la prole di adec

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Valerio D'Elia, fantascienza. Adec, una piramide nera alta trenta metri, si erge al centro di un villaggio di mille uomini, su un mondo illuminato da un sole arancione. Gli abitanti considerano Adec la divinità che ha creato la vita umana e la fonte di tutte le loro conoscenze. Le sue doti soprannaturali sono sotto gli occhi di tutti, giacché è in grado di generare neonati, che poi sono affidati alle cure della popolazione. Non tutti però accettano passivamente questa visione delle cose. Adec rappresenta veramente l'inizio di tutto, o c'è stato altro prima di lui? Come fa a generare bambini, e perché li affida al villaggio? Esiste uno scopo della sua presenza e delle sue azioni? Due ragazzi, fratello e sorella, cercano le risposte a queste e a molte altre domande. Ma il percorso che conduce alla verità e che i due giovani si apprestano ad affrontare è lungo e passa attraverso le avversità che minacciano l'esistenza della loro stessa gente.

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In uscita il 30/4/2014 (15,70 euro)

Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2014 (6,99 euro)

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VALERIO D’ELIA

LA PROLE DI ADEC

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LA PROLE DI ADEC Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-703-2 Copertina: bookcover design by

Eleonora D'Elia per La Prole di Adec

Prima edizione Aprile 2014 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

Questo romanzo è opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a personaggi viventi è da ritenersi puramente casuale

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Ad Anna, Eleonora, Mamma e Papà. I miei primi lettori.

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Capitolo 1

Caccia Reb e Cori arrivarono a destinazione qualche tempo dopo l'alba. Le uniche cose che li avevano accompagnati nella passeggiata, a parte i loro indumenti di pelle, erano due bastoni lunghi e nodosi. La zona era dominata da un grande albero di mele, circondato da una radura erbosa, e da qualche cespuglio sparso. In quel periodo, i frutti della pianta erano grandi approssimativamente quanto una mano aperta e il loro colore stava mutando dal viola al rosa. Avevano un gusto alquanto sgradevole, ma Reb sapeva che il loro pro-cesso di crescita non era ancora terminato. Nel giro di una quindicina di giorni, le loro dimensioni sarebbero quasi raddoppiate e il loro colore sarebbe passato dal rosa al bianco e, infine, a un verde pallido. A quel punto, il frutto avrebbe assunto un sapore assai più piacevole e sarebbe diventata un'importante fonte di sostentamento per lui e per tutta la sua gente. L'albero di mele era alto circa una ventina di braccia e il suo tronco, largo e liscio, non forniva appigli per una scalata. Il ramo più basso si trovava a quasi quattro braccia dal suolo. «Scommetto che riesco ad arrampicarmi sull'albero saltando e attaccandomi a quel ramo!» disse Reb. «Non ce la farai mai!» replicò Cori. «Facciamo così: se ci riesci, vado io a prendere l'acqua al fiume questa sera, in caso contrario ci vai tu!» «Accetto la sfida! Preparati a una lunga camminata!» Reb si preparò prendendo la rincorsa, ma non arrivò al ramo per poche dita. Provò una seconda, una terza e una quarta volta, ma con suo disappunto non poté far altro che costatare il suo fallimento. Al terzo tentativo riuscì anche a sfiorare il ramo, ma l'altezza raggiunta non era sufficiente a permettergli di aggrapparvisi e ciò non fece altro che aumentare la sua frustrazione. Cori non contribuì minimamente a tirargli su il morale, divertendosi non poco a scimmiottarlo per il suo insuccesso.

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«Ehi, fratellino, perché stai saltando con una gamba sola?» disse. E ancora: «Se sapevo che oggi eri così in forma chiedevo a una delle nostre sorelle di venire al posto tuo!» L'irritazione per la bruciante sconfitta non permise a Reb di replicare. Gli sarebbe toccato andare a prendere l'acqua al fiume alla fine della giornata. Lui e Cori erano fratelli e avevano la stessa età (suo fratello era più giovane di lui di soli nove giorni). I due ragazzi erano prossimi a compiere il loro venticinquesimo ciclo gestazionale e, dunque, a entrare ufficialmente nell'età adulta, sebbene per molti aspetti contribuissero già attivamente alla vita e allo sviluppo della loro comunità, per esempio andando a caccia per procacciare il cibo, come in quel caso. Nonostante l'età li accomunasse, Reb e Cori avevano una struttura fisica totalmente diversa. Il primo era magro e slanciato, con una muscolatura leggera, ma essenziale, che lo rendeva agile e scattante, dunque adatto a correre velocemente e a saltare. Cori era di appena due dita più basso del fratello, ma molto più prestante di lui, poiché dotato di muscoli estremamente sviluppati, che gli consentivano di sollevare e trasportare per lunghe distanze pesi notevoli senza affaticarsi eccessivamente. Reb aveva capelli biondi, occhi celesti e una carnagione chiara; Cori aveva capelli e occhi neri e la pelle molto scura. In effetti lui e suo fratello erano totalmente diversi, pensò Reb, ma ciò era assolutamente normale, giacché lui era un Figlio di Donna, mentre Cori era un Figlio di Adec. Ad ogni modo, fu necessario unire le forze per scalare il melo. Cori si accovacciò di fronte all'albero, facendo salire il fratello con i piedi sulle spalle. Una volta caricatosi il fardello, si rimise in piedi senza sforzo, mentre Reb si manteneva in equilibrio appoggiandosi al tronco. Cori si girò quindi di novanta gradi, distribuendo bene il peso sulle due gambe ed equilibrandosi con la mano sinistra appoggiata al melo. In questa posizione, Reb distava meno di un braccio dal ramo più basso, che poteva raggiungere con entrambe le mani mediante un piccolo balzo dalle spalle del fratello, cosa che gli riuscì senza problemi. Il ramo su cui si issò in scioltezza era in grado di sostenere tranquillamente il suo peso, poiché aveva un diametro di oltre mezzo braccio. Reb si tenne in equilibrio sfruttando un ramo più in alto e si incamminò in direzione opposta al tronco, fino a raggiungere alcune foglie che staccò e lasciò cadere al suolo. Le foglie, di un vivo color porpora, erano lunghe circa un braccio ciascuna e larghe pressappoco la metà. Aveva inoltre raccolto un paio di mele e le aveva tirate per gioco contro il fratello, che le aveva scansate senza difficoltà. Le mele erano finite al suolo, spaccandosi e mettendo a nudo la polpa rosea.

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«Perché ti sei spostato?» aveva chiesto Reb al fratello. «Anche se ti colpivo in faccia il tuo aspetto non poteva che migliorare!» «Non appena avrai finito di giocare a fare la scimmia e rimetterai i piedi per terra sarò lieto di migliorare personalmente il tuo di aspetto. Vedrai che la mamma ne sarà felice!» aveva replicato Cori con un tono che era a metà tra il minaccioso e il divertito. Reb si appese al ramo e si lasciò cadere al suolo, piegando le ginocchia per ammortizzare la caduta. I due raccolsero le foglie e i frammenti dei frutti, li misero da una parte e cominciarono a scavare una buca in prossimità dell'albero usando le mani e alcune pietre raccolte nelle vicinanze. Fu un'operazione lunga e faticosa anche se, fortunatamente, il terreno era abbastanza morbido e poco compatto. Mentre scavavano, Reb si domandò se per caso non ci fosse un modo più rapido per compiere quel lavoro. “Forse se riuscissi a trovare un sasso piatto, di forma triangolare, e se riuscissi a incastrarlo in qualche modo a una delle estremità di un ramo resistente, magari legandolo con delle fronde… ” pensò. Decise che avrebbe provato a mettere in pratica questa idea, prima o poi. Alla fine, la buca aveva approssimativamente le dimensioni di un cubo di un braccio e mezzo di lato. I ragazzi presero le mele, le maciullarono con le pietre usate per scavare la buca e spalmarono la polpa così ottenuta su una delle foglie color porpora. Fatto ciò, staccarono una serie di rami dai cespugli circostanti e li disposero a formare una griglia sulla superficie della fossa che avevano appena scavato. Infine, le foglie furono poste a coprire la buca e la foglia impregnata della poltiglia di mele fu messa al centro della trappola con la faccia sporca rivolta verso l'alto. L'odore aspro del frutto acerbo era intenso e pungente. «Proprio non capisco come facciano le pecore a mangiarsi questa roba!» si chiese Cori. «Anche noi mangiamo le mele!» replicò Reb. «Sì, ma noi le mangiamo quando sono grosse, verdi e dolci, non quando sono piccole, viola e aspre, come adesso!» insistette Cori. «Non saprei. Forse dipende dal fatto che le pecore non sono in grado di arrampicarsi sugli alberi e, dunque, non possono raggiungere il frutto quando è maturo. Invece noi e le scimmie possiamo prenderlo al momento giusto. Penso che le pecore siano abituate a mangiare le mele acerbe e che le considerino addirittura gustose, paragonate all'erba che mangiano di solito. Probabilmente non hanno molte occasioni di gustare una mela matura, poiché sia noi sia le scimmie ne divoriamo una grande quantità. Inoltre, i pochi frutti che cadono dall'albero perché troppo

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maturi, si guastano molto rapidamente o sono già immangiabili. Oppure potrebbe darsi che… » «Ehi!» lo interruppe Cori. «Mi stai facendo venire il mal di testa con tutte queste chiacchiere!» «Stavo solamente cercando di rispondere alla tua domanda!» si risentì Reb. «Io non ti ho fatto nessuna domanda! Stavo solo dicendo che le pecore sono animali stupidi se si mangiano le mele quando non sono ancora mature e tu hai cominciato a blaterare sulla vita delle pecore, delle scimmie e di tutti gli animali! A chi vuoi che interessi questa roba?» «Senti» disse Reb per liquidare la questione, «finiamola con questa storia e cerchiamo di fare quello per cui siamo venuti qua, che al villaggio ci aspettano!» Detto ciò, finì di sistemare le foglie sulla buca, raccolse da terra il suo bastone e si appostò poco lontano dietro un cespuglio, imitato poco dopo da suo fratello. Il tempo scorreva lento e Reb stava perdendo la pazienza e la speranza. Era trascorsa quasi la metà della giornata e loro erano ancora lì, in attesa. Il sole era in prossimità del culmine del suo cammino nel cielo e splendeva di un'accesa luce color arancione. Le foglie che coprivano la buca si stavano avvizzendo e seccando rapidamente a causa del calore sempre più intenso dovuto all'incedere del giorno. Come se in qualche modo riuscisse a percepire lo stato d'animo del fratello, Cori disse: «Penso proprio che oggi non sia la giornata giusta.» «Già!» assentì Reb. «Ultimamente se ne vedono sempre di meno da queste parti. Forse ne stiamo uccidendo troppe e magari dovremmo cambiare territorio di caccia. O forse hanno iniziato a capire i nostri metodi e non si avvicinano più alle trappole che costruiamo.» Cori non era d'accordo. «Non dire fesserie, Reb. Le pecore sono bestie stupide, non sono in grado di capire se la mela spiaccicata su quelle foglie sia finita lì per caso o se sia stata messa di proposito. Loro pensano solamente a mangiare.» Quasi a dar ragione a Cori, poco lontano udirono un fruscio, seguito, dopo un certo intervallo di tempo, da un tamburellare veloce di passi in avvicinamento. Da una pianta bassa sulla destra del melo rispetto alla loro posizione, era appena sbucato fuori un animale lungo più di un braccio, testa esclusa. Esso si era inizialmente guardato intorno e poi aveva cominciato a muoversi in maniera circospetta verso la trappola. «Ci siamo, eccone una!» esclamò Cori. «Sta venendo dritto da questa parte!»

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«Già» rispose Reb, «ma procedendo da quella direzione sicuramente ci vedrà molto prima di arrivare alla buca e allora scapperà e lo avremo perso.» «Cerchiamo di abbatterlo prima che arrivi alla trappola, allora!» «No!» dissentì Reb. «Se non lo atterriamo al primo colpo ci sfuggirà: è troppo veloce per noi. E anche se non fuggisse, è comunque una soluzione troppo pericolosa, seguimi!» Detto questo, si mosse in direzione opposta a quella dell'animale tenendosi basso per avere la copertura dei cespugli dietro i quali si era nascosto. Appena fu sicuro di essere fuori dal campo visivo della loro preda, si alzò in piedi e fece un largo aggiramento per raggiungere una nuova copertura. Cori lo raggiunse poco dopo, ansimando leggermente. La nuova posizione si trovava circa alla stessa distanza che c'era tra la pecora e la trappola, con il vantaggio che ora si trovavano quasi esattamente lungo la direzione seguita dall'animale. Quest'ultimo si era appena fermato, come se avesse percepito qualcosa di anomalo nell'ambiente circostante. «Ci avrà visto?» disse Cori. La sua era più che altro una domanda rivolta a se stesso, che esprimeva la paura che tutto il lavoro fatto e il tempo speso ad attendere fossero stati inutili. Tuttavia, suo fratello rispose e anche con una certa stizza. «Parla più piano» lo rimbeccò con un tono di voce bassissimo, «altrimenti anche se non ci ha visto sentirà la tua voce fastidiosa e il risultato sarà esattamente lo stesso!» «Se scappa via avremo perso l'occasione di saltarle addosso prima. Invece hai deciso di farti questa bella passeggiata da un cespuglio all'altro, perché non hai avuto il coraggio di affrontare quell'animale innocuo!» sentenziò Cori offeso. Reb capiva benissimo che la replica piccata del fratello era dovuta al suo rimprovero. Quindi non se la prese per il riferimento di Cori alla sua presunta vigliaccheria, ma si limitò ad affrontare razionalmente la questione sollevata. «Quelle bestie» cominciò, «non sono per nulla innocue, come le definisci tu, e lo sai benissimo. E sai anche bene che, se fosse per me, non avrei problemi ad affrontarle a viso aperto. Ma i nostri genitori ci hanno ordinato di non correre alcun tipo di rischio, specificando che è meglio tornare a mani vuote che mettersi anche minimamente in pericolo.» «Ma io non… » si intromise Cori. «Non si tratta solo di obbedire ai nostri genitori» continuò Reb ignorando l'interruzione. «Questa è una delle leggi più importanti del nostro villaggio, seconda solo all'obbligo di procreazione. Abbiamo il dovere di non esporci al pericolo, salvo che non sia minacciata

