualistiche, il bisogno di un’unità forte ed essenziale su alcuni contenuti comuni a tutti e fino all’età di diciotto anni. L’idea di “bene comune” era pertanto questa: integrare i bisogni individuali con una cultura uguale per tutti che garantisse la permanenza e il consolidamento della comunità democratica.

23 “E’ l’approdo consapevole, dopo l’affermarsi di culture e di sistemi negatori dell’uomo, culminati nella tragedia della guerra, verso la riaffermazione che valore inviolabile e principio costitutivo di ogni società è la persona umana, nella sua dimensione individuale e sociale, materiale e spirituale” in OCCHIOCUPO, N., Liberazione e promozione umana nella Costituzione. Unità di valori nella pluralità di posizioni, Giuffré, Milano 1995, p. 5.24 CARLASSARE, L., Persona, in Iter, n. 8, maggio-agosto 2000.25 “L’individualismo è di origine democratica e minaccia di svilupparsi a mano a mano che le condizioni si eguagliano”, “Gli americani non hanno una scuola filosofica loro propria (…) non hanno quindi avuto bisogno di apprendere il loro metodo filosofico dai libri, l’hanno trovato dentro di sé” in DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, Einaudi, Torino 2007 (1848), pp. 589 e 493.

26 ADLER, M.J., Reforming Education, Westview Press, New York 1977; Aristotle for Everybody. Difficult Thought Made Easy, Touchstone Books, New York 1978; The Paideia Program. An Educational Syllabus, MACMILLAN, New York 1984; The Great Ideas, Open Court, Chicago 2000.

27 Cfr. FORNASIER, R., Maritain, il gruppo di Chicago e l’idea di un World Government, in Notes et Documents, n. 9/2007.28 MARITAIN, J., Education at the Crossroads, Yale University Press, New Haven 1943; Reflections on America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958.

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Pur potendo interpretare diversamente il concetto di personalizzazione in relazione al modo della sua traduzione nell’ambito delle comunità sociali, resta il fatto che progetti legati al concetto di personalizzazione iniziano a farsi strada, in questi ultimi decenni, con una letteratura sufficientemente articolata per andare incontro sia ai processi di individualizzazione dell’apprendimento sia alla possibilità di scelta della tipologia di curricolo sia, infine, alla possibilità persino di scegliersi la scuola di elezione, là dove è possibile e là dove conviene.

Per il primo punto, la letteratura è pressoché infinita, per il secondo è più limitata ma in continua diffusione; per il terzo si sta provando - con problemi diversi e con rilievi anche molto critici - di realizzare scuole “su misura”: le Charter Schools oppure si sta cercando il modo di aumentare i finanziamenti alle scuole non statali o di iniziare ad assegnare contributi là dove non vengono per nulla finanziate. C’è in atto una tendenza all’esternalizzazione come avviene nell’economia per il modello dell’outsourcing. Il caso più prossimo - è parte della mia attuale esperienza - è quello delle scuole comunali dell’infanzia del Comune di Reggio Emilia che hanno deciso da diversi anni di non aumentare la propria espansione nel territorio e di affidare, anche al proprio interno, la gestione e lo stesso modello curricolare a enti cooperativi di cui uno in autogestione da parte degli stessi genitori.

Se si può registrare nelle linee pedagogiche relative alla scuola una linea di tendenza che va nella direzione di un passaggio dalla centralità del concetto di individuo (human rights) a quello di persona (natural rights), va anche sottolineato che la letteratura attuale, anche di ambito cattolico, accentua fortemente il concetto di soggetto (consciousness rights) come caratterizzante maggiormente le esigenze educative dell’uomo nuovo. Questa letteratura è molto varia: ha dalla sua parte la rigorosità di pensiero di un autore come Bernard Lonergan fino a pamphlets comunicativi emblematicamente rappresentati da titoli come “Il soggetto assente” del filosofo Massimo Borghesi: ”Privato della sua autonomia, rimodellato continuamente dalla “classe sacerdotale” che presiede al “riformismo” scolastico, quella dei pedagogisti, egli appare come il passivo esecutore di indirizzi e di metodi…”29.

