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La Felicità e l'Arte di Essere Volume Primo Un'introduzione alla filosofia e alla pratica degli insegnamenti spirituali di Bhagavan Sri Ramana Michael James

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La Felicità el'Arte di Essere

Volume Primo

Un'introduzione alla filosofia e alla praticadegli insegnamenti spirituali di

Bhagavan Sri Ramana

Michael James

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La Felicità el'Arte di Essere

Volume Primo

Un'introduzione alla filosofia e alla praticadegli insegnamenti spirituali di

Bhagavan Sri Ramana

diMichael James

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Copyright © 2006, 2007, 2012 Michael D A JamesTutti i diritti riservati.

Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta,salvo brevi citazioni debitamente riconosciute, o quantoespressamente consentito dalla legge, senza la previaautorizzazione scritta dell'autore.

Prima edizione PDF inglese: Dicembre 2006Seconda edizione PDF inglese: Marzo 2007Terza edizione PDF inglese: Agosto 2007

Prima edizione a stampa (Canada) inglese: Agosto 2007Prima edizione a stampa (India) inglese: Agosto 2007

Prima edizione a stampa spagnolo: 2008Prima edizione PDF in ceco: 2009

Seconda edizione (USA) inglese: Marzo 2012.Seconda edizione (India) inglese: Marzo 2012.

Quarta edizione PDF inglese: Marzo 2012.Prima edizione Kindle inglese: Marzo 2012.

Una copia in inglese-spagnolo-ceco-italiano in formato PDF. Èdisponibile in download gratuito sul sito web dell'autore:

www.happinessofbeing.com/Happiness_and_the_Art_of_Being.pdf

Altre traduzioni e scritti sugli insegnamenti di Sri Ramana diMichael James sono disponibili sul suo sito web e blog:

www.happinessofbeing.com/Happiness_http://www.happinessofbeing.blogspot.com

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Per informazioni sui libri dell'autore su Amazon Si prega divisitare www.amazon.com/author/michaeljames

Tradotto in italiano da Emilio Volpe

Da: Happiness and The Art of Being(Edizione PDF Marzo 2012.)

NOTA: le parentesi quadre [ ] sono riportate dall'autore perchiarire parole o parti di testi originali Tamil di Sri Ramana(quasi sempre) o altri. Le parentesi graffe { } sono riportate daltraduttore italiano per chiarire parole o parti della traduzionedall'inglese. In fondo al libro sono state riportate alcune breviNote del traduttore italiano che si consiglia di consultare primadi iniziare la lettura della presente opera. In fondo è statoaggiunto,dal traduttore italiano, un breve Dizionario di alcuneparole italiane, che potrebbero risultare poco chiare al lettoreinesperto, col solo significato relativo a quest'opera.

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Dedica

A

Bhagavan Sri RamanaChe mi ha insegnato tutto quello che so, e ha fornito qualunque

ispirazione che ha creato questo libro, e ai suoi più strettidiscepoli. In particolare

Sri Sivaprakasam PillaiChe per primo ha interpretato e registrato i suoi insegnamenti

di base, che in seguito hanno preso forma nel suo preziosotrattato Nāṉ Yār? (Chi sono Io?)

Sri MuruganarChe non solo ha realizzato le più belle poesie e i versi filosoficipiù sottili, ma ha anche registrato il suo insegnamento orale più

esauriente, profondo e poetico in Guru Vācaka Kōvai

Sri Sadhu OmChe mi ha aiutato a capire i suoi insegnamenti più chiaramente

e profondamente.

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INDICE COMPLETO

VOLUME PRIMO

Introduzione............................................................... 11Cap. 1 – Che cos'è la Felicità?................................... 93Cap. 2 – Chi sono Io?................................................. 129Cap. 3 – La Natura della Nostra Mente...................... 215Cap. 4 – La Natura della Realtà................................. 303Cap. 5 – Qual'è la Vera Conoscenza?......................... 365Bibliografia................................................................ 447Glossario.................................................................... 451Dizionario Italiano e Note.......................................... 487

VOLUME SECONDO

Introduzione............................................................... 11Cap. 6 – Vera Conoscenza e Falsa Conoscenza........ 93Cap. 7 – L'Illusione del Tempo e dello Spazio.......... 133Cap. 8 – La Scienza della Coscienza......................... 161Cap. 9 – Investigazione del Sé e Abbandono di sé.... 181Cap. 10 – La Pratica dell'Arte di Essere.................... 245Bibliografia................................................................ 393Glossario.................................................................... 399Dizionario Italiano e Note......................................... 435

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Introduzione

La felicità si trova profondamente dentro di noi, nel verocentro del nostro essere. La felicità non esiste in alcun oggettoesterno, ma solo in noi, che siamo la coscienza che sperimentala felicità.

Anche se ci sembra derivare felicità da oggetti o esperienzeesterne, la felicità di cui usufruiamo, di fatto, nasce dentro dinoi.

Qualunque sia la turbolenza della nostra mente, al centro delnostro essere esiste sempre uno stato di perfetta pace e gioia,come la calma nell'occhio di un uragano.

Il desiderio e la paura agitano la nostra mente, e oscurano,nella sua visione, la felicità che esiste sempre al suo interno.Quando un desiderio è soddisfatto, o la causa di una paura èrimossa, l'agitazione di superficie della nostra mentediminuisce, e in questa calma temporanea la nostra mentebeneficia di un assaggio della propria felicità innata.

La felicità è dunque un modo di essere, in cui l'abitualeagitazione della nostra mente si è calmata. L'attività dellanostra mente la disturba nel suo calmo stato di solo essere e lainduce a perdere di vista la propria felicità interiore.

Per gioire della felicità, quindi, la nostra mente ha bisognodi cessare ogni attività, tornando tranquillamente al suo statonaturale d'inattività, come fa ogni giorno nel sonno profondo.

Pertanto, per padroneggiare l'arte di essere felici, dobbiamopadroneggiare l'arte e la scienza di solo essere. Dobbiamoscoprire che cosa è l'essenza più intima del nostro essere, edobbiamo imparare a dimorare consapevolmente ecostantemente in questo stato di puro essere, che è alla base esupporta (ma non ne rimane comunque influenzato) tutte le

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attività superficiali della nostra mente: il pensare, il sentire, ilpercepire, il ricordare e dimenticare, e così via.

L'arte di solo essere, rimanendo pienamente coscienti, masenza alcuna attività della mente, non è solo un'arte, un'abilitàpratica che può essere coltivata e applicata per produrreun'esperienza di bellezza e di gioia inesprimibile, ma anche unascienza, un tentativo di acquisire vera conoscenza tramitel'osservazione intensa e l'esperimento rigoroso. E quest'arte escienza di essere non sono solo l'arte e la scienza della felicità,ma anche l'arte e la scienza della consapevolezza e l'arte e lascienza della conoscenza di sé.

La scienza di essere è incredibilmente semplice e chiara. Perla mente umana, tuttavia, può apparire complessa e astrusa, nonperché è complessa in sé, ma perché la mente che cerca dicomprendere è un tale complicato insieme di pensieri,emozioni, desideri, paure, ansie attaccamenti credenze, ideepreconcette, convinzioni a lungo accarezzate che tende aoscurare la pura semplicità e chiarezza di essere, rendendooscuro ciò che è ovvio.

Come qualsiasi altra scienza, la scienza di essere cominciadall'osservazione e dall'analisi di qualcosa che già conosciamoma che non comprendiamo completamente, procedendo quindicol ragionamento per formulare un'ipotesi plausibile su ciò chesi osserva, quindi verificando rigorosamente questa ipotesi conun preciso e critico esperimento. Tuttavia, a differenza di tuttele altre scienze, questa scienza non studia un oggetto diconoscenza, ma studia il vero potere del conoscere in sé, ilpotere della consapevolezza che sottende la mente, il poteretramite cui tutti gli oggetti sono noti.

La verità scoperta per mezzo di questa scienza non è quindiqualcosa che può essere dimostrata o provata oggettivamenteda una persona a un'altra. Può, tuttavia, essere direttamente

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Introduzione

vissuta come una chiara conoscenza nel nucleo più interno diogni persona che persegue scrupolosamente il necessarioprocesso sperimentale, fino a che la vera natura di essere, che èla vera natura della consapevolezza e della felicità, si rivelanella piena chiarezza della pura genuina coscienza del sé.Proprio come la scienza di essere è fondamentalmentedifferente da tutte le altre scienze, così l'arte di essere èfondamentalmente differente da tutte le altre arti, perché èun'arte che coinvolge il fare 'nulla'. Si tratta di un'arte non difare, ma di non fare, un'arte di solo essere.

Lo stato di solo essere è lo stato in cui la nostra mente nonsorge {non si manifesta - non si attiva} per fare, pensare oconoscere qualcosa, ma è uno stato di piena coscienza non dialtre cose, ma solo di essere. L'abilità che deve essere appresain quest'arte è non solo la capacità di essere, perché siamosempre e quindi non si richiedono particolari abilità o sforzi peressere, né è solo la capacità di essere senza fare o pensarequalsiasi cosa, perché siamo in grado di essere così ogni giornonel sonno profondo senza sogni.

L'abilità che deve essere coltivata è la capacità di rimanerecalmi e in piena pace senza fare o pensare qualsiasi cosa, macomunque mantenendo una perfetta chiara consapevolezza diessere, cioè, della coscienza del proprio essere o dell'essenzialestato di 'Io sono' {stato di solo essere, Am-ness}. Solo inquesto stato originario di chiara non duale autocoscienza{coscienza di sé} di essere, senza oscuramenti dovuti alladistraente agitazione del pensiero e dell'azione, la vera naturadi essere diventerà perfettamente chiara, ovvia, auto-evidente elibera dal minimo dubbio o confusione.

La nostra prima e più diretta esperienza di essere è quelladel nostro essere o esistenza. In primo luogo sappiamo cheesistiamo, e solo dopo potremo conoscere l'esistenza di altre

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cose. Mentre la nostra stessa esistenza è autocosciente{cosciente di sé}, l'esistenza di ogni altra cosa dipende da noiper essere conosciuta. Conosciamo il nostro essere perchésiamo la consapevolezza. In altre parole, il nostro essere è diper sé la coscienza che conosce se stessa. Conosce se stessoperché è essenzialmente autocosciente {cosciente di sé}, Così èragionevole ipotizzare che la coscienza è la forma primaria edessenziale di essere.

Senza la coscienza, l'essere sarebbe sconosciuto e senzal'essere, la coscienza non esisterebbe. Il nostro essere e lanostra coscienza di essere sono inseparabili: in realtà sonoidentici ed entrambi sono espressi dalla singola frase 'Io sono'.Questo essere-coscienza, 'Io sono', è la nostra esperienza piùfondamentale, e la più importante esperienza di ogni esseresenziente. 'Io Sono' è la sola basica coscienza, la non dualeautocoscienza essenziale, senza la quale nulla sarebbeconosciuto. 'Io sono' è dunque la fonte e il fondamento di ogniconoscenza.

A cosa serve quindi conoscere qualsiasi cosa se poi nonconosciamo la verità del nostro essere-coscienza, la nostraautocoscienza, 'Io sono', sulla base del quale tutto il resto ènoto? Tutto ciò che sappiamo sul mondo e tutto ciò chesappiamo di Dio, tutte le nostre scienze e tutte le nostrereligioni, non sono di alcun reale valore per noi, chedesideriamo conoscere la verità sul mondo e Dio, se nonsappiamo la verità su noi stessi.

Noi siamo l'essere-coscienza 'Io sono', eppure la nostraconoscenza di questo 'Io sono' è confusa. Noi tutti crediamo:'io sono questo corpo', 'io sono una persona', 'io sonochiamato così e così, e sono nato a una tale data e in taleposto'. Così identifichiamo la nostra coscienza 'Io sono' con uncorpo particolare.

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Introduzione

Questa identificazione è il risultato di una conoscenzaconfusa e poco chiara della vera natura della coscienza.

La nostra coscienza 'Io sono' non è qualcosa di materiale,mentre il nostro corpo è solo un aggregato di materia fisica, chenon è intrinsecamente consapevole. In qualche modo ci siamoingannati confondendo questo corpo materiale con la nostracoscienza 'Io'. Come risultato della nostra conoscenza nonchiara della coscienza, riteniamo erroneamente che la materiasia cosciente, e la coscienza sia qualcosa di materiale.

Ciò che in tal modo erra ritenendo questo corpo essere 'Io' èla nostra mente. La nostra mente viene in esistenza soloimmaginandosi di essere un corpo. Nel sonno profondo siamoinconsapevoli sia della nostra mente sia del nostro corpo. Nonappena ci svegliamo, la nostra mente si manifesta sentendosi'io sono questo corpo, io sono così e così', e solo dopo essersiidentificata come un corpo particolare percepisce il mondoesterno attraverso i cinque sensi di tale organismo.

La stessa cosa accade nel sogno: la nostra mente s'identificacon un particolare corpo e attraverso i cinque sensi di questocorpo percepisce un mondo apparentemente reale ed esterno.Quando ci svegliamo da un sogno, noi capiamo che il corpoche abbiamo scambiato come 'Io' e il mondo scambiato peressere reale ed esterno erano entrambi in realtà solo frutto dellanostra immaginazione.

Così dalla nostra esperienza in sogno sappiamo tutti che lanostra mente ha un meraviglioso potere d'immaginazioneattraverso il quale è in grado di creare un corpo, di scambiarequel corpo immaginario per l''Io', e attraverso quel corpoproiettare un mondo che, al momento in cui lo percepiamo,sembra essere altrettanto reale ed esterno a noi come il mondoche ora percepiamo in questo stato di veglia.

Sapendo che la nostra mente possiede questo meraviglioso

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potere di creazione e autoinganno, non è ragionevole per noi ilsospetto che il corpo che riteniamo come 'Io' e il mondo checonsideriamo reale nel nostro attuale stato di veglia possanoessere niente di più che una semplice immaginazione oproiezione mentale, proprio come il corpo e il mondo chesperimentiamo in sogno? Che prove abbiamo che il corpo e ilmondo che sperimentiamo in questo stato di veglia sianotutt'altro che una creazione della nostra mente? Potremmoessere in grado di rilevare certe differenze tra veglia e sogno,ma analizzando bene scopriremmo che tali differenze sonosuperficiali, concernendo la qualità o la quantità piuttosto chela sostanza.

Se confrontiamo il dramma del mondo che vediamo nellaveglia o nel sogno con un dramma visto su uno schermocinematografico, possiamo dire che il dramma visto nellaveglia è di miglior qualità e di produzione più impressionanteche quello visto in sogno, ma entrambi sono produzioni non diqualche agente esterno ma della nostra mente che li vede.

In sostanza, non vi è alcuna differenza essenziale tra lanostra esperienza nella veglia e quella in sogno. In entrambi glistati, la nostra mente si attiva, associandosi a un corpo presoper 'Io', e attraverso i sensi di questo corpo vede un mondoconfinato entro limiti di tempo e di spazio, e riempito connumerose persone e con altri oggetti, sia senzienti siainsensibili, di cui si è convinti che siano tutti reali. Possiamoforse dimostrare a noi stessi che ciò che sperimentiamo nellostato di veglia esiste fuori dalla nostra immaginazione, più diquanto un sogno esiste fuori dalla nostra stessaimmaginazione?

Quando analizziamo attentamente la nostra esperienza neinostri tre stati di veglia, sogno e sonno profondo, è chiaro chesiamo in grado di confondere la nostra coscienza 'Io' con cose

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Introduzione

differenti in momenti diversi. Nella veglia noi consideriamoerroneamente il nostro corpo presente come 'Io', in sognoscambiamo qualche altro corpo immaginario come 'Io', e nelsonno profondo scambiamo l'incoscienza come 'Io' o almeno alrisveglio dal sonno profondo ciò che ricordiamo è che 'Io eroinconscio'. Ciò che era in realtà inconscio nel sonno profondoera la nostra mente, il nostro corpo e il mondo, ma non lanostra esistenza di essere.

La nostra esperienza nel sonno profondo non era di avercessato di esistere, ma solo che abbiamo cessato di essere aconoscenza di tutti i pensieri e le percezioni che siamo abituatia vivere nella veglia e negli stati di sogno. Quando diciamo,'ho dormito tranquillamente, non avevo sogni, non ero aconoscenza di nulla', siamo sicuri di affermare che 'Io' ero nelsonno e cioè che noi esistevamo e sapevamo di esistere in quelmomento.

Poiché noi associamo la coscienza con l'essere consapevoledi tutti i pensieri e le percezioni che compongono la nostra vitanella veglia e nel sogno, noi consideriamo il sonno profondocome uno stato d'incoscienza. Ma dobbiamo esaminare lacosiddetta incoscienza del sonno con più attenzione.

La coscienza che conosce i pensieri e le percezioni è lanostra mente, che sorge ed è attiva sia nella veglia sia nelsogno, ma che scompare nel sonno profondo (senza sogni). Maquesta coscienza che sorge e sparisce non è la nostra veracoscienza. Siamo coscienti non solo dei due stati di veglia esogno, in cui la nostra mente s'innalza verso pensieri,esperienze e percezioni, ma anche di un terzo stato, il sonno, incui la nostra mente è placata in uno stato privo di pensieri epercezioni.

Questo fatto che siamo consapevoli nel sonno come unostato diverso dalla veglia e dal sogno indica chiaramente che

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noi siamo la coscienza che sta alla base dell'attivarsi edisattivarsi della coscienza transitoria che noi chiamiamo'mente'. La coscienza che ci permette di affermare consicurezza, 'io esistevo nel sonno, ma non ero consapevole dinulla', non è la nostra 'coscienza che sorge', ma il nostro'essere-coscienza'.

Questo 'essere-coscienza', che esiste in tutti i nostri tre stati,è la nostra vera coscienza, ed è ciò che è veramente indicatoquando diciamo 'Io sono'. La nostra mente, o 'coscienza chesorge', che appare nella veglia e nel sogno e scompare nelsonno, è solo una forma spuria di coscienza, che attivandosis'identifica erroneamente sia con la nostra coscienza di base 'Iosono' che con questo corpo materiale.

Così, analizzando la nostra esperienza nei nostri tre stati diveglia, sogno e sonno profondo, possiamo capire che anche seora ci sbagliamo credendo di essere un corpo limitato daltempo e dallo spazio, noi siamo di fatto la coscienza chesottende la comparsa di questi tre stati, in due solo dei quali ilsenso di essere un corpo con le conseguenti limitazioni ditempo e spazio è sperimentato.

Tuttavia, una semplice comprensione teorica della verità,che siamo solo coscienza, sarà di scarsa utilità per noi, se nonl'applichiamo in pratica cercando di acquisire vera conoscenzaempirica di quella verità.

Di per sé, una comprensione teorica, non può donarci la verae duratura felicità, perché non può distruggere il nostro radicatosenso di identificazione con il corpo, che è la radice di tuttal'ignoranza, e la causa di tutte le miserie. Chi capisce questaverità in teoria è solo la nostra mente o intelletto, e la nostramente non può funzionare senza prima identificarsi con uncorpo. Poiché la nostra mente o intelletto è quindi unaconoscenza confusa la cui esistenza è radicata nell'ignoranza su

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Introduzione

chi o che cosa siamo veramente, una comprensione intellettualenon può mai di per sé donarci la vera conoscenza del Sé.

La conoscenza di sé {auto-conoscenza} può essere acquisitasolo attraverso l'esperienza diretta della pura coscienzaillimitata, che è il nostro vero sé, perché solo tale esperienzapuò sradicare l'ignoranza che noi siamo qualcosa di diverso daquella coscienza. Quindi una comprensione teorica della veritàpuò essere di reale beneficio per noi solo se ci si spinge aindagare la nostra coscienza essenziale di essere la nostrasemplice coscienza di sé, 'Io sono' e quindi raggiungereattraverso l'esperienza diretta una chiara conoscenza dellanostra vera natura.

Solo raggiungendo tale chiara conoscenza della coscienzache è il vero 'Io', possiamo distruggere la nostra ignoranzaprimordiale, la conoscenza confusa e sbagliata che noi siamo lamente, la forma limitata di coscienza che identifica un corpocome 'Io'. Se capiamo veramente che non siamo un corpo, né lamente, che immagina se stessa di essere un corpo, e che ogniforma di infelicità che noi sperimentiamo è causata solo dallanostra errata identificazione con un corpo, possiamo cercare didistruggere quella falsa identificazione intraprendendo lapratica ricerca di scoprire chi o cosa siamo veramente.

Per conoscere ciò che siamo veramente, dobbiamo cessaredi dare attenzione a tutte le altre cose, e dobbiamo concentrarciinvece su noi stessi, la coscienza che conosce quelle altre cose.Quando ci occupiamo di cose diverse dall''Io', la nostraattenzione è un 'pensiero' o un'attività della mente.

Quando, invece, ci concentriamo sulla nostra coscienzaessenziale 'Io', la nostra attenzione cessa di essere un'attività oun pensiero, e invece diventa semplice essere. Conosciamoaltre cose per un atto di conoscenza, ma non possiamoconoscere noi stessi con un atto di conoscenza, ma

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semplicemente essendo noi stessi.Pertanto, quando ci concentriamo sul nucleo più profondo

del nostro essere, cioè il nostro essenziale e reale sé, che èsemplice essere, libero da pensieri, non duale, conscio di sé,cessiamo di sorgere come mente incessantemente attiva, einvece rimaniamo semplicemente come la nostra coscienza diessere, naturalmente senza azione. Pertanto l'auto-attenzione{attenzione al sé} è auto-permanenza {permanenza nel sé}, lostato di puro essere che siamo veramente.

Finché ci occupiamo di cose diverse da noi stessi, la nostramente è attiva, e la sua attività annebbia ed oscura la nostranaturale chiarezza della coscienza di sé (autocoscienza).Quando cerchiamo di concentrarci su noi stessi, l'attività dellanostra mente comincia a scemare, e quindi il velo che oscura lanostra naturale coscienza del sé comincia a dissolversi. Piùprofondamente e intensamente concentriamo la nostraattenzione sulla nostra coscienza di base 'Io', più la nostramente si disattiva, fino a quando finalmente scomparirà nellachiara luce della vera conoscenza del sé.

In questo libro, dunque, cercherò di spiegare sia la teoria siala pratica dell'arte di conoscere e di essere il nostro vero sé. Lateoria di questa scienza o arte della conoscenza del sé ènecessaria e utile perché ci permette di capire non solo lanecessità imperativa di conoscere la realtà, ma anche glistrumenti pratici con cui possiamo raggiungere taleconoscenza.

Tutta l'infelicità, il malcontento e la miseria chesperimentiamo nella nostra vita sono causati solo dalla nostraignoranza o confusa conoscenza di chi o di cosa realmentesiamo.

Finché ci limitiamo, identificando un corpo come 'Io',sentiremo il desiderio per tutto ciò che pensiamo sia necessario

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Introduzione

per la nostra sopravvivenza in quel corpo, e per tutto ciò chepensiamo renderà la nostra vita in quel corpo più confortevolee piacevole. Allo stesso modo sentiremo paura e avversione pertutto ciò che pensiamo minacci la nostra sopravvivenza in quelcorpo, e di tutto ciò che pensiamo renderà la nostra vita menocomoda o piacevole. Quando non otteniamo tutto ciò chedesideriamo o quando non possiamo evitare tutto ciò di cuiabbiamo paura o antipatia, ci sentiamo infelici, scontenti omiserabili.

Così infelicità o sofferenza sono il risultato inevitabile deldesiderio e della paura, o di simpatie e antipatie. Desiderio epaura, simpatie e antipatie, sono l'inevitabile conseguenza diidentificare un corpo come 'Io'. E identificare un corpo come'Io' risulta dalla nostra mancanza di una chiara conoscenzadella nostra vera natura, il nostro essenziale essere auto-cosciente. Se vogliamo quindi, essere liberi da tutte le forme dimiseria e infelicità, noi dobbiamo liberare noi stessi dallanostra ignoranza o confusa conoscenza di ciò che realmentesiamo.

Al fine di liberare noi stessi da questa conoscenza confusa,che ci fa sentire di essere un corpo, dobbiamo raggiungere unachiara conoscenza del nostro vero sé. L'unico mezzo attraversoil quale possiamo raggiungere tale chiara conoscenza di sé èquello di volgere la nostra attenzione lontano dal nostro corpo,dalla nostra mente e da tutte le altre cose, e focalizzarlaaccuratamente sulla nostra essenziale coscienza del sé: lanostra fondamentale coscienza del nostro essere, 'Io sono'.

Così la teoria che sta alla base della scienza e dell'arte dellaconoscenza di sé ci permette di capire che tutto quello chedobbiamo fare per sperimentare la perfetta felicità senza limitiè di raggiungere la vera conoscenza di sé, e che l'unico mezzoper raggiungere questa vera conoscenza di sé è quello di

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praticare un'appassionata e intensa attenzione al sé.Fintantoché non conosciamo come realmente siamo, non

possiamo mai sperimentare la vera e perfetta felicità,incontaminata anche dalla minima infelicità o insoddisfazione,e se non saremo concentrati intensamente sulla nostracoscienza essenziale del nostro puro essere, la nostra semplicenon duale coscienza del sé, 'Io sono', non potremo maiconoscere noi stessi come siamo veramente.

Per la maggior parte degli aspiranti spirituali, il processo diraggiungimento della conoscenza di sé, come il processo diapprendimento di qualsiasi altra arte o scienza, si dice che siaun triplice processo di ripetute sravana, manana enididhyasana, o apprendimento, assimilazione e pratica.

La parola sanscrita sravana letteralmente significa'ascoltando', ma in questo contesto significa imparare la veritàascoltando, leggendo o studiando. La parola manana significapensare, ponderare, contemplare, riflessione o meditazione:cioè, soffermandosi spesso sulla verità che abbiamo imparatoattraverso sravana in modo da assorbire e capire di più e piùchiaramente, per impressionare la nostra mente sempre piùsaldamente.

La parola nididhyasana significa intensa osservazione,controllo, attenzione o profonda contemplazione, che, nelnostro contesto, significa mettere, ciò che abbiamo imparato ecompreso da Sravana e Manana, in pratica con intensainvestigazione, dando attenzione o contemplando il nostroessenziale essere auto-cosciente, 'Io sono'.

Nella vita di un serio aspirante spirituale, questo tripliceprocesso di sravana, manana e nididhyasana dovrebbecontinuare ripetutamente fino a quando l'esperienza della veraconoscenza del sé è raggiunta. Nel nostro quotidiano modo divivere, la nostra mente incontra innumerevoli sensazioni

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Introduzione

diverse attraverso i nostri cinque sensi, e pensa innumerevolipensieri su queste sensazioni, per cui l'impressione fatta da unacosa è rapidamente sostituita dall'impressione fatta da altrecose. Pertanto, anche se abbiamo imparato a conoscere la veritàspirituale e la verità che non siamo il corpo limitato, ma solo lospirito illimitato o coscienza; l'impressione fatta da quellaverità rapidamente svanisce se non studiamo ripetutamente ilibri che ce la ricordano, e se non riflettiamo spesso su essanella nostra mente.

Tuttavia la semplice lettura e riflessione della verità sarà discarso beneficio se non tentiamo anche più volte di metterla inpratica volgendo la nostra attenzione alla nostra pura coscienzadi essere, 'Io sono', ogni volta che notate che l'attenzione èscivolata via per pensare ad altre cose.

Per sottolineare l'importanza fondamentale di tale pratica,Sri Adi Sankara ha dichiarato al verso 364 del Vivekacudamaniche il beneficio di manana è cento volte maggiore di quellodella sravana, e il vantaggio di nididhyasana è centomila voltesuperiore a quello di manana.

Per alcune anime molto rare, ripetere sravana manana enididhyasana non è necessario, perché appena ascoltata laverità, allo stesso tempo ne colgono il suo significato eimportanza, volgono verso sé stessi l'attenzione, e quindisperimentano subito la vera conoscenza del sé. Ma lamaggioranza di noi non ha la maturità spirituale persperimentare la verità appena la sentiamo, perché siamo troppofortemente attaccati alla nostra esistenza come singola persona,ed a tutto ciò che è associato con la nostra vita come persona.

Con la ripetizione di nididhyasana o auto-contemplazione{contemplazione del sé}, sostenuta con l'aiuto di ripetutesravana e manana, la nostra coscienza del nostro essereessenziale e la nostra comprensione corrispondente della verità

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sarà sempre più chiara, e con la maggiore chiarezza avremocostantemente più amore per conoscere come noi stessi siamoveramente, e avremo più distacco dalla nostra individualità e datutto ciò che è associato con essa. Pertanto, fino a quando nonotteniamo questa vera maturità spirituale e la volontà e l'amoreper perdere il nostro sé individuale nell'esperienza della veranon duale conoscenza del sé, dobbiamo continuare il processodi ripetute sravana, manana e nididhyasana.

Ancora più rare di quelle anime molto mature che sono ingrado di provare la verità non appena la sentono, ce ne sonoalcune che, senza mai sentire nulla fanno l'esperienza dellaverità spontaneamente. Ma queste persone sono molto rare anziuna ha cessato il battito del cuore e tutte le altre funzionibiologiche che indicavano la vita e gli insegnamenti del saggioconosciuto come Bhagavan Sri Ramana Maharshi. Tutto quelloche scrivo in questo libro è quello che ho imparato e capito daquesto essere estremamente raro che ha sperimentato la veritàspontaneamente senza aver mai sentito o letto nulla al riguardo.

Lui ha conseguito spontaneamente e raggiunto l'esperienzadella vera conoscenza di sé un giorno del luglio 1896, quandoera solo un ragazzino di sedici anni. Quel giorno era seduto dasolo in una stanza nella casa di suo zio, nella città di Maduraidel sud dell'India, quando improvvisamente e senza causaapparente un'intensa paura della morte sorse al suo interno.Invece di cercare di scacciare questa paura dalla sua mente,come la maggior parte di noi avrebbe fatto, ha deciso diinvestigare e scoprire da sé la verità sulla morte:

“Va bene, la morte è arrivata! Che cosa è lamorte? Che cosa è che muore? Questo corpo sta permorire, lasciamolo morire”.

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Introduzione

Si distese quindi come un cadavere, rigido e senza respirare,e rivolse la sua mente verso l'interno per scoprire cosa la mortegli avrebbe fatto. Ha in seguito descritto la verità che gli èapparsa in quel momento come segue:

“Questo corpo è morto. Sarà ora portato al luogodella cremazione, bruciato e ridotto in cenere. Macon la distruzione di questo corpo, anche Io saròdistrutto? È questo corpo davvero 'Io'? Anche sequesto corpo è disteso senza vita come uncadavere, so ciò che Io sono. Non influenzatominimamente da questa morte, il mio esseresplende chiaramente.

Quindi Io non sono questo corpo che muore. Iosono l'Io, che è indistruttibile. Di tutte le cose, Iosolo sono la realtà. Questo corpo è soggetto allamorte, ma Io, che trascendo il corpo, sono quelloche vive in eterno. La morte che è venuta in questocorpo non mi può influenzare”.

Anche se ha descritto la sua esperienza di morte con tanteparole, ha spiegato che questa verità si è effettivamente resa dasé chiara a lui in un istante, non come ragionamento o pensieriverbalizzati, ma come esperienza diretta, senza la minimaazione della mente. Così intensa era la sua paura e laconseguente voglia di sapere la verità della morte, che, senzarealmente pensare nulla, volse l'attenzione lontano dal suocorpo rigido e senza vita e verso il più interno nucleo del suoessere: la sua essenziale coscienza del sé genuina e non duale,'Io sono'.

Dato che la sua attenzione era così intensamente concentratasulla sua coscienza di essere, la vera natura di questo essere-

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coscienza si rivelò come un lampo di diretta e certaconoscenza; conoscenza che era così diretta e certa che nonavrebbe mai potuto dubitarne. Così Sri Ramana scoprì di esserela transpersonale pura coscienza 'Io sono', che è l'unico,illimitato, indiviso e non duale tutto, l'unica realtà esistente,l'origine e la sostanza di tutte le cose e il vero sé di ogni esserevivente. Questa conoscenza della sua vera natura distrusse inlui per sempre il senso d'identificazione con il corpo fisico, lasensazione di essere una singola persona, un'entità coscienteseparata confinata entro i limiti di un particolare momento eluogo.

Insieme a questa alba di non duale conoscenza di sé, laverità di ogni cosa divenne chiara per lui. Conoscendo di esserelui stesso lo spirito infinito, la coscienza fondamentale 'Iosono', in cui e attraverso cui tutte le altre cose sono note, seppeper esperienza immediata come quelle altre cose appaiono escompaiono in questa coscienza essenziale.

Così egli seppe senza il minimo dubbio che tutto ciò cheappare e scompare dipende per la sua esistenza apparente daquesta coscienza fondamentale, che conobbe come il suo verosé. Quando si leggono alcuni dei racconti registrati della suaesperienza di morte, le persone hanno spesso l'impressione chequando si adagiò come un cadavere, Sri Ramanasemplicemente avesse simulato i segni della morte fisica.

Ma, ha spiegato in varie occasioni che non si è limitato asimulare, ma in realtà ha veramente subito l'esperienza dellamorte fisica in quel momento. Perché ha fissato tutta la suaattenzione così fermamente e intensamente sulla sua non dualecoscienza di essere, che non solo ha fatto cessare il respiro, maanche il suo cuore è arrivato a fermarsi. Così il suo corporimase letteralmente senza vita per circa venti minuti, fino aquando improvvisamente la vita tornò in esso, ancora una

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Introduzione

volta, e il suo battito cardiaco e il respiro ripresero a funzionarenormalmente.

Tuttavia, sebbene la vita tornò nel suo corpo fisico, lapersona che aveva in precedenza identificato quel corpo come'Io' era morto, essendo stato distrutto per sempre dalla chiaraluce della vera conoscenza di sé. Ma se era morto come singolapersona, era quindi nato di nuovo come spirito infinito, lacoscienza fondamentale e illimitata di essere, la non dualeautocoscienza 'Io sono'.

Anche se esteriormente appariva comportarsi come unapersona individuale, la sua personalità era in realtà solo unaspetto che esisteva solo nella visualizzazione di altre persone,come la forma carbonizzata di una corda che rimane dopo chela corda stessa è stata bruciata. Dentro di sé sapeva di essere lacoscienza onnicomprensiva che trascende tutti i limiti, e nonsoltanto una separata coscienza individuale confinata entro ilimiti di un particolare corpo.

Pertanto, l'essere cosciente che gli altri vedevano agireattraverso il suo corpo non era un individuo a tutti gli effetti,ma era solo il supremo spirito, la realtà infinita e assoluta chedi solito chiamiamo 'Dio'.

Subito dopo che questa vera conoscenza di sé sorse in lui,Sri Ramana lasciò la sua casa d'infanzia e viaggiò per qualchecentinaio di miglia a nord fino a Tiruvannamalai, una cittàtempio situato ai piedi della montagna sacra di Arunachala,dove ha vissuto come un sadhu o mendicante religioso per irestanti 54 anni della sua vita corporea.

Da quando aveva smesso di identificarsi con il corpo chealtre persone avevano scambiato per lui, aveva anche cessato diidentificarsi con il nome che in precedenza era stato dato a quelcorpo. Pertanto, dal momento in cui lasciò la sua casa, smise ilsuo nome d'infanzia Venkataraman, e firmò il suo biglietto

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d'addio con solo una linea. Così quando è arrivato aTiruvannamalai, nessuno conosceva il suo nome, e si riferivanoa lui con vari nomi di loro scelta.

Più di dieci anni dopo, però, uno dei suoi devoti, che era unpoeta sanscrito e studioso vedico, annunciò che doveva esserechiamato 'Bhagavan Sri Ramana Maharshi', e in qualche modoquesto è diventato il nome con cui fu generalmente conosciuto.

Tuttavia, fino alla fine della sua vita corporea, Sri Ramananon ha mai sostenuto questo o qualsiasi altro nome come il suo,e ha sempre rifiutato di firmare, anche quando gli venivachiesto di farlo. Quando gli è stato chiesto una volta perché nonha mai firmato col suo nome, egli rispose: “Con quale nomedevo essere conosciuto? Io stesso non lo conosco. In varimomenti varie persone mi hanno chiamato con nomi diversi”.

Perché lui non aveva esperienza di se stesso come individuo,ma conosceva se stesso come l'unica realtà, che è la fonte e lasostanza di tutti i nomi e le forme, ma che non ha nome néforma propria, egli rispondeva a qualunque nome le persone lochiamassero, senza mai identificare qualsiasi di quei nomicome il suo.

Delle quattro parole del nome 'Bhagavan Sri RamanaMaharshi', solo la parola 'Ramana' è un nome personale, e lealtre tre parole sono titoli di vario genere. 'Ramana' è unaforma abbreviata di 'Venkataramana', una variante del suonome d'infanzia 'Venkataraman', ed è una parola che ècomunemente usata come termine affettuoso.

Considerando che nel nome 'Venkataraman', la lettera 'a'nella sillaba 'ra' è una lunga forma della vocale ed è quindipronunciata con un accento, nel nome 'Ramana' tutte e tre le 'a'sono forme brevi della vocale, e quindi nessuna delle tre sillabeviene pronunciata con qualsiasi accento. Etimologicamente, laparola ramana deriva dalla radice verbale ram, che significa

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Introduzione

smettere, per rimanere a riposo, per rendere stabile o calmo,per la gioia o per fare felici; è un sostantivo che significa'gioia', o che dà gioia, ciò che è piacevole, affascinante edelizioso, e con l'estensione viene utilizzata come termineaffettuoso che significa una persona amata, un amante, marito omoglie, o il signore o amante del cuore.

La parola 'Bhagavan' è un titolo onorifico e affettuoso;significa il glorioso, adorabile e divino Signore, ed è utilizzatogeneralmente come un termine che significa 'Dio', e più inparticolare come un titolo di venerazione dato a una personache è considerata l'incarnazione di Dio o una forma umanadella realtà suprema, come il Buddha, Sri Adi Sankara, o il piùnoto Sri Krishna, i cui insegnamenti sono riportati nellaBhagavad Gītā e in alcune parti dello Śrīmad Bhāgavatam.

La parola 'Sri' è un monosillabo sacro significante: luce,lustro, radiosità o splendore; è abitualmente utilizzato come untitolo onorifico, un prefisso aggiunto ai nomi di santi, luoghi,testi o altri oggetti di venerazione. Come prefisso reverenziale,significa 'sacro', 'santo' o 'venerabile', ma è anchecomunemente usato come un semplice titolo di rispetto che puòessere aggiunto al nome di ogni persona al posto del titoloinglese 'Signore'.

La parola 'Maharhi' (che comunemente è trascritto come'maharshi'), significa un grande ṛṣi (comunemente trascrittocome 'rishi') o 'veggente'. Per il mondo in generale, soprattuttoal di fuori dell'India, Sri Ramana è generalmente noto come'Ramana Maharshi' (probabilmente a causa della mentalitàoccidentale il titolo 'Maharshi' posto dopo il suo nomepersonale sembra essere un cognome, che non è), e poiché egliè così spesso indicato come tale, alcune persone si riferiscono alui semplicemente come 'Maharshi'.

Tuttavia chi era vicino a lui raramente usava il titolo di

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'Maharshi' quando parlava di lui. Nella storia indiana e nellamitologia, il termine ṛṣi originariamente indicava uno dei poetiispirati o 'veggenti' che hanno 'visto' e scritto gli inni dei Veda,o qualsiasi persona che era abile nello svolgimento dei ritivedici e aveva quindi raggiunto poteri psichici osoprannaturali, ma in tempi più tardi è stato utilizzato più ingenerale, per indicare un asceta o un santo che è stato ritenutoaver raggiunto un certo grado di realizzazione spirituale.

Il termine ṛṣi non ha quindi mai specificamente significatouna persona che ha 'visto' o raggiunto la vera conoscenza di sé,né lo ha significato il termine maharṣi (maha-ṛṣi). I pochi ṛṣi,come Vasishtha, e più tardi Viswamitra, che hanno raggiunto lavera conoscenza del Brahman, la realtà assoluta o Dio, sonostati chiamati non solo maha-ṛṣi ma brahma-ṛṣi, un termineche denota un ṛṣi di primissimo ordine. Quindi molte personeritengono che non sia particolarmente opportuno applicare iltitolo di 'Maharshi' a Sri Ramana, che aveva raggiunto la veraconoscenza del brahman, e che perciò può essere conprecisione chiamato come niente di meno che un brahma-ṛṣi.

Oltre a non essere particolarmente appropriato, il titolo'Maharshi' suona piuttosto freddo e distante quando applicata aSri Ramana, così invece di riferirsi a lui come 'Maharshi', isuoi discepoli e devoti di solito preferivano riferirsi a lui coltitolo più affettuoso e rispettoso di 'Bhagavan'.

Pertanto, se stessi scrivendo questo libro per le persone chesono già i suoi seguaci, secondo l'usuale abitudine fareiriferimento a lui come 'Bhagavan' o 'Sri Bhagavan'.

Tuttavia, poiché sto scrivendo per un pubblico più ampio, ein particolare per le persone che non hanno alcuna conoscenzaprecedente, dei suoi insegnamenti, farò riferimento a lui con ilsuo nome personale come 'Sri Ramana' o 'Bhagavan Ramana'.Tuttavia, con qualunque nome io o chiunque altro possa

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Introduzione

riferirsi a lui, per tutti quelli che hanno seguito i suoiinsegnamenti e, quindi, raggiunto lo stato di beatitudine dellavera conoscenza di sé, egli è 'Ramana', l'amato datore di gioia,e Bhagavan, una benigna personificazione di Dio, la realtàsuprema, che egli scoprì essere il suo vero sé, e che ha spinto eguidato ognuno di noi per scoprire allo stesso modo il nostrovero sé.

Sri Ramana non è solo una singola persona che ha vissutoper un certo tempo del passato, né egli appartiene a unaparticolare religione o cultura. Egli è lo spirito eterno eillimitato, la realtà finale e assoluta, il nostro vero sé, e cometale vive sempre all'interno di ognuno di noi come la nostracoscienza pura ed essenziale di essere, che ognuno di noisperimenta come 'Io sono'.

Bhagavan Sri Ramana non cercò mai di sua spontaneavolontà di insegnare a nessuno la verità che egli era giunto aconoscere, perché nella sua esperienza solo quella: la verità -laconsapevolezza 'Io sono'- esiste, è quindi non c'è alcunapersona né per dare né per ricevere alcun insegnamento.Tuttavia, anche se dentro di sé sapeva che la coscienza è l'unicarealtà, era tuttavia esteriormente una personificazionedell'amore, della compassione e della gentilezza, perché,conoscendo, se stesso e tutte le altre cose, essere nient'altro chela coscienza 'Io sono', si vedeva in ogni cosa, e quindi haletteralmente amato tutti gli esseri viventi come il proprio sé.

Pertanto, quando la gente gli ha fatto domande sulla realtàed i mezzi per conseguirla, ha pazientemente risposto alle lorodomande, e quindi senza alcuna volontà iniziale da parte sua,ha rivelato gradualmente una gran ricchezza di insegnamentispirituali.

Molte delle risposte che ha dato in tal modo sono stateregistrate in forma scritta, più o meno accuratamente, dai suoi

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devoti e discepoli, ma la più precisa e autentica registrazionedei suoi insegnamenti si trova nella poesia che egli stessoscrisse, soprattutto in tamil, e anche in sanscrito, telugu emalayalam. La maggior parte della poesia che ha scritto era inrisposta alle richieste fatte dai suoi discepoli, ma alcune poesiesono state composte da lui spontaneamente.

La sua poesia si divide in due categorie generali: poesie chetrasmettono direttamente insegnamenti spirituali, e innidevozionali che trasmettono insegnamenti spiritualiindirettamente nel linguaggio allegorico dell'amore mistico.Dato che gli sono state fatte domande su una vasta gamma diargomenti, da parte di persone i cui interessi e il livello dicomprensione erano molto variabili, le risposte che ha datoerano in ciascun caso, su misura per le esigenze della personache stava parlando e, quindi, non riflettono sempre l'essenzadei suoi insegnamenti.

Perciò, quando leggiamo le varie registrazioni delleconversazioni che ebbe con le persone, può sembrare checontengano incoerenze, e che trasmettano non un unico, chiaroo coerente insieme di insegnamenti. Tuttavia, un insieme moltochiaro e coerente dei suoi insegnamenti centrali può esseretrovato nella sua poesia e in altri scritti, e se leggiamo tutte leregistrazioni delle sue conversazioni alla luce di taliinsegnamenti centrali, possiamo capire chiaramente che avevaun messaggio definito per tutti quelli che erano pronti adascoltare.

Prima di raggiungere l'esperienza della vera conoscenza disé, Sri Ramana non aveva letto o sentito nulla che descrivevaquell'esperienza, o che lo preparava in qualche modo per essa.Essendo cresciuto in una famiglia normale di bramini indianidel sud, aveva familiarità con le forme esteriori della religioneindù e con alcuni testi devozionali, ed essendo stato educato in

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Introduzione

una scuola missionaria cristiana, aveva familiarità con le formeesteriori del cristianesimo e con la Bibbia.

Inoltre, avendo avuto alcuni amici d'infanzia che erano difamiglie musulmane, aveva anche una certa familiarità con leforme esteriori dell'Islam. Ma se aveva un'idea generale chetutte queste religioni erano solo diversi modi di adorare lostesso Dio, non aveva avuto alcuna possibilità di impararequalcosa circa la vera essenza interiore che sta dietro la formaesteriore di tutte le religioni.

Gli insegnamenti che ha dato negli anni successivi sono statiquindi ricavati interamente dalla propria esperienza interiore, enon provengono da qualsiasi apprendimento esterno. Tuttavia,ogni volta che qualcuno gli ha chiesto di spiegare qualsiasitesto sacro o spirituale, lo avrebbe letto e spesso riconoscevache in un modo o in un altro stava esprimendo la verità che èstata la sua esperienza.

Così egli è stato in grado di interpretare tali testi con autoritàe di spiegare il loro significato interno in parole chiare esemplici. Giacché l'ambiente culturale e religioso in cui vivevaera prevalentemente indù, e poiché la maggior parte dellepersone che hanno cercato la sua guida spirituale erano nateindù o avevano familiarità con la filosofia tradizionale indù, itesti che gli sono stati spesso chiesti di spiegare erano quellidella tradizione filosofica indù noti come Advaita Vedanta.

Così gli insegnamenti di Sri Ramana sono spesso identificaticon l'Advaita Vedanta e sono presi per essere una modernaespressione o interpretazione di quell'antica filosofia. Il termineVedanta significa letteralmente la 'conclusione' o 'finale' (anta),della 'conoscenza' (Veda), e denota le conclusioni filosofichedei Veda. Queste conclusioni filosofiche sono contenute neitesti vedici conosciute come le Upanisad, e poi sono stateespresse più chiaramente e in maggior dettaglio in altri due

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testi antichi conosciuti come Brahma Sutra e Bhagavad Gita.Questi tre corpi di letteratura, che sono conosciuti come la

'sorgente tripla' (prasthāna-traya) del Vedanta, sono statiinterpretati in modi molto diversi, dando vita a tre sistemidistinti di filosofia Vedanta, il puro sistema monisticoconosciuto come Advaita, il sistema dualistico noto comeDvaita, e il sistema monistico qualificato noto comeVisistàdvaita. Di questi tre sistemi di filosofia, l'advaita non èsolo il più radicale, ma anche l'interpretazione meno contortadell'antica prasthāna-traya del vēdānta, e quindi è ampiamentericonosciuto come Vedanta nella sua forma più pura e più vera.

Tuttavia, l'advaita è più di una semplice interpretazionescientifica di alcuni testi antichi. Come la letteratura diqualsiasi altro sistema religioso o di filosofia spirituale, laletteratura dell'advaita comprende una grande quantità dimateriale elaborato e astruso scritto da e per gli studiosi, matale materiale non è l'essenza o la base della filosofia Advaita.La vita e il cuore dell'Advaita Vedanta si trova in una serie ditesti fondamentali che contengono i detti e gli scritti di saggicome Sri Ramana che ottennero la vera conoscenza del sé, e lecui parole riflettono pertanto la propria esperienza diretta dellarealtà.

Quindi il Vedanta Advaita è un sistema di filosofia spiritualeche non è basato sul puro ragionamento o speculazioneintellettuale, ma sull'esperienza di saggi che hanno raggiuntouna conoscenza diretta della realtà non duale che è alla basedella comparsa di ogni molteplicità. Il termine Advaitasignifica letteralmente 'non doppio' o 'non dualità', e denota laverità vissuta dai saggi; la verità che la realtà è una sola, untutto unico indiviso che è completamente privo di dualità omolteplicità.

Secondo i saggi che hanno raggiunto la vera conoscenza del

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Introduzione

sé, tutta la molteplicità è una mera apparenza, una visionedistorta dell'unica realtà, come l'apparenza illusoria di unserpente visto in una luce fioca. Così come la realtà sottostante,l'aspetto illusorio del serpente, è solo una corda che si trova perterra, così la realtà sottostante, l'aspetto illusorio dellamolteplicità, è solo la coscienza non duale di essere cheognuno di noi sperimenta come 'Io sono'.

Gli insegnamenti di Sri Ramana sono quindi identificaticome advaita vēdānta per tre ragioni principali: in primo luogoperché ha vissuto e insegnato la stessa non duale realtà che èstata sperimentata dai saggi i cui detti e scritti costituiscono ilfondamento della filosofia advaita vēdānta; in secondo luogoperché gli è stato spesso chiesto di spiegare e chiarire vari testidalla letteratura classica dell'advaita vēdānta; in terzo luogoperché nei suoi insegnamenti ha fatto un uso gratuito macomunque selettivo della terminologia, dei concetti e delleanalogie utilizzate in tale letteratura classica.

La ragione per cui ha usato la terminologia e i concettidell'advaita vēdānta più di quelli di qualsiasi altra tradizionespirituale, come il Buddismo, Taoismo, Giudaismo oCristianesimo mistico, o Sufismo, è che la maggior parte dellepersone che cercavano la sua spirituale guida avevano piùfamiliarità con l'Advaita Vedanta che con quelle altre tradizionispirituali, e quindi era più facile per loro capire questaterminologia e questi concetti.

Tuttavia, ogni volta che qualcuno gli ha chiesto di chiarirequalsiasi testo o passaggio dalla letteratura di quelle altretradizioni spirituali, l'ha fatto con la stessa facilità, la chiarezzae l'autorità con la quale ha chiarito i testi dell'advaita vēdānta.Anche se nei suoi insegnamenti Sri Ramana ha preso in prestitoalcuni dei termini dei concetti e delle analogie comunementeusate nella letteratura classica dell'advaita vēdānta, i suoi

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insegnamenti non sono semplicemente una ripetizione deivecchi e familiari insegnamenti contenuti in tale letteratura.

Perché lui stava insegnando la verità che aveva conosciutadalla sua esperienza diretta, e non semplicemente imparata dalibri, fu in grado di mettere da parte tutta la densa massa dicose non essenziali e complesse e gli argomenti e i concettiponderosi trovati in quella letteratura, per lanciare una lucefresca e limpida sull'essenza interiore dell'advaita vēdānta. Neisuoi insegnamenti ha rivelato il vero spirito dell'advaitavēdānta in un modo chiaro e semplice che può esserefacilmente compreso anche da persone che non hanno alcunaconoscenza precedente, di tale filosofia.

Inoltre, la semplicità, la chiarezza e immediatezza dei suoiinsegnamenti ha contribuito a cancellare la confusione creatanella mente di molte persone che hanno studiato la letteraturaclassica dell'advaita vēdānta, ma sono stati ingannati dai moltifraintendimenti generati da studiosi che non avevano direttaesperienza della verità. In particolare, i suoi insegnamentihanno chiarito molte incomprensioni a lungo esistite sullapratica dell'advaita vēdānta, e hanno chiaramente rivelato ilmezzo attraverso il quale possiamo raggiungere l'esperienzadella vera conoscenza del sé.

Poiché il mezzo per raggiungere 'l'auto-conoscenza'{conoscenza del sé} è per qualche motivo raramente indicatoin termini chiari e inequivocabili nella letteratura classicaadvaita vēdānta, esistono molte idee sbagliate circa la praticaspirituale sostenuta dall'advaita vēdānta. Forse il contributo piùsignificativo dato da Sri Ramana alla letteratura del Vedanta stanel fatto che nei suoi insegnamenti ha rivelato in termini moltochiari e precisi lo strumento pratico con cui la conoscenza di sépuò essere raggiunta.

Non solo ha spiegato questo mezzo pratico in modo molto

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chiaro, ha anche spiegato esattamente come ci porteràinfallibilmente allo stato della conoscenza dell'auto-felicità{felicità del sé}, e perché è l'unico mezzo che può fare questo.A differenza di molti dei testi precedenti di advaita vēdānta, gliinsegnamenti di Sri Ramana sono centrati intorno allostrumento pratico con cui possiamo raggiungere la conoscenzadi sé, e tutto ciò che ha insegnato per quanto riguarda qualsiasiaspetto della vita era finalizzato esclusivamente a orientare lenostre menti verso questa pratica.

Anche se questo mezzo pratico è essenzialmente moltosemplice, per molte persone sembra difficile da comprendere,perché non è un'azione o uno stato di 'fare', né implica alcunaforma di attenzione oggettiva {agli oggetti}. Poiché la pratica èuno stato di là da ogni attività mentale, uno stato di non-fare edi attenzione non oggettiva che le parole non possonoesprimere perfettamente. Pertanto, per permetterci di capire epraticare, Sri Ramana l'ha espressa e descritta in vari modidifferenti, ognuno dei quali funge da prezioso indizio che ciaiuta a conoscere e ad essere la coscienza pura che è il nostrostesso vero sé.

Sri Ramana ha parlato e scritto per lo più in Tamil, la sualingua madre, ma lui aveva anche dimestichezza col sanscrito,telugu, malayalam e inglese. Il Tamil è il più anziano membrosuperstite della famiglia delle lingue dravidiche, e ha unaletteratura classica ricca e antica. Anche se per le sue originiappartiene a una famiglia di linguaggi che è del tuttoindipendente dalla famiglia Indo-Europea, negli ultimi 2000anni più o meno, la letteratura Tamil ha fatto un ricco eabbondante uso di parole prese in prestito dal sanscrito, il piùantico membro sopravvissuto della famiglia Indo-Europea.Pertanto, la maggior parte dei termini che Sri Ramana ha usatoper descrivere i modi concreti con cui possiamo raggiungere

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l'auto-conoscenza sono parole Tamil o parole di originesanscrita che sono comunemente usate nella letteraturaspirituale Tamil.

Le parole che ha usato in Tamil sono state tradotte in inglesecon una varietà di parole diverse, alcune delle qualitrasmettono lo spirito delle parole originali più chiaramente eprecisamente rispetto ad altre. Forse due dei termini più chiarie semplici utilizzati in inglese per trasmettere il senso delleparole che ha usato in Tamil per descrivere i mezzi pratici perraggiungere 'l'auto-conoscenza' {conoscenza del sé} sono'auto-attenzione' {attenzione al sé} e 'auto-dimorare'{permanere-dimorare nel sé}.

Il termine 'auto-attenzione' denota l'aspetto conoscenza dellapratica, mentre il termine 'auto-dimorare' (auto-permanenza)denota il suo aspetto essere. Poiché il nostro vero sé, che ècoscienza di sé non duale, conosce se stesso non con un atto diconoscenza, ma semplicemente essendo se stesso, lo stato diconoscere il nostro vero sé è solo lo stato di essere il nostrovero sé. Così dare attenzione alla nostra autocoscienza epermanere come nostra coscienza di sé sono la stessa cosa.Tutte le altre parole che Sri Ramana ha usato per descrivere lapratica, sono destinate a essere indizi che aiutano a chiarire ciòche questo stato di 'auto-attenzione' (attenzione al sé) o 'auto-dimorare' (dimorare nel sé) sono davvero.

Alcuni dei termini che ha usato per descrivere la praticadell''auto-attenzione' o 'auto-dimorare' sono termini di fatto giàutilizzati in alcuni dei testi classici di advaita vēdānta. Tuttaviase tali testi hanno utilizzato alcuni degli stessi termini che SriRamana ha usato per esprimere la pratica, raramente hannospiegato il vero significato di questi termini in modo chiaro eunivoco.

Così, anche dopo aver accuratamente studiato la letteratura

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classica advaita vēdānta, molte persone sono rimaste con solouna vaga comprensione di ciò che possono fare per raggiungerela conoscenza del sé. Come risultato sono sorte molte ideesbagliate circa la pratica dell'advaita vēdānta e alcune di questeidee sbagliate sono state prevalenti tra gli studenti e studiosi diadvaita vēdānta da tempo immemorabile.

