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La progettazione infermieristica: metodi e strumenti
Autore e responsabile scientifico: Dr Duilio Loi, Infermiere, Pedagogista, Consulente di Formazione e Management; Esperto in Direzione Aziendale e Clinical Risk Management
Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 10/06/2010) a
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Inizio evento: 24/04/2016; ID evento: 12-158124
Riassunto Quello di bisogno di assistenza è un concetto complesso, che necessita di essere sviscerato e affrontato
avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie a definirlo e, in un passaggio successivo, a
intercettarlo. Questo è il punto di partenza per progettare un modello di assistenza il più possibile efficace
per il paziente, che preveda peraltro l’utilizzo di strumenti per la valutazione e la misurazione dei bisogni,
quali le scale di valutazione funzionale, e in particolare le scale per la valutazione dell’autonomia, del rischio
di cadute e del rischio di sviluppare una lesione da pressione.
I due aspetti qui segnalati – la definizione dei bisogni e l’utilizzo degli strumenti operativi di valutazione –
sono stati spesso mantenuti colpevolmente isolati. Una tale tendenza, che ha sovente caratterizzato la
realtà quotidiana, ha spesso favorito la disaffezione da parte dell’infermiere. Valutarne (o ri-valutarne) gli
aspetti peculiari può servire quindi ad aumentare la consapevolezza del loro intrinseco essere “ferri del
mestiere” e, allo stesso tempo, rendere le modalità concettuali e operative facilmente usufruibili.
Tutto ciò è infatti estremamente utile nella fase di pianificazione dell’assistenza infermieristica, un passaggio
fondamentale che può contare su uno strumento altrettanto importante, nonché dalla grande capacità
innovativa, quale la diagnosi infermieristica. L’ultima parte del corso analizza questo aspetto sia a livello
teorico che fornendo degli esempi pratici.
Keywords Infermieri, assistenza, bisogni, scale di valutazione, diagnosi infermieristica, piani di assistenza, disabilità,
indici.
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Modulo 3. Piani standard di assistenza e diagnosi
infermieristiche
Obiettivi formativi Al termine del modulo didattico, il lettore dovrebbe essere in grado di:
• conoscere gli elementi distintivi di un piano di assistenza infermieristica;
• comprendere l’evoluzione che ha portato all’affermarsi della diagnosi infermieristica;
• conoscere gli strumenti, le scale e il glossario utili alla valutazione del carico assistenziale.
Il piano standard di assistenza La pianificazione dell’assistenza è un metodo logico che consente di ipotizzare gli interventi assistenziali in
risposta ai bisogni del paziente (utente/ospite/cliente), in maniera scientifica e sistematica; inoltre, è un
metodo per comunicare all’intera équipe di “quale assistenza” il paziente ha realmente bisogno.
L’obiettivo specifico della pianificazione è l’uso “migliore” delle risorse disponibili al fine di aiutare la
persona a raggiungere i risultati attesi.
Per essere efficace e completo, il processo di pianificazione deve interessare tutte le figure professionali
coinvolte.
Se il piano di assistenza è individuale (basato cioè sull’analisi delle condizioni del singolo paziente), è
possibile però creare dei piani di assistenza standard, orientati a gruppi di pazienti in condizioni simili, per i
quali si strutturano i piani stessi, standardizzando la raccolta dati, la definizione del bisogno, le diagnosi
infermieristiche, l’obiettivo e la prescrizione degli interventi.
Il piano di assistenza standard diventa uno strumento pre-strutturato, adatto a rilevare i problemi tipici di
una specifica tipologia di utente.
Possiamo così produrre innumerevoli piani standard, contenenti le indicazioni generali e in grado di fungere
da linea guida, in riferimento a specificità assistenziali.
A titolo di esempio è possibile citare:
a) piani di assistenza distinti per settore o area;
b) piani di assistenza distinti per criticità assistenziali.