5. I nuovi contenuti.

L’investimento complessivo delle società occidentali sulla scuola e sul sistema formativo è certamente alto; oggi, anche nelle nuove culture orientali, tale investimento è in crescita e sta già producendo i suoi frutti come si può vedere da alcuni cambiamenti delle comparazioni internazionali e delle collaborazioni/joint-venture che si stanno realizzando. Da una parte, si assiste alla richiesta di adeguamento dei sistemi formativi alle nuove esigenze, dall’altra, si assiste all’affermazione della loro continuità e stabilità. L’innovazione tende a produrre effetti di trasformazione nella gestione, nell’organizzazione e anche nell’apprendimento però, mentre sui primi due versanti si ritiene che si possa procedere alla realizzazione di modelli anche alternativi, sul tema dei contenuti mi pare, invece, che si possono registrare tre tendenze.

La prima riguarda il tentativo continuo di inserire nel curricolo i nuovi contenuti richiesti dalla società: economia, diritto, lingue diverse, filosofia, ecologia, ecosociologia, etica, psicologia, teorie dell’organizzazione, ecc.; dall’altra, si ha una stabilizzazione di alcuni contenuti provenienti dalla tradizione con l’aggiunta delle tecnologie: matematica, scienze, lingua/lingue. Su questi punti si registra una

29 Itaca, Castelbolognese (RA), 2005, p. 11.

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convergenza forte sia della politica sia dell’economia sia del più diffuso consenso sociale anche se la giustificazione può essere diversa. Il nucleo dei nuovi contenuti formativi passa da questi elementi essenziali che rappresentano una base dello sviluppo contemporaneo e una rilevante tendenza alla comunicazione nei processi di mondializzazione. Sono linguaggi formali, molto comunicativi e, soprattutto, poco ideologici.

Sembrano in difficoltà, invece - e questa è la terza tendenza -, i contenuti con una forte dimensione ideologica; tali contenuti vengono affrontati ma sempre più orientati ad essere legittimati all’interno delle specifiche comunità di appartenenza. Storia, religione, la stessa letteratura, appaiono sempre importanti ma collocabili sul versante della soggettività e, quindi, della libera scelta. La percezione sociale del valore del curricolo è ben rappresentata da tutti gli sforzi di analisi qualitativa del rendimento del curricolo su tre aree: matematica, scienze, lingua. La strategia compensativa che si sta affermando è quella di integrare tali aspetti con una disciplina, la filosofia; ma i più pensano, almeno per il momento, che l’introduzione debba coincidere con un atteggiamento metodologico interno agli stessi contenuti trattati al fine di aumentare la riflessivisità, piuttosto che introdurre il nuovo contenuto come una specifica e separata “materia”. Una filosofia che inizi assai presto, con l’inizio della stessa scolarizzazione e fino alla sua conclusione. In sostanza, un vincolo riflessivo più ampio rispetto a quanto richiesto dalla natura di tali discipline. Anzi, all’interno di tali campi disciplinari si è affermata una forma di “percorso personalizzato”, per cui i soggetti devono avere la possibilità non solo di frequentare i corsi di base ma di poter accedere a corsi avanzati. La teoria del merito è cresciuta di importanza e viene realizzata attraverso l’offerta di corsi di livello più alto, in non pochi casi realizzati assieme alle università. Qualche caso è già presente anche in Italia. Sicché il sistema tende ad aumentare l’offerta, come è proprio anche del settore economico, per venire incontro alle esigenze e ai desideri individuali e, inevitabilmente, per una parte significativa di soggetti, tende a restringere il campo di focalizzazione di ciò che risulta importante. Tutte le altre materie, sono percepite come aventi un valore soggettivo ma non primario. In questo settore secondario è ormai inserita anche la “religione scolastica”, là dove si effettua.