Uno dei termini che si trova nella letteratura classicaadvaita vēdānta, e che Sri Ramana ha frequentemente usato perindicare la pratica di auto-attenzione, è vicāra (che ècomunemente trascritto in inglese anche come vichara, poichéla 'c' in vicāra rappresenta lo stesso suono di 'c' in chutney), mail significato di questo termine non è stato ben compreso dallamaggior parte degli studiosi tradizionali di advaita vēdānta.Secondo il dizionario sanscrito/inglese di Monier-Williams, iltermine Vicāra ha diversi significati, tra cui 'ponderazione,riflessione, considerazione, riflessione, esame, indagine', ed èin questi sensi che questa stessa parola è usata in Tamil, comerisulta dal Tamil Lexicon, che la definisce sia come 'riflessione'o 'considerazione', e come 'esame imparziale', al fine diarrivare alla verità o 'indagine'.

Pertanto il termine Atma-Vicāra, che Sri Ramana hafrequentemente usato per descrivere la pratica con la qualepossiamo raggiungere 'l'auto-conoscenza' {conoscenza del sé},significa 'auto-investigazione' {investigazione del sé} o 'auto-esame' {esame del sé}, e denota la pratica di esaminare,ispezionare o indagare la nostra fondamentale coscienzaessenziale 'Io sono' con un intenso e concentrato potere diattenzione.

Anche se il termine ātma-vicāra può essere meglio tradottocome 'auto-investigazione', 'auto-esame', 'auto-ispezione'{ispezione di sé}, 'autocontemplazione' {contemplazione delsé}, 'investigazione del sé' o semplicemente 'auto-attenzione',

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nella maggior parte delle traduzioni in inglese degliinsegnamenti di Sri Ramana è stata tradotta come 'self-enquiry'(auto-indagine) {indagine del sé}.

Questa scelta della parola inglese 'enquiry' {inchiesta-indagine-domanda} per tradurre 'Vicara' ha avuto sfortunateconseguenze, perché ha creato l'impressione nelle menti dialcune persone che ātma-vicāra, o il vicāra 'chi sono Io?' comeSri Ramana spesso l'ha chiamato, è semplicemente un processodi interrogare o di chiedere a noi stessi 'chi sono Io?'.

Questo è chiaramente un errore d'interpretazione, perché insanscrito la parola vicāra significa 'indagine' nel senso di'investigazione', piuttosto che nel senso d'interrogatorio.Quando Sri Ramana parlava del vicāra 'chi sono Io?', non l'hafatto intendendo che possiamo raggiungere l'esperienza nonduale della vera auto-conoscenza semplicemente facendo a noistessi la domanda 'chi sono Io?'.

Il vicāra 'chi sono Io?' è un'indagine, esame o controllodella nostra fondamentale coscienza 'Io sono', perché soloscrutando intensamente o ispezionando la nostra coscienza 'Io'possiamo scoprire chi siamo veramente, ciò che questacoscienza 'Io' è in realtà.

Oltre a descrivere i mezzi per raggiungere la conoscenza disé mediante l'uso di termini che significano 'auto-attenzione' o'auto-permanere', Sri Ramana ha descritto ciò anche contermini che significano 'auto-resa' o 'auto-negazione'{negazione dell'ego}. Utilizzando questi ultimi termini, haaffermato che l'obiettivo finale di tutte le forme di devozionedualistica, devozione a un Dio che è concepito come diversodal devoto, è il non duale stato di vera conoscenza del sé. Inquesto caso per conoscere il nostro vero sé, noi dobbiamorinunciare all'identificazione con il sé individuale falso che orariteniamo il nostro io.

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Introduzione

Pertanto, arrendersi o negare il nostro sé personale, la nostramente, che è la nostra coscienza confusa e distorta 'io sonoquesto corpo, una persona chiamata così e così' è essenziale sevogliamo conoscere la nostra vera coscienza 'Io sono', che è ilnostro vero sé.

Il nostro sé individuale, che è la coscienza limitata e distortache chiamiamo la nostra 'mente' o 'ego', e che nellaterminologia teologica si chiama la nostra 'anima', nutre la suaesistenza apparente occupandosi di altre cose diverse da sestesso. Quando smettiamo di partecipare ad altre cose, comenel sonno profondo, la nostra mente o io individuale sparisce,ma non appena si comincia a pensare ad altre cose, di nuovoricompare e fiorisce.

Senza pensare ad altre cose diverse da 'Io', la nostra mentenon può stare in piedi. Pertanto, quando si cerca di rivolgere lanostra attenzione lontano da tutti gli oggetti e verso la nostracoscienza fondamentale 'Io', noi stiamo abbandonando onegando il nostro sé individuale, la nostra mente o ego.Attenzione al sé o dimorare nel sé è dunque il mezzo perfettoper raggiungere lo stato di 'auto-resa' {resa di sé = resa di sédell'ego} o 'auto-negazione' {negazione dell'ego}.

Questo è il motivo per cui nel versetto 31 delVivēkacūḍāmaṇi Sri Adi Sankara definisce 'bhakti' o'devozione' come sva-svarūpa-anusandhāna o 'auto-attenzione': l'indagine o controllo ravvicinato della nostra veraforma o natura essenziale, che è la nostra fondamentaleautocoscienza (coscienza del sé) la nostra coscienza non dualedel nostro essere, 'Io sono'. Sri Ramana esprime la stessa veritànel versetto 15 di 'Upadēśa Taṉippākkaḷ', ma allo stesso tempospiega perché è così:

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“Poiché Dio esiste come ātmā [il nostro 'spirito'essenziale o vero sé], ātmaanusandhāna [auto-investigazione, auto-indagine o auto-attenzione] èparama-īśa-bhakti [devozione suprema a Dio]”.

Egli esprime anche un'idea simile nel tredicesimo paragrafodel suo breve trattato 'Nan Yar?' (Chi sono Io?):

“Essendo completamente assorbito in Atma-nistha [dimorare nel sé, lo stato di solo essere comerealmente siamo], non dando neppure il minimospazio al sorgere di ogni pensiero diversodall'ātma-cintana [il pensiero del nostro vero sé], èdonare noi stessi a Dio”. [...]

Le persone che praticano la devozione dualistica ritengonoche la forma più alta di devozione a Dio, la forma più pura diamore, è quella di arrendersi interamente a lui. Al fine diarrendersi a lui, cercano di negare sé stessi eliminando il loroattaccamento a tutto ciò che essi considerano come 'mio', e inparticolare rinunciando alla propria volontà individuale. Così lapreghiera finale di ogni vero devoto è: 'Sia fatta la tua volontà,non la mia volontà, ma solo la tua'.

Tuttavia, fintanto che esiste la mente, essa avràinevitabilmente una sua volontà. Il desiderio e l'attaccamentosono inerenti alla mente, è il tessuto stesso di cui è fatta.Pertanto, fintanto che sentiamo il nostro sé essere un ioindividuale, avremo anche una volontà individuale, e sentiremoun senso di attaccamento al 'mio'. L'unico modo con cuipossiamo cedere la nostra volontà e abbandonare tutti i nostriattaccamenti è di abbandonare la mente che ha una volontàindividuale e sente l'attaccamento al corpo e agli altri

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Introduzione

possedimenti.Cercando di cedere la nostra volontà individuale e il senso

di 'mio' (i nostri desideri e gli attaccamenti), senza in realtàcedere la nostra individualità (il nostro ego o il senso di essereun separato 'io'), è come tagliare le foglie e i rami di un alberosenza tagliare le sue radici. Fino a quando non abbiamo tagliatola radice, i rami e le foglie, continueranno a spuntare ancora eancora.

Analogamente, fino a che e a meno che non arrendiamo ilnostro ego, la radice di tutti i nostri desideri e attaccamenti,tutti i nostri sforzi per rinunciare ai nostri desideri eattaccamenti falliranno, perché continueranno a germogliareancora e ancora in una forma sottile o in un'altra. Pertantol'abbandono può essere completo e definitivo solo quando ilnostro sé individuale, la coscienza limitata che noi chiamiamola nostra 'mente' o 'ego', si arrende completamente.

Finché sentiamo che esistiamo come un individuo che èseparato da Dio, non abbiamo ceduto noi stessi interamente alui. Anche se siamo in verità solo la pura, illimitata e nonpersonale coscienza 'Io sono', che è lo spirito e la vera forma diDio, sentiamo di essere separati da lui perché riteniamoerroneamente di essere una coscienza individuale limitata cheha identificato se stessa con un particolare corpo.

Questa coscienza individuale, il nostro sentirci 'io sono unapersona, un individuo separato, una mente o anima confinataentro i limiti di un corpo', è semplicemente una fantasia, unaforma falsa e distorta della nostra coscienza pura 'Io sono', maè comunque la causa principale di tutti i desideri e tutte lemiserie. A meno che non rinunciamo a questa coscienzaindividuale, questa falsa idea che siamo separati da Dio, nonpotremo mai essere liberi dal desiderio, né dalla miseria, che èl'inevitabile conseguenza del desiderio.

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La vera resa di sé stessi, è quindi nient'altro che rinunciarealla falsa idea che siamo separati da Dio. Per rinunciare aquesta falsa idea, dobbiamo sapere chi siamo veramente. E persapere chi siamo veramente, dobbiamo dare attenzione allacoscienza che sentiamo di essere 'Io'.

Anche se la consapevolezza che ora sentiamo di essere 'io' èsolo una falsa coscienza, una forma limitata e distorta dellareale coscienza che è Dio, concentrandoci su di essaintensamente possiamo conoscere la vera consapevolezza chesta alla sua base. Cioè, focalizzarsi profondamente su questafalsa forma di coscienza è simile al guardare da vicino unserpente che immaginiamo di vedere sdraiato in terra nellapenombra del crepuscolo. Quando osserviamo attentamente ilserpente, scopriamo che in realtà non è altro che una corda.Allo stesso modo, se attentamente osserviamo la coscienzaindividuale limitata e distorta che ora sentiamo di essere l'io,scopriremo che in realtà non è null'altro, che la reale e senzalimiti coscienza 'Io sono', che è Dio stesso.

Proprio come l'apparenza illusoria del serpente si dissolve escompare non appena si vede la corda, così l'illusorio sentireche siamo una coscienza individuale separata, confinataall'interno dei limiti di un corpo, si dissolverà e scomparirà nonappena sperimenteremo la pura non duale coscienza, che è larealtà sia di noi stessi che di Dio. Possiamo così raggiungere lacompleta e perfetta resa di sé solo conoscendo che noi stessisiamo la vera coscienza che è priva di ogni dualità eseparazione.

Senza conoscere il nostro vero sé, non possiamo fararrendere il nostro falso sé, e senza cedere il nostro falso sé,non possiamo conoscere il nostro vero sé. Resa al sé econoscenza di sé sono inseparabili, come le due facce di unfoglio di carta. In realtà, i termini 'auto-resa' e 'auto-

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Introduzione

conoscenza' sono solo due modi di descrivere uno stesso stato:il puro stato non duale di coscienza priva d'individualità. Lavera conoscenza di sé è quindi lo stato in cui la nostraindividuale coscienza, la nostra mente o ego, diviene notacome una falsa apparenza che mai è esistita se non nellapropria immaginazione; Sri Ramana l'ha spesso descritta comelo stato di 'senza-ego', 'la perdita dell'individualità' o 'ladistruzione della mente'.

Un altro termine che è comunemente utilizzato, sia nelbuddismo sia in advaita vēdānta, per descrivere questo stato diannientamento o di estinzione della nostra personale identità èil nirvāṇa, una parola che significa letteralmente 'spazzato via'o 'estinto'. Questo è lo stesso stato che la maggior parte dellereligioni riferiscono come 'liberazione' o 'salvezza', perché soloin questo stato di vera conoscenza di sé siamo liberi o salvatidalla schiavitù di confondere noi stessi come un individuoseparato, una coscienza che è confinata entro i limiti di uncorpo fisico.

L'unica realtà che esiste, ed è conosciuta in questo stato diassenza di ego, (nirvāṇa o la salvezza), è la nostra coscienzafondamentale ed essenziale 'Io sono'. Poiché non s'identificacon qualsiasi attributo delimitante, la nostra essenziale e puracoscienza 'Io sono' è un tutto unico, indiviso e senza limiti, aldi fuori del quale nulla può esistere. Tutta la diversità e lamolteplicità che sembra esistere finché identifichiamo noistessi con un corpo fisico, è conosciuta solo dalla nostra mente(che è solo una forma distorta e limitata della nostra coscienzaoriginale 'Io sono'). Se questa coscienza 'Io sono' non fosseesistita, nient'altro poteva apparire esistere. Pertanto, la nostrafondamentale coscienza 'Io sono' è la fonte e l'origine di ogniconoscenza, quell'unica base di tutto ciò che sembra esistere.

La nostra coscienza essenziale 'Io sono' è dunque la realtà

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ultima, l'originale fonte da cui tutto nasce, e la destinazionefinale verso cui tutte le religioni e tradizioni spirituali cercanodi guidarci.

La maggior parte delle religioni chiama questa realtàfondamentale 'Dio' o 'Essere Supremo', oppure si riferiscono aesso in un modo più astratto come il vero stato di essere. Maqualunque sia il nome che possono dargli, anche se lodescrivono come un essere o uno stato di essere-verità, che èche la realtà suprema e assoluta: non è nient'altro che il nostrostesso essere, la coscienza che noi sperimentiamo come 'Iosono'.

Nella sua vera forma, la sua natura essenziale, Dio non èqualcosa o qualche persona che esiste al di fuori di noi oseparato da noi, ma è lo spirito o la coscienza che esiste dentrodi noi come nostra natura essenziale. Dio è la pura coscienza di'Io sono', la vera forma di coscienza che non è limitatadall'identificarsi con un corpo fisico o qualsiasi altro attributo.

Ma quando noi, che siamo la stessa coscienza pura 'Io sono',identifichiamo noi stessi con un corpo fisico, sentendo 'io sonoquesto corpo, io sono una persona, un individuo confinatoentro i limiti di tempo e spazio', diventiamo la mente, una falsae illusoria forma di coscienza.

Poiché ci identifichiamo con le aggiunte {attributi} inquesto modo, ci sembra di essere separati dalla pura coscienzasenza-aggiunte {attributi} 'Io sono', che è Dio stesso.Immaginando in tal modo di essere un individuo separato daDio, violiamo la sua interezza illimitata e la sua unità indivisa.L'obiettivo interno di tutte le religioni e tradizioni spirituali èquello di liberarci da questo stato illusorio in cui immaginiamodi essere separati da Dio, realtà illimitata e indivisa.

Ad esempio, nel cristianesimo questo stato in cui violiamol'unicità e la totalità di Dio, immaginando noi stessi come un

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Introduzione

individuo separato da lui è chiamato il 'peccato originale', cheè la radice di ogni miseria e infelicità. Poiché possiamodiventare liberi da questo 'peccato originale' solo conoscendola verità, Cristo disse: “[...] voi conoscerete la verità, e laverità vi farà liberi” (Gv 8.32). La verità che noi dobbiamoconoscere per essere resi liberi è la verità che non siamo altroche la pura coscienza senza aggiunte {attributi} 'Io sono', che èla vera forma di Dio, come rivelato da lui quando ha palesato lasua identità a Mosé dicendo: “IO SONO QUELLO CHESONO” ('ehyeh asher ehyeh' - Esodo 3,14).

Conoscere la verità 'non significa conoscerla teoricamente',ma conoscerla come esperienza diretta e immediata. Perdistruggere l'illusione che ci sia una coscienza individualelimitata, una persona distinta dal perfetto tutto che è chiamatoDio, dobbiamo identificarci come l'illimitata e indivisa puracoscienza 'Io sono'. Pertanto, per conoscere la verità e in talmodo essere resi liberi dall'illusione chiamata 'peccatooriginale', dobbiamo morire e nascere di nuovo, dobbiamomorire nella carne e rinascere come spirito.

Ecco perché Cristo disse: “Se uno non è nato di nuovo, nonpuò vedere il regno di Dio. [...] Se uno non è nato [...]nelloSpirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è natodalla carne è carne; e ciò che è nato dallo Spirito è Spirito”(Gv 3,3 e 3,5-6). Cioè, per sperimentare ed entrare nel verostato di Dio, dobbiamo smettere di esistere come individuoseparato, come coscienza che s'identifica con la carne e contutte le limitazioni della carne, e dobbiamo riscoprire noi stessicome spirito illimitato e indiviso, la pura, non corrotta e infinitacoscienza 'Io sono', che è la realtà assoluta che noi chiamiamo'Dio'.

Quando ci identifichiamo con un corpo fatto di carne,diventiamo quella carne, ma quando cessiamo di identificare

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noi stessi con quella carne e conosciamo noi stessi come merospirito, siamo nati di nuovo nella nostra natura originaria, lospirito puro o coscienza 'Io sono'.

La necessità di sacrificare la nostra individualità perrinascere come lo spirito è un tema ricorrente negliinsegnamenti di Gesù Cristo: “Se il granello di frumentocaduto in terra non muore, rimane solo: se invece muore,produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perderà; e chiodia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vitaeterna” (Gv 12,24-25).

“Chiunque cercherà di salvare la propria vita la perderà; echi perderà la sua vita, sarà salvato” (Luca 17.33). “Chi nonprende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chiavrà trovato la sua vita, la perderà e chi avrà perduto la suavita per causa mia, la troverà” (Matteo 10,38-39). “Chiunque[uomo] voglia seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la suacroce, e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, laperderà: e chi perderà la sua vita per causa mia, la troverà.Che giova all'uomo, guadagnare il mondo intero, se poiperderà la propria anima? O cosa deve dare un uomo incambio della propria anima?” (Matteo 16,24-26, e ancheMarco 8,34-37 e Luca 9,23-25).

Cioè, al fine di riscoprire la nostra vera ed eterna vita comespirito, dobbiamo perdere la nostra vita falsa e transitoria comeindividuo. Se cerchiamo di preservare la nostra falsaindividualità, in effetti perdiamo il nostro spirito reale. Questoè il prezzo che dobbiamo pagare per vivere come un individuoin questo mondo. Pertanto, qualunque cosa possiamo ottenere orealizzare in questo mondo, lo facciamo a costo di perdere ilnostro vero sé, lo stato di perfezione e completezza (che inquesto contesto è ciò che Cristo intende con il termine nostra'anima').

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Introduzione

Per recuperare il nostro stato originale e perfetto di totalità,dobbiamo in cambio solo dare la nostra individualità e tutto ciòche va con essa. Cosa è veramente redditizio: perdere tutto eottenere solo una parte, o rinunciare a una semplice parte incambio di tutto?

Per rinunciare o perdere la nostra individualità, come Cristoaveva fatto, dice che lo dobbiamo seguire rinnegando noi stessie prendendo la nostra croce. Negare noi stessi significaastenersi dal sorgere come un individuo separato da Dio, che èil tutto (la 'pienezza di essere' o la totalità di tutto ciò che è).Prendere la nostra croce significa abbracciare la morte o ladistruzione della nostra individualità, perché nel tempo diCristo la croce era un simbolo potente di morte, essendol'usuale strumento di esecuzione. Così, anche se ha usato unlinguaggio un po' indiretto per esprimerlo, Cristo haripetutamente sottolineato la verità che, al fine di riscoprire lanostra vera vita come spirito, dobbiamo sacrificare la nostrafalsa vita come individuo.

Questo sacrificio della nostra individualità, identificata conla carne, e la nostra conseguente resurrezione o rinascita comespirito, era simboleggiata da Cristo attraverso la suacrocifissione e la successiva resurrezione. Morendo sulla crocee risorgendo dalla morte, Cristo ci ha dato una potentesimbolica rappresentazione della verità che per diventare liberidal peccato originale e dalla identificazione con la carne equindi entrare nel regno di Dio, dobbiamo morire o cessare diesistere come individuo separato, e quindi risorgere ancora unavolta come puro spirito, la coscienza infinita 'Io sono'.

Il 'regno di Dio', che possiamo vedere e nel quale possiamoentrare solo nascendo ancora una volta come spirito, non è inun posto, un luogo che possiamo trovare esternamente nelmondo materiale del tempo e dello spazio, o anche in qualche

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mondo celeste chiamato cielo. Quando a Cristo è stato chiestoquando il regno di Dio sarebbe venuto, egli rispose: “Il regnodi Dio non viene con l'osservazione: né si può dire', eccoloqui! né, eccolo lì! Ecco, guarda: il regno di Dio è dentro voi.”(Lc 17,20-21)

Il regno di Dio non può essere trovato attraversol'osservazione, cioè, da qualsiasi forma di attenzioneall'oggetto, cercando esternamente qui o là. Non può esseretrovato in qualunque luogo fuori di noi, sia qui in questomondo o in cielo, né tanto meno è qualcosa che verrà in futuro.

Esso esiste dentro di noi anche adesso. Per vederlo edentrare in esso, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione versol'interno, lontano dal mondo esterno di tempo e spazio cheosserviamo mediante la limitata coscienza della carne che noichiamiamo la nostra 'mente', e verso la nostra vera coscienza'Io sono', che è la base sottostante la realtà della coscienza cheosserva 'io sono così e così'.

L'esortazione 'guarda' che Cristo utilizzata nel passaggioprecedente è molto importante. Egli non solo ci dice che ilregno di Dio è all'interno di noi stessi, ma ci ha esortati aguardare e vedere che è dentro noi. E così, lui non solo ci hadetto la verità che ha visto, ma ci ha detto che ognuno di noidovrebbe vederlo per se stesso.

In lingua più moderna, esprimeremmo il passaggio “[...]Non diranno né: ecco qui! Né, ecco lì!, Guarda, il regno di Dioè dentro di voi! [...]”, e non si dovrebbe dire: “Guarda qui oguarda là', perché, vedete, il regno di Dio è dentro di voi”.Questa esortazione che Cristo fa a noi è di non guardare qua elà, ma vedere che il regno di Dio è dentro noi stessi, è l'essenzadella pratica spirituale insegnata da Sri Ramana e da tutti glialtri veri saggi.

Dovremmo rinunciare a partecipare a qualsiasi cosa al di

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Introduzione

fuori di noi stessi, e dobbiamo invece rivolgere la nostraattenzione verso l'interno per vedere la realtà che esiste dentrodi noi.

Il regno di Dio non è un luogo ma uno stato, il nostro statonaturale di puro essere auto-cosciente. Quando guardiamoentro noi stessi volgendo la nostra attenzione verso il nucleopiù profondo del nostro essere, entriamo dentro e diventiamouna cosa sola con esso. Questo è lo stato della rinascita comespirito, lo stato di unione mistica con Dio che tutti icontemplativi cristiani cercano di raggiungere. In questo statochiamato il 'Regno di Dio', la pura coscienza 'Io sono', (che è lospirito o la vera forma di Dio), esiste e splende sola in tutto losplendore e la gloria della sua unità indivisa e della sua totalitàillimitata.

Gli insegnamenti di Sri Ramana gettano così una nuova lucesugli insegnamenti spirituali contenuti nella Bibbia. Allo stessomodo, gettano anche nuova luce sugli insegnamenti spiritualidi tutte le altre religioni. Anche se i suoi insegnamenti sonofacilmente riconoscibili come espressione fresca e chiara degliantichi insegnamenti advaita vēdānta, che in realtà chiarisconol'essenza interiore non solo dell'advaita vēdānta, ma anche ditutte le altre tradizioni spirituali.

La verità che egli ha insegnato non è una verità relativa, cheè limitata a una particolare religione o cultura umana, ma è laverità assoluta, che è alla base di ogni esperienza umana, e cheè l'origine e il fondamento degli insegnamenti spirituali di tuttele religioni. Per alcune ragioni culturali o per altre ragioni, inalcune religioni questa verità si esprime meno apertamente echiaramente che in altre, ma è comunque la verità che sta alcuore di ogni religione.

Anche se questa verità non è riconosciuta dalla maggiorparte dei seguaci delle varie religioni, in particolare dai seguaci

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di quelle religioni in cui si è nascosta più oscuramente, ètuttavia espressa in una forma o nell'altra nelle Scritture e negliscritti filosofici e mistici di ogni religione, e la possonodiscernere e riconoscere coloro che hanno gli occhi per vedere.

Gli insegnamenti di Sri Ramana, se capiti chiaramente ecorrettamente, ci danno gli occhi o l'intuizione necessaria perdiscernerla e riconoscerla ovunque essa sia espressa, nonimporta quanto apparentemente oscure possono essere le paroleche vengono usate per esprimere la verità. Tutte le parole sonoaperte all'interpretazione ed al fraintendimento.

Questo è particolarmente vero per le parole che parlanodello spirito: la realtà che si trova oltre i limiti della materiafisica, e che quindi non può essere percepita dai cinque sensi, oconosciuta come un oggetto della coscienza. Tutte leinterpretazioni di tali parole si dividono in due categoriedistinte: interpretazioni che sono rigorosamente nondualistiche, che non ammettono nessuna divisione dell'unica esola realtà, e le interpretazioni che sono o completamentedualistiche, o che almeno ammettono che entro quella realtà cisono divisioni e distinzioni che sono reali.

In definitiva l'interpretazione che ognuno di noi sceglie diaccettare non dipende dalla verità stessa, perché la natura dellaverità non può essere dimostrata obiettivamente, ma dallenostre preferenze personali. La maggior parte delle persone, siache esse detengano convinzioni religiose sia che custodiscanouna più materialistica visione della vita, preferiscono avere unavisione dualistica della realtà, perché una tale visione assicuraloro la realtà della propria individualità, e del mondo chepercepiscono attraverso i sensi, e (se scelgono di credere inDio) di Dio come un'entità esistente a parte.

Pertanto l'unica base per una visione dualistica della realtà èl'attaccamento che le persone hanno alla loro individualità, al

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Introduzione

mondo che pensano che dia loro la felicità, e alla loro idea diun Dio che credono darà loro le cose che le renderanno felici.In nessun modo, una visione dualistica della realtà, può esseredimostrata come corretta e valida.

Tutta la nostra conoscenza della dualità è ottenuta dallanostra mente ed esiste solo nella nostra mente. Se la nostramente fosse reale, allora la dualità potrebbe essere reale. Ma larealtà della nostra mente è una questione aperta e dubbiosa. Senon siamo troppo attaccati alla nostra esistenza come individuiseparati, possiamo cominciare a mettere in discussione edubitare la realtà della nostra mente. Se lo facciamo, saremoportati inevitabilmente a una visione non dualistica della realtà.

Di tutto ciò che conosciamo, quella conoscenza la cui realtànon possiamo ragionevolmente mettere in dubbio è la nostracoscienza essenziale 'Io sono'. La conoscenza può esistere solose c'è una coscienza che la conosce. Poiché ogni conoscenzadipende per la sua apparente esistenza dalla coscienza, lacoscienza è l'unica fondamentale verità irriducibile eindubitabile della nostra esperienza. Poiché conosciamo, lanostra coscienza è senza dubbio reale.

L'unica qualità essenziale della coscienza è che è sempreauto-cosciente {cosciente di sé}, conosce sempre la propriaesistenza o essere, e la coscienza della propria esistenza èquella che noi sperimentiamo come 'Io sono'. Tuttavia, oltre aconoscere la propria esistenza, la nostra coscienza a voltesembra conoscere anche altre cose. Quando la nostra coscienzasembra conoscere altre cose oltre se stessa, la chiamiamo lanostra 'mente'. Che cosa è esattamente questa 'mente', questacoscienza che conosce altre cose e la dualità?

È la mente, la vera forma della nostra coscienza, osemplicemente una falsa sovrapposizione sulla nostra veracoscienza di sé 'Io sono'? E vera o è solo una falsa apparenza?

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Ogni volta che la nostra mente sorge, sorge in combinazionecon un corpo, con cui si identifica, sentendosi 'io sono questocorpo'. Senza identificarsi con un corpo, la nostra mente nonpuò sorgere. Una volta sorta, s'identifica con un particolarecorpo, e attraverso i cinque sensi del corpo percepisce ilmondo.

Così l'identificazione della nostra mente con un corpo èfondamentale per la sua capacità di conoscere il mondo. Macome sorge questa identificazione con un corpo? La nostramente è una forma di coscienza, e questo corpo è una formafisica composta da materia incosciente. Identificando se stessacon questo corpo, la nostra mente confonde due cose diversecome una: confonde la coscienza, che non è materia fisica, conla forma fisica di questo corpo, che non è coscienza.

Pertanto, la nostra mente è una forma confusa e spuria dicoscienza, un fantasma che non è né la nostra vera coscienza'Io sono', né la forma fisica di questo corpo, ma che mescolaqueste due diverse cose insieme, sentendosi 'io sono questocorpo'. Anche se la nostra mente usurpa le proprietà sia dellanostra coscienza 'Io sono' e sia di questo corpo fisico, non è difatto nessuna di queste due cose. Poiché essa appare escompare, e subisce costantemente cambiamenti, non è lanostra vera coscienza 'Io sono', che non appare né scompare,ma esiste e conosce la propria esistenza in ogni momento e intutti gli stati, senza mai subire alcun cambiamento.

E poiché la nostra mente è cosciente, non è questo corpo,che è materia incosciente. Inoltre, la nostra mente nonidentifica sempre lo stesso corpo come 'io'. Nella veglia prendeun corpo come 'io', ma in ogni sogno prende qualche altrocorpo sempre come 'io'. Dal momento che può identificarsi concorpi diversi in diversi momenti, non può davvero essere unoqualsiasi di tali organismi.

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Introduzione

Identificandosi con il corpo, la nostra mente si illude disperimentare la coscienza 'Io sono' come qualcosa di confinatoall'interno dei limiti di un corpo, un corpo composto di materiaincosciente come se fosse qualcosa che è dotato di coscienza.Se la nostra mente non si illudesse in questo modo, nonesisterebbe come entità separata chiamata 'mente', marimarrebbe come pura coscienza, incontaminata da qualsiasiforma di limitazione.

Poiché la vera natura della nostra mente è d'ingannare sestessa facendo esperienza di ciò che non è, Sri Ramana ha dettoche la nostra mente stessa è maya, la potenza primordialedell'errore, illusione o auto-inganno; il potere che rende ciò cheè reale come irreale, e ciò che è irreale come reale. Nel sognola nostra mente proietta un corpo immaginario, che si identificacome 'io', e attraverso i cinque sensi di quel corpo immaginariopercepisce un mondo immaginario.

Così finché la nostra mente continua ad essere in quellostato di sogno, prende il corpo e il mondo che sperimenta insogno come reale. Tuttavia per assurde che possano sembranoalcune delle cose che essa sperimenta apparire, la nostra mentecontinua ad illudersi e a credere che queste cose siano reali.Finché la nostra mente sperimenta se stessa come un corpo,non può non sperimentare tutto ciò che percepisce attraverso isensi di tale organismo come reali.

Ma quando ci svegliamo da un sogno, smettiamo disperimentare il corpo di sogno come 'io', e abbiamocontemporaneamente smesso di sperimentare il mondo deisogni come reale. Così dalla nostra esperienza in sogno, e dallanostra esperienza contrastante al risveglio dal sogno, possiamochiaramente capire che con la potenza della sua immaginazionela nostra mente ha la capacità di creare un mondo di dualità econtemporaneamente convincersi che quel mondo è reale.

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Poiché sappiamo che la nostra mente ha questo potere dicreazione e contemporaneamente di autoinganno, dobbiamodubitare che tutte le dualità che ora vive nello stato di veglianon siano altro che un prodotto del potere ingannevoledell'immaginazione.

L'unica cosa della cui la realtà non si può dubitare è lacoscienza della nostra esistenza, la nostra non duale coscienzadi sé, 'Io sono'. Oltre a questa non duale coscienzafondamentale: 'Io sono', tutto quello di cui abbiamo esperienzaè aperto al dubbio. Quindi non possiamo ragionevolmenteevitare di dubitare della realtà di ogni dualità, sospettando chein realtà l'unica realtà è la nostra non duale coscienza del nostroessere, 'Io sono'.

Con quale criterio possiamo determinare se qualcosa èreale? Una cosa si può veramente dire reale solo se èassolutamente, incondizionatamente e indipendentemente reale,e non se la sua realtà è in qualche modo relativa, condizionatao dipendente da qualcosa d'altro.

Pertanto, secondo Sri Ramana, qualcosa può esserechiamata 'reale' solo se soddisfa tre criteri essenziali: deveessere 'eterna, immutabile ed auto-splendente'. Se qualcosa nonè eterno, anche se può sembrare reale per un certo periodo ditempo: non era vero prima della sua entrata in esistenza, e nonpotrà essere reale dopo che cessa di esistere, quindi in realtà èirreale anche se sembra essere reale. Poiché è confinato entro ilimiti del tempo, la sua realtà apparente è relativa econdizionata.

Ciò che è assolutamente e incondizionatamente reale deveessere reale in ogni momento, e non può essere limitato inrelazione a qualsiasi altra cosa. Inoltre, se qualcosa subiscecambiamenti nel corso del tempo: è una cosa in un certomomento, ma diventa un'altra cosa in un altro momento, e

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Introduzione

quindi non esiste eternamente come una stessa cosa. Essendoimpermanente, quello che cambia non è reale.

Tuttavia, il criterio più importante con cui possiamodeterminare se qualcosa è reale, è che deve essere auto-splendente. Con il termine 'auto-splendente', Sri Ramanasignificava 'che conosce sé' o è 'cosciente di sé', cioè, checonosce se stesso per mezzo della propria luce diconsapevolezza. Ciò che è assolutamente eincondizionatamente reale necessità di non dipendere danessuna coscienza diversa per essere conosciuto. Se qualcosadipende da qualcosa d'altro per essere conosciuto comeesistente o reale, allora la sua realtà dipende dalla realtà dellacoscienza che lo conosce. Dal momento che non conosce sestessa come reale, non è reale affatto, ma semplicementesembra essere reale fintanto che è conosciuta dalla coscienzache la conosce.

Misurata con questi standard, la realtà unica esistente è lanostra fondamentale coscienza 'Io sono', perché tra tutte le coseche proviamo o conosciamo, è l'unica cosa che è permanente,l'unica cosa che mai subisce alcun cambiamento, e l'unica cosache conosce la propria esistenza senza l'ausilio di qualsiasi altracosa. A differenza di questa coscienza 'Io sono', la nostra menteè impermanente, perché appare negli stati di veglia e sogno, escompare nel sonno profondo.

Anche mentre appare esistere, la nostra mente ècostantemente in fase di cambiamento, pensando una cosa inun momento e un'altra cosa in un altro momento. E anche se lanostra mente sembra conoscere se stessa col suo stesso poteredi coscienza, infatti la coscienza mediante la quale conosce sestessa e tutte le altre cose è solo la nostra coscienza di base 'Iosono', che apparentemente usurpa come propria, ma che ècomunque indipendente da essa.

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La nostra mente è distinta dalla nostra coscienza essenziale'Io sono', dalla cui luce conosce apparentemente l'esistenza disé e di altre cose, perché la nostra coscienza 'Io sono' puòesistere in assenza della nostra mente, come nel sonnoprofondo. Mentre la nostra coscienza 'Io sono' è permanente, lanostra mente è impermanente. Mentre la nostra coscienza 'Iosono' è un essere sempre immutabile, che sempre rimane comeè, la nostra mente è un flusso in continua evoluzione dipensieri.

E mentre la nostra coscienza 'Io sono' è sempre coscientedel proprio essere, la nostra mente a volte è cosciente di sé e dialtre cose, e talvolta non è cosciente né di sé né di qualsiasialtra cosa. Pertanto la nostra coscienza 'Io sono' è reale, mentrela nostra mente è semplicemente un irreale apparenza. Se lanatura essenziale di qualcosa è la coscienza, questa deve esseresempre consapevole, perché nulla può mai essere separato dallasua natura essenziale.

Poiché la coscienza è la natura essenziale della nostracoscienza 'Io sono', questa è cosciente in ogni momento e intutti gli stati. Analogamente, poiché l'essenziale natura dellanostra coscienza 'Io sono' è anche essere o esistenza, esiste inogni tempo e in tutti gli stati. Al contrario, dal momento che lanostra mente è cosciente solo durante la veglia e negli stati disogno, e cessa di essere cosciente nel sonno profondo, la suanatura essenziale non può essere la coscienza. Allo stessomodo, dal momento che esiste solo nella veglia e nel sogno, macessa di esistere nel sonno, la sua natura essenziale non puòessere o esistere.

In realtà, non c'è nulla che possa essere indicato comel'essenziale natura della nostra mente, perché questa non èsempre la stessa cosa. Il corpo non può essere la sua naturaessenziale, perché se si identifica con un particolare corpo nello

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Introduzione

stato di veglia, in sogno si identifica con un altro organismo, enel sonno profondo non si identifica con nessun corpo.Analogamente, la sua natura essenziale non può essere alcunpensiero o a atto di pensare, perché durante gli stati di veglia edi sogno i pensieri cambiano costantemente, e nel sonno cessadi pensare qualsiasi pensiero.

Anche se la nostra mente infatti non ha una sua naturaessenziale, nella veglia e nel sogno sembra essere cosciente.Tuttavia, dal momento che cessa di essere cosciente nel sonnoprofondo, la coscienza, che sembra essere la sua naturaessenziale nella veglia e nel sogno, è da essa di fatto presa inprestito dalla nostra coscienza reale 'Io sono'. Dato che lanostra mente non ha quindi una sua natura essenziale, possiamosicuramente concludere che essa non ha realtà propria, maprende in prestito la sua apparente realtà solo dalla nostracoscienza essenziale 'Io sono'.

La nostra mente è quindi un fantasma irreale, qualcosa chein realtà non è né una cosa né l'altra. Essa è una falsaapparenza, un'illusione o un'allucinazione, un autoingannoimmaginario che appare e scompare nella nostra unica veracoscienza 'Io sono'. Tuttavia, anche se la nostra mente ingannase stessa apparendo come la nostra vera coscienza 'Io sono',non inganna la nostra coscienza 'Io sono', che resta sempre cosìcom'è, conoscendo solo la propria esistenza, non essendoinfluenzata da nulla e da nient'altro di sorta.

Perché la nostra vera coscienza 'Io sono' rimane semprecome pura coscienza, incontaminata dalla conoscenza dinull'altro che sé, nulla di ciò che appare o scompare potrà maiincidere su di essa anche solo minimamente. Cioè, qualunquecosa possa apparire o scomparire, noi conosciamo sempre solo'Io sono'.

La natura essenziale della nostra reale coscienza 'Io sono' è

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solo autocoscienza {coscienza di sé}, la coscienza della propriaesistenza o essere, e non la coscienza di qualcosa di diverso danoi stessi. Poiché la nostra coscienza di altre cose appare escompare, non può essere la natura essenziale della nostra veracoscienza di fondo 'Io sono'.

Nella sua natura reale ed essenziale, la nostra coscienza 'Iosono' è sempre immutabile, e mai influenzata da alcuncambiamento che possa apparire o verificarsi. Pertanto,qualsiasi altra conoscenza che può comparire o scomparire,non può influire sulla nostra coscienza fondamentale del nostroessere 'Io sono', che esiste e conosce la propria esistenza in tuttigli stati e in ogni momento.

La nostra mente è quindi una falsa forma di coscienza,un'immaginaria, forma confusa e auto-ingannevole dellaconoscenza, un'entità spuria che non ha nessuna reale esistenzapropria. Poiché tutta la dualità o molteplicità è nota solo daquesta mente, essa dipende per la sua esistenza apparente daquesta mente, questa immaginaria, confusa, auto-ingannevoleforma irreale di coscienza.

Quindi la nostra mente è la causa principale della comparsadella dualità. Senza la nostra mente a conoscerla la dualità nonpotrebbe esistere. Pertanto la dualità può essere reale solo comela nostra mente, che la conosce. Dal momento che la nostramente è un'apparizione irreale che sorge e sparisce nella nostravera coscienza 'Io sono', ogni dualità è anche un 'apparenzairreale. Quindi possiamo ragionevolmente concludere che lanostra coscienza pura 'Io sono' è l'unica realtà esistente, e chela nostra mente e tutta la dualità o molteplicità che è conosciutada essa è solo un aspetto irreale, un aspetto che è irreale perchéè impermanente, in continua evoluzione, e dipendente per lasua esistenza apparente da quella unica vera coscienza 'Iosono'.

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Introduzione

Quindi, se abbiamo il coraggio e l'onestà intellettuale didubitare seriamente e mettere in discussione la realtà dellanostra mente, e di analizzare la sua natura imparzialmente,saremo condotti inevitabilmente a una visione non-dualisticadella realtà e alla conclusione che l'unica realtà esistente è lanostra coscienza fondamentale del nostro essere essenziale, lanostra pura non duale autocoscienza 'Io sono', e che tutto ilresto è solo un'illusione o falsa apparenza, una fantasia creata econosciuta solo dalla nostra mente immaginaria.

Questa realtà non duale è l'unica verità di cui tutte lereligioni parlano. Anche se non descrivono sempre la non dualenatura di questa verità in termini espliciti, tutte le religioni lofanno implicitamente in un modo o nell'altro. Nessunareligione ha il monopolio della verità. Ciò che è vero in unareligione è vero in ogni religione. La verità non può mai esserein alcun modo esclusiva, perché se così fosse, sarebbe solo unaverità parziale e non tutta la verità: una relativa verità e non laverità assoluta.

Per essere totalmente e assolutamente vera, la verità deveessere onnicomprensiva, deve essere quel tutto che comprendeogni cosa all'interno di sé. L'unica intera verità che includetutto in sé è lo spirito infinito, l'unica coscienza che tutti noiconosciamo come 'Io sono'. Tutto ciò che sembra esistere lo fasolo all'interno di questa coscienza.

Anche se le molteplici forme in cui appaiono le cose sonoirreali in quanto tali, la reale sostanza di tutte le cose è lacoscienza in cui appaiono. Pertanto, l'unica verità di cui tutte lereligioni parlano è il singolo, onnicomprensivo e non dualetutto, lo spirito o coscienza in cui tutte le cose appaiono escompaiono. Tuttavia, poiché interpretano gli insegnamentispirituali della loro religione in una maniera dualistica, lamaggior parte dei seguaci delle varie religioni tendono a

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credere che la loro religione ha in qualche modo un monopolioo pretesa esclusiva di verità, ed è quindi l'unico mezzo disalvezza.

Per esempio, in tutta la storia del cristianesimo, i cristianipiù ordinari credevano che la vera salvezza poteva essereraggiunta solo attraverso la persona di Gesù Cristo, e che gliatei, gli agnostici e i seguaci di altre religioni potevano esseresalvati solo con la conversione al cristianesimo. Hannogiustificato questa convinzione irragionevole e arrogante con laloro interpretazione dualistica del detto di Cristo: “Io sono lavia, la verità e la vita, nessuno viene al Padre, senza di me”(Gv 14,6).

A causa della loro comprensione dualistica dei suoiinsegnamenti spirituali, interpretano le parole 'Io sono' e 'me'che ha usato in questo passaggio per indicare solo la singolapersona di Gesù Cristo, che è nato in un determinato momentoin un determinato luogo chiamato Betlemme. Tuttavia, Cristonon ingannava se stesso ritenendosi semplicemente unapersona individuale la cui vita era limitata entro un certointervallo di tempo e di spazio. Lui sapeva di essere il vero edeterno spirito 'Io sono', che è illimitato nel tempo e nellospazio.

Ecco perché, ha detto: “Prima che Abramo fosse, Io Sono”(Giovanni 8.58). La persona che era Gesù Cristo nacque moltotempo dopo il tempo di Abramo, ma lo spirito che è GesùCristo esiste sempre e ovunque, trascendendo i limiti di tempoe di spazio. Dato che lo spirito è senza tempo, egli non hadetto: “Prima che Abramo fosse nato, Io ero”, ma: “Prima cheAbramo fosse nato, Io sono”.

Quello spirito senza tempo 'Io sono', che Cristo sapevaessere il suo vero sé, è lo stesso 'Io sono' che Dio ha rivelato diessere il suo vero sé quando ha detto a Mosè: “IO SONO

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QUELLO CHE SONO” (Esodo 3,14). Pertanto, anche se Cristoappare a noi come una persona fisica separata, lui e suo PadreDio sono, infatti, una sola e stessa realtà, lo spirito che esiste inognuno di noi come la nostra coscienza fondamentale 'Io sono'.Ecco perché, ha detto: “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10,30).

Pertanto, quando Cristo disse: “Io sono la via, la verità e lavita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv14,6), dalle parole 'Io sono' e 'me' si riferiva non solo al singoloindividuo legato al tempo che si chiamava Gesù, ma allo spiritoeterno 'Io sono', che sapeva essere il suo vero sé. Il significatoprofondo delle sue parole può quindi essere espressoriformulandolo così: “Lo spirito 'Io sono' è la via, la verità e lavita; nessuno viene allo spirito 'Io sono', che è il Padre o lafonte di tutte le cose, se non tramite questo stesso spirito”.

Lo spirito 'Io sono' non è solo la verità o la realtà di tutte lecose, la fonte da cui tutti provengono, e la vita o coscienza cheanima ogni essere senziente, ma è anche l'unico modo con cuipossiamo tornare alla nostra fonte originale, che noi chiamiamocon vari nomi come 'Dio' o 'Padre'. Solo rivolgendo la nostraattenzione all'interno verso lo spirito, la consapevolezza cheognuno di noi sperimenta come 'Io sono', possiamo tornare adiventare tutt'uno con la nostra fonte.

Pertanto la vera salvezza può essere realizzato non soltantoattraverso la persona che era Gesù Cristo, ma attraverso lospirito che è Gesù Cristo, lo spirito eterno 'Io sono' che esisteall'interno di ciascuno di noi. Non solo Cristo affermava la suaunità con Dio, suo Padre, ma anche desiderava diventaretutt'uno con lui. Prima del suo arresto e crocifissione, Cristo hapregato per noi: “Santo Padre, [...] che possano essere uno,come noi [siamo]. [...] Che tutti siano una sola cosa; come tu,Padre, […] sei in me, e io in te, che anche loro possano essereuno in noi [...] affinché siano uno come noi siamo uno: io in

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loro, e tu in me, perché siano perfetti nell'unità” (Giovanni17.11 e 21-23).

Cioè, l'obiettivo di Cristo era che dovremmo cessare diconfondere noi stessi come individui separati da Dio econoscere noi stessi come quello spirito indivisibile, lacoscienza pura fondamentale 'Io sono', che è la realtà di Dio.Così unicità o non-dualità è l'obiettivo centrale degliinsegnamenti spirituali di Gesù Cristo.

Ogni religione è costituita da un nucleo centrale vitale diverità non dualistica, espresso esplicitamente o implicitamente,e uno spesso guscio esterno di credenze dualistiche, pratiche,dottrine e dogmi. Le differenze che vediamo tra una religione el'altra, le differenze che nel corso dei secoli hanno dato originea tanti conflitti, intolleranze e persecuzioni crudeli, e anche aguerre sanguinose e al terrorismo, si trovano soltanto nelleforme superficiali di quelle religioni, i loro gusci esterni dicredenze e pratiche dualistiche.

Tutta la disarmonia, i conflitti e le lotte che esistono tra unareligione e un'altra nascono solo perché la maggior parte deiseguaci di quelle religioni sono troppo attaccati ad una visionedualistica della realtà, che limita la loro visione e impedisceloro di vedere ciò che tutte le religioni hanno in comune, vale adire la verità di fondo della non-dualità. Pertanto, la vera pace el'armonia sarebbero prevalse tra i seguaci delle varie religionisolo se fossero stati tutti disposti a guardare oltre le formeesterne di quelle religioni e vedere quella verità semplice ecomune della non dualità che si trova nel cuore di ciascuna diesse.

Se accettiamo e veramente comprendiamo la verità dellanon dualità, non avremo alcun motivo di litigare o combatterecon nessuno. Saremo felici e lasceremmo ognuno crederequello che vuole, perché se una persona è così attaccata alla

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Introduzione

propria individualità che non è disposta a dubitare della suarealtà, nessun ragionamento o argomentazione la convinceràdella verità della dualità.

Perciò nessuno che comprende veramente questa veritàdovrebbe mai cercare di convincere il riluttante. Se qualcunotenta di forzare la verità della non-dualità a qualcuno che non èdisposto ad accettarla, sta solo mostrando la propria mancanzadi una corretta comprensione di questa verità. La non-dualitànon è una religione che ha bisogno di evangelisti perpropagandarla, o per convertire e ingrossare le sue fila. È laverità, e rimarrà la verità sia che ognuno scelga o meno diaccettare e capire.

Quindi possiamo e dobbiamo fare null'altro che renderequesta verità a disposizione di chiunque sia pronto acomprenderla ed applicarla in pratica. Molte persone religiosecredono che sia una bestemmia o sacrilegio dire che siamo unocon Dio, perché scambiano una tale dichiarazione nel senso cheun individuo abbia la pretesa di essere Dio. Ma quandodiciamo che siamo Dio, ciò che intendiamo, non è che noicome individuo separato siamo Dio, il che sarebbe assurdo, mache non siamo individui separati da Dio. Negando che abbiamoqualche esistenza o realtà separata da Dio, stiamo affermandoche la realtà che noi chiamiamo Dio è una, intera e indivisa. Seinvece dovessimo affermare che siamo in realtà separati daDio, come la maggior parte delle persone religiose credono diessere, ciò si che sarebbe una bestemmia o sacrilegio, perchévorrebbe dire che Dio non è la sola e unica realtà.

Se siamo una qualsiasi realtà separata da Dio, allora egli nonsarebbe l'intera verità, ma solo una parte o scissione di qualcheverità più grande. Se crediamo che la realtà che noi chiamiamoDio è veramente la pienezza infinita 'di essere', un tuttoindiviso, allora dobbiamo accettare che nulla può esistere come

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diverso o separato da lui. Solo Lui esiste veramente, e tutto ilresto che sembra esistere come separato da Lui è nient'altro cheun'illusione o falsa apparenza la cui unica realtà sottostante èDio stesso.

Solo nello stato di perfetta non-dualità vi è la gloria vera, latotalità e pienezza di Dio rivelato. Finché viviamo uno stato didualità apparente scambiando noi stessi come individui separatida Dio, stiamo degradando e umiliando Lui, negando la suaunità indivisibile, la sua integrità e infinitezza, e facendo di luiqualcosa di meno dell'unica realtà esistente che egli èveramente.

Anche se l'obiettivo interno di tutte le religioni è diinsegnare a noi la verità della non dualità, nelle loro Scritturequesta verità è spesso espressa solo in modo indiretto, e puòessere individuata solo da persone che sono in grado di leggeretra le righe con vera intuizione e comprensione. Il motivo percui la verità non è espressa più apertamente, in modo chiaro esenza ambiguità in molte delle Scritture delle varie religioni èche in tutti i tempi la maggioranza delle persone non hannoancora raggiunto uno stato di sufficiente maturità spirituale perpoter digerire e assimilare ciò, se lo si racconta come è.

Ecco perché Cristo disse: “Ho ancora molte cose da dirvi,ma voi non potete portarne il peso” (Gv 16.12). Tuttavia, seora la maggior parte di noi non può sopportare e accettare laverità cruda e nuda della non dualità, con il passare del tempoci sarà una sempre maggiore maturità spirituale necessaria percomprendere e accettare la verità così com'è, e non solo comevorremmo ora che fosse. La nostra vita in questo mondo è unsogno che si sta verificando nel nostro lungo sonno di autodimenticanza {dimenticanza del sé}, dimenticanza o ignoranzadel nostro vero stato di pura non duale coscienza di sé.

Fino a quando non ci sveglieremo da questo sonno della

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Introduzione

dimenticanza di sé per riconquistare il nostro stato vero enaturale di auto-conoscenza, i sogni come la nostra vita attualecontinueranno ricorrenti uno dopo l'altro. Quando il nostrocorpo attuale 'muore', cioè, quando cessiamo di identificare noistessi con quest'organismo, che per il nostro meravigliosopotere dell'immaginazione abbiamo ora proiettato come 'io' eattraverso cui vediamo il mondo attuale, ci caleremotemporaneamente nel sonno della dimenticanza di sé, ma primao poi risorgeremo per progettare un altro corpo di sogno comenoi stessi e vedere attraverso di esso un altro mondo di sogno.

Questo processo di passaggio da un sogno all'altro nel lungosonno dell'auto-dimenticanza è quello che viene chiamato'rinascita'. Mentre così attraversiamo una vita sognata dopol'altra, subiamo molte esperienze che accendono, poco a pocodentro di noi, una chiarezza di spirituale discriminazione, permezzo della quale veniamo a capire che la nostra vita comeindividuo separato è un flusso costante e fluttuante diesperienze piacevoli e dolorose, e che quindi possiamosperimentare la vera e perfetta felicità solo conoscendo ilnostro vero sé, distruggendo in tal modo l'illusione che ci fasentire noi stessi di essere un individuo separato.

Così la verità della dualità è la verità ultima che ognuno dinoi finirà per arrivare a capire e accettare. Tuttavia, unasemplice comprensione teorica e l'accettazione della veritàdella non dualità non ha alcun valore reale per noi in se stessa,perché non eliminerà la fondamentale dimenticanza del sé oauto-ignoranza che sta alla base della nostra illusione diindividualità.

L'accettazione della verità della non-dualità è utile per noi seci spinge a volgere la nostra attenzione all'interno verso ilnostro vero sé, la nostra coscienza fondamentale del nostroessere, che ognuno di noi sperimenta come 'Io sono'. Non

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possiamo mai sperimentare la verità della non dualitàsemplicemente studiando scritture o altri libri spirituali, nonimporta quanto correttamente possiamo comprendere einterpretare il loro significato interiore.

La verità stessa può essere scoperta e sperimentata solodentro di noi, nel cuore stesso del nostro essere, e non in libri oin parole, che non importa quanto sacri possano essere. Libri oparole ci possono essere utili solo se ci permettono di capireche possiamo sperimentare la vera conoscenza spostando lanostra attenzione dal mondo degli oggetti e delle idee verso lacoscienza con cui tutte le cose sono note. In ogni religione eautentica tradizione spirituale nel corso dei secoli ci sono statepersone che hanno raggiunto la stessa non duale esperienza cheSri Ramana ha raggiunto: l'esperienza della vera conoscenza disé.

In questo libro farò riferimento a queste persone come'saggi', un termine che non voglio usare nel senso comunegenerale di una 'persona di grande saggezza', ma nel piùspecifico senso di una 'persona a conoscenza del sé'. Così ognivolta che uso il termine 'saggio', lo userò come un equivalentedel termine sanscrito 'jñāni', che significa una 'persona o jñānidi [vera] conoscenza', o più specificamente 'ātma-jñāna', una'persona di ātma-jñāna o conoscenza del sé'.

Solo perché una persona si dice che sia un santo, profeta,veggente, ṛṣi, mistico, o un essere riverito, lui o lei possononon necessariamente essere un vero saggio, perché talidenominazioni non denotano specificamente una persona cheha raggiunto la vera conoscenza del sé. I veri saggi sonocomunque la crema dei santi, profeti, veggenti, ṛṣi, e mistici ditutte le religioni e di tutti i tempi, e un esempio di questi saggisi può trovare in ogni religione e tradizione spirituale.

Molti di questi saggi sono rimasti sconosciuti al mondo,

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Introduzione

perché anche se hanno sperimentato la verità ultima, non hannomai tentato di esprimerla in parole, o anche se lo hanno fatto, leloro parole non sono mai state registrate. Tuttavia, in ognicultura e ogni religione alcuni saggi hanno espresso la veritàsia per iscritto che in discorsi e, quindi, hanno lasciato almondo una grande eredità di letteratura spirituale, chetestimonia l'esperienza non duale raggiunta.

Anche se tutti questi saggi hanno sperimentato la stessaverità, le parole che hanno usate per esprimerla sono statespesso molto diverse, e talvolta possono anche sembrare incontraddizione tra loro. La ragione di questo è che nessunaparola può esprimere adeguatamente la verità della non dualità,perché questa si trova di là dal campo della coscienza dualisticache chiamiamo 'mente'. Le parole sono uno strumentoutilizzato dalla mente per trasmettere i sentimenti, le idee, lepercezioni e così via, ognuna delle quali deriva dalla suaesperienza della dualità. Poiché la mente è una forma dicoscienza che sente di essere distinta da qualsiasi cosa conosce,può solo capire la dualità, e non può mai conoscere la realtànon duale che è alla base di se stessa. Le parole che i saggiusano per esprimere la verità sono dunque solo gli indicatoriche attirano la nostra attenzione su ciò che è oltre la nostramente, ma che si trova in profondità dentro di noi, e checontiene in sé tutte le cose.

La vera importanza delle loro parole non può esserecompresa dalla normale intelligenza mondana che utilizziamoper comprendere le altre cose, ma può essere compresa dallachiarezza interiore che brilla naturalmente nella nostra mentequando la sua agitazione in superficie causata dalla tempestadel desiderio e dell'attaccamento è calmata, almeno in parte. Setentiamo di sperimentare la verità che è indicata dalle loroparole per scrutare la nostra coscienza fondamentale 'Io sono',

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coltivando in tal modo l'abilità nell'arte del solo essere,otterremo una crescente chiarezza interiore che sarà necessariaper percepire il vero significato delle loro parole.