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l'esistenza stessa del nostro villaggio, cosa che per fortuna non è mai successa, per ora. Ricordi che cosa è successo a Mirno, un paio di periodi di gestazione fa?» «Ti riferisci al figlio di Lic? Lei e la mamma sono molto amiche.» «Proprio a lui. Quello scemo era andato a prendere l'acqua al fiume, poco prima del tramonto, e aveva avvistato un branco di pecore lì vicino. Così aveva deciso di provare a portare via un cucciolo alla madre. Ciò che è successo lo sai, no?» chiese Reb. «Sì. A quanto hanno raccontato lui e il suo amico Ternel, la madre si è accorta del suo tentativo di portarle via il cucciolo e l'ha caricato. Lui è finito a terra ed è stato calpestato da parecchi membri del branco, durante il fuggi-fuggi che ha fatto seguito al suo goffo tentativo. Era decisamente malconcio quando è tornato al villaggio, sorretto da Ternel. Zoppicava, aveva parecchi tagli sulla pancia e sulla schiena e, probabilmente, anche qualche costola fuori posto.» «Proprio così» continuò Reb al posto suo. «E i genitori, dopo avergli lavato e bendato le ferite, non gli hanno nemmeno fatto una predica, ma l'hanno chiuso in tenda per dieci giorni di fila, consentendogli di uscire solo per fare i bisogni, e gli hanno anche negato per lo stesso periodo il pasto di mezzanotte.» «Già, quanto lo abbiamo preso in giro per quella storia! Anche se devo dire che un po' mi è dispiaciuto per lui: i genitori sono stati troppo severi, in fondo lui voleva solo portare a casa del cibo!» «Non è questo il punto. Mirno ha corso un grosso rischio e poteva rimetterci la vita. Ho visto punire la mancanza di giudizio verso i pericoli in modo alquanto simile da molte persone diverse e spesso l'infrazione alla regola era di gran lunga meno grave di quella di Mirno. Gli adulti sono severissimi quando si tratta di proteggere l'incolumità dei più giovani e non è solamente una questione affettiva, connessa al rapporto genitori-figli. E' qualcosa di più, al di fuori della famiglia, qualcosa che riguarda l'intero villaggio, qualcosa che noi non riusciamo a capire. E' qualcosa che probabilmente nemmeno gli adulti riescono a comprendere pienamente, ma a cui obbediscono in maniera cieca, così come obbediscono all'obbligo di procreazione, sentendo in qualche modo a livello istintivo che è la cosa giusta da fare.» «Sai Reb, quando ti perdi in questi discorsi, di solito puoi ottenere due risultati se ti sto ascoltando. O perdi la mia attenzione dopo poche parole, oppure mi fai venire un gran mal di testa!» esclamò Cori. «Comunque, forse è il caso di piantarla, non solamente perché tutte queste tue elucubrazioni mentali non mi interessano minimamente, ma soprattutto perché la nostra amica si è finalmente decisa a muoversi.»

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In effetti la pecora, che durante la sua pausa aveva forse valutato che non ci fosse pericolo, aveva ricominciato ad avanzare verso la trappola. La postazione di attesa dei due ragazzi permetteva loro di osservare l'animale attraverso le fronde, senza che esso potesse facilmente accorgersi della loro presenza. Arrivata a poche braccia dalla trappola, la pecora iniziò a fiutare l'aria circostante con la sua piccola proboscide. Per un momento sembrò desistere dall'avanzare verso la mela in poltiglia che giaceva sul letto di foglie e si girò verso il cespuglio che nascondeva i due ragazzi, annusando ancora l'aria e guardando insistentemente nella loro direzione. «Questa volta deve averci visto per forza, sta guardando proprio da questa parte!» esclamo Cori sussurrando le parole tra i denti. «Non è possibile!» replicò Reb. «Siamo troppo ben nascosti in questo cespuglio, riesco a malapena a scorgere io la pecora in mezzo a questo groviglio di foglie!» ma non si sentiva più tanto sicuro della propria affermazione. «Dai bella, guarda che bel pasto succulento c'è poco più avanti! Su, ti mancano solo pochi passi!» disse piano Cori, cercando di esorcizzare la paura di venire scoperti proprio sul più bello. Come incoraggiato da quelle parole, che non avrebbe comunque potuto percepire, l'animale tornò a interessarsi alla mela che si trovava davanti a lui. Mosse ancora alcuni passi, ora si trovava a meno di un braccio dall'inizio della buca nascosta. «Forza, stupida bestia, infilati in quella buca!» si ritrovò a esclamare Reb. Per loro fortuna, l'animale fece proprio così. Annusò ancora, questa volta con lo sguardo fisso sulla mela che giaceva invitante poco più avanti, e appoggiò con convinzione una delle due zampe anteriori sulla prima foglia. Questa cedette improvvisamente sotto il peso che la sovrastava. La pecora cercò istintivamente di bilanciare la perdita di equilibrio spostando rapidamente in avanti l'altra zampa anteriore, ma ciò non fece altro che peggiorare la sua situazione, poiché anch'essa finì per ritrovarsi senza un appoggio solido. Nonostante un disperato tentativo di arpionarsi al suolo con gli altri arti, l'animale finì per rovinare di schiena nella buca con una capriola. Lo schianto fu preceduto da una serie di schiocchi che testimoniarono la rottura dell'intelaiatura dei rami che sorreggevano le foglie di melo. Reb schizzò rapido fuori dal cespuglio, col bastone in mano, gridando: «Muoviti, Cori!» Con poche ampie falcate coprì la distanza che lo separava dalla buca. Cori era di pochi passi indietro. Nel frattempo, la pecora si era rigirata sulle zampe, si era scrollata di dosso il fogliame e i rami che la

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ricoprivano e stava cercando di arrampicarsi fuori dalla buca, puntando lungo la parete della fossa le zampe anteriori e spingendo con gli altri arti. Reb si posizionò sul versante opposto rispetto a quello da cui l'animale stava cercando di risalire. Reggendo il suo bastone con entrambe le mani, alzò le braccia, piegando i gomiti a novanta gradi e menò un fendente con tutte le sue forze. L'estremità opposta del bastone disegnò un ampio arco e terminò la sua traiettoria abbattendosi sulla testa della pecora. L'animale emise un verso roco e si abbatté all'interno della trappola. Le foglie, le pareti della buca e la punta del bastone di Reb si macchiarono dell'arancione del sangue fuoriuscito dalla testa della pecora. Nonostante il colpo ricevuto, la bestia si agitava ancora sul fondo della buca. Cori era appena arrivato e si preparava a sferrare a sua volta un attacco. «Colpiscila in testa, non rovinare la sua pelle!» gli ordinò Reb. «Non ti preoccupare» rispose Cori, «arriverà al villaggio come nuova!» e mentre stava finendo la frase, iniziò a bersagliare la testa della pecora con una successione di colpi rapidi e al tempo stesso violenti, che misero ben presto fine all'agonia dell'animale. «E' fatta!» esultò Cori. «Bel colpo!» si complimentò Reb col fratello. «Hai proprio una mano pesante, non c'è che dire! Nonostante io l'abbia colpita con tutta la mia forza, la mia bastonata non ha fatto altro che farla infuriare!» «Beh, diciamo che devi lavorare un po' sui tuoi muscoli ma, se non fosse stato per le tue decisioni, probabilmente avrei cercato di attaccarla prima che arrivasse alla buca, col risultato che quasi certamente sarebbe scappata e allora addio cena!» «D'accordo allora, tu sei il braccio, io sono la mente. E poiché quello forte sei tu, che cosa ne pensi di tirare fuori quella carcassa dal fondo della trappola?» chiese Reb al fratello. «Sì capo!» disse allegramente Cori. Dopodiché si stese per terra vicino a un bordo della buca, si sporse al suo interno e afferrò l'animale morto per una zampa. Sebbene esso pesasse quasi quanto il ragazzo, quest'ultimo lo issò fuori dalla fossa con uno sforzo minimo e lo stese ai piedi del fratello. «Certo che non sono proprio il massimo della bellezza questi affari, eh?» notò Cori. Reb guardò la carcassa. L'animale era steso su un fianco. La parte posteriore e un lato di quella che si poteva definire la testa erano tumefatti e il sangue arancione sgorgava copioso da una grossa ferita, sebbene nelle zone periferiche della lesione si stesse rapprendendo, assumendo una colorazione marrone. Il capo aveva una forma che

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ricordava un tronco di cono. La sua base aveva le stesse dimensioni del corpo e vi si attaccava direttamente, senza esservi collegata mediante un collo. La testa non poteva dunque essere ruotata senza che l'animale muovesse tutto il corpo. Questa mancanza, osservò Reb, era però compensata dalla presenza di quattro occhi. Due di essi erano posti nella zona frontale della testa (sulla parte tronca del cono) sopra una piccola proboscide. Erano perfettamente sferici e grandi appena un po' più di un occhio umano. Gli altri due erano lunghi quanto una mano, dal polso alla punta del dito medio. Però erano molto stretti e si sviluppavano lungo le due regioni laterali della testa per quasi la metà della lunghezza di queste regioni. Una piccola pupilla scorreva all'interno di questi occhi, per fornire all'animale una visuale laterale e posteriore. Una palpebra sottile proteggeva gli occhi laterali, mentre due palpebre più spesse, una che scendeva dall'alto e una che saliva dal basso, completavano gli occhi frontali. Al momento, però, a parte un occhio laterale che era tumefatto e incrostato di sangue a causa dei colpi inferti dai due ragazzi, gli altri tre erano spalancati e mostravano il loro acceso colore rosso. Il corpo aveva la forma di un ovoide troncato dalla parte in cui si attaccava alla testa. Era ricoperto da una specie di pelo grigiastro folto e corto, estremamente ispido al tatto. Dalla parte inferiore partivano tre coppie di zampe, le anteriori poco dopo l'intersezione della testa col tronco, le posteriori appena prima che il corpo terminasse in una coda appena accennata, lunga meno della metà del palmo di una mano. Le zampe centrali erano più tozze delle altre quattro, poiché si attaccavano a una parte del corpo che si trovava più vicina al terreno quando l'animale era in posizione eretta. Sembravano avere una struttura muscolare molto meno sviluppata delle altre, forse perché meno usate, ipotizzò Reb. Nonostante avesse visto centinaia di esemplari di questa specie, ogni volta che osservava una pecora da vicino e si soffermava sui particolari della sua struttura fisica, Reb non riusciva a non rabbrividire. Per qualche motivo che non era in grado di spiegare, quegli animali gli infondevano a livello istintivo una sensazione di fastidio, di gelo, quasi di paura. «Hai ragione» si limitò a rispondere al fratello, «sono proprio brutti. Per fortuna sono abituato alla tua faccia, quindi la vista di questi qua riesco a gestirla senza problemi!» aggiunse sorridendo. Reb schivò agilmente il calcio che Cori tentò di rifilargli. Non c'era alcuna pretesa di far male in quel gesto, altrimenti Reb non avrebbe avuto vita così facile. «Dai, smettiamola di fare i bambini, finiamo il lavoro e torniamo a casa, che comincio ad avere una certa fame!» propose Reb. «Cominciamo col richiudere questa buca.»

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«E' proprio necessario?» chiese Cori con un mezzo lamento. «Lo sai che gli adulti vogliono che sia fatto così» rispose Reb. «Sebbene sia d'accordo con te che queste pecore non siano poi così intelligenti, non possiamo correre il rischio che riescano a capire come le catturiamo solamente perché non abbiamo avuto voglia di tappare una buca.» «Va bene, va bene, non ho bisogno che mi fai un'altra predica!» si arrese Cori. Il lavoro di ricopertura prese un po' di tempo, ma non certo quanto quello per scavare la buca, e fu di gran lunga meno faticoso. Prima di mettersi in cammino, Reb avvolse la testa della pecora con le foglie di melo che avevano usato per la trappola e le fissò all'animale con delle fronde abbastanza elastiche prese da alcuni cespugli. «Così non rischiamo di lasciarci appresso una scia di sangue che potrebbe attirare i lupi» replicò Reb allo sguardo interrogativo del fratello. «E' vero che fino a oggi non sono mai stati avvistati durante il giorno, ma è sempre meglio non correre rischi.» Mentre compiva questa operazione, Reb notò un rigonfiamento tra le zampe centrali della pecora. «Guarda qua!» disse a Cori. «Siamo fortunati. Mi sa che abbiamo rimediato anche un paio di uova extra!» «Magnifico, adoro la frittata!» replicò Cori. «Stai attento a non romperle mentre ti carichi questa bestia sulle spalle» si raccomandò Reb. «Che cosa ti fa pensare che debba essere io a portarla indietro?» chiese Cori mostrando uno sguardo dubbioso. «Ovviamente il fatto che hai detto che sei tu quello dei due che è più forte, non ricordi?» replicò Reb sorridendo. «D'accordo, ma a metà strada facciamo a cambio, intesi? Ah, Reb… potresti evitare di raccontare che avevo intenzione di attaccare la pecora prima che cadesse nella buca? Non vorrei che ai nostri genitori venisse voglia di darmi una punizione… » «Non lo so Cori. Lo sai che non sono tanto bravo a mantenere i segreti. Però potrei cercare di fare uno sforzo di volontà nel caso in cui tu fossi così gentile da andare a prendere l'acqua al fiume al posto mio questa sera!» disse Reb sogghignando. «Eh no, caro mio! Una scommessa è una scommessa, e non puoi certo sperare di evitare di pagarla con un vile ricatto!» sentenziò Cori divertito. Mentre terminava la frase, Cori si caricò la pecora sulle spalle, Reb raccolse i due bastoni e si avviarono insieme verso il villaggio. Il sole stava raggiungendo il culmine del suo cammino nel cielo.