Questo curricolo non può, per sua natura, essere locale, ciò che resta di locale diventa quella cultura nazionale che si presenta sempre più difficile da concretizzare. Il localismo si configura come lingua locale o dialettale, come cultura dell’ambiente, ma in realtà la scuola può fare assai poco rispetto alle richieste locali a meno che non ci si riferisca a quella parte del curricolo legata strettamente alla formazione professionale – però con notevoli trasformazioni in atto.

La percezione valoriale di base si sta pertanto concentrando su alcuni elementi del curricolo, mentre le materie che più di altre sembravano portatrici di valori forti, appaiono sempre più collocate nell’ambito del personale o del soggettivo. Questi contenuti vengono rappresentati come aventi un peso determinante per lo sviluppo del soggetto sia per la dimensione personale sia per quella correlata alla competenza professionale. La seconda rilevante percezione valoriale è legata agli indirizzi professionalizzanti. La religione, ad esempio, non rientra più né nelle culture di base né in quelle professionalizzanti, pertanto è destinata all’emarginazione comunque la si possa trattare. Inoltre, bisogna considerare che è in atto un consistente cambiamento di valori in tutto il sistema culturale e sociale, di conseguenza anche il curricolo ne viene investito.

6. Il costo della formazione.

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Quello che si sta verificando sul versante curricolare, cioè la possibilità di mettere i soggetti nella condizione di scegliere i loro percorsi che siano all’interno di una stessa istituzione o in collaborazione con altre istituzioni collegate, o che offrano la possibilità di scelte verticali come nei paesi centro-europei, si sta contemporaneamente verificando anche sul piano istituzionale. Non solo si tende a facilitare la possibilità di scelta ma si mette anche in condizione il soggetto di poter scegliere percorsi con livelli di qualificazione più o meno alti. La tendenza in atto ripropone il difficile tema dei costi della formazione di base e di quella più qualificata. La richiesta di aumento della competenza specifica in singoli settori si accompagna alla richiesta di un alto livello di competenza dell’istituzione che ne governa il processo. Più la qualificazione è alta più i tempi e i modi richiedono investimenti più elevati30. Oggi forse più di prima.

Le democrazie occidentali si trovano ormai di fronte ad un impasse che

avevano conosciuto marginalmente in Europa e, in modo più accentuato, negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni. La formazione di base viene garantita a tutti e a costi quasi totalmente sostenuti dalla collettività ma, là dove l’istruzione non è più obbligatoria, la competizione qualitativa, richiesta dai nuovi sistemi produttivi in tutti i campi, presenta una realtà con un risvolto economico non indifferente. I governi attuali non riescono ad aumentare le spese della formazione ma possono garantire che ci siano le condizioni minime per tutti. La progressiva ascensione verso l’alto implica invece un aumento dei costi che non vengono più assorbiti dalla collettività ma richiesti direttamente ai soggetti interessati.

Prevale il principio dell’investimento personale. L’appetibilità di un livello alto di qualificazione richiede la disponibilità a considerare anche tale oggetto come un investimento per il proprio futuro; di conseguenza, esso genera un impegno economico corrispondente. Il tasso di crescita nei settori della formazione oggi può al massimo attestarsi sui valori economici dei tassi di inflazione, il grande balzo in avanti non appare più possibile. La società richiede una maggiore qualificazione per tutti ma la possibilità di sorreggere, con l’intervento pubblico, tale richiesta appare inversamente proporzionale: tanto più è alta tanto più costa al soggetto o alla società.

La direzione assunta, pur con le diverse contraddizioni, sta avvenendo anche in Europa per l’alta qualificazione, mentre nei paesi anglosassoni è già presente da tempo. I nuovi problemi sociali, primo fra tutti quello dell’immigrazione, richiedono un aumento di investimenti in un settore tradizionalmente estraneo agli standards di spesa della pubblica amministrazione, ma il problema è così grave in prospettiva da non poter essere superato se non attraverso nuovi e speciali interventi che hanno ulteriori costi. Il rischio, in questo momento, di un effetto implosivo appare reale. I costi di una formazione qualificata aumenteranno e non potranno più essere affrontati dai bilanci dei singoli Stati nazionali: una formazione di base più lunga nel tempo per una popolazione che è costituita dalla totalità degli aventi diritto abbinata ad un’alta qualità formativa appare sempre di più un’impresa senza un effettivo respiro.