Poiché nessuna parola può esprimere adeguatamente laverità, tutti i saggi hanno dichiarato che essa è inesprimibile, emolti di loro hanno quindi scelto di utilizzare il linguaggiodell'allegoria per esprimere l'inesprimibile. Il linguaggioallegorico che i saggi hanno usato più comunemente peresprimere il cammino che dobbiamo prendere al fine diimmergerci nella fonte da cui abbiamo avuto origine è illinguaggio dell'amore mistico. In questo linguaggio, l'animaindividuale in cerca dell'unione con Dio è descritta come unagiovane ragazza in cerca di unione con il suo amato.

Gran parte della più bella letteratura spirituale nel mondo èla poesia composta da saggi in questo linguaggio di amoremistico, e campioni di tale poesia si possono trovare in molteculture diverse. Quando leggiamo questa poesia con unacomprensione della verità della non-dualità, possiamochiaramente vedere in essa un'espressione inconfondibile diquella verità. Nel linguaggio dell'allegoria, la verità è implicitaanziché dichiarata in modo esplicito, e può quindi rimanerenascosta ai lettori che non hanno una preventiva comprensionedi ciò.

Pertanto alcuni saggi, interrogati da persone chesinceramente cercavano di conoscere la verità, hanno messo daparte il linguaggio dell'allegoria e hanno invece tentato di usareil linguaggio della filosofia per esprimere la verità piùesplicitamente e chiaramente. Tuttavia, anche il linguaggiodella filosofia non esprime la verità perfettamente, ma può soloindirettamente indicare la natura di questa e i mezzi perrealizzarla. La terminologia filosofica che i saggi di diverseculture ed età diverse hanno usato per esprimere la verità è

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Introduzione

molto varia, e se compresa solo superficialmente può spessosembrare essere in conflitto. Per esempio, molti saggi hannousato termini come 'Dio' per riferirsi alla realtà assoluta,mentre altri come il Buddha e Mahavira hanno evitato diutilizzare tale termine.

Ciò ha portato alcuni a sostenere che tali saggi hanno negatol'esistenza di Dio. Tale affermazione è fuorviante, e deriva dauna troppo semplicistica comprensione sia della realtà che deltermine 'Dio'. L'unico scopo degli insegnamenti del Buddha eMahavira, come quella di tutti gli altri saggi, è stato quello dicondurci a quella realtà assoluta. La terminologia che ciascunodi loro ha utilizzato parlando di questa realtà può variare, ma larealtà di cui tutti hanno parlato è la stessa.

Quella realtà può essere conosciuta solo dall'esperienzadiretta non duale, e non può mai essere concepita dalla mente,né espressa dalle parole. Essendo infinita, trascende tutte lequalità concettuali che le nostre menti finite attribuiscono aessa, in modo da non poter essere descritta correttamente comeessere questo o quello. È tutto, e allo stesso tempo è nulla.Pertanto è ugualmente corretto, e altrettanto errato, sia riferirsia essa come 'Dio' o di non riferirsi a essa come 'Dio'.

Il termine 'Dio' non ha alcun significato fisso. In certicontesti significa una cosa, e in altri contesti significa un'altracosa, perché è un nome dato a una vasta gamma di nozioni chele persone hanno circa la realtà suprema o ultima. Alcune dellenostre idee su Dio sono decisamente antropomorfiche, mentrealtre sono più astratte, ma nessuna di loro è sia del tuttocorretta che totalmente errata.

Nel vēdānta, quindi, è fatta una distinzione tra due formefondamentali di Dio. Una forma è chiamata 'saguṇa brahman',che significa 'brahman con guṇas', e l'altra forma si chiama'nirguṇa brahman', il che significa 'brahman senza guṇas'. La

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parola brahman significa la realtà assoluta, l'essere supremo oDio, e la parola guṇa significa qualità o attributo. Così 'saguṇabrahman' è la forma relativa di Dio, con qualità e attributicome concepiti dalla mente umana; 'nirguṇa brahman' è laforma assoluta e reale di Dio, senza alcuna qualità concepibileo attributo. Il Dio della concezione umana, qualunque questapossa essere, è 'saguṇa brahman'; mentre la realtà di Dio, chetrascende ogni umana concezione, è 'nirguṇa brahman'. Così'nirguṇa brahman' è la sostanza o realtà assoluta che è alla basedel 'saguṇa brahman', il Dio della nostra limitata concezione.

Anche se Dio come 'saguṇa brahman' non è la realtà ultimao assoluta, ha tutte le qualità divine che attribuiamo a lui e chesono reali come la nostra individualità. Pertanto, fintanto che ciconsideriamo individui separati, Dio e tutte le sue qualitàdivine sono a tutti gli effetti reali. Ma quando raggiungiamol'esperienza della vera conoscenza di sé e quindi distruggiamola falsa idea che siamo una coscienza individuale che è separatada Dio, Dio rimarrà come il nostro vero sé o essere essenziale,la realtà assoluta o 'nirguṇa brahman', che trascende ogniumana concezione. Poiché l'obiettivo del Buddha e diMahavira era di insegnarci i mezzi con i quali possiamoraggiungere la realtà assoluta, che è oltre tutti i guṇas, qualità oattributi, non hanno ritenuto necessario parlare di 'Dio', untermine che viene generalmente inteso come 'saguṇa brahman',il supremo dotato di qualità divine.

Altri saggi, però, hanno utilizzato il termine 'Dio' anchecome una parola riferentesi a 'nirguṇa brahman', l'assolutarealtà che trascende tutte le qualità, o perché hanno capito chele persone a cui stavano parlando avevano bisogno del concettodi un Dio personale che li aiutasse nei loro sforzi perraggiungere la realtà transpersonale. Non c'è quindi alcunadifferenza fondamentale tra gli insegnamenti dei saggi che

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Introduzione

hanno usato il termine 'Dio' e coloro che non hanno utilizzatoquesto termine. Entrambi stanno parlando della stessa realtàassoluta, ma hanno semplicemente scelto di esprimerlo intermini diversi.

Il fatto che il Buddha chiaramente riconosce l'esistenza dellarealtà assoluta o 'nirguṇa brahman' è evidente da uno dei suoiimportanti e ben noti insegnamenti, che viene registrata nel2.5.3.8.3 Tipiṭaka (Udana 8.3):

“Vi è, o mendicanti, quello che non è nato,quello che non è venuto in essere, ciò che non èfatto, ciò che non è fabbricato. Se non ci fosse, omendicanti quello che non è nato, quello che nondeve nascere, ciò che non è fatto, ciò che non èfabbricato, qui [in questo mondo o in questa vita]fuggire da ciò che è nato, da quello che è venuto inessere, da quel che è fatto, da ciò che vienefabbricato, non apparirebbe pertanto [uno stato chepotrebbe essere] chiaramente noto [o esperito]. Mapoiché, o mendicanti, vi è ciò che non è nato,quello che non è entrato in essere, ciò che non èfatto, ciò che non è fabbricato, quindi fuggire daciò che è nato, da quello che è venuto in essere, daquello che è fatto, da quello che è fabbricato, è [unostato che può essere] chiaramente noto [osperimentato]”.

Anche se vi è una ricchezza di significato profondo inqueste parole del Buddha, questo non è il luogo adatto peresaminarle a fondo, quindi dovremo studiarle più in dettaglio inun seguito di questo libro che ho già iniziato a scrivere.

Un'altra differenza superficiale tra gli insegnamenti del

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Buddha e quelli di advaita vēdānta è che il Buddha hainsegnato la verità di anattā, un termine Pali che è una formamodificata della parola sanscrita Anatman, che significa 'nonsé', mentre i saggi della tradizione advaita vēdānta insegnanoche l'Ātmā o 'sé' è l'unica realtà esistente.

Alcune persone sostengono che si tratta di una fondamentalecontraddizione tra i loro rispettivi insegnamenti, mentre inrealtà si tratta solo di una differenza superficiale nellaterminologia.

Quando Buddha ha insegnato che non esiste un 'sé' oAtman, si riferiva solo al nostro sé individuale finito o Jivatma,che tutti i saggi della tradizione advaita vēdānta dicono siairreale. E quando quei saggi insegnano che il 'sé' o ātmā èl'unica realtà esistente, non si sono riferiti al nostro falso séindividuale ma solo al nostro vero sé, il nostro vero essere oessenziale 'Io sono' {lo stato di essere Sono-ità = am-ness}, ilnostro puro, senza limiti, indiviso, non qualificato eassolutamente non duale sé, la coscienza del nostro essere, chesola rimane nello stato di nirvāṇa, in cui la falsa apparenzadella nostra individuale coscienza che conosce gli oggetti ècompletamente estinta.

Pertanto non vi è alcuna contraddizione tra la verità del 'nonsé' o anattā insegnata dal Buddha e la verità del 'sé' o ātmā cheè l'unica realtà esistente insegnata dall'advaita vēdānta. Gliinsegnamenti di diversi saggi sembrano differire l'unodall'altro, o anche contraddirsi l'un l'altro, per tre motiviprincipali. In primo luogo, per la diversa terminologia chehanno usato per insegnare la verità, perché le parole nonpotranno mai esprimerla perfettamente, ma possono indicarlasolo.

In secondo luogo, è perché hanno dovuto adeguare i loroinsegnamenti per soddisfare la ricettività del popolo al quale

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Introduzione

essi insegnavano. E in terzo luogo, è perché i loro insegnamentioriginali si sono spesso mescolati con le idee dei loro seguaci,molti dei quali non avevano esperienza diretta della verità chehanno insegnato, e neppure una chiara e corretta comprensione.

Gli scritti che sono sopravvissuti degli insegnamenti di moltisaggi non erano scritti da quegli stessi saggi, ma solo registratidai loro seguaci, spesso molto tempo dopo la loro vita. Pertantotali registrazioni spesso non riflettono perfettamente gliinsegnamenti di quei saggi, ma riflettono solo la comprensioneche alcuni dei loro colti seguaci avevano dei loro insegnamenti.In quasi tutte le religioni e tradizioni spirituali, gliinsegnamenti originali dei saggi si sono mescolati con i sistemielaborati di teologia, cosmologia, filosofia e psicologia, chehanno poca relazione con l'esperienza reale di quei saggi.

Tali teologie e cosmologie originate dalle menti di personeche non erano in grado di comprendere la semplicità el'immediatezza della verità insegnata dai saggi, hanno perciòcreato sistemi elaborati e complessi di credenze, nel tentativodi spiegare ciò che essi stessi non potevano capire. Hannoavuto origine in questo modo, tutte le complesse teologie ecosmologie che esistono in ogni religione e che servono solo aconfondere la gente e oscurare nelle loro menti la sempliceverità della non dualità insegnata dai saggi.

Tuttavia, nonostante la complessa confusione dellaletteratura spirituale del mondo, scorrendo questa letteratura c'èun comune filo di semplice verità, che si può facilmentediscernere se siamo in grado di comprendere gli insegnamentioriginali dei veri saggi. Poiché la stessa verità fondamentaledella non-dualità è stata espressa dalle parole registrate di saggiprovenienti da tante diverse culture nel corso dei secoli, che imoderni studiosi di filosofia chiamano la 'filosofia perenne', untermine che corrisponde all'antico termine sanscrito sanātana

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dharma, che letteralmente significa 'ciò che sostiene dasempre' o 'ciò che è sempre stabilito', e che, pertanto,implicitamente significa: 'la verità eterna', la 'legge eterna', il'principio eterno', il 'sostegno eterno', il 'fondamento eterno', la'natura eterna', l 'essenza eterna', la 'via eterna' o 'eternareligione'.

Fortunatamente per noi, gli insegnamenti di Sri Ramanasono stati registrati mentre era in vita da molti dei suoi seguaci,alcuni dei quali li compresero molto chiaramente, ma sono statianche scritti da lui in varie poesie e altre opere. Poiché hacomposto la poesia, non solo nel linguaggio dell'allegoriamistica dell'amore, ma anche nel linguaggio della filosofia, epoiché nella sua poesia ha descritto la realtà ed i mezzi perraggiungerla molto chiaramente e in termini inequivocabili, hareso estremamente facile per noi capire la semplice verità che èalla base degli insegnamenti di tutti i saggi.

Dopo aver letto e compreso i suoi insegnamenti, seleggiamo gli insegnamenti di qualsiasi altro vero saggio,possiamo facilmente riconoscere che la stessa verità è espressain tutti loro. Inoltre, i suoi insegnamenti servono anche comeuna chiave che ci permette di svelare ed estrarre i veriinsegnamenti dei saggi dalla massa densa di teologie estranee,cosmologie e filosofie con cui questi sono stati mescolati inogni religione e tradizione spirituale.

Pertanto lettori che hanno già familiarità con il 'SanatanaDharma', la verità senza tempo e universale o 'filosofiaperenne' insegnata da tutti i saggi, penseranno che gliinsegnamenti di Sri Ramana esprimano la stessa basicafilosofia. Tuttavia, essi troveranno anche che i suoiinsegnamenti lanciano una chiara e nuova luce su quellafilosofia, chiarendo molte sottili e profonde verità che sonostate raramente espresse in modo così esplicito da altri saggi,

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particolarmente per quanto riguarda i modi concreti con cuipossiamo ottenere la vera esperienza della non dualeconoscenza del sé.

Poiché gli insegnamenti di Sri Ramana sono una semplicema molto profonda rivelazione della realtà fondamentale eassoluta che sottende l'apparenza di tutte le molteplicità ediversità, questi esprimono la verità ultima che è l'intimaessenza di tutte le religioni e tradizioni spirituali.

Quindi persone di molte diverse tradizioni religiose eculturali hanno riconosciuto che i suoi insegnamenti sonoun'esposizione profondamente penetrante e autentica del verosignificato della propria religione o tradizione spirituale, ehanno capito che dopo aver studiato i suoi insegnamenti nondevono studiare altri testi spirituali.

Sebbene la stessa semplice verità della non dualità si troviesposta in tutta la letteratura spirituale del mondo, se lacerchiamo con impegno; non è necessario o opportuno per noidi sprecare il nostro tempo a cercare nella vasta giungla dellescritture e dei libri sacri, dove di solito è nascosta tra una densamassa di idee estranee.

Ecco perché, nel versetto 60 del Vivekacudamani, Sri AdiSankara ha avvertito tutti i seri aspiranti spirituali di evitarel'eccessiva studio delle Scritture o śāstras, che ha descrittocome una 'grande foresta di insidie illusorie di parolerumorose' (śabda jālaṁ mahāraṇyaṁ) e 'causa di instabilità,smarrimento e confusione mentale' (cittabhramaṇa kāraṇam),e ci ha consigliato che, con la guida di un saggio che conosce laverità, dovremmo invece cercare di indagare e conoscere laverità del nostro sé attraverso l'esperienza diretta.

Per noi, per raggiungere direttamente l'esperienza non dualedel nostro vero sé, tutto ciò che è necessario può essere trovatoespresso in modo estremamente chiaro e in modo semplice

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negli insegnamenti di Sri Ramana. Se leggiamo e capiamo isuoi insegnamenti, non ci sarà bisogno per noi di studiareeventuali altre scritture o sacre scritture, perché dai suoiinsegnamenti s'imparerà che la verità non risiede fuori di noinei libri, ma solo dentro di noi, nel nucleo più interno delnostro essere, e che l'unico mezzo per sperimentarla è divolgere la nostra attenzione all'interno per conoscere la realtàdella coscienza con cui conosciamo tutte le altre cose.

Sebbene Sri Ramana abbia scritto e parlato relativamentepoco, e per lo più solo in risposta ai quesiti a lui fatti o allerichieste a lui poste da altre persone, attraverso quellerelativamente poche parole che ha scritto e detto ci ha dato unaserie completa di insegnamenti spirituali; una serie diinsegnamenti spirituali che sono così chiari, semplici, profondie totalizzanti e che contengono il seme o il fondamento diun'intera filosofia e scienza di noi stessi e di ogni aspettoessenziale di tutta la nostra vita come individuo esistente inquesto mondo di dualità e molteplicità.

In questo libro tento di sviluppare questo seme e costruire suquesto fondamento presentando nella chiara luce dei suoiinsegnamenti spirituali un'analisi dettagliata di tutta la nostraesperienza: nei nostri tre stati normali di coscienza (di veglia,di sogno e di sonno profondo), della nostra esperienza delmondo che percepiamo intorno a noi, e delle nozioni ecredenze che abbiamo non solo di noi stessi e del mondo, maanche di Dio e di molti altri aspetti cruciali della nostra vitacome individuo di questo mondo, di sconcertante diversità ecomplessità.

Tuttavia, anche se inizialmente intendevo esplorare inquesto libro i suoi insegnamenti da una gamma ampia ecompleta di angoli diversi, quando ho cercato di coprire tutti idiversi aspetti dei suoi insegnamenti in modo sufficientemente

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Introduzione

dettagliato e profondo, ho scoperto che quello che avevo scrittopiù quello che dovevo ancora scrivere era molto più di quantopoteva essere comodamente contenuto in un unico volume.

Quindi ho deciso di limitarmi in questo presente libro aun'esplorazione approfondita dei soli aspetti più essenziali deisuoi insegnamenti, e coprire gli aspetti più periferici in alcunisuccessivi libri. L'analisi dettagliata che presento in questolibro si compone di idee che ho appreso da tre fonti principali.In parte si compone di idee che ho appreso direttamente dagliscritti e dai detti registrati di Sri Ramana, in particolare dalrecord più completo e profondo dei suoi detti che il suopreminente discepolo Sri Muruganar ha conservate sotto formadi Versi Tamil in Guru Vācaka Kōvai.

In parte si compone d'idee che ho appreso personalmentedallo Sri Sadhu Om, che era uno dei discepoli più stretti di SriRamana (con questo termine non intendo chi è semplicementevissuto vicino a lui fisicamente, ma quelli che hanno seguitopiù da vicino e veramente i suoi insegnamenti), che era unesponente lucido ed estremamente profondo dei suoiinsegnamenti, nella cui stretta compagnia ho avuto la fortuna divivere per più di otto anni, e sotto la cui guida ho studiato GuruVācaka Kovai e tutti gli scritti originali di Sri Ramana indettaglio e grande profondità.

Tuttavia, per la maggior parte {questo libro} è derivato dallamia comprensione degli insegnamenti di Sri Ramana, unacomprensione che ho acquisito studiando i suoi insegnamentiprofondamente e nell'originale Tamil in cui scriveva e parlava,riflettendo su di loro per molti anni, e cercando di praticare latecnica empirica di auto-indagine che ha insegnato comel'unico mezzo con il quale possiamo sperimentare la veraconoscenza di sé.

Le idee che esprimo in questo libro sono una miscela d'idee

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che ho imparato direttamente dagli scritti o dai detti registratidi Sri Ramana, idee che ho imparato attraverso il canale delleprofonde spiegazioni dei suoi insegnamenti che ho sentito daSri Sadhu Om, e idee che ho formato dalle mie riflessioni sullacomprensione dei suoi insegnamenti. Credo che la vera fonte ditutte queste idee sia stata solo Sri Ramana, senza la cuiispirazione e guida interiore non sarei stato in grado di capire isuoi insegnamenti con qualsiasi grado di chiarezza, e quindiscrivere questo libro.

Ciò che scrivo è basato solo sulla mia ripetuta śravaṇa emanana e la mia esperienza limitata di nididhyāsana, cioè, suciò che ho letto, sulle mie riflessioni personali, e sulla limitataesperienza che ho maturato nel tentativo di praticare lacontemplazione, il metodo empirico di auto indagine insegnatoda Sri Ramana. Credo che le sue parole derivano dalla suaesperienza diretta, perfetta e completa della vera conoscenzanon duale di cui parla.

Allo stesso modo, credo che le parole dei suoi principalidiscepoli, come lo Sri Muruganar e Sri Sadhu Om, sono basatesull'esperienza della vera conoscenza di sé che essi hannoraggiunta con la sua grazia e la sua guida interiore, che haattirato la loro attenzione verso l'interno e in tal modo dissoltola loro individualità separata nella non duale coscienza diessere, 'Io sono', che è la vera forma di Sri Ramana, e la veraed essenziale natura di tutto e di ognuno di noi.

Perciò io credo che le idee che esprimo in questo libro, chesono basate in gran parte su ciò che ho imparato e capito dalleparole di Sri Ramana e da questi due suoi discepoli, non sonopuramente ipotesi speculative, ma sono i fatti che sono stativerificati dalla loro esperienza trascendente, e dall'esperienzatrascendente di molti altri saggi.

Tuttavia, come ha sottolineato Sri Ramana stesso, la

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Introduzione

semplice credenza di certe idee non è vera conoscenza, madobbiamo tutti avere le nostre convinzioni provvisorie, edobbiamo adoperarci per verificarle da noi stessi, cercando diraggiungere la vera empirica conoscenza della realtàfondamentale e assoluta attraverso la ricerca empirica, cioè,attraverso la pratica dell'auto-investigazione. Pertanto, l'unicoscopo di tutta la teoria discussa in questo libro è di guidare e diincoraggiare la nostra ricerca pratica per la diretta, immediata,non duale e assoluta esperienza della vera conoscenza del sé.

Quando ho iniziato a scrivere il materiale che è contenuto inquesto libro, non avevo idea di cosa in seguito avrei deciso discrivere. Ho a lungo avuto l'abitudine di scrivere le mieriflessioni private sugli insegnamenti di Sri Ramana, ma hosempre fatto così per il mio beneficio, perché credo che lascrittura mi aiuti a chiarire il mio pensiero e ad accendere nellamia mente nuove idee e nuovi punti di vista e modi di intenderegli insegnamenti.

Nella mia esperienza, meditare sui suoi insegnamenti, edesprimere le mie riflessioni per iscritto, è stato un grande aiutoed incoraggiamento nel mio tentativo di praticare i suoiinsegnamenti nel mezzo della mia vita di ogni giorno. Tuttavia,l'ostacolo maggiore che per molti anni mi ha impedito didedicare abbastanza del mio tempo a questo prezioso eserciziodi scrivere le mie riflessioni è stato la necessità di lavorare perlunghe ore e spendere una grande quantità di energia mentalein un lavoro, dalle nove alle cinque, per il quale non sentivoalcuna affinità.

Sentivo che per il bene di guadagnarmi da vivere stavosprecando troppo della mia vita impegnato in attività che hannoassorbito la mia energia deviando la mia attenzione dal veroscopo della vita, che per ognuno di noi è quello di volgerel'attenzione verso l'interno per sapere chi siamo veramente.

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Poiché credo di essere stato singolarmente fortunato ad averavuto l'opportunità di studiare gli insegnamenti di Sri Ramanain grande profondità, sotto la stretta e chiara guida di Sri SadhuOm, la cui unica chiarezza di comprensione sorse sia dalla suadevozione sincera e concentrata a Sri Ramana e ai suoiinsegnamenti, sia dalla sua profonda spirituale esperienza,risultante da tale devozione.

Di recente ho cominciato a sentire che dovevo condividere imiei scritti con gli altri organizzandoli in un libro: alcunepersone potevano essere interessate a leggerlo e pochi potevanoforse essere beneficiati da questo. In particolare, ho sentito chei miei scritti potevano aiutare quelle persone che erano del tuttoignare degli insegnamenti di Sri Ramana e dello sfondofilosofico, spirituale, religioso e culturale entro i quali eranostati impostati. Non solo ho studiato gli insegnamenti di SriRamana nell'originale Tamil in cui egli li ha scritti, ma sonoanche in grado di ripensarli in inglese, che è la mia linguamadre, e a seguito di ciò sono in grado di capirli sia dal puntodi vista di un indù che di una mentalità non indù.

Con questi pensieri in mente, ho cominciato timidamente aimpostare tutto ciò che avevo scritto nella forma di un libro,pensando che almeno avrei potuto vedere quale forma avrebbepreso e quindi verificare se si sarebbe rivelato utile o no aqualsiasi lettore sinceramente interessato.

Nel fare questo, ho scoperto che avevo bisogno di scriveremolte più idee per formare un'esposizione coerente e globaledei suoi insegnamenti, e mi sono piacevolmente sorpreso ditrovare una ricchezza di fresche idee scaturite dalla mia mentee trovarne l'espressione nei miei scritti. Tuttavia, ho continuatoa sentirmi diffidente circa l'idea di pubblicare le mie riflessioniprivate sugli insegnamenti di Sri Ramana, e mi sono sentitocosì per due ragioni principali.

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In primo luogo e soprattutto, non volevo cadere vittimadell'illusione sottile e potente dell'orgoglio e dell'egoismo chesi sarebbero potuti generare se i miei scritti fossero statiapprezzati da molte persone. E in secondo luogo, poiché gliinsegnamenti spirituali di Sri Ramana sono l'amore della miavita, che io venero come l'oggetto più degno di meditazione, diadorazione e di lavoro interno, io non sono del tutto a mio agiocirca l'idea di utilizzare il mio amore come un mezzo perguadagnarmi da vivere. Comunque ho gradualmente superarequeste due riserve.

Ho superato il primo decidendo che l'orgoglio e l'egoismosono sfide che tutti noi dobbiamo affrontare se vogliamoseguire il sentiero spirituale, e che possiamo conquistarli nonsolo evitando circostanze esterne che potrebbero rafforzarli, maanche affrontandoli con un onesto riconoscimento delle nostredebolezze e imperfezioni, e un conseguente senso di completadipendenza dalla potenza protettrice della grazia divina. Hosuperare il secondo conciliando la mia mente al fatto che,poiché devo guadagnarmi da vivere in qualche modo, possoanche provare a farlo scrivendo sul tema che amo, giacchéquesto mi aiuterà a tenere la mente immersa negli insegnamentidi Sri Ramana, piuttosto che immergermi in qualsiasioccupazione più mondana. Pertanto, dopo molte esitazioni, hofinalmente deciso di fare il grande passo e pubblicare questoprimo volume.

Quando ho cominciato a organizzare i miei scritti come unlibro, ho pensato di dividerlo in due parti di un unico volume.Secondo lo schema iniziale che avevo in mente, la prima partesarebbe stata chiamata 'L'essenziale' e avrebbe in gran parteriguardato noi stessi, sia il nostro vero sé sia il nostro falso sé,mentre la seconda parte sarebbe stata chiamata 'Le cosesecondarie' e avrebbe in gran parte riguardato le cose che

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immaginiamo essere diverse da noi stessi, come il mondo eDio. Sviluppata questa idea, il mio proposito di massima, èvenuto a consistere di questa introduzione, dieci capitoli dellaprima parte, diciotto capitoli della seconda parte, eun'appendice. Tuttavia, poiché avevo scritto quasiduecentomila parole, ma non avevo ancora terminato discrivere nemmeno la metà di quello che mi aspettavo discrivere, ho capito che sarebbe stato troppo per inserirlo in ununico volume.

Ho deciso, quindi, d'includere questa introduzione e laprima parte programmata nel presente libro, 'La felicità e l'artedi essere', e la seconda parte programmata in un altro libro, cheho provvisoriamente intitolato 'La verità della diversità', erealizzare l'appendice proposta in un terzo libro intitolato 'Yogae l'arte di essere'. Quando ho deciso di dividere il libro,parzialmente scritto, in questi tre volumi, avevo già scrittomolte porzioni di ognuno di questi volumi, ma nessuna eracompleta.

Anche se il materiale scritto per questo libro era arrivato aquasi centomila parole, la maggior parte dei capitoli eranoancora incompleti e alcuni non erano nemmeno stati avviati.Pertanto, poiché questo libro era logicamente il primo volumedella serie dei libri parzialmente sviluppati, e dal momento cheavrebbe formato il fondamento per i volumi successivi, hodeciso che avrei dovuto cercare di completarlo per primo.

Per completare i prossimi due volumi, ho ancora molto dascrivere, e prima di aver finito potrà essere necessario per medividere ulteriormente questi altri in più volumi. Poiché questolibro è stato formato da un insieme di materiale scritto in tempidiversi, alcuni capitoli contengono una certa quantità dimateriale che non è direttamente pertinente al titolo di quelcapitolo, ma è comunque connesso ad altro materiale

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Introduzione

nell'ambito di quel capitolo.Per lo stesso motivo, entro certi capitoli il flusso globale

d'idee non è del tutto sequenziale e talvolta sembra aver fattoqualche passo indietro. Anche se mi son preso la briga dimodificare molto materiale per un più facile scorrimento eduna più logica e coerente struttura, in molti posti ho deciso dinon sacrificare delle preziose idee solo per il gusto di un flussoche scorre perfettamente.

Sono consapevole, dunque, che alcune delle idee di questolibro sono presentate in un modo un po' sconnesso, ma credoche il valore complessivo di tali idee giustifichi la loroinclusione. Inoltre, certe idee di questo libro sono ripetute indiversi contesti. Ho permesso che tali ripetizioni si verifichinoperché ogni volta che una particolare idea è ripetuta, èesaminata da un angolo nuovo, e dunque la sua ripetizione ciaiuta a comprenderla più profondamente e in una più ampiaprospettiva. Inoltre, ribadendo una particolare idea in un nuovocontesto, non siamo solo in grado di esaminarla da un angolonuovo, ma anche in grado di usarla per chiarire qualsiasiargomento in discussione.

In un libro come questo, la ripetizione di alcune idee centraliè inevitabile. Anche se il materiale di questo libro e deisuccessivi volumi copre una vasta gamma di argomenti, tuttiquesti soggetti sono in un modo o in un altro relativi al temacentrale, che è la nostra ricerca della vera e assoluta felicità;una felicità che può essere vissuta solo nello stato di essere,privi di azione, liberi dal pensiero e quindi perfettamentetranquilli, che è lo stato di vera conoscenza di sé, lo stato in cuirimaniamo solo come nostro vero Io, non conoscendo null'altroche il nostro essere essenziale. Poiché noi esaminiamo tuttiquesti soggetti dal punto di vista della nostra ricerca della veraauto-conoscenza, alcuni temi centrali sono necessariamente

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ripetuti in questo libro, e saranno anche ripetuti nei volumisuccessivi.

Di tutti i temi centrali che ricorrono in questo libro, il piùcentrale è la nostra coscienza fondamentale, essenziale e nonduale del nostro essere, la nostra semplice autocoscienza{coscienza di sé} 'Io sono', che non è solo il nostro vero sé, maè anche la sola e unica realtà assoluta, l'origine e la sostanza ditutte le cose, e la dimora perfetta, eterna dell'infinita felicità.

Quest'autocoscienza 'Io sono' è l'unica cosa chesperimentiamo in modo permanente, ed è il centro e ilfondamento di tutta la nostra conoscenza ed esperienza. Cometale, deve essere la preoccupazione principale di ogni seriaindagine filosofica o scientifica.

A meno che non conosciamo la vera natura di questafondamentale coscienza, senza la quale non sapremmo nientealtro, la verità di qualsiasi conoscenza che possiamo avere diqualsiasi altra cosa è dubbia e aperta a domande. Tutti gli altritemi ricorrenti in questo libro sono strettamente legati a questotema centrale, la nostra fondamentale autocoscienza 'Io sono', epiù frequentemente questa si ripete, più sarà importante per lanostra ricerca della vera auto-conoscenza.

La sua ripetizione serve uno scopo importante, perchépermette a noi di esplorare le basi di questa filosofia e scienzadell'auto-conoscenza {conoscenza del sé} da diverseprospettive, e quindi di sviluppare una comprensione piùapprofondita e completa. Più approfondita e completa la nostracomprensione cresce, più solida diventerà la nostraconvinzione che possiamo sperimentare la felicità infinita solose conosciamo la vera natura del nostro sé, e che la piùimportante ed essenziale cosa nella nostra vita è di cercare eraggiungere la vera conoscenza di sé.

Più solida questa convinzione diventa, più fortemente

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saremo motivati a ritirare la nostra attenzione da tutte le altrecose, e fissarla interamente ed esclusivamente nel nucleo delnostro essere, nella nostra autocoscienza essenziale, 'Io sono'.Anche se la filosofia presentata in questo libro si basa in granparte sulla testimonianza di Sri Ramana e di altri saggi, nonpossiamo raggiungere la vera conoscenza solo comprendendoquesta filosofia intellettualmente.

Il motivo per cui i saggi hanno espresso la loro esperienzadella realtà assoluta in parole è solo per spingerci e guidarci araggiungere la loro stessa esperienza. Pertanto la filosofia quipresentata non è fine a se stessa, ma è solo un mezzo per unfine molto più importante: l'esperienza della vera conoscenza disé. Questa filosofia è non solo una filosofia teorica ma ancheuna scienza pratica, e quindi l'unico scopo di tutta la teoria è dimotivarci e guidarci nella pratica: il metodo empirico dell'auto-indagine e la conseguente auto-resa di sé.

Quando cominciamo a studiare una scienza, che si tratti diuna delle tante scienze interessate a conoscere qualche aspettodel mondo oggettivo, o di questa scienza della conoscenza disé, che non è interessata a conoscere qualsiasi oggetto, ma soloconoscere la coscienza tramite cui tutti gli oggetti sono noti, ènecessario per noi avere fiducia nell'esperienza e nellatestimonianza di coloro che hanno già acquisito unaconoscenza pratica di questa scienza.

Quando studiamo la fisica, per esempio, dobbiamoinizialmente accettare molte delle sue scoperte avanzate, comela teoria della relatività, sulla fiducia. Solo più tardi, quandodiventiamo personalmente coinvolti nella fisica sperimentale,saremo in grado di verificare la verità di queste teorie da noistessi. Se fin dall'inizio dovessimo rifiutare di credere qualsiasidelle verità scoperte dai fisici fino a quando non avessimo noistessi testato e verificato ognuna di loro, avremmo inutilmente

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ostacolato la nostra velocità di apprendimento, e non avremmomai avuto il tempo di acquisire le conoscenze necessarie perimpegnarci nella fisica sperimentale avanzata.

Ogni apprendimento richiede una mente acuta, curiosa einquisitiva; ma proprio come un onesto dubbio gioca un ruoloimportante nel processo di apprendimento, così lo fa anche unaprovvisoria fiducia. La conoscenza è acquisita piùefficientemente ed efficacemente da un uso intelligente dientrambi: dubbi e fiducia. Uno studente discriminante sa cosadeve essere messo in dubbio, e ciò che deve essereprovvisoriamente creduto.

Più che in ogni altra scienza, in questa scienza dellaconoscenza di sé il dubbio è essenziale, perché per conoscere laverità che sottende tutte le apparenze, dobbiamo dubitare dellarealtà di ogni cosa; non solo la realtà degli oggetti conosciutidalla nostra mente, ma la realtà della nostra stessa mente.Tuttavia, sebbene il dubbio svolga un ruolo fondamentale nelprocesso di acquisizione della conoscenza di sé, la fiducia nellatestimonianza di saggi, che hanno già raggiunto l'esperienzadella vera conoscenza di sé, è tuttavia estremamente utile.

Giacché la testimonianza dei saggi ci sfida a mettere indiscussione e in dubbio tutte le convinzioni che abbiamoaccarezzato per tanto tempo su ciò che siamo e sulla realtàdella nostra vita in questo mondo, si può inizialmente averedifficoltà a fidarsi delle loro parole. Ecco perché, invece dichiederci di credere in qualsiasi cosa che non conosciamo già,Sri Ramana basa i suoi insegnamenti su un'analisi della nostraesperienza quotidiana.

Quando noi analizziamo criticamente la nostra esperienzadei tre stati di coscienza che subiamo ogni giorno, nonpossiamo ragionevolmente evitare di mettere in dubbio lamaggior parte di quello che normalmente diamo per scontato di

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Introduzione

sapere che siamo e la realtà di tutto ciò che sperimentiamo inquesti stati. Al fine di acquisire conoscenze che non possiamoragionevolmente mettere in dubbio, dobbiamo in primo luogoseparare noi stessi da tutte le conoscenze confuse ed incerte cheora abbiamo su noi stessi.

Tale sbrogliamento può essere raggiunto solo spostandol'attenzione lontano da tutti gli oggetti della conoscenza e versonoi stessi, la coscienza da cui tutto è noto. Questo processo disbrogliamento è il viaggio di auto-scoperta che tutti i saggi cispingono a intraprendere. Come spiegato in precedenza, questolibro presenta un'analisi filosofica della nostra esperienzaquotidiana di noi stessi, e lo scopo di quest'analisi è solo dipermetterci di ottenere una chiara comprensione teorica di cosasiamo veramente, e quindi di conoscere i modi concreti con cuisiamo in grado di raggiungere direttamente l'esperienza dellanostra vera natura.

Anche se in questo cammino della scoperta di sé saremoguidati dalle rivelazioni di Sri Ramana e di altri saggi, dovremocomunque basarci principalmente sulla nostra esperienzapersonale del nostro essere o coscienza, e quindi per quantopossibile evitare di dover contare sulla fede in ciò che noi stessiin realtà non sappiamo. Se iniziamo questo lungo viaggiodipendendo sempre dalla nostra esperienza su noi stessi comenostra guida, saremo in grado di verificare da noi stessi laverità di tutto ciò che è stato rivelato attraverso le parole deisaggi, che hanno intrapreso questo viaggio prima di noi.

Tuttavia, mentre stiamo procedendo in questo viaggio discoperta di sé, e prima di completarlo, saremo in grado discoprire che la nostra analisi razionale della nostra esperienzagià esistente e del nostro essere e della nostra coscienza,insieme con la nostra esperienza di praticare l'arte di essereconsapevole di sé, ispirerà nella nostra mente una fiducia

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sempre maggiore nelle parole dei saggi.Tale fiducia non deve essere scambiata per una semplice

'credenza cieca', perché è una fiducia nata non dalla cecitàintellettuale, ma da una chiarezza interiore profonda dellamente, acquisita dimorando ripetutamente nella vera luce dellacoscienza di sé, che brilla sempre nel nucleo del nostro essere,come nucleo del nostro essere, ma che fino ad ora abbiamosempre ignorato a causa della nostra infatuazione del mondoesterno delle percezioni sensoriali.

Anche se è possibile per noi rivolgere la nostra attenzionelontano dal mondo esterno, verso la nostra coscienza essenziale'Io sono' al fine di scoprire la nostra vera natura, anche senzariporre la nostra fiducia nelle parole di chiunque, in pratica,mentre proseguiamo il viaggio di auto-confrontarci con tuttociò che si scopre, e mentre affrontiamo tutti gli ostacoli cheinevitabilmente sorgono sulla strada, possiamo ricavare moltobeneficio dal fidarci e imparare dalla testimonianza di coloroche hanno iniziato e completato questo viaggio prima di noi.

Pertanto, nel prossimo seguito di questo libro, mentreindagheremo su alcuni soggetti secondari che, anche se nonindispensabili, sono tuttavia strettamente legati al viaggio diauto-scoperta, ci si imbatterà in alcune spiegazioni che sonostate date da Sri Ramana e da altri saggi che hanno completatoquel viaggio, ma che non possiamo verificare con la nostraesperienza fino a quando non completeremo il viaggio escopriremo da noi stessi la verità che loro hanno sperimentato.

Ognuno di noi è libero di decidere per se stesso se vuoleavere fiducia in tali spiegazioni. Tuttavia, anche se potremmonon essere in grado di verificare la veridicità di tali spiegazionifinché non raggiungiamo l'esperienza della vera conoscenza disé, possiamo almeno capire che sono tutte implicazioni logiche,o almeno implicazioni ragionevolmente possibili, delle

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Introduzione

conclusioni e delle verità alle quali si arriva dalle analisi ededuzioni del presente libro. Quindi se siamo stati convintidalle conclusioni che deduciamo da questo libro dalla nostracritica analisi della nostra esperienza quotidiana dei nostri trestati di coscienza: veglia, sogno e sonno profondo; nondovrebbe essere troppo difficile per noi confidare almenoprovvisoriamente nella maggior parte delle spiegazioni chesono fornite nel seguito di questo libro.

Se non ci fidiamo, almeno accettiamole come ipotesiprovvisorie che devono essere verificate per mezzo dell'auto-indagine, troveremo che sono utili nei nostri tentativi di volgerela nostra attenzione dal mondo esterno verso la nostrafondamentale autocoscienza 'Io sono', al solo fine di rimanerecome questa coscienza fondamentale del nostro essere.

Tuttavia, anche se non siamo disposti a fidarci di null'altroche non sappiamo già per certo, possiamo ancora proseguirequesto cammino di scoperta di sé, portando tutti i nostri dubbialla loro logica conclusione, di dubitare della realtà della nostradubbiosa mente, e quindi rivolgere la nostra attenzione verso laconsapevolezza che la sottende per conoscere l'ultima fonte dacui è sorta con tutti i suoi dubbi.

Lo scopo di questo libro e dei libri successivi non è quello diconvincere nessuno ad aver fede in qualsiasi cosa, ma è soloper spingere tutti quelli che hanno una vera mente indagatrice amettere in discussione criticamente la nostra visione abituale dinoi stessi, del mondo e di Dio, e incoraggiarci a intraprendere ilviaggio alla scoperta di sé indagando la nostra coscienza 'Iosono', che è il centro e la base fondamentale di tutta la nostraesperienza e conoscenza.

È ora di intraprendere questo viaggio di scoperta del sé, everificare da noi stessi la verità rivelata nelle parole di SriRamana e di altri saggi.

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Capitolo 1

Che cos'è la Felicità?

Qual è l'unica cosa che tutti gli esseri senzienti desiderano?Non è la felicità? In ultima analisi, non sono tutti i nostri desiderisolo diverse forme del nostro unico desiderio fondamentale diessere felici? Non è il nostro desiderio fondamentale di felicitàl'essenza di ogni forma di desiderio che potremmo mai avere?

Il nostro desiderio di felicità è la forza trainante dietro tutte leinnumerevoli forme di sforzo che stiamo sempre compiendo. Noinon facciamo nulla, attraverso la mente, la parola o il corpo, chenon sia guidato dal nostro desiderio fondamentale di essere felici.Ogni nostra azione è motivata dal desiderio di essereperfettamente felici. Per chi si desidera la felicità?

Non facciamo ogni desiderio di felicità per noi stessi? In primoluogo, ognuno di noi vuole essere felice per se stesso. Anche sevogliamo che altre persone siano felici, noi vogliamo che sianofelici perché vedere la loro felicità ci fa sentire felici. Tutte lenostre azioni della mente, della parola e del corpo sono spinte dalnostro desiderio per la nostra felicità.

Per quanto possiamo pensare che le nostre azioni sianoaltruiste, sono ancora tutte motivata dal nostro desiderio per lanostra felicità. Anche se sacrifichiamo il nostro tempo, i nostrisoldi, i nostri comfort e convenienze, o qualsiasi altra cosa che siaprezioso per noi, per fare qualche azione altruistica, sia per aiutareun'altra persona che per sostenere una causa nobile; la forzamotrice finale dietro tale sacrificio è il nostro desiderio di esserefelici.

Noi facciamo azioni altruistiche solo perché così facendo cifanno sentire felici. Perché ci sentiamo infelici quando vediamo lealtre persone che soffrono, siamo pronti a fare qualsiasi cosa per

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alleviare le loro sofferenze, anche se così facendo ci sembra dicausare qualche sofferenza a noi stessi.

Ci sentiamo più felici, soffrendo per aiutare altre persone, diquanto ci sentiremmo se non avessimo fatto nulla per aiutarle. Inrealtà possiamo derivare una felicità positiva dalla nostrasofferenza, perché sappiamo che siamo a essa sottoposti per ilbene degli altri. Prendendo questo come estremo, alcune persone,in effetti, scelgono di soffrire per la causa della sofferenza, perchénon possono sentirsi felici se sentono altri che stanno soffrendo.

Essi traggono piacere, subendo quello che sembra esseresofferenza, perché per loro la sofferenza apparente non èrealmente sofferenza, ma è solo una forma di piacere. Qualunquesia la forma estrema che il nostro desiderio può adottare, che siauna qualche forma altruistica veramente nobile o sia qualcheforma masochista profondamente perversa, in sostanza si trattaancora solo di un desiderio per la nostra felicità.

Perché è il desiderio per la nostra felicità la causa fondamentalee ultima del nostro desiderio per la felicità di altre persone?Perché desideriamo la loro felicità soprattutto perché contribuiscealla nostra felicità? Perché, in definitiva desideriamo la nostrafelicità più di quanto noi desideriamo la felicità degli altri? Noisiamo principalmente interessati alla nostra felicità perchéamiamo noi stessi più di quanto noi amiamo qualsiasi altrapersona o cosa.

Amiamo le altre persone o cose perché crediamo che possanocontribuire alla nostra la felicità. Noi amiamo ognuno di loro solonella misura in cui noi crediamo che siano in grado di rendercifelici, e se pensiamo che non l'hanno fatto o che non hannocontribuito in un modo o nell'altro alla nostra felicità, nonsentiremo un particolare amore per loro. Il nostro più grandeamore è solo per noi stessi, ed è per il nostro bene che noi amiamoaltre persone e cose.

Noi amiamo la nostra famiglia, i nostri amici e i nostripossedimenti perché riteniamo che siano nostri, e perché amandoli

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Che cos'è la Felicità?

ci fanno sentire felici. Il nostro amore per la nostra felicità èinseparabile dal nostro amore per noi stessi. Poiché amiamo noistessi sopra ogni altra cosa, vogliamo la nostra felicità al disopradi tutte le altre cose. Noi amiamo e desideriamo ciò che ci rendefelici, e non ci piace e abbiamo paura di tutto ciò che ci rendeinfelici.

Tutti i nostri gusti e antipatie, tutti i nostri desideri e paure,sono radicati nel nostro amore per la nostra felicità, che a suavolta affonda le sue radici nel nostro amore per noi stessi. Perchéamiamo noi stessi più di quanto noi amiamo qualsiasi altrapersona o cosa? La ragione per cui amiamo qualche altra personae qualche altra cosa è perché sentiamo che ci fanno felici, oalmeno perché possono renderci felici.

Cioè, noi amiamo tutto ciò che crediamo ci può dare la felicità.Se sappiamo che qualcosa non ci rende felici, o non potrà farcifelici, non sentiamo un particolare amore per essa. Non è lafelicità, dunque, la fondamentale causa di tutte le forme di amore?Non è tutto l'amore che proviamo per varie persone e cose insostanza solo il nostro amore per la nostra felicità?

Non amiamo solo quelle cose che sono potenziali fonti difelicità per noi? Pertanto, poiché amiamo noi stessi sopra ognialtra cosa, non è forse chiaro che riteniamo noi stessi la prima fratutte le potenziali fonti della nostra felicità? In realtà, siamol'unica vera fonte di tutta la nostra felicità, perché qualunquefelicità che ci sembra derivare da altre persone o cose nasce solodentro di noi.

Poiché tutta la nostra felicità deriva in ultima analisi, solo dadentro di noi, non è forse chiaro che la felicità è qualcosa di insitoin noi? In realtà, la felicità è la nostra vera ed essenziale natura.Pertanto, il motivo per cui amiamo il nostro sé più di qualsiasialtra persona o cosa è semplicemente perché siamo noi stessi lafelicità, la pienezza della felicità perfetta, e la fonte ultima di tuttele varie forme di felicità che ci sembrano derivare da altre personee cose.

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Il nostro amore per noi stessi e per la nostra felicità non èsbagliato, è perfettamente naturale, e quindi inevitabile. Diventasbagliato solo quando, a causa della nostra mancanza di correttacomprensione di dove la vera felicità risiede, ci spinge a fareazioni che possono causare danni ad altre persone. Pertanto, alfine di evitare di fare del male a qualcuno ed evitare di farechiunque altro infelice è essenziale che noi comprendiamo ciò cheè la vera felicità e dove la nostra vera felicità risiede. Per capirequesto, dobbiamo prima comprendere di più su noi stessi.

Poiché l'amore e la felicità sono sensazioni soggettive che sonovissute da noi, non siamo in grado di capire la vera natura diciascuna di loro senza prima comprendere la vera natura di noistessi. Solo se comprendiamo la nostra vera natura saremo ingrado di intendere come il desiderio di felicità sorga dentro di noi,e perché amiamo noi stessi e la nostra felicità, al disopra di tutte lealtre cose. Il lato opposto del nostro desiderio di essere felici è ilnostro desiderio di essere liberi dal dolore, dalla sofferenza, dallamiseria o da qualsiasi altra forma di infelicità.

Ciò che tutti noi desideriamo è di essere perfettamente felici,liberi dalla minima forma di infelicità. Infatti, ciò che noichiamiamo felicità è solo lo stato in cui siamo liberi da infelicità.Il nostro stato naturale è quello di essere felici. Il nostro desideriodi felicità è il nostro desiderio del nostro stato naturale.Consciamente o inconsciamente, cerchiamo tutti ciò che è naturaleper noi.

Ad esempio, quando soffriamo di mal di testa, perché vogliamoessere liberi da esso? Perché un mal di testa non è naturale pernoi, quando ne sperimentiamo uno, abbiamo il desiderio di essereliberi da esso. Lo stesso è il caso di tutte le altre cose che non sononaturali per noi. Non possiamo sentirci completamente a nostroagio e felici con ciò che non è veramente naturale per noi. Eccoperché non ci siamo mai sentiti perfettamente felici, nonostantetutti i piaceri materiali mentali ed emotivi dei quali possiamogodere.

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Che cos'è la Felicità?

Tutti questi piaceri vanno e vengono, e quindi non sononaturali per noi. Tutto ciò che è veramente naturale per noi, tuttociò che è inerente alla nostra essenziale natura, deve essere semprecon noi. Poiché il corpo fisico che oggi consideriamo essere noistessi è vissuto da noi solo nel nostro attuale stato di veglia, e nonnel sogno o nel sonno profondo, non è la nostra natura essenziale.

Allo stesso modo, poiché la nostra mente è vissuta da noi solonegli stati di veglia e sogno, e non nello stato di sonno profondo,anche questa non è la nostra natura essenziale. Poiché nel sonnoprofondo noi rimaniamo in pace e felici senza né la nostra mente ené il nostro corpo, nessuno di loro è naturale per noi. Anche sequest'affermazione che noi esistiamo, in assenza della nostramente e del nostro corpo nel sonno profondo può inizialmentesembrarci strana a noi, e può pertanto, in un'osservazionesuperficiale, sembrare discutibile.

Se la consideriamo con attenzione, noi comprendiamochiaramente che non è una supposizione dubbia, ma è di fatto laverità evidente che ciascuno di noi sperimenta nel sonnoprofondo, come vedremo più chiaramente quando esamineremo inostri tre stati di coscienza in maggiore dettaglio nel prossimocapitolo. Pertanto, poiché la nostra mente e il corpo non sononaturali per noi, non ci si può mai sentire completamente a proprioagio o felici con uno di loro, o con qualsiasi piacere materiale,sensuale, mentale, intellettuale o emozionale che possiamo godereattraverso loro.

Perché dovremmo pensare che la felicità è il nostro statonaturale, e che l'infelicità è qualcosa di innaturale per noi? Se lanostra vera natura è davvero la felicità, perché non ci sentiamoperfettamente felici in ogni momento? Come funziona il sorgeredell'infelicità? Possiamo comprendere questo analizzandocriticamente la nostra esperienza nei nostri tre stati di coscienza:veglia, sogno e sonno profondo. Nella nostra veglia e negli stati disogno proviamo un misto di piacere e dolore, o di felicità einfelicità. Ma cosa sperimentiamo nel sonno profondo, quando

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questa miscela di piacere e dolore viene rimossa? In assenza di questa miscela, facciamo esperienza di felicità o

infelicità? Nello stato di sonno profondo, non ci sentiamo forseperfettamente felici e liberi da ogni miseria o infelicità? Non èchiaro quindi che né l'infelicità, né un misto di felicità e diinfelicità, è naturale per noi? Poiché possiamo esistere in assenzadi infelicità, non può essere la nostra vera natura.

L'infelicità è solo una negazione della felicità, che è naturaleper noi. Se l'infelicità non può essere la nostra vera natura, perchépossiamo esistere in sua assenza, non possiamo dire lo stesso dellafelicità? Quando siamo infelici, non stiamo esistendo in assenza difelicità? No, la felicità è qualcosa che non è mai del tutto assente.L'infelicità è uno stato relativo, che esiste relativamente solo allafelicità. Senza l'esistenza di fondo della felicità, non ci sarebbeuna cosa come l'infelicità. Ci sentiamo infelici solo perchévogliamo essere felici.

Se la felicità fosse diventata assolutamente inesistente, nonsentiremmo alcun desiderio per essa, e quindi non ci sentiremmoinfelici. Anche in uno stato di infelicità intensa, la felicità esisteancora come qualcosa di cui sentiamo il desiderio. Non vi è quindialcuna cosa come l'assoluta infelicità. Se l'infelicità è qualcosa cheè soltanto relativa, non possiamo dire la stessa cosa della felicità?Non è anche la felicità uno stato relativo, quello che esiste relativosolo all'infelicità?

La felicità che proviamo nella veglia e nel sogno è certamenterelativa, ed è quindi sempre incompleta o imperfetta. Mapossiamo dire lo stesso per la felicità della quale abbiamoesperienza nel sonno profondo? La felicità del sonno profondoesiste relativamente solo all'infelicità? No, nel sonno profondol'infelicità è totalmente assente.

Quando siamo addormentati, l'infelicità non esiste nemmenocome un pensiero, o come qualcosa che temiamo o desideriamoevitare. Pertanto, poiché l'infelicità non può esistere senza undesiderio di felicità, ma la felicità invece può esistere senza la

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Che cos'è la Felicità?

minima nozione di infelicità, l'infelicità è del tutto relativa, mentrela felicità può essere sia relativa che assoluta.

La felicità e l'infelicità relative che sperimentiamo nella nostraveglia e negli stati di sogno sono un riflesso distorto della felicitàassoluta che è la nostra vera natura, e che è alla base di tutti inostri tre stati di veglia, sogno e sonno profondo. Noisperimentiamo la felicità relativa e l'infelicità nella veglia e nelsogno perché in quel momento la nostra vera natura della felicitàassoluta è in qualche modo rannuvolata e oscurata.

Che cosa è che nella veglia e nel sogno oscura il nostro statonaturale di felicità assoluta? Perché nel sonno profondo noisperimentiamo la perfetta felicità, incontaminata da perfino laminima traccia di infelicità, mentre nella veglia e negli stati disogno sperimentiamo solo una miscela di felicità e infelicitàrelative?

Qual è la differenza tra il sonno profondo e i nostri altri duestati che ci permette di sperimentare la felicità assoluta nel primo,ma solo la felicità e l'infelicità relative in questi ultimi? Nel sonnoprofondo la nostra mente è assente, e con essa tutte le forme dipensiero sono assenti, mentre nella veglia e nel sogno la nostramente è sorta ed è attiva, pensando pensieri di innumerevoli cosediverse.

Quando la nostra mente e tutti i suoi pensieri sono assenti,come nel sonno profondo, sperimentiamo la perfetta felicità,mentre quando la nostra mente è attiva, pensando un pensierodopo l'altro, come nella veglia e nel sogno, sperimentiamo solouna miscela di parziale felicità e parziale infelicità. Non è chiaro,quindi, che il sorgere della nostra mente e dei suoi pensieri è ciòche oscura il nostro stato naturale di assoluta felicità?

Anche ora, in questo stato di veglia, la nostra vera ed essenzialenatura è assoluta felicità, ma la felicità assoluta è rannuvolata eoscurata dall'attività persistente della nostra mente. Pertanto,poiché la nostra attività mentale è la nuvola o il velo che oscuranonella nostra esperienza la nostra intrinseca e naturale felicità, tutto

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quello che dobbiamo fare per provare la piena felicità è di metterefine a tutte le nostre attività mentali e cessare di sorgere dellamente per pensare a qualunque cosa.

Poiché sperimentiamo la felicità perfetta nel sonno a causadella cessazione dell'attività mentale, possiamo sperimentare lastessa gioia anche ora nello stato di veglia, purché ci asteniamo daogni pensiero o attività mentale.

Dato che la nostra felicità naturale e assoluta è oscurata dalcostante flusso di pensieri della nostra mente, che sorgono unodopo l'altro in rapida successione, come possiamo sperimentare inmezzo a questo flusso i diversi gradi di relativa felicità einfelicità? Giacché la nostra attività di pensiero è la nube cheoscura la nostra naturale felicità, più intensa quest'attività cresce,più densamente oscurerà la nostra felicità intrinseca.

Quando la nostra mente è estremamente agitata, cioè, quando lasua attività di pensiero diventa molto intensa, non siamo in gradodi sperimentare più di un barlume di felicità intrinseca, e pertantoci si sentirà inquieti e infelici. Ma quando la nostra mente diventarelativamente calma, cioè, quando la sua attività di pensierodiminuisce, siamo in grado di sperimentare la nostra felicitàintrinseca più pienamente, e quindi ci sentiamo relativamentetranquilli e felici. Quindi la calma e la pace della mente ci fannosentire relativamente felici, mentre l'irrequietezza e l'agitazionedella mente ci fanno sentire relativamente infelici.

Non è questa forse l'esperienza di tutti noi? Non ci sentiamoforse tutti tranquilli e felici quando la nostra mente è calma e ariposo? E non ci sentiamo tutti inquieti e infelici quando la nostramente è agitata e disturbata? Il motivo per cui abbiamol'esperienza di perfetta felicità nel sonno profondo è che la nostramente è diventata perfettamente calma e quieta, essendosi ritiratada tutte le sue attività. Poiché nessun pensiero sorge nel sonnoprofondo per disturbare il nostro stato naturale di essere in pace,in questo stato sperimentiamo la nostra felicità intrinseca senza ilminimo ostacolo.