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Capitolo 2

Il villaggio Delan e Myah erano sedute su un grosso tronco di legno, vicino alla capanna di Jor e Fasia. Come tutte le mattine dell'ultimo periodo di gestazione, stavano aiutando Fasia a badare ai suoi tre figli. Due di essi giacevano ai loro piedi all'interno di una culla fatta di rami legati da fronde intrecciate e imbottita con paglia e ampie foglie color porpora. Uno di essi si agitava debolmente, l'altro sembrava profondamente addormentato. Fasia aveva partorito la sua bambina precisamente centottanta giorni prima, cioè da poco meno di un periodo di gestazione, calcolò mentalmente Delan, poiché un periodo di gestazione durava esattamente centottantaquattro giorni. Sette giorni dopo, erano venuti alla luce gli altri tre figli di Fasia e Jor, donati loro da Adec. Da quel momento in poi, Delan e sua sorella Myah erano state assegnate a Fasia per aiutarla a prendersi cura della sua prole. Fu una cosa estremamente dolorosa quando una delle bambine di Fasia morì. Delan non poteva rammentare niente di più straziante quando frugava nella memoria della sua breve vita. Era successo una cinquantina di giorni prima, ma lei lo ricordava bene come se fosse ieri. Fasia aveva stabilito che i bambini erano diventati sufficientemente grandi per cominciare a bere acqua, oltre a nutrirsi del latte materno. La bimba, una delle due nate da Adec, si trovava tra le braccia di sua sorella Myah, che le stava somministrando acqua a piccoli sorsi, usando una pietra sagomata come contenitore. Sembrava che andasse tutto bene, poiché la bimba aveva accettato l'acqua senza alcun inconveniente. Poco più tardi, lei e i suoi fratelli erano stati messi a dormire sui loro lettini di foglie. La piccola faticava a prendere sonno, al contrario degli altri bambini. All'inizio si era solamente agitata, ma poi aveva cominciato a piangere sempre più forte. La madre l'aveva presa in braccio, ma non c'era stato verso di calmarla. Col passare del tempo, la neonata si era ricoperta di estese bolle rosse prima sul viso, poi su tutto il resto del corpo. Fasia l'aveva portata da tutte le persone che conosceva, ma

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nessuno era stato in grado di aiutarla. La sua temperatura corporea era salita notevolmente e le si erano gonfiate la lingua e la gola. Non c'era stato modo né di calmarla, né di farle accettare del latte materno. Nel giro di mezza giornata, il pianto della bambina si era fatto via via più debole, fino a quando era spirata. Delan aveva ancora davanti agli occhi la reazione di Fasia a quella tragedia. Dapprima era rimasta immobile, col corpicino della piccola tra le braccia, quasi non volesse credere a quello che era successo. Quando lei e la sorella le si erano avvicinate, avevano scorto nella donna uno sguardo privo di espressione, con solamente una singola lacrima a testimoniare l'accaduto. Fasia le aveva invitate a tornarsene alla loro capanna, poiché non aveva bisogno di altro. «E tu non farti più vedere» aveva aggiunto rivolgendosi specificamente a Myah. Delan aveva dovuto consolare la sorella mentre tornavano dalla loro famiglia, sia per la manifestazione d'odio ricevuta da Fasia, sia perché già di suo Myah si sentiva in colpa per quanto era accaduto. «Myah, è terribile quello che è appena successo, ma non è assolutamente colpa tua e lo sai benissimo. Hai solo bisogno di un po' di tempo per venirne fuori, ma passerà, vedrai» aveva detto alla sorella. «Hai visto come era carico d'odio il suo sguardo? Forse ho sbagliato qualcosa, magari se avessi agito in maniera diversa la piccola sarebbe ancora viva… » replicò la sorella abbattuta. «Ascoltami bene, questa non è stata la prima vittima del Morbo dell'Acqua e sicuramente, purtroppo, non sarà neanche l'ultima.» Era vero. La mortalità infantile era molto elevata e circa un bambino ogni quattro non sopravviveva dopo i primi due anni di vita. In media, dunque, ogni famiglia perdeva uno dei suoi quattro bambini. In casi particolarmente sfortunati, poteva accadere che ne morissero anche due o tre. Naturalmente c'erano delle eccezioni, in cui tutti e quattro i piccoli sopravvivevano. La sua famiglia rappresentava un esempio di questo caso particolarmente fortunato. Lei, sua sorella e i suoi due fratelli, Cori e Reb, erano sopravvissuti tutti quanti e godevano di ottima salute. Il Morbo dell'Acqua era una delle principali cause di mortalità nei bambini, insieme alle complicazioni del parto, che potevano essere pericolose anche per la madre. Altri piccoli perivano invece per soffocamento, o per una serie di altri eventi che nessuno fino a quel momento era riuscito ancora a comprendere. L'acqua che bevevano i bambini fino all'età di due anni era sempre portata a ebollizione prima della somministrazione. Delan non capiva il perché di questa pratica. Gli adulti le avevano spiegato che era necessario per uccidere degli animali molto piccoli, talmente minuscoli

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che non era possibile vederli con i propri occhi, ma che potevano avere effetti nocivi su un corpo fragile come quello di un bambino appena nato. Avevano detto anche che era una procedura che veniva eseguita fin dall'epoca dei Primi, che l'avevano tramandata alla popolazione del villaggio e si diceva che Adec stesso avesse istruito i Primi affinché la eseguissero scrupolosamente. Nonostante tutte queste attenzioni, doveva esserci qualcosa nell'acqua, forse un animale o un qualche tipo di sostanza, che sopravviveva alle alte temperature ed era in grado di uccidere i neonati. Però non attaccava tutti i bambini, ma solo una frazione di essi. Il Morbo, inoltre, si manifestava entro venti giorni dal momento in cui il bambino aveva assunto acqua per la prima volta. Dopo questo tempo, non si ricordavano casi di morte associati a questa malattia. Il caso della bimba di Fasia era stato un estremo, perché la reazione al Morbo era stata rapidissima. Delan sapeva che prima comparivano i sintomi e più erano intensi, più rapidamente sopraggiungeva la morte. C'erano stati casi in cui gli sfoghi sulla pelle e il gonfiore erano sopravvenuti dopo molto tempo e molto lentamente. Tuttavia, queste situazioni erano anche più strazianti di quella di Fasia. Non c'era modo di bloccare l'avanzata del Morbo, se non quello di non dare da bere al bambino, cosa che lo avrebbe comunque portato alla morte. “Sarà mai possibile trovare una soluzione per sconfiggere il Morbo dell'Acqua?” si chiese Delan. “Se davvero c'è qualcosa al suo interno che è nocivo per i bambini, forse c'è un modo di separarlo dall'acqua. Quando un liquido mischiato con della sabbia viene versato su una mano, scorre via tra le dita, anche se esse sono strette, e ti lascia nelle mani i sassolini. Naturalmente servirebbe qualcosa di assai più stretto delle fessure che ci sono tra le dita di una mano, perché le sostanze nocive non si possono vedere per quanto sono piccole. Inoltre… ” «Ehi sorella, che cosa c'è di tanto interessante in quel ciuffo d'erba?» chiese Myah, riportando bruscamente Delan alla realtà. «Ti eri persa un'altra volta nei tuoi pensieri?» «Già, stavo fantasticando su quanto sarebbe bello se ogni tanto tenessi chiusa quella caverna che ti ritrovi al posto della bocca!» la punzecchiò di rimando. «Sai, mi ricordi Reb quando fai così» continuò imperterrita Myah. «Anche lui rimane spesso a fissare qualche punto indistinto e il bello è che lo fa anche quando cammina. L'altro giorno ha rischiato di inciampare in un fuoco acceso, ma purtroppo Cori l'ha fermato in tempo: sarebbe stato proprio un bello spettacolo!» «Chissà dove sono andati a cacciare i due ragazzi» disse Delan più rivolta a se stessa che alla sorella. Era sempre ansiosa quando lasciavano

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il villaggio, perché Cori era un po' una testa calda e aveva sempre avuto la tendenza ad agire d'impulso e a ficcarsi nei guai. Per fortuna con lui c'era Reb che aveva molto più giudizio del fratello. «Non devi preoccuparti, sanno badare benissimo a loro stessi» la rassicurò Myah. «O magari la tua non è solo preoccupazione, ma c'è in mezzo anche un pizzico di solitudine causato dalla mancanza di uno dei due?» aggiunse maliziosamente. Delan non replicò, ma arrossì lievemente. Myah, naturalmente, aveva colto nel segno. Infatti, oltre a essere sua sorella, era anche la persona a cui confidava ogni suo segreto più nascosto. E oramai le aveva confessato da parecchio tempo di essere attratta da Reb. L'arrivo di Fasia interruppe bruscamente quella conversazione. La donna teneva in braccio il suo maschietto a cui aveva appena finito di dare la poppata. «Le femminucce si sono addormentate?» chiese alle due sorelle. «Sì capo» rispose Delan. «Sono sazie, pulite e dormono nella loro culla che è appena stata rimessa a nuovo. Avina ci ha dato qualche grattacapo in più della sorella, ma alla fine ha deciso anche lei di cedere al sonno.» «Bene, col signorino qui presente ora me la posso vedere io. Penso che resteranno tranquilli fino a questo pomeriggio, quindi se volete potete andare e grazie mille per l'aiuto.» «Di niente» rispose Myah con freddezza. «Ci vediamo questo pomeriggio, subito dopo pranzo.» C'era voluto un po' di tempo prima che Myah e Fasia si riappacificassero dopo la morte della bambina. Durante i cinque giorni che fecero seguito al triste evento, Myah, consigliata dalla madre, non si era recata ad assistere gli altri neonati, lasciando sola Delan. Quest'ultima aveva studiato l'evoluzione dell'umore di Fasia in quel periodo e aveva spinto la sorella a presentarsi con lei il giorno seguente. Inizialmente, tra le due c'era stato solo silenzio e solo diversi giorni più tardi ci fu un timido segnale di disgelo. Fasia si scusò per il suo comportamento, dicendo che non la riteneva responsabile dell'accaduto. Myah, dal canto suo, accettò le scuse giudicando il comportamento della madre del tutto comprensibile in relazione alle tragiche circostanze. In seguito, le due avevano ricominciato a parlarsi con una parvenza di normalità, ma Delan percepiva benissimo che quel che era successo aveva scavato un solco molto profondo che avrebbe richiesto molto più tempo per richiudersi completamente. «Coraggio» Delan spronò la sorella, «è già trascorsa più di metà mattinata e abbiamo ancora un bel po' di lavoro da fare, perciò muoviamoci!»

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Si misero in marcia, dirette al campo di pomodori che si trovava in direzione del fiume. Dovettero attraversare quasi tutto il villaggio, poiché la tenda che in quel periodo Fasia condivideva con Jor e i loro figli si trovava nei pressi del centro dell'accampamento. Nell'arco della propria vita, le persone cambiavano ricovero molte volte. Questa abitudine era prevalentemente dettata dalla necessità di tenere il più possibile al sicuro le nuove generazioni. Essenzialmente, il villaggio era di forma circolare, diviso in tre anelli concentrici. L'anello centrale era abitato dalle coppie con donne incinte o con bambini fino a un'età di cinque cicli gestazionali. Il secondo anello era occupato da mamme con bambini di età compresa tra il sesto e il dodicesimo ciclo, mentre l'anello esterno era occupato da genitori i cui figli avevano più di tredici cicli, o da uomini e donne i cui figli si erano ormai costruiti una famiglia propria. Al centro geometrico del villaggio troneggiava Adec. Era perfettamente visibile da qualsiasi posizione dell'agglomerato ed era di un colore nero lucente. Il contrasto con le capanne che costituivano le abitazioni degli uomini era stridente, sia perché queste ultime erano di colore grigio e bianco, ma soprattutto perché Adec era alto quasi trenta braccia, mentre le capanne più alte non superavano le tre. Nel procedere in direzione del campo di pomodori, le due ragazze si fermarono alla loro tenda, per prendere quattro grosse bisacce fatte di pelle, che sarebbero servite loro per trasportare gli ortaggi. Presso la capanna, incontrarono Ilo, la loro madre. «Come stanno i bimbi di Fasia oggi?» chiese Ilo alle due figlie. La donna era intenta a pulire con una pietra levigata l'interno di una grossa pelle di pecora di colore grigio chiaro. «Bene» rispose Myah. «La figlia di Adec, Avina, fa sempre un po' la difficile quando si tratta di mettersi a dormire. Gli altri due sono molto più tranquilli della sorella.» «Mamma, sai se Reb e Cori sono tornati?» domandò Delan. «Non ancora, ma Reb mi ha detto che sarebbero andati fino alla radura del grande melo e la strada per arrivare fin lì è parecchia. Inoltre, la caccia in questo periodo è diventata un affare piuttosto dispendioso in termini di tempo. Quindi non preoccuparti, vedrai che Reb tornerà presto, ma non aspettarti che sia qui prima di pranzo.» Le due sorelle salutarono Ilo e si incamminarono verso il campo. Delan aveva notato che la madre le aveva risposto facendo riferimento solo a Reb. Che anche lei fosse in qualche modo a conoscenza dei suoi sentimenti verso il maggiore dei suoi fratelli? D'altra parte, era difficile nascondere qualcosa a Ilo, poiché era la persona che la conosceva meglio. Ma non si trattava soltanto di questo. La loro madre era in grado di capire il comportamento e il carattere delle persone anche se aveva a

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disposizione poche informazioni al riguardo. In questo le ricordava molto Reb, con la sua curiosità e il suo continuo porsi delle domande sul mondo che lo circonda. Delan, che oramai si occupava della cura dei bambini da quando aveva compiuto il suo diciottesimo ciclo gestazionale, aveva notato che i figli biologici somigliavano nell'aspetto ai propri genitori. Era allora possibile che questa somiglianza si spingesse oltre l'aspetto fisico e riguardasse anche i tratti caratteriali e le abilità non direttamente collegate alla costituzione. I figli di Adec, come lei, sua sorella Myah e suo fratello Cori, di solito avevano pochissimo o nulla che li facesse somigliare ai loro genitori. Si ricordò la sua immagine come le veniva rimandata quando si guardava in uno specchio d'acqua. Era una ragazza minuta, più bassa della sorella di quasi tutta la testa e con una pelle bianchissima. Aveva capelli lisci e neri, occhi scuri e sottili e un naso piccolo e schiacciato. Sua sorella era alta poco meno dei ragazzi e aveva una pelle un po' più scura della sua, ma non certo nera come quella di Cori. Aveva inoltre i capelli rossicci e ricci, gli occhi chiari e una corporatura notevole, testimoniata da fianchi e seni abbondanti. Nessuna delle due ricordava minimamente la fisionomia dei genitori, che erano magri ma alti e slanciati e con occhi e capelli chiari, proprio come il loro figlio biologico Reb. Uscite dal villaggio, le ragazze presero la direzione che portava al fiume. Attraversarono un bosco costituito da piante imponenti, le più alte che avessero visto nei dintorni del villaggio. Le più grandi superavano le cinquanta braccia e avevano foglie strette e lunghe color rosa tenue. Non avevano frutti sulla loro chioma, ma, anche se ne avessero avuti, sarebbe stato impossibile raccoglierli, poiché i rami più bassi erano a quasi dieci braccia da terra. Delan ricordò che la madre le aveva detto che si chiamavano abeti. Comunque era un nome poco usato, data la scarsa utilità che rivestivano in seno alla vita della comunità degli uomini. «Guarda lì!» Myah la riscosse dai suoi pensieri, indicando un punto in alto, tra gli alberi. «C'è uno di quegli animaletti schifosi!» Delan alzò il capo, seguendo con lo sguardo la direzione indicata dalla sorella. Sul ramo più basso dell'albero più vicino, a dieci braccia di altezza, due occhi perfettamente tondi e neri la stavano fissando, immobili. Erano incassati in una testa che si allargava verso il basso e andava a fondersi senza soluzione di continuità col resto del corpo. Altri due occhi, stretti e lunghi, si innestavano nelle due regioni laterali percorrendo la testa da davanti a dietro. Al contrario degli occhi frontali, quelli laterali si muovevano in continuazione a scatti, come a sondare nervosamente l'ambiente circostante in cerca di potenziali pericoli. Dal tronco partivano tre coppie di zampette, la prima appena dopo l'attaccatura della testa, la seconda esattamente al centro e la terza