Se si legge anche la letteratura critica sulla situazione attuale di un paese vicino alla nostra esperienza come la Francia, si ha l’impressione che ci si trovi in un campo dove il rapporto costi benefici, per usare un linguaggio economico, abbia raggiunto il livello massimo di espansione positiva31.

30 “In effetti, produrre conoscenza è costoso, anzi molto costoso” in Dominique Foray, L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna 2006 (2000), p.87.

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L’alternativa attuale allo sviluppo delle possibilità formative per tutti appare sempre più legata allo sviluppo dei sistemi tecnologici di formazione che sembrano poter coniugare - seppure in parte - qualità e contenimento dei costi. Tecnologia e scienza vengono sempre più pensate – anche se non sempre vissute – come Bene Pubblico Globale (BPG)32.

Sarà quindi difficile per il sistema formativo evitare il rapporto con il concetto economico di impresa. La società ha già ampiamente trasferito il concetto di impresa ai diversi contenuti della cultura che fino a qualche tempo fa ne sembravano estranei: dall’industria della cultura, fino all’industria della musica e dello sport. La scuola come pura sede di formazione critica non ha superato l’esame della storia e non può che rientrare all’interno dei contenuti previsti dal quadro del rapporto tra produzione e lavoro.

7. Il valore del lavoro.

“Chi non vuol lavorare neppure mangi” (2Ts, 10). Questa dura e realistica espressione di Paolo resta sempre una buona traccia per sottolineare il valore del lavoro. Ma non è da meno Maritain quando afferma, come terza norma fondamentale dell’educazione, l’unità di mente e di mani: ”…mani e mente devono lavorare insieme… non c’è posto più vicino all’uomo di una fabbrica, e l’intelligenza dell’uomo non è solo nella sua testa ma anche nelle sue dita” e quando spera che in futuro “la dignità del lavoro sarà senza dubbio chiaramente riconosciuta, ed in cui forse scomparirà il dislivello sociale tra l’homo faber e l’homo sapiens”33.

“L’era contemporanea – scrive Guido Rossi34 – ha anche trasformato completamente il rapporto fra l’uomo e il lavoro (…) Qual è allora il futuro della filosofia nel mondo del lavoro?”. Gli orientamenti dell’Unione europea: creare un’economia della conoscenza che sia la più dinamica e la più competitiva del mondo entro il 201035, assunti da tutti i governi dei singoli paesi e già ratificati, hanno concentrato la finalità del sistema di formazione sul rapporto “lavoro conoscenza”36. La finalità è professionalizzante per tutti i contenuti o le aree che possono essere individuate e tutto il sistema deve riorganizzarsi per rispondere a questa nuova esigenza. La scelta del concetto di competenza come elemento chiave della proposta è indicativa della svolta che è stata realizzata. Dopo un’iniziale incertezza sono stati assunti, seppure con modalità non identiche, i criteri base e gli Stati stanno cercando di applicarli nei tempi indicati nelle loro specifiche situazioni.

31 Une école qui ne gomme pas les inégalités, in Le Monde de l’éducation, Octobre 2007; “…les procédés mise en oeuvre pour arriver à ces <savoir fondamentaux> ont été élaborés afin que la majorités des élèves, justament, n’y parvienne pas” in Jean-Paul Brighelli, A bonne école, Gawsewitch, Paris 2006, p. 214; “Les programmes proposés sont devenus des menus indigestes… A ces programmes lourds, inadaptés, inapplicables, s’ajoustes l’incoerence dans leur suivi… “ in Tidiane Diakite’, Mutations et crise de l’école publique. Le professeur est mort, vive le prof, L’Harmattan, Paris 2006; LANG, J., L’école abandonnée. Lettre à Xavier Darcos, Calmann-Lévy, Paris 2008 ; STAL, I., L’imposture pédagogique, Perrin, Paris 2008 ; Leçons pour penser et apprendre le monde, in Le Monde de l’éducation, Juillet-Aout 2008; L’école en question. Débat public, La Documentation Francaise, Avril 2008.