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Che cos'è la Felicità?

Non è chiaro, quindi, che la felicità è uno stato d'essere, el'infelicità è uno stato di fare? Fino a quando la nostra mente èattiva o fa qualcosa, pensando un pensiero o un altro,sperimentiamo solo una miscela di felicità e infelicità, equalunque felicità di cui facciamo esperienza nel mezzo di quellamiscela è imperfetta, limitata e relativa. Sperimentiamo unaperfetta felicità, illimitata e assoluta solo quando la nostra mentediventa perfettamente immobile.

Il nostro essere essenziale è dunque la felicità. Quandorimaniamo solo come essere, senza il sorgere del pensare o senzafare qualsiasi cosa, come nel sonno profondo, sperimentiamo lafelicità perfetta, incontaminata da anche il minimo dolore,infelicità o malcontento. Ma non appena ci ergiamo come mentepensante, proviamo inquietudine, insoddisfazione e infelicità.

Poiché sperimentiamo la felicità perfetta in assenza di ogniattività mentale, come nel nostro sonno profondo, non è chiaroche tale felicità è qualcosa di insito dentro di noi, e che la nostraattività mentale è l'unico ostacolo che ci impedisce di viverla inpieno nei nostri stati di veglia e di sogno?

Pertanto, qualunque sia la limitata felicità che possiamosperimentare nella veglia e nello stato di sogno quando la nostramente diventa relativamente calma e pacifica, è solo una frazionedella felicità che è già insita in noi. La felicità è qualcosa chenasce da dentro noi stessi, e non qualcosa che viene da fuori.Perché allora pensiamo che ricaviamo piacere o felicità da oggettimateriali o da circostanze esterne?

La felicità si trova forse in qualsiasi oggetto materiale oqualsiasi circostanza esterna? No, la felicità non è ovviamentequalcosa che esiste in qualsiasi oggetto o circostanza fuori di noi.Come ci può allora sembrare di ottenere la felicità da alcunioggetti e circostanze esterne? Qualunque sia la relativa felicità checi sembra di ottenere da loro è in realtà uno stato della nostramente.

La felicità è qualcosa che è latente dentro di noi, e a volte si

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manifesta quando sperimentiamo certi oggetti materiali ocircostanze esterne. Come avviene questo? Ogni volta cheotteniamo qualcosa che ci piace, e ogni volta che evitiamo o cisbarazziamo di qualcosa che non ci piace, ci sentiamo felici.

Viceversa, qualora perdiamo o non siamo in grado di ottenerequalcosa che ci piace, e ogni volta che non si può evitare o nonpossiamo sbarazzarci di qualcosa che non ci piace, ci sentiamoinfelici. In altre parole, ci sentiamo felici quando sono soddisfatti inostri desideri, e infelici quando non sono soddisfatti.

Così la vera causa della felicità che ci sembra di ottenere daglioggetti o circostanze esterne non è in quegli oggetti o circostanzestessi, ma è solo nel compimento del nostro desiderio per loro.Ogni volta che sperimentiamo un desiderio, sia sotto forma di unacosa desiderata o come un'avversione per una certa cosa, la nostramente è agitata da esso.

Finché quel desiderio persiste nella nostra mente, l'agitazionecausata continua, e quest'agitazione ci fa sentire infelici. Maquando il nostro desiderio è soddisfatto, l'agitazione si placa, enella calma temporanea che risulta dal suo placarsi, ci sentiamofelici. La felicità che abbiamo così provato quando uno dei nostridesideri è soddisfatto è una frazione della felicità che esistesempre dentro di noi. Quando un desiderio nasce e agita la nostramente, la nostra felicità intrinseca è oscurata, e quindi ci sentiamoinquieti e infelici fino a quando si realizza quel desiderio.

Non appena è soddisfatto, l'agitazione della nostra mente siplaca per un breve periodo, e la nostra felicità intrinseca è quindimeno densamente oscurata, e ci sentiamo relativamente felici.Pertanto, anche se la felicità è la nostra vera natura, e anche se inrealtà non c'è felicità in qualsiasi cosa al di fuori di noi,nondimeno ci sentiamo felici ogni volta che il nostro desiderio perqualcosa è soddisfatto, e quindi a torto crediamo di ricavare lafelicità dagli oggetti del nostro desiderio.

Sentiamo amore o desiderio per gli altri e per gli oggetti ecircostanze esterne solo perché crediamo che possiamo derivare

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Che cos'è la Felicità?

felicità da loro. E crediamo questo solo perché sperimentiamo lafelicità ogni volta che uno dei nostri desideri per queste coseesterne è soddisfatto. La nostra illusione che la felicità viene dallecose che desideriamo, e che, pertanto, desiderando e acquisendosempre più cose, diventeremo più felici, è quindi un circolovizioso.

Poiché desideriamo qualcosa e ci sentiamo felici quando laotteniamo, noi la desideriamo ancora di più. In questo modo inostri desideri sono sempre in continuo aumento emoltiplicazione. Il furioso incendio dei nostri desideri non puòmai essere estinto dagli oggetti del nostro desiderio. Quanto piùnoi acquisiamo questi oggetti, tanto più intensamente il nostrodesiderio di loro e per altri oggetti simili diverrà furioso.

Cercare di spegnere il fuoco dei nostri desideri con la lororealizzazione è come cercare di estinguere un incendio versandobenzina su di esso. Gli oggetti del nostro desiderio sono ilcarburante che tiene il fuoco dei nostri desideri in fiamme. L'unicomodo in cui possiamo estinguere questo fuoco dei nostri desideri èquello di conoscere la verità che tutta la felicità che ci sembraderivare dagli oggetti del nostro desiderio in realtà non provieneda quegli oggetti, ma solo da dentro noi stessi.

Tuttavia, non dobbiamo pensare che la comprensione di questaverità per mezzo del nostro intelletto o del potere di ragionamentoè lo stesso che in realtà realizzarla. Non possiamo effettivamenteconoscere questa verità senza sperimentarla noi stessi comefelicità. Finché sentiamo noi stessi di essere una limitata coscienzaindividuale che sperimenta relativi gradi di felicità e di infelicità,non stiamo sperimentando la verità di essere noi stessi la felicitàassoluta.

Nessuna quantità di comprensione intellettuale può darci lavera empirica conoscenza che la felicità è la nostra vera natura, enon qualcosa che otteniamo dagli oggetti del nostro desiderio.Possiamo capire qualcosa intellettualmente, ma sperimentarerealmente è qualcosa che è abbastanza diverso da quanto abbiamo

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capito. Ad esempio, se vediamo l'acqua in un deserto, possiamocapire che è solo un miraggio, ma comunque continuare a vederlacome qualcosa che sembra abbastanza reale, ma la sua sola vistacontinua a farci sentire sete.

Allo stesso modo, se possiamo intellettualmente capire che lafelicità è la nostra vera natura e che in realtà non otteniamo lafelicità da qualcosa al di fuori noi stessi, noi possiamo comunquecontinuare a sentirci in qualche modo privi di felicità, e quindicontinuare a provare desiderio per le cose fuori noi stessi, come sela felicità potesse davvero essere ottenuta da loro.

La conoscenza intellettuale è solo una forma superficiale epoco profonda di conoscenza, perché il nostro intelletto è solo unafunzione della nostra mente, che è solo una forma superficiale epoco profonda della coscienza. La nostra illusione che ci fa sentireche la felicità viene da cose al di fuori di noi stessi e non da dentrodi noi è, invece, profondamente radicata nella nostra errataidentificazione di noi stessi con un corpo fisico, che è a sua voltaradicata nella nostra mancanza di una chiara conoscenza di sé. Inrealtà, l'illusione che ci fa sentire che la felicità viene dalle cose aldi fuori di noi stessi è la stessa illusione che ci fa sentire chesiamo qualcosa che non siamo.

Questa illusione fondamentale su di noi viene dal fatto che nonsappiamo chiaramente ciò che realmente siamo e quindi, puòessere distrutta solo da una conoscenza chiara e corretta dellanostra vera natura. Nessuna conoscenza intellettuale, puòdistruggere questa nostra radicata illusione. La sola conoscenzache può distruggere ciò è la vera conoscenza empirica di ciò chesiamo veramente.

Quando con la vera empirica conoscenza di sé abbiamo cosìdistrutto l'illusione che noi siamo qualcosa d'altro che la pienezzadella felicità assoluta, il fuoco dei nostri desideri saràautomaticamente estinto. Anche se nessuna quantità dicomprensione intellettuale può distruggere la nostra profonda eradicata illusione, una chiara comprensione intellettuale della

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Che cos'è la Felicità?

verità è comunque necessaria, perché senza una tale comprensionenon sapremmo come scoprire ciò che la vera felicità è. Unacomprensione chiara e corretta della vera natura della felicità cipermetterà di sapere non solo dove dovremmo cercare la felicità,ma anche come dovremmo in realtà adoperarci per cercarla.

Dobbiamo quindi analizzare più profondamente come la nostraillusione di ottenere la felicità dagli oggetti e dalle circostanzeesterne si manifesta. Supponiamo che ci piace il cioccolato. Nellanostra mente associamo il sapore dolce-amaro del cioccolato conla sensazione di piacere che siamo abituati a vivere ogni volta chelo assaggiamo.

Ma il gusto di cioccolato necessariamente crea una sensazionedi piacere? No, crea una tale sensazione in noi perché ci piacetanto, ma non si creerà una tale sensazione in una persona che èindifferente a esso, e creerà una sensazione di disgusto in unapersona che ne è disgustata. Inoltre, se si mangia troppa cioccolataci nausea, e inizieremo a sentire avversione per essa, almenotemporaneamente, quindi se ne mangiamo di più in quelmomento, essa non crea alcuna sensazione di piacere, ma solo unsenso di disgusto.

Pertanto è chiaro che la felicità che pensiamo derivi damangiare cioccolato non è determinato dal gusto attuale delcioccolato, ma solo dalla nostra simpatia per quel gusto. La stessacosa accade con uno qualsiasi dei piaceri che sperimentiamoattraverso i nostri cinque sensi. I nostri sensi possono solo dirci leimpressioni create da una cosa, per esempio il gusto, l'aroma, laconsistenza e il colore del cioccolato, il suono della laminad'argento increspata in cui è avvolto, ma è la nostra mente chedetermina se ci piacciono o no quelle impressioni.

Se le vogliamo, non abbiamo nemmeno il bisogno diassaggiare il cioccolato per riprovare piacere da esso. Anche lavista o l'odore del cioccolato, o il suono della sua lamina d'argentomentre si apre, possono darci piacere. In realtà spesso sembraderivare più piacere dalla previsione di godere di qualcosa, di

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quando effettivamente la sperimentiamo.Pertanto anche il pensiero di qualche oggetto del nostro

desiderio ci può dare piacere, anche se il piacere sarà sempremescolato con un'inquietudine nello sperimentarlo. Solo quandolo abbiamo effettivamente sperimentato, il nostro desiderio saràpienamente soddisfatto. Tuttavia, poiché la soddisfazione ègeneralmente vissuta momentaneamente, può a volte sembrare digodere di più dal piacere della nostra anticipazione di essa chedall'effettivo godimento quando la sperimentiamo realmente.

Inoltre, se la nostra mente è distratta da altri pensieri, possiamonon sentire alcun piacere particolare nel mangiare il cioccolato,anche se ci piace molto. Solo quando la nostra mente èrelativamente priva di altri pensieri possiamo davvero assaporareil gusto del cioccolato, o il piacere di soddisfare qualsiasi altrodesiderio. Un chiaro esempio è qualcosa che molti di noi hannoprobabilmente provato.

Se stiamo guardando un buon film o un programma diintrattenimento in televisione mentre si mangia un pasto, nonimporta quanto gustoso e di nostro gradimento sia il pasto, ci saràdifficile notare il suo gusto e non si avvertirà alcun particolarepiacere nel mangiare. Dopo che il programma e il pasto sonoentrambi finiti, possiamo notare che non siamo riusciti a godere diquel gustoso pasto a tutti gli effetti come quando lo abbiamomangiato non distratti dalla televisione.

Poiché eravamo più interessati al programma o al film chestavamo guardando che al pasto che abbiamo mangiato, nonsiamo riusciti a gustare il mangiare. E la ragione per cui abbiamoavuto più interesse a goderci il film che a goderci il nostro pastoera perché in quel momento il nostro desiderio per il godimentodel film era più grande del nostro desiderio per il godimento delpasto.

Tuttavia, se fossimo stati veramente affamati prima di sederci amangiare guardando il film, probabilmente avremmo apprezzato ilpasto con gran gusto e avremmo quindi difficilmente notato la

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pellicola che stavamo guardando. Anche se il pasto non eraparticolarmente gustoso, se fossimo stati davvero affamati il pastoci sarebbe piaciuto comunque.

Quando siamo veramente affamati, cioè, quando il nostrodesiderio di cibo è molto intenso, si può assaporare e godereanche il pasto più insipido. La nostra fame o reale desiderio dinutrimento è il migliore di tutti i condimenti. La spezia di unafame reale darà il gusto più piacevole anche al più insapore cibo, eanche al cibo che normalmente non ci piace. Al contrario, se ilsale della vera fame manca, possiamo mangiare anche il cibo piùgustoso senza assaporarlo particolarmente.

Non è chiaro, quindi, che i relativi gradi di felicità che derivanodal godere gli oggetti dei nostri desideri, non sono solo del tuttosoggettivi e dipendenti da quanto questi ci piacciono, ma sonodeterminati principalmente dalle fluttuazioni della nostra mente edalle successive ondate di entusiasmo dei nostri desideri, dallenostre anticipazioni e dalla nostra soddisfazioni finale?

In mezzo a tutta questa eccitata attività della nostra mente,come appaiono i frammenti di felicità che sperimentiamo? Questeondate successive di nostra eccitazione mentale hanno i loropicchi e i loro avvallamenti. Si alzano ai loro picchi, quando lanostra mente è più agitata dai desideri, e si placano negliavvallamenti quando la nostra mente sperimenta la soddisfazionedi anticipare o godere effettivamente degli oggetti dei suoidesideri.

Durante i brevi avvallamenti tra i successivi picchi dei nostridesideri, la nostra mente è momentaneamente calma, e in questacalma la felicità, che è sempre insita in noi è meno densamenteoscurata e quindi si manifesta più chiaramente. Fino a quando lanostra mente è attiva, è costantemente fluttuante tra i picchi delsuo desiderio o d'insoddisfazione e gli avvallamenti della suacontentezza o soddisfazione. I nostri desideri e le nostre paure, lenostre simpatie e antipatie, le nostre voglie e le nostre avversioni,tutti agitano e spingono l'attività della nostra mente a picchi

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d'intensità, e tali picchi d'intensa attività oscurano la nostra felicitàintrinseca e ci fanno sentire insoddisfatti, scontenti e quindiinfelici.

Più intensa e agitata l'attività della nostra mente diventa, piùrapidamente sorge da un picco all'altro, e quindi più brevi e menoprofondi diventano gli avvallamenti tra quelle cime. Tuttavia, sesiamo in grado di trattenere i nostri desideri, paure, simpatie eantipatie, voglie, avversioni e altre simili passioni, l'attività dellanostra mente diventerà meno intensa, cioè, le sue vette sarannomeno frequenti e saliranno meno in alto, e gli avvallamenti traquei picchi saranno più ampi e profondi.

Così, quando l'agitata e appassionata attività della nostra mentediventa meno intensa, ci sentiamo più calmi e più contenti, equindi siamo in grado di sperimentare più chiaramente la felicitàche è sempre dentro di noi. La felicità che deriviamo da mangiareun pezzo di cioccolato non viene da quel pezzo di cioccolato in sé,ma solo dalla soddisfazione che sentiamo come risultato dellagratificazione del nostro desiderio per esso.

Quando un tale desiderio è gratificato, da dove in effetti vienela sensazione risultante di soddisfazione o di felicità? Chiaramentenon proviene dall'oggetto del nostro desiderio, o da ogni altra cosafuori di noi, ma solo da dentro di noi. Se osserviamoaccuratamente la sensazione di felicità che proviamo quandomangiamo un pezzo di cioccolato, o quando godiamo di qualsiasialtro oggetto del nostro desiderio, potremo chiaramente vedereche nasce da dentro noi stessi, e di conseguenza dal temporaneocalmarsi della nostra agitazione mentale causata da quel desiderio.

La nostra soddisfazione e la felicità che sembra derivare daessa sono entrambe sensazioni soggettive che nascono dal nostroessere più profondo, e che noi di conseguenza viviamo soloall'interno di noi stessi. Poiché tutta la felicità viene solo dalnostro Io più profondo, non è chiaro che la felicità già esistedentro di noi, almeno in una forma latente?

Perché allora dovremmo sprecare il nostro tempo e le nostre

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energie cercando di sperimentare questa felicità in un modoindiretto gratificando i nostri desideri per gli oggetti e lecircostanze esterne? Perché non dovremmo cercare invece diviverla in maniera diretta volgendo la nostra attenzione all'internoper scoprire la fonte da cui nasce tutta la felicità?

Il desiderio nasce dentro di noi in varie forme, da simpatie oantipatie, come cose che piacciono o avversioni, speranze o paureMa in qualsiasi forma esso sorga, esso disturba la pace naturaledella nostra mente, e quindi oscura la felicità che è sempre dentrodi noi. Tutta la miseria o infelicità che noi sperimentiamo ècausata solo dai nostri desideri. Pertanto, se vogliamosperimentare la perfetta felicità, incontaminata anche solo dallaminima miseria, dobbiamo liberare noi stessi da tutti i nostridesideri. Ma come possiamo effettivamente fare questo? I nostridesideri sono profondamente radicati in noi e non possono esserefacilmente modificati.

Anche se potremmo essere in grado di modificarli in una certamisura, la nostra capacità di farlo è comunque limitata. I nostriattuali desideri, simpatie, antipatie, sono stati formati dalle nostreesperienze precedenti, non solo nel corso della vita del corpofisico che ora identifichiamo come noi stessi, ma anche nelle vitedi tutti i corpi fisici che abbiamo in precedenza identificato comenoi stessi, ed anche nei nostri sogni e in alcuni altri stati dicoscienza simili al nostro presente cosiddetto stato di veglia.

Uno dei nostri più forti desideri è il nostro desiderio di piaceresessuale. Sebbene l'intensità di questo desiderio possa variare conl'età e le circostanze, esiste sempre in noi, almeno nella forma diun seme dormiente.

Chiunque abbia provato a sconfiggere la lussuria sa fin troppobene, che non possiamo mai del tutto superarla. Come tutti gli altrinostri desideri, la nostra lussuria o desiderio di piacere carnale èradicata nello scambiare un corpo fisico per noi stessi, scambiamole pulsioni biologiche naturali di quel corpo come nostri bisogninaturali. Tutti i nostri desideri rimarranno almeno nella forma di

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seme finché continuiamo ad avere l'abitudine di identificare noistessi con un corpo fisico, sia il nostro attuale corpo fisico diquesto stato di veglia, o qualche altro corpo fisico in sogno.

Pertanto, l'unico modo per porre fine a tutti i nostri desideri è diporre fine alla loro radice che è la nostra mente la nostra coscienzalimitata che si sente come 'io sono questo corpo'. Finché nonsappiamo ciò che siamo veramente, non possiamo essere liberi dainostri desideri, che si verificano solo a causa del nostroconfondere noi stessi con ciò che non siamo.

Combattendo i nostri desideri non possiamo mai sbarazzarci diloro, perché noi che cerchiamo di combatterli ne siamo infatti lacausa, fonte e radice. Quello che cerca di combattere i nostridesideri è la nostra mente, che è di per sé la radice da cui tutti inostri desideri zampillano. La natura della nostra mente è di averedesideri. Senza desideri che le urgano, la nostra mente sicalmerebbe e si fonderebbe con la fonte dalla qualeoriginariamente è sorta.

Pertanto, l'unico modo per conquistare i nostri desideri è dieludere la nostra mente cercando la fonte da cui è sorta. Quellafonte è il nostro vero sé, il nucleo più profondo del nostro essere,la nostra fondamentale coscienza essenziale 'Io sono'. La nostramente è una forma limitata di coscienza che sorge dentro di noi, eche confonde un corpo particolare come se stessa, e tutti gli altrioggetti che conosce li considera essere diversi da sé.

Infatti tutto ciò che la mente conosce, compreso il corpo chescambia per l'io, sono solo i suoi pensieri, prodotti dal suo potered'immaginazione. Pertanto nulla di ciò che è conosciuto dallanostra mente è in realtà diverso da se stessa. Tuttavia, poichéconfonde gli oggetti della sua fantasia come altro da sé, sente ildesiderio di quegli oggetti che pensa contribuiranno alla suafelicità, e avversa quegli oggetti che pensa diminuiranno la suafelicità.

Finché viviamo alterità o dualità, non possiamo non sentire ildesiderio per alcune delle cose che vediamo come diverse da noi

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stessi, e l'avversione per alcune altre cose. Poiché scambiamo uncorpo particolare come noi stessi, certe cose sono necessarie per lanostra sopravvivenza e il nostro benessere per quel corpo, e certecose sono una minaccia per la nostra sopravvivenza e il nostrobenessere.

Come regola generale, quindi, sentiamo il desiderio di quellecose che contribuiscono alla nostra sopravvivenza corporea e albenessere, e avversione per quelle cose che minacciano la nostrasopravvivenza o sminuiscono il nostro comfort. Tuttavia, anchedopo che ci siamo assicurati tutte le cose di cui abbiamo bisognoper la nostra sopravvivenza fisica e comfort, ancora non cisentiremo soddisfatti.

Poiché abbiamo paura per il nostro futuro, ci sforziamo diacquisire più di quanto abbiamo effettivamente bisogno in questomomento. A causa della nostra inquietudine provocata dallasollecitudine per la nostra futura felicità e benessere, raramentegodiamo del momento presente al massimo, invece pensiamosempre a ciò che si potrà o non si potrà godere in futuro.

La maggior parte dei nostri pensieri non sono interessati almomento presente, ma solo a ciò che è già passato, o a ciò chepotrà o non potrà accadere in futuro. Noi viviamo gran parte dellanostra vita in vari gradi di ansia, soprattutto per ciò che potràcapitarci in futuro, ma anche a volte per quello che abbiamo fattoo ci è successo in passato. Pensiamo che il passato poteva esserediverso da quello che era, e speriamo che il futuro sarà migliore diquello che probabilmente sarà. Poiché la nostra mente è piena dipensieri sul passato, e di aspirazioni e ansia per il futuro,raramente ci sentiamo completamente soddisfatti con il momentopresente, e con tutto ciò che ora godiamo e possediamo.

Tutta la nostra mancanza di soddisfazione o appagamento per ilmomento presente è causato solo dai nostri desideri, e dalle loroinevitabili conseguenze, le nostre paure. Il desiderio e la paurasono, infatti, non due cose diverse, ma solo due aspetti della stessacosa. Finché noi desideriamo tutte le cose che sembrano

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contribuire alla nostra felicità, inevitabilmente temiamo qualunquecosa che sembra sminuire la nostra felicità.

La paura è dunque semplicemente il lato opposto del desiderio.Ogni paura è in realtà una forma di desiderio, perché la nostrapaura di una particolare cosa è semplicemente il nostro desideriodi evitare o essere liberi di quella cosa. Tuttavia, qualunque sia laforma che il nostro desiderio può assumere, se si manifesta comeuna speranza o una paura, una simpatia o antipatia, una brama oun'avversione, ci priva sempre della nostra pace naturale ocontentezza.

Pertanto, fino a quando abbiamo qualche forma di desiderio,non possiamo mai essere perfettamente soddisfatti. Tuttavia perquanto favorevole e piacevole la nostra situazione attuale possaessere; per quanta ricchezza materiale si possa avere, per quantipossedimenti abbiamo accumulati, per quanta sicurezza cicircondi, per quanti amici e ammiratori si possano avere, perquanto affettuosi e gentili siano i nostri parenti e soci ancora nonci sentiamo perfettamente soddisfatti, e ci inquieta la ricerca diqualcosa di più.

Anche se non diamo molta importanza alla ricchezza e ai benimateriali, andiamo ancora a cercare soddisfazione e felicità al difuori di noi stessi, in una qualche forma di attività esterna o diintrattenimento, come attività sociale, coinvolgimento in politica,un passatempo intellettuale, una religione, una filosofia, unascienza, un'arte, una professione, uno sport o un hobby.

Attraverso tutte le nostre attività fisiche e mentali, di qualsiasitipo esse siano, stiamo cercando di ottenere la felicità e di evitarela miseria, e le nostre attività non cesseranno definitivamente finoa quando non sperimenteremo la felicità piena, incontaminatadalla anche minima miseria, dolore o infelicità.

Tutti i nostri sforzi per raggiungere la felicità continuerannofino a che il nostro divorante desiderio di felicità perfetta siapermanentemente soddisfatto. Sappiamo per esperienza chequesto nostro desiderio fondamentale non è mai completamente

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Che cos'è la Felicità?

soddisfatto nonostante tutti i nostri sforzi per ottenere la felicità daoggetti e circostanze esterne. Niente e nessuno in questo mondomateriale potrà mai farci perfettamente felici.

Per quanto felici possiamo a volte sentirci, la nostra felicità ècomunque imperfetta e di breve durata, e quindi dobbiamocontinuare a cercare senza sosta per avere più felicità. Ogni sforzoche facciamo attraverso la nostra mente, la parola o il corpo; ogninostro pensiero, parola e azione, è spinto solo dal nostro desideriodi felicità e dalla nostra paura dell'infelicità.

A causa della nostra convinzione sbagliata che la felicità el'infelicità provengono da oggetti e circostanze esterne, unaconvinzione che è così forte e radicata che persiste a dispetto ditutta la nostra comprensione intellettuale del fatto che la felicitàviene in effetti solo da dentro di noi, e che l'infelicità è causatasolo dall'agitazione della nostra mente perché abbiamo semprediretto la nostra attenzione e tutti gli sforzi verso gli oggetti e lecircostanze esterne.

Ogni volta che sperimentiamo qualcosa che desideriamo,l'agitazione della nostra mente causata da tale desiderio si placatemporaneamente, il che ci permette di sperimentare per un breveperiodo la felicità che esiste sempre dentro di noi. Tuttavia, poichénon riusciamo a riconoscere che la felicità che abbiamo cosìsperimentato esiste già dentro di noi, e l'abbiamo sempre a tortoassociata con gli oggetti del nostro desiderio, e quindi abbiamosviluppato una forte e radicata convinzione che otteniamo lafelicità da persone, oggetti e circostanze fuori da noi stessi.

A causa di questa forte convinzione, continuiamo a desiderarequelle cose che crediamo di essere potenziali fonti di felicità pernoi. I nostri desideri non potranno quindi mai essere soddisfatticompletamente, perché ogni volta che sperimentiamo un po' difelicità, dalla soddisfazione di uno dei nostri desideri, il nostrodesiderio fondamentale di felicità completa e perfetta ci spinge acercare maggiore felicità nel tentativo di soddisfare ancora di più inostri desideri.

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Pertanto, la felicità che proviamo quando uno dei nostridesideri è soddisfatto è molto breve, perché qualche altrodesiderio sorge immediatamente nella nostra mente. Cioè,proviamo felicità solo nei temporanei periodi di calma chederivano dalla soddisfazione di uno dei nostri desideri, e un taleperiodo di calma crea un'opportunità per far emergere qualchealtro desiderio.

Esistono desideri innumerevoli nella nostra mente in una formadormiente o latente, e ognuno di essi è in attesa di un'opportunaoccasione per manifestarsi alla superficie della nostra mente. Inogni singolo momento la nostra mente può occuparsi di un solopensiero. Pertanto ciascuno dei nostri pensieri può emergere soloquando il nostro pensiero precedente si è attenuato.

Tuttavia, poiché i nostri pensieri sorgono e svaniscono inrapida successione, sentiamo che stiamo pensando a diverse cosecontemporaneamente. Cioè, proprio come la velocità con la qualei fotogrammi di una pellicola cinematografica sono proiettati suuno schermo cinematografico, sono così rapidi che non siamo ingrado di percepire il divario tra due fotogrammi consecutivi, equindi vediamo un'immagine in continuo movimento.

La velocità con la quale i nostri pensieri sorgono e svanisconoè così rapida che non siamo in grado di percepire la brevissimadistanza tra due pensieri consecutivi, e quindi ci sembra un flussocontinuo e ininterrotto di pensieri. Tuttavia, anche se i nostripensieri sorgono e svaniscono così rapidamente, vi è comunque unlimite al numero di pensieri che possono sorgere nella nostramente durante ogni frazione di secondo, perché in qualsiasimomento preciso un solo pensiero può essere attivo.

Pertanto, al fine di raggiungere la superficie della nostra mente,ciascuno dei nostri tanti pensieri latenti o desideri dormienti deveattendere un adeguato divario tra il sorgere e svanire di altri nostripensieri o desideri. Pertanto, non appena una relativa quiescenzasi verifica nella nostra attività mentale dovuta alla soddisfazionedi uno dei nostri desideri, molti dei nostri altri desideri faranno

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Che cos'è la Felicità?

ressa per salire al suo posto.Questo processo di un altro pensiero che sorge appena una

relativa calma si verifica nella nostra attività mentale, può esserechiaramente percepito da noi se deliberatamente cerchiamo dicalmare l'attività della nostra mente con una qualche forma dimeditazione. Ogni volta che cerchiamo di evitare di pensare a unacosa, il pensiero di qualche altra cosa sorgerà nella nostra mente.

Quanto più cerchiamo di acquietare la nostra attività mentale,tanto più vigorosamente sorgeranno altri pensieri per occupare ilposto dei pensieri che stiamo cercando di evitare. Tutti i pensieriche sorgono nella nostra mente relativamente calma, sono spintidal nostro desiderio di ottenere la felicità da altre cose che non ilnostro sé essenziale.

Finché confondiamo noi stessi con questa forma limitata dicoscienza che noi chiamiamo la nostra 'mente', sperimenteremo ildesiderio di ottenere quelle cose diverse da noi stessi checrediamo ci renderanno più felici, ed eviteremo quelle cose checrediamo ci renderanno infelici, e fintanto che tale desideriopersiste, la nostra mente continuerà a pensare un pensiero dopol'altro. Ogni volta che la nostra mente si stanca di questa attivitàinquieta di pensare innumerevoli pensieri, si rifugiatemporaneamente nel sonno profondo.

Ma da tale dormire presto sarà risvegliata ancora una volta daisuoi desideri dormienti, e sperimenterà un sogno o uno stato comeil nostro attuale, che riteniamo sia uno stato di veglia. Pertanto,fino a quando non abbiamo messo fine alla nostra identificazionesbagliata con la nostra mente, che è la radice di tutti i nostridesideri, non possiamo mai porre fine a questi, e quindi nonpossiamo mai rimanere senza pensare ad altre cose che al nostrosé essenziale, o rientrare temporaneamente in uno stato di sonnoprofondo. Durante tutta la nostra veglia o sogno, la nostra mentesperimenta un fermento incessante di desideri. Un desiderio o unaltro sempre imperversano nella nostra mente.

Tutta la nostra attività mentale è guidata solo dal desiderio.

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Ogni pensiero che sorge nella nostra mente è spinto da undesiderio, e ogni desiderio è una forma di pensiero. Desiderio epensiero sono dunque inseparabili. In assenza di desiderio, comenel sonno profondo, non c'è pensiero o attività mentale, e inassenza di attività mentale, non c'è desiderio. Quanto piùintensamente sperimentiamo un desiderio, più attiva e agitata saràla nostra mente.

Quando la nostra mente è attiva, tale attività oscura inmaggiore o minore misura la felicità che esiste sempre dentro dinoi. Più intensa la nostra attività mentale diventa, più densamentela nostra naturale felicità è oscurata. Pertanto, giacché tutta lanostra attività mentale è causata solo dai desideri, non è forsechiaro che il desiderio è l'unica causa di tutta la nostra infelicità?Qualunque sia la forma di infelicità che possiamo sperimentare,possiamo sempre tracciare la sua origine e tornare a qualchedesiderio che esiste nella nostra mente.

L'imperversare di innumerevoli desideri meschini nella nostramente è di solito così intenso che non riusciamo a notare comeloro oscurino il nostro naturale senso di pacifica felicità, e come iframmenti di felicità che sperimentiamo in mezzo a tutta la nostrainquieta attività mentale risultano solo da alcuni momenti ditemporanea fiacchezza nell'intensità di tale attività.

Spesso così tanti desideri sono attivi nella nostra mente che nonsiamo pienamente consapevoli della maggior parte di essi. Ciò,poiché la nostra mente è di solito così occupata a pensare cosìtanti pensieri diversi in così rapida successione, che spesso nonriesce a notare tutti i desideri che persistono in disparte al suointerno. Solo quando un certo desiderio inosservato è compiuto esperimentiamo la risultante sensazione di sollievo o di piacere,diventiamo effettivamente consapevoli di quanto forte il desideriofosse e quanto è stato irritante nella nostra mente.

Ad esempio, quando la nostra mente è occupata con qualcheattività che impegna tutta la sua l'attenzione, possiamo non notareche abbiamo un forte bisogno di andare alla toilette. Solo quando

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Che cos'è la Felicità?

andiamo in bagno e sperimentiamo il sollievo derivante, cirendiamo conto di quanto era forte il nostro bisogno.

La soddisfazione del nostro inosservato desiderio di darsollievo a noi stessi può essere così intensa che per un po'sentiamo consapevolmente un piacere positivo derivante dalnostro senso di grande sollievo. In questo modo, a volte cirendiamo conto di uno dei nostri desideri, e scopriamo quanto èforte e quanto disagio o agitazione provoca nella nostra mente,solo quando sperimentiamo la gioia che deriva dalla soddisfazioneforse abbastanza accidentale di esso.

Quando un desiderio aumenta, la nostra mente si agita, el'agitazione oscura la felicità che è la nostra vera natura. Quandonessun desiderio sorge, come nel sonno profondo, la nostra menterimane perfettamente inattiva, e quindi non sperimentiamo laminima infelicità. Pertanto, se fossimo perfettamente soddisfatti eliberi da tutti i desideri e paure, la nostra mente rimarrebbeperfettamente calma, e quindi potremmo vivere in pieno la felicitàassoluta che esiste sempre proprio nel cuore del nostro essere.

In realtà, nel nucleo più intimo e profondo del nostro esseresiamo sempre perfettamente calmi e felici, non importa quanto lanostra mente di superficie possa essere agitata. Tutta la nostraagitazione e infelicità è vissuta solo dalla nostra mente, e non dalnostro vero sé: la nostra autocoscienza {coscienza di sé}fondamentale ed essenziale, che è cosciente solo del nostro esseresenza qualificazioni, 'Io sono'. Il nostro essere essenziale restasempre calmo e tranquillo, proprio come l'occhio di una tempesta.

Nessuna agitazione della nostra mente potrà mai disturbarloanche solo minimamente, perché è una perfetta coscienza di sénon duale e che quindi non conosce altro che 'Io sono'. Nonimporta ciò che la nostra mente sta facendo, noi siamo ciò chesiamo, noi esistiamo, e rimaniamo essenzialmente come il nostroessere consapevole di sé, 'Io sono'.

Nessuna quantità di fare potrà mai impedirci di essere. Essere èciò che sta alla base di tutte le forme di fare, proprio come la

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coscienza sottende tutte le forme di conoscenza, e la felicità è allabase di tutte le forme di amore o desiderio. Il nostro essereessenziale è la coscienza, e la nostra coscienza essenziale delnostro essere è felicità. Così il nostro essere essenziale, la nostracoscienza essenziale e la nostra felicità essenziale, sono tutti unasola e medesima realtà: l'unica assoluta realtà che è il nostro veroed essenziale sé.

L'esistenza relativa e la non esistenza, la coscienza relativa el'incoscienza, la felicità relativa e l'infelicità: sono tutti solo unriflesso distorto del nostro essere assoluto, che è assolutacoscienza e assoluta felicità. Poiché siamo distratti da tutte leattività superficiali della nostra mente, trascuriamo il nostroessenziale essere, la coscienza e la felicità, che sono il nostro verosé o la nostra natura fondamentale. E poiché trascuriamo questanatura essenziale e fondamentale del nostro vero sé, noi erriamoritenendo di essere la coscienza limitata che noi chiamiamo lanostra 'mente', attraverso cui sperimentiamo il nostro essereassoluto, la coscienza e la felicità solo nelle loro forme relative ecome coppie di opposti: esistenza e non-esistenza, coscienza eincoscienza, felicità e infelicità.

Pertanto, se vogliamo sperimentare la felicità completa eperfetta, libera anche dalla minima macchia d'infelicità, tuttoquello che dobbiamo fare è conoscere il nostro vero sé comerealmente è. Finché noi sperimentiamo noi stessi come qualcosadi diverso da quest'assoluto essere-coscienza-felicità, nonpossiamo sperimentare la vera e perfetta felicità. Finchécontinuiamo a cercare la felicità al di fuori del nostro séessenziale, continueremo a sperimentare una relativa felicità einfelicità.

Poiché l'attività della nostra mente è ciò che apparentementeoffusca la nostra essenziale natura di assoluto essere-coscienza-felicità, al fine di sperimentare la nostra natura essenziale,dobbiamo porre fine a tutta la nostra attività mentale: a tutti ipensieri che sorgono costantemente e che imperversano nella

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Che cos'è la Felicità?

nostra mente. Tutte le forme di pensiero o attività mentale nonsono altro che l'attenzione che diamo agli oggetti: le cose che sonoapparentemente diverse da noi stessi.

Durante tutta la veglia e negli stati di sogno, pensiamocostantemente solo a cose diverse dal nostro stesso essereessenziale o fondamentale coscienza. Finché ci occupiamo diqualcosa diverso dalla nostra mera coscienza di essere, 'Io sono',la nostra mente è attiva. Tuttavia, se proviamo a rivolgere la nostraattenzione su noi stessi per conoscere il nostro essenziale séconsapevole di essere, l'attività della nostra mente inizierà ascemare.

Se siamo in grado di concentrare la nostra attenzioneinteramente ed esclusivamente sulla nostra coscienza di essere, 'Iosono', allora tutti i nostri pensieri o l'attività mentale diminuirannocompletamente, e potremo conoscere in modo chiaro la veranatura del nostro vero sé, che è il perfetto e assoluto essere-coscienza-felicità. Non abbiamo forse visto in precedenza che lafelicità è uno stato d'essere, e l'infelicità uno stato di fare?

Nel sonno profondo rimaniamo come semplice essere, senzal'insorgenza di fare qualsiasi cosa, e quindi sperimentiamo lafelicità perfetta. Nella veglia e nel sogno, d'altra parte,abbandoniamo il nostro stato essenziale e naturale di puro esseremanifestandoci come mente, la cui natura è di fare costantemente,e quindi sperimentiamo la felicità mescolata con l'infelicità.Mentre il sonno profondo è uno stato di puro essere, e quindi unostato di perfetta felicità, la veglia e il sogno sono stati in cui ilnostro essere essenziale è miscelato e oscurato da tutto il nostrofare, e sono quindi stati in cui la nostra essenziale felicità èmescolata e oscurata da diversi gradi di infelicità. Poiché il nostroessere è permanente e il nostro fare è impermanente, il nostroessere è naturale e tutto il nostro fare è innaturale. Quindi la nostrafelicità è naturale, perché è il nostro essere essenziale, e tutta lanostra infelicità è innaturale, perché è il risultato del nostro fare opensare.

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La radice di tutto il nostro fare, e quindi la radice di tutta lanostra infelicità, è solo il sorgere della nostra mente. Ogni voltache la nostra mente si sveglia, è attiva, pensando a innumerevolitipi diversi di pensiero. La nostra mente non può rimanere ancheun solo momento senza attività, senza pensare a qualcosa didiverso dal nostro essere essenziale. Non appena la nostra mentecessa di pensare a qualcosa di diverso dal nostro essere, si calma esi fonde immobile nel nostro stato naturale di puro essere, che è lafonte da cui è sorta.

Così, quando la nostra mente diventa inattiva, cessa di esserel'entità pensante che chiamiamo 'mente', e rimane invece come ilnostro essenziale essere consapevole di sé, che è la sua veranatura. Anche se nel sonno profondo la nostra mente si placa erimane semplicemente come il nostro essenziale essere, la felicitàperfetta che sperimentiamo in questo stato sembra essere breve,perché la nostra mente guidata dai suoi desideri dormienti alla finerisorge nuovamente per sperimentare uno stato di veglia o disogno. Pertanto, nel sonno la nostra mente e i suoi desideriintrinseci non sono distrutti completamente, ma sonosemplicemente in uno stato di sospensione, sonno e quiescenzatemporanea.

Se vogliamo sperimentare la nostra felicità naturale e perfettain modo permanente, non dobbiamo pertanto semplicementerendere temporaneamente inattiva la nostra mente in uno stato disospensione come il sonno, ma dobbiamo distruggerlacompletamente. Poiché l'emersione della nostra mente èl'emersione di tutta la nostra infelicità; la quiescenza temporaneadella nostra mente è la quiescenza temporanea di tutta la nostrainfelicità; la distruzione della nostra mente è la distruzione di tuttala nostra infelicità.

Perché la nostra mente, che è la radice di tutti i nostri desideri equindi la causa di tutta la nostra infelicità, non è distrutta nelsonno profondo? Perché risorge nuovamente da quello stato? Perrispondere a questo, dobbiamo per prima cosa capire perché sorge.

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Che cos'è la Felicità?

Come abbiamo visto in precedenza, questa singola entità che noichiamiamo la nostra 'mente' è una forma limitata di coscienza ches'identifica sempre con un corpo fisico Nel nostro attuale stato diveglia, la nostra mente scambia questo particolare corpo come sestessa, mentre in ogni sogno scambia erroneamente qualche altroorganismo come se stessa.

Poiché prende un corpo come sé nello stato di veglia, e un altrocorpo come se stessa in sogno, la nostra mente evidentemente nonsa cosa sia il suo vero io. Pertanto, fintantoché ci sbagliamoritenendo di essere la nostra mente, e il particolare corpo che lanostra mente in un certo momento scambia per se stessa, nonconosciamo chi o cosa siamo veramente.

Nel sonno non confondiamo noi stessi con la nostra mente, oqualsiasi corpo particolare, mentre nella veglia scambiamo noistessi come la nostra mente e questo particolare corpo, e in sognoscambiamo noi stessi essere la nostra mente e qualche altroparticolare corpo. Nel sonno, quando non consideriamo di esserela nostra mente o un corpo, cosa riteniamo di essere? Comevedremo quando ci rivolgeremo questa domanda più in dettaglionei capitoli successivi, tutto ciò che sappiamo di noi stessi nelsonno è 'Io sono'. Tuttavia, anche se nel sonno sappiamo chisiamo, non sappiamo chiaramente ciò che siamo. Per qualcheinspiegabile ragione, la nostra conoscenza di noi stessi nel sonno èin qualche modo oscurata e vaga. Nel sonno sicuramentesappiamo che siamo, perché se non lo sapessimo, non saremmo ingrado di ricordare così chiaramente nello stato di veglia che 'Hodormito felicemente e pacificamente, e non conoscevo nulla inquel momento'.

Quello che non conoscevamo nel sonno è ogni cosa diversadalla nostra essenziale coscienza del sé, la nostra coscienzafondamentale del nostro essere, 'Io sono'. Tuttavia, proprio comenella veglia e nel sogno sembriamo identificare la nostracoscienza fondamentale ed essenziale 'Io sono' con la nostramente e qualche corpo particolare, nel sonno ci sembra di

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identificarla con un apparente mancanza di chiarezza dellaconoscenza di sé. Poiché noi non conosciamo chiaramente ilnostro 'vero Io' nella veglia, nel sogno o nel sonno profondo,siamo in grado nella veglia e nel sogno di illudere noi stessi diessere la nostra mente e qualche particolare corpo.

Così la nostra mancanza di una chiara conoscenza di sé è laradice che provoca il sorgere della nostra mente, e il conseguentecrescere di tutti i nostri desideri, pensieri e infelicità. Se sapessimochiaramente quello che realmente siamo, non potremmo illudercidi essere qualcosa diverso da questo Sé. Pertanto l'unico modo perporre fine permanentemente a tutti i nostri desideri, i pensieri e laconseguente infelicità è conoscere ciò che realmente siamo.

Poiché la nostra mente è una forma di conoscenza falsa osbagliata, una conoscenza o coscienza che conosce erroneamentese stessa come 'io sono questo corpo' e che conosce a torto tutti glialtri pensieri come oggetti diversi da sé, può essere distrutta solodalla nostra esperienza di una conoscenza vera o corretta delnostro essere essenziale, 'Io sono'. Fino a quando e se nonconosciamo la vera natura del nostro sé reale, non possiamoliberare noi stessi dalla morsa auto- illusoria della nostra mente, equindi non possiamo sperimentare in modo permanente la naturalee assoluta felicità che è la nostra vera natura.

Tutto ciò che abbiamo esaminato e scoperto in questo capitolosulla natura della felicità è espresso sinteticamente da Sri Ramananella frase di apertura della sua introduzione alla sua traduzioneTamil del grande poema filosofico, Vivēkacūḍāmaṇi di Sri AdiSankara:

“Tutti gli esseri viventi del mondo desideranoessere sempre felici [e] privi di miseria, esattamente[essi desiderano] essere felici sbarazzandosi di quelle[esperienze] come le malattie che non sono la loronatura, poiché tutti [gli esseri viventi] hanno amorecompletamente solo per il proprio sé, poiché l'amore

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Che cos'è la Felicità?

non sorge tranne che per la felicità, e giacché nelsonno [tutti gli esseri viventi hanno] l'esperienza diessere felici senza alcuna cosa, quando ciò che sichiama felicità è [quindi] solo [il proprio reale] sé,solo a causa della [loro] ignoranza di non conoscere [illoro vero] sé essi sorgono e s'impegnano in pravrtti[attività estroversa], roteando nel samsara sconfinato[lo stato del vagare inquieto e incessante della mente],abbandonando il percorso [della scoperta di sé], checonferisce [la vera] felicità, [ritenendo] il conseguire ipiaceri di questo mondo e del prossimo come il solopercorso alla felicità”.

Sri Ramana esprime la stessa verità ancora più concisamentenel paragrafo di apertura di 'Nan Yar?' (Chi sono Io?). Un brevetrattato di venti paragrafi che ha scritto sulla necessità per noi diraggiungere la vera conoscenza di sé, e sui mezzi con cuipossiamo farlo:

“Dato che tutti gli esseri viventi desiderano sempreessere felici e liberi dalla sofferenza, poiché perognuno il più grande amore è solo per se stessi, epoiché solo la felicità è la causa dell'amore, [al fine] diconseguire quella felicità, che è la propria [veranatura] sperimentata quotidianamente nel sonno[senza sogni], che è privo della mente, è per essinecessario conoscere sé stessi. Per questo, jñāna-vicāra [esaminare la nostra coscienza di conoscere]'chi sono io' è il solo mezzo principale”.

La conclusione pratica e cruciale con cui Sri Ramana terminaquesto paragrafo dell'jñāna-vicāra 'chi sono Io?', 'è il solo mezzoprincipale', è stata evidenziata da lui in grassetto nell'originaleTamil.

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Il termine 'Jnana-Vicara' letteralmente significa 'ricerca dellaconoscenza', ed è il processo (o meglio lo stato) dell'indagare lanostra essenziale autocoscienza 'Io sono', che è la nostraconoscenza primaria e la base di ogni altra nostra conoscenza, alfine di raggiungere la vera conoscenza del nostro vero sé.

Ciò che Sri Ramana intende qui con il termine 'ricerca dellaconoscenza', 'chi sono Io?' non è quindi una mera analisiintellettuale della nostra conoscenza 'Io sono', ma è un esameeffettivo o profonda indagine della nostra conoscenzafondamentale o della coscienza 'Io sono' al fine di conoscereattraverso l'esperienza diretta che cosa siamo davvero.

Tale indagine o controllo non può essere fatta pensando, masolo spostando la nostra attenzione su noi stessi per conoscere lanostra essenziale coscienza di essere. Quando la nostra attenzioneo potere del conoscere è rivolta verso l'esterno per conoscere altrecose oltre noi stessi, diventa la nostra mente pensante, ma quandosi rivolge di nuovo verso l'interno per conoscere il nostro séessenziale, rimane nel suo stato naturale come il nostro séessenziale: cioè, come il nostro vero non duale auto-coscienteessere. Più avanti, nel quattordicesimo paragrafo dello stessotrattato, Sri Ramana spiega di più sulla vera natura della felicità:

“Quella che è chiamata felicità è solo svarùpa [la'propria forma' o essenziale natura] dell'Âtma [sé];felicità e ātma-svarūpa [il nostro essenziale sé] nonsono diversi. Ātma-sukha [la felicità di sé] solo esiste;perché da sola è reale.

La felicità non si ottiene da uno qualsiasi deglioggetti del mondo. Noi pensiamo che la felicità siottenga da loro a causa della nostra mancanza didiscriminazione.

Quando [la nostra] mente viene fuori, sperimenta

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Che cos'è la Felicità?

infelicità. In verità, ogni volta che sono soddisfatti inostri pensieri o desideri, essa [la nostra mente] tornaindietro al suo posto [il nucleo del nostro essere, ilnostro vero sé, che è la fonte da cui è sorta] esperimenta solo la felicità del [nostro vero] sé.

Allo stesso modo, nei momenti di sonno, samadhi[uno stato di contemplazione intensa o assorbimentodella mente] svenimenti, e quando si ottiene una cosadesiderata, e quando avviene la fine di una cosa chenon ci piace [cioè, quando la nostra mente evita o èsollevato da qualche esperienza che non piace] la[nostra], la mente diventa introversa e sperimenta solola felicità del sé.

In questo modo la [nostra] mente vacilla su ciòsenza riposo, andando verso l'esterno lasciando [ilnostro essenziale] sé, e [quindi] tornando [indietro]verso l'interno. Ai piedi di un albero l'ombra èdeliziosa. Fuori il calore del sole è forte. Una personache sta vagando fuori è rinfrescata andando sottol'ombra.

Emergendone fuori dopo un breve periodo, non è ingrado di sopportare il calore, così lui viene di nuovo aipiedi dell'albero. In questo modo egli continua,passando dall'ombra alla luce del sole, e andando[indietro] dal sole all'ombra. Una persona che agiscein questo modo è qualcuno privo di discriminazione.

Una persona che discrimina non lascerà l'ombra.Allo stesso modo, la mente di un jnani [una persona divera conoscenza del sé] non lascia il Brahman [lafondamentale e assoluta realtà, che è il nostro stesso

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essere essenziale o sé]. La mente di un ajnani [unapersona priva di vera conoscenza del sé] continua asubire miseria vagando per il mondo, e per ottenere lafelicità ritorna a Brahman per un breve periodo.

Ciò che è chiamato il mondo è solo pensiero[perché tutto ciò che noi conosciamo come il mondonon è altro che una serie di immagini mentali opensieri che abbiamo formato nella nostra mente colnostro potere d'immaginazione]. Quando il mondoscompare, cioè, quando il pensiero cessa, [la nostra] lamente prova felicità; quando appare il mondo,sperimenta l'infelicità”.

Ciò che Sri Ramana qui descrive come esitazioni, irrequietezzae oscillazione della nostra mente, fluttuando ripetutamente traandare verso l'esterno e tornare indietro verso l'interno, è lo stessoprocesso che abbiamo descritto come il sorgere e lo scompariredei nostri pensieri.

In ogni momento della nostra vita di veglia e sognoinnumerevoli pensieri sorgono e si placano nella nostra mente inrapida successione. Con il sorgere di ogni pensiero la nostra menteo il potere di attenzione va verso l'esterno, lasciando il nostro verosé o essere essenziale e dimenticando così la felicità che è sempredentro di noi, mentre con il placarsi di ogni pensiero la nostramente si volge di nuovo verso noi stessi per viveremomentaneamente la felicità di solo essere.

Tuttavia, poiché questo sorgere della nostra mente o deipensieri è spinto da innumerevoli e forti desideri, non appena unpensiero si calma, un altro sorge al suo posto, e quindi il divariotra l'affondare e il sorgere di due pensieri consecutivi è talmentebreve che non siamo per niente consapevoli dell'essere in pace odella felicità che sperimentiamo in questo intervallo. Questo è ilmotivo per cui nei nostri stati di veglia o sogno, la nostra

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Che cos'è la Felicità?

attenzione è così assorbita nel pensare ad altre cose che raramentenotiamo la nostra beata autocoscienza di essere, e la felicità che èinsita in essa.

Generalmente, l'unica occasione in cui siamo chiaramenteconsapevoli della felicità pacifica di essere che sperimentiamo tradue pensieri consecutivi è durante il sonno, perché il sonno è unperiodo di tempo relativamente lungo tra due consecutivi pensieri,causato dal vero e proprio esaurimento della nostra mente.Tuttavia, anche se possiamo difficilmente accorgercene, anchedurante la veglia e il sogno: nel brevissimo momento tra ilcedimento di ciascun pensiero e il sorgere del successivo,possiamo di fatto sperimentare la nostra essenziale coscienza diessere il sé o Brahman nella sua vera e perfettamente pura forma,incontaminata dal pensiero o dal fare.

Inoltre, ogni volta che uno dei nostri desideri, sia un desideriodi sperimentare qualcosa che ci piace o sia un desiderio di evitaredi sperimentare qualcosa che non ci piace, è soddisfatto, lavelocità con cui i pensieri che compaiono nella nostra menterallenta temporaneamente, quindi non solo ogni pensiero sorgecon meno vigore, ma anche il divario momentaneo tra duepensieri consecutivi diventa leggermente più lungo. Così per unbreve periodo siamo in grado di sperimentare la felicità pacificadel nostro essere, più chiaramente, fino a che qualche altrodesiderio s'impadronisce della nostra mente, rianimando lo slancioe il vigore con cui i nostri pensieri sorgono, e oscurando cosìancora una volta più intensamente la nostra felicità di essere.

La vera, immobile, pura e priva di pensieri forma del nostroessere essenziale o Brahman, che sperimentiamomomentaneamente tra due pensieri consecutivi: è sia la nostracoscienza fondamentale di essere, 'Io sono', che la felicità perfettadel nostro essere cosciente solo del nostro essere.

Pertanto, se vogliamo vivere la nostra naturale e perfettafelicità costantemente, la nostra attenzione deve penetrare sotto levacillanti oscillazioni dei pensieri, alla superficie della nostra

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mente, al fine di sperimentare nella sua forma pura la nostracoscienza essenziale e fondamentale del nostro essere, 'Io sono',che sta alla base sempre della nostra mente vacillante.

Così possiamo permanentemente sperimentare la felicitàperfetta e assoluta solo nello stato di vera conoscenza di sé: lostato in cui rimaniamo sempre semplicemente come il nostroessere essenziale, la nostra fondamentale coscienza del sé 'Iosono', senza sorgere per pensare o di fare qualsiasi cosa. Pertanto,esaminiamo ora la conoscenza che abbiamo di noi stessi almomento per capire non solo quando si tratta di una falsaconoscenza, ma anche ciò che è davvero la corretta conoscenza dinoi stessi, e come possiamo raggiungere l'esperienza immediata ditale corretta conoscenza.

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Capitolo 2

Chi sono Io?

Per determinare i mezzi con cui possiamo scoprire chi o cosasiamo veramente, è necessario per noi prima acquisire una chiarateorica comprensione di ciò che siamo e ciò che non siamo. Siamoin grado di ottenere tale comprensione solo analizzando conattenzione e criticamente la nostra esperienza di noi stessi. Perchétale analisi sia completa e approfondita, dobbiamo considerare lanostra esperienza non solo nel nostro attuale stato di veglia, maanche in ciascuno dei nostri due altri stati di coscienza, sonno e ilsogno.

Quest'approccio è simile al metodo consolidato della ricercaadottata in tutte le scienze oggettive. In quelle scienze, iricercatori considerano attentamente in primo luogo tutti i fatti giànoti riguardanti il soggetto sotto indagine al fine di formulare unaragionevole ipotesi che può spiegare tali fatti, e poi si verifica taleipotesi rigorosamente conducendo esperimenti.

L'ipotesi formulata dagli scienziati spirituali, o saggi comesono più comunemente chiamati, è che non siamo il corpocomposto d'incosciente materia, né siamo la mente costituita dapensieri, sentimenti e percezioni, ma che siamo l'essenzialecoscienza di base per mezzo della quale il corpo e la mente sonoentrambi conosciuti.

Questa ipotesi è stata testata in maniera indipendente everificata da molti saggi prima di noi, ma a differenza dei risultatidelle scienze oggettive, i risultati di questa scienza spirituale nonpossono essere oggettivamente comprovati. Pertanto, per essereveramente beneficiati da questa scienza di conoscenza di sé,ognuno di noi deve testare e verificare questa ipotesi per se stesso.