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all'altra estremità del corpo. Le zampe posteriori finivano in tre larghi speroni che erano saldamente artigliati al ramo. Le altre quattro zampe avevano sei dita sottili ciascuna e, al momento, consentivano all'animale di reggersi al tronco massiccio dell'albero. Un'ampia coda, che misurava da sola quasi il doppio della lunghezza del corpo, completava la figura di quella bestiola. L'animaletto era ricoperto su tutto il corpo da una corta peluria viola, molto simile al colore delle foglie e dell'erba circostante e, coda esclusa, non arrivava ad avere un terzo delle dimensioni di Delan. «Ma è solo una scimmietta» disse Delan rivolgendosi alla sorella. «Ce ne sono un'infinità su questi alberi.» «Lo so» rispose Myah. «Però ogni volta che ne vedo una, quei quattro occhi e quelle sei zampe mi danno i brividi!» Delan rifletté sulle parole della sorella. Era una sensazione che in parte provava anche lei. Quegli animali erano del tutto innocui e nessuno le aveva mai riferito di un attacco da parte loro all'uomo. Osservando bene quella scimmia, era più spaventata lei di quanto non potessero mai esserlo le due ragazze, date anche le dimensioni reciproche. Eppure, non poteva fare a meno di sentire a livello istintivo che quella fisionomia era in qualche modo sbagliata e questa impressione la metteva a disagio. Come se stesse percependo i pensieri che le due giovani stavano facendo su di lei, la scimmia si scosse dal suo stato di torpore. Si arrampicò rapida su per il tronco dell'albero spostandosi sul ramo superiore, iniziò a correre lungo questo ramo e fece un lungo balzo che la portò sull'albero adiacente, da dove sparì rapidamente dalla vista. «Bene, la tua amichetta se ne è andata» disse Delan alla sorella, «continuiamo anche noi.» Proseguirono il loro cammino all'interno del bosco. A un certo punto il percorso che stavano seguendo cominciò a farsi in salita. Gli alberi divennero più radi, fino a scomparire quasi del tutto. Arrivarono sulla sommità di una collina, dalla quale era possibile scorgere il fiume in lontananza. Il villaggio era invece nascosto dalle chiome del bosco che avevano appena attraversato. Ai piedi della collina, dalla parte opposta rispetto a quella dalla quale erano venute, si stendeva a perdita d'occhio un groviglio di piante strettamente intrecciate. Sembravano formare un enorme cespuglio, che si ergeva a più di quattro braccia di altezza nelle zone più alte. Grossi tronchi neri si infilavano nel terreno, e da essi partivano lunghe ramificazioni dello stesso colore, che si poggiavano a terra o sopra altri rami. Diverse spine appuntite affioravano dai rami, che erano costellati da ampie foglie color porpora. Qua e là, spuntavano delle sfere di diversi colori: dal rosa, al bianco, al giallo.

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Le ragazze discesero la collina in direzione del grosso ammasso di piante e, quando lo raggiunsero, rimasero per qualche istante a fissarlo. Visto dal basso aveva un aspetto molto più imponente e per certi versi minaccioso. Fu Delan a rompere quel momento di impasse. «Va bene, mettiamoci al lavoro» disse alla sorella. «Cerchiamo di stare attente, quelle spine sembrano decisamente poco amichevoli.» «Parli tanto, cara sorellina, ma mi sembra che l'ultima volta che siamo venute qua io ne sono uscita senza un graffio, mentre quella che è tornata a casa con le vesti tutte strappate e piena di tagli eri tu, o sbaglio?» replicò Myah. «Infatti predico attenzione proprio perché ne so qualcosa di quelle perfide spine. Però io almeno l'ultima volta ho raccolto pomodori maturi, i tuoi erano tutti acerbi. Chiunque è capace di non farsi male in questo modo. Cerca di prenderne almeno un paio di buoni oggi, d'accordo? Ricorda, quelli gialli sono commestibili, gli altri è meglio lasciarli stare. Pensi di farcela questa volta?» «Un altro po' di chiacchiere e avrai vita facile, perché le spine si staccheranno e scapperanno via dalle piante per non sentire più la tua voce» scherzò Myah. «Meno parole, più pomodori!» tagliò corto. Si misero all'opera. Non fu un'operazione semplice, poiché dovettero infilarsi in mezzo a quel groviglio di rami e fronde, cercando di evitare le spine. Inoltre, i frutti erano saldamente attaccati alle piante e avevano dimensioni ragguardevoli: i più grandi misuravano più di una testa e ne avevano pressappoco lo stesso peso. Con un bel po' di fatica le due ragazze riuscirono a raccogliere una decina di pomodori a testa. Il loro involucro era di un giallo intenso, ed era rigido e compatto come il legno della pianta al quale erano attaccati. L'interno, però, conteneva da quattro a sei frutti morbidi, con la polpa succosa e dal gusto zuccherino, gialli anch'essi. «Troviamo qualche pietra per rompere l'involucro» disse Delan. «Riportare indietro anche il guscio è del tutto inutile e soprattutto faticoso.» Avvistarono poco lontano una grossa pietra piatta e larga conficcata nel terreno e Delan trasportò lì tutti i pomodori. Myah, che si era allontanata in direzione delle piante di pomodoro, tornò con un sasso che poteva essere maneggiato comodamente con entrambe le mani. Delan afferrò uno dei grossi pomodori e lo poggiò sulla pietra piatta, tenendolo fermo lateralmente con entrambe le mani. «Mi raccomando, vedi di colpire lì dove è giallo e duro, non dove è rosa, morbido e con cinque dita! Credi di farcela?» chiese Delan con un tono scherzoso, ma con un pizzico di preoccupazione nella voce.

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«Non saprei, sono un po' confusa» rispose la sorella con un ghigno, sollevando in aria il sasso che aveva trovato. «Puoi mettere la mano sopra al frutto, per indicarmi meglio il punto dove colpire?» Fu un'operazione abbastanza noiosa, ma tutto sommato anche semplice e relativamente veloce. L'involucro dei pomodori veniva spaccato con le pietre, i frutti all'interno raccolti e infilati nelle bisacce di pelle. Poiché questo lavoro non richiedeva particolare concentrazione, Myah riprese il discorso che aveva iniziato quando ancora si trovavano al villaggio a badare ai bambini di Fasia. «Allora, sorella, che cosa pensi di fare con Reb? Tra due giorni compirà il suo venticinquesimo ciclo e nove giorni dopo toccherà a me, te e Cori.» «Che cosa c'entra il nostro venticinquesimo?» rispose Delan. «Non ho ancora deciso se parlare o no con Reb, spero sempre che sia lui a fare il primo passo.» «Sveglia, Delan!» Myah si infervorò. «Come che cosa c'entra? Lo sai o no che entro due cicli gestazionali dal loro venticinquesimo i ragazzi sono obbligati a scegliersi una compagna per procreare?» Ovviamente Delan lo sapeva, visto che era una delle poche leggi del villaggio. I ragazzi entravano nell'età adulta il giorno del compimento del loro venticinquesimo ciclo gestazionale. Da quel momento in poi erano considerati uomini e donne, non più bambini. Il primo dovere verso il villaggio a cui dovevano adempiere in qualità di adulti, era quello di fornire una propria discendenza e di allevare al meglio delle loro possibilità i figli che Adec avrebbe donato loro. A questo scopo, dovevano scegliersi un compagno per la procreazione. I maschi erano tenuti a farlo entro due cicli gestazionali dal loro venticinquesimo, le femmine entro quattro cicli. Questa asimmetria tra uomini e donne dipendeva dal fatto che, dopo la prima unione, la legge prevedeva anche che l'uomo ne formasse una seconda. Questa nuova unione doveva avvenire con una donna diversa, entro sette cicli gestazionali dalla nascita della prole concepita con la prima compagna. La donna aveva dunque più tempo dell'uomo per scegliersi il suo compagno, poiché la legge le imponeva una sola unione. Naturalmente, la formazione di legami successivi non era proibita, né tantomeno ostacolata o scoraggiata, sia per gli uomini sia per le donne. L'unico vincolo era che ogni uomo dovesse avere almeno due compagne, e ogni donna almeno uno. «E allora?» chiese Delan. «Proprio perché i ragazzi hanno molto meno tempo per scegliere, se Reb è interessato a unirsi a me per costruire una famiglia, di sicuro sarà lui a venirmene a parlare per primo.»

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«Delan, sei una persona estremamente intelligente e non te lo dico perché sei mia sorella (anzi, te lo dico nonostante tu sia mia sorella!). Spesso riesci a capire delle cose su cui io potrei arrovellarmi a lungo senza mai addivenire a nulla e trovi soluzioni a problemi pratici a cui nessuno avrebbe mai pensato. Ma quando si tratta di questioni che riguardano i ragazzi, ti comporti come se smontassi la testa dal tuo collo e la sostituissi con quella di uno di quegli agghiaccianti animaletti che abbiamo incontrato nella foresta poco fa.» «Poiché in questo momento mi ritrovo con la testa di una scimmia sulle spalle, mi faresti la cortesia di spiegarmi meglio per quale motivo non dovrei aspettare le mosse di Reb, ma farmi avanti io?» domandò Delan. «E' semplice, cara la mia sorellina» rispose Myah. «Hai mai notato che al villaggio il numero delle donne è circa il doppio, forse anche di più, di quello degli uomini?» «Certo che l'ho notato, lo sanno tutti questo!» Era un'ovvia conseguenza del fatto che Adec partorisse sempre due femmine e un maschio, senza eccezioni. Quindi, poiché le donne potevano partorire con la stessa probabilità bambini o bambine, ogni famiglia che si formava, si trovava a gestire una nidiata di tre femmine e un maschio, oppure due femmine e due maschi. Naturalmente, c'erano anche le cause di mortalità, che si portavano via circa un quarto della popolazione infantile. Tuttavia, queste colpivano in misura uguale sia i maschi sia le femmine, dunque non alteravano di molto questo rapporto. «E allora» continuò Myah come se stesse parlando a una bambina di pochi cicli di età, «non è forse ovvio che quando si tratta di formare una famiglia gli uomini possono scegliere tra un numero maggiore di donne?» «Certamente» rispose Delan, «ma poiché ogni uomo deve formare due famiglie, questa sproporzione viene riequilibrata. Inoltre, nessuna donna è obbligata ad accettare un'unione con un determinato uomo se non la desidera veramente. Deve solo crearsi una famiglia entro quattro cicli dall'inizio della sua età adulta.» «Non riuscirai a tirarmi dentro questi tuoi astrusi ragionamenti! Il punto è che Reb tra qualche giorno si ritroverà nella situazione di dover scegliere una compagna, tra un gruppo di nostre coetanee che è il doppio del gruppo dei ragazzi in età da prima unione. E poi considera anche il modo in cui i ragazzi, soprattutto quelli giovani come Reb, vivono il sesso. Basta che vedano una ragazza carina e le cadono ai piedi. Certe volte non è neanche necessario essere particolarmente belle. Basta un gioco di sguardi o qualche allusione per far loro perdere completamente la testa. In effetti, anche se la cosa mi meraviglia alquanto, devo concludere che, quando si tratta di relazioni carnali tra uomini e donne, i

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maschi giovani riescono addirittura a essere più stupidi di mia sorella e ce ne vuole!» Delan pensò che Myah era decisamente una ragazza che parlava troppo. Sua sorella ci metteva tantissimo a esprimere un concetto e spesso Delan non aveva la forza per riuscire a seguire tutte le sue chiacchiere. Tuttavia doveva ammettere che spesso, come in quel caso, aveva ragione. «Non lo so, Myah. Probabilmente hai ragione, ma non me la sento di intraprendere per prima questo tipo di conversazione. E se poi scoprissi che Reb non è interessato a me? Ultimamente lo vedo spesso chiacchierare con Arin.» Arin era una ragazza che viveva con la sua famiglia in una delle capanne vicino a quella di Delan e dei suoi fratelli. «Sembra molto contento quando parla con lei e spesso l'ho sorpreso a guardarla da lontano con quella sua aria da sognatore.» «Delan, mi sembra davvero di stare a parlare con una ragazzina certe volte. Arin è Figlia di Donna e le unioni tra figli biologici non sono consentite dalle nostre leggi!» esclamò Myah esasperata. Le leggi del villaggio vietavano l'unione a scopo riproduttivo tra maschi e femmine nati da donne, in altre parole tra figli biologici. Invece i figli di Adec avevano la possibilità di unirsi sia tra di loro sia con i nati da donna. La legge non si limitava a vietare le unioni tra fratelli nati dalla stessa madre, ma addirittura proibiva queste unioni tra tutti coloro che erano stati partoriti da una qualunque delle donne del villaggio. I figli di Adec non erano sottoposti a questa limitazione e potevano unirsi anche con i loro stessi fratelli. Delan non trovava giusta questa legge e, soprattutto, non ne capiva il motivo. Molte volte si era domandata il perché e soprattutto chi l'aveva imposta alla loro comunità. Tutte le volte che aveva chiesto a qualcuno, le avevano risposto che la legge era stata decretata dai Primi e i Primi, a loro volta, l'avevano ricevuta in dono da Adec stesso, con la richiesta di farla rispettare alla loro discendenza. Chiedersi le motivazioni che c'erano alla base di una legge di Adec equivaleva a mettere in discussione l'amore stesso di Adec verso il loro popolo e, quindi, era una domanda priva di alcun senso. Delan non trovava mai soddisfacenti le risposte di questo genere, però era contenta che in quel caso specifico la legge giocasse a suo vantaggio. «Non sapevo che Arin fosse una figlia di donna» disse, senza nascondere una punta di soddisfazione per quella rivelazione. «Comunque Reb non è il tipo che si fa spaventare dalle leggi» aggiunse. «Non è esatto» la corresse Myah. «Reb non si accontenta mai delle spiegazioni che gli vengono date, esattamente come una persona di mia conoscenza che si trova qui in questo momento e che non sono io. Però è un ragazzo estremamente rispettoso delle regole, molto più di Cori, ad