32 GALLINO, L., Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Einaudi, Torino 2007; “Dire che la conoscenza è un bene pubblico, in un’epoca storica caratterizzata dalla massiccia privatizzazione delle basi di conoscenza, può essere fonte di malintesi”, in Dominique Foray, L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna 2006 (2000)

33 Cfr. L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia 1963, pp. 70-71.34 Perché la filosofia, Editrice San Raffaele, Milano 2008, p. 19.35 Trattato di Lisbona, 2000.36 Cfr. i Programmi per la scuola elementare del 1945.

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Tale orientamento non è solo europeo; sul piano della cultura internazionale si registra, su queste tematiche, una generale convergenza, naturalmente con culture regionali che hanno problemi di sviluppo anche totalmente diversi37. Ma i linguaggi sono appunto quelli afferenti al rapporto conoscenza, competenza, lavoro, professione, sviluppo economico e sociale. Il passato sembra passato, davanti c’è soltanto la preparazione del futuro. La categoria del futuro sta diventando psicologicamente determinante sia per l’istituzione che forma sia per il singolo soggetto. E’ ciò che sarà necessario domani a diventare il criterio principale di organizzazione dei contenuti. Siamo ormai di fronte alla richiesta di una “pedagogia proiettiva”. Per tutti è essenziale avere un lavoro e un lavoro possibilmente qualificato. Non solo la Repubblica italiana è fondata sul lavoro ma tutte le culture sembrano convergere su questo aspetto in quanto concepito come parte integrante della dignità dell’uomo.

Il lavoro è funzionale allo sviluppo personale e, contemporaneamente, al quadro sociale38. La soddisfazione deve essere reciproca. Il bene comune è l’insieme di un equilibrato sviluppo sociale e di una soddisfazione personale dovuta alla propria attività. Il lavoro acquista un valore formativo non solo come componente interna del sistema formativo stesso ma anche come elemento fondamentale della struttura economica. La qualità del lavoro contribuisce alla qualità personale come contribuisce alla qualità sociale. L’etica del lavoro non risponde soltanto ad una necessità di società ordinata ma alla gratificazione personale. Non si lavora più soltanto “per vivere e mantenere la prole”. Si persegue un nuovo equilibrio tra il lavoro come necessità e il lavoro come gratificazione. Il lavoro viene vissuto come fattore di umanizzazione.

Se il lavoro è per tutti, questo non significa che si debba condividere la stessa teoria economica o che non si debba lottare per modificare la qualità del lavoro e anche per contribuire a formare una diversa teoria economica che sia coerente con le premesse personaliste della formazione. Ci può essere un conflitto tra lavoro e sistema economico; il lavoro si presenta come l’elemento motore della formazione umana, non l’unico certamente ma comunque valore generale per tutti al di là delle differenti ideologie. Così anche il lavoro è posto sul piano dei diritti. Il criterio pedagogico diventa quello della realizzazione personale e comunitaria. Per una società democratica diventa pregnante mantenere sullo stesso piano la qualità del sistema formativo e la qualità del sistema produttivo.

L’attuale teoria economica è basata sul concetto di capitale e su quello di mercato o di “libero” mercato. La riflessione che sta crescendo tende a favorire processi di “capitalismo democratico”39 e quindi di revisione degli aspetti deleteri e distruttivi della logica di mercato, cominciando col mettere il sistema formativo nella condizione di preparare la nuova generazione ad avere uguali opportunità e ad avere, nello stesso tempo, maggiore consapevolezza della realtà del sistema. Questa prospettiva va raggiunta accentuando contenuti e processi di apprendimento basati

37 Cfr. a proposito della concentrazione della povertà in un particolare punto del globo, l’Africa: COLLIER, P., L’ultimo miliardo, Laterza, Bari 2008.38 “Allo scopo di umanizzare il lavoro…” così intende proporre e accentuare la sua proposta l’OCDE: Educazione e lavoro nella società moderna, Armando, Roma 1976 (1975); FIELD, J., Il capitale sociale: un’introduzione, Erickson, Trento 2004 (2003)39 CAREY, R., Democratic Capitalism. The Way to a World of Peace and Plenty, AuthorHouse, Bloomington, Indiana 2004; DEIANA, A., Il capitalismo intellettuale, Sperling & Kupfer, Milano 2007.