Per fare ciò, dobbiamo ciascuno sperimentare per vedere se la

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coscienza che noi sperimentiamo come 'Io' possa stare da sola,senza il nostro corpo o mente. Se siamo in grado di rimanere comecoscienza senza qualsiasi tipo di corpo o di mente, noidimostriamo a noi stessi che non siamo nessuno di questi dueoggetti da noi conosciuti. Per rimanere come nostra meracoscienza 'Io sono' senza alcuna consapevolezza del nostro corpoo della mente, è necessario per noi conoscere la nostra coscienzanella sua forma pura: priva di qualsiasi contenuto, priva di oggettidi conoscenza.

Siamo così abituati a identificare la nostra coscienza 'Io sono'con il nostro corpo e con la mente che può sembrare inizialmentedifficile per noi distinguere la nostra coscienza essenziale daquesti oggetti conosciuto da essa. A causa di questaidentificazione della nostra coscienza con i suoi oggetti ocontenuti, la nostra conoscenza di essa sembra essere offuscata epoco chiara.

Pertanto, al fine di distinguere tra la nostra coscienza e i suoioggetti, dobbiamo acquisire una chiara conoscenza di come questarealmente è. Se siamo uno scienziato o semplicemente unaqualsiasi persona normale, quando cerchiamo di ottenere laconoscenza di qualcosa, lo strumento primario ed essenziale cheusiamo è il nostro potere di attenzione. Senza prestare attenzione aqualcosa, non possiamo conoscerla.

Nei loro esperimenti, gli scienziati spesso usano ausilimeccanici per osservare cose che non possono percepiredirettamente attraverso i cinque sensi, ma è tuttavia solo attraversoi cinque sensi che sono in grado di leggere e interpretare leinformazioni fornite da tali ausili meccanici. È solo per mezzo diuno o più dei cinque sensi che possiamo ottenere conoscenza diqualsiasi cosa del mondo esterno. Tuttavia, anche se i nostricinque sensi ci forniscono informazioni sul mondo esterno,possiamo conoscere solo le informazioni facendo attenzione adesse.

Se non prestiamo attenzione alle informazioni fornite dai nostri

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Chi Sono Io?

sensi, possiamo fallire nel vedere qualcosa che accade davanti ainostri occhi, o nell'ascoltare una conversazione tra due personesedute proprio accanto a noi. Perciò ogni conoscenza è indefinitiva ottenuta da noi, solo mediante il nostro potere diattenzione. Dato che la nostra coscienza non è un oggetto, non puòessere osservata mediante qualsiasi aiuto meccanico, né puòessere osservata per mezzo di uno qualsiasi dei nostri cinquesensi.

L'unico e solo strumento con cui siamo in grado di osservare econoscere la nostra coscienza è il nostro potere di attenzione,senza l'aiuto di qualsiasi altra cosa. Poiché siamo consapevolezza,e poiché la nostra coscienza conosce se stessa senza alcun tipo diaiuto, tutto quello che dobbiamo fare per ottenere una chiaraconoscenza della nostra coscienza come realmente è, è di ritirarela nostra attenzione da tutti gli oggetti conosciuti dalla nostracoscienza e concentrarci solo sulla nostra coscienza stessa.

Giacché il nostro potere di attenzione è il nostro potere diconoscere o di coscienza, che siamo liberi di indirizzare versotutto ciò che vogliamo conoscere, concentrare la nostra attenzionesulla nostra coscienza significa concentrare la nostra attenzione sudi sé, o concentrare la nostra coscienza su se stessa. Dato chesperimentiamo la nostra coscienza o il potere di conoscere come'Io', come il nostro sé essenziale, concentrarsi su di essa non è unaqualsiasi forma di attenzione oggettiva, ma è un'attenzionepuramente soggettiva, un'attenzione al sé perfettamente non duale,un'attenzione al nostro sé essenziale o 'Io'. Solo concentrandocicosì sulla nostra coscienza essenziale, che si sperimenta come 'Io',saremo in grado di distinguere tra questa coscienza e tutti glioggetti conosciuti da essa, compreso il corpo e la mente che oraerroneamente consideriamo essere l'io.

Osservando così la nostra coscienza e, quindi, distinguendoladai suoi contenuti, siamo in grado di sperimentare e conoscere concertezza, che si possa o meno rimanere come pura coscienza,completamente separati dal nostro corpo, dalla nostra mente e da

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tutti i suoi pensieri, sentimenti e percezioni. Se siamo in grado difarlo, noi dimostriamo a noi stessi che, in sostanza, siamo solo lacoscienza, e che non siamo né il corpo né la mente che oraconfondiamo con l'Io.

Vediamo dunque ora di analizzare a fondo la nostra esperienzadi noi stessi, esaminando come sperimentiamo noi stessi inognuno dei nostri tre stati di coscienza: veglia, sogno e sonnoprofondo, al fine di ottenere una chiara comprensione teorica diciò che siamo e ciò che non siamo. Così facendo, saremo in gradodi verificare per noi stessi se si possa o no ragionevolmentearrivare a dimostrare l'ipotesi di cui sopra.

Quando analizziamo la nostra esperienza di noi stessi nelnostro presente stato di veglia, possiamo vedere che la nostraconoscenza di chi o di che cosa stiamo è confusa e non chiara. Seci viene chiesto: 'Chi sei?', noi rispondiamo: 'io sono MichaelJames', 'io sono Mary Smith', o io sono quant'altro il nostro nomepossa essere. Questo nome è il nome dato al nostro corpo, e ciidentifichiamo con questo nome perché consideriamo il nostrocorpo essere 'io'. Ci sentiamo come 'io sono seduto qui, leggendoquesto libro', perché ci identifichiamo con il nostro corpo.

Questo senso di identificazione, 'io sono questo corpo', è cosìforte che rimane con noi per tutto il nostro stato di veglia. Infatti èla base di tutto ciò che sperimentiamo in questo stato di veglia.Senza prima sentire questo corpo come 'io', e limitando in talmodo noi stessi entro i suoi confini, non sapremmo o proveremmonessuna delle cose che sperimentiamo in questo stato di veglia.

Non solo il mondo esterno è conosciuto da noi solo attraverso icinque sensi di questo corpo, ma anche i pensieri e i sentimentiche proviamo nella nostra mente sono sentiti da noi verificarsisolo all'interno di questo corpo. Tutta la nostra vita percettiva,emotiva, mentale e intellettuale nello stato di veglia è centrato inquesto corpo. Tutto quello che ci consideriamo essere, e tutto ciòche consideriamo essere nostro, è centrato in e intorno a questocorpo.

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Chi Sono Io?

Per noi questo corpo non è solo il centro della nostra vita, è ilcentro di tutto il mondo che percepiamo intorno a noi. Tuttavia, ciidentifichiamo, non solo con il nostro corpo, ma anche con lanostra mente, e anche se il nostro corpo e la nostra mente sonoovviamente collegato molto strettamente, si parla di loro come didue cose diverse.

Poiché c'identifichiamo contemporaneamente con due cose cheriteniamo essere diverse, non è forse chiaro che nel nostro attualestato di veglia la nostra conoscenza di chi o che cosa in realtàsiamo è confusa e incerta? Inoltre, anche se il nostro sensod'identificazione con questo corpo è il fondamento di tutto ciò chesperimentiamo nel nostro presente stato di veglia, si cessa diidentificare questo corpo come 'io' non appena ci addormentiamo,o andiamo in coma o in qualsiasi altro stato simile.

Nel sonno, possiamo rimanere sia nello stato di profondo sonnosenza sogni, in cui non siamo consapevoli di qualsiasi corpo oqualsiasi altra cosa, o sogniamo qualche esperienza immaginaria.Nel sogno, come nella veglia, ci identifichiamo con un corpo, eattraverso i cinque sensi di questo corpo percepiamo un mondoapparentemente esterno {nel sogno} composto sia da oggettiinanimati che da persone che da altri esseri senzienti come noistessi.

Mentre siamo in uno stato di sogno, identifichiamo un corponel sogno come 'io', esattamente allo stesso modo col qualeidentifichiamo il nostro corpo presente come 'io' in questo stato diveglia, e consideriamo il mondo dei sogni che vediamo esserereale esattamente nello stesso modo col quale consideriamo esserevero il mondo che vediamo in questo stato di veglia. Ma nonappena ci svegliamo da un sogno, si capisce senza il minimodubbio che tutto ciò che abbiamo vissuto in quel sogno era solo unprodotto della nostra immaginazione, e quindi non era reale.

Così lo stato di sogno ci dimostra chiaramente che con la forzadella sua immaginazione la nostra mente ha la capacità non solo dicreare un corpo e un mondo, ma anche simultaneamente illudersi

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che quel corpo immaginario è 'io' e che quel mondo immaginarioè reale. Sapendo che la nostra mente possiede questo meravigliosopotere di creazione e di autoinganno, non possiamo forseragionevolmente dubitare che il corpo che pretende di essere 'io' eil mondo che consideriamo essere reale nel nostro attuale stato diveglia non sia più reale del corpo e del mondo che sperimentiamoin un sogno?

Non abbiamo forse buone ragioni per sospettare che il nostrocorpo e questo mondo che sperimentiamo nel nostro attuale statodi veglia siano creazioni puramente immaginarie della nostramente, com'erano il corpo e il mondo che abbiamo vissuto insogno? Quali prove abbiamo che il nostro corpo in questo stato diveglia e il mondo che percepiamo attraverso i sensi di questocorpo sono qualcosa di diverso da una creazione della nostramente?

In questo stato di veglia capiamo che i corpi e i mondi chesperimentiamo nei nostri sogni non sono altro che prodotti dellanostra immaginazione, ed esistono solo all'interno della nostramente, ma assumiamo generalmente senza alcun dubbio che ilcorpo e il mondo che ora sperimentiamo non sono sempliciprodotti della nostra immaginazione, ma esistonoindipendentemente, fuori dalla nostra mente. Riteniamo chequesto corpo e il mondo esistano anche quando siamoinconsapevoli di loro, come durante un sogno o nel sonnoprofondo; ma come possiamo dimostrare a noi stessi che è così?

“Altre persone che erano sveglie, quando eravamoaddormentati possono testimoniare che il nostro corpo e questomondo continuavano ad esistere anche quando non eravamoconsapevoli di loro” è la risposta che viene subito in mente.Tuttavia, queste altre persone e la loro testimonianza sono essistessi parte del mondo la cui esistenza nel sonno vogliamodimostrare. Basandosi sulla loro testimonianza per dimostrare cheil mondo esiste quando non lo percepiamo è come basarsi sullatestimonianza di un truffatore per dimostrare che lui non ha

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Chi Sono Io?

truffato i nostri soldi.Le persone che incontriamo in un sogno possono testimoniare

che il mondo che percepiamo esisteva anche prima di averlopercepito, ma quando ci svegliamo noi ci rendiamo conto che laloro testimonianza non prova nulla, perché erano solo una partedel mondo che la nostra mente si era temporaneamente creato edel quale si era illusa che fosse reale. Non c'è modo di dimostrarea noi stessi che il mondo esiste indipendentemente dalla nostrapercezione di esso, perché ogni prova che si può desiderare di farvalere può venire solo dal mondo della cui realtà stiamodubitando.

Il corpo e il mondo che sperimentiamo in sogno sono fugaci einconsistenti. Appaiono in un minuto, e scompaiono al successivo.Anche all'interno di un sogno, svolazziamo da una scena all'altra:un momento siamo in un certo luogo, e un attimo dopo è diventatoun altro luogo; un momento stiamo parlando con una certapersona, e un attimo dopo la persona è diventata qualcun altro. Alcontrario, il mondo che sperimentiamo nella veglia è più coerente{consistente-costante}.

Ogni volta che ci svegliamo dal sonno o da un sogno, noitroviamo noi stessi nello stesso mondo in cui eravamo prima didormire. Anche se il mondo che vediamo nello stato di veglia è incontinua evoluzione, questi cambiamenti accadono in modoragionevole e comprensibile. Se siamo in un luogo ora, non ciritroviamo improvvisamente in un altro luogo nel momentosuccessivo. Se stiamo parlando di una certa persona, quellapersona non diventa improvvisamente un'altra persona.

Quindi ciò che sperimentiamo nella veglia è decisamente piùreale di quello che abbiamo vissuto in sogno. In questo modoragioniamo con noi stessi e ci convinciamo che è ragionevole pernoi credere che il corpo e il mondo che sperimentiamo nella veglianon siano solo un prodotto della nostra immaginazione, come ilcorpo e il mondo che sperimentiamo nel sogno, ma in realtàesistano indipendentemente dalla nostra immaginazione. Tuttavia,

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nessuna di queste differenze superficiali che possiamo notare trala nostra esperienza nella veglia e la nostra esperienza in sognopuò effettivamente dimostrare che ciò che sperimentiamo nellaveglia è più reale di quello che abbiamo sperimentato in sogno.

Queste differenze superficiali non sono differenze nellasostanza, ma solo differenze di qualità. Proprio perché il mondoche percepiamo nella veglia sembra essere più duraturo einternamente coerente rispetto al mondo che percepiamo nelsogno, non possiamo ragionevolmente concludere in tal modo chenon è solo un prodotto del nostro meraviglioso potered'immaginazione e di autoinganno. Le differenze che possiamorilevare tra la nostra esperienza nella veglia e la nostra esperienzain sogno possono essere ragionevolmente stimate in un altromodo.

La ragione per cui il mondo che percepiamo nella vegliasembra essere più duraturo e internamente coerente di quanto siail mondo che percepiamo nel sogno, è che siamo più fortementeattaccati al nostro corpo di veglia di quanto normalmente lo siamoa qualsiasi corpo che noi identifichiamo come noi stessi in unsogno. Se sperimentiamo un grave shock, dolore, paura oeccitazione in un sogno, noi di solito ci svegliamoimmediatamente da quel sogno, perché non ci sentiamofortemente attaccati al corpo del sogno che in quel momentoidentifichiamo come 'io'.

Al contrario, possiamo subire un grado molto maggiore dishock, dolore, paura o eccitazione nello stato di veglia, senzasvenire, perché ci sentiamo fortemente attaccati a questo corpoche ora {nella veglia} identifichiamo come 'io'. Pertanto, poiché ilnostro attaccamento al corpo che noi identifichiamo come 'io' inun sogno è di solito abbastanza tenue, l'esperienza del mondo chevediamo in quel sogno è fugace, fluida e spesso incoerente.

Al contrario, poiché il nostro attaccamento a questo corpo cheora identifichiamo come 'io', in questo stato di veglia, è moltoforte, la nostra esperienza del mondo che ora percepiamo intorno a

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noi in genere sembra essere più duratura, sostanziale e coerente.Tuttavia, anche nel nostro stato di veglia ci sono momenti in cuiquesto mondo sembra essere onirico e irreale, per esempio dopoche siamo stati profondamente immersi in una fantasticheria o unsogno ad occhi aperti, o nella lettura di un libro o guardando unfilm, o dopo aver sperimentato un intenso shock, gioia o lutto.

La realtà che noi attribuiamo al nostro corpo e a questo mondoè quindi soggettiva e relativa. Tutto quello che sappiamo di questomondo è ciò che sperimentiamo nella nostra mente, ed è quindicolorato dalla nostra mente. In questo stato di veglia la nostramente ci dice che il mondo in cui ora stiamo vivendo è reale e cheil mondo che abbiamo vissuto in sogno è irreale, ma nel sogno lanostra stessa mente ci ha detto che il mondo che stavamo vivendoera reale.

Le differenze che ora immaginiamo esistere tra quello stato {disogno} e il nostro stato attuale non sembravano esistere allora.Infatti, mentre si sogna, generalmente si pensa che siamo in statodi veglia. Se dovessimo discutere la realtà di veglia e sogno conqualcuno in un sogno, si sarebbe probabilmente d'accordo conl'altro che questo 'stato di veglia', come in quel momentoconsidereremmo il nostro sogno, è più reale di un sogno.

La nostra esperienza del nostro corpo e di questo mondo è deltutto soggettiva, perché esiste solo nella nostra mente. Allo stessomodo, la realtà che attribuiamo alla nostra esperienza di essi è deltutto personale. Quello che sappiamo del nostro corpo e di questomondo è solo derivato dalle nostre percezioni sensoriali. Senza inostri cinque sensi, non avremmo potuto conoscere né il nostrocorpo né questo mondo. Ogni percezione sensoriale èun'immagine o pensiero che abbiamo formato all'interno dellanostra mente col nostro potere d'immaginazione, anche seimmaginiamo che ognuna di esse corrisponda a qualcosa cheesiste in questo momento fuori dalla nostra mente.

Poiché non possiamo conoscere nulla del nostro corpo o diquesto mondo, tranne le immagini o i pensieri che la nostra mente

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forma all'interno di se stessa su di essi, non abbiamo modo disapere con certezza se uno di essi esiste in realtà fuori dalla nostramente.

Pertanto, poiché sappiamo dalla nostra esperienza nel sognoche la nostra mente non ha solo il potere di creare per sé un corpoapparentemente reale, e di percepire un mondo apparentementereale attraverso i cinque sensi di tale organismo, ma ha anche ilpotere di illudere se stessa scambiando le sue creazioniimmaginarie come reali. Poiché non abbiamo modo di sapere percerto che il nostro corpo e questo mondo che ora sperimentiamo inquesto stato di veglia non siano solo creazioni immaginarie dellanostra mente, come il corpo e il mondo che abbiamo vissuto in unsogno; abbiamo una buona ragione per sospettare che né il nostrocorpo né il mondo esistono realmente fuori dalla nostra mente

Se non esistono fuori dalla nostra mente, poi non esistonoquando noi non li percepiamo, come nel sogno e nel sonnoprofondo. Poiché possiamo essere sicuri che il nostro corpo esistesolo quando lo percepiamo, e poiché percepiamo il nostropresente corpo solo in uno dei nostri tre stati di coscienza, lanostra idea che questo corpo è noi stessi è aperta a seri dubbi. .Poiché in sogno sappiamo di esistere, quando non conosciamol'esistenza di questo presente corpo, non è ragionevole per noidedurre che siamo la coscienza che conosce questo corpo,piuttosto che questo corpo stesso? Se siamo la coscienza, cioè, sela coscienza è la nostra vera ed essenziale natura, ci deve essere lacoscienza in tutti gli stati in cui esistiamo.

Poiché la nostra coscienza non può conoscere qualsiasi altracosa senza prima conoscere se stessa, senza conoscere 'Io sono','Io conosco': la natura essenziale della nostra coscienza ècoscienza di sé, la coscienza del proprio essere o esistenza.Qualunque cosa si conosca, la nostra coscienza conosce sempre'Io sono', 'Io esisto', 'Io conosco'. Poiché conosce sempre se stessacome 'Io sono', la nostra coscienza non può essere qualcosa checonosce in un momento e non conosce in un altro momento.

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Quindi, se siamo la coscienza, ci deve essere qualcosa checonosciamo in tutti gli stati in cui esistiamo, qualcosa chesappiamo quando esistiamo.

Dal momento che ora percepiamo noi stessi essere non solocome questo corpo, ma anche come la coscienza che conoscequesto corpo, e dato che ci sentiamo di essere la stessa coscienzanel sogno, anche se in quel momento sentiamo di essere un altrocorpo, non è forse chiaro che questa coscienza che conosce questicorpi è più reale di ciascuno di loro? Poiché siamo la stessacoscienza in entrambi veglia e sogno, e poiché siamo consapevolidi un corpo come noi stessi nella veglia, e di un altro corpo comenoi stessi nel sogno, non è forse chiaro che la nostraidentificazione con entrambi questi corpi è un'illusione, una puraimmaginazione?

Non possiamo allora dire che siamo la coscienza che conosce ilnostro corpo e questo mondo, nello stato di veglia, e che conosceun altro corpo e mondo nel sogno? No, non possiamo, perché lacoscienza che conosce questi organismi e mondi è una formatransitoria di coscienza, che sembra esistere solo nella veglia e nelsogno, e che scompare nel sonno senza sogni. Se noi esistiamo nelsonno profondo senza sogni, non possiamo essere questa forma dicoscienza che conosce un corpo e un mondo, perché questa formadi coscienza che conosce gli oggetti non esiste nel sonnoprofondo. Esistiamo nel sonno profondo? Sì, ovviamente losiamo, perché quando ci svegliamo sappiamo chiaramente e senzaalcun dubbio 'ho dormito'.

Se noi non esistessimo nel sonno, non potremmo ora sapereche abbiamo dormito. Poiché il sonno profondo è uno stato che inrealtà sperimentiamo, non è solo uno stato in cui noi esistiamo, maè anche uno stato di cui siamo consapevoli della nostra esistenza.Se non fossimo coscienti nel sonno profondo, non avremmopotuto conoscere la nostra esperienza del sonno profondo; nonavremmo potuto sapere con certezza che abbiamo dormito e chenon percepivamo nulla in quel momento.

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Ciò di cui siamo inconsci nel sonno è qualcosa di diverso dalnostro essere o esistenza, 'Io sono', ma non siamo inconsci delnostro essere. Immaginiamo una conversazione che potrebbeverificarsi tra due persone, che chiameremo A e B, subito dopoche B si è svegliato da un profondo sonno senza sogni.

A: “Qualcuno è entrato nella tua stanza dieci minuti fa?”B: “Non lo so, ero addormentato”.A: “Sei sicuro che dormivi?”B: “Sì, certo, lo so benissimo che ero addormentato”.A: “Come fai a sapere che dormivi?”B: “Perché io non percepivo nulla”.Se qualcuno dovesse interrogarci come A ha interrogato B, non

dovremmo normalmente rispondere con parole simili a quelleusate da B?

Cosa possiamo dedurre da tali risposte? Quando diciamo chenon conoscevamo nulla nel sonno, ciò che intendiamo è che nonpercepivamo qualsiasi oggetto esterno o evento in quel momento.Ma cosa del nostro essere, sapeva che esistevamo nel sonno? Sequalcuno dovesse chiederci se eravamo sicuri che eravamoaddormentati, gli risponderemmo come B: “Io so benissimo cheero addormentato”. Cioè, non abbiamo dubbi che esistevamo,anche se eravamo in uno stato che noi chiamiamo 'sonno'. Quandodiciamo: “so che ero addormentato”, che cosa esattamenteintendiamo? queste parole esprimono una certezza che tutti noisentiamo quando ci svegliamo dal sonno.

Da questa certezza che ognuno di noi sente, è chiaro non soloche esistiamo nel sonno, ma anche che sapevamo di esistere nelsonno, anche se abbiamo detto di non conoscere altro in quelmomento. Inoltre, proprio come sentiamo con certezza, 'so cheero addormentato', così sentiamo con altrettanta certezza, 'io soche non conoscevo nulla nel sonno'. Poiché sappiamo {siamoconsapevoli di} questo con tanta certezza, è chiaro che noiesistevamo nel sonno come coscienza che conosceva lo stato dinullità.

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Dopo che ci svegliamo da un sonno profondo, non abbiamobisogno di nessuno per dirci che siamo stati addormentati, perchéil sonno è uno stato che noi stessi abbiamo consapevolmentevissuto. Quello che abbiamo vissuto nel sonno era uno stato in cuinon eravamo consapevoli di qualsiasi altra cosa. Se non eravamocoscienti di qualsiasi altra cosa in quello stato, eravamo comunqueconsapevoli che eravamo in quello stato in cui non conoscevamonulla.

La cosiddetta 'incoscienza' del sonno era un'esperienzacosciente per noi in quel momento. In altre parole, anche se nonsiamo consapevoli di qualsiasi altra cosa nel sonno, siamocomunque consapevole di essere in quello stato apparentementeincosciente. Pertanto, poiché la cosiddetta 'incoscienza' del sonnoè chiaramente uno stato conosciuto da noi, il sonno è in realtà unostato cosciente di essere. Quindi, piuttosto che descrivere il sonnoin termini negativi come uno stato di 'incoscienza', uno stato diessere inconsapevoli di qualsiasi cosa, sarebbe più esattodescriverlo in termini positivi come uno stato di 'coscienza', unostato di essere coscienti di null'altro che il nostro stesso essere.

Come si arriva a essere così sicuri che non sappiamo nulla nelsonno? Come esattamente sorge questa conoscenza di nonpercepire nulla nel sonno? Nella veglia questa conoscenza assumela forma di un pensiero, 'io non conoscevo nulla nel sonno', manel sonno non esiste tale pensiero. L'assenza di conoscenze nelsonno è a noi noto solo perché in quel momento sappiamo che noiesistiamo.

Cioè, poiché sappiamo che esistiamo, siamo in grado di sapereche noi esistiamo senza conoscere qualsiasi altra cosa. Nellaveglia siamo in grado di dire che non conoscevamo nulla quandosiamo addormentati, perché nel sonno non solo esistiamo inassenza di ogni altra conoscenza, ma conoscevamo cheesistevamo così. Tuttavia, è importante ricordare che, sebbene nelnostro presente stato di veglia diciamo, 'non percepivo nulla nelsonno', la conoscenza che effettivamente sperimentiamo durante il

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sonno non è 'non conosco nulla', ma è solo 'Io sono'. Nel sonnoquello che sappiamo è 'Io sono', e nient'altro che 'Io sono'. Poichéquesta conoscenza o coscienza 'Io sono' esiste in tutti i nostri trestati di coscienza, e poiché null'altro esiste in tutti e tre di loro,non è forse chiaro che siamo in realtà solo questa coscienzaessenziale 'Io sono' o più precisamente, quell'essenziale coscienzadi sé 'Io sono'?

Così, analizzando criticamente la nostra esperienza di noi stessiin ciascuno dei nostri tre stati di coscienza, arriviamo a capire chein sostanza siamo solo, coscienza di sé: la nostra coscienzafondamentale del nostro essere, 'Io sono'. A meno che nonanalizziamo la nostra esperienza nei nostri tre stati di coscienza inquesto modo, non possiamo arrivare a una comprensione chiara,certa e corretta di chi o cosa siamo veramente. Quest'analisi criticaè dunque l'essenziale fondamento su cui tutta la filosofia e lascienza della vera auto-conoscenza è costruita.

Pertanto, poiché quest'analisi è essenziale per la nostracomprensione corretta di noi stessi, cerchiamo di approfondirlapiù a fondo, esaminando la nostra esperienza dei nostri tre stati dicoscienza da diverse angolazioni alternative. Anche se certe ideepossono apparire ripetitive, è comunque utile esplorare di nuovola stessa base da prospettive diverse. Se non otteniamo, non solouna chiara comprensione, ma anche una ferma convinzione circala nostra vera natura dalla nostra analisi critica dei nostri tre statidi coscienza, ci mancherà la motivazione necessaria perproseguire una ricerca empirica rigorosa ed estremamenteimpegnativa, o indagine del nostro essenziale essere cosciente disé, 'Io sono'. Senza questa motivazione non potremo raggiungerel'esperienza diretta e immediata della vera conoscenza di sé.

Non abbiamo forse tutti noi percepito di essere un particolarecorpo umano? Quando diciamo: “io sono nato in un tale e taletempo, in un tale e tale luogo... io sono il figlio o la figlia di così ecosì... ho viaggiato in tanti posti diversi... ora io sto seduto qui,leggendo questo libro”, e simili, non è forse chiaro che

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identifichiamo noi stessi con il nostro corpo così fortemente cheabitualmente ci riferiamo a esso come 'io'?

Ma allo stesso tempo non sentiamo forse anche noi stessi diessere come la coscienza all'interno di questo corpo, e nonfacciamo quindi riferimento a questo corpo soggettivamente come'io', ma anche oggettivamente come 'il mio corpo'? Siamo quindidue cose diverse: questo corpo fisico che chiamiamo 'io', e lacoscienza che sentiamo essere all'interno di questo corpo, ma cheallo stesso tempo considera questo corpo come un oggetto chechiama 'il mio corpo'? No, ovviamente non possiamo essere duecose diverse, perché tutti sappiamo molto chiaramente che 'Iosono unico'. Cioè, ognuno di noi sente che abbiamo un solo 'io', enon due o più diversi 'io'. Quando diciamo 'io', ci riferiamo a unsenso d'individualità che è intrinsecamente unico, intero eindivisibile. Questo vuol dire allora che questo corpo fisico e lacoscienza all'interno che lo sente come 'il mio corpo' non sono duecose diverse, ma sono una stessa cosa? No, sono moltochiaramente due cose molto diverse, perché noi tutti sappiamo cheil nostro corpo non è di per sé cosciente.

Anche se non possiamo conoscere il nostro corpo quando lanostra coscienza è separata da esso, sappiamo che quando il corpodi una persona muore, rimane solo come una massa di materiainsensibile, privo di coscienza. Poiché un corpo fisico può quindirimanere senza essere cosciente, la coscienza che sembra essereunita con esso quando è vivo e sveglio è chiaramente qualcosa cheè differente da esso.

Inoltre, e più importante, così come sappiamo che un corpo puòrestare senza alcuna propria coscienza, anche noi sappiamo dallanostra esperienza in sogno che la nostra coscienza può rimaneresenza questo corpo che abbiamo ora scambiato per 'io'. In sognosiamo consapevoli, sia di noi stessi come un corpo che di unmondo intorno a noi, ma non siamo consapevoli di questo corpo,che al momento presumibilmente giace addormentato su un letto,incosciente del mondo intorno ad esso.

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Non è chiaro, quindi, che la nostra coscienza e il nostro corposono due cose diverse? Poiché sappiamo dalla nostra esperienzache la nostra coscienza e questo corpo sono due cose separate edistinte, e giacché nello stato di veglia ci sentiamo di essere sia lanostra coscienza che questo corpo, possiamo dire che non siamosolo una o l'altra di queste due cose separate, ma unacombinazione formata dall'unione di due di loro? Se siamodavvero solo un composto di queste due cose separate, dobbiamocessare di esistere quando si separarono.

La nostra coscienza è unita a questo corpo solo nello stato diveglia, e separata da esso sia in sogno sia nel sonno profondo.Poiché continuiamo ad esistere in sogno e sonno profondo,dobbiamo essere qualcosa di più di una semplice combinazionedella nostra coscienza con questo corpo. Quando la nostracoscienza e questo corpo sono separati, quale delle due cosesiamo? Poiché siamo consapevoli della nostra esistenza, non solonello stato di veglia, ma anche nel sogno e nel sonno profondo,non è forse evidente che noi non possiamo essere questo corpo ouna combinazione della nostra coscienza e di questo corpo, madobbiamo essere una qualche forma di coscienza che puòsepararsi da questo corpo, e che persiste attraverso tutti questi treeffimeri e contrastanti stati?

Non è forse chiaro, dunque, che la conoscenza che abbiamo orasu chi o cosa siamo è confusa e incerta? Siamo questo corpo, cheè fatto di materia incosciente, o siamo la nostra coscienza, checonosce questo corpo come un oggetto distinto da sé? Dalmomento che sentiamo di essere entrambi, e ci riferiamo adentrambi come 'io', è evidente che non abbiamo chiara conoscenzadi ciò che in realtà è il nostro 'Io'. Quando diciamo, 'io so chesono seduto qui', stiamo equiparando e, quindi, confondendo l''ioche conosce', che è la nostra coscienza, con l''io' seduto, che èquesto corpo. In questo modo, durante la nostra veglia e durante ilsogno, persistentemente confondiamo la nostra coscienza conqualunque corpo all'interno del quale, in quel momento, sembra

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essere confinata.La nostra confusione circa la nostra vera identità, che è

abbastanza evidente durante l'esperienza della veglia, è resa di séancora più chiara dalla nostra esperienza nel sogno. In quellostato, questo corpo che ora identifichiamo come 'io'presumibilmente giace inconscio sia di sé sia del mondo che locirconda, ma siamo comunque consapevoli di un altro corpo, chenoi scambiamo per essere 'io', e un altro mondo, che noiscambiamo per essere reale. Non è questa esperienza che abbiamoin ogni sogno che chiaramente ci dimostra che abbiamo lacapacità di illudere noi stessi credendo di essere un corpo che inrealtà è null'altro che il frutto della nostra immaginazione?

Come siamo in grado di illudere noi stessi in questa maniera?Se sapessimo chiaramente ed esattamente ciò che siamo, nonavremmo potuto illudere noi stessi considerandoci essere qualcosache non siamo. Non è chiaro, quindi, che tutte le nostre nozioniconfuse e sbagliate in merito a ciò che siamo nascono solo dallanostra mancanza di vera e chiara auto-conoscenza {conoscenza disé}?

Finché non otteniamo una conoscenza chiara e corretta su ciòche siamo realmente, noi continueremo a essere confusi e adilludere noi stessi credendo di essere un corpo, una mente, unapersona, o qualche altra cosa che non siamo. Fino a quando laconoscenza del nostro vero sé resta poco chiara, incerta e confusa,possiamo davvero essere sicuri di qualsiasi cosa che noi si possaconoscere?

Tutta la cosiddetta conoscenza di altre cose che pensiamo dipossedere si regge esclusivamente sul fondamento instabile dellanostra confusa e incerta conoscenza di noi stessi. Come possiamocontare o sentirci sicuri in merito a tale conoscenza? Cosaveramente è reale, il corpo e il mondo che sperimentiamo nellostato della veglia, o il corpo e mondo che sperimentiamo insogno? O nessuno di loro è reale? Per quanto ne sappiamo quandostiamo sognando, il corpo e il mondo di questo stato di veglia

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sono inesistenti.Anche adesso, quando siamo nello stato di veglia, l'idea che

esistevano anche quando eravamo inconsapevole di loro, comenegli stati di sogno e sonno profondo, è solo un presupposto per ilquale non abbiamo nessuna prova concreta. Come tutte le altreipotesi, questa supposizione è basata sul nostro primo efondamentale presupposto, la nostra congettura sbagliata chesiamo in qualche modo una miscela di un corpo fisico e dicoscienza che conosce il corpo non solo soggettivamente come'io', ma anche oggettivamente come 'il mio corpo'.

Prima di cercare di acquisire qualsiasi conoscenza d'altre cose,che presumiamo essere tutte reali, ma che non sono moltoprobabilmente nulla più che il frutto della nostra immaginazione,non è forse necessario per noi prima mettere in discussionequest'assunto fondamentale su chi o che cosa siamo? Dato che nelsogno e nel sonno profondo siamo consapevolmente separati daquesto corpo che ora nello stato di veglia identifichiamo come 'io',non è forse chiaro che questo corpo non può effettivamente essereil nostro vero sé? Nel sogno identifichiamo un altro corpo come'io', e attraverso i cinque sensi di questo corpo vediamo un mondodi oggetti e persone intorno a noi, proprio come nella vegliaidentifichiamo questo corpo come 'io', e attraverso i cinque sensidi questo corpo vediamo un mondo di oggetti e persone intorno anoi.

Non dimostra quindi chiaramente il sognare che la nostramente ha un potere d'immaginazione che è così forte e auto-ingannevole che può non solo creare per noi un corpo e un mondointero, ma ci può anche ingannare facendoci credere che quelcorpo è l''io' e quel mondo è reale? Non ci da forse ciò un motivomolto valido per dubitare della realtà di questo corpo e del mondonello stato di veglia?

Non è forse possibile che questo corpo e il mondo pieno dioggetti e persone che vediamo intorno siano solo un'altracreazione dello stesso potere di autoinganno dell'immaginazione

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che ha creato un corpo e un mondo molto simile nel sogno: uncorpo e mondo che in quel momento sembrava proprio reale comesembrano ora essere questo corpo e mondo? In entrambi veglia esogno ci sembra di essere una miscela confusa di coscienza e uncorpo fisico.

Questa miscela confusa o composta che è formata dalla nostraidentificazione della coscienza con un corpo fisico è ciò chechiamiamo la nostra 'mente'. Poiché questa mente è una formaconfusa e transitoria di coscienza che sembra esistere solo quandos'identifica con un corpo sia nella veglia che nel sogno, e cessa diesistere quando cede la sua identificazione con qualsiasi corpo nelsonno profondo, può essere forse qualcosa di più di una sempliceillusione, un aspetto irreale, un prodotto fantasma del nostro auto-ingannevole potere dell'immaginazione?

Poiché tutte le altre cose diverse dalla nostra coscienzafondamentale 'Io sono', sono conosciute da noi solo attraverso ilmezzo inaffidabile di questa confusa, auto-ingannevole formatransitoria di coscienza chiamata 'mente', possiamo dire concertezza che ognuna di loro è reale? Non è ragionevole per noi,invece, sospettare che siano tutte nient'altro che un'illusoria eirreale apparizione, proprio come tutte le cose che vediamo in unsogno?

Poiché il corpo che scambiamo per essere 'io' nello stato diveglia, e il corpo che scambiamo per 'io' in un sogno, sonoentrambi apparenze transitorie, che appaiono in uno Stato e non inun altro, non è chiaro che non possiamo essere uno di questi duecorpi? Se non siamo nessuno di loro, cosa di fatto siamo in realtà?Dobbiamo essere qualcosa che esiste sia nella veglia sia nelsogno. Anche se il corpo e il mondo che ora conosciamo nellostato di veglia e il corpo e il mondo che abbiamo conosciuto nelsogno possono essere molto simili tra loro, non sono chiaramentelo stesso corpo e mondo.

C'è qualcosa che esiste e rimane la stessa in entrambi questidue stati, e se sì di cosa si tratta? Con un'osservazione

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superficiale, l'unica cosa che è comune a questi due stati è lanostra mente, la coscienza che li conosce. Siamo allora questacoscienza che conosce sia la veglia sia il sogno, e che identifica uncorpo come 'io' nella veglia e un altro corpo come 'io' nel sogno?Non possiamo rispondere a questa domanda senza prima chiedercialtro.

Siamo questa stessa coscienza non solo nella veglia e nelsogno, ma anche nel sonno profondo? No, questa coscienza, checonosce un corpo e un mondo nella veglia e nel sogno, cessa diesistere nel sonno profondo. Ma anche noi cessiamo di esistere nelsonno profondo? No, anche se cessiamo di essere consapevoli diqualsiasi corpo o mondo nello stato di sonno profondo, sappiamocomunque che esistiamo in quello stato, e conosciamo anche lanostra esistenza in quel momento.

Quando ci svegliamo dal sonno profondo, siamo in grado didire con certezza: “Io ho dormito serenamente e felicemente. Nonpercepivo nulla in quel momento, e non ero disturbato da alcunsogno”. Non indica chiaramente questa sicura conoscenza cheabbiamo della nostra esperienza nel sonno, non solo cheesistevamo in quel momento, ma anche che sapevamo di esistere?Generalmente pensiamo al sonno profondo come uno stato di'incoscienza', ma quello di cui siamo stati inconsci nel sonno sonostate solo altre cose differenti dall''Io', come qualsiasi corpo omondo.

Non siamo stati, però, inconsapevole della nostra esistenza.Abbiamo bisogno di altre persone per dirci che il nostro corpo e ilmondo esistevano mentre eravamo addormentati, ma non abbiamobisogno di nessuno per dirci che esistevamo in quel momento.Senza l'aiuto o testimonianza di qualsiasi altra persona o cosa, noiconosciamo chiaramente e senza alcun dubbio 'io ho dormito'. Nelsonno forse non conoscevamo esattamente quello che eravamo,ma sapevamo molto chiaramente che esistevamo.

La chiara conoscenza che possediamo sulla nostra esperienzadel sonno, e che esprimiamo quando diciamo 'ho dormito

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tranquillamente, e non percepivo nulla in quel momento', nonsarebbe possibile se nel sonno non fossimo stati consapevoli diquesta esperienza o per essere più precisi, se non fossimo staticonsapevoli di noi stessi come coscienza che era incosciente diqualsiasi cosa diversa dal nostro essere tranquillo e felice. Se nonconoscessimo 'Io sono' mentre eravamo addormentati, ora, dopoche ci siamo svegliati dal sonno non saremmo riusciti a saperecosì chiaramente che 'ho dormito'. Cioè, abbiamo potuto saperechiaramente che eravamo nello stato che ora chiamiamo 'sonno':in altre parole, che effettivamente esistiamo in quello stato.

Sappiamo che esistevamo nel sonno, perché in questo statoabbiamo in realtà sperimentato la nostra propria esistenza, lanostra essenziale autocoscienza di essere, 'Io sono'. Poiché nellostato di veglia sappiamo chiaramente non solo che abbiamodormito, ma anche che nel sonno non percepivamo nulla, non èchiaro che il sonno è uno stato che in realtà sperimentiamo?L''incoscienza' apparente del sonno, l'assenza in quel momento diqualsiasi conoscenza di qualcosa di diverso da 'Io sono', era lanostra esperienza, qualcosa che abbiamo sperimentato noi stessi econoscevamo in quel momento.

Siamo in grado di utilizzare un'altra linea parallela diragionamento per dimostrare il fatto che eravamo consapevolidella nostra esistenza nel sonno. Dopo che ci svegliamo dal sonno,non abbiamo forse un chiaro ricordo di aver dormito, e di non averpercepito nulla, mentre noi dormivamo?

Dal momento che non possiamo avere memoria di qualcosache non abbiamo realmente vissuto, il nostro ricordo di averdormito e non aver saputo nulla durante il sonno è una chiaraprova del fatto che abbiamo sperimentato noi stessi il sonno,sapendo di non percepire alcunché in quel momento. Se non ciricordassimo veramente della nostra esperienza nel sonno, nonpotremmo sapere con certezza che eravamo inconsci di qualsiasicosa in quel momento.

Ciò che sapremmo sul sonno non è la conoscenza positiva che

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abbiamo dormito e non conoscevamo nulla in quel momento, masoltanto una conoscenza negativa che non ricordiamo un tale statoaffatto. Invece di ricordare un chiaro intervallo tra un periodo diveglia e il successivo, un intervallo libero dal pensiero in cuieravamo chiaramente inconsapevole di qualsiasi cosa al di fuoridel nostro essere non ricorderemmo alcuna pausa fra entrambi taliperiodi consecutivi di veglia.

La fine di un periodo di veglia sarebbe semplicemente ilconfluire senza alcun percepibile intervallo nell'inizio delprossimo periodo di veglia, e tutti i consecutivi periodi di vegliasembrerebbero a noi essere un unico continuo e ininterrottoperiodo di veglia, così come i tanti fotogrammi di una pellicolacinematografica quando proiettatati in rapida successione su unoschermo sembrano essere una singola immagine in movimentocontinuo e ininterrotto.

Se non ci fosse continuità della nostra coscienza durante ilsonno, il divario che esiste tra un periodo di veglia e il successivosarebbe impercettibile per noi, così come il divario tra ognifotogramma del film è impercettibile per noi. Il sonno profondo èquindi uno stato di cui abbiamo un'esperienza diretta e di primamano. Poiché non ci può essere alcuna esperienza senza lacoscienza, l'esperienza del sonno dimostra chiaramente checertamente si ha un certo livello di coscienza anche in quellostato.

Tale livello di coscienza che sperimentiamo nel sonno è ilnostro livello più profondo e più fondamentale di coscienza: lanostra semplice non duale coscienza del nostro essenziale essere,che è la nostra vera coscienza di sé 'Io sono'. Siamo così abituatiad associare la coscienza solo con la nostra mente, la coscienzache conosce le cose diverse da se stessi, che per quanto riguarda ilsonno trascuriamo l'ovvio. Noi trascuriamo il fatto chel''incoscienza' del sonno è qualcosa che noi stessi abbiamosperimentato, e che per sperimentare la cosiddetta 'incoscienza'del sonno noi stessi dobbiamo esserne stati consapevoli.

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Pertanto, per quanto potremo mai sapere, non esiste una cosacome uno stato di incoscienza assoluta. Un tale stato d'incoscienzaassoluta sarebbe uno stato che non potrebbe mai essere conosciutoo vissuto. L'unico tipo d'incoscienza che possiamo sperimentare econoscere non è uno stato di assoluta incoscienza, masemplicemente uno stato di relativa incoscienza: uno stato nelquale la coscienza di dualità che ci è familiare nella veglia e neglistati di sogno si è attenuata, uno stato in cui non siamo piùconsapevoli di ciò che è diverso dal nostro semplice essere: lanostra fondamentale non duale coscienza del sé 'Io sono'.

Se fossimo veramente incosciente nel sonno, o in qualsiasialtro momento, non potremmo essere la coscienza, perché lacoscienza non può mai essere incosciente. Tuttavia, poiché siamoconsapevoli del sonno e di altri simili stati di relativa incoscienza,noi siamo la coscienza assoluta che è alla base e supporta edanche trascende tutti gli stati di coscienza relativa e incoscienza. Ilfatto che noi sperimentiamo veglia, sogno e sonno profondo cometre stati distinti, non prova chiaramente che noi esistiamo e siamocoscienti della nostra esistenza in tutti questi tre stati?

Vi è quindi una continuità della nostra esistenza e della nostracoscienza attraverso tutti i tre stati di veglia, sogno e sonnoprofondo. Tuttavia la coscienza della nostra esistenza o sempliceessere che continua ininterrotta in tutti questi tre stati è distintadalla consapevolezza che conosce un corpo e un mondo in solodue di loro, vale a dire la veglia e il sogno. La nostra coscienzasemplice e fondamentale del nostro solo essere che continuadurante i nostri tre stati è la nostra pura incontaminata coscienza'Io sono', mentre la coscienza che s'identifica con un particolarecorpo e che conosce un mondo attraverso i cinque sensi di taleorganismo è la coscienza mista e contaminata 'io sono questocorpo'.

Questa coscienza mista che s'identifica con un corpo è unaforma limitata e distorta della nostra coscienza originale efondamentale 'Io sono'. Poiché questa coscienza distorta, che noi

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chiamiamo la nostra 'mente', appare solo negli stati di veglia esogno, e scompare nel sonno profondo, non può essere la nostravera natura, il nostro vero ed essenziale sé. La nostra vera natura èsolo la nostra pura, incontaminata e senza limiti coscienza 'Iosono', che è alla base e sostiene l'effimera comparsa dei nostri trestati.

Così dalla nostra analisi critica della nostra esperienza neinostri tre stati ordinari di coscienza, possiamo concludere chesiamo la coscienza sottostante che conosce entrambi gli staticoscienti di veglia e sogno e lo stato apparentemente incoscientedel sonno. O per essere più precisi, siamo quella coscienzafondamentale che è sempre conscia di 'Io sono', e che nel sonnoprofondo non percepisce null'altro che non sia 'Io sono', ma chenella veglia e nel sogno sembra conoscere altre cose oltre a 'Iosono'.

Né la coscienza di altre cose al di fuori dell''Io' chesperimentiamo nella veglia e nel sogno, né l'incoscienza di altrecose che sperimentiamo nel sonno, sono in grado di nasconderecompletamente la nostra fondamentale coscienza 'Io sono'.Tuttavia essi sembrano appannare e oscurare questa coscienza 'Iosono', facendoci sentire nella veglia e nel sogno 'io sono questocorpo' e nel sonno 'io sono incosciente', e quindi ci privano dellanostra chiara conoscenza del nostro vero stato di puro essereautocosciente.

Pertanto, per conoscere chiaramente la vera natura del nostroessere, dobbiamo usare il nostro potere di conoscereconcentrandoci sulla nostra coscienza fondamentale ed essenziale'Io sono', penetrando in tal modo al di là delle apparenzetransitorie sia dell'oggettiva coscienza di veglia e sogno, chedell'incoscienza apparente del sonno. Normalmente pensiamo delsonno come di uno stato d'incoscienza perché siamo abituati adassociare la coscienza con lo stato di conoscere cose diverse danoi stessi nella veglia e nel sogno.

Quando la conoscenza di altre cose scompare nel sonno,

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sperimentiamo uno stato di oscurità apparente o di vuoto chescambiamo per incoscienza. Siamo diventati così abituati adassociare la coscienza con il conoscere altre cose diverse dalnostro essere, che trascuriamo il fatto che nel sonno profondosiamo ben consapevoli del nostro essere. La ragione per la qualetrascuriamo così la nostra chiara coscienza del nostro essere nelsonno è perché ci siamo abituati a trascurarla anche nella veglia enel sogno.

In entrambi veglia e sogno di solito passiamo tutto il nostrotempo prestando attenzione solo ai pensieri ed ai sentimenti nellanostra mente, agli oggetti ed agli eventi del mondoapparentemente esterno, e raramente, se mai prestiamo attenzioneal nostro semplice essere, la nostra autocoscienza 'Io sono'. Perchénoi abitualmente ignoriamo la coscienza del nostro essere,crediamo erroneamente che la nostra coscienza dualistica, lanostra coscienza che conosce le cose che sono apparentementediverse da noi stessi, sia la sola coscienza che ci sia. Poiché questacoscienza dualistica si placa nel sonno, quello stato ci apparecome uno stato di incoscienza.

La coscienza che conosce le altre cose è un fenomenotransitorio che esiste solo nella veglia e nel sogno, ma non èl'unica forma di coscienza che esiste. Anche nella veglia e nelsogno, una forma più sottile di coscienza esiste, stando alla base esostenendo la comparsa transitoria della nostra dualisticacoscienza. Questa forma più sottile di coscienza è la nostracoscienza non duale del nostro essere, la coscienza con cuiciascuno di noi conosce 'Io sono'.

Così la nostra coscienza in veglia e sogno ha due formedistinte: la nostra fondamentale 'coscienza di essere', con la qualesappiamo 'Io sono', e la nostra superficiale 'coscienza delconoscere', da cui conosciamo tutto il resto. Anche se possiamocosì distinguere due forme della nostra coscienza, queste non sonodue coscienze diverse, ma solo due forme di una stessa coscienza:l'unica e sola coscienza che esiste. Il rapporto tra queste due forme

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di coscienza è simile al rapporto tra l'apparenza illusoria di unserpente e la corda che sta alla base e ne sostiene l'apparenzaillusoria.

Quando si cammina in una luce fioca, possiamo scambiare unacorda giacente a terra per un serpente. Poiché vediamo la cordacome un serpente, non riusciamo a vedere la corda com'è, e quindierroneamente pensiamo che ciò che si trova steso a terra è unserpente. Allo stesso modo, poiché noi sperimentiamo il nostro'essere-coscienza' come una 'coscienza che conosce', nonriusciamo a conoscere il nostro 'essere coscienza' com'è, e quindipensiamo erroneamente che l'unica forma di coscienza che esiste èla nostra 'coscienza che conosce'. Così come la corda sottende esostiene l'aspetto illusorio del serpente, così il nostro 'essere-coscienza' sottende e sostiene il transitorio aspetto della nostra'coscienza che conosce'.

Mentre la nostra 'coscienza che conosce' è un aspettotransitorio e illusorio, come il serpente; il nostro 'essere coscienza'non è un aspetto transitorio e irreale, ma è il nostro vero sé, ilnostro essere essenziale, che esiste ed è conosciuto da noi in ognimomento, in tutti i luoghi e in tutti gli stati. Dato che la nostra'coscienza che conosce', è quella che è comunemente chiamata lanostra 'mente', che appare nella veglia e nel sogno, ma scomparenel sonno, ed è impermanente, e quindi non può essere il nostrovero sé, la nostra vera e naturale forma di essere e di coscienza.

Dato che il nostro 'essere-coscienza', d'altra parte, esiste in tuttii tre stati di coscienza: veglia, sogno e sonno profondo; èpermanente, e quindi è il nostro vero sé, il vero cuore e l'essenzadel nostro essere: la nostra vera e naturale forma della coscienza.Poiché sia la forma 'essere' che la forma 'conoscere' della nostracoscienza sono sperimentate da noi nello stato di veglia, abbiamola scelta di dare attenzione sia ai pensieri, che ai sentimenti, cheagli oggetti e agli eventi che sono conosciuti dalla forma dellanostra coscienza che conosce, o allo 'Io sono' che è conosciutodalla forma essere della nostra coscienza.

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Quando ci occupiamo di altre cose diverse dal nostro essere,noi apparentemente diventiamo la nostra falsa forma di 'coscienzaconoscente', che è la nostra mente, mentre quando diamoattenzione solo al nostro essere, 'Io sono', rimaniamo come lanostra forma essenziale di non duale 'essere coscienza', che è ilnostro vero sé. La natura della nostra essenziale 'coscienza diessere' è solo quella di essere, e di non conoscere qualsiasi cosadiversa da sé. Poiché è la coscienza, conosce se stessasemplicemente essendo se stessa. La sua conoscenza di sé non èquindi un'azione, un 'fare' di qualsiasi tipo, ma è solo un 'essere'.Per conoscere il nostro vero sé, quindi, tutto ciò che dobbiamofare è solo essere.

Ciò che apparentemente ci impedisce di conoscere il nostrovero io, la nostra mera 'coscienza di essere': è il nostro 'fare', ilnostro attivarci per conoscere le cose che immaginiamo sianodiverse da noi stessi. Mentre conoscere noi stessi non è un 'fare',ma solo un 'essere', conoscere le altre cose è un'azione o 'fare'. Lanatura stessa della nostra 'coscienza di conoscere' o mente èquindi di fare costantemente. La nostra 'coscienza conoscente'viene in esistenza solo con un atto d'immaginazione:immaginando se stessa come un corpo, che crea col suo potere diimmaginazione.

Così non è altro che una forma d'immaginazione. Poiché è essastessa una fantasia, tutto ciò che conosce è anche una fantasia.Poiché immaginare, è un fare o azione, la stessa formazione dellanostra 'coscienza-conoscente' nella nostra immaginazione è unfare, ed è la prima di tutte le azioni. Poiché l'uscita della nostra'coscienza-conoscente' dal sonno è un fare o attod'immaginazione, tutto ciò a cui essa dà luogo , tutta la nostraconoscenza dualistica, che sorge in forma di pensieri, alcuni deiquali sembrano esistere esternamente come il nostro corpo e glialtri oggetti di questo mondo, è solo un prodotto del fare, unrisultato dei nostri ripetuti atti d'immaginazione.

Pertanto, dal momento che sorge dal sonno e fino al momento

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in cui rientra nuovamente nel sonno, la nostra mente o 'coscienzache conosce' è in uno stato di costante attività o fare. Senza fare,senza pensare o sapere qualcosa di altro da sé, la nostra mente nonpuò stare in piedi. Non appena cessa di fare, collassa nel sonno,che è uno stato di puro essere. Tuttavia, anche se nel sonnorimaniamo come il nostro semplice 'essere coscienza', in qualchemodo sembriamo mancare in questo stato di una chiarezza perfettadella conoscenza di sé.

Se avessimo chiaramente capito la nostra vera natura nelsonno, non potremmo più errare considerandoci un corpo oqualsiasi altra cosa che non c'è, e quindi non dovremmo risorgere{riattivarci} come la nostra 'coscienza che conosce' o 'mente'.Durante tutti i nostri normali tre stati di coscienza, sperimentiamoil nostro 'essere coscienza', come 'Io sono', anche se in qualchemodo lo immaginiamo oscurato da una mancanza di chiarezzadella conoscenza di sé.

Questa mancanza di chiarezza della vera conoscenza di sé èsolo immaginaria, ma poiché nella nostra immaginazione appareessere reale, ci permette di immaginare che siamo una 'coscienzaconoscente' nella veglia e nel sogno, e che non conosciamochiaramente noi stessi nel sonno profondo, quando quella'coscienza conoscente' è temporaneamente cessata. Comeesattamente siamo in grado di sostenere questa immaginariamancanza di chiarezza nella conoscenza del sé anche nel sonnonon può essere compreso dalla nostra mente o 'coscienzaconoscente'.

Tuttavia, se siamo in grado ora nel nostro attuale stato di vegliadi esaminare la nostra 'coscienza di essere' in modosufficientemente intenso, scopriremo che questa immaginariamancanza di chiarezza della conoscenza di sé non è mai realmenteesistita. Cioè, se volgiamo l'attenzione della nostra 'coscienzaconoscente' lontano da ogni forma di dualità e la focalizziamoprofondamente sulla nostra non duale 'coscienza di essere', cheabbiamo sempre sperimentiamo come 'Io sono', s'inizierà a

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sperimentare la nostra 'coscienza di essere' più chiaramente.Più chiaramente la sperimentiamo, più intensamente saremo in

grado di focalizzare la nostra attenzione su di essa. Con la praticacostante dell'attenzione al sé, saremo finalmente in grado difocalizzare la nostra attenzione così intensamente sulla nostra'coscienza di essere' che potremo viverla con chiarezza piena eperfetta. Quando saremo così venuti a sperimentare la nostra'coscienza di essere' con perfetta chiarezza, scopriremo che nonabbiamo mai sperimentato alcuna mancanza di chiarezza dellaconoscenza di sé.

La nostra 'coscienza di essere' conosce sempre se stessa,perfettamente chiara, e non ha mai sperimentato una mancanza dichiarezza della conoscenza di sé. La nostra mancanza apparente dichiarezza della conoscenza di sé è solo un'illusione, un prodottoirreale del nostro potere auto-ingannevole dell'immaginazione, edè vissuta solo dalla nostra mente o 'coscienza di conoscere'.Pertanto, non appena sperimentiamo la nostra 'coscienza di essere'con perfetta chiarezza, scopriremo che in realtà la nostraimmaginaria mancanza di chiarezza della conoscenza di sé èsempre inesistente, e quindi l'illusione di essa sarà distrutta persempre.