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esempio. Quindi non temere, non penserà mai ad Arin come a una possibile madre per la sua prole. Comunque, cerca di seguire il mio consiglio e di non startene con le mani in mano. Reb è un bel giovane e probabilmente più di una ragazza non disdegnerebbe di averlo come compagno.» «Ci penserò su» disse Delan. «Ad ogni modo, grazie per i tuoi consigli.» «Di nulla. Purtroppo o per fortuna siamo sorelle, te lo devo!» scherzò Myah. «Divertente!» esclamo Delan. «Tu invece che progetti hai per il nostro trionfale ingresso nell'età adulta? Hai già qualche pretendente che ti ronza intorno per l'Unione?» «Beh, siccome è da quando abbiamo compiuto il diciottesimo ciclo che praticamente non facciamo altro che stare appresso ai bambini (delle altre donne, per giunta) credo che mi prenderò tutto il tempo a disposizione per decidere come e quando farmi una famiglia. Tempo fa avevo pensato a Mirno, il figlio di Lic (lei e la mamma sono tanto amiche). Non sarebbe male come ragazzo; però, dopo quella storia della mandria di pecore che l'ha travolto, devo dire che il suo ascendente sulle donne e su di me in particolare è stato notevolmente ridimensionato.» «Già, ha fatto veramente la figura del cretino davanti a tutto il villaggio quella volta. Che scena indimenticabile!» disse Delan ridendo. Mentre parlavano, avevano portato a termine il lavoro di sgusciatura dei pomodori. Tutti i frutti erano stati estratti dal loro involucro e riposti nelle quattro bisacce. Erano dunque pronte a tornare al villaggio. «Qui abbiamo finito» disse Delan. «Tra l'altro si è fatta ora di pranzo» aggiunse guardando il sole, che aveva appena raggiunto il punto più alto della sua traiettoria in un cielo che tendeva all'azzurro pallido. Le ragazze si caricarono le bisacce sulle spalle e intrapresero il viaggio di ritorno. Poco dopo aver superato la foresta, nei pressi del villaggio, furono apostrofate da una voce proveniente dagli alberi che si trovavano alle loro spalle, dalla parte destra. «Toh, guarda un po' che cosa abbiamo qui» disse la voce. «Dei grossi sacchi panciuti pronti pronti per il pranzo! E ci sono anche quattro bisacce piene di pomodori!» Delan si girò sorridendo in direzione della voce che aveva sentito e che conosceva benissimo. Due persone erano ferme al limitare del bosco, una di esse portava sulle spalle una grossa pecora morta, l'altra teneva in mano due bastoni. Reb e Cori erano tornati.

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Capitolo 3

Pranzo I quattro fratelli entrarono insieme nel villaggio. Reb si caricò sulle spalle due bisacce di pomodori, alleggerendo così il carico delle sorelle, che presero dalle sue mani i due bastoni. «Belli quei graffi!» disse Reb, toccando la spalla di Delan. «Avete incontrato qualche scimmia così coraggiosa da avvicinarvi e addirittura toccarvi, oppure vi siete divertite particolarmente a raccogliere i pomodori?» «Fa' poco il simpatico» disse Delan, che tuttavia non si sottrasse al contatto fisico. «La prossima volta mandiamo te e Cori a infilarvi in quei cespugli e poi ne riparliamo!» «A me va benissimo» replicò Reb, «voglio proprio vedere come la riportate indietro una bestia di queste dimensioni!» e indicò l'animale morto sulle spalle del fratello. «Reb, a me non sembra che tu abbia fatto tutta questa fatica» intervenne Cori, ansimando leggermente sotto il fardello che aveva trasportato per quasi tutta la durata del viaggio di ritorno. «Quando abbiamo fatto il cambio non hai resistito neanche per un quarto del cammino!» «Lascia stare, Cori. Immagino che se tu non avessi avuto l'incoraggiamento e il supporto morale di Reb, non saresti mai riuscito a portare la pecora al villaggio!» esclamò Myah sorridendo. «Sappiamo tutti che Reb è il più grande motivatore del villaggio!» aggiunse. Reb non accusò minimamente il sarcasmo di Myah, anzi ci rise sopra. «Cara sorella, in tutte le squadre ognuno ha il suo compito. Nel nostro caso, io sono la mente e Cori è il braccio. Nel vostro caso, Delan è quella che fa il lavoro sporco e tu sei quella che chiacchiera a vanvera per evitare che l'efficienza del vostro lavoro sia troppo elevata. Anche tu rendi un servizio utile alla comunità. Infatti, in questo modo, anche gli altri abitanti del villaggio hanno qualcosa da fare ed evitano di impigrirsi.» «Io non esagererei nel cercare di sminuire il lavoro degli altri» disse Delan, che comunque provava un pizzico di compiacimento per il

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complimento che le aveva fatto Reb. «Mi sembra che qui in mezzo tu sia l'unico che non porta alcun segno della giornata di lavoro!» «E' vero» convenne Reb, «ma se avessi lasciato agire Cori di testa sua, probabilmente neanche lui avrebbe sulle spalle alcun segno tangibile della nostra caccia. O peggio ancora, avrebbe un altro tipo di segni, ma di quelli che ti fanno passare intere giornate chiuso in una tenda in punizione. Io ovviamente non ho detto nulla e voi non avete sentito niente… » si affrettò ad aggiungere, notando nel fratello uno sguardo a metà tra il minaccioso e il supplichevole. Mentre parlavano, erano arrivati alla loro capanna. La madre, Ilo, stava riponendo la pelle su cui aveva quasi finito di lavorare e si apprestava a lasciare la tenda. «Ciao, mamma!» la salutò Reb. «Ragazzi!» esclamò Ilo. Il suo volto si distese visibilmente nel vedere Cori e Reb. «Che bella pecora che avete preso, complimenti! Avete avuto problemi?» «Nessuno!» si affrettò a rispondere Cori. Una ruga segnò per un momento il viso di Ilo, a testimonianza di un dubbio che si era insinuato nella sua mente a seguito della frettolosa risposta del figlio. Decise tuttavia di non approfondire l'argomento. «Andiamo, che il pranzo è pronto e lo stanno già distribuendo.» Le ragazze posarono i bastoni dei fratelli e tutti e cinque si incamminarono verso l'area dove si consumavano i pasti. Questa zona era collocata in prossimità del centro del villaggio e si trovava nei pressi dell'imponente mole di Adec, una grande piramide nera e lucente, con la base quadrata, larga circa trenta braccia per lato. Adec era collocato al centro di una grossa buca circolare, profonda al centro quasi due braccia. Il terreno risaliva dolcemente verso l'esterno a una distanza di circa dieci-dodici braccia dalle facce della piramide. L'area pasti era costituita essenzialmente da quattro settori, che si sviluppavano parallelamente alla faccia posteriore di Adec e, in parte, alle due laterali. Il settore più a ridosso della piramide nera era la dispensa. Era composto di dieci ricoveri dove era conservato il cibo cacciato o raccolto di fresco. Sei di queste strutture erano adiacenti alla faccia posteriore, le altre quattro erano disposte a coppie parallelamente a ciascuna faccia laterale. Ognuno di questi ricoveri era costituito da un'intelaiatura fatta da parecchi bastoni piantati verticalmente nel terreno a intervalli regolari. Questi bastoni erano collegati tra di loro con altri rami posti orizzontalmente e fissati con delle corde ricavate da fronde elastiche. Lo scheletro aveva una larghezza di cinque braccia, una profondità di circa tre, ed era alto un po' più di due. La parte superiore era coperta da pelli di

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animali, perlopiù di pecore e mucche, ma in qualche caso anche di elefante. Queste dispense usufruivano di una seppur minima protezione dal vento e dalla pioggia, data la collocazione a ridosso della struttura massiccia di Adec, all'interno della grossa buca. L'entrata del ricovero era posta al centro del lato lungo che si affacciava sulla piramide nera. All'interno era possibile stare in piedi, anche se non c'era molto spazio fino al margine superiore. Alla destra e alla sinistra dell'entrata, erano scavate due buche lunghe due braccia e larghe una. I lati lunghi delle due buche erano posti parallelamente ai lati corti della costruzione. Le fosse erano profonde più di un braccio ed erano rivestite con pelli di animali. Al loro interno trovavano alloggio carcasse di animali uccisi da poco e in attesa di lavorazione. Vi erano anche carni già lavorate e in attesa di essere cucinate, oppure già cucinate e avanzate da precedenti pasti. Ogni buca era coperta con due coperchi costruiti con una serie di bastoni lunghi un po' più di un braccio e legati tra loro con delle corde. La disposizione delle buche permetteva a una persona di girarci intorno per poter facilmente accedere al loro contenuto. Inoltre, lasciava uno spazio al centro di quasi due braccia, dove erano posti alcuni grossi contenitori. Questi erano formati semplicemente da pietre affiancate e sovrapposte tra loro e servivano a conservare la frutta e gli ortaggi con una scorza o una buccia particolarmente dura, o comunque tutti quei vegetali non facilmente deperibili. Infine, dalle travi lignee del soffitto pendevano diversi otri di pelle, che potevano contenere acqua, o vegetali più delicati. Reb si diresse verso quella zona, seguito da tutti e tre i fratelli. «Ciao, Ricken» disse Reb salutando una signora anziana. «Abbiamo una pecorella e quattro bisacce piene di pomodori sgusciati. Dove possiamo lasciarteli?» «Bella bestia!» replicò la donna. «Era da un po' che non ne vedevo una così grande! Nella terza capanna dovrebbe esserci parecchio spazio libero. Mettete la pecora in una delle buche e appendete le bisacce alle travi. Prendete delle bisacce vuote in cambio, così non perdete tempo a travasare i pomodori.» «Agli ordini!» obbedì il ragazzo. «Ah, quando la farai a pezzi, stai attenta, che dovrebbe avere dentro almeno un paio di uova!» Reb Conosceva la numerazione delle capanne. Le prime due erano quelle che si trovavano sulla faccia laterale alla sinistra di quella posteriore, mentre le ultime due erano quelle presso la faccia destra. Di conseguenza, si diresse deciso verso il primo dei ricoveri antistanti alla faccia posteriore, quello più a sinistra. «Ricordatevi di ricoprire la buca!» si sentirono gridare da Ricken mentre entravano.

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Scaricato l'animale nella buca di destra e appese le sacche di pomodori alle travi, i ragazzi uscirono dalla dispensa con altre quattro bisacce vuote. Si allontanarono dalla piramide in direzione della zona in cui era servito il pranzo. Nel fare ciò, risalirono il pendio che circoscriveva la buca dove giaceva Adec e attraversarono il secondo settore dell'area pasti. Qui gli animali morti erano scuoiati, disossati e fatti a pezzi. Si trattava di una serie di postazioni disposte parallelamente alle dispense e costituite da grosse lastre di pietre piatte affiancate tra loro. Ciò serviva a fornire un piano di lavoro, alto mezzo braccio, su cui appoggiare le carcasse da ripulire. Le persone adibite a questo incarico lavoravano in ginocchio e usavano una serie di pietre affilate e facilmente impugnabili, che in quel momento erano posate ordinatamente sul piano di lavoro. Attualmente la zona era vuota. L'attività recente dei mattatoi era testimoniata da diverse macchie arancioni e giallognole dovute a sangue rappreso, sia sulle pietre sia sul terreno adiacente. Il terzo settore, quello dove i cibi erano lavorati e cucinati, si trovava appena oltre. Qui erano installati dei punti dove venivano accesi i fuochi per cucinare la carne. Erano composti di una serie di pietre disposte in un circolo, al cui centro ardeva la brace. Esternamente a questi circoli erano piantati dei bastoni alti qualche palmo, su cui venivano poggiate delle lastre sottili di pietra che servivano da supporto al cibo che veniva cotto. Alcuni utensili di legno, usati per maneggiare la carne sul fuoco, erano poggiati vicino ai bracieri. Qua e là si notavano anche delle ciotole intagliate da grossi tronchi o rami, e qualche pestello in pietra o in legno, che servivano per macerare alcuni tipi di vegetali che accompagnavano la carne nei vari pasti. Al momento nessuno si stava occupando della preparazione del cibo, ma molti fuochi erano ancora caldi, poiché i pasti erano stati cucinati da poco. Finalmente raggiunsero il quarto settore, quello dove veniva servito il pranzo. Anche qui c'erano diversi banchi, costituiti da pali verticali su cui poggiavano lastre di pietra sottili. Su di esse, la carne era tagliata e servita in piccole scodelle di legno insieme a verdura cotta o cruda, solitamente sminuzzata, e a qualche frutto. Si misero in fila con Ilo presso uno dei banchi e furono serviti poco dopo di una scodella con un grosso pezzo di carne, accompagnato da una poltiglia violacea derivata da un qualche tipo di insalata e da un pomodoro. Si sedettero in terra per mangiare il pasto come tutte le altre persone che si erano fatte servire. Reb si soffermò a osservare la fila che si era formata per ricevere il pranzo. Le operazioni di distribuzione sarebbero andate avanti quasi fino alla metà del pomeriggio, per sfamare quelli che si erano trattenuti più a