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sul rapporto tra conoscenza, abilità, attitudini vissute come consapevolezza personale e sociale.

Si può sostenere, anche se non si è in presenza di una dichiarazione formale, che il diritto all’istruzione, tipico di tutta la legislazione del Novecento, sia sussunto nel concetto di “diritto al lavoro” come nuovo criterio organizzativo e valoriale dei sistemi formativi di questo secolo. Per cui il tradizionale obbligo di istruzione non rappresenta più la reale finalità del sistema. In questo disegno si colloca, anche linguisticamente, il concetto di “capitale umano” entrato ormai sia nella normativa politica riferita ai sistemi culturali sia trattato ampiamente dalla letteratura economica e filosofica.

L’economia della conoscenza è il nuovo problema che i sistemi hanno iniziato ad affrontare: la conoscenza non è solo funzionale al lavoro, allo sviluppo e alla competitività ma è essa stessa un bene economico che entra nella logica del rapporto di produzione. L’iscrizione ad un corso formativo per la specializzazione professionale o la propria qualificazione viene presentata e vissuta come un “investimento”. La conoscenza diventa imprenditoria personale e sociale. Ciò che manca al sistema formativo è l’investimento in ricerca – sussidiato con il 4,1 % in Europa a fronte del 45,2% di sostegno all’agricoltura40.

Manca ancora la consapevolezza dell’essenzialità per lo sviluppo economico della determinante costituzione delle “infrastrutture immateriali” 41.

8. Educazione cattolica e curricolo.

Nel disegno generale della Chiesa cattolica, la scuola è una componente essenziale della sua missione educativa: ”La presenza della Chiesa nell’area delle scuole, si manifesta in una luce particolare attraverso la scuola cattolica” (GE, 8,a). Dopo avere detto che fra gli strumenti educativi, la scuola riveste “un’importanza particolare” in quanto “matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudicare rettamente, introduce entro il patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove l’apprezzamento dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche una convivenza di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa, e alimenta fra loro la disposizione alla comprensione reciproca” (5,a) dichiara il proprio 40 SAPIR, A., An agenda for a growing Europe, making the EU economic system, Report of an indipendent high-level study group established on the iniziative of the President of the European Commission, Juillet 2003.

41 “Les infrastructures immatérielles sont les support de ce qui est appellé désormais le capital social”, in Maurice Baslé e Michel Renault, L’économie fondée sur la connaissance. Questions au projet européenne, ECONOMICA, Paris 2004, p. 220 e ss. Così PUTNAM, R., Making democracy work, Princeton University Press, Princeton 2003, il quale però allarga il concetto al “capitale sociale” come condizione dello sviluppo economico “social capital …such as trust, norms, and networks which facilitate the workings of the society as a whole” (p. 167). Cfr. su questo tema anche: CARRE’, PH., L’Apprenance. Vers un nouveau rapporto au savoir, Dunod, Paris 2005 ; COHEN, D., Tre lezioni sulla società postindustriale, Garzanti, Milano 2007 (2006); FIELD, J., Il capitale sociale: un’introduzione, Erickson, Trento 2004 (2003); FORAY, D., L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna 2006 (2000); GRASSELLI, P.; MOSCHINI, M., a cura di, Economia e persona, Vita e Pensiero, Milano 2007; GRUBB, N.W.; LAZERSON, M., The Education Gospel. The Economic Power of Schooling, Harvard University Press, Cambridge, MA 2004; JOHNES, G., Economia dell’istruzione, Il Mulino, Bologna 2000 (1993); KEELEY, B., Le capital humain. Comment le savoir détermine notre vie, OCDE, Paris 2007 ; KEELEY, B., Human Capital. How what you know shapes your life, OCDE, Paris 2007; NATIONAL CENTER ON EDUCATION AND THE ECONOMY, Tough Choices Tough Times, The report of the new Commission on the skills of the American Workforce, John Wiley & Sons, San Francisco California, Usa 2007; RIFKIN, J., La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Mondatori, 2002 (1995); SANTAGATA, W., La fabbrica della cultura, Il Mulino, Bologna 2007; STEWART, Th. A., La ricchezza del sapere. L’organizzazione del capitale intellettuale nel XXI secolo, Ponte alle Grazie, Milano 2002 (2001); UNESCO WORLD REPORT, Towards Knowledge Societies, UNESCO, Paris 2005; YUNUS, M., Un mondo senza povertà, Feltrinelli, Milano 2008.