Piani di assistenza distinti per settore o area Nel caso di piani di assistenza distinti per settore o area, si fa riferimento per esempio a:
• piano assistenziale standard per la persona assistita adulta ricoverata in struttura medica;
• piano assistenziale standard per la persona assistita adulta ricoverata in struttura chirurgica;
• piano assistenziale standard per la persona assistita adulta ricoverata in struttura di salute mentale;
• piano assistenziale standard per la persona anziana ricoverata in RSA;
• piano assistenziale standard per il bambino ricoverato in struttura oncoematologica pediatrica.
I piani di assistenza seguono la sequenza logica e partono sempre dall’esplicitazione di uno o più bisogni e
delle sue cause (diagnosi infermieristiche), di modo che si possa strutturare una processualità appropriata.
A titolo esemplificativo, in Tabella 1 si riporta un piano standard rivolto a un soggetto adulto, ricoverato in
una struttura medica.
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Quanto riportato in Tabella 1 può essere considerato un riferimento, per quanto molto sintetico, della
strutturazione di un piano standard.
Naturalmente, le diagnosi infermieristiche potrebbero essere rivolte anche ad altre dimensioni o bisogni
insoddisfatti, come pure a ulteriori criticità. In entrambe le circostanze (piani standard o piani specifici), si
dovranno utilizzare elementi che mettano in luce le criticità.
Piani di assistenza distinti per criticità assistenziali Analogamente a quanto osservato nei piani di assistenza suddivisi per settore o area, si possono produrre
piani specifici per singola patologia o singola dimensione, in base alla tipologia del paziente, alla patologia,
nonché a genere ed età, come ad esempio:
persona con diabete mellito in fase di scompenso;
persona con diabete mellito in fase di compenso;
persona con trauma cranico;
persona in emodialisi;
persona cardiotrapiantata.
A titolo esemplificativo per il lettore, prendiamo come esempio una raccolta dati utile alla produzione di un
piano di assistenza per criticità assistenziale e proviamo a sviluppare gli aspetti particolari, utilizzando la
medesima modalità sopradescritta. Il caso clinico sotto riportato ha avuto origine da diagnosi infermieristiche
già elaborate.
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Caso clinico
Paziente dell’età di anni 53 anni, di sesso maschile, ricoverato in terapia intensiva neurochirurgica, in
decorso post operatorio dopo intervento chirurgico di craniotomia fronto-temporale dx, conseguente a
trauma cranico.
All’accertamento Infermieristico il paziente presenta:
pupille isocoriche e reagenti
respiro spontaneo attraverso tracheotomia
postura in decerebrazione
iperpiressia (39,5°c)
in nutrizione enterale tramite SNG
Diagnosi infermieristiche
In conseguenza alla descrizione clinica del paziente, vengono elaborate le seguenti diagnosi
infermieristiche:
1) alterazioni sensoriali-percettive, in particolare uditive, che si manifestano con compromissione
della risposta fisiologica agli stimoli e alterazione dei modelli di comunicazione, correlate a lesione
cerebrale;
2) elevato rischio di soffocamento correlato alla perdita di funzioni cognitive, dei riflessi protettivi e
dei movimenti volontari;
3) nutrizione inferiore al fabbisogno, dovuta a un aumento delle richieste corporee per la presenza di
trauma, che si manifestano con calo ponderale (riduzione dei tessuti adiposo, sottocutaneo e delle
masse muscolari);
4) incontinenza urinaria e fecale, correlata allo stato di coma;
5) elevato rischio di infezione correlato a:
ristagno di liquidi corporei (secrezioni del cavo orale e polmonari);
tecniche invasive;
deficit nutrizionali;
ipotetico deficit immunitario secondario a stress generalizzato;
6) elevato rischio di sindrome da immobilizzazione (lesioni da pressione, stipsi, stasi delle secrezioni
polmonari, trombosi venosa, anchilosi e contratture, infezioni delle vie urinarie, diminuzione della
forza muscolare), che si manifesta con postura in decerebrazione, correlata a perdita delle funzioni
corticali, secondarie alla lesione traumatica.