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lungo del previsto al di fuori del villaggio per cacciare animali o raccogliere frutta e verdura. I cuochi erano per lo più uomini e donne di una certa età, oltre i settanta cicli gestazionali. Tra loro c'erano anche alcune persone che, a causa di incidenti, prevalentemente durante le battute di caccia, avevano riportato ferite che rendevano loro impossibile svolgere altri tipi di mansione all'interno della comunità. Reb si immaginò in un futuro in cui sarebbe toccato a lui servire i pasti. Non riusciva a vedersi particolarmente bene in quel ruolo. Tra l'altro, non era un lavoro tanto semplice, né era poco faticoso. Bisognava coordinare la raccolta del cibo e il suo immagazzinamento, poi bisognava lavorarlo, cucinarlo e servirlo. E c'erano quattro pasti da servire ogni giorno: uno all'alba, uno a mezzogiorno, uno al tramonto e uno a mezzanotte. D'accordo, i cuochi erano organizzati in due turni (il primo serviva colazione e pranzo, il secondo cena e pasto di mezzanotte), ma si trattava comunque di un lavoro che non dava tregua. Se ne rendeva conto osservando le attività che si svolgevano ora. In quel momento, venivano ancora serviti i ritardatari, ma a breve sarebbero cominciati i preparativi per la cena. Inoltre, bisognava o svegliarsi molto presto (nel caso del primo turno) o andare a letto molto tardi (nel caso del secondo). Una voce familiare interruppe il corso dei pensieri di Reb. «Ciao ragazzi, come è andata la vostra giornata?» Era Tarvis, il padre dei quattro fratelli, nonché ex compagno di Ilo. «Ciao Tarvis» disse Ilo. «Sei passato da Ailin? Come stanno le tue bambine?» «Molto bene, grazie. Hanno finito di mangiare da poco e quando le ho lasciate per venire qua stavano giocando. Non c'è che dire, sono molto vispe, anche se cominciano a essere grandi. Spero che decidano di dormire un po' questo pomeriggio. Soprattutto, lo spero per Ailin, che le deve guardare tutto il giorno!» Tarvis aveva quasi due cicli in più di Ilo. Dopo il compimento del suo venticinquesimo, che aveva segnato l'inizio della sua vita adulta, aveva procrastinato fino al limite massimo consentito dalla legge la scelta della sua prima compagna, per attendere che anche Ilo diventasse maggiorenne. I due erano stati molto amici da piccoli e avevano preso questa decisione insieme molto tempo prima. Così, appena Ilo era diventata adulta, avevano comunicato la loro decisione all'assemblea del villaggio ed erano andati a vivere insieme. Una cinquantina di giorni dopo, avevano sugellato la loro unione di fronte ad Adec, che aveva acconsentito alla loro procreazione. Esattamente un periodo gestazionale dopo questo giorno, Adec aveva donato loro Cori, Myah e Delan. Qualche giorno prima, nove per l'esattezza, Ilo aveva partorito Reb, il

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loro figlio biologico. Tutto questo era accaduto venticinque cicli prima, meno undici giorni: tanti ne mancavano alla maggiore età dei figli di Adec. Tarvis e Ilo avevano cresciuto insieme i loro figli, fino al loro settimo ciclo. Generalmente, le mamme accudivano a tempo pieno i piccoli fino ai diciotto cicli di età. In seguito, i bambini cominciavano a essere inseriti nelle attività lavorative del villaggio. Le ragazze erano assegnate alle neomamme, per aiutarle a prendersi cura dei loro bambini, poiché ogni mamma doveva crescere fino a quattro figli alla volta. Era anche consuetudine che le ragazze partecipassero e dessero assistenza alle partorienti, per prepararle al momento in cui anche loro sarebbero dovute diventare mamme. Dovevano poi aggregarsi alle squadre adibite alla ricerca di frutta e verdura, non solo per studiarne le tecniche di raccolta e lavorazione, ma anche per iniziare a conoscere da un punto di vista geografico i dintorni del villaggio. Se le circostanze lo permettevano, ossia quando non c'era grande necessità di assistenza parentale, potevano anche imparare a lavorare le pelli o a svolgere piccole mansioni in cucina. I ragazzi erano immediatamente addestrati alla caccia. Riuscire a procurarsi la carne era la priorità più alta nella comunità, giacché l'acqua e i vegetali erano, almeno per il momento, facilmente reperibili. Ai più giovani veniva per prima cosa insegnato a cacciare animali di taglia ridotta, come lepri, scoiattoli e piccole scimmie. Era un tipo di caccia la cui resa in rapporto al tempo impiegato non era molto alta. Infatti, richiedeva lunghi appostamenti che, se premiati, garantivano solamente la cattura di piccole prede. Comunque, servivano a far acquisire le abilità per poter in seguito ambire a catturare animali più grossi, ma soprattutto disciplinavano il carattere dei ragazzi e li responsabilizzavano rispetto alle esigenze di una vita in seno a una comunità. A mano a mano che crescevano, i ragazzi erano coinvolti in tipologie di caccia sempre più rischiose, ma potenzialmente più remunerative, fino a raggiungere una propria indipendenza. Tuttavia, non erano autorizzati a cacciare animali più grandi delle pecore. Questa attività era considerata troppo rischiosa per un maschio non ancora adulto, ed era riservata solamente a chi avesse già scelto una compagna e fosse già in attesa dei primi figli. Questo era grossomodo il percorso che accompagnava i ragazzi fino all'età adulta e i figli di Ilo e Tarvis non avevano fatto eccezione. Un padre, però, non poteva restare con i figli avuti dalla prima compagna per più di sette cicli. Infatti, entro questo tempo, doveva trovarsi una seconda donna con cui procreare. Tarvis si era preso tutto il tempo a disposizione prima di unirsi con la sua seconda compagna, Ailin. Le loro tre bambine (il loro unico maschietto era deceduto) avevano da poco compiuto il loro

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diciassettesimo ciclo, ed erano prossime a cominciare a inserirsi nella comunità. Tarvis aveva deciso di rimanere con Ailin finchè le loro ragazze non avessero raggiunto la maggiore età. Nonostante questo, il rapporto che aveva stretto con la seconda compagna non era neanche lontanamente paragonabile al legame che c'era tuttora con Ilo. Reb se ne accorgeva da come parlavano, da quella sorta di intimità e complicità che si instaurava tra loro quando erano insieme. Era sicuro che i suoi genitori si sarebbero rimessi insieme quando Tarvis avesse finito di assolvere i suoi doveri di padre nei confronti delle sue figlie più giovani. Reb non escludeva neanche che potesse addirittura avere altri fratelli. Infatti, non era raro che le coppie costrette a separarsi per la legge che imponeva agli uomini la seconda compagna, tornassero poi a riunirsi in seguito. Naturalmente, c'erano anche casi in cui l'uomo restava con la seconda donna. Poteva addirittura succedere che decidesse di trascorrere il resto della sua vita da solo, adducendo come spiegazione di averne abbastanza di donne e bambini. La legge lasciava completa libertà di autodeterminazione della propria vita agli uomini e alle donne che avessero assolto i loro doveri procreativi. «Papà!» esclamò Cori rivolgendosi a Tarvis. «Come è andata la caccia? Dove siete andati? State tutti bene? Avete preso qualcosa?» «Ehi, calma, calma!» replicò Tarvis. «Se la sfilza di domande che mi hai scagliato contro è finita, io avrei fame! Accompagnami a prendere da mangiare e risponderò a tutto, promesso!» «D'accordo!» disse Cori. «Vengo anche io!» si intromise Reb, che era sempre avido di notizie riguardanti le attività degli adulti. «Ci vediamo dopo, donne!» aggiunse con tono canzonatorio rivolto alla madre e alle sorelle. «Ciao cacciatore!» ribatté Delan. «Vedi di non catturare troppe prede immaginarie, che oggi ho già mangiato abbastanza!» Reb raggiunse il fratello e il padre che erano già in fila alla distribuzione del cibo. Quando anche Tarvis ottenne la sua razione, i tre trovarono posto per sedersi vicino a una delle postazioni per cucinare il cibo, al momento non impegnate da nessun cuoco. «Allora papà, com'è andata oggi?» rincarò la dose Cori, senza neanche dare il tempo a Tarvis di addentare il primo boccone. «Al mio gruppo abbastanza bene: siamo riusciti a catturare e ad abbattere una mucca bella grossa» rispose Tarvis. Cacciare le mucche era l'attività principale in cui venivano impegnati i maschi adulti. Reb sapeva esattamente come erano fatti questi animali e come venivano uccisi, perché aveva ascoltato più volte racconti di caccia da suo padre e da altri adulti.

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Le mucche erano particolarmente grandi. Avevano una struttura fisica molto simile a quella delle pecore con le loro sei zampe e le due coppie di occhi sulla testa saldata al tronco. Tuttavia, erano alte quanto un uomo adulto e lunghe quasi quanto due, e il peso di un esemplare adulto variava tra le dieci e le venti volte quello di un uomo. Il loro manto era di un bianco candido, a volte con qualche chiazza più scura. Il pelo era lungo e folto, molto utile agli uomini per proteggersi dal freddo nei periodi più rigidi. L'animale era erbivoro, quindi non particolarmente aggressivo, ma, data la stazza, poteva facilmente ferire gravemente o uccidere un uomo quando caricava. Viveva inoltre in piccoli branchi, quindi il numero degli esemplari ne aumentava la pericolosità. Ogni giorno, tra i sette e i dieci gruppi di uomini, ciascuno composto di un numero compreso tra le venti e le venticinque unità, partivano dal villaggio per cacciare le mucche. La strategia di caccia richiedeva come prima cosa di avvistare gli animali. Se si riusciva a trovarne uno isolato era meglio, ma questo non accadeva quasi mai. Bisognava poi cercare di separare una mucca dal branco e circondarla, o metterla comunque in condizione di non poter fuggire, usando barriere naturali come corsi d'acqua, pareti rocciose o vegetazione molto fitta. A questo punto si doveva abbattere l'animale. Le armi più usate erano dei lunghi bastoni con delle pietre affilate fissate a una delle estremità. Con questi strumenti si cercava di rompere le ossa delle zampe o quantomeno reciderne i tendini o i muscoli, allo scopo di atterrare l'animale. Si trattava della fase più rischiosa dell'operazione. Bisognava avvicinarsi per menare i fendenti e questo esponeva al rischio di possibili cariche o calci da parte dell'animale. Una volta atterrato, l'esemplare veniva ucciso. Per farlo, si potevano usare gli stessi bastoni o delle pietre acuminate. I punti più vulnerabili da colpire erano gli occhi e la parte laterale della testa, dove questa si saldava al tronco. A questa altezza le carni erano più tenere e le ossa più sottili. Risultava dunque più facile penetrare l'interno dell'animale per infliggere danni maggiori o per rompergli l'osso del collo. Infine, bisognava fare a pezzi la carcassa. L'animale veniva per prima cosa scuoiato in maniera rapida, ma avendo cura di non rovinare la pelle, di vitale importanza per il riscaldamento o la costruzione di ricoveri. In seguito, veniva smembrato e suddiviso tra i cacciatori che lo trasportavano a pezzi caricandoseli sulle spalle o usando delle bisacce. Con poche varianti, Tarvis raccontò una storia di questo genere ai suoi due figli che, come sempre, pendevano dalle sue labbra. «Purtroppo Jarob è stato ferito durante la caccia» disse Tarvis a conclusione della sua storia. «Come è successo?» si informò subito Reb.

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«Avevamo appena circondato l'animale e cercavamo di farlo cadere per terra. Jarob lo stava impegnando e bloccando da un lato e provava a spezzare una delle sue zampe anteriori. Probabilmente, nel farlo deve essersi avvicinato troppo, perché la mucca ha improvvisamente scartato lateralmente buttandolo a terra e travolgendolo. Prima che riuscissimo a fermarla, gli è passata sopra e gli ha calpestato il braccio destro con una zampa, spezzandoglielo. E' stato estremamente fortunato, perché se lo prendeva in testa o sulla cassa toracica a quest'ora sarebbe quasi sicuramente morto.» «E' solo un braccio rotto» disse Cori. «Tornerà a posto e intanto avete portato indietro un'ottima preda. Una grossa mucca da sola può sfamare il villaggio per due giorni!» «Purtroppo non riesco a condividere del tutto il tuo ottimismo» replicò Tarvis. «Come mai, papà?» chiese Reb. «Innanzitutto la ferita di Jarob. E' vero che si è solo rotto un braccio, ma è una brutta frattura. Guarirà, ma non credo che riuscirà a tornare quello di prima. Non riuscirà più a colpire con la stessa forza e a portare gli stessi pesi. Ho il timore che oggi abbiamo perso un valido cacciatore. «Poi c'è la faccenda della caccia. Il mio gruppo è riuscito a catturare un bell'animale, peserà quasi venti volte un uomo adulto. Tuttavia, stamattina sono partiti nove gruppi a caccia e degli otto che finora sono tornati indietro, siamo stati gli unici a riportare indietro qualcosa di importante.» Tarvis raccontò che, durante la mattinata, tre gruppi si erano diretti a caccia nei grandi pascoli oltre il fiume, altri tre avevano preso la direzione delle montagne e gli ultimi si erano mossi in direzione del sorgere del sole, verso la regione dove crescevano i grandi alberi da frutta. Il gruppo di Tarvis era tra questi ultimi ed era stato l'unico ad avvistare branchi di mucche in quella direzione. Gli altri due gruppi erano tornati prima, portando indietro solamente della frutta, raccolta lungo la via del ritorno per non rendere il viaggio totalmente inutile. Solo un altro gruppo era riuscito ad avvistare bestiame, ma non a catturarlo, riportando indietro solamente un paio di feriti lievi. Gli altri non avevano riportato nulla e un gruppo diretto oltre il fiume mancava ancora all'appello. «Non mi preoccupano i ritardatari» aggiunse Tarvis. «Sono sicuro che torneranno presto. Probabilmente si sono attardati per seguire delle tracce o per appostarsi e attendere un momento propizio per agire. Ciò che mi turba è il fatto che ultimamente gli animali che riusciamo a cacciare sono sempre meno.»