Poiché tutta la nostra esperienza della dualità o dellamolteplicità sorge solo nella nostra mente, e poiché la nostramente è costruita sul fondamento inconsistente della nostraimmaginaria mancanza di chiarezza della conoscenza di sé,quando questa nebbia: cioè l'immaginaria mancanza di chiarezza èdissolta nella chiara luce della pura coscienza di sé, la nostramente e tutta la dualità che ora sperimenta, spariranno per sempre,proprio come un sogno scompare non appena ci svegliamo dalsonno. Pertanto, nel versetto 1 dell'Ekatma Pañcakam Sri Ramanadice:

“Avendo dimenticato noi stessi [il nostro vero io, lanostra pura non corrotta coscienza 'Io sono'], avendo

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pensato '[questo] corpo è davvero me stesso', [e]avendo avuto [quindi] innumerevoli nascite [così] efinalmente conoscendo noi stessi [e] essendo noi stessiè proprio [come] il risveglio da un sogno divagabondare per il mondo. Credi [così]!”

Il nostro attuale stato di veglia è di fatto solo un sogno che sista verificando nel nostro lungo sonno della dimenticanza di sé odi mancanza di chiarezza della vera conoscenza di sé. Così finchéquesto sonno persiste, noi continueremo a sognare un sogno dopol'altro. Tra un sogno e l'altro possiamo riposare per un po' nelsonno senza sogni, ma tale riposo non può mai essere permanente.Il nostro sonno della dimenticanza di sé è immaginario, ma dalpunto di vista della nostra mente, che è un suo prodotto, sembraessere completamente reale.

Cioè, fintanto che ci sentiremo d'essere questa mente, nonpossiamo negare il fatto che ci sembra di mancare della chiaraconoscenza del nostro vero sé; in conseguenza di ciò, laconoscenza di noi stessi che ora sembriamo sperimentare èconfusa ed incerta. Questa mancanza di chiarezza della veraconoscenza di sé, è ciò che Sri Ramana descrive come'dimenticanza di sé'. Egli la descrive anche come un 'sonno',perché il sonno è uno stato in cui ci dimentichiamo della nostranormale veglia.

Proprio come nel nostro quotidiano sonno ci dimentichiamodella nostra presente veglia, così nel nostro sonno primordialed'immaginaria dimenticanza di sé sembriamo aver scordato ilnostro vero sé, che è la nostra sempre vigile coscienza del nostroessere essenziale e infinito.

Finché noi sperimentiamo questo stato d'immaginariadimenticanza di sé, non sperimentiamo noi stessi come siamoveramente: cioè come infinito e assoluto essere, coscienza infinitae assoluta, e infinita e assoluta felicità. Invece noi sperimentiamonoi stessi come un essere finito e relativo; una persona che sembra

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esistere ora, ma a quanto pare non esisteva prima della sua nascita,e apparentemente non esisterà dopo la sua morte. Una persona chea volte sorge come questa coscienza finita e relativa che noichiamiamo la nostra mente, e talvolta scompare nello statod'incoscienza relativa che noi chiamiamo sonno; una persona chesperimenta solo la felicità finita e relativa, mescolata con infelicitàugualmente finita e relativa.

Nello stato d'incoscienza relativa che chiamiamo sonno, nonsperimentiamo noi stessi come una persona, ma semplicementecome la nostra felice coscienza di essere. Anche se nel sonno inrealtà non sperimentiamo alcuna forma di relatività o limitatezza,dal punto di vista della nostra presente mente di veglia dobbiamodire che il sonno è solo uno stato relativo e quindi uno stato finitoperché è uno stato nel quale ci sembra entrare e da cui ci sembradi uscire ripetutamente.

Pertanto, se il sonno non è finito in se stesso, rispetto ai nostrialtri due stati, veglia e sogno, sembra essere finito. Poiché il sonnoè uno stato in cui la nostra mente non è attiva, esso trascende lanostra mente, e quindi non può essere definito categoricamente sesia finito o infinito, o se sia relativo o assoluto. Dal punto di vistadella nostra mente, il sonno è uno stato finito e relativo, ma dalpunto di vista della nostra vera non duale coscienza di sé, 'Iosono', è il nostro stato reale e naturale di infinito assoluto essere,infinita e assoluta coscienza, e infinita e assoluta felicità.

Quello che in realtà sperimentiamo nel sonno è solo la nostracoscienza non duale del nostro essere essenziale, 'Io sono', in talemodo il sonno è uno stato privo di qualsiasi forma di relatività olimitatezza. Ciò che fa sembrare il sonno come uno stato relativo efinito è il sorgere della nostra mente nei due stati veramenterelativi e finiti di veglia e sogno. Come Sri Sadhu Om diceva, sealziamo due pareti in un vasto spazio aperto, quest'unico spazioaperto sembrerà diviso in tre spazi ristretti. Allo stesso modo,quando la nostra mente immagina l'esistenza di due diversi tipi dicorpi: il corpo che immagina essere se stessa nel suo stato attuale,

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che considera la veglia, e il corpo che immagina di essere sestesso in un altro stato che considera essere il sogno.

Lo spazio infinito del nostro vero e assoluto essereautocosciente sembra essere diviso in tre distinti e quindi finitistati, che noi chiamiamo veglia, sogno e sonno. In realtà, lo statoche noi ora chiamiamo 'sonno' è il nostro vero, naturale, infinitostato di assoluta e pura autocoscienza. Tuttavia, fintanto che cisentiamo di essere questa coscienza relativa e finita che noichiamiamo la nostra mente, non possiamo conoscere il sonnocome realmente è.

Cioè, giacché non sperimentiamo la nostra fondamentaleautocoscienza 'Io sono', nella sua vera pura forma, nel nostropresente stato di veglia, dal punto di vista di questo stato di veglianon siamo in grado di riconoscere il fatto che abbiamo esperienzadella nostra coscienza del sé 'Io sono' nella sua vera pura formanel sonno. Pertanto, al fine di scoprire ciò che abbiamo realmentevissuto nel sonno, dobbiamo sperimentare la nostra fondamentalecoscienza di sé 'Io sono' nella sua vera forma pura nel nostropresente stato di veglia.

Dal punto di vista del nostro vero sé, che è la non dualecoscienza, che non conosce nulla di diverso da sé, lo stato che noichiamiamo sonno è uno stato d'infinita, assoluta e pura coscienzadel sé. Tuttavia, dalla prospettiva del nostro sé reale, i nostri altridue stati, che chiamiamo veglia e sogno, sono ugualmente statid'infinita, assoluta e pura coscienza del sé. Cioè, nell'infinitaprospettiva del nostro vero sé, vi è solo uno stato, e questo stato èla nostra unica, non duale, vera e naturale coscienza assoluta delnostro essere essenziale, 'Io sono'.

Tuttavia, nella prospettiva limitata e distorta della nostra mente,il nostro unico vero stato di non duale coscienza di sé sembrapoter essere tre stati distinti, che chiamiamo veglia, sogno esonno. Poiché dal punto di vista della nostra mente di veglia e disogno il sonno sembra essere uno stato separato, che esisterelativo alla veglia e al sogno, ci sembra ora essere uno stato

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limitato di relativa incoscienza: una condizione che deriva da unatemporanea dimenticanza del nostro sé di veglia e sogno, che èquella coscienza oggettivante {conosci-oggetti}, che noichiamiamo la nostra mente.

La maggior parte delle forme di filosofia e di scienza sonointeressate solo, o almeno principalmente a ciò che sperimentiamonel nostro presente stato di veglia. Anche quando studiano i nostrialtri due stati, il sogno e il sonno, lo fanno solo dalla prospettivadella nostra mente di veglia. Pertanto, poiché tali forme difilosofia e di scienza sono centrate attorno all'esperienza dellanostra mente di veglia, tendono a considerare la nostra esperienzanegli altri nostri due stati come solo di secondaria importanza.

Tuttavia, nella nostra ricerca per la realtà assoluta, il sogno e ilsonno sono entrambi cruciali e importanti stati di coscienza,giacché ognuno di loro da essenziali indizi riguardanti la veranatura del nostro vero sé. Il sogno è importante per noi perchédimostra chiaramente il fatto che la nostra mente ha un poteremeraviglioso d'immaginazione con cui non è solo in grado dicreare un corpo e un intero mondo, ma è anche in grado di illuderese stessa scambiando la propria creazione immaginaria comereale.

Il sonno è importante per noi perché dimostra chiaramente ilfatto che possiamo esistere ed essere consapevoli della nostraesistenza, anche in assenza della nostra mente. Nella nostra ricercadella realtà assoluta, che trascende tutti i limiti creati dalla nostramente, il sonno è, infatti, il più importante dei nostri tre stati dicoscienza, perché è l'unico stato in cui sperimentiamo la nostraconoscenza fondamentale, la nostra fondamentale autocoscienza,'Io sono', priva di qualsiasi altra conoscenza.

Non solo il sonno ci fornisce la prova incontrovertibile del fattoche la nostra natura essenziale è solo la nostra non duale coscienzadi sé, la nostra coscienza genuina del nostro essere, 'Io sono'; maci fornisce anche l'indizio vitale di cui abbiamo bisogno peresercitare efficacemente l'auto-indagine. Cioè, auto-indagine o

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auto-esame, che è la ricerca pratica che dobbiamo svolgere, al finedi sperimentare la vera conoscenza di sé, è uno stato di coscienzadi sé non duale: uno stato in cui consapevolmente restiamo comenull'altro che il nostro essenziale essere auto-cosciente.

Se non avessimo avuto un assaggio di questa non dualecoscienza di sé nel sonno, sarebbe difficile per la nostra mente(che è sempre abituata a vivere solo nella dualità o alterità in tutti isuoi due stati di attività: veglia e sogno) comprendere ciò chequesto stato di non duale autocoscienza sia in realtà, e, quindi,quando tentiamo di praticare l'auto-indagine, che Sri Ramana harivelato a noi essere l'unico mezzo attraverso il quale possiamosperimentare la vera conoscenza del se, non sarebbe per noi cosìfacile di permanere consapevolmente come la nostra essenzialeautocoscienza di essere, 'Io sono'.

Sri Ramana ha talvolta descritto il sonno come un esempio delnostro vero stato di non duale coscienza di sé, e altre volte l'hadescritto come un immaginario stato di oblio di sé. Perché si èriferito al sonno in questi due diversi modi, che sonoapparentemente contraddittori? Il sonno sembra essere uno statodi oblio di sé solo dal punto di vista della nostra mente, che è essastessa un prodotto immaginario della nostra apparente auto-dimenticanza.

Se non avessimo apparentemente dimenticato il nostro vero sé,non potremmo ora immaginare noi stessi come questa mente, chesembra essere qualcosa di diverso dal nostro vero sé: la nostravera non duale coscienza del proprio essenziale essere o 'Io sono'.Pertanto, anche se la nostra dimenticanza del sé è veramenteimmaginaria, dal punto di vista della nostra mente è un fatto che èinnegabilmente reale. La nostra immaginaria dimenticanza del séè come un sonno.

Proprio come il sonno è oscurità apparente o mancanza dichiarezza, senza la quale nessun sogno potrebbe apparire, così ilnostro oblio di sé è l'oscurità apparente o la mancanza di chiarezzasenza la quale non potremmo immaginare di sperimentare gli stati

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di dualistica conoscenza che noi chiamiamo veglia e sogno. Anchese la nostra mente scompare ogni giorno nel sonno, riappare dalsonno appena ha recuperato energia sufficiente per impegnarsi inun altro periodo di attività.

Risulta, quindi, che nel sonno la nostra mente in qualche modocontinua ad esistere in forma di seme: una forma dormiente e nonmanifesta, che ancora una volta si manifesterà non appena lecondizioni diventeranno favorevoli; le condizioni favorevoli inquesto caso sono un accumulo interno di energia sufficiente perdiventare attiva ancora una volta. Dal momento che la nostramente riappare dopo un periodo di riposo nel sonno, dallaprospettiva di questa mente la nostra idea che nel sonnocontinuiamo a ignorare o dimenticarci del nostro vero sé (la nostravera non duale coscienza del nostro essere essenziale, 'Io sono')sembra essere del tutto vera.

Pertanto, quando parlava dal punto di vista della nostra mente,Sri Ramana ha descritto il sonno come uno stato immaginario dioblio del sé. Tuttavia, quando analizziamo la nostra esperienza nelsonno più profondamente, come abbiamo fatto in questo capitolo,diventa chiaro che se ora immaginiamo che non abbiamo avutonessuna esperienza nel sonno, abbiamo, di fatto, sperimentato lanostra coscienza fondamentale del nostro essere essenziale, 'Iosono'.

Pertanto, anche se il sonno non appare alla nostra mente diveglia essere uno stato di dimenticanza del sé, in una più attentaconsiderazione non possiamo negare che, in effetti, abbiamo avutol'esperienza della nostra naturale ed eterna coscienza del Se anchenel sonno. Quindi, quando si parla dalla prospettiva dell'assolutarealtà, (che è la nostra infinita autocoscienza, 'Io sono'), SriRamana ha usato descrivere il sonno come il nostro vero stato dinon duale coscienza di sé. La verità è che effettivamente sappiamoche siamo anche nel sonno.

Tuttavia, anche se nel sonno sappiamo ciò che siamo, ci sembradi non sapere ciò che siamo. Tuttavia, anche se ci sembra di non

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sapere ciò che siamo nel sonno, si dovrebbe ricordare che questaignoranza apparente o dimenticanza del nostro vero sé nel sonno èimmaginaria e quindi irreale, proprio come la nostra attualeignoranza o dimenticanza del nostro vero sé è immaginaria eirreale. Non abbiamo mai veramente dimenticato il nostro vero io,e non siamo mai stati ignoranti di esso. Noi immaginiamo solo dinon conoscere come siamo veramente.

Tuttavia, come Sri Ramana ci ha ripetutamente sottolineato,questa immaginaria auto-ignoranza o dimenticanza di sé è vissutasolo dalla nostra mente, e non dal nostro vero sé, che sisperimenta sempre come infinita ed eternamente felice coscienzadi solo essere Dato che nel sonno non sperimentiamo la nostramente, che da sola immagina l'esistenza della dimenticanza di sé,il sonno non può davvero essere uno stato di auto dimenticanza.Infatti, nel sonno la coscienza individuale non esiste persperimentare la dimenticanza di sé. Tutto ciò che esiste nel sonno,è la nostra pura coscienza del proprio sé reale o essere essenziale,'Io sono'.

Pertanto, sebbene la verità relativa sul sonno sia che si tratta diuno stato di oblio, la verità assoluta sul sonno è che si tratta di unostato di perfetta coscienza di sé o di conoscenza di sé. Tuttavia,anche se la verità assoluta è che il sonno è uno stato di non dualeinfinita autocoscienza, che è l'unica realtà esistente, fintantochéimmaginiamo noi stessi di essere questa mente, per tutti gli scopipratici dobbiamo concedere che il sonno effettivamente sembraessere un relativo stato di auto-dimenticanza. Solo sericonosciamo il fatto che l'unica causa dell'apparire della nostramente è il nostro immaginario oblio di sé o auto-ignoranza,saremo in grado di capire che l'unico mezzo attraverso il quale noipossiamo trascendere le limitazioni che sono apparentementeimposte su di noi dalla nostra mente, è quello di distruggerequesta illusione di oblio di sé.

Per distruggere questa illusione, dobbiamo conoscere il nostrosé come siamo veramente, e per conoscere noi stessi come siamo

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veramente, dobbiamo dare attenzione {concentrarci su} a noistessi: alla coscienza fondamentale del nostro essere essenziale,'Io sono'. Pertanto, sebbene Sri Ramana abbia sperimentato laverità assoluta: la verità che non abbiamo mai veramentedimenticato, perché siamo la perfezione non duale della coscienzadi sé (che non sa nulla di diverso da se stessa), nei suoiinsegnamenti ha accettato la relativa realtà del nostro presenteimmaginario oblio di sé o auto-ignoranza.

Questo è il motivo per cui ha iniziato il versetto dell'EkatmaPañcakam con le parole: “Avendo dimenticato noi stessi”. Dopoaver detto: “Avendo dimenticato noi stessi”, Sri Ramana dice:“Avendo pensato [Questo] corpo essere davvero me stesso”,perché la nostra attuale immaginazione che siamo questo corpo simanifesta come risultato della nostra dimenticanza di sé. Seconosciamo chiaramente quello che siamo veramente, nonpotremmo immaginare noi stessi di essere qualcosa che nonsiamo.

Quindi non potremmo immaginarci di essere questo corpo senon avessimo prima immaginato la nostra apparente dimenticanzadi sé o la mancanza di chiarezza della coscienza del sé. Ogni voltache la nostra mente diventa attiva, sia nella veglia sia nel sogno,prima s'immagina di essere un corpo, e poi attraverso i cinquesensi di tale corpo immaginario percepisce un mondoimmaginario. La nostra mente non può funzionare senza primalimitarsi entro i confini di un corpo immaginario, cheerroneamente crede di essere 'io'.

Quindi la nostra mente è intrinsecamente limitata e quindi unaforma distorta di coscienza. Senza immaginare se stessa di esserequalcosa di finito, la nostra mente non potrebbe immaginare tuttociò che è altro da sé. Tutte le alterità o dualità sonoimmaginazione che possono venire in esistenza solo quandoimmaginiamo noi stessi di essere una coscienza separata e quindifinita. Anche se siamo in realtà l'infinita coscienza di solo essere(l'essenziale non duale autocoscienza 'Io sono'): noi immaginiamo

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di essere questa coscienza che conosce gli oggetti finiti che noichiamiamo la nostra mente.

Tutto ciò che noi conosciamo come diverso da noi stessi, tutti inostri pensieri, sentimenti e percezioni, sono solo prodotti dellanostra immaginazione, e appaiono esistere solo perché noiimmaginiamo noi stessi di essere qualcosa di separato da loro. Nelsonno sperimentiamo la nostra non duale coscienza di sé: 'Iosono', ma non sperimentiamo ogni alterità, separazione o dualità.Anche nella veglia e nel sogno noi sperimentiamo la stessa non-duale coscienza di sé: 'Io sono', ma con essa noi sperimentiamoanche l'illusione di altre cose, separazioni o dualità.

Nulla di ciò che sperimentiamo è in realtà diverso dalla nostraessenziale coscienza. La nostra coscienza è la sostanzafondamentale che appare come tutte le altre cose. Le altre cosesono tutti prodotti della nostra immaginazione. Quello chechiamiamo la nostra immaginazione è un potere o facoltà che lanostra coscienza possiede per modificare se stessa apparentementenella forma dei nostri pensieri, sentimenti e percezioni. Quandoimmaginiamo la nostra esperienza di pensieri, sentimenti epercezioni, creiamo una separazione apparente tra noi stessi equesti oggetti della nostra coscienza.

Quindi se non abbiamo prima immaginato di essere noi stessiqualcosa di separato, qualcosa di limitato o finito, non avremmopotuto sperimentare nulla come diverso da noi stessi. Quindi, perimmaginare l'esistenza delle cose diverse da noi stessi, dobbiamocominciare immaginando il nostro sé essere una tra le molte cosefinite che noi immaginiamo così. Pertanto, al fine di sperimentareun mondo, sia questo mondo che noi percepiamo nel nostropresente stato di veglia o sia il mondo che percepiamo in unoqualsiasi dei nostri altri sogni, dobbiamo immaginare allo stessotempo di essere un corpo particolare in quel mondo.

Possiamo riconoscere chiaramente questo fatto quandoconsideriamo la nostra esperienza in sogno. Noi nonsperimentiamo un sogno nella stessa maniera che sperimentiamo

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Chi Sono Io?

uno spettacolo al cinema Quando guardiamo un programma dicinema o della televisione, noi ci vediamo come uno spettatoreche esiste al di fuori dell'immagine in movimento che stiamoguardando, ma quando viviamo un sogno, noi sperimentiamo noistessi come una persona, un corpo e una mente, che è una partedel mondo di sogno che stiamo vivendo.

Allo stesso modo, quando sperimentiamo il nostro attuale statodi veglia, noi sperimentiamo noi stessi come una persona, uncorpo e una mente, che è una parte di questo mondo di veglia chestiamo vivendo. La coscienza che sperimenta sia la veglia che ilsogno è la nostra mente, e la nostra mente si sperimenta semprecome un corpo particolare, che è una parte del mondo che stavivendo. Se non ci limitiamo come un corpo e come una mente,legata a un corpo, non possiamo sperimentare nulla come diversoda noi stessi, perché in realtà siamo l'illimitata coscienza in cuiappare questo intero sogno della dualità.

Poiché siamo la coscienza infinita in cui tutte le cose appaionoe scompaiono, solo noi esistiamo veramente, e niente che sembraesistere può davvero essere altro che noi stessi. Pertanto, la nostravera coscienza non può mai conoscere nulla di diverso da sé: ilnostro vero sé o essere essenziale, 'Io sono'. Tutta l'alterità èvissuta solo dalla nostra mente, che è la forma limitata e distortadella nostra vera coscienza.

Un sogno appare in realtà all'interno della nostra mente, maessa sperimenta se stessa come un corpo che esiste all'interno diquel sogno. Tale è l'auto-illusorio potere della nostraimmaginazione. Pertanto, nel versetto tre dell'Ekatma PañcakamSri Ramana dice:

“Quando [il nostro] corpo esiste dentro noi stessi[che siamo la coscienza di base in cui compaiono tuttele cose], una persona che pensa se stessa [o lei stessa]come essere esistente all'interno di questo incosciente[materiale] corpo è come qualcuno che pensa che lo

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schermo, [che è] l'Adhara [il supporto sottostante obase] di un'immagine [cinema], esiste all'interno ditale quadro”.

Nella versione kaliveṇbā di Ēkātma Pañcakam Sri Ramana haaggiunto la parola composta 'sat-cit-ānanda', che significa'essere-coscienza-beatitudine', prima della parola iniziale diquesto versetto, taṉṉuḷ o 'entro [il nostro] sé', in tal modoricordandoci che ciò che siamo, in sostanza, è solo laperfettamente tranquilla coscienza di essere, 'Io sono'.

Al di fuori della nostra coscienza di base del nostro essere,tutto ciò che sappiamo appare all'interno della forma distorta delconoscitore di oggetti {oggettivante} della nostra coscienza chechiamiamo la nostra mente, che sorge dentro di noi durante laveglia e il sogno e scompare di nuovo in noi durante il sonno. Lanostra vera coscienza di essere, la nostra fondamentaleautocoscienza 'Io sono', è dunque come lo schermo su cui èproiettata un'immagine di cinema, perché è quel fondamentaleAdhara o base sottostante che supporta la comparsa e lascomparsa della nostra mente e di tutto ciò che è noto attraversoessa. Proprio come un sogno appare all'interno della nostra mente,così tutto ciò di cui abbiamo esperienza in questo stato di vegliaappare all'interno della nostra mente.

Tuttavia, sebbene il mondo che noi oggi percepiamo è vissutoda noi all'interno della nostra mente, noi immaginiamo di essereun corpo particolare, che è uno tra i molti oggetti che esistono inquesto mondo. Quindi se vogliamo conoscere la verità su noistessi e questo mondo, non dovremmo forse determinare quale diqueste due esperienze contrastanti è reale e qual'è un'illusione?Questo mondo esiste davvero solo nella nostra mente, o è la nostramente qualcosa che esiste davvero solo all'interno di unparticolare corpo in questo mondo?

È questo intero universo, che sembra essere così vasto, che siestende senza alcun limite conosciuto nel tempo o nello spazio, è

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solo una serie di pensieri nella nostra mente, o siamosemplicemente una persona insignificante che vive per alcunibrevi anni in un piccolo angolo di quest'universo? In altre parole,è tutto questo mondo davvero in noi, o siamo noi realmente inesso? Se questo corpo e mondo, in realtà esiste solo nella nostramente, come il corpo e il mondo che viviamo in un sogno, lanostra esperienza che siamo confinati entro i limiti di questo corponon può essere reale, e deve quindi essere un'illusione.

Potremmo sapere che è reale, e non un'illusione, solo sepotessimo rivelare a noi stessi che questo corpo e mondo esistonodavvero al di fuori e indipendente dalla nostra mente. Potremomai dimostrare a noi stessi che tutto ciò che sappiamo esisteindipendente dalla nostra mente? No, tranne la nostraautocoscienza {coscienza del sé} essenziale, 'Io sono', chesperimentiamo nel sonno, in assenza della nostra mente, nonpossiamo dimostrare a noi stessi che tutto sia più di una sempliceimmaginazione che è creata e sperimentata solo nella e dallanostra mente.

Tutto quello che sappiamo del nostro corpo e di questo mondosono solo pensieri o immagini mentali di loro che abbiamoformate nella nostra mente col nostro potere d'immaginazione.Tranne la nostra coscienza fondamentale del nostro essere, 'Iosono', tutto quello che sappiamo può essere conosciuto da noi soloall'interno della nostra mente. La nostra convinzione che il nostrocorpo e questo mondo esistono davvero fuori dalla nostra mente èsolo un pio desiderio. È una credenza cieca perché non si basa sunessuna prova adeguata, ed è quindi senza alcun fondamentoreale.

Quando noi conosciamo, in questo stato di veglia, che il mondoche abbiamo percepito e il corpo che abbiamo confuso come noistessi in un sogno, erano in realtà solo finzione della nostraimmaginazione, e quindi esistevano solo nella nostra mente, qualiragionevoli motivi abbiamo per credere che il nostro corpopresente e il mondo che noi ora percepiamo {nella veglia} siano

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qualcosa di più che semplici invenzioni della nostraimmaginazione?

Nel paragrafo XVIII di 'Nan Yar?', Sri Ramana dice:

“Ad eccezione della veglia che è dīrgha [di lungadurata] e il sogno che è kṣaṇika [momentaneo oduraturo solo per un breve periodo], non c'è altradifferenza [tra questi due stati immaginari di attivitàmentale]. Per la durata in cui tutti i vyavahāras[azioni, attività, affari o eventi] accadono nella veglia,appaiono [in questo momento presente] come reali; inquel [stesso] modo anche le vyavahāras che accadononel sogno appaiono in quel momento come reali. Nelsogno la [nostra] mente prende un altro corpo [peressere se stessa]. In entrambi gli stati di veglia e disogno si verificano pensieri, nomi e forme [gli oggettidel mondo apparentemente esterno] in una sola volta[cioè, contemporaneamente]”.

Anche se nella prima frase del presente paragrafo Sri Ramanadice che l'unica differenza tra la veglia e il sogno è nella lorodurata relativa; la veglia è lunga e il sogno è breve, nel versetto560 della Guru Vācaka Kovai lui sottolinea che anche questadifferenza è solo un'illusione:

“La risposta, che ha dichiarato che il sogno apparee scompare momentaneamente, [mentre] la vegliaperdura per lungo tempo, è stata data come unarisposta consolante alla domanda posta [cioè, era unaconcessione fatta secondo il livello di comprensionedell'interlocutore]. [In realtà il tempo è solo unprodotto della nostra immaginazione mentale, e quindil'illusione che la veglia dura per un lungo tempo ed ilsogno è momentaneo è] un trucco ingannevole che si

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verifica a causa dell'adesione della mente a maya [ilnostro potere di maya o illusione di sé, che simanifesta nella forma della nostra mente]”.

Poiché il tempo è un parto della nostra immaginazione, nonsiamo in grado di misurare la durata di un solo stato con lostandard di tempo che sperimentiamo in un altro stato. Possiamosperimentare un sogno che sembra durare a lungo, ma quando cisvegliamo potremmo scoprire che in base al tempo vissuto inquesto stato di veglia, abbiamo dormito solo per pochi minuti.

Anche se ora può sembrare che il nostro attuale stato di vegliadura per molte ore ogni giorno, e riprende ogni giorno per moltianni, e che in contrasto ogni nostro sogno dura solo per un breveperiodo di tempo, questa distinzione apparente sembra essere realesolo nella prospettiva della nostra mente in questo stato di veglia.Nel sogno la nostra stessa mente sperimenta quel sogno come sefosse uno stato di veglia, e immagina che si tratti di uno stato chedura per molte ore ogni giorno, e riprende ogni giorno per moltianni.

Il tempo è una fantasia che non sperimentiamo nel sonno, ma èuna parte di ognuno dei mondi che sperimentiamo nella veglia enel sogno. Poiché il mondo che abbiamo vissuto in un sogno non èlo stesso mondo che sperimentiamo ora, in questo presente stato diveglia, il tempo che abbiamo sperimentato come parte di talemondo di sogno non è lo stesso tempo che stiamo vivendo adesso.Pertanto se cerchiamo di giudicare la durata del sogno dallostandard del tempo che abbiamo sperimentare ora, il nostrogiudizio sarà inevitabilmente distorto e quindi non valido. Larealtà relativa di tutto ciò che sperimentiamo nella veglia e nelsogno non può essere giudicata correttamente da uno di questi duestati.

Quando stiamo sognando, ci sbagliamo ritenendo reale tuttociò che sperimentiamo in quel sogno, ma quando siamo nel nostropresente stato di veglia, ci rendiamo conto che tutto ciò che

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abbiamo sperimentato in quel sogno è in realtà un parto dellanostra immaginazione. Siamo in grado di giudicare correttamentela realtà di tutto ciò che abbiamo vissuto in sogno solo quandousciamo fuori da quel sogno nel nostro attuale stato di veglia, cosìsaremo in grado di giudicare correttamente la realtà di tutto ciòche sperimentiamo ora in questo cosiddetto stato di veglia soloquando usciremo fuori in qualche altro stato che lo trascende.

Dal punto di vista dello stato che tutto trascende della veraconoscenza di sé, che è lo stato di non duale, e quindi assolutacoscienza del sé, Sri Ramana e altri saggi sono stati in grado digiudicare correttamente la realtà relativa di tutto ciò chesperimentiamo nella veglia e nel sogno, e hanno testimoniato ilfatto che questi due stati sono ugualmente irreali, perché sonoentrambi mero frutto della nostra immaginazione.

Nella seconda frase del paragrafo XVIII di Nāṉ Yār? SriRamana dice:

“Nella misura in cui tutti gli eventi che accadononella veglia sembrano essere reali, nella stessa misuraanche gli eventi che accadono nel sogno appaiono inquel momento essere reali”.

Questo è un fatto che noi tutti conosciamo con la nostraesperienza, ma quale inferenza dovremmo trarne? Poiché orasappiamo che tutto ciò che abbiamo vissuto in un sogno eranosolo i nostri pensieri, anche se in quel momento sembravanoessere reali come ora sembra esserlo tutto ciò che sperimentiamoin questo stato di veglia, non è forse ragionevole per noi dedurreche tutto ciò che sperimentiamo in questo stato di veglia sonoprobabilmente soltanto i nostri pensieri?

Anche se questa è una deduzione logica da ricavare, possiamoverificarla con certezza solo quando constatiamo la verità su noistessi. Se non sappiamo dalla nostra esperienza ciò che realmentesiamo, non possiamo essere sicuri della realtà di qualsiasi altra

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cosa che conosciamo. Per conoscere noi stessi, dobbiamoprofondamente esaminare con attenzione noi stessi: cioè,dobbiamo concentrare la nostra attenzione interamente edesclusivamente sulla nostra essenziale coscienza del nostro essere,'Io sono'.

Finché abbiamo qualche desiderio, attaccamento, paura oavversione per qualcosa di diverso dalla nostra essenzialecoscienza del sé, ogni volta che cerchiamo di focalizzare la nostraattenzione sul nostro sé, saremo distratti dai nostri pensieri o daqualsiasi altra cosa desideriamo, o dalla paura o da ciò chesentiamo avverso. E finché noi crediamo che esistano quelle altrecose al di fuori della nostra immaginazione e quindi reali per lorodiritto, non saremo in grado di liberare noi stessi dal nostrodesiderio, attaccamento, paura o avversione per loro. Quindi peraiutarci a liberare noi stessi da tutti i nostri desideri, attaccamenti,paure e avversioni, Sri Ramana e altri saggi ci insegnano la veritàche tutto al di fuori della nostra coscienza del sé, 'Io sono', èirreale, essendo un mero frutto della nostra immaginazione.

Questo è il motivo per cui nel versetto 559 della Guru VācakaKovai ha confermato la deduzione che possiamo trarre dal fattoche tutto ciò che abbiamo vissuto in un sogno, sembrava esserereale come ora sembra essere reale quello che abbiamosperimentato in questo stato di veglia, dichiarando esplicitamente:

“Se il sogno, che è apparso [ed è stato vissuto danoi come se fosse reale], è un mero turbinio di [nostri]pensieri, la veglia, che [ora] si è verificata [ed èvissuta da noi come se fosse reale], è anche di quella[stessa] natura [cioè, è puro vortice di nostri pensieri]Tanto reali come gli avvenimenti nella veglia, che[ora] si è verificata, [sembrano essere in questomomento presente], così reali come [gli eventi in]sogno [sembravano essere] in quel momento”.

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Sri Ramana afferma con forza che veglia e sogno sonoentrambe un 'mero vortice di pensieri'. Cioè, ciascuno di essi èuna serie d'immagini mentali che formiamo nella nostra mente colnostro potere dell'immaginazione. In altre parole, tranne la nostrafondamentale coscienza del sé 'Io sono', tutto quello che abbiamosperimentato sia nella veglia sia nel sogno è solo il frutto dellanostra immaginazione.

Lo Stato che noi oggi sperimentiamo come veglia è in realtàsolo un altro sogno. Proprio come ora ci sbagliamo ritenendo ilnostro stato attuale uno stato di veglia, nello stesso modo in unsogno confondiamo come veglia il nostro stato in quel momento.Abbiamo sempre ritenuto erroneamente, qualunque stato si stiaattraversando, come il nostro stato di veglia, e considerato tutti inostri altri stati come sogni. Ciò che distingue uno stato di sognoda un altro è che in ciascuno di tali stati, o serie di tali stati,consideriamo un corpo diverso essere noi stessi.

Poiché ricordiamo una serie di stati consecutivi in cui abbiamoscambiato noi stessi come lo stesso corpo, che ora ci illudiamo noistessi di essere, riteniamo ciascuno di tali stati essere una ripresadi questo stesso stato di veglia. Tuttavia, ricordiamo anche altristati in cui abbiamo scambiato noi stessi di essere come diversialtri corpi, e quindi consideriamo quegli altri stati come sogni.

Poiché assumiamo vari corpi diversi come noi stessi, ciò ci faimmaginare che ci sia una distinzione fondamentale tra il nostropresente cosiddetto stato di veglia e gli altri nostri stati di sogno.Nella terza frase del paragrafo XVIII di 'Nan Yar?', Sri Ramanadice: “Nel sogno la [nostra] mente prende un altro corpo”. Nelnostro attuale stato di sogno, noi consideriamo alcuni altri stati disogno come reali, perché in essi abbiamo preso lo stesso corpocome noi stessi, ma riteniamo altri stati del sogno di essere irreali,perché in loro abbiamo scambiato altri corpi come noi stessi.

Come facciamo esattamente noi a prendere un altro corpo inognuno dei nostri sogni? In un sogno immaginiamo l'esistenza diun altro corpo, e abbiamo immaginato contemporaneamente che

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quel corpo sia noi stessi. Allo stesso modo, nel nostro presentestato di cosiddetta veglia immaginiamo l'esistenza di questo corpoe contemporaneamente lo immaginiamo di essere noi stessi.

Proprio come il corpo che abbiamo scambiato come noi stessiin un sogno era solo un prodotto della nostra immaginazione, cosìquesto corpo che ora scambiamo di essere noi stessi è solo unprodotto della nostra immaginazione. Il rapporto tra noi stessi e ilnostro corpo è simile al rapporto tra oro e un ornamento d'oro.Proprio come l'oro è quella sostanza di cui l'ornamento è fatto,quindi noi siamo l'unica sostanza di cui il nostro corpo e tutti glialtri oggetti di questo mondo sono fatti. Pertanto nel versetto 4dell'Ēkātma Pañcakam Sri Ramana dice:

“È [un] ornamento diverso dall'oro [di cui è fatto]?Avendo separato [liberato o districato] noi stessi daquello, quale [o come] è il [nostro] corpo? Uno chepensa a se stesso [o se stessa] di essere [solo unlimitato] corpo è un ajñāni [una persona che èignorante del nostro unico reale, infinito e non dualesé], [mentre] colui che prende [se stesso] essere [nullaaltro che il nostro unico vero] il sé è un jñāni, [unsaggio] che ha conosciuto [questo unico vero] sé.Conosci [te stesso così come questo sé infinito]”.

Nella versione kaliveṇbā di Ēkātma Pañcakam Sri Ramana haaggiunto la parola vattuvām, che significa 'che è la sostanza',prima della parola iniziale di questo versetto, poṉ o 'oro'. Laparola vattu è una forma Tamil della parola Sanscrita vastu, chesignifica 'sostanza', 'essenza' o 'realtà', e che è una parola cheviene spesso utilizzata in filosofia per indicare l'assoluta realtà, ilnostro essere cosciente di sé, che è l'unica sostanza essenzialedalla quale si formano tutte le cose.

Poiché Sri Ramana sta qui usando l'oro come un'analogia per ilnostro vero sé, descrivendo oro come vastu o 'sostanza', vuole

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dire che siamo noi stessi quella reale sostanza di cui il nostrocorpo e tutte le altre cose sono solo forme immaginarie.

La domanda retorica: “Avendo separato noi stessi, qual è il[nostro] corpo?” esprime due verità strettamente correlate. Inprimo luogo, esprime la verità che il nostro corpo attuale nonesiste quando ci separiamo noi stessi da esso, come facciamo sianel sonno sia nel sogno. In secondo luogo, e in questo contesto èpiù importante, questa domanda è un modo idiomatico diesprimere la verità che, come un ornamento non può essere altroche l'oro di cui è fatto, quindi il nostro corpo non può essere altroche il nostro vero sé, che è quella sostanza di cui tutte le cose sonofatte. Cioè, noi siamo la coscienza, e tutto ciò che sappiamo è solouna forma o immagine che appare nella nostra coscienza cioè innoi, come le onde che appaiono sulla superficie del mare.

Così come l'acqua di mare è l'unica sostanza di cui si formanotutte le onde, così la nostra coscienza è l'unica sostanza di cui tuttii nostri pensieri: cioè, tutti gli oggetti conosciuti da noi, compresoil nostro corpo, si formano. Il nostro corpo, e tutto ciò chesappiamo, sono solo una serie di pensieri o immagini mentali, cheformiamo nella nostra mente col nostro potere d'immaginazione.Poiché ogni cosa al di fuori della nostra coscienza è solo un fruttodella nostra immaginazione, la nostra coscienza sola è reale, equindi è l'unica vera sostanza di cui sono formate tutte le altrecose.

Nella frase finale del paragrafo XVIII di 'Nan Yar?', SriRamana dice:

“In entrambi gli stati di veglia e sogno, pensieri,nomi e forme si verificano contemporaneamente”.

In questo contesto, la forma plurale della parola composta'nāma-rūpa', che letteralmente significa 'nome-forme' e che hotradotto come 'nomi e forme', denota tutti gli oggetti del mondo,che noi immaginiamo che esistano al di fuori di noi stessi.

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In ognuno dei nostri stati di attività mentale, sia cheimmaginiamo quello stato come veglia o sogno, sperimentiamo ilfatto che gli oggetti che riconosciamo come essere semplicementepensieri che abbiamo formati nella nostra mente, e gli oggetti chesembrano esistere al di fuori di noi stessi, entrambi appaionosimultaneamente. Pertanto, nel versetto 555 della Guru VācakaKōvai Sri Ramana dice:

“I saggi dicono che questi [due statiapparentemente diversi] che sono chiamati veglia esogno sono [entrambi] creazioni della nostra confusa[agitata e illusa] mente, [perché] in entrambi [stati]chiamati veglia e sogno pensieri e nomi e formeentrano in esistenza simultaneamente [e],congiuntamente. Sappi per certo che [questo è così]”.

Come Sri Ramana ha spesso sottolineato, tutti gli oggettiapparentemente del mondo esterno sono in realtà vissuti da noisolo come immagini che formiamo nella nostra mente col nostropotere dell'immaginazione, e quindi sono solo i nostri pensieri.

Questo è il motivo per cui in assenza di tutti i pensieri, comenel sonno, non si è a conoscenza di qualsiasi oggetto, mentreappena la nostra mente diventa attiva, come nella veglia e nelsogno, la nostra conoscenza degli oggetti esterni appare insiemecon i nostri altri pensieri. Anche ora nel nostro attuale stato diveglia, se rivolgiamo la nostra attenzione lontano da tutti i pensierie verso la nostra fondamentale coscienza del sé, 'Io sono', tutta lanostra conoscenza degli oggetti esterni scomparirà.

Non è chiaro, quindi, che tutta la nostra conoscenza oggettivadipende dai nostri pensieri sugli oggetti che conosciamo?Sembriamo conoscere un oggetto solo quando formiamoun'immagine di esso nella nostra mente. Poiché le immaginimentali sono ciò che noi chiamiamo pensieri, tutto ciò chesappiamo degli oggetti esterni sono solo i pensieri relativi a questi

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che si formano nella nostra mente col nostro poteredell'immaginazione. Tranne la nostra fondamentale autocoscienza,'Io sono', tutto quello che sappiamo o sperimentiamo è solo unpensiero: una tra le tante immagini mentali che formiamo nellanostra mente.

Proprio come capiamo che tutto ciò che sperimentiamo in unsogno è solo la nostra immaginazione, da un'imparziale eapprofondita analisi possiamo capire che tutto ciò chesperimentiamo nel nostro attuale stato di veglia è anche solo lanostra immaginazione. La nostra convinzione che la nostraconoscenza di questo mondo apparentemente esterno corrispondea qualcosa che esiste realmente fuori noi stessi è semplicementeun'immaginazione: uno tra i tanti pensieri che formiamo nellanostra mente.

Non c'è assolutamente alcuna prova, e mai ci potrà esserealcuna prova, che il mondo che ora sperimentiamo, esisterealmente fuori noi stessi, non più di quanto non vi è alcuna provache il mondo che abbiamo sperimentato in un sogno in realtàesista al di fuori noi stessi. Nel versetto 1 di Ekatma Pañcakam,dopo le prime due proposizioni, 'Avendo dimenticato noi stessi' e'Avendo pensato il [questo] corpo è davvero me stesso', SriRamana aggiunge una terza proposizione, 'Avendo [in tal modo]preso innumerevoli nascite'. Che cosa esattamente vuole dire conquesto? Come in realtà assumiamo innumerevoli nascite?

Come abbiamo discusso in precedenza, la nostra attuale vita diveglia è in realtà solo un sogno che si sta verificando nel nostrosonno immaginario di auto-dimenticanza o ignoranza del sé.

Quando immaginariamente ignoriamo o dimentichiamo ilnostro vero sé, che è infinito essere-coscienza-felicità, noiapparentemente separiamo noi stessi dalla felicità perfetta che è ilnostro sé. Pertanto, fino a quando non ci riuniamo con la nostrarealtà, che è la felicità assoluta, non possiamo riposare, adeccezione durante gli intermezzi brevi ma necessari chesperimentiamo nel sonno, nella morte ed in altri stati, in cui la

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nostra mente si calma in una condizione di temporaneasospensione o inattività.

Poiché abbiamo immaginariamente separato noi stessi dallanostra infinita felicità, ci sentiamo perennemente insoddisfatti, equindi il nostro innato amore per la felicità ci spinge a ricercaresenza sosta la felicità che abbiamo perso. Così il nostro amorenaturale per la felicità, che è il nostro vero essere, èapparentemente distorto, si manifesta sotto forma di desiderio, checi spinge ad essere attivi, guidandoci quindi lontano dal nostrovero stato d'essere.

Considerando che il vero amore è il nostro stato naturale disolo essere, il desiderio aumenta il 'fare' o attività, che ci distraedal nostro essere essenziale. Come fa il nostro amore per lafelicità a diventare distorto come desiderio? Avendoimmaginariamente separato noi stessi dal nostro vero sé infinito,ora sentiamo la felicità essere qualcosa di diverso da noi stessi, epertanto la cerchiamo fuori da noi stessi, in oggetti ed esperienzeche ci immaginiamo essere diversi da noi stessi.

Nel nostro stato naturale di vera conoscenza di sé,sperimentiamo la felicità come noi stessi, e quindi il nostro amoreper la felicità ci spinge semplicemente ad essere noi stessi. Nelnostro stato immaginario d'ignoranza del sé, d'altra parte,sperimentiamo la felicità come se fosse qualcosa di diverso da noistessi, e quindi il nostro semplice amore per la felicità è falsato dainnumerevoli desideri di cose diverse da noi stessi: per gli oggettie le esperienze che immaginiamo ci daranno la felicità chebramiamo.

Poiché la nostra ignoranza del sé offusca la nostra naturalechiarezza di discriminazione, ci inganna, facendoci immaginareche per essere felici dobbiamo avere cose diverse da noi stessi: siaoggetti materiali che esperienze sensuali o conoscenzaintellettuale. Immaginiamo che certe esperienze ci renderannofelici, e certe altre esperienze ci renderanno infelici, e quindidesideriamo quelle esperienze che immaginiamo ci renderanno

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felici, e abbiamo paura o ci sentiamo contrari a quelle esperienzeche immaginiamo ci renderanno infelici.

Così la nostra ignoranza del sé inevitabilmente aumenta i nostridesideri e paure, spingendoci ad essere sempre attivi, lottando conla mente, la parola e il corpo per sperimentare la felicità a cuianeliamo così intensamente. Fino a quando non raggiungiamo lanon duale esperienza della vera conoscenza di sé, dissolvendo intal modo l'illusione di ignoranza del sé e tutta la sua progenie, nonsaremo in grado di liberare noi stessi dalla morsa del desiderio edella paura.

Anche quando la nostra mente si placa temporaneamente inuno stato di sospensione, come il sonno o la morte, i nostridesideri e paure profondamente radicate non sono dissolti, perchéla nostra auto-ignoranza di base persiste in forma latente. Pertantonon appena siamo sufficientemente riposati, i nostri desideridormienti e le paure si destano dal sonno, dando luogoall'esperienza di questo stato di veglia o all'esperienza di unsogno.

Tutti i nostri sogni sono causati dai nostri desideri e paurelatenti, e il nostro presente stato di veglia è solo uno dei nostrisogni. Proprio come tutto ciò che sperimentiamo in un sogno sonosolo nostri pensieri, che sono formati dai nostri desideri latenti edalle paure; così tutto ciò che sperimentiamo nel nostro attualestato di veglia sono solo nostri pensieri, che sono pure formati daidesideri latenti e dalle paure.

Dato che la nostra attuale vita di veglia è in realtà solo unsogno nel nostro immaginario sonno della dimenticanza di sé oignoranza del sé; lo stato che chiamiamo morte è soltanto lacessazione definitiva di questo sogno particolare. L'intera vita delnostro corpo attuale è un sogno continuo, interrotto ogni giorno daun breve periodo di riposo nel sonno, ma che riprende non appenaabbiamo recuperato energia sufficiente per impegnarci in un altroperiodo di attività mentale. Una caratteristica di questo sogno èche il corpo immaginario che ora erroneamente riteniamo di

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essere noi stessi sembra crescere gradualmente più vecchio elogoro, fino a che lo abbandoniamo definitivamente.

Lo stato in cui definitivamente smettiamo di immaginare ilnostro presente corpo di essere noi stessi è ciò che generalmentechiamiamo morte. Poiché la morte è solo la fine di un sognoprolungato, è semplicemente uno stato di sospensione o cedimentotemporaneo della nostra mente, come il sonno che abbiamosperimentare ogni giorno.

Dopo aver riposato per un po' nel sonno, i nostri latenti desiderie paure spingono la nostra mente a sorgere e diventare attivaancora una volta in un altro stato di sogno. Allo stesso modo, dopoaver riposato per un po' nella morte, i nostri desideri latenti e lepaure spingono la nostra mente a sorgere ancora una volta in unaltro stato di attività, in cui immaginiamo un altro corpo essere noistessi.

Pertanto, quando Sri Ramana disse, 'dopo aver assuntoinnumerevoli nascite', si riferiva a questo processo ripetuto diabbandonare un corpo da sogno e immaginare un altro corpo dasogno essere noi stessi. Rinascita o reincarnazione sono quindinon reali, ma solo un sogno, un evento immaginario che si verificaripetutamente nel nostro apparentemente lungo sonno diimmaginaria ignoranza del sé.

Anche se la rinascita è solo un parto della nostraimmaginazione, un sogno realizzato dai nostri desideri e paure, èreale come la nostra vita presente in questo mondo, che èaltrettanto reale della nostra mente, la forma limitata e distortadella coscienza che sperimenta questo e tanti altri sogni. Fino aquando non sappiamo ciò che siamo realmente, mettendo così fineal nostro sonno immaginario ed alla dimenticanza di sé oignoranza di sé, continueremo a sperimentare un sogno dopol'altro, e in ciascuno di questi sogni ci illuderemo di essere uncorpo che abbiamo creato con la nostra immaginazione.

Poiché la causa fondamentale di tutta la sofferenza e dellamancanza della perfetta felicità che proviamo in questo sogno-vita

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e in tante altre vite di sogno è la nostra immaginaria dimenticanzadi sé o ignoranza del sé, possiamo tutti finire la nostra sofferenza eraggiungere la perfetta felicità solo sperimentando l'assolutachiarezza della vera conoscenza di sé.

Poiché l'illusione della dualità è causata dalla nostradimenticanza di sé: la nostra dimenticanza della nostrafondamentale non duale coscienza del proprio essere infinito eassoluto; questa illusione si scioglierà solo quandosperimenteremo la perfettamente chiara non duale conoscenza disé o coscienza di sé. Dimenticando apparentemente il nostro verosé, ci permettiamo d'immaginare che siamo diventati un corpo.Pertanto, anche se non abbiamo mai veramente cessato di essere ilnostro vero sé infinito, sembriamo essere diventati qualcosad'altro.

Quindi in questo primo versetto del Ēkātma Pañcakam SriRamana dice che avendo dimenticato il nostro vero sé, avendoimmaginato più volte noi stessi di essere un corpo, e avendo presoapparentemente nascita in innumerevoli corpi differenti, quandofinalmente conosciamo noi stessi, diventiamo noi stessi ancorauna volta. Anche se lui dice: '[...] finalmente conoscere noi stessi[e quindi] divenire noi stessi [...]', che non significa implicare cheil raggiungimento della vera conoscenza del sé sia in realtà unprocesso del divenire.

Rispetto al nostro attuale stato di dimenticanza di sé, in cui cisembra di essere diventato un corpo e una mente, lo stato diconoscenza di sé può sembrare uno stato in cui ancora una voltadiventiamo il nostro vero sé, ma in realtà è solo il nostro statonaturale di essere, in cui rimaniamo come siamo sempre stati, cioècome il nostro vero immutabile sé.

La parola che Sri Ramana utilizza proprio in questo verso èādal, che è un gerundio che significa in primo luogo 'divenendo',ma può anche significare 'essendo'. Pertanto, se le parole 'iṟuditaṉṉai-y-uṇarndu tāṉ-ādal', che formano il soggetto di questoversetto, potrebbero essere tradotte come: 'infine conoscere noi

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stessi [e così] diventando noi stessi'. Possono essere tradotte conpiù precisione: 'infine conoscere noi stessi [e quindi solo] essendonoi stessi'.

Lo stato di vera conoscenza di sé è il nostro naturale, eterno,immutabile e non duale stato di essere cosciente di sé. Poiché è larealtà assoluta, alla base della comparsa di ogni relatività, non puòmai subire alcuna forma di modificazione o divenire. Non è maidiventata nulla, e mai diventerà nulla. È solo quello che è.

Quando immaginiamo che conosciamo qualcosa diverso da noistessi, ci sembra di diventare qualcosa di limitato. Tuttavia, talediventare è solo immaginario; in realtà, rimaniamo sempre comesiamo veramente: cioè come infinito e assoluto essere-coscienza-felicità. Quando conosciamo noi stessi come siamo veramente,non diventiamo nulla, ma semplicemente rimaniamo comel'infinita realtà assoluta che siamo sempre stati e sempre saremo.Pertanto nel versetto 26 di 'Upadēśa Undiyār', Sri Ramana dice:

“Essendo [il nostro vero] sé vuol dire conoscere [ilnostro vero] sé, perché [il nostro vero] sé è ciò che èprivo di secondo. […..]”

Poiché siamo la realtà assoluta, siamo in realtà privi diqualsiasi forma di dualità, e quindi possiamo conoscere noi stessisolo essendo noi stessi, che è ciò che siamo sempre. Pertanto, lostato che chiamiamo conoscenza di sé non è uno stato in cuiconosciamo qualcosa di nuovo, ma è solo lo stato in cui perdiamotutta la conoscenza di tutto ciò che è diverso da noi stessi.

Quando ci svegliamo da un sogno, noi non diventiamo nulla dinuovo o conosciamo qualcosa di nuovo. Abbiamo solo cambiatala veste dell'esperienza immaginaria del nostro sogno, erimaniamo come precedentemente eravamo. Allo stesso modo,quando ci svegliamo dal nostro sonno immaginario di oblio di sé,in cui abbiamo vissuto innumerevoli sogni, noi non diventeremonulla di nuovo o sapremo nulla di nuovo.

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Noi semplicemente getteremo l'esperienza immaginaria dellanostra auto-dimenticanza {dimenticanza del sé} e tutti i nostrisogni derivanti, e rimarremo come l'infinita e assolutamente nonduale autocoscienza che siamo sempre stati. Pertanto Sri Ramanatermina questo primo versetto del Ēkātma Pañcakam dicendo:

“[...] finalmente conoscere noi stessi [e] essere noistessi è solo [come] svegliarsi dal sogno di vagare peril mondo. Vedi [così]”.

Quando ci svegliamo da un sogno, noi conosciamo che tuttociò che abbiamo esperito in quel sogno era soltanto la nostraimmaginazione, ed è stata quindi del tutto irreale.

Allo stesso modo, quando raggiungeremo l'esperienza nonduale della vera conoscenza di sé, sapremo che tutto ciò cheabbiamo sperimentato in questo stato di oblio di sé (compreso ilnostro stesso oblio di sé) è solo la nostra immaginazione, ed èquindi del tutto irreale. Nella nostra esperienza attuale, l'unicacosa che è reale è la nostra coscienza del sé, 'Io sono'. Se noi nonesistessimo, non potremmo conoscere la nostra esistenza, népotremmo immaginare l'esistenza di qualsiasi altra cosa.

L'unica vera base di tutte le nostre conoscenze e di tutte lenostre esperienze è la nostra coscienza. Quando diciamo 'ioconosco' o 'io sperimento', implichiamo: 'io sono cosciente'.Tuttavia, anche se a volte sembriamo essere consapevoli di cosediverse da noi stessi, la nostra coscienza di quelle altre coseappare e scompare. Essendo impermanenti, sono solorelativamente reali.

L'unica cosa di cui siamo permanentemente coscienti è noistessi, il nostro essere, 'Io sono'. Anche quando siamo consapevolidi nient'altro, come nel sonno, continuiamo a essere consapevolidel nostro essere, perché il nostro essere è intrinsecamentecosciente di sé. In altre parole, noi siamo coscienti del sé, e quindisempre sperimentiamo noi stessi come 'Io sono'.

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Dal momento che la nostra coscienza di altre cose appare soloquando la nostra mente è attiva, è solo una fantasia. Ma poichésiamo la coscienza che sperimenta sia l'immaginazione che la suaassenza nel sonno, noi siamo la vera coscienza che sottende lacoscienza immaginaria dell'alterità {di altre cose}. Poiché l'unicaforma di coscienza che sperimentiamo in modo permanente è lanostra coscienza del sé, possiamo sicuramente concludere che è lavera ed essenziale forma della coscienza. In altre parole, visto chesiamo la fondamentale coscienza del sé che sottende l'apparenzadi tutte le altre forme di coscienza, solo noi siamo la vera formaessenziale della coscienza.

Possiamo anche concludere che siamo la realtà assoluta, perchésiamo la fondamentale non duale coscienza di sé: 'Io sono', che èessenzialmente non qualificata e incondizionata, essendo libera datutti i limiti e da qualsiasi forma di dipendenza da qualsiasi altracosa. Qualunque cosa può apparire o sparire, e qualsiasicambiamento o altra azione può sembrare accadere, la nostraautocoscienza essenziale rimane sempre invariata e inalterata.

Pertanto, mentre tutte le altre cose sono relative, la nostra veracoscienza di sé è assoluta. Noi siamo 'essere assoluto, coscienzaassoluta e felicità assoluta'. Quindi se vogliamo liberare noi stessida tutte le infelicità e tutte le forme di limitazione, dobbiamoconoscere noi stessi come siamo veramente. Cioè, dobbiamoeffettivamente sperimentare noi stessi come quell'autocoscienzaassoluta non duale che siamo realmente, e che ora comprendiamoessere.

Per conoscere noi stessi, quindi, dobbiamo concentrare tutta lanostra attenzione sulla nostra essenziale coscienza del sé 'Io sono'.Questa concentrazione della nostra attenzione su noi stessi è lapratica dell'Atma-Vicara: investigazione del sé, esame del sé,scrutinio del sé o indagine del sé, che Sri Ramana ha insegnatocome l'unico mezzo attraverso il quale possiamo sperimentare lavera non duale conoscenza del sé.