Possibili Complicanze
In conseguenza alla diagnosi infermieristiche del paziente, vengono elencate le possibili complicanze:
Ipertermia permanente da stato settico
Aumento della PIC, conseguente ipertensione endocranica e idrocefalo
Sulla scorta delle sopradescritte diagnosi infermieristiche, è possibile elaborare il relativo piano di
assistenza utilizzando la griglia (vedi Tabella).
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La diagnosi infermieristica: una revisione teorica
Nel caso in cui fosse necessario elaborare “in proprio” le diagnosi infermieristiche, onde evitare cattive
interpretazioni, viene di seguito proposto un utile un approfondimento relativo alle diagnosi.
Da molto tempo in Italia si parla di diagnosi infermieristiche, ma il loro vero scopo non sempre è stato compreso
(o reso comprensibile) e raramente ha ottenuto ampiezza di consensi. Tra gli obiettivi che intendiamo perseguire
con questo corso c’è appunto quello di arrivare a una chiarificazione il più possibile esaustiva sull’argomento
“diagnosi infermieristiche”, con l’intenzione di facilitarne il concreto utilizzo.
La diffusione delle diagnosi infermieristiche ha portato, in particolare nei paesi anglosassoni, alla diffusione di
sistemi per l’analisi dei problemi funzionali delle persone assistite e all’affermazione del nursing come disciplina
in grado di aiutare le persone a recuperare il maggior livello possibile di autonomia nelle attività quotidiane.
L’utilizzo delle diagnosi infermieristiche ha favorito lo sviluppo di nuovi metodi per la valutazione del “peso”
dell’assistenza infermieristica, tarati non più sulla numerosità delle prestazioni o mansioni infermieristiche, ma
sui livelli di dipendenza dei pazienti.
In questo capitolo ci occuperemo di diagnosi infermieristiche non per compiacere gli anglosassoni, ma per
dovere professionale verso un argomento che, a mio modesto parere, è rimasto troppo tempo sottovalutato.
Partiamo da un punto di vista etimologico.
Diagnosi
1. Esame dei caratteri di malattia e del suo corso.
2. Processo di riconoscimento di una malattia attraverso i sintomi, gli esami di laboratorio e altre indagini.
Questo è quanto riportano due autorevoli dizionari; il termine viene storicamente utilizzato dalle discipline
medico/sanitarie per definire con sufficiente precisione una patologia, tant’è che fino al 1992 la terminologia è
stata a totale appannaggio della classe medica.
La data ha coinciso con il riconoscimento della NANDA (North American Nursing Diagnosis Association) da parte
dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità; come conseguenza, il concetto di diagnosi si è notevolmente
ampliato.
Indipendentemente dai riconoscimenti ufficiali, da sempre gli infermieri effettuano diagnosi; le effettuano ogni
qualvolta esaminano le manifestazioni del paziente e le mettono in relazione tra loro, arrivando a delle
conclusioni sul suo stato di salute o sulle sue reazioni (Negrisolo A, 1994). Il più delle volte questa operazione
viene svolta in maniera empirica, sulla base delle esperienze precedenti, in maniera ripetitiva e, soprattutto, mai
o quasi mai formalizzata e ufficializzata per iscritto.
Non ufficializzare questo patrimonio significa mantenerlo isolato localmente (al singolo infermiere), quindi non
divulgabile e fruibile dalla collettività.
Occorre notare che spesso si creano vincoli a scoperte e intuizioni, che potrebbero rivelarsi utili alla corretta
identificazione dei problemi del paziente e alla loro successiva risoluzione.
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Ovviamente, diagnosticare impone rigore metodologico e spiccato senso del “gioco di squadra”; possiamo
pertanto affermare che la diagnostica è appannaggio di tutte quelle categorie di professionisti, abilitati
tecnicamente e intellettualmente a erogare prestazioni professionali e per la quale rispondono in termini di
responsabilità. Detto ciò, dobbiamo tener presente che la diagnosi infermieristica non è la diagnosi medica.
Sulla scorta della letteratura ed esperienza infermieristica, è possibile definire la diagnosi infermieristica come:
“il prodotto finale del processo di analisi dei dati, una conclusione definitiva o sperimentale, formulata
dall’Infermiere dopo la valutazione dello stato di salute dell’utente”; nel nostro caso specifico, partendo anche
dalla misurazione attraverso le scale.