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impegno a “promuovere le scuole di grado elementare e medio, in quanto costituiscono il fondamento dell’educazione”. Nello stesso tempo, dichiara di annettere “grande importanza” a quelle scuole “che vanno sotto il nome di scuole professionali e tecniche” e anche agli istituti “destinati all’educazione degli adulti”. Il documento conciliare non entra nel merito del curricolo, in particolare dei suoi contenuti, né la cosa viene fatta nei documenti successivi della Congregazione vaticana per l’educazione cattolica42.

Mi pare però che diventi sempre più indispensabile oggi, proprio perché i cambiamenti culturali in corso sono molto alti - nello stesso Concilio, il doc. Gaudium et Spes afferma l’inderogabilità di un “ nuovo umanesimo” – e, ritengo, decisivi per un lungo periodo, affrontare il tema dei contenuti. Di fronte alla realtà contemporanea che ha fatto le sue scelte per le nuove generazioni, la Chiesa cattolica conferma quei contenuti o ritiene che ci debba o ci possa essere un versante diverso o forse anche alternativo? Con Pio XI43 la Chiesa dichiara di essere “un’educatrice sovrana e perfetta” e che per ottenere tale “educazione perfetta” (n. 69) ci sono da seguire indicazioni vincolanti come quelle della presenza dei figli nella scuola cattolica; appaiono altrettanto vincolanti alcune aree di sapere: lettere, scienze, arti, filosofia, la stessa educazione fisica. Sono indicazioni contenutistiche non più presenti come oggetto specifico nel documento conciliare Gravissimum Educationis.

La domanda che ci si deve porre oggi è se gli orientamenti curricolari affermati nelle legislazioni sopranazionali, i quali coinvolgeranno le nuove generazioni per molto tempo, siano condivisi, siano distanti, siano da rifiutare o siano semplicemente da integrare.

Il cardinal Ruini sostiene che la società italiana – forse anche quella mondiale in relazione alle diversa diffusione del cattolicesimo – è ancora attenta e permeata di valori cattolici: “In Italia ci troviamo in una situazione privilegiata, rispetto a gran parte dell’Europa, perché la fede cristiana, nella sua forma cattolica, qui è viva ed è radicata nel popolo. Ma anche in altri paesi è in atto un risveglio…”44.“…ma il cristianesimo in se stesso è oggetto di contestazioni radicali e frequenti, che sono però ampiamente compensate dall’apprezzamento sempre più largo e convinto che la proposta cristiana, almeno in Italia, trova tra la gente”

Già affermava la stessa cosa Pio XI: ”…la Chiesa che mette a disposizione delle famiglie il suo ufficio di maestra e di educatrice, le famiglie che corrono a profittarne e danno alla Chiesa a centinaia e migliaia i loro figli”45. Questi pareri coincidono anche con le osservazioni che si possono fare per diretta esperienza personale o perché tratte da sondaggi e, con qualche attenta osservazione, dalla stessa scelta dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola. Nello stesso tempo però, si registra un secondo problema: il divario fra questa affermazione e l’adesione o la partecipazione a ciò che la Chiesa richiede quale comportamento adeguato e coerente con i propri valori. Tale divario è alto, molto alto. Definisco questo aspetto la “piramide della dispersione” dell’educazione cattolica proprio là dove i suoi strumenti principali di educazione: i sacramenti, dovrebbero essere la testimonianza della propria personale convinzione e adesione. La piramide della dispersione è presente in ogni parrocchia e la somma di queste determina la