Prima di concludere questo capitolo, in cui abbiamo cercato di

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trovare una soddisfacente risposta teorica alla cruciale questione'Chi sono Io?', vale la pena raccontare un evento importante nellavita iniziale di Sri Ramana. La prima persona che gli fecedomande veramente pertinenti e utili era un umile e schivo devotochiamato Sri Sivaprakasam Pillai, che per primo è venuto da luinel 1901, quando aveva solo 21 anni di età.

La prima questione che Sri Sivaprakasam Pillai gli ha chiestaera 'Chi sono Io?', a cui egli ha risposto semplicemente, 'Laconoscenza [o coscienza] sola è Io'. Le parole realmentepronunciate in tamil da Sri Sivaprakasam Pillai erano 'Nāṉ yār?'che letteralmente significano 'Io [sono] chi?', e le parole che SriRamana, che raramente parlava in quei primi tempi, ha scritto inrisposta con il dito sul terreno sabbioso erano 'aṟivē nāṉ'.

La parola tamil aṟivu significa 'conoscenza' nel senso piùampio, ed è quindi utilizzata per indicare molte forme diverse diconoscenza, tra cui la coscienza, la saggezza, l'intelligenza,l'apprendimento, la percezione dei sensi, tutto ciò che è noto, eanche ātmā, il nostro vero sé, che è la nostra conoscenzafondamentale 'Io sono'. In questo contesto, tuttavia, significa solola nostra conoscenza fondamentale 'Io sono': la nostra coscienzaessenziale del nostro essere. La lettera 'ē' aggiunta ad aṟivu è unsuffisso che è comunemente usato in Tamil per aggiungere enfasiad una parola, trasmettendo il senso 'sé stesso', 'da solo' o'davvero', e la parola 'nāṉ' significa 'Io'.

In queste due semplici parole, 'aṟivē nāṉ', Sri Ramana hariassunto l'essenza della sua esperienza della vera conoscenza delsé, che è la base di tutta la filosofia e la scienza che ha insegnato.Ciò che egli intende con queste semplici parole è che la nostravera ed essenziale natura è solo la nostra fondamentaleconoscenza o coscienza 'Io sono', che è la conclusione alla qualedobbiamo arrivare se noi analizziamo criticamente la nostraesperienza di noi stessi nei nostri tre stati ordinari di coscienza,come abbiamo fatto in questo capitolo.

La domanda successiva che lo Sri Sivaprakasam Pillai gli

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chiese era: “Cosa è la natura di [tale] conoscenza?”, a cui hareplicato: “La natura della conoscenza è sat-cit-ānanda” o piùprobabilmente solo “sat-cit-ānanda”. La parola composta 'sat-cit-ānanda' (che in realtà è fusa in una sola parola, saccidānanda), èun termine filosofico ben noto, di origine sanscrita, ma che èampiamente compreso e frequentemente utilizzato in Tamil e intutte le altre lingue indiane. È un termine utilizzato per descriverela natura della realtà assoluta, e anche se è composto di tre parole,non intende implicare che la realtà assoluta è composta da treelementi distinti, ma solo che la singola non duale natura dellarealtà assoluta può essere descritto in tre modi differenti.

La parola 'sat' significa 'essere' o 'esistente', ma per estensionesignifica anche 'ciò che è veramente', 'realtà', 'verità', 'esistenza','l'essenza', 'reale', 'vero', 'buono', 'giusto', 'ciò che è reale, vero,buono e giusto'.

La parola 'cit' significa 'coscienza' o 'consapevolezza', da unaradice verbale che significa 'conoscere sapere', 'essereconsapevoli di', 'percepire', 'osservare', 'a partecipare a' o 'essereattenti'.

E la parola 'ānanda' significa 'felicità', 'gioia' o 'beatitudine'.così 'Saccidananda', o come è più comunemente scritto incaratteri romani, 'sat-cit-ānanda', significa 'essere-coscienza-beatitudine', cioè l'essere che è sia coscienza e beatitudine, o lacoscienza che è sia l'essere che la beatitudine, o beatitudine che èsia l'essere che la coscienza.

Vero essere e vera coscienza non sono due cose diverse. Se lacoscienza non fosse la natura essenziale di essere, l'esseredovrebbe dipendere da una coscienza diversa da sé per essereconosciuto, e quindi non sarebbe un essere assoluto, ma solo unessere relativo, essere che esisteva solo nella visualizzazione diqualche altra coscienza esistente.

Se ipotizziamo che vi è un essere assoluto che non èconsapevole della sua esistenza, e che esiste, anche se non èconosciuto né da se stesso né da ogni coscienza diversa da sé, un

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tale essere sarebbe una mera supposizione o immaginazione, unessere che esiste solo nella nostra mente, e quindi non sarebbe unessere reale. Non abbiamo alcun motivo valido per ritenere cheesista uno qualsiasi di tali esseri sconosciuti.

Il termine 'essere' o 'esistenza' ha un valido significato solo seapplicato a qualcosa che è noto che esiste, e non se è applicato aqualcosa la cui esistenza è solo immaginaria. Pertanto il vero edassoluto essere deve essere sempre consapevole del proprioessere, e quindi la coscienza deve essere la sua vera natura.

Analogamente, proprio la natura della coscienza deve essere:perché se l'essere non fosse la natura essenziale della coscienza, lacoscienza non sarebbe, non esisterebbe. Una coscienza inesistente,una coscienza che non è, non avrebbe assolutamente alcuna realtà.Sarebbe nulla, e quindi non sarebbe consapevole. Essere coscientisignifica essere, proprio come essere veramente significa esserecoscienti di conoscere che 'Io sono'.

Essere vero e assoluto, essere che esiste incondizionatamente eindipendente da qualsiasi altra cosa, deve essere consapevole disé, essere che conosce 'Io sono'. Anche se non conosce qualsiasialtra cosa, perché non vi è altro per esso da conoscere, devesempre conoscere se stesso. Pertanto la coscienza che conosce ilproprio essere come 'Io sono' è l'unico vero essere, indipendente,incondizionato e assoluto.

Qualsiasi altro essere, che non conosce se stesso come 'Iosono', è semplicemente un frutto della nostra immaginazione.Poiché nella sua natura essenziale di essere o coscienza non haforma, è privo di limiti, e comprende tutto in sé. Poiché una cosapuò essere detta essere solo se è, nulla esiste di separato o diversodall'essere. Tutto ciò che esiste è dunque nella sua naturaessenziale di solo essere.

Anche se una cosa può essere detta essere, solo se è notaessere, la maggior parte delle cose in realtà non conoscono ilproprio essere. Una cosa che non conosce cosa è, e che èconosciuta solo da qualche coscienza che è apparentemente

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diversa da sé, non può esistere indipendentemente oassolutamente. La sua esistenza apparente come una 'cosa' è solorelativa. Quindi non è reale come la 'cosa' che sembra essere, ma èreale solo come mero 'essere' che è la sua essenza.

L'unica 'cosa' che è reale in quanto tale è la coscienza, perchésolo la coscienza conosce il proprio essere. Pertanto, poiché essereè l'essenziale natura di ogni cosa, e poiché essere è sempreconsapevole del proprio essere, tutto ciò che non conosce 'Iosono' è una mera immaginazione, un'illusione, un'apparizione che,sebbene irreale come la cosa che sembra essere, è tuttavia realenella sua natura essenziale come semplice essere.

Anche se l'essere non ha forma propria, è l'essenza indefinibiledi tutte le forme. Essendo essenzialmente senza forma, l'essere èprivo di ogni forma di limitazione, e quindi è infinito. Poichél'infinito comprende tutte le cose in sé, esso è essenzialmenteunico e non duale. Non ci può essere più di un'infinita realtà,perché se ci fosse, nessuna di queste 'realtà infinite' sarebbeeffettivamente infinita.

Essere è quindi il non duale intero infinito, la totalità di tuttociò che è. Tuttavia, sebbene l'essere è infinito e non duale in sé,nondimeno comprende in sé tutto ciò che è finito e duale. Anchese la dualità sembra esistere nell'essere, non è la natura essenzialedell'essere, ma è una mera illusione. Essa è una forma illusoria diessere, un immaginario che appare e scompare nell'essere, tuttavianon pregiudica neanche minimamente l'essenziale, senza forma,infinita e non duale natura di essere. Tuttavia, se è un'illusoriaimmaginazione, la dualità non potrebbe nemmeno sembrare diesistere senza il sottostante sostegno, di essere essenziale infinitoe non duale.

Così come l'essere è non duale, così la coscienza di essere ènon duale, perché conosce solo il proprio essere e nient'altro. Lacoscienza che sembra conoscere cose che immagina essere diverseda se stessa non è l'infinita, assoluta e quindi reale coscienza, ma èsolo una forma relativa, finita e non reale coscienza.

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Proprio come ogni forma finita o duale di essere non è la veranatura essenziale di essere, cosicché qualsiasi forma finita,relativa o duale di coscienza non è la natura vera ed essenzialedella coscienza. Pertanto, la parola composta 'sat-cit' denota ilvero ed essenziale 'essere-coscienza', che è completamenteincondizionato, indipendente, non duale, infinito e assoluto.Proprio come la realtà essenziale, assoluta e infinita è sia l'essereche la coscienza di essere, così è anche la perfetta felicità obeatitudine. L'infelicità non è una condizione naturale, non più diquanto lo sia la non esistenza o l'incoscienza.

Non esistenza, incoscienza e infelicità non sono in alcun modoassoluti, ma sono condizioni soltanto relative che sembranosorgere solo quando ci illudiamo di essere la forma finita di uncorpo fisico. Nel sonno, quando non ci confondiamo di essere uncorpo o qualsiasi altra finita cosa, noi esistiamo felicementeconoscendo solo il nostro stesso essere. Il nostro essere, la nostracoscienza di essere, e la felicità che ci rallegra quando siamoconsapevoli solo del nostro essere, sono dunque la nostra naturaessenziale.

Quando tutto il resto è scartato da noi, ciò che resta è solo lanostra essenziale natura, che è la nostra coscienza, perfettamentetranquilla e felice del nostro essere, 'Io sono'. L'infelicità èun'innaturale e quindi irreale condizione che sembra sorgere soloquando dal nostro potere dell'immaginazione noi sovrapponiamoqualche altra conoscenza alla nostra fondamentale ed essenzialeconoscenza 'Io sono'.

Pertanto, come Sri Ramana ha indicato nella risposta allaseconda questione di Sri Sivaprakasam Pillai, la natura dellanostra conoscenza fondamentale 'Io sono' è 'satcitānanda' o'essere-coscienza-beatitudine'. Questo non significa che la nostravera natura, che abbiamo sempre sperimentato come 'Io sono', èqualsiasi forma relativa o finita di essere-coscienza-felicità, masolo che è assoluta, infinita, eterna, immutabile, indivisa e nonduale essere-coscienza-beatitudine, come Sri Ramana afferma

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esplicitamente nel versetto 28 di 'Upadēśa Undiyār', e al versetto18 di 'Upadēśa Taṉippākkaḷ:

“Se sappiamo qual è la nostra [vera] natura, quindi[scopriremo che sia] senza inizio, senza fine [e]ininterrotta sat-cit-ānanda [essere-coscienza-beatitudine]. Se noi conosciamo la nostra vera formanel [nostro] cuore [nel nucleo più interno o profondodel nostro essere], [scopriremo di essere] essere-coscienza-beatitudine, che è la pienezza [totalitàinfinita, la completezza o perfezione] senza inizio [o]fine”.

Anche se questi due versi esprimono la verità reale vissuta daSri Ramana e da tutti gli altri veri saggi, l'idea che noi stessi siamol'infinito e la realtà assoluta, può apparire a molti di noi fantasiosae inverosimile. Anche se, analizzando criticamente la nostraesperienza nei nostri tre stati ordinari di coscienza, come abbiamofatto in precedenza in questo capitolo, possiamo essere staticonvinti che in sostanza non siamo altro che la nostrafondamentale coscienza di essere, 'Io sono', possiamo ancoratrovare difficile comprendere il fatto che la nostra coscienzafondamentale o conoscenza di 'Io sono', che è il nostro vero sé, èin verità la realtà infinita e assoluta.

Cerchiamo di esaminare questa idea più da vicino al fine diaccertare se abbiamo ragionevoli motivi per ritenere che sia laverità. Poiché i saggi sperimentano la verità come propria veranatura, non hanno bisogno di alcuna analisi filosofica o diargomentazioni teoriche per convincersi che è la verità, ma perquelli di noi che confondono se stessi come una finitaindividualità, una chiara comprensione della razionalità di questaidea è necessaria per convincersi che è la verità, e che è la sola eunica esperienza che è veramente degna dello sforzo da fare perraggiungerla.

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Vediamo dunque quali ragionevoli motivi possiamo avere, seve ne sono, per concludere che siamo in verità la realtà infinita eassoluta. Partendo dal presupposto che siamo tutti convinti, dallanostra precedente analisi, che la nostra natura essenziale è solo lanostra basica coscienza del sé, la nostra fondamentale coscienzadel nostro essere, 'Io sono'. Prendiamo questa conclusione come ilnostro punto di partenza.

A differenza della nostra mente, la nostra superficiale'coscienza di conoscere', che sempre s'illude di essere un corpoparticolare; il nostro vero io, la nostra fondamentale 'coscienza diessere', non s'inganna considerando di essere qualsiasi cosaparticolare, e quindi, non ha forme e dimensioni particolari.Pertanto, considerando che la nostra mente ha limitato se stessaentro dimensioni di tempo e spazio identificando se stessa con uncorpo finito, la nostra vera coscienza di essere non è limitata inalcun modo.

Nel sonno, quando cessiamo di ingannare noi stessiconsiderandoci un corpo finito, non percepiamo di esistere in undeterminato momento o luogo, ma sentiamo solo 'Io sono'. I limitidi tempo e spazio sono idee che nascono solo quandoimmaginiamo noi stessi come un organismo particolare sia nellaveglia che nel sogno.

Anche ora, in questo stato di veglia, se proviamo per un attimoa ignorare il nostro corpo e la mente ed essere coscienti solo delnostro essere, 'Io sono', saremo in grado di riconoscere che lanostra coscienza 'Io sono' non è qualcosa che è limitata entro ilimiti del nostro corpo fisico. Esso semplicemente è, e non èqualcosa che può essere posizionato in qualsiasi punto particolarenel tempo o nello spazio.

Anche quando ci identifichiamo con un corpo e quindisentiamo di essere situati in un punto particolare nel tempo e nellospazio, noi conosciamo sempre 'Io sono'. La nostra coscienza oconoscenza 'Io sono' non è quindi influenzata da qualsiasicambiamento nel tempo e nello spazio. Esiste

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incondizionatamente, e poiché esiste in tutti i nostri tre stati dicoscienza, esiste indipendente da qualsiasi corpo, e quindiindipendente dal tempo e dallo spazio.

Proprio come il tempo e lo spazio che percepiamo in un sogno,sono entrambi idee che esistono solo nella nostra mente, cosìanche il tempo e lo spazio che percepiamo nel nostro attuale statodi veglia sono entrambi idee che esistono solo nella nostra mente.Quando la nostra mente si placa, come nel sonno, il tempo e lospazio, cessano di esistere, o almeno scompaiono e non sono piùconosciuti da noi. Pertanto, giacché non abbiamo alcun motivo disupporre che essi esistano in alcun modo indipendente o separatidall'idea o immagine mentale che abbiamo di loro, possiamoragionevolmente ipotizzare che entrambi sono semplici pensieri,un fatto che è confermato da Sri Ramana e altri saggi.

Poiché il tempo e lo spazio come sappiamo nascono solo nellanostra mente, e dato che la nostra mente sorge solo dal nostrofondamentale essere-coscienza 'Io sono', non è forse ragionevoleper noi dedurre che il nostro essere-coscienza trascende tempo espazio? Così come trascende il tempo e lo spazio, trascende ognialtra immaginabile dimensione.

Solo ciò che ha una particolare forma definibile, e che occupaquindi una misura distinta e definibile in una o più dimensioni, sipuò dire sia limitato o finito. Ma poiché il nostro fondamentale edessenziale essere-coscienza 'Io sono' non ha forma definibile omisura, non è limitato in qualsiasi modo, ed è quindi infinito.Poiché tutto ciò che conosciamo sorge nella nostra mente, e datoche la nostra mente sorge nel nostro essere-coscienza, tutte le cosefinite sono contenute nel nostro infinito essere-coscienza, 'Iosono'.

Finché non ci immaginiamo noi stessi di essere come un corpoo qualsiasi altro oggetto che sembra comparire nella nostracoscienza, siamo infinito. Il nostro essere e la nostra coscienza diessere sono entrambi infiniti, o per essere più precisi, sonoentrambi una realtà infinita e non duale. Poiché il nostro essere è

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infinito, nulla può essere separato da esso, e, quindi, egli soloesiste veramente.

Tuttavia, quando immaginiamo noi stessi di essere un corpo,innumerevoli altri oggetti sembrano sorgere nella nostracoscienza, e immaginiamo che ognuno di essi esista veramente.Così, con il nostro potere dell'immaginazione diamo un'apparenteessere o realtà a molte cose, e quindi illudiamo noi stessi credendoche ogni cosa ha il suo essere indipendente e finito. In realtà, però,nulla ha un essere indipendente o separato.

L'essere non è una cosa finita che può essere divisa in parti, maè un infinito e quindi del tutto indivisibile, diversamente da ciònulla può essere. Poiché è infinito, include tutto in sé, e quindi èquell'unico essenziale essere di ogni cosa. Nessuna cosaparticolare, è reale come la particolare cosa che sembra esserenella la sua forma particolare, o come il nome particolare, come ladescrizione o definizione che diamo alla sua forma, ma è realesolo come quell'essere che essenzialmente è. Diversamentedall'essere, nulla è.

Poiché noi conosciamo sempre noi stessi come 'Io sono', ilnostro essere essenziale è la nostra stessa coscienza del nostroessere. La nostra coscienza del nostro essere, la nostra conoscenza'Io sono', è una base fondamentale di tutte le nostre altreconoscenze. Se non conoscessimo 'Io sono', noi non potremmoconoscere qualsiasi altra cosa. Qualunque cosa possiamoconoscere, la conosciamo solo perché abbiamo prima conosciutoil nostro stesso essere, come 'Io sono'.

Perciò la nostra conoscenza fondamentale 'Io sono', la nostrareale ed essenziale coscienza del sé o coscienza di essere, è il verofondamento che sta alla base e sostiene l'esistenza apparente ditutte le altre cose. Senza dipendere dal supporto del nostro essere,nient'altro potrebbe sembrare di essere. Tutte le altre cosesembrano essere solo perché siamo. Siamo quindi l'unico esserefondamentale e assoluto al di fuori del quale niente è.

Poiché non c'è nulla al di fuori di noi, che siamo infiniti, e

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includiamo tutte le cose all'interno di noi stessi, cioè, nel nostroessere auto-cosciente. Siamo quindi l'unico essere non duale einfinito. Poiché l'unico essere non duale e infinito è il nostro séessenziale, che abbiamo sempre sperimentato come 'Io sono', ciriferiamo ad esso come 'nostro' essere. Tuttavia, anche se nonabbiamo alcun reale essere diverso da quella realtà infinita, ècorretto per noi considerarlo proprio il nostro essere?

Poiché è l'unico essere che davvero esiste, non è forse l'essereessenziale di tutte le cose, di tutto ciò che sembra esistere? Sì,nella misura in cui esistono le 'cose', tutte lo condividononell'unico comune essere della realtà infinita. Tuttavia, vi è unadifferenza fondamentale tra l'essere che noi immaginiamo divedere nelle altre cose e l'essere che sperimentiamo in noi stessi.Tutte le cose che conosciamo come altro da noi stessi sono solopensieri o immagini mentali che esistono nella nostra mente, equindi sono noti non per se stessi, ma solo dalla nostra mente.

Mentre altre cose non sono consapevoli del proprio essere, noisiamo consapevoli del nostro essere. Pertanto, anche se in altrecose conosciamo solo l'essere, in noi stessi conosciamo entrambil'essere e la coscienza. La coscienza che immaginiamo di vederenegli altri e in altre creature non è in realtà vissuta da noi, ma danoi è solo dedotta, così come deduciamo che ogni persona ecreatura che vediamo in un sogno ha coscienza. L'unica coscienzache conosciamo direttamente e non per mera deduzione è la nostracoscienza.

Poiché sappiamo che la nostra coscienza è, e dato che nonesistiamo senza la nostra coscienza, la nostra coscienza è di per séil nostro essere, e quindi la sperimentiamo come 'Io sono'. Propriocome la coscienza che vediamo in tutte le altre persone e creatureè solo dedotta da noi, così l'essere che vediamo in tutte le altrecose è solo desunto da noi. L'unico essere che conosciamodirettamente è il nostro stesso essere. L'essere o l'esistenza di tuttele altre cose è conosciuta da noi, non direttamente, ma soloattraverso il canale imperfetto della nostra mente, la nostra

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limitata e distorta coscienza che si sente 'io sono questo corpo'.L'essere apparentemente separato o l'esistenza di altre cose ci

inganna e rafforza nella nostra mente l'illusione che l'essere o larealtà sono divisi, mutevoli e relativi. L'essere apparentementeseparato delle altre cose dipende apparentemente dall'essereseparato della nostra mente, perché è noto solo alla nostra mente,e non alla nostra essenziale non duale coscienza di essere, checonosce solo se stessa e nessuna separazione o alterità.

L'essere apparentemente separato della nostra mente dipendedal vero essere della nostra coscienza essenziale 'Io sono', perchésenza identificare quella vera coscienza come sé la nostra mentenon sembrerebbe conoscere sia il suo essere sia l'essere di ognialtra cosa. Tuttavia, poiché appare e scompare, l'essere ol'esistenza separata della nostra mente non è l'essere reale, ma èsolo una parvenza di essere reale.

Una cosa che sembra essere in un momento, e cessa di essere inun altro momento, non è un essere reale, ma è solo una formaapparente di un essere, un essere che dipende dal tempo ed èquindi condizionato. Se una cosa è reale, deve essere in ognimomento e in tutte le condizioni. L'unico essere che è in ognimomento e in tutte le condizioni è il nostro essere essenziale, chenoi conosciamo sempre come 'Io sono'. Non solo esiste in tutti imomenti e in tutte le condizioni, ma esiste anche immutabilmente,senza mai subire alcun cambiamento. Al contrario, l'essere di tuttele altre cose appare e scompare, e subisce costantementecambiamenti. Inoltre, a differenza di tutte le altre cose, il nostroessere essenziale conosce se stesso sempre, e non dipende daqualsiasi altra cosa per essere conosciuto. Pertanto è l'unico essereche realmente è.

Poiché l'essere di tutte le altre cose non è reale, ma è soloun'illusione o apparizione, e giacché l'unico vero essere è il nostroessere essenziale, 'Io sono', l'essere reale non è in realtà diviso,anche se sembra essere diviso come molti 'esseri' separati: comel'essere separato di ciascuna delle molte diverse cose che appaiono

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essere.Il nostro essere reale ed essenziale è sempre unico, non duale e

indivisibile, e poiché nulla esiste a prescindere da esso, è infinito ecomprende tutte le cose in sé. Pertanto ciò che Sri Ramana e altrisaggi raccontano dalla loro esperienza della vera conoscenza di sé,vale a dire che sanno di essere l'unica e sola realtà veramenteesistente, la cui natura è senza inizio, senza fine, eterna, indivisa,non duale e infinito essere, coscienza e beatitudine, non è cosìfantasiosa e inverosimile come potrebbe inizialmente sembrare.

Ciò che essi sperimentano come la verità del proprio vero sé oessere è anche la verità del nostro vero sé o essere, perché ilnostro essere non è diverso dal loro essere. Noi sembriamo essereseparati da loro solo perché illudiamo noi stessi di essere un corpofinito, ma anche quando scambiamo noi stessi per essere tali, noiconosciamo ancora il nostro essere essenziale come 'Io sono'. Inrealtà, quindi, ogni cosa e ciò che ognuno di noi sperimenta come'Io sono' è quell'unico eterno, indiviso, non duale essere infinito.

La differenza fondamentale tra l'esperienza dei saggi come SriRamana, che conoscono loro stessi come quell'infinito e indivisoautocosciente essere, e l'esperienza di quelli di noi cheimmaginano di essere qualcosa di diverso da questo infinito eindiviso essere consapevole di sé, che è il nostro vero edessenziale sé, si trova solo nelle limitazioni che abbiamoimmaginariamente sovrapposte al nostro essere veramenteinfinito.

Questa fondamentale differenza è espressa da Sri Ramana neiversetti 17 e 18 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“[Entrambi] per coloro che non conoscono se stessi[e] per coloro che hanno conosciuto se stessi, il corpo[è] davvero 'io'. [Tuttavia] Per coloro che nonconoscono se stessi 'io' [è limitato a] solo alla sfera delcorpo, [mentre] a coloro che hanno conosciuto sestessi all'interno del corpo l''Io' stesso brilla privo di

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limite [confine o estensione]. Capite che questa è ladifferenza tra loro. [Sia] per coloro che non hannoconoscenze [cioè, la vera auto-conoscenza] [e] a percoloro che ce la hanno [vera conoscenza di sé], ilmondo è la realtà. [Tuttavia] per coloro che nonconoscono [se stessi] la realtà è [limitata alla]estensione del mondo, [mentre] per quelli che hannoconosciuto [se stessi] la realtà risiede [o pervade]privata della forma come ādhāra [supporto, substrato,fondazione o base] per [l'apparenza immaginaria del]mondo. Capite [che] questa è la differenza tra di loro”.

Ciò che limita una cosa finita è soltanto la sua forma, perché lasua forma definisce la sua estensione nel tempo e nello spazio, equindi lo separa da tutte le altre forme. Se siamo una formadefinita, siamo limitati all'interno dei confini o limiti di tale forma,ma se non abbiamo una forma definita, siamo illimitati o infiniti.

Poiché noi immaginiamo noi stessi di essere la forma di questocorpo, noi siamo apparentemente limitati entro certi limiti ditempo e di spazio, e quindi ci sentiamo di essere separati da tuttociò che esiste fuori di questa misura limitata di tempo e spazio.Inoltre, poiché immaginiamo la forma di questo corpo come 'io',ci illudiamo di essere reali, e quindi confondiamo tutte le altreforme che percepiamo fuori dal corpo come se fossero reali.

Poiché Sri Ramana e altri saggi ci insegnano che non siamo ilcorpo che immaginiamo noi stessi di essere, e che il mondo non èreale come noi immaginiamo di essere, è ragionevole per noidedurre che tali saggi non sperimentano il loro corpo come 'io' oquesto mondo come reale. Perché allora Sri Ramana dice, inquesti due versi, che per i saggi, che sono quelli che hannoconosciuto se stessi come realmente sono, che il loro corpo è 'Io' eil mondo è reale?

Per capire perché lo dice, dobbiamo comprendere il significatoesatto di quello che dice nella seconda metà di ciascuno di questi

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due versi. Nel versetto 17 dice che per i 'saggi' l''Io' brilla privo diogni limite, confine o misura, il che implica che nella loroesperienza 'Io' è la realtà infinita che è l'essenza o vera sostanza ditutto, compreso questo corpo.

Allo stesso modo, nel versetto 18 dice che per i saggi la realtà èil substrato informe, il substrato o base che sostiene il mondo,implicando così nuovamente che nella loro esperienza, la realtà èquella essenza o vera sostanza che sottostà tutto, comprese tutte lemolteplici forme di questo mondo. Cioè, poiché il nostro vero sé overo 'Io' è la realtà infinita, nulla può essere separato o diverso daesso.

Pertanto essa sola veramente esiste, e qualunque altra cosasembra esistere non è qualcosa di diverso, ma è solo unimmaginaria forma che sembra essere. Poiché né il nostro corponé questo mondo può avere qualsiasi realtà altro che nella nostracoscienza, in cui questi appaiono come pensieri o immaginimentali, che sono in sostanza nient'altro che la nostra coscienza.

Poiché i saggi sperimentano solo la realtà assoluta, che èinfinita, indivisibile e quindi perfettamente non duale essereconsapevole di sé, non sperimentano qualsiasi forma olimitazione. Conoscono solo il senza forme e la realtà senza limiti,che è il proprio vero sé. Poiché sanno che l'unico vero 'Io' soltantoè, sanno che non c'è nulla che non sia 'Io' o non sia reale. Quindidalla loro assoluta non duale prospettiva, dicono che tutto è 'Io' edè quindi reale.

Cioè, dal momento che non sperimentano questo corpo o ilmondo come forme limitate ma solo come propria realtà senzaforma e quindi illimitata, dicono che questo corpo è 'Io' e questomondo è reale. Pertanto, quando Sri Ramana dice che per saggiquesto corpo è 'Io' e questa mondo è reale, non significa che ilnostro corpo in quanto tale è 'Io' o questo mondo come tale èreale, ma solo che, come il nostro vero sé senza forma e senzalimiti (che è la loro vera essenza e unica realtà), entrambi sono 'Io'e reali. Pertanto ciò che Sri Ramana sta affermando in questi due

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versi non è la realtà delle forme limitate di questo corpo e delmondo, ma è solo la realtà del nostro essere essenziale senzaforma e quindi infinito, che sempre sperimenta se stesso enull'altro diverso da sé.

Anche se siamo essere infinito e assoluto, non ci conosciamocome tali perché ignoriamo il nostro essere essenziale eimmaginiamo noi stessi come un corpo finito. Ci siamo cosìabituati ad ignorare il nostro essere che anche nel sonno, quandocessiamo di immaginare noi stessi come un corpo, e quindicessiamo di conoscere ogni altra cosa, sembriamo essere ignorantidella vera natura del nostro essere essenziale, 'Io sono'. Tuttavia,anche se ci sembra di essere ignoranti della nostra vera natura intutti i nostri tre stati di coscienza, in realtà il nostro essereessenziale si conosce sempre chiaramente come la coscienzainfinita, assoluta e non duale 'Io sono'. Il nostro essere essenzialemai ignora o è ignorante della nostra vera natura.

Ciò che è ignorante della nostra vera natura è solo la nostramente, e quindi ci sembra di essere ignoranti della nostra veranatura solo perché noi immaginiamo noi stessi come la nostramente. Dato che la nostra ignoranza del sé non è quindi reale, masolo immaginaria, al fine di porre fine a ciò, tutto quello chedobbiamo fare è coltivare l'abitudine di ricordare o essere attential nostro essere essenziale, 'Io sono'. Come dice Sri Ramananell'undicesimo punto di 'Nan Yar?':

“[...] Se uno si aggrappa saldamente all'ininterrottosvarūpasmaraṇa [ricordo della propria naturaessenziale e vero io, 'Io sono'] fino a raggiungeresvarūpa [cioè, fino a quando si raggiunge la veraconoscenza della propria natura essenziale], questosolo [sarà] sufficiente. [...]”

In questa sola frase, Sri Ramana incapsula il metodo empiricodi Atma-Vicara o auto-indagine, che è l'unico mezzo attraverso il

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quale possiamo raggiungere la vera conoscenza di sé, la veraconoscenza empirica della nostra reale natura. Poiché ci sembra dinon conoscere la vera natura del nostro essere essenziale, il nostrovero sé, solo a causa della nostra ormai consolidata abitudine diignorarlo, possiamo conoscerlo solo coltivando l'abitudineopposta di costantemente ricordare o essere attenti a esso.

In pratica si può inizialmente non essere in grado di ricordarela nostra coscienza di essere 'Io sono' ininterrottamente, maricordandola ripetutamente e frequentemente, possiamogradualmente coltivare l'abitudine di ricordarla anche mentresiamo impegnati in altre attività.

Qualsiasi cosa possiamo fare o pensare, noi siamo, e quindipossiamo ricordare il nostro 'essere', anche mentre noi sembriamoessere nel 'fare' Come diveniamo più abituati a ricordare il nostroessere, scopriremo che ci ricordiamo di esso più frequentemente efacilmente,, nonostante qualsiasi quantità di influenze esterne chedistraggono.

Come il nostro ricordo del sé diventa più saldamente fondato,la nostra chiarezza della coscienza di sé gradualmente aumenta,fino a quando finalmente siamo in grado di sperimentare econoscere il nostro essere essenziale con chiarezza piena eperfetta. Quando sperimentiamo una volta noi stessi comerealmente siamo, la nostra illusione d'ignoranza del sé saràdistrutta, e così scopriremo che non siamo null'altro che il nostrostesso essere reale ed essenziale, che si conosce sempre conperfetta e sempre inalterata chiarezza.

Poiché abbiamo esaminato in dettaglio le risposte di SriRamana alle prime due domande che Sri Sivaprakasam Pillai gliha chiesto, è opportuno qui ricordare un altro fatto che è legato aloro. Sulla scia delle sue prime due domande, Sri SivaprakasamPillai ha chiesto a Sri Ramana molte altre domande, e Sri Ramanaha risposto alla maggior parte di loro scrivendo sia sul terrenosabbioso, che su una lavagnetta o su foglietti di carta che SriSivaprakasam Pillai gli ha dato. Sri Sivaprakasam Pillai ha

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copiato molte di queste domande e risposte in un taccuino, e più diventi anni più tardi gli è stato richiesto da altri devoti dipubblicarle come un piccolo libretto.

La prima edizione di questo libretto è stato pubblicato nel 1923con il titolo 'Nan Yar?', che significa 'Chi sono Io?', o piùprecisamente 'Io [sono] Chi?'. Prima della sua pubblicazione, unabozza di questo opuscolo è stato mostrato a Sri Ramana per la suaapprovazione, e quando lo lesse, si accorse che Sri SivaprakasamPillai aveva ampliato la sua risposta iniziale alla prima domanda,aggiungendo un elenco dettagliato di cose che ritenevamoerroneamente esserci , ma che in realtà non sussistevano.

Vedendo questo, ha osservato che lui non aveva risposto inmodo così dettagliato, ma ha poi spiegato che, a causa del fattoche Sri Sivaprakasam Pillai aveva familiarità con Neti Neti, avevaaggiunto tali dettagli pensando che avrebbero aiutato a capire lasua risposta più chiaramente. Con il termine 'nēti nēti', SriRamana intendeva il processo razionale di autoanalisi descrittonegli antichi testi del Vedanta, un processo che coinvolgel'eliminazione analitica o la negazione di tutto ciò che non è 'Io'.La parola 'nēti è un composto di due parole, 'na, che significa'non', e 'iti', che significa 'così', e quindi neti neti letteralmentesignifica 'non così, non così'. Gli antichi testi del Vedanta usanoqueste parole 'nēti nēti' quando spiegano le basi razionali per lateoria che il nostro corpo, i nostri sensi, la nostra forza vitale, lanostra mente e anche l'ignoranza che ci sembra di sperimentarenel sonno non sono tutti 'Io'.

Durante i dieci anni o giù di lì che seguì la prima pubblicazionedi 'Nan Yar?', diverse versioni di esso sono state pubblicate, edesistono varie altre versioni in forma manoscritta nei quaderni diSri Sivaprakasam Pillai. Ciascuna di queste versioni ha un diversonumero di domande e risposte, con leggera variazione della lorostessa formulazione, e con una quantità variabile di contenuto inalcune risposte particolari.

La versione standard e più autentica, tuttavia, è la versione del

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componimento che Sri Ramana stesso scrisse pochi anni dopo chela prima versione è stata pubblicata. Sri Ramana compose questaversione di prova, che si compone di venti paragrafi, riscrivendola prima versione pubblicata di domande e risposte, edeventualmente attingendo ad alcune delle altre versioni, e nel farloha fatto diversi miglioramenti rimuovendo tutte le domande trannela prima, riorganizzando l'ordine in cui sono state presentate leidee nelle sue risposte, e apportando alcune modifiche alle paroleusate.

Di tutti i cambiamenti che ha fatto, il più significativo è statoquello di aggiungere un intero nuovo paragrafo all'inizio delsaggio. Questo paragrafo di apertura, una traduzione del qualeviene data nel precedente capitolo di questo libro, funge daintroduzione al tema 'Chi sono Io?', perché spiega che il motivoper cui abbiamo bisogno di sapere chi siamo è che la felicità è lanostra vera natura, e che possiamo quindi sperimentare la vera eperfetta felicità solo conoscendo noi stessi come siamo veramente.

Tuttavia, anche se ha fatto tali modifiche, per rispetto di SriSivaprakasam Pillai non ha rimosso la parte nēti nēti dettagliatache questo aveva inserito, ma invece dispose semplicemente chela prima domanda e le parole reali delle sue prime due rispostedovevano essere stampate in grassetto per distinguerle dallaporzione inserita. La prima domanda, la parte inserita e le primedue risposte di Sri Ramana, insieme, costituisconoil secondo paragrafo, il cui significato è il seguente:

“Chi sono Io? Il sthūla dēha [il corpo 'grossolano'o fisico], che è [composto] del sapta dhātus [i settecomponenti, vale a dire chilo, sangue, carne, grasso,midollo, ossa e lo sperma], non è 'Io'.

I cinque jñānēndriyas [organi di senso], vale a direle orecchie, pelle, occhi, lingua e naso, chesingolarmente [rispettivamente] conoscono le cinque

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viṣayas [i domini dei sensi, o tipi di percezionesensoriale], vale a dire il suono, toccare [consistenza ealtre qualità percepita al tatto], la forma [forma, coloree altre qualità percepite dalla vista] il gusto e l'odore,non sono 'Io'.

I cinque karmēndriyas [organi di azione], vale adire le corde vocali, piedi [o gambe], mani [o lebraccia], ano e genitali, che [rispettivamente] fanno lecinque azioni, vale a dire parlare, camminare, tenere[o dare], defecare e [sessuale] godimento, non sono'Io'.

I pañca vāyus [i cinque 'venti', 'soffi vitali' o forzemetaboliche], a partire dal Prana [respiro], chesvolgono le cinque [metaboliche] funzioni, iniziandocon la respirazione, non sono 'Io'.

La mente, che pensa, non è inoltre, l''Io'.L'ignoranza [l'assenza di ogni conoscenza dualistica]che si combina con solo viṣaya-vāsanās [inclinazionilatenti, impulsi, desideri, simpatia e gusto per lepercezioni sensoriali o godimenti dei sensi] quandotutte le percezioni sensoriali e tutte le azioni sono stateinterrotte [come nel sonno], non sono 'Io'.

Dopo aver fatto nēti [negazione, l'eliminazione o lanegazione di tutto ciò che non è noi stessi pensando]che tutte le cose sopraddette sono 'non sono Io', 'nonIo'. Solo la conoscenza che [poi] è separata è l''Io'. Lanatura di [questa] conoscenza ['Io sono'] è sat-cit-ananda [essere-coscienza-beatitudine]”.

La qualificazione della parola 'conoscenza' con l'aggiunta della

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clausola che la definisce 'che è separata' [staccata o da sola]avendo fatto nēti [pensando] che tutte le cose sopraddette 'nonsono Io', 'non Io' è potenzialmente fuorviante, perché potrebbecreare l'impressione che semplicemente pensando nēti nēti, 'noncosì, non così' o 'questo non sono io, non sono io', possiamostaccare la nostra coscienza essenziale o conoscenza 'Io sono' datutto ciò con cui ci confondiamo.

Infatti, molti studiosi che tentano di spiegare gli antichi testidel Vedanta, che spesso descrivono questo processo di neti-neti onegazione di tutto ciò che non è il nostro vero sé, interpretano ciòcome il mezzo effettivo con cui si può raggiungere la conoscenzadi sé. Tuttavia, i saggi che per primi hanno insegnato il razionaleprocesso di auto-analisi chiamato neti neti non avevano intenzioneche esso venisse inteso come la tecnica effettiva di ricerca praticao empirica, ma solo come base teorica su cui la tecnica empiricadi Atma-Vicara o investigazione del sé sarebbe dovuta esserebasata.

Il processo razionale e analitico che è descritto nei testi antichidel Vedanta come nēti nēti o 'non così, non così' è essenzialmentela stessa logica analisi della nostra esperienza che abbiamodescritto in precedenza in questo capitolo. Se non abbiamo primaanalizzato criticamente la nostra esperienza in questo modo, nonsaremmo in grado di comprendere sia il motivo per cui dovremmocercare la vera conoscenza di sé, o che cosa esattamentedovremmo esaminare per conoscere il nostro vero sé.

Finché ci immaginiamo di essere davvero il nostro corpo fisico,la nostra mente pensante o qualsiasi altro oggetto, noiimmaginiamo che possiamo conoscere noi stessi occupandoci diqueste cose, e quindi non saremo in grado di capire ciò chedavvero s'intende con i termini Atma-Vicara, indagine del sé,esame del sé, controllo del sé, inchiesta del sé, attenzione del sé,sollecitudine del sé o ricordo del sé.

Solo quando comprendiamo la teoria fondamentale che siamonient'altro che la nostra fondamentale non duale coscienza di sé: la

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nostra coscienza libera e senza attributi del nostro semplice essere,che noi sperimentiamo solo come 'Io sono' e non come 'io sonoquesto', saremo in grado di capire cosa effettivamente è il 'sé' o'Io' che dovremmo esaminare o di cui ci dobbiamo occupare.

Una volta che abbiamo capito che non siamo veramente ilnostro corpo fisico, la nostra mente pensante o qualsiasi altrooggetto conosciuto da noi, non dobbiamo continuare pensando,'questo corpo non è Io', 'questa mente non sono io', e così via, masi deve ritirare la nostra attenzione da tutte queste cose, efocalizzarla interamente ed esclusivamente sul nostro essere realeed essenziale. Noi non possiamo conoscere il nostro vero sépensando a tutto ciò che non è 'Io', ma solo indagando, scrutandoo concentrandoci vivamente su ciò che è veramente 'Io', quelloche siamo veramente, il nostro essere essenziale.

Se non ritiriamo la nostra attenzione interamente da tutte lealtre cose, non saremo in grado di concentrarci interamente edesclusivamente sul nostro essere essenziale, che abbiamo sempresperimentato come 'Io sono', e se non ci concentriamo su essoquindi sul nostro essere essenziale, non saremo in grado diraggiungere la non duale esperienza di vera conoscenza del sé.

Per quelli di noi che hanno familiarità con tutti i concetti e laterminologia dell'antica filosofia e la scienza indiana, la parteaggiunta da Sri Sivaprakasam Pillai può sembrare essere diqualche utilità come un aiuto per comprendere la semplicerisposta di Sri Ramana: “La sola conoscenza è l'Io”. Tuttavia, lapresentazione e la formulazione di questa porzione aggiunta, nonriflettere veramente lo stile naturale di Sri Ramana d'insegnare, ola sua abituale scelta delle parole. Il suo stile naturale era sempredi rispondere alle domande brevemente, semplicemente e in tema.

Salvo che non stesse parlando con qualcuno la cui mente eragià immersa nei complessi e spesso oscuri concetti e terminologiedel vedanta tradizionale, egli ha generalmente evitato l'utilizzo ditali concetti e terminologie, ed ha invece utilizzato solo sempliciparole tamil, o parole prese in prestito dal sanscrito il cui

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significato era chiaro e semplice.Poiché molte persone che venivano a lui non erano ben versate

nella tradizione vedantica o nei concetti yoga, ha evitato perquanto possibile di ingombrare e appesantire le loro menti con taliconcetti, ad eccezione di alcuni che sono stati davvero utili epertinenti. In particolare, ha evitato tutte le descrizioni dettagliatee le classificazioni dei 'non-sé', tutto ciò che non è il nostro verosé, che sono date in molti testi tradizionali. Come egli scrive nelparagrafo XVII di 'Nan Yar?':

“Così come nessun beneficio [può essere acquisito]da una persona, che dovendo spazzare e buttare via irifiuti, li vaglia, quindi nessun beneficio [può essereacquisito] da una persona, che dovendo conoscere il [ilsuo vero] sé, esaminando i tattvas, che stannonascondendo [il nostro vero] sé, che sono cosìnumerosi, [che è necessario] vagliare le loro qualità,invece di raccoglierli e respingerli tutti. È necessario[per noi] considerare il mondo [che è composto daquesti tattvas] come un sogno”.

Cioè, in più chiara lingua, proprio come non potremmo trarrealcun vantaggio dall'analizzare una massa di spazzatura, invece diraccoglierla e gettarla lontano, quindi non possiamo trarre alcunvantaggio enumerando e studiando la natura dei tattvas, checostituiscono tutto ciò che è 'non-sé' e che quindi oscurano laconoscenza del nostro vero sé, invece di rifiutare tutti loroconoscendo così il nostro vero sé, che è l'unico vero essere osostanza essenziale che sottende il loro aspetto immaginario.

La parola tattva, il cui significato etimologico è 'lo stato che èegli è' (it-ness) o 'quello che è' (that-ness), in pratica significa ciòche è reale, vero ed essenziale, la 'realtà', 'verità' o 'essenza', ma ècomunemente usato per indicare qualsiasi elemento base ocostituente qualità che sono considerate essere reali. In tale

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contesto, pertanto, il termine plurale tattvas denota tutti i principiontologici: gli elementi di base, componenti essenziali o qualitàastratte di cui tutte le cose si suppone che siano fatte.

Le varie scuole di filosofia indiana danno ognuna una propriaclassificazione di questi cosiddetti tattvas, e ciascuna stima che neesistano un diverso numero, un numero che normalmente nonsupera i trentasei. Tuttavia, anche se alcune di loro possono usareparole diverse per descriverli, la maggior parte di queste scuoleconcordano sul fatto che il tattva originale e fondamentale è ilparamātman, il 'sé supremo' o 'spirito trascendente', che è anchechiamato puruṣa, la primaria 'persona' o 'spirito'.

Questo puruṣa o paramātman è il nostro vero sé, il nostrospirito o essenziale essere cosciente di sé, che sperimentiamosempre come 'Io sono'. Questo spirito primario 'Io sono' è l'unicotattva che esiste in modo permanente, senza né apparire oscomparire, è l'unico vero tattva. Ecco perché nel versetto 43 delŚrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai Sri Ramana prega Arunachala,che è il nostro vero sé nella sua funzione di guru, il potere dellagrazia che dona vera conoscenza di sé: “tāṉē tāṉē tattuvamidaṉai-ttāṉē kaṭṭuvāy aruṇācalā”. La parola tāṉ Tamil è unpronome riflessivo singolare che significa 'se stessi', 'me stesso','sé', 'te' e così via, e la lettera ē, che è legata ad esso è un suffissoenfatico che trasmette il senso 'se stesso', 'solo' o 'davvero'. Così ilsignificato di questa preghiera per eccellenza è:

“Il mio sé è il solo tattva [la realtà]. Mostra questo[a me] tuo sé, Arunachala”.

Il nostro vero sé è il tattva unico veramente esistente, l'unicanon duale, infinita e assoluta realtà, che possiamo conoscere soloquando si mostra a noi, e lo fa attraendo la nostra mente o il poteredi attenzione verso l'interno, verso se stesso, dissolvendoci in talmodo e assorbendoci come uno con se stesso, il nostro essereessenziale.

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Finché noi prestiamo anche la minima attenzione a qualcosa didiverso dal nostro essere essenziale, non possiamo conoscere noistessi come siamo veramente. Poiché tutti gli altri cosiddettitattva, tra cui il nostro intelletto, il nostro ego, la nostra mente, inostri cinque organi di senso, i nostri cinque organi di azione, icinque Tanmàtras (che sono le essenze sottili di ciascuna dellecinque forme di percezione dei sensi, cioè il suono, tatto, forma,gusto e olfatto) e i cinque elementi (vale a dire lo spazio, aria,acqua, fuoco e terra) che appaiono e scompaiono, sono soloapparizioni effimere o illusioni, e quindi non sono tattva reali.

Poiché il mondo è composto di questi effimeri e illusori tattvas,esso stesso è una mera illusione, e quindi Sri Ramana conclude ilXVII paragrafo di 'Nan Yar?' dicendo che dovremmo considerarliessere un mero sogno. Quindi, poiché il nostro corpo è una partedi questo illusorio e onirico mondo, dovremmo considerarlo allostesso modo essere solo una illusione irreale, un prodotto delnostro potere d'immaginazione.

Giacché nessuno di questi altri tattva è reale, né loro né nullacomposto da loro può essere il nostro vero sé, e quindi nondobbiamo sprecare il nostro tempo ed energie a pensare a loro,enumerandoli, classificandoli o esaminando le loro proprietà, madovrebbero essere del tutto ignorati e invece occuparci solo delnostro vero 'Io', la nostra fondamentale ed essenziale coscienzadel nostro vero essere. L'unica esigenza che abbiamo perconsiderare il nostro corpo, la nostra mente e tutte le altre coseaggiunte è comprendere il fatto che essi sono irreali, e non sonoquindi 'Io'. Quindi nel versetto 22 di 'Upadēśa Undiyār SriRamana afferma brevemente la conclusione essenziale alla qualedovremmo arrivare mediante il processo razionale di auto-analisi,che negli antichi testi Advaita Vedanta è chiamato nēti nēti o 'noncosì, non così':

“Poiché [il nostro] corpo, la mente, l'intelletto, lavita e le tenebre [l'apparente assenza di conoscenza

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che sperimentiamo nel sonno] sono tutti jaḍa[incoscienti] e asat [irreale o inesistenti], non [sono]l'Io, che è [cit o coscienza e] essere [essere o realtà]”.

I cinque oggetti che Sri Ramana dichiara in questo versetto nonessere 'Io', cioè il nostro corpo, la mente, l'intelletto, la vita el'oscurità, sono generalmente noti nel Vedanta come pañca-kōśaso 'cinque involucri', perché sono i cinque attributi ausiliari cheapparentemente coprono e oscurano la coscienza del nostro verosé.

Queste cinque aggiunte (attributi) o 'guaine' sono: la annamayakōśa o 'guaina composta di cibo', che è il nostro corpo fisico; ilprāṇamaya kōśa o 'guaina composta di prana, vita, vitalità orespiro', che è la forza vitale che anima il nostro corpo fisico; ilmanōmaya kōśa o 'guaina composta dalla mente', che è la nostramente o facoltà di mentalizzazione e cognizione; il vijñānamayakōśa o 'involucro composto di conoscenza discriminativa', che è ilnostro intelletto o facoltà di discernimento o giudizio; laānandamaya kōśa o 'involucro composto di beatitudine', che è lafelicità apparentemente inconscia che sperimentiamo nel sonno.

Tuttavia, invece di utilizzare questi termini tecnici sanscriti perindicare queste cinque appendici (attributi), Sri Ramana hautilizzato cinque semplici parole tamil, che letteralmentesignificano il corpo, la mente, l'intelletto, la vita e le tenebre. Laparola uḍal o il 'corpo' qui denota il nostro corpo fisico oannamaya kōśa la parola poṟi, che di solito significa 'organo disenso', qui denota la nostra mente o manōmaya kōśa, la parolauḷḷam, che di solito significa 'cuore' o 'mente', qui denota il nostrointelletto o vijñānamaya kōśa, la parola uyir o 'vita' denota lanostra forza vitale o prāṇamaya kōśa, e la parola iruḷ o 'tenebre'denota la nostra ānandamaya kōśa, la beata mancanza diconoscenza oggettiva che sperimentiamo nel sonno.

Tuttavia, ciò che è importante in questo versetto non sono itermini che vengono utilizzati per denotare questi ausiliari

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Chi Sono Io?

{attributi} che immaginiamo essere il nostro sé, ma è laconclusione che essi non sono in realtà il nostro vero sé. Il nostrovero sé è sat e cit, essere e coscienza, mentre il nostro corpo, lanostra forza vitale, la nostra mente, il nostro intelletto e l'oscuritàapparente di sonno sono tutti asat e jada, cioè, non hanno unapropria reale esistenza o coscienza. Essi sembrano esistere soloquando li conosciamo, e non conosciamo nessuno di loro in tutti inostri tre stati normali di coscienza.

Di queste cinque appendici {attributi}, sperimentiamo la nostramente e l'intelletto, che sono in realtà solo due funzioni di quellacoscienza individuale che generalmente chiamiamo la nostramente o ego, sia nella veglia sia nel sogno, ma non nel sonno. Noisperimentiamo il nostro attuale corpo fisico e la forza vitaleall'interno di esso solo in questo stato di veglia, e in ciascuno deinostri altri stati di sogno sperimentiamo qualche altro corpo fisicoe la sua corrispondente forza vitale.

Noi sperimentiamo il quinto complemento, l'oscurità apparentedel sonno, solo nel sonno. Pertanto, poiché noi non sperimentiamoalcuna di queste cinque appendici in tutti i nostri tre stati dicoscienza, non possono essere il nostro vero sé. Essi non sono ilnostro vero essere, o la nostra reale coscienza. Essi sonosemplicemente impostori, fantasmi che immaginiamo noi stessiper un breve periodo di tempo, ma da cui siamo in grado disepararci in altri momenti. Indipendentemente dal nostro veroessere cosciente di sé 'Io sono', non esistono, né possonoconoscere la propria esistenza.

Anche se la nostra mente può apparire cosciente di sé adesso,non è cosciente di sé in ogni momento e in tutti gli stati. La suacoscienza di sé apparente non è pertanto inerente a essa, e quindinon è reale. Essa prende in prestito la sua apparente coscienza disé dalla nostra vera coscienza di sé, che sola è cosciente di sé inogni momento e in tutti gli stati.

L'essere e la coscienza del nostro corpo, la nostra mente e inostri altri complementi o corpi non sono reali, ma sono mere

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apparizioni, illusioni create dal nostro potere d'immaginazione. Illoro essere e la loro coscienza sembrano essere reali solo quandoli confondiamo essere noi stessi. Con il nostro potered'immaginazione che sovrappone queste appendici al nostroessere reale e alla coscienza, di conseguenza, essi sembranoesistere ed essere coscienti.

Poiché questi accessori non hanno un essere intrinseco epermanente o consapevolezza loro propria, Sri Ramana concludeche sono tutti asat, irreali o privi di vero essere o esistenza, e Jada,incoscienti o privi di vera coscienza. Pertanto, non possono essere'Io', il nostro vero sé, che è l'essere assoluto o Sat e la coscienzaassoluta o Cit.

Una volta che abbiamo così capito che il nostro corpo, la nostramente e tutto i nostri altri attributi {ausiliari} non sono il nostrovero sé, dovremmo ignorarli. Invece di sprecare il nostro tempo ele nostre energie a esaminare o pensare a loro o a qualsiasi altracosa che non sia il nostro vero sé, dovremmo indirizzare tutta lanostra energia e sforzo a scrutare solo noi stessi, il nostroessenziale essere cosciente del sé, che sempre sperimentiamocome 'Io sono' perché siamo in grado di sapere chi o che cosasiamo veramente solo analizzando intensamente o occupandocidel nostro sé reale ed essenziale.

Come abbiamo visto in questo capitolo, analizzando la nostraesperienza su noi stessi nei nostri tre stati di coscienza, siamo ingrado di ottenere una chiara teorica comprensione di ciò cherealmente siamo. Tuttavia, questa teorica comprensione non è finea se stessa, ma è semplicemente il mezzo per scoprire comepossiamo acquisire vera conoscenza ed esperienza della nostravera natura.

Poiché abbiamo imparato dalla nostra analisi critica che lanostra vera natura, il nostro vero sé, è solo la nostra 'non-dualecoscienza di essere', che sempre sperimentiamo come 'Io sono',quello che tutti abbiamo bisogno di fare per ottenere la veraempirica conoscenza di sé è di scrutare la nostra coscienza di

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Chi Sono Io?

essere con una potenza intensamente focalizzata di attenzione. Lanostra vera coscienza è solo la nostra 'coscienza' di essere, lanostra fondamentale coscienza di sé 'Io sono'.

La nostra mente o 'coscienza di conoscere' è semplicementeuna forma irreale di coscienza, che esiste solo nella suaimmaginazione, e che è quindi sperimentata solo da se stessa, enon dalla nostra reale 'coscienza di essere'.

Dal momento che il sorgere immaginario di questa irreale'coscienza di conoscere' è la nube che apparentemente oscura lanostra vera 'coscienza di essere', che ci impedisce di viverla comeè veramente, procediamo ora ad esaminare la natura di questairreale 'coscienza di conoscere', la nostra mente auto-ingannevole.Anche se il nostro obiettivo finale, come abbiamo discusso inprecedenza, è quello di ignorare la nostra mente e di essere attentisolo al nostro vero sé, che è la realtà che la sottende, saràcomunque di grande beneficio esaminare la natura della nostramente più profondamente e, quindi, comprenderla piùchiaramente.

Ci sono due ragioni principali per questo: la prima e piùimportante ragione è che è essenziale comprendere ed esserefermamente convinti del fatto che la nostra mente è irreale equindi non è il nostro vero sé o 'Io': la nostra forma essenziale ereale di coscienza. Dato che la nostra mente è un impostore che ciillude ingannandoci su chi siamo noi stessi, dobbiamo essere ingrado di vedere attraverso la sua natura auto-ingannevole perriconoscere il nostro sé reale, che è alla base della sua falsaapparenza, proprio come una corda è alla base della falsaapparenza di un serpente immaginario.