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«Io e Reb abbiamo ucciso una grossa pecora!» esclamò Cori con fierezza. «Lo so e siete stati bravissimi» convenne il padre. «Considera però che sono partiti quaranta gruppi come il vostro per cacciare prede di taglia media e piccola e sono state catturate solamente tre pecore, tre lepri e una piccola scimmia.» «C'è comunque abbastanza cibo per nutrire il villaggio per i prossimi giorni» replicò Cori. «E' vero, ma devi tenere in considerazione che siamo nel periodo in cui gli animali sono più abbondanti nei dintorni del villaggio.» Reb credeva di capire che cosa intendesse il padre. Ora la temperatura era abbastanza mite e tale sarebbe rimasta per un'altra quarantina di giorni. Tuttavia, presto avrebbe cominciato a scendere e, nel giro di cinquanta giorni, avrebbe cominciato a fare molto più freddo. In quel periodo il numero di animali diminuiva drasticamente e non era sufficiente a coprire il fabbisogno del villaggio. Durante i giorni del freddo, la popolazione sopravviveva con i pochi animali che si riuscivano ancora a cacciare e con quelli accumulati durante la stagione calda. In certi casi infatti era possibile conservare la carne, se la caccia durante il periodo caldo era stata abbondante. Il metodo di conservazione si chiamava con una strana parola: essiccazione. Era abbastanza semplice, giacché si trattava di tagliare la carne in strisce sottili e di metterla al sole finché non perdeva tutta la sua acqua. Fatto questo, bisognava semplicemente avere cura di conservarla in un luogo il più possibile asciutto. In questo modo, la carne poteva durare diverse decine di giorni, mentre diventava immangiabile dopo tre, massimo quattro giorni, se era conservata senza subire questo trattamento, sia che fosse cruda, sia che fosse cotta. Reb pensava che quel procedimento avesse qualcosa di miracoloso. Chiunque lo avesse inventato doveva aver avuto una grossa intuizione, o forse era solo stato parecchio fortunato. Ovviamente Reb aveva chiesto agli adulti come funzionasse e chi lo avesse ideato. Alla prima domanda avevano risposto che dentro la carne c'erano tantissimi animali talmente piccoli da non poter essere visti. Erano loro che rendevano il cibo immangiabile col passare del tempo, perché se ne nutrivano anch'essi e producevano rifiuti che l'uomo non poteva mangiare. Togliere l'acqua alla carne significava non dar loro la possibilità di vivere, perché l'acqua era una sostanza indispensabile a qualsiasi essere vivente, la più importante dopo l'aria che respiriamo. Reb aveva trovato esauriente la risposta a quella domanda, però quelle spiegazioni avevano sollevato un altro problema. Come era possibile sapere che dentro la carne c'erano dei

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piccoli animali, se non era possibile vederli? La risposta a questo nuovo quesito e a quello sull'inventore dell'essiccazione era stata la solita replica che lasciava ogni volta Reb insoddisfatto e sull'orlo della frustrazione. «Sono stati i Primi a usare l'essiccazione per la prima volta e a tramandarci questa tecnica» era stata la risposta. «E' una conoscenza che è stata loro donata da Adec, che ci ama e pensa solo al nostro bene e alla nostra sopravvivenza.» “Quando non sappiamo dare una risposta a qualcosa, ci sono sempre i Primi o Adec di mezzo!” aveva pensato stizzito Reb. Tuttavia, se tutti gli adulti avevano una fiducia così incondizionata in Adec, qualcosa di vero nelle loro parole doveva pur esserci. Cori interruppe il filo dei pensieri di Reb, rivolgendosi a Tarvis. «Papà, vuoi forse dire che gli animali che stiamo cacciando in questo periodo non saranno sufficienti per tutta la stagione fredda?» «Non lo so» rispose Tarvis. «Fatto sta che in questo periodo di solito la caccia dà risultati molto migliori di quelli che stiamo ottenendo adesso. Se cerco di ricordare come andavano le cose nei periodi caldi precedenti, mi sembra che le cose vadano sempre peggio.» «Abbiamo comunque frutta e verdura a sufficienza per il periodo freddo» disse Cori. «Quelle sono sempre abbondanti!» «Probabilmente se le cose non miglioreranno saremo costretti a mangiare solo quelle» replicò Tarvis. «Tuttavia, non è una buona soluzione. Sembra che il nostro corpo non sia in grado di vivere di soli vegetali, ma abbia bisogno anche di una certa quantità di carne.» Le parole di Tarvis riportarono alla memoria di Reb il periodo freddo appena trascorso. Le scorte di carne essiccata erano finite una quindicina di giorni prima dell'inizio della stagione calda e la caccia nel periodo freddo era scarsa, come sempre. Gli uomini si erano nutriti prevalentemente di vegetali durante quei giorni. Reb ricordò che c'era una sorta di apatia generale all'interno del villaggio. Le persone si sentivano stanche e non avevano quasi voglia di svolgere le loro faccende quotidiane. Lui stesso rammentava che in quei giorni la sua mente era come coperta da un velo. Non riusciva a concentrarsi e aveva sempre addosso una sensazione di pesantezza e sonnolenza. Questa volta fu Tarvis a riportare Reb alla realtà. «Comunque, abbiamo ancora più di quaranta giorni di periodo caldo davanti a noi» disse. «Forse mi sto preoccupando troppo e magari la situazione migliorerà nei prossimi giorni. Ora tornatevene alla vostra tenda e riposatevi un po', ve lo siete meritato!» Reb sperava che il padre avesse ragione, ma dentro di sé qualcosa gli diceva che le sue preoccupazioni non erano prive di fondamento. Da

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parecchio tempo covava un'idea per cercare di aiutare il suo villaggio a coprire il fabbisogno di carne. Ma era un'idea folle e questo lo aveva sempre trattenuto dal provare a metterla in pratica. Per farlo, avrebbe dovuto infrangere parecchie leggi della sua comunità ed era una cosa che a lui non piaceva. Inoltre, avrebbe comportato un'enorme fatica, perché avrebbe richiesto parecchio lavoro da svolgere oltre alle sue mansioni quotidiane, giacché avrebbe dovuto tenere nascosto a tutti il suo progetto. Infine, c'erano parecchie probabilità che il tutto si risolvesse in un fallimento, vanificando i suoi sforzi. Tuttavia, se le pessimistiche previsioni di Tarvis avevano un fondo di verità, forse era giunto il momento di provare a mettere in pratica quella follia. Con questi pensieri per la testa, Reb si avviò insieme al fratello verso la capanna di Ilo, dove presumibilmente si erano già recate la loro madre e le loro sorelle.

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Capitolo 4

La scarpata I due giovani raggiunsero la capanna. Delan e Myah non c'erano, erano tornate da Fasia per aiutarla con i bambini, come aveva detto loro Ilo. Si sdraiarono sul prato vicino alla capanna, appoggiando la testa alle pelli che la madre aveva finito di lavorare. Reb Si accorse delle fatiche del giorno che stava trascorrendo, perché trovò la posizione molto comoda e ben presto si appisolò. Fu svegliato qualche tempo dopo, da una mano che gli scuoteva la spalla. Era Delan, che nel frattempo aveva finito di accudire i piccoli. «Dove sono gli altri?» chiese Reb soffocando un possente sbadiglio. Cori non si trovava lì dove si era disteso e Myah non era tornata con la sorella. «Sono andati a fare vita sociale in giro» rispose Delan. «Cori si è raccomandato di dirti che la tua giornata lavorativa non è ancora finita.» «Oh, no!» gemette Reb. «Mi ero completamente dimenticato che devo andare a prendere l'acqua al fiume, accidenti alla scommessa persa! Come se non bastasse, non ne ho minimamente voglia.» «Dai su, che sarà mai! Due passi non hanno mai ucciso nessuno!» lo incoraggiò Delan. Poi, con un pizzico di esitazione nella voce, aggiunse: «Se vuoi, ti accompagno, così chiacchierando la strada sembrerà più corta!» Reb la squadrò perplesso, ma sorrise. «D'accordo, grazie per l'offerta!» Alla risposta del fratello, il volto contratto di Delan si distese a sua volta in un ampio sorriso. «Ovviamente vengo con te solo per farti compagnia» si affrettò a precisare con un tono scherzoso, «non certo per portare peso. Non vorrei che poi Cori considerasse nulla la vostra scommessa e pretendesse da te un ulteriore viaggio!» «Ho come l'impressione che questo tuo gesto altruistico del lasciare a me tutto il peso sia dettato da pigrizia, piuttosto che da gentilezza, ma apprezzo comunque la compagnia.» Detto questo, Reb si alzò, prese le due bisacce usate quella mattina dalle sorelle per trasportare i pomodori, prese anche il suo bastone nodoso e si

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incamminò con Delan verso il fiume. La strada era simile a quella percorsa la mattina da Delan e Myah. Dovevano uscire dal villaggio, attraversare la foresta di abeti e risalire la collina. Non dovevano però scendere dal versante opposto verso la piantagione di pomodori, ma seguire il profilo montuoso in direzione del sole che si apprestava a tramontare. In quella direzione, la collina digradava dolcemente fino alla valle dove scorreva il fiume. «In marcia!» disse Reb. «Dobbiamo tornare prima che faccia buio, non voglio fare cattivi incontri.» Delan sapeva a che cosa si riferiva Reb. I lupi erano la minaccia più grande alla comunità degli uomini. Per fortuna, finora non era mai successo che avessero attaccato qualcuno alla luce del giorno. Tuttavia, se capitava che qualcuno si attardasse dopo il tramonto del sole, le possibilità di imbattersi in un branco di quei feroci animali erano molto elevate, così come la probabilità di rimanere uccisi. Delan, come Reb, non ne aveva mai visto uno, perché oramai al villaggio avevano imparato le abitudini di questi predatori. In passato, però, era successo più di una volta che qualche uomo imprudente fosse stato attaccato e sbranato nelle ore notturne al di fuori del villaggio. Tutto ciò che restava del malcapitato in questi casi era un mucchio di ossa ben ripulito dalla carne e qualche brandello delle pelli che portava indosso. I lupi di solito non attaccavano un gruppo numeroso di individui. Per questo motivo probabilmente non facevano strage di pecore e mucche, giacché gran parte di questi animali viveva in branco. Sempre per questo motivo, si limitavano ad attaccare una, massimo due persone insieme, senza lasciare testimoni del loro passaggio. Tuttavia, i più anziani ricordavano che in due o tre casi questi predatori si erano arrischiati ad attaccare il villaggio, ma sempre e comunque durante le ore notturne. Era grazie a queste testimonianze che si conosceva come erano fatti i lupi. Sorprendentemente, si diceva che fossero abbastanza piccoli, lunghi poco più di mezzo braccio e pesanti appena un terzo di un uomo adulto. Avevano due file di denti scuri e triangolari, particolarmente aguzzi, ed erano in grado di spostare il loro peso sulle quattro zampe posteriori, così da poter sollevare quelle anteriori per raggiungere e dilaniare efficacemente i punti vitali delle loro prede. Si raccontava anche fossero estremamente agili e veloci e qualcuno diceva che riuscissero addirittura ad arrampicarsi sugli alberi. Sembrava anche che fossero in grado di vedere al buio, grazie ai loro quattro occhi grottescamente sovradimensionati rispetto alle ridotte misure della loro testa, ma erano terrorizzati dal fuoco. Le loro dimensioni ridotte erano, probabilmente, il motivo per cui non assalivano gruppi numerosi e spiegavano anche la necessità di coordinarsi all'interno di un branco, pensò Delan. Gli assalti

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al villaggio rimanevano inspiegabili. In quelle occasioni i lupi erano riusciti a uccidere alcuni uomini, ma avevano lasciato sul campo parecchi dei loro e di sicuro non erano riusciti a mangiarsi le loro prede, giacché alla fine erano sempre stati costretti a ritirarsi. «Ehi, sorellina, quando ti fissi a quel modo, mi ricordi qualcuno di mia conoscenza!» disse Reb, interrompendo bruscamente il flusso dei pensieri di Delan. «Non riesco proprio a immaginare a chi ti riferisci» rispose sorridendo la ragazza. «Forse a qualcuno che per poco non finiva dentro un fuoco acceso e che si è salvato solo perché suo fratello Cori lo ha riportato indietro dal mondo dei sogni?» «Immagino che sia stata quella chiacchierona di tua sorella a raccontarti questa storia» replicò Reb. «Come al solito ingigantisce sempre le cose. Mi sarei fermato in tempo anche senza l'intervento di Cori. Però devo riconoscere che sarebbe stato uno spettacolo grandioso se ci fossi finito dentro!» «Guarda che quella chiacchierona è anche la tua di sorella; sei sempre il solito: cerchi a ogni occasione di scaricare le tue responsabilità sugli altri! Mi chiedo che cosa ti stesse passando per la mente in quell'occasione!» «E chi si ricorda?» rispose Reb pensieroso. «E' passato troppo tempo. E tu invece a che cosa stavi pensando?» «Mi hai fatto venire in mente i lupi con le tue parole sui brutti incontri» replicò Delan. «E chi ti ha detto che mi riferivo ai lupi? Io avevo solo paura di incontrare Arin, la figlia della nostra vicina!» esclamò Reb divertito. Arin era la ragazza di cui Delan aveva parlato con la sorella mentre erano a raccogliere i pomodori. Delan credeva che interessasse a Reb. «Sì come no… Ma se sei sempre lì a chiacchierare con lei! E' ovvio che ti piace!» «Chi, Arin? Ma sei impazzita? Ogni volta che la incontro non la smette mai di parlare e mi fa perdere un sacco di tempo. Io cerco di essere gentile e di allontanarmi, ma è sempre un'impresa disperata!» «Ah, e allora perché sei sempre lì che la guardi da lontano, quando lei non ti vede?» accusò Delan. «Testona! La tengo d'occhio quando devo spostarmi, perché cerco di muovermi nel momento in cui non mi vede, sennò non riesco a combinare nulla durante il giorno!» rispose Reb. E aggiunse maliziosamente: «Ma a te poi che cosa interessa? Che cosa fai, passi il tempo a spiarmi?» Delan arrossì a quelle domande e balbettò qualche parola incomprensibile.

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Fu Reb a tirarla fuori dall'imbarazzo. «Comunque hai ragione, ovviamente mi riferivo ai lupi. Però non so bene se preferisco incontrare un lupo oppure Arin.» Delan rise di cuore a quelle parole, un po' per la battuta, un po' per la rivelazione che aveva appena ricevuto sui sentimenti del fratello per la loro vicina. Poi tornò seria e disse: «Ne hai mai visto qualcuno quando sei fuori per la caccia?» «No, pare che si facciano vivi solamente la notte. Dove si nascondano durante il giorno è un mistero.» «Gli anziani dicono che temono il fuoco. Mi domando se invece non abbiano paura, o non sopportino, la luce in generale» disse Delan. «In effetti potresti avere ragione. Si dice che abbiano degli occhi molto grandi. Può darsi che riescano a vedere al buio proprio grazie alle dimensioni dei loro occhi. E forse non riescono a tollerare una luce troppo intensa» aggiunse Reb. «Magari sono addirittura accecati dalla quantità di luce che permette a noi di vedere. Un po' come noi non riusciamo a guardare troppo a lungo la luce diretta del sole» rincarò Delan. «Se è così, allora il giorno devono passarlo in posti bui, come l'interno di qualche foresta molto fitta, o meglio ancora dentro qualche grotta nelle pareti montuose» concluse Reb. «Ricordami di non infilarmi mai dentro le grotte, allora. I lupi oltre a essere pericolosi devono essere particolarmente brutti da come vengono descritti dai racconti.» «Hai notato che tutti sembrano provare ribrezzo per gli animali? Qualsiasi essi siano?» chiese Reb. Mentre parlavano, stavano attraversando la foresta di abeti dove erano passate quella mattina Delan e Myah. «E' vero» rispose Delan. «Proprio questa mattina e più o meno dove ci troviamo ora, abbiamo incontrato una scimmia. Me l'ha indicata Myah dicendomi che le metteva i brividi solo a guardarla. Era lontana e per niente minacciosa; anzi, era molto più spaventata lei di quanto lo potessimo essere noi. Eppure anche io, guardandola, ho provato una sensazione di fastidio, come se avesse qualcosa di sbagliato.» «La stessa cosa è successa oggi a me e a Cori, quando eravamo fuori a cacciare. Abbiamo catturato la pecora facendola cadere in una buca. Dopo averla uccisa e tirata fuori, Cori ha detto che non era il massimo della bellezza. Guardandola, non potevo far altro che dargli ragione: a livello istintivo quella fisionomia mi infondeva una sensazione di gelo viscerale. E la cosa mi capita ogni volta che ne vedo una, o qualsiasi altro animale.»