Vediamo allora in realtà cosa è e a cosa serve.
La diagnosi infermieristica è espressione dello stato dell’utente, poiché identifica capacità e punti di forza, così
come disturbi e debolezze.
Le diagnosi infermieristiche sono il risultato di:
analisi;
pensare critico;
creatività;
esattezza.
Per arrivare a ciò è opportuno considerare due elementi:
analisi dei dati;
valutazione dello stato di salute.
Analisi dei dati
I dati vanno raccolti tenendo presente la globalità dei centri d’interesse dell’uomo/utente.
In altre parole: se consideriamo l’uomo come un tutto unificato, dobbiamo farci carico di indagare in tutte le
direzioni. Per direzioni s’intende l’esplorazione delle aree comportamentali, fisiche, psichiche, sociali, spirituali,
le abitudini di vita, ecc.
Per schematizzare, la raccolta dati è composta da:
osservazione;
intervista;
esame obiettivo;
allestimento scheda/e.
È opportuno a questo punto ricordare che la fase di diagnosi consta di tre momenti specifici, cioè:
analisi dei dati;
identificazione dei problemi (con eventuali cause o fattori determinanti);
formulazione della diagnosi infermieristica.
Ne deriva così che la diagnosi infermieristica è la risultante, determinata dalla convergenza dei
problemi dell’utente – siano essi manifesti o potenziali – associata alla/e causa/e o fattori di rischio
che hanno provocato, indotto, incrementato il problema stesso.
Deve essere chiaro che i problemi in oggetto vanno riferiti all’utente e non all’infermiere, al medico o
all’organizzazione dei servizi.
Se consideriamo l’uomo come soggetto nella sua globalità, risulta ovvio esplorare ogni sua sfera per
determinarne lo stato di salute, il che non significa trasmigrare in competenze altrui e, nel caso più
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frequente, nel ruolo medico, ma significa individuare attraverso l’utilizzo delle conoscenze (che sono
comuni anche al medico), come fisiologia, anatomia, patologia, etica, psicologia, ecc., gli eventuali nodi
problematici ai quali l’utente costantemente ci sottopone.
Questo significa che l’infermiere non è un “medico bonsai”, ma un professionista che “sfrutta” delle
conoscenze (comuni al medico e ad altri professionisti) per operare secondo il nursing.
Gli esperti del nursing classificano le diagnosi infermieristiche in tre gruppi:
diagnosi infermieristiche reali (Tabella 2);
diagnosi infermieristiche potenziali (Tabella 3);
approccio PES (Problema dell’utente + Eziologia + Segni e sintomi) (Tabella 4).
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L’approccio PES risulta essere una valida variante all’impostazione classica delle prime due; l’infermiere,
nella determinazione delle diagnosi infermieristiche, può ricorrere indistintamente all’una o all’altra o a
tutte e tre durante la stesura di un piano di assistenza; più ricca e completa è la raccolta dati, più risulta
facilitato il compito di stendere le diagnosi infermieristiche, correndo sempre meno il rischio di incorrere in
scadenti pianificazioni (vedi Tabella 5).
Tratto e rielaborato da: Alfaro, R., Dèmarque de soins, Lamarre, Parigi 1990.
Questi riferimenti concettuali vanno ampliati e adattati alle situazioni che possono presentarsi; per poter
analizzare ogni singola situazione, è necessario ricorrere alle strategie di raccolta dati iniziale e sistematica
che di volta in volta dovranno essere calate nella situazione stessa. Il percorso dovrà inoltre essere
integrato e completato con l’approccio relazionale e le tecniche di comunicazione, di cui l’infermiere è
portatore. In conclusione, i punti fondamentali della diagnosi infermieristica sono riassunti in Tabella 6.
Tratto da: Chiari e coll., La cartella Infermieristica, Bologna, 1999
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Qualora si ponesse il dilemma sull’essere attività di pertinenza e responsabilità infermieristica, piuttosto
che di altre figure sanitarie (nello specifico di pertinenza medica), è utile considerare il diagramma di flusso
riportato nella Figura 1, nel quale si pongono in evidenza le specifiche differenziazioni.