42 Cfr. ZANI, A.V., Il cammino della Chiesa dalla Gravissimum Educationis ad oggi, in Orientamenti pedagogici, n. 2/2007.43 Divini Illius Magistri, 31 dicembre 1929.44 Verità e libertà, Mondadori, Milano 2006, p. 48;, in Rieducarsi al cristianesimo. Il tempo che stiamo vivendo, Mondatori, Milano 2008, p. 54.45 Divini Illius Magistri, n. 40.

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dispersione per diocesi. Ma occorre, ancora una volta, basarsi sui dati reali a disposizione, i fenomeni sono più articolati di quanto la pura numerosità non dica. Non tocca a me fare l’analisi sociologica del problema che demando agli esperti del settore. L’evidenza educativa è però forte. E’ comprensibile il richiamo fatto dal papa all’”emergenza educativa”46. Si ha la netta sensazione che il problema educativo sia acuto all’interno della società ma non meno acuto all’interno della Chiesa.

Così Giuseppe Groppo: “L’atteggiamento che l’Enciclica assume di fronte agli stati moderni per quanto riguarda l’educazione cristiana dei giovani nella scuola, sembra possa riassumersi in queste due affermazioni: nelle nazioni tradizionalmente cattoliche la scuola pubblica deve essere integralmente cristiana, soprattutto mediante un insegnamento della religione che sia fondamento e coronamento di tutta l’azione didattico-educativa; negli altri invece, dove esistono più confessioni religiose, l’autorità pubblica dovrebbe riconoscere pienamente e sovvenzionare scuole cattoliche di ogni grado (che le organizzazioni cattoliche penserebbero ad erigere), sufficienti per la popolazione cattolica, nelle quali le strutture didattico-pedagogiche e il corpo insegnante siano interamente cristiani.

La realtà dei fatti, nel trentennio che seguì la pubblicazione dell’Enciclica, nonostante i molteplici concordati stipulati dalla S. Sede con diversi stati per salvaguardare, tra l’altro, quei principi, non corrispose alle attese del Pontefice: la scuola pubblica divenne sempre più laica e secolarizzata; l’insegnamento della religione, non ostante il rinnovamento didattico cui fu sottoposto, raramente divenne “fondamento e coronamento” dell’azione didattico-formativo della scuola, anche di quella dichiaratamente “cattolica”. L’educazione cristiana subì una forte crisi un po’ ovunque, crisi che ancor oggi non è superata”.47

Conclusione

Non ho voluto dissociare il problema della scuola e dei suoi fondamenti in due campi separati, quello della laicità dello Stato e quello della confessionalità della Chiesa cattolica. Ritengo che oggi il problema educativo ponga interrogativi a tutti e che tutti siano chiamati a dare ciò che hanno di meglio.

Ho voluto anche sottolineare quanto di nuovo si sta profilando all’orizzonte. Prima di tutto l’affermazione delle democrazie e dei loro valori e poi il ruolo che il sistema formativo può esercitare nello sviluppo dei processi di globalizzazione in corso. Per questo obiettivo riaffermo il valore della libertà del sistema formativo rispetto agli altri sistemi e all’interno di questa autonomia il valore delle scelte personali e identitarie. In questo senso vedo la democrazia come futuro “bene d’ordine” per tutti e la pace reciproca come “bene comune”.

* Lucio Guasti, ordinario di didattica generale, Università Cattolica di Piacenza

46 Lettera del papa alla diocesi di Roma sul compito dell’educazione, 23 gennaio 2008.47 GROPPO, G., L’educazione cristiana alla luce del Vaticano II, manoscritto, s.d. anni Settanta, p. 8.

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Gli Atti del Convegno di Scholè sono raccolti nel volume: AAVV, La scuola come bene comune: è ancora possibile?, Ed. La Scuola,

Brescia, 2009

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