La seconda ragione è che quando cerchiamo di esaminare ilnostro vero sé, l'unico ostacolo che effettivamente abbiamo sullanostra strada sarà la nostra mente. Poiché la nostra mente è ilnemico principale che si opporrà e ostacolerà tutti i nostri sforziper conoscere il nostro vero io, dobbiamo capire questo nemicocorrettamente al fine di usarlo a nostro vantaggio e evitare di

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cadere preda di tutti i suoi auto illudenti e sottili trucchi.In particolare, dobbiamo capire l'irrealtà e inconsistenza della

nostra mente, perché solo allora saremo davvero convinti del fattoche l'unico modo per superare tutti i suoi trucchi auto-illusori è diignorarla occupandoci solo della nostra coscienza realesottostante: la nostra essenziale non duale coscienza di sé 'Iosono'. Pertanto, prima di indagare la natura della nostra veracoscienza nel capitolo quattro, dobbiamo prima indagare la naturadi questa coscienza irreale che noi chiamiamo la nostra 'mente'.

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Capitolo 3

La Natura della Nostra Mente

Nel capitolo precedente abbiamo visto che ciò che chiamiamola nostra 'mente' è solo una limitata e distorta forma della nostracoscienza originale e fondamentale 'Io sono'. Una forma spuria dicoscienza che s'identifica con un corpo particolare, e che sembraesistere solo negli stati di veglia e sogno, e scompare nel sonnoprofondo. Giacché questa mente è l'ostacolo principale che sitrova sul cammino della nostra conoscenza di noi stessi e di comerealmente siamo, esaminiamola ora più da vicino.

Qual è la natura di questa forma limitata e distorta di coscienzache noi chiamiamo la nostra 'mente'? La nostra mente, come laconosciamo ora è solo un fascio di pensieri, pensieri, nel verosenso più ampio del termine, vale a dire tutto ciò che la nostramente forma e sperimenta in sé, come ogni percezione,concezione, idea, credo, sentimento, emozione, desiderio, paura ocose del genere.

Tutti i pensieri sono solo immagini che la nostra mente formain sé col suo potere dell'immaginazione. Tranne la nostracoscienza fondamentale: 'Io sono', tutto ciò che la nostra menteconosce o sperimenta è solo un pensiero che si forma dentro di sé.Anche le nostre percezioni sono solo pensieri o immagini mentaliche la nostra mente forma in sé col suo meraviglioso poteredell'immaginazione.

Se le percezioni nello stato di veglia sono formate solo dalpotere d'immaginazione della nostra mente senza stimoli esterni,come nel sogno, o sono formate dal potere di immaginazione dellanostra mente in risposta a reali stimoli esterni, è qualcosa chepotremo conoscere con certezza solo quando scopriremo la veritàultima sulla nostra mente. Poiché il fatto che tutte le nostre

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percezioni sono solo pensieri è così importante, esaminiamole unpo' più da vicino, utilizzando l'esempio della vista. Secondo laspiegazione 'scientifica' del processo del vedere, la luce dalmondo esterno entra nei nostri occhi e stimola le reazionielettrochimiche nelle cellule sensibili alla luce nella parteposteriore di questi.

Queste cellule poi stimolano una catena di successive reazionielettrochimiche lungo i nostri nervi ottici, e questi a loro voltaraggiungono il nostro cervello e causano altre attivitàelettrochimiche che accadono li. Finora il processo è molto chiaroe semplice da capire. Ma ora qualcosa di misterioso accade. Lanostra mente, che è una forma di coscienza che s'interfaccia con ilnostro cervello, in qualche modo interpreta tutta questa attivitàelettrochimica formando le immagini in sé che riteniamocorrispondere alla forma, colore e dimensione degli oggettiesterni, e alla loro distanza relativa dal nostro corpo.

Tutti sappiamo in realtà che quando vediamo una cosa questa èl'immagine che la nostra mente si è formata dentro di sé. La nostraconvinzione che tali immagini corrispondano agli oggetti esternireali, e tutte le nostre spiegazioni scientifiche del suppostoprocesso per cui la luce da quegli oggetti stimola la nostra menteper formare tali immagini, sono solo immagini o pensieri che lanostra mente si è formata dentro di sé.

Lo stesso vale per tutte le immagini del suono, olfatto, gusto etatto che la nostra mente forma in sé, presumibilmente in rispostaa stimoli esterni. Quindi tutto ciò che sappiamo del mondo esternoin realtà sono solo le immagini o pensieri che la nostra mente stacostantemente formando dentro di sé. Non dobbiamo accettare,dunque, che il mondo che pensiamo di percepire fuori noi stessipuò essere nient'altro che pensieri che la nostra mente ha formatodentro di sé, proprio come i mondi che vediamo nei nostri sogni?

Anche se non siamo pronti ad accettare il fatto che il mondopossa effettivamente essere null'altro che i nostri pensieri, nondobbiamo almeno accettare il fatto che il mondo come lo

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La Natura della Nostra Mente

conosciamo, e per come siamo in grado di conoscerlo, è davveronull'altro che i pensieri? Di tutti i pensieri che si formano nellanostra mente, il primo è il pensiero 'io'.

La nostra mente prima forma se stessa come il pensiero 'io', esolo allora si formano altri pensieri. Senza un 'io' che pensa diconoscerli, nessun altro pensiero potrebbe essere formato. Tutti glialtri pensieri che si formano nella nostra mente costantementevanno o vengono, sorgono e quindi spariscono, ma il pensiero 'io'persiste fintanto che la nostra mente persiste.

Così il pensiero 'io' è la radice di tutti gli altri pensieri, ed è unpensiero essenziale senza il quale non ci sarebbe nulla di similecome 'mente' e nessuna azione come 'pensare'. Pertanto la nostramente è costituita da due aspetti distinti, vale a dire il soggetto checonosce, che è il nostro principale pensiero 'io', e gli oggetticonosciuti, che sono tutti gli altri pensieri che si formano e sonovissuti da questo 'io'. Tuttavia, anche se costituito da questi dueaspetti o elementi, l'unico elemento fondamentale ed essenzialedella nostra mente è solo il nostro pensiero causale 'io'.

Pertanto, anche se usiamo il termine 'mente' come un terminecollettivo sia per il pensatore che per i suoi pensieri, la nostramente è in sostanza solo il pensatore, il pensiero base 'io' chepensa tutti gli altri pensieri. Questa verità semplice ma importanteè espressa sinteticamente da Sri Ramana nel versetto 18 delUpadesa Undiyār:

“[Nostra] mente è solo [una moltitudine di]pensieri. Di tutte [gli innumerevoli pensieri che siformano nella nostra mente], solo il pensiero 'io' è laradice [base, fondazione, origine]. [Pertanto] quelloche è chiamato 'mente' è [in essenza solo questopensiero radice] 'io'”.

In prima analisi la nostra mente può quindi essere risoltanell'essere, in sostanza, solo questo pensiero fondamentale 'io'; in

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un'ulteriore analisi questo fondamentale pensiero 'io' può a suavolta essere risolto, in sostanza, come soltanto la coscienza.Poiché conosce altri pensieri, questo pensiero 'io' è una forma dicoscienza, ma poiché sorge o si forma solo dal sentire 'io sonocosì e così una persona', e poiché si abbassa e perde la sua formaseparata nel sonno, quando cessa di sentirsi così, non è la nostraforma permanente e vera di coscienza, la nostra pura coscienza 'Iosono'.

Poiché può sorgere solo individuando un corpo fisico come 'io',come avviene sia nella veglia che nel sogno, è una forma mista econtaminata di coscienza, una coscienza che si confonde con uncorpo, sentendosi erroneamente 'io sono questo corpo, unapersona chiamata così e così'.

Ciò che intendiamo quando diciamo 'io sono così e così comeuna persona' è che siamo una coscienza individuale, ches'identifica con un corpo {attributo o aggiunta}, un particolarecorpo. Questa identificazione della nostra coscienza con unparticolare corpo è ciò che ci definisce come una persona oindividuo. La nostra individualità o esistenza separata e distintanon è quindi altro che questa coscienza legata ad un corpo che sisente come 'io sono questo corpo'. Scambiando se stesso peressere un corpo particolare, questa coscienza confina se stessa neilimiti di tale corpo, e si sente di essere separata da tutti gli oggettie le persone che percepisce al di fuori di tale organismo.

Questa apparentemente separata coscienza individuale 'io sonoquesto corpo' è ciò che noi chiamiamo con vari nomi come lamente, l'ego, la psiche o l'anima, ed è il primo pensiero che dàluogo e sperimenta tutti gli altri pensieri. Nella terminologiareligiosa, la nostra coscienza individuale limitata 'io sono questocorpo' è quella che è chiamata la nostra 'anima', mentre la nostraillimitata fondamentale coscienza 'Io sono' è quello che vienechiamato il nostro 'spirito', il nostro 'cuore' o il 'nucleo dellanostra anima'.

La credenza popolare che il nostro intero sé è un composto di

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questi tre elementi, il nostro corpo, la nostra anima e il nostrospirito, è radicata nella nostra errata identificazione di noi stessicon un corpo particolare. Anche se conosciamo noi stessi comeunici, a causa della nostra errata identificazione di noi stessi conun corpo, abbiamo erroneamente immaginato noi stessi esseretutte queste tre cose diverse.

Questa nozione è logicamente assurda, perché visto che siamouno, come si può essere ben tre cose, diverse da noi stessi? Ognigiorno nel sonno sia il nostro corpo sia la nostra anima (la nostramente o individuale coscienza) scompaiono, eppure continuiamoad esistere, e a sapere che esistiamo. Pertanto, dal momentorimaniamo nel sonno senza né il nostro corpo né la nostra anima,nessuno di questi due elementi può essere il nostro vero sé. Inverità, dunque, questi tre elementi costituiscono solo il nostro séindividuale falso, che è una mera illusione, e non il nostro vero sé.

Il nostro vero sé, tutto il nostro intero e completo sé, nonconsiste di tre elementi, ma di un solo elemento, il fondamentaleed essenziale elemento che noi chiamiamo il nostro 'spirito', che èla nostra singola non duale coscienza del nostro essere: la nostravera autocoscienza 'Io sono'. Poiché questo non duale spirito èinteramente distinto dal nostro corpo e dalla nostra animaindividuale, ma non è limitato in alcun modo, né è diviso. Pertantolo spirito che esiste come cuore o nucleo di ogni singola anima èessenzialmente la stessa singola indivisa coscienza, non duale einfinita di essere. Ciò che ognuno di noi sperimenta come lanostra coscienza essenziale di essere, 'Io sono', è la stessacoscienza non duale reale che esiste in ogni altro essere vivente.

Poiché la nostra mente o anima è una forma di coscienza che siè limitata entro i confini di un particolare corpo, e poiché vedemolti altri organismi, ciascuno dei quali sembra avere unacoscienza propria, nella prospettive della nostra mente cisembrano essere molte altre menti o anime. Tuttavia, poiché lacoscienza fondamentale 'Io sono', che è vissuta da ognuno di noi,come il nucleo essenziale del nostro essere, esiste sempre così

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com'è, senza limitarsi in alcun modo identificandosi con leaggiunte {attributi}, vi è in realtà una sola coscienza 'Io sono',anche se a causa della nostra distorta coscienza individualizzatapensiamo che l''Io sono' in ogni persona è diverso da quello diogni altra persona.

La mente o l'individuo separato 'io' che vediamo in ognipersona è solo un riflesso differente di quell'unico 'Io' che esistenella profondità più intima di ciascuno di noi, proprio come laluminosa luce che vediamo in ogni frammento di uno specchiorotto che giace a terra è solo un riflesso diverso di un unico soleche brilla nel cielo. Pertanto anche se si forma solo immaginandose stessa come un corpo particolare, la mente di ciascuno di noi,tuttavia, contiene in sé la luce della nostra originale non dualecoscienza 'Io sono'.

Proprio come ogni sole riflesso da terra non può essere formatosenza aver preso a prestito sia la luce del sole che la forma limitatadi un frammento di specchio; quindi senza prendere in prestito laluce della coscienza dalla sua originale fonte, 'Io sono', e senzaallo stesso tempo prendere in prestito tutti i limiti di un corpofisico; la nostra mente, il nostro principale pensiero 'io', nonpotrebbe essere formato o entrare in esistenza. Così la nostramente è una miscela composta di due contrari e discordantielementi, l'elemento essenziale della coscienza e l'elementosovrapposto delle limitazioni fisiche. Come dice Sri Ramana neiversetti 24 e 25 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Il corpo inerte non dice 'Io'; l'essere coscienza,(cioè, la nostra coscienza fondamentale del nostroessere, 'Io sono') non nasce [cioè, non appare o vienein essere essendo eterno]. Tuttavia tra i due, [una certacoscienza spuria che si sente di essere] 'io' sorge[immaginando se stessa di essere limitata] nellamisura [la dimensione o la natura] di un corpo.

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Sappiate che questa [la spuria coscienza checonosce se stessa come 'io sono questo corpo'] èchiamata: cit-jaḍa-granthi [il 'nodo tra coscienza emateria incosciente'], schiavitù, anima, corpo sottile[la sottile forma-seme di tutti i grossolani corpi fisiciche la mente crea per se stessa nella veglia e neisogni], l'ego, questo samsara [lo stato mondano dipersistente attività e trasmigrazione], e la mente.

Afferrando una forma [un corpo] vieneall'esistenza. Afferrando una forma [di questo corpo]persiste. Afferrando una forma si nutre [di pensieri ooggetti] e fiorisce abbondantemente. Lasciando unaforma [un corpo] coglie un'altra forma [un altrocorpo]. Se [noi] lo esaminiamo, [questo] informe ego-fantasma prende il volo. Questo devi conoscere [cioè,conosci questa verità, o vivi questa scomparsa dell'egoesaminandolo]”.

Cioè, la nostra mente o ego è un'entità spuria, un impostore chesi presenta come coscienza e come un corpo composto di materiaincosciente. Sembra venire alla luce e perdura solo afferrando uncorpo immaginario come se stessa, e nutre se stessa e fioriscecostantemente occupandosi di pensieri o oggetti immaginari. Sel'esaminiamo da vicino, però, scompare, non avendo alcuna formao reale esistenza propria. Come dice Sri Ramana nei versetti 17 e20 del Upadesa Undiyār:

“Quando [noi] esaminiamo la forma della [nostra]mente senza dimenticanza [interruzione causata dalsonno o dal pensare altri pensieri], [scopriremo che]non esiste una cosa come la 'mente' [distinta da odiversa dalla nostra coscienza fondamentale 'Io sono'].

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Per tutti, questo è il percorso diretto [il mezzodiretto per sperimentare la vera conoscenza del sé].Nel luogo [lo stato di chiara conoscenza di sé] dove'io' [la nostra mente o la falsa coscienza individuale] sifonde [per scrutare così la sua propria forma], l'uno[vero essere-coscienza] appare spontaneamente come'Io [sono] Io'. Esso stesso è tutto [l'illimitata e indivisarealtà]”.

Cioè, quando la nostra mente o il pensiero radice 'io': questamista e limitata coscienza che si sente 'io sono questo corpo',rivolge la sua attenzione verso l'interno per scrutare sé stessa,perde la sua presa sul suo corpo immaginario e tutti i suoi altripensieri; dal momento che non ha una forma separata propria, essasi placa e scompare.

Quello che poi rimane ed è noto in mancanza di questa spuriacoscienza limitata 'io sono questo corpo' è la nostra unica, nonduale, reale e illimitata coscienza 'Io sono', che sperimenta sestessa non come 'io sono questo' o 'io sono quello', ma solo come'Io sono Io'. Mentre la nostra coscienza legata all'aggiunta (corpoo accessorio) che si sente 'io sono questo' o 'io sono quello' (che èuna forma duale di coscienza), la nostra coscienza libera daaccessori (aggiunte o corpi) che si sente solo 'Io sono Io', è il nonduale, indiviso e infinito tutto.

Poiché è infinita, nulla può veramente essere separato da odiverso da essa. Tutto ciò che sembra essere separato è solo unafalsa apparenza, un'apparizione o illusione, una finzione dellanostra immaginazione. Quindi la nostra vera e libera di aggiuntenon duale coscienza 'Io sono Io' è l'unica realtà veramenteesistente, la sola e unica realtà assoluta. Sri Ramana esprimequesta stessa verità nel versetto 2 del Āṉma-Viddai:

“Poiché il pensiero 'questo corpo composto dicarne è io' è l'unica corda su cui [tutti] i nostri vari

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pensieri sono attaccati, se [noi] andiamo dentro[esaminando noi stessi] 'chi sono Io?', 'qual'è illuogo?' [la fonte dalla quale questo pensierofondamentale 'io sono questo corpo che 'sorge'], [tutti]i pensieri spariranno, e all'interno della grotta [ilnucleo del nostro essere] della conoscenza di sésplenderà spontaneamente come 'Io [sono] Io'. Questosolo è il silenzio [lo stato silente o immobile di puroessere], il solo [non duale] spazio [della coscienzainfinita], l'unica dimora di [vera illimitata] felicità”.

Le parole 'nāṉ ār iḍam edu' usate qui da Sri Ramana possonoessere adottate per significare sia una domanda, 'qual è il postodove l'Io dimora?', o due domande, 'chi sono io? qual è il posto?',a seconda se la parola ār è preso per essere un pronomeinterrogativo che significa 'chi' o un aggettivo verbale chesignifica 'dove [Io] dimoro'.

Come in molti altri casi, nei suoi insegnamenti Sri Ramana quiusa la parola iḍam, che letteralmente significa 'luogo' o 'spazio', insenso figurato per denotare il nostro vero essere o Sé, perché ilnostro vero sé è la sorgente o 'luogo di nascita' da cui il nostrosenso individuale di 'io' nasce, e perché è anche lo spazio infinitodella coscienza in cui la nostra mente risiede.

Poiché tutte le altre cose sono solo pensieri che formiamo nellanostra mente col nostro potere di immaginazione, lo spazioinfinito della nostra non duale coscienza di essere, 'Io sono', è lafonte originale e l'unica dimora non solo della nostra mente, maanche di tutte le altre cose. Quando Sri Ramana dice: “Il pensiero'questo corpo composto di carne è io' è quella corda su cui [tutti]i nostri diversi pensieri sono attaccati”, cosa esattamente significacon la parola 'pensiero'?

In questo contesto, la parola 'pensiero' non significa solo unpensiero verbalizzato o concettualizzato. Esso significa tutto ciòche formiamo nella nostra mente col nostro potere

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dell'immaginazione. Tutto ciò che noi formiamo e sperimentiamoall'interno della nostra mente è un pensiero o immaginazione, siache lo chiamiamo pensiero, sentimento, emozione, desiderio,paura, credenza, ricordo, idea, concetto o una percezione. In altreparole, qualsiasi altra forma di conoscenza oggettiva o esperienzadualistica è un pensiero, un'idea o un'immagine che abbiamoformato nella nostra mente.

Di tutti i nostri tanti pensieri, Sri Ramana dice che il pensierodi base che supporta anche tutti gli altri pensieri è il nostropensiero o immaginazione che un particolare corpo è noi stessi.Ognuno dei nostri pensieri è legato direttamente a questofondamentale pensiero 'io sono questo corpo', e sono tutti tenutiinsieme da questo, proprio come le perle in una collana sonotenute insieme da un filo. Cioè, dato che l''io' che pensa tutti glialtri pensieri è la nostra mente che crea e sostiene se stessaimmaginando se stessa di essere un corpo, questo sentimentofondamentale che noi siamo un corpo sottende e sostiene ognipensiero che pensiamo.

Ogni volta che la nostra mente è attiva, sia nella veglia o insogno, sentiamo sempre noi stessi di essere un corpo. Anchequando sogniamo ad occhi aperti, tutto ciò che immaginiamo èincentrato sulla nostra immaginazione di base che siamo un corpo.Anche se immaginiamo di essere in uno stato di esistenza che è dilà del presente mondo materiale, come il paradiso o l'inferno, oimmaginiamo di essere una qualche forma di corpo sottile o etereoin quell'altro mondo.

Anche se ora consideriamo che il corpo che sperimentiamo diessere noi stessi in un sogno, o il corpo che sperimentiamo inqualche altro stato come il paradiso o l'inferno, non come uncorpo materiale, ma come un corpo più sottile, creato dalla menteo un corpo etereo; quando effettivamente sperimentiamo talecorpo, come nel sogno, non ci sentiamo di essere un corpo sottile,ma un corpo di materiale solido, un corpo di carne e sangue.

Ecco perché Sri Ramana dice: “Il pensiero, 'questo corpo

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La Natura della Nostra Mente

composto di carne è l'io', è un filo su cui [tutti i nostri] varipensieri sono collegati”. La sensazione o l'immaginazione che uncorpo particolare sia noi stessi, è il fondamento su cui la nostramente e tutta la sua attività si basa. In entrambi veglia e sogno cisentiamo sempre di essere un corpo. La nostra mente prima formase stessa immaginando se stessa di essere un corpo fisico, e soloallora può pensare a qualsiasi altra cosa.

Come tutti i nostri pensieri, questa sensazione che un corpo ènoi stessi è una fantasia. È la nostra prima e fondamentaleimmaginazione, il nostro originale e più semplice pensiero, a cuiSri Ramana si riferisce altrimenti come il nostro pensiero radice'io'. Ogni volta che la nostra mente si attiva, sia nella veglia che insogno, lo fa sempre immaginando sé stessa come un corpo. Senzaquesta prima immaginazione, non possiamo immaginare unqualsiasi altro pensiero.

Pertanto ogni altro pensiero che pensiamo dipende interamenteda questo primo pensiero 'io sono questo corpo'. Infatti, la formadi base ed essenziale della nostra mente è solo questo pensieroradice 'io', la nostra radicata immaginazione che siamo un corpomateriale. Allora perché e come nasce questa immaginazione?Essa sorge solo a causa della nostra immaginaria ignoranza del sé.Poiché noi prima immaginiamo che non sappiamo ciò cherealmente siamo, noi siamo quindi in grado di immaginare chesiamo qualcosa che non siamo.

Poiché la nostra mente, la nostra coscienza individuale finita,che nasce dall'immaginazione di essere un corpo, è un'illusioneche viene in esistenza a causa della nostra immaginaria ignoranzadel sé, sarà distrutta solo quando sperimenteremo la veraconoscenza del sé: cioè, solo quando sperimentiamo noi stessicome siamo veramente. Al fine di sperimentare noi stessi così,dobbiamo cessare di dare attenzione a uno qualsiasi dei nostripensieri, e dobbiamo invece occuparci profondamente della nostracoscienza essenziale 'Io sono'.

Quando lo facciamo, la chiarezza della nostra vigile coscienza

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di sé dissolverà l'illusione della nostra ignoranza del sé, e quindicesseremo di immaginare di essere un corpo o qualsiasi altra cosache non siamo. Dato che la nostra basica immaginazione di essereun corpo sarà così dissolta, insieme con essa tutti gli altri nostripensieri saranno distrutti.

Ecco perché Sri Ramana dice questo versetto:

“[...] se [noi] andiamo entro [esaminando noi stessi]'chi sono Io?' Qual'è il posto [la fonte da cui questopensiero fondamentale 'io sono questo corpo' sorge]?[Tutti] i pensieri scompariranno, e all'interno dellagrotta [il cuore del nostro essere] la conoscenza di sésplenderà spontaneamente come 'Io [sono] Io' [...]”.

Poiché tutti gli altri nostri pensieri dipendono per la loroesistenza apparente dal nostro primo e fondamentale pensiero 'iosono questo corpo', e poiché tutto ciò che conosciamo come altroda noi stessi è solo uno dei nostri pensieri, un'immagine cheabbiamo formata nella nostra mente col nostro potered'immaginazione, quando scopriamo che non siamo questo corpoma siamo solo la coscienza di sé libera di aggiunte {attributi},infinita e non duale 'Io sono'; tutto ciò che appare diverso daquesta coscienza di sé fondamentale ed essenziale scomparirà,proprio come un serpente immaginario scompare, quandoscopriamo che quello che abbiamo creduto essere un serpente è inrealtà solo una corda.

Pertanto, poiché il nostro corpo e tutto questo mondo sono solouna serie di pensieri o immagini che abbiamo formato nella nostramente col nostro potere d'immaginazione, scompariranno tutti conla nostra mente quando raggiungiamo la non duale esperienzadella vera conoscenza di sé.

Questa verità è chiaramente richiamata da Sri Ramana nelversetto 1 dell'Āṉma-Viddai:

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“Anche se [il nostro] sé ininterrottamente [e] senzadubbio [o in modo imperituro] esiste come reale [cioè,anche se è una costante, indivisibile, imperitura eindubbia realtà [questo] corpo e mondo, che sonoirreali, germoglia e si pone come [se fosse] reale.Quando il pensiero [la nostra mente], che è [compostodella] irreale oscurità [d'ignoranza di sé] è sciolto [odistrutto] senza poter rivivere nemmeno uno iota[cioè, in modo tale che non può mai rivivere neanchein minima parte], nello spazio del cuore [nucleo piùintimo del nostro essere], che è [quella infinita] larealtà, [il nostro vero] il sé, [che è] il sole [della veraconoscenza o coscienza], quindi potrà brillarespontaneamente [cioè, da sé e per sé].

L'oscurità [d'ignoranza del sé, che è la base perl'apparizione della nostra mente, essendo lo schermobuio su cui è proiettato il cinema delle ombre deinostri pensieri] potrà [così] scomparire, la sofferenza[che sperimentiamo in questa oscurità di ignoranza delsé dovuta alla intensa attività dei nostri pensieri]cesserà, [e] la felicità [che è sempre la nostra vera edessenziale natura] si manifesterà”.

In questo verso Sri Ramana afferma con enfasi che il nostrocorpo e il mondo che ci sembra di percepire attraverso di essosono entrambi irreali, e implica che essi sorgono come semplicipensieri nella nostra mente. Dato che la nostra mente, che è la solacausa dell'esistenza apparente sia del nostro corpo sia di questomondo, è composta solo di pensieri, in questo contesto, egli usa laparola niṉaivu 'pensiero' per denotarla, e lui la descrive come poymai yar, che significa 'che è [composto di] buio irreale', perché èformata dalle tenebre d'ignoranza del sé, essendo essa stessairreale, nient'altro che una fantasia.

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Il nostro corpo e questo mondo sono due semplici pensieri cheformiamo nella nostra mente col potere d'immaginazione; cometutti i nostri pensieri, compreso il pensiero fondamentale 'io sonoquesto corpo', lo immaginiamo a causa del buio della nostraignoranza del sé.

Perciò, quando distruggiamo quest'oscurità d'ignoranza del sésperimentando la chiarezza assoluta della vera non dualeconoscenza del sé, il nostro corpo, questo mondo e tutti gli altripensieri saranno distrutti in modo tale che non potranno mairiapparire neanche in minima misura.

Questo stato di annientamento assoluto della nostra mente e ditutta la sua progenie, tutti i nostri pensieri, compreso il nostrocorpo, l'intero universo e ogni altro mondo che immaginiamo, è lostato che Sri Ramana descrive quando dice, 'poy mai- y -arniṉaivu aṇuvum uyyādu oḍukkiḍavē', che significa, 'quando ilpensiero, che è [composto di] buio irreale, viene dissolto [odistrutto] senza riviverne anche uno iota'.

Proprio come quando il sole sorge e il buio della notte èdissolto dalla sua luce brillante, così quando il sole della veraconoscenza del sé fa apparire la nostra mente, che è formata dalbuio irreale dell'ignoranza del sé, sarà dissolta dalla vera luce dellanostra assolutamente chiara coscienza del sé. Sebbene Sri Ramanadica in questo versetto, 'quando il pensiero è distrutto'; egli non haspecificato esplicitamente con esattezza come possiamo realizzarequesta distruzione della nostra mente.

Questo è il motivo per cui nel prossimo versetto di Āṉma-Viddai, che abbiamo già esaminato, ha prima spiegato che tutti inostri pensieri dipendono dal nostro pensiero di base ol'immaginazione che un corpo è 'io'; dice poi che se penetriamoall'interno di noi stessi per scrutare intensamente noi stessi perconoscere 'chi sono Io?' o qual è la fonte da cui origina questopensiero che un corpo è me stesso, tutti i nostri pensieriscompariranno.

Cioè, poiché la causa e il fondamento di tutti i nostri pensieri è

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la nostra immaginazione di base che un corpo è noi stessi, siamoin grado di distruggere tutti i nostri pensieri solo distruggendoquesta immaginazione di base; poiché questa immaginazione dibase è un'illusione, una conoscenza sbagliata di ciò che siamo,possiamo distruggerla solo scrutandola attentamente al fine discoprire la realtà che la sottende.

Noi non possiamo uccidere un serpente immaginariobattendolo con un bastone, ma solo esaminandolo con attenzioneper scoprire la realtà che lo sottende Allo stesso modo, nonpossiamo distruggere il nostro sentire immaginario che siamo uncorpo con mezzi diversi dall'intensa auto-investigazione del sé oattenzione al sé {auto-attenzione}. Quando guardiamo conattenzione un serpente che immaginiamo vedere sdraiato in terranella penombra della notte, si scoprirà che in realtà non è unserpente ma è solo una corda.

Allo stesso modo, quando esaminiamo con attenzione la nostracoscienza di base 'Io sono', che oggi sperimentiamo come lanostra mente, la limitata coscienza che immagina se stessa diessere un corpo, scopriremo che siamo non proprio questa mente ocorpo finito, ma che siamo solo l'infinita non duale coscienza delnostro essere. Quando sperimentiamo così di essere nient'altro chela nostra assolutamente non duale coscienza di sé 'Io sono'; lanostra immaginazione primordiale che un corpo sia noi stessi saràdistrutta, e con essa tutti gli altri pensieri saranno distrutti, poichésono soltanto ombre che possono essere formate solo nella luceoscurata e quindi limitata dell'ignoranza del sé.

Cioè, anche se permettiamo alla nostra naturale chiarezzaillimitata della non duale coscienza del sé di essere oscurata daun'immaginaria ignoranza del sé, non cesseremo mai del tutto diessere consapevoli di noi stessi e, quindi, alla luce fioca dellanostra autocoscienza distorta, che sperimentiamo come la nostramente, il gioco d'ombra dei nostri pensieri sembra occupare il suoposto. Tuttavia, poiché questo gioco d'ombra è irreale, puòavvenire solo nella penombra della nostra immaginaria ignoranza

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del sé, e, quindi, scomparirà nella chiara luce della veraconoscenza di sé, in cui sentiremo noi stessi come l'infinitacoscienza di essere che sempre realmente siamo.

Così in questa seconda strofa di Āṉma-Viddai Sri Ramana ciinsegna la verità che quando rivolgiamo la nostra attenzioneall'interno, verso il centro del nostro essere, per conoscere la veranatura del nostro vero 'Io', che è la fonte da cui il nostro spuriosenso individuale di 'io' sorge, scopriremo che non siamo questocorpo composto di carne, ma siamo solo lo spazio infinito dellacoscienza di essere non duale, che è la dimora silenziosa etranquilla della perfetta felicità. Poiché tutti i nostri pensieridipendono per la loro esistenza apparente dalla nostra mente, chenon è altro che la coscienza spuria che immagina 'io sono questocorpo composto di carne', tutti scompariranno per sempre quandoscopriremo che non siamo questo corpo, ma solo lo spirito nonduale e infinito: l'unico sé reale o Atman, che è l'unica realtàassoluta.

Questo non duale spirito infinito è libero da aggiunte {forme-corpi} e quindi coscienza pura del nostro vero essere, che in veritàsperimentiamo eternamente come 'Io sono', 'Io sono Io', 'Io nonsono null'altro che io', 'Io sono solo quello che Io sono', o perdirla con le parole di Dio in Esodo 3, 14, “IO SONO QUELLOCHE SONO”. La stessa verità che Sri Ramana esprime nellaseconda strofa di Āṉma-Viddai è espressa da lui in linguaggio piùmistico nel versetto 7 del Śrī Aruṇācala Aṣṭakam:

“Se il pensiero 'io' non esiste, nessun'altra cosaesisterà. Fino allora, se [ogni] altro pensiero sorge, se,[rispondendo a ognuno di tali pensieri investigando]'A chi [accade questo pensiero]? A me.' [questopensiero fondamentale 'io'].

Qual è il luogo da cui [questo pensierofondamentale] 'io' sorge e [in cui] si fonde?

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Affondiamo entro [noi stessi] e raggiungiamo la[nostra] sede del cuore [l'essenza più intima del nostroessere, che è la fonte da cui tutti i nostri pensierisorgono], [ci fonderemo e diventeremo uno con] ilSignore sotto l'ombra dell'unico ombrello [lo spiritoinfinito non duale, che si manifesta esteriormentecome Dio, il Signore supremo di tutto ciò che è].

[In quello stato di non duale essere] il sogno di[dualità con tutte le sue immaginarie coppie di opposticome] dentro e fuori, i due karma [i due tipi di azione,il bene e il male], la morte e la nascita, la felicità e lamiseria, la luce e le tenebre, non esisteranno, Osconfinato oceano di luce della grazia chiamata collinadi Aruna, che danza immobile all'interno della cortedel [nostro] cuore”.

Lo sconfinato oceano di luce della grazia chiamato 'Collina diAruna', al quale Sri Ramana s'indirizza in questo verso, è il nonduale spirito infinito, che si manifesta esteriormente come Dio,che è adorato nella forma del santo monte Arunachala.

Questo non è il luogo per rispondere alla domanda perché ilnon duale spirito deve essere adorato dualisticamente come unaforma esterna, ma a questa domanda si risponderà nel seguito diquesto libro. Basti dire qui che Sri Ramana scrisse questo versettocome parte di un inno scritto nel linguaggio allegorico e poeticodell'amore mistico. Lo sconfinato oceano di luce della graziachiamato 'Collina di Aruna' è quindi una descrizione allegorica diDio, e si dice che 'danza immobile entro la corte del nostro cuore',perché egli è la nostra coscienza illimitata di essere, che brillaimmobile sempre vividamente come 'Io sono' nel nucleo piùintimo del nostro essere.

Il 'Signore all'ombra dell'unico ombrello' è anche unadescrizione allegorica di Dio, il Signore supremo di tutto ciò che

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è, la cui realtà non è altro che la nostra infinita non dualecoscienza di essere, 'Io sono'. Pertanto, sebbene Sri Ramana lodescriva allegoricamente nel linguaggio della devozionedualistica, quello che è in realtà lo descrive nella parte successivadi questo versetto: è solo lo stato di perfetta non-dualità, chepossiamo sperimentare solo quando abbiamo messo fine al nostrosogno di dualità. Il nostro sogno di dualità è noto solo alla nostramente, il nostro fondamentale pensiero 'io', che è la coscienzalimitata che si sente 'io sono questo corpo'.

Se noi non sorgiamo come questa coscienza limitata, nonpossiamo conoscere qualsiasi dualità. Poiché ogni dualità è solouna fantasia, non esiste quando non la conosciamo. Pertanto SriRamana inizia questo versetto affermando la fondamentale emolto importante verità: “Se il pensiero 'io' non esiste,nessun'altra cosa potrà esistere”.

Cioè, tutte le cose dipendono per la loro esistenza apparentedall'apparente esistenza del nostro pensiero fondamentale 'io', cheè una limitata e distorta forma della nostra coscienzafondamentale di essere, 'Io sono'.

Pertanto, per porre fine alla comparsa illusoria della dualità,dobbiamo mettere fine all'apparenza illusoria del nostro primo efondamentale pensiero 'io'. In questo verso Sri Ramana spiega inpoche parole molto semplici come possiamo porre fineall'apparenza illusoria di questo pensiero primordiale 'io'. Poichéogni pensiero che sorge nella nostra mente si forma ed èconosciuto solo dal nostro primo pensiero 'io', e giacché il nostroprimo pensiero 'io' sorge e dipende sempre dalla nostra coscienzaessenziale di essere, 'Io sono', qualunque sia il pensiero, possiamoconoscerlo solo perché prima conosciamo 'Io sono'. Così ognipensiero può servirci come un richiamo del nostro essere.

Per mostrarci come possiamo rendere il sorgere di ognipensiero l'occasione di ricordare il nostro essere, Sri Ramana ci dàla semplice formula: “A chi? A me. Qual è il posto da cui l'iosorge?”. Dandoci questa formula, Sri Ramana non vuol dire che

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dovremmo continuamente mettere in discussione noi stessi, “Achi si è verificato questo pensiero? Solo a me. Qual è il luogo dacui questo 'me' è sorto?”.

Vuol dire che dovremmo usare ogni pensiero che sorge perricordare a noi stessi la nostra mente pensante, che ora sentiamo diessere 'io', poiché ricordare questo 'io' che pensa e conosce ognipensiero ci ricorda a sua volta la nostra essenziale coscienza delnostro essere, 'Io sono', che sta alla base della sensazione chestiamo pensando e conoscendo i pensieri, e che è quindi il 'luogo'o fonte da cui la nostra mente pensante sorge.

Cioè, qualunque pensiero sorga, dovremmo ricordare: “Ioconosco questo pensiero perché 'Io sono'”; quindi dovremmodistogliere la nostra attenzione dal pensiero e rivolgerla verso lanostra essenziale coscienza di essere, la nostra vera autocoscienza'Io sono'. Quando quindi rivolgiamo l'attenzione verso la nostracoscienza di essere, 'Io sono', la nostra mente, che era sorta apensare i pensieri, inizierà a sprofondare nel nostro vero esserecosciente di sé, che è la fonte da cui è sorta.

Se siamo in grado di focalizzare la nostra attenzioneinteramente ed esclusivamente sulla nostra coscienza di essere, lanostra mente sprofonderà completamente nel più interno nucleodel nostro essere, e così vivremo il nostro vero essere con lachiarezza assolutamente pura della non duale coscienza di sé.

Quando abbiamo sperimentato per una volta il nostro veroessere con tanta perfetta chiarezza, si scoprirà che siamo il nonduale spirito infinito, e quindi distruggeremo per semprel'illusione che siamo un corpo, una mente o qualsiasi cosa diversada quello spirito. Quando questa illusione è così distrutta, il sognodi dualità, che dipende da essa, giunge al termine.

Questa tecnica di usare il sorgere di ogni pensiero per ricordarea noi stessi il nostro essere essenziale, che Sri Ramana spiegamolto sinteticamente in questo verso, è spiegata da lui più indettaglio nel sesto paragrafo di 'Nāṉ Yār?':

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“Solo [attraverso] l'indagine 'chi sono Io?' la[nostra] mente cesserà [si calmerà, diventeràimmobile, scomparirà o cesserà di essere]; il pensiero'chi sono Io?' [cioè, lo sforzo che facciamo per dareattenzione al nostro essenziale essere], avendodistrutto tutti gli altri pensieri, sarà infine esso stessodistrutto come un bastone brucia cadaveri [cioè, unbastone che è utilizzato per agitare una pira funebreper assicurare che il cadavere sia bruciato tutto].

Se altri pensieri sorgono, senza cercare dicompletarli [si] deve indagare a chi si sono verificati.Anche se molti pensieri sorgono, cosa [importa]? Nonappena appare ogni pensiero, se [noi] vigiliindagheremo a chi si è verificato, 'a me' sarà chiaro,[cioè, ci ricorderemo chiaramente di noi stessi, alquale ogni pensiero avviene].

Se [noi così] indaghiamo 'chi sono Io?' [Cioè, sevolgiamo la nostra attenzione indietro verso noi stessitenendola saldamente fissa, intensamente vigilando sulnostro essenziale essere consapevole di sé, al fine discoprire ciò che questo 'me' è davvero]; la [nostra]mente ritornerà al suo luogo di nascita [il nucleo piùprofondo del nostro essere, che è la fonte da cui èsorta]; [e dato che in tal modo ci asteniamodall'occuparci di essa] il pensiero che era sorto sispegnerà.

Quando [noi] pratichiamo e pratichiamo ancora inquesto modo, aumenterà per la [nostra] mente il poteredi stare saldamente stabilita nel suo luogo di nascita[cioè, ripetendo la pratica di spostare l'attenzioneverso il nostro semplice essere, che è il luogo di

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nascita della nostra mente, la capacità della nostramente di rimanere come semplice essere aumenterà].

Quando [la nostra] mente sottile esce attraverso ilportale del [nostro] cervello e degli organi di senso,dai nomi grossolani e dalle forme [i pensieri o leimmagini mentali che costituiscono la nostra mente, egli oggetti che costituiscono questo mondo] appare;quando rimane nel [nostro] cuore [il nucleo del nostroessere], nomi e forme scompaiono. Solo in [questostato di] trattenere [la nostra] mente nel [nostro] cuoresenza lasciare [essa] e andare verso l'esterno [è] ilnome 'ahamukham' [guardare all''Io' o attenzione alsé] o 'antarmukham' [guardare all'interno ointroversione] è veramente applicabile.

Solo per [lo stato di] lasciare [lei] andare versol'esterno [è] il nome 'bahirmukham' ['rivolta versol'esterno' o estroversione] [è veramente applicabile].Solo quando [la nostra] mente rimane fermamentestabilita nel [nostro] cuore in questo modo, il [nostropensiero primario] 'io', che è la radice [base,fondazione o l'origine] di tutti i pensieri, andrà[lascerà, scomparirà o cesserà di essere], e il [nostro]sempre esistente [vero] sé risplenderà da solo. Il luogo[cioè, lo stato o la realtà] privo di anche una minima[traccia] del [nostro primario] pensiero 'io' è svarūpa[la 'nostra propria forma' o sé essenziale]. Quello solosi chiama 'mauna' [silenzio].

Solo a [questo stato di] solamente essere [è] ilnome di 'jñānadṛṣṭi' ['conoscenza di essere', cioèl'esperienza della vera conoscenza] [veramenteapplicabile]. Quello [stato], che è solo essere è solo [lo

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stato di] portare [la nostra] mente a placarsi [stabilirsi,fondersi, dissolversi, scomparire, essere assorbita operire] nel ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale].

Oltre [questo stato di non duale essere], questi [statidi conoscenza dualistica] che sono il conoscere ipensieri degli altri, conoscere i tre tempi [ciò che èaccaduto in passato, ciò che sta accadendo adesso, eche cosa accadrà in futuro], e conoscere ciò che staaccadendo in un luogo lontano, non possono esserejñāna-dṛṣṭi [l'esperienza della vera conoscenza]”.

Dal momento che la nostra mente si attiva solo occupandosi{dando attenzione} dei pensieri, che immagina di essere diversi dasé, si placa solo ritirando la sua attenzione da tutti i pensieri.

Anche se la nostra mente si placa in questo modo ogni giornonel sonno profondo, e, occasionalmente, in altri stati comesvenimento, anestesia generale, coma, morte corporale, o in statisimili di non pensiero indotti artificialmente da certe forme dimeditazione o dalla pratica yogica del controllo del respiro, in tuttiquesti stati si disattiva senza una chiara coscienza del suo essere.

Pertanto, in tutti questi stati, anche se sappiamo che 'Io sono',la nostra coscienza del nostro essere non è perfettamente chiara,quindi se sappiamo che 'noi siamo', non sappiamo esattamente'quello che siamo'. Poiché non sperimentiamo una chiarezzaperfetta della vera conoscenza del sé o coscienza del sé in tali statidi disattivazione, la nostra mente prima o poi risorge da tali stati,dando attenzione ancora una volta ai suoi pensieri, che s'immaginadi essere diversi da sé stessa.

Il motivo per cui la coscienza del nostro essere non èperfettamente chiara in tali stati è che la nostra mente si placa inloro solamente ritirando la sua attenzione dai suoi pensieri, masenza focalizzare la propria attenzione chiaramente su se stessa.Solo se concentriamo la nostra attenzione interamente ed

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esclusivamente sulla nostra coscienza di essere, 'Io sono', la nostramente si placherà con perfetta chiarezza della coscienza di sé.

Se siamo in grado di rendere la nostra mente placata in questomodo, noi non solo sapremo 'che siamo', ma anche sapremoesattamente 'ciò che siamo'. Poiché così sperimentiamo lachiarezza perfetta della vera conoscenza di sé in quello stato, nonsaremo mai più in grado di confondere noi stessi con qualcosa chenon siamo, e quindi la nostra mente non potrà mai più risorgere.Così il cedimento della nostra mente che possiamo raggiungereoccupandoci della nostra coscienza di essere sarà permanente.

Il cedimento della nostra mente che Sri Ramana discute nelsopra citato paragrafo del 'Nan Yar?' non è la solita formaoffuscata e temporanea di cedimento che sperimentiamo in staticome il sonno, che si determinano semplicemente ritirando lanostra attenzione volontariamente o involontariamente da tutti ipensieri. Questo cedimento è la forma chiara e permanente dicedimento {dissolvimento, placare} che possiamo sperimentaresolo nello stato della vera conoscenza di sé; cedimento chepossiamo provocare solo focalizzando la nostra attenzioneintenzionalmente sulla coscienza del nostro essere, 'Io sono'.Pertanto, quando dice: “Solo con l'investigazione 'Chi sono Io?' lamente si placherà”, vuol dire che possiamo placare la mente inmodo permanente e con piena chiarezza della coscienza di sé solocon l'investigare, esaminare, ispezionare o scrutare la nostracoscienza di essere, 'Io sono'.

Anche se il nostro essere essenziale è eternamente cosciente disé, cioè, anche se siamo sempre consapevoli di noi stessi come 'Iosono'; finché la nostra mente è attiva, sentiremo di dover fare unosforzo per scrutare o dare attenzione alla nostra essenzialecoscienza del sé, la coscienza del nostro essere. Pertanto, poichél'attenzione al sé comporta uno sforzo fatto dalla nostra mente, SriRamana si riferisce a tale sforzo come il pensiero 'chi sono Io?' edice che, dopo aver distrutto tutti gli altri pensieri, anche questosarà distrutto.

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Ogni pensiero che formiamo nella nostra mente è una forma disforzo, poiché possiamo formare e conoscere ogni pensiero solofacendo uno sforzo. Poiché pensiamo con grande voglia edentusiasmo, e poiché siamo molto abituati a farlo, a noi sembra dipensare senza sforzo. Tuttavia, pensare, in effetti, richiede sforzo,e quindi come risultato di pensare ci stanchiamo.

Poiché il pensiero è faticoso, la nostra mente ha bisogno diriposare e recuperare la sua energia ogni giorno, ciò lo faplacandosi e rimanendo così per un po' nel sonno. Nel sonno lanostra mente rimane temporaneamente placata nel nostro vero sé(il vero stato di coscienza del sé) poiché il vero sé è la fonte diogni energia, la nostra mente è in grado di ricaricare la propriaenergia rimanendo per un po' nel sonno.

L'energia o potere che spinge la mente a pensare è il nostrodesiderio di farlo. Il desiderio è la forza trainante di ogni pensieroe di ogni attività. Se non siamo spinti da qualche desiderio, nonpensiamo o facciamo nulla. Quando facciamo uno sforzo per dareattenzione alla nostra coscienza di essere, lo facciamo a causa denostro desiderio o amore per la vera conoscenza di sé.

Quando abbiamo ripetutamente praticato tale attenzione al sé,la chiarezza della nostra coscienza del nostro semplice essereaumenta, e a causa della felicità che troviamo in tale chiarezza, ilnostro amore per dare attenzione al nostro essere aumenta. Poichéquest'amore di occuparci del nostro essere è la forza che cipermette di farlo, Sri Ramana dice:

“Quando [noi] pratichiamo e pratichiamo ancora inquesto modo, alla [nostra] mente il potere di rimanerefermamente stabilita nel luogo di nascita aumenterà”.

Quanto più sperimentiamo la gioia di solo essere, menosentiremo il desiderio di pensare o di fare qualsiasi cosa, e quindia causa della pratica dell'attenzione al sé la nostra tendenza apensare sarà gradualmente indebolita e alla fine sarà distrutta.

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Quando non abbiamo voglia di pensare a qualsiasi cosa, noirimarremo stabiliti senza sforzo nel nostro essere essenziale, equindi anche il nostro sforzo di concentrarci sul nostro esserediminuirà.

Questo è ciò che Sri Ramana intende dicendo che il pensiero olo sforzo per sapere 'chi sono Io?' distruggerà tutti gli altri pensierie sarà alla fine lui stesso distrutto. Sri Ramana dice:

“Se sorgono altri pensieri, senza cercare dicompletarli [noi] dobbiamo investigare a chi si sonoverificati”.

Quello che intende dicendo che non dovremmo cercare di farelo sforzo per completare un pensiero è che non dovremmocontinuare a occuparci di lui. I nostri pensieri aumentano soloperché noi badiamo a loro, e più li curiamo più loro fioriscono. Se,invece di consentire al nostro sforzo o attenzione di fluire versol'esterno per pensare i pensieri, ci dirigiamo verso l'interno perconoscere la coscienza alla quale quei pensieri sono noti, il vigorecon cui formiamo i nostri pensieri comincerà a scemare.

Perciò Sri Ramana dice:

“Non appena appare ogni pensiero, se [noi] vigiliindaghiamo a chi si è verificato, sarà chiaro: a me”.

Il verbo che usa per dire 'sarà chiaro' è tōṉḏṟum, che significaanche 'sarà visibile', 'apparirà', 'germoglierà', 'salirà in esistenza','verrà alla mente' o 'sarà conosciuto', così dalle parole “per mesarà chiaro” egli intende che ci ricorderemo chiaramente di noistessi, il 'me' a cui ogni pensiero sorge.

In altre parole, la nostra attenzione si rivolge a se stessi,lontano dal pensiero che aveva cominciato a pensare. Anche se il'me' che conosce i pensieri non è il nostro vero sé, la nostracoscienza di essere, ma è solo la nostra mente, la nostra spuria

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'coscienza che conosce' o 'coscienza che sorge', quandorivolgiamo la nostra attenzione verso di essa, essa si placaautomaticamente e diventa una con la nostra 'coscienza di essere'.

Questo è ciò che Sri Ramana intende quando dice poi: “Se [noicosì] indaghiamo 'Chi sono Io?', [la nostra] mente torna al suoluogo di nascita”; poiché prima dice: “se [noi] vigili indaghiamoa chi il presente [pensiero] si è verificato”; poi nella frasesuccessiva dice: “se [noi] indaghiamo chi sono io”; alcunepersone erroneamente fraintendono capendo che noi dobbiamoprima chiedere a noi stessi a chi si è verificato ogni pensiero e,dopo ricordare che si è verificato a me; dovremmo allora chiederea noi stessi chi è questo 'me', o 'chi sono Io?'.

In realtà, però, poiché per il solo ricordo del 'me' la nostraattenzione si volge indietro verso noi stessi, non abbiamo quindibisogno di fare nulla se non mantenere la nostra attenzione fissasu noi stessi. Poiché possiamo indagare 'chi sono Io?' soloinvestigando o dando attenzione alla nostra coscienza del nostroessere, che sempre sperimentiamo come 'Io sono'; il solo ricordodel 'me' al quale avviene ogni pensiero è di per sé l'inizio delprocesso di indagare 'chi sono Io?'.

Tutto quello che dobbiamo fare dopo aver ricordato che 'questopensiero si è verificato a me' è quello di mantenere la nostral'attenzione fissa su quel 'me'. Quindi possiamo megliocomprendere la connessione tra queste due frasi interpolando leparole 'cosi' o 'continuare così a', 'se [noi così] indaghiamo chisono io', o 'se [continuiamo così a] indagare chi sono Io'. Anchese scegliamo di interpolare la parola 'poi' invece della parola'cosi', dobbiamo ancora intendere questo 'poi' nel senso di 'quindicontinuare a': “se [noi poi continuiamo a] indagare chi sono io”.

Cioè, non dovremmo capire questa frase nel senso: “se poiiniziamo un nuovo processo di indagine di nuovo pensando 'Chisono Io?'”, ma dovremmo capire che significa, “se poi si continuaquesto stato di indagine (che abbiamo avviato quando ci siamoricordati del 'me'), mantenendo la nostra attenzione con fermezza

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e acutamente fissata sul nostro essere cosciente del sé, 'Io sono'”.Quando Sri Ramana dice: “Se [noi così] indaghiamo 'chi sono

Io?', la [nostra] mente tornerà al suo luogo di nascita”; che cosaintende esattamente dicendo che la nostra 'mente tornerà al suoluogo di nascita'? In questa situazione il termine 'luogo di nascita'denota la fonte da cui la nostra mente è sorta, che è la nostrafondamentale coscienza del nostro essere, 'Io sono'.

Poiché la nostra mente apparentemente sorge o lascia il suoluogo di nascita solo partecipando ai pensieri, che si formano conil suo potere d'immaginazione, ma che immagina siano altro da sé,essa ritorna al suo luogo di nascita solo ritirando la sua attenzioneda tutti i suoi pensieri. Tuttavia, se stiamo non solo per tornare alnostro luogo di nascita, essendo pienamente coscienti di quel'luogo' o stato naturale di essere a cui stiamo così ritornando,dobbiamo ritirare non solo la nostra attenzione da tutti i pensieri,ma anche volgerla indietro verso noi stessi, concentrandolaprofondamente sulla coscienza essenziale del nostro essere.

Così, quando Sri Ramana dice che la nostra 'mente tornerà alsuo luogo di nascita', intende dire che la nostra attenzione si volgeindietro verso la nostra naturale autocoscienza, e, quindi, la nostramente si placherà in quella perfettamente chiara coscienza delnostro essere. La nostra mente non è in realtà null'altro se non ilnostro potere di attenzione.

Quando rivolgiamo il nostro potere di attenzione verso pensierie oggetti, che immaginiamo di essere diversi da noi stessi, ciergiamo come la nostra mente, lasciando il nostro stato naturale disolo essere. Quando invece rivolgiamo il nostro potere diattenzione indietro verso noi stessi, torniamo al nostro statonaturale di puro essere, e finché continuiamo a fissare su noi stessila nostra attenzione, senza permetterle di divagare verso ogni altracosa, rimaniamo come il nostro semplice essere, cioè, il nostroessenziale sé. In altre parole, l'attenzione rivolta verso l'esterno èla nostra mente, mentre il nostro far attenzione verso l'internoverso l''Io' è il nostro vero sé, il nostro semplice ed essenziale

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essere cosciente di sé.Il nostro potere di attenzione, che è il nostro potere di

coscienza o conoscenza, non è qualcosa di separato da noi. Sitratta di noi stessi, il nostro vero ed essenziale essere. In altreparole, noi stessi siamo il potere di attenzione o coscienzaattraverso cui tutto è noto. Quando abusiamo del nostro potere diconsapevolezza immaginando che siamo cose conosciute diverseda noi stessi, diventiamo apparentemente separati e quindi unacoscienza individuale finita che chiamiamo 'mente'.

Quando non abusiamo del nostro potere di consapevolezza inquesto modo, rimaniamo come realmente siamo sempre: come lavera, infinita, non duale coscienza del puro essere, 'Io sono'.Quando rimaniamo così come la vera coscienza del nostro puroessere, sperimentiamo noi stessi come 'Io sono soltanto', maquando immaginiamo noi stessi di essere una coscienzaindividuale separata o 'mente', sperimentiamo noi stessi come 'iosono questo' o 'io sono quello', 'io sono questo corpo', 'io sonouna persona', 'io sono così e così', 'io sono tale e tale', 'io stoconoscendo', 'io faccio' e così via. La nostra mente e tutto ciò chesa o sperimenta è quindi solo una forma immaginaria, distorta elimitata della nostra naturale non duale coscienza di essere, 'Iosono', che è il nostro vero sé. Ciò che chiamiamo 'attenzione' è ilpotere che noi abbiamo come coscienza di dirigere o mettere afuoco noi stessi.

Quando focalizziamo la nostra coscienza su noi stessi, cioè,quando concentriamo noi stessi su noi stessi, sul nostro meroessere cosciente di sé, sperimentiamo la vera conoscenza 'Io solosono'. Ma quando concentriamo noi stessi o la nostra coscienza suqualcosa di diverso dal nostro essenziale sé, sperimentiamo lafalsa conoscenza 'io sto conoscendo questa cosa diversa da mestesso'.

Questa focalizzazione della nostra coscienza su qualcosa didiverso da noi stessi è ciò che chiamiamo 'immaginazione', perchécompletamente diversa dalla nostra essenziale coscienza di sé, 'Io

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sono'; è soltanto un pensiero o un'immagine che abbiamo formatanella mente col nostro potere d'immaginazione. Poiché questa'immaginazione', che è un altro nome per la nostra mente, ci failludere di sperimentare cose che non esistono veramente, è anchechiamata maya, una parola che significa 'illusione' o 'inganno sulsé'.

Così la nostra mente o l'attenzione che conosce gli oggetti èsolo un prodotto del potere di autoinganno della nostraimmaginazione, che è l'uso distorto che facciamo del nostro poteredi coscienza quando lo usiamo per immaginare che stiamosperimentando cose diverse da noi stessi. Poiché la nostraattenzione è la messa a fuoco di tutto il nostro essere su qualcosa,essa ha un enorme potere