Figura 1. Diagramma di flusso per distinguere tra diagnosi infermieristiche e problemi collaborativi
Fonte: Lynda Juall Carpenito (1990, 1988, 1985), in L.J. Carpenito, Diagnosi infermieristiche, applicazione
alla pratica clinica, Ed. Sorbona, Milano, 1996.
Esempi di diagnosi infermieristiche secondo la NANDA (North American Nursing Diagnosis Association)
Definizioni per la classificazione delle diagnosi infermieristiche
Queste definizioni sono state utilizzate per lo sviluppo di Tassonomia I, Revisione, 1992 e sono soggette a
cambiamenti man mano che il lavoro va avanti a livello nazionale.
I termini identificati con “**” sono stati rivisti nel 1998 perché fossero coerenti con le definizioni utilizzate
dalle organizzazioni nazionali (American Society of Testing and Materials, ASTM) e internazionali
(International Standards Organization [ISO] per lo sviluppo di standard).
Classificazione
Collocazione sistematica in gruppi o categorie secondo criteri stabiliti; sistemazione di fenomeni in gruppi
sulla base delle loro relazioni; **le classi possono essere costituite da oggetti o da concetti.
Livello di astrazione
Descrive la concretezza/astrattezza di un concetto.
I concetti molto astratti sono teorici; possono essere non misurabili in modo diretto, definiti da concetti
concreti, inclusivi di concetti concreti, privi di associazioni con esempi specifici, indipendenti dal tempo e
dallo spazio; possono avere descrittori più generali e possono non essere clinicamente utili per la
pianificazione del trattamento.
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I concetti concreti sono osservabili e misurabili, limitati dal tempo e dallo spazio; costituiscono una
categoria specifica, più esclusiva, nominano una cosa o una classe di cose reali, ristrette per natura, e
possono essere clinicamente utili per la pianificazione del trattamento.
Nomenclatura
Sistema o insieme di termini o simboli; atto o processo del nominare; sistema di termini utilizzato in una
particolare scienza o disciplina; compilazione di termini accettati per la descrizione di fenomeni. **Sistema
terminologico costruito in base a regole prestabilite per l’attribuzione di nomi; viene fornito uno schema di
codificazione che può essere multiassiale.
Tassonomia
Tipo di classificazione; studio teorico di classificazioni sistematiche incluse le loro basi, principi, procedure e
regole; **sviluppo di una gerarchia di classi.
Scienza delle modalità di classificazione e identificazione.
Qualificatori delle diagnosi
La Tabella 7 riporta i principali qualificatori di diagnosi.
Tratto da: NANDA, Diagnosi Infermieristiche 1999/2000, Sorbona, 1999.
Componenti della diagnosi
La diagnosi risulta composta da diverse entità, elencate in Tabella 8.
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Tratto da: NANDA, Diagnosi Infermieristiche 1999/2000, Sorbona, 1999.
L’utilizzo di una tassonomia permette di definire la specifica competenza professionale, fare riferimento a
un determinato problema, eliminare ambiguità, condurre ricerche: ad oggi quella più utilizzata nel mondo è
la North American Nursing Diagnosis Association (NANDA). Le diagnosi secondo la Tassonomia
Internazionale della NANDA (Tassonomia I) sono organizzate con un ordine logico che tiene conto della
“famiglia” di origine, ossia il modello nel quale sono aggregate le diagnosi, secondo la categoria di
problematiche espresse e riferibili alle persone.
Nella Tassonomia I, la NANDA ha individuato 9 modelli:
1. Scambi
2. Comunicazione
3. Relazioni
4. Valori
5. Scelte
6. Movimento
7. Percezioni
8. Conoscenze
9. Sensazioni
Questa classificazione permette di individuare con estrema semplicità il modello al quale è aggregata una
certa diagnosi.
Ad esempio, “7.1.2 disturbo dell’autostima”, significa che:
7: è il settimo modello individuato, ossia “Percezioni”;
1: è la prima categoria di quel modello;
2: è la seconda diagnosi di quella categoria.