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«Succede anche a me» disse Delan. «Probabilmente succede perché tutti gli animali, siano essi pecore, scimmie, mucche, o anche lupi, stando ai racconti, sono molto diversi da come siamo fatti noi.» «Anche io ero arrivato alla stessa conclusione. Soprattutto è lampante che gli animali abbiano tra loro una struttura molto simile. Hanno tutti sei zampe, due occhi frontali e due laterali e praticamente non hanno il collo, poiché la testa si salda direttamente sul tronco.» «Mentre noi» si inserì Delan, «abbiamo due gambe e due braccia, solamente due occhi e una testa attaccata a un collo che si può muovere abbastanza indipendentemente dal resto del corpo.» «Esattamente. A questo punto la domanda da porsi sarebbe: “Perché noi siamo così diversi dagli animali, che sono invece così simili tra loro?”» «Se provassi a chiedere una cosa del genere a Myah, mi risponderebbe più o meno così: “Delan, ma che razza di domanda è? È così e basta! Noi siamo uomini e loro sono animali, ecco tutto! Tutti questi tuoi ragionamenti mi fanno venire il mal di testa!”» Nel pronunciare l'ipotetica risposta di Myah, Delan, imitò alla perfezione la voce pedante della sorella. Come conseguenza di quella esibizione, Reb scoppiò a ridere. Poi aggiunse: «Cori risponderebbe all'incirca allo stesso modo. Se invece provassi a fare la stessa domanda a qualcuno degli adulti so già quale sarebbe la risposta. Mi direbbero che la domanda è priva di fondamento, perché Adec ci ha creato così e lui vuole solo il nostro bene e lui ci ha dato la forma migliore che potessimo avere e altre cose di questo tipo.» «E' un po' la replica che ho avuto io quando ho chiesto a Fasia per quale motivo una donna deve per forza scegliersi un compagno entro quattro cicli e un uomo deve per forza avere due compagne, di cui la prima entro due cicli, e perché è obbligatorio procreare. Mi ha risposto che Adec vuole che i suoi figli prosperino e che siano numerosi» disse Delan. «O la risposta che ho ottenuto io quando ho chiesto a nostro padre perché il villaggio ha delle leggi così severe per punire i ragazzi e le ragazze che si mettono in condizioni di pericolo senza una ragione più che valida» disse Reb, che aggiunse, imitando il tono profondo della voce di Tarvis: «”Adec ci ha detto che i nostri piccoli vanno protetti a tutti i costi finché non saranno diventati genitori e noi dobbiamo rispettare la sua volontà!”» «E' frustrante, non trovi? Sembra che tutti gli abitanti del villaggio si accontentino di spiegare quello che succede intorno a loro tirando in ballo conoscenze che derivano da Adec o la sua volontà.» «Già, lo trovo frustrante anche io, proprio perché non riesco a farmi bastare queste spiegazioni» disse Reb. Ammettiamo pure per un momento che Adec sapesse come accendere un fuoco e sapesse come e

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perché bisogna essiccare la carne affinché si conservi più a lungo. Da chi le ha imparate lui queste cose? Non sono in grado di non pormi questa domanda, accettando passivamente il fatto che Adec sappia tutto senza bisogno di apprendere. Però sembra che tutti gli altri riescano invece ad accettare questa specie di legge senza alcun tipo di problema.» «Neanche io ci riesco» aggiunse Delan. «Per esempio, so per certo che siamo stati creati da Adec. E' una cosa che è sotto gli occhi di tutti ogni volta che dona i suoi bambini alle nuove coppie. Ma perché mai dovrebbe farlo? Tutti dicono che è perché ci ama e quindi vuole vederci prosperare e moltiplicarci. Tuttavia, se è tanto potente da creare la vita e tanto saggio da conoscere ogni cosa, perché ha bisogno di amarci? Perché ha bisogno di noi? Mi sembra in qualche modo una limitazione alla sua onnipotenza.» «Forse c'è qualcosa di sbagliato in noi e nel nostro modo di pensare» suggerì Reb. «Ad ogni modo, mi fa piacere di non essere l'unico a porsi questi interrogativi. E' bello parlare con te, Delan. Penso che nessuno sia in grado di capirmi come te e sono molto contento di averti come sorella.» Il rossore che si formò sulle guance di Delan in seguito a quelle parole fu particolarmente evidente, dato il colore bianchissimo della sua pelle. Tuttavia, l'irrigidimento involontario dei muscoli quando Reb le cinse la vita con un braccio e l'accelerazione improvvisa dei battiti del suo cuore, che pareva esserle schizzato in gola, sembrarono a Delan delle reazioni ancora più palesi. Nonostante ciò, Reb non se ne accorse, o almeno così sembrò alla ragazza, che prese coraggio e passò anche il suo braccio intorno alla vita di lui. I due fratelli continuarono a camminare abbracciati ancora per un po'. Stavano percorrendo la sommità della collina in direzione del fiume, quando Reb notò un particolare del paesaggio. Con sommo dispiacere di Delan, Reb interruppe delicatamente il contatto fisico e si portò sul versante della collina situato a sinistra rispetto alla loro direzione. Il ragazzo indicò un rilievo non troppo distante oltre la valle ai loro piedi. Dalla loro posizione, si poteva vedere una parete rocciosa che scendeva praticamente a strapiombo sulla valle. Ai piedi della parete cresceva una fitta vegetazione alta come minimo cinque braccia, ma forse anche di più, che nascondeva la parte più bassa della montagna. Era costituita da piante che formavano dei cespugli così intricati che era impossibile attraversarli. Probabilmente avevano anche delle grosse spine simili a quelle dei pomodori, ma non sembravano portare alcun tipo di frutto. «Ti dispiace se facciamo una piccola deviazione?» chiese Reb alla sorella. «Vorrei vedere se è possibile salire su quella collina.»

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Probabilmente Delan in quel momento lo avrebbe seguito anche se le avesse chiesto di accompagnarlo in mezzo a un branco di lupi. «Volentieri» gli rispose, «però sembra molto ripida, credo che sia praticamente impossibile arrampicarsi fino alla cima.» La parete era alta almeno un centinaio di braccia e non c'era alcun tipo di sentiero che portasse alla sua sommità. Inoltre, sembrava non fornire alcun tipo di appiglio solido per una scalata. «Sì, da questa parte sicuramente non possiamo salire, nemmeno se non ci fossero quelle piante spinose davanti. Però possiamo girare intorno alla parete per vedere se dagli altri lati la collina sale più dolcemente» replicò Reb. «Come mai ti interessa quel posto?» domandò Delan. Reb esitò per un istante. Poi disse: «Te lo dico dopo. Sei mai stata lassù? Sai se qualcun altro conosce quel posto?» «Non che io sappia. Non sembra particolarmente interessante. In cima non c'è niente e quella pianta lì in basso di sicuro non offre nulla di commestibile. Dubito che qualcuno si sia mai preso il disturbo di arrivare fin lì.» «Perfetto!» disse Reb quasi fra sé e sorrise compiaciuto. Delan avrebbe voluto chiedere nuovamente il motivo che lo spingeva verso quel luogo, ma si trattenne. I due iniziarono a scendere la collina in direzione della parete rocciosa. Raggiunsero la valle e il terreno cominciò nuovamente a salire. Dopo qualche tempo arrivarono in prossimità della pianta che faceva da barriera alla parete. Come era apparso dalla prima impressione avuta dall'alto, il groviglio di cespugli era molto alto, anche più di sei braccia. Era impossibile pensare di attraversarlo, a meno di non aprirsi un passaggio con la forza bruta, spezzando rami e fronde con l'aiuto di pietre e bastoni. Dalla loro posizione potevano vedere solo la sommità della parete a strapiombo. Reb l'osservò con attenzione. Era veramente imponente, alta più di cento braccia ed estremamente liscia. Delan sembrò indovinare i pensieri del fratello. «Sembra fatta di un unico blocco di pietra>> disse. «E' come se un pezzo intero di montagna si sia staccato e fosse caduto giù.» «E' possibile» annuì Reb, «ma non deve essere stata una cosa tanto recente, altrimenti ci sarebbero dovuti essere un sacco di detriti sopra questa pianta.» «Probabilmente sarebbe stata totalmente distrutta dalla frana» osservò Delan. «Proviamo a vedere se da questa parte c'è possibilità di salire su» disse Reb indicando il lato destro della parete.

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Si incamminarono in quella direzione, aggirando la pianta e la parete. In effetti, da quel lato non c'era una parete verticale come quella che avevano appena lasciato, ma un declivio erboso che saliva ripidamente verso la sommità della collina. «E' ripido, ma si può salire» disse Reb. «Te la senti?» aggiunse rivolto a Delan. «Se ce la fai tu, per me è poco più di una passeggiata!» rispose sorridendo la ragazza che iniziò prima di lui l'ascesa. La vegetazione lungo il percorso in salita era composta di un manto erboso costituito prevalentemente da piantine basse e con foglie larghe qualche palmo, di un color porpora molto scuro. Qua e là qualche cespuglio sporadico faceva la sua comparsa in mezzo all'erba. C'era anche parecchia umidità tra le foglie. Il sole era basso e nascosto dalla collina che stavano scalando e, probabilmente, quella zona non riceveva molta luce, notò Reb. Nel complesso la scalata fu faticosa, ma non prese molto tempo né fu particolarmente pericolosa. Delan volse lo sguardo al panorama circostante. «Che vista impressionante c'è da quassù!» esclamò. Dalla loro posizione si dominava il fiume che scorreva sotto di loro. Alzando un poco lo sguardo c'era il sole, prossimo al tramonto. L'astro formava un grosso cerchio di un rosso molto scuro. La colorazione bruna che aveva assunto in prossimità dell'orizzonte rendeva possibile guardarlo direttamente senza ferirsi gli occhi. «Accipicchia quanto è grande!» disse Reb. «Non lo avevo mai visto quando è così basso. Quando sta in alto è impossibile osservarlo direttamente, fa male agli occhi.» Istintivamente, stese il braccio destro in direzione del sole. Poi formò un cerchio avvicinando il pollice e l'indice, chiuse l'occhio sinistro e lo guardò attraverso il buco formato dalle sue dita. L'astro riusciva a riempire quello spazio quasi interamente. «Guarda là Reb!» esclamò Delan. «Dove?» chiese il ragazzo. «Laggiù!» Delan puntò il dito nella direzione da cui erano venuti. Si vedeva benissimo la foresta di abeti che avevano attraversato. Il villaggio era nascosto dalla chioma di quegli alberi giganti, ma c'era qualcosa che si intravedeva al di là della foresta. Era una specie di piccolo triangolo rossiccio che emergeva dalla selva viola delle chiome. «E quell'affare che cos'è?» chiese Reb. «E' Adec!» rispose Delan. «Lì c'è il nostro villaggio. Quella è la cima della grande piramide nera, che riflette la luce del sole che sta tramontando!»

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«Però, ne abbiamo fatta di strada!» esclamò Reb. Era la prima volta che vedeva il villaggio (o almeno una sua parte) da una distanza del genere. Un brivido gli percorse la schiena. Si rendeva conto di quanto piccola fosse la dimora della sua gente rispetto a tutto quello che lo circondava in quel momento. «Fa un certo effetto vedere la piramide da qui, sembra piccolissima!» disse Delan, che evidentemente condivideva gli stessi sentimenti di Reb in quell'istante. «Stavo pensando la stessa cosa» confermò il ragazzo. Oltre il villaggio, un po' spostate dalla parte del sole, spiccavano le grandi montagne. Dalla parte opposta rispetto alla piramide, si vedeva solamente una sterminata pianura interrotta qua e là da qualche piccola collina e popolata in alcune zone da alberi, in altre da vegetazione più bassa. «Diamo un'occhiata alla parete a strapiombo» disse Reb, prendendo per mano la sorella. Si mossero quasi nella direzione opposta a quella del sole, fino a giungere al margine dell'altopiano. Il terreno si interrompeva bruscamente con un precipizio. «Non ti avvicinare troppo» disse Delan preoccupata, «può essere pericoloso, potrebbe esserci una nuova frana.» «Devo assolutamente vedere quello che c'è sotto» replicò Reb, lasciando la mano di Delan. «Starò attento, non ti preoccupare.» Delan osservò con preoccupazione il fratello avvicinarsi al baratro. Reb avanzò cautamente fino a un paio di braccia dalla scarpata. A quel punto, si mise in ginocchio e poggiò a terra i palmi delle mani, avvicinandosi carponi al bordo del precipizio. Quando arrivò in prossimità del vuoto, si distese prono sul terreno e sporse la testa oltre la parete. «Come va, è tutto a posto?» chiese Delan con apprensione. «Sì, non ti preoccupare» la tranquillizzò Reb. «Il terreno qui sembra più che solido. La frana, se c'è stata, deve essere avvenuta moltissimo tempo fa. Non ce ne è alcuna traccia, né qua su, né in fondo al burrone!» Da lassù Reb poteva vedere la parte bassa della parete rocciosa. Lo strapiombo continuava verticalmente fino a raggiungere il terreno sottostante. La parte del suolo addossata alla collina era pura roccia. Era come se la parete si infilasse gradualmente sotto il terreno, in una sorta di continuazione della montagna. A qualche braccio dalla parete, cominciava a spuntare della vegetazione. All'inizio era costituita da fili d'erba o piantine molto piccole e basse. A mano a mano che ci si allontanava dalla scarpata, le dimensioni della vegetazione aumentavano. La pianta alta e intricata che Reb aveva visto dal basso e che impediva di raggiungere la parete, cominciava a snodarsi a quasi cento braccia dal

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costone. Ma la cosa più importante di tutte era che quel groviglio di rami e fronde circondava completamente quella parte di collina. La pianta formava infatti una specie di semicerchio che si congiungeva alla parete rocciosa alle sue due estremità, nei punti in cui la roccia squadrata lasciava il posto a un profilo più smussato, come quello da cui erano saliti. «E' perfetto!» esultò tra sé e sé Reb. Un brivido di piacere gli percorse la schiena. L'idea che da un po' di tempo gli frullava per la testa rimaneva ancora poco più di un sogno, ma quella vista gliela fece sembrare un pochino più realizzabile. Fine anteprima.