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Essendo la tassonomia in continuo sviluppo e aggiornamento, le numerazioni possono variare nel tempo.
L’aspetto interessante di questo sistema è rappresentato dal fatto che ogni infermiere può partecipare
direttamente o indirettamente all’aggiornamento della tassonomia attraverso segnalazioni, suggerimenti,
critiche e partecipando ai gruppi di lavoro di revisione.
Stima del carico assistenziale, possibilità e metodiche In ambito sanitario, stiamo assistendo a grandi mutamenti in ordine a strategie e politiche; diventano
sempre più di uso comune termini come accreditamento, certificazione e gestione delle risorse umane, che
nella loro applicazione operativa impongono necessarie revisioni sul piano organizzativo e gestionale.
Tale plasticità di contesto mette i professionisti nella condizione, peraltro inderogabile, di dotarsi dello
strumentario idoneo per poter governare con competenza i processi di una sanità che vuole essere
all’avanguardia.
La valutazione del carico assistenziale rientra fra gli strumenti gestionali di un corretto assetto
organizzativo, che in ambito assistenziale e riabilitativo non sempre ha trovato sperimentazioni facilmente
riproducibili, data la complessità e convivenza di fattori assistenziali e biomedici.
La conferma di tale affermazione è possibile ritrovarla osservando l’esigua letteratura prodotta in ambito
riabilitativo, riportante studi e ricerche effettuati con le metodiche ritenute “tradizionali”; questo
riferimento chiama in causa sistemi di determinazione dei carichi di lavoro assistenziali e infermieristici,
come il PRN (Project de Recherche en Nursing) canadese o il Metodo Svizzero.
Come si può osservare in Tabella 9 questi sistemi, necessitando di background organizzativi come il piano di
assistenza personalizzato o la gestione del caso clinico secondo parametri di multidisciplinarietà integrata,
non sempre trovano facilità di applicazione.
Questa ipotesi lascia spazio ad alcuni interrogativi.
1. Sono inadeguati i sistemi ai contesti? O i contesti ai sistemi?
2. C’è proprio assenza di strategie e strumentazioni che possano rendere idonee le misurazioni?
Se si dovesse rispondere in maniera affermativa, sarebbe una mancanza grave, poiché il nursing
riabilitativo, essendo per sua natura dinamico ed evolutivo, potrebbe prestarsi molto bene come indicatore
di processo e standard di valutazione in tutte le attività della vita quotidiana (ADL).
Segnali di sufficiente ottimismo giungono da alcuni lavori di ricerca effettuati.
Nell’ambito delle neuroscienze, un gruppo di infermieri operante in diverse realtà ospedaliere di Torino ha
elaborato il metodo PGR-Progetto Gestione Risorse che, per la rilevazione del carico di assistenza diretta,
classifica il paziente in tre categorie: A-B-C (vedi Tabella 10), secondo il livello di partecipazione alle cure
della persona stessa.
Tale metodo appare molto evoluto rispetto ai modelli svizzero e canadese e particolarmente affine alle
realtà italiane. Come si può osservare, viene dato risalto alla tipologia di paziente, in base al suo livello di
collaborazione/partecipazione alle cure, dal quale si rende possibile la misurazione temporale delle
“energie”, intese come risorsa umana da impiegare per il soddisfacimento della singola azione.
La nota di merito del sistema va posta nella classificazione predefinita dei tempi per singola azione, che non
subiscono variazioni con il variare della complessità clinica del paziente.
In altri termini, se si modificano le condizioni del paziente, divenendo questi più o meno disabile, cambia la
sua collocazione all’interno della classe di appartenenza; da (A) a (B) a (C) e viceversa. Questa versatilità
rende il sistema adattabile e flessibile ai vari contesti.
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In Tabella 11 e Figura 2 sono riportati in modo esemplificativo i risultati della sperimentazione effettuata
presso il presidio ospedaliero Amedeo di Savoia di Torino, precisamente in realtà di neurologia e malattie
infettive per un periodo di 15 giorni, con utenza la cui età media è stata rispettivamente di 78 anni per la
neurologia e di 28 per il reparto di malattie infettive.
Il quadro che ne deriva mette in risalto differenze nella ripartizione della tipologia di struttura
dell’assistenza (coerente con la tipologia di utenza) e la media in minuti di assistenza giornalieri,
espressione dei carichi di lavoro richiesti nelle due diverse realtà.
Un altro dato importante lo si ritrova nella rappresentazione circa la distribuzione giornaliera e settimanale
delle attività; dato, questo, che attribuisce allo strumento un valore gestionale, in quanto oltre a consentire
di catturare e misurare le variabili che determinano il carico di lavoro sembra offrire indicazioni utili per
gestire in modo razionale il personale.
Si è sufficientemente consapevoli che il sistema, per un suo utilizzo in ambito riabilitativo, necessiterebbe di
adeguato adattamento e sperimentazione.
Nel settore riabilitativo è necessario segnalare il lavoro svolto a opera di un gruppo di ricerca di Merano, il
quale ha condotto una sperimentazione presso l’unità operativa di Recupero e Rieducazione Funzionale
dell’ospedale altoatesino, con l’obiettivo esplicito di: “Definire un sistema di classificazione dei pazienti
degenti in riabilitazione ospedaliera sensibile alle differenze di compromissione funzionale evidenziate dai
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soggetti; quantificare il fabbisogno giornaliero di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa da
erogare”.
Figura 2. Distribuzione settimanale del carico di lavoro – Sperimentazione effettuata presso il presidio
ospedaliero Amedeo di Savoia di Torino con il metodo PGR
L’indagine è stata svolta su un campione di 77 degenti (le cui caratteristiche sono riscontrabili in Tabella 12)
per un periodo di quattro settimane, dove per la rilevazione delle attività e dei tempi di assistenza sono
state predisposte specifiche schede di rilevazione e definito un glossario per ciascuna figura professionale
(vedi Tabelle 13 e 14).
La valutazione del grado di disabilità dei pazienti è stata effettuata mediante l’utilizzo della scala FIM,
Functional Independence Measure (vedi Figura 3).
Questo ha permesso loro di avere:
a) correlazione carico di lavoro/FIM, ovvero di evidenziare specifiche variabili FIM come ad
esempio: lavarsi, igiene perineale, locomozione e memoria, consentendo di stimare un
differente fabbisogno di assistenza proporzionale al grado di disabilità del paziente;
b) maggior accuratezza nella predittività dello strumento, ovvero favorire una stima più raffinata
del fabbisogno giornaliero di assistenza infermieristica e fisioterapica da erogare.
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Tabella 14. Attività dirette/indirette erogabili per figura professionale
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Figura 3. Scala FIM (Functional Independence Measure)
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Da quanto detto si ricava che è possibile misurare anche in riabilitazione, senza necessariamente ricorrere
al minutaggio esasperato proposto da alcuni sistemi.
Le due esperienze presentate possono convivere in forza delle loro capacità intrinseche di adattabilità, pur
affrontando la problematica partendo da concetti e con sistemi molto differenti.
Probabilmente i modelli potranno e dovranno essere perfezionati, ma hanno messo in luce la concreta
possibilità di dotarsi anche in ambito riabilitativo di sistemi funzionali per la valutazione quantitativa delle
risorse umane.
Considerata la costante necessità di razionalizzazione delle risorse economiche delle aziende, la scarsità di
reperimento sul mercato del lavoro di figure professionali come l’infermiere diventa condizione
indispensabile attivare sistemi che consentono di coniugare correttezza gestionale e organizzativa.
Conclusioni I cambiamenti che stanno interessando la professione infermieristica trovano espressione nella continua
promozione di un’assistenza globale, personalizzata e a misura d’uomo e che, per essere tale, necessita di
avere a disposizione tecniche e tecnologie all’avanguardia, ma anche professionisti competenti, aggiornati
e capaci di documentare i processi che sono chiamati a svolgere.
L’organizzazione infermieristica di successo ha dunque bisogno di creare una struttura e un clima in cui le
persone sappiano intercettare il bisogno, progettare e programmare l’intervento secondo canoni di elevata
competenza non dichiarata, ma realizzata.
Le diagnosi infermieristiche rappresentano a ben vedere la base concettuale su cui si fonda tutto il processo
decisionale relativo alla presa in carico del paziente. In contesti di questo tipo, l’infermiere, attraverso il
competente utilizzo della documentazione, assume un ruolo attivo di “facilitatore” e di “coordinatore”
dell’assistenza e delle cure, favorendo automaticamente un miglior flusso comunicativo e relazionale tra i
vari “attori” in gioco.
A garanzia della promozione e mantenimento di tutto ciò, servono investimenti intellettuali, umani e
materiali, capaci di mantenere vivo e soprattutto alto il livello di “curiosità” e “passione” professionale,
nonostante le condizioni lavorative risultino spesso vincolanti al procedere di tale sviluppo.
Pertanto la conoscenza è da intendersi sia come arma di difesa dagli eventi avversi sia come elemento
induttore della competenza (di base, continua e permanente), finalizzata alla stabilità dell’esistente più
volte richiamato nella trattazione e orientata al graduale miglioramento continuo.
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Questionario – Modulo 3 1. La diagnosi infermieristica secondo la NANDA è:
a) l’equivalente della diagnosi medica
b) un veicolo attraverso il quale identificare segni e sintomi del paziente
c) un veicolo potente per aiutare efficacemente gli infermieri a comunicare, creare continuità
assistenziale e adottare un modello omogeneo di inquadramento dei problemi legati all’esperienza
del paziente
d) nessuna delle risposte indicate
2. In una diagnosi infermieristica, l’approccio PES identifica:
a) piano educativo sistemico
b) potenziale espressione sanitaria
c) problema, eziologia, segni e sintomi
d) problema, elaborazione, saturazione
3. I piani di assistenza standard possiedono le seguenti caratteristiche eccetto:
a) non hanno bisogno di contestualizzazione
b) contengono le indicazioni generali
c) possono fungere da linea guida, in riferimento a specificità assistenziali
d) possono essere distinti per settore/area o criticità assistenziali
4. Il piano di assistenza si compone di:
a) diagnosi infermieristiche
b) obiettivi e interventi
c) valutazione
d) tutte le risposte indicate
5. La fase di diagnosi consta di:
a) analisi dei dati
b) identificazione dei problemi (con eventuali cause o fattori determinanti)
c) formulazione della diagnosi infermieristica
d) tutte le risposte indicate
6. La fase di raccolta dei dati si compone di:
a) esame obiettivo; allestimento scheda/e
b) osservazione; esame obiettivo; allestimento scheda/e
c) osservazione; intervista; esame obiettivo; allestimento scheda/e
d) osservazione; intervista; esame obiettivo; allestimento scheda/e; rivalutazione
7. La valutazione del carico assistenziale:
a) è tra fra gli strumenti gestionali di un corretto assetto organizzativo
b) è facilmente riproducibile
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c) distingue nettamente fattori assistenziali e biomedici
d) nessuna delle risposte indicate
8. Il sistema PRN (Project de Recherche en Nursing) consente di determinare il fabbisogno di
personale, sia totale nelle 24 ore, sia per singolo turno di lavoro. Quali criticità presenta questo
sistema?
a) è molto complesso e di difficile applicazione pratica
b) non è sistematizzabile
c) non è adeguato agli standard di assistenza italiani
d) tutte le risposte indicate
9. “Il prodotto finale del processo di analisi dei dati, una conclusione definitiva o sperimentale,
formulata dall’Infermiere dopo la valutazione dello stato di salute dell’utente” corrisponde alla
definizione di:
a) diagnosi infermieristica
b) diagnosi
c) problema collaborativo
d) nessuna delle risposte indicate
10. I piani di assistenza:
a) seguono una sequenza logica
b) partono dalle diagnosi infermieristiche
c) necessitano di una processualità appropriata
d) tutte le risposte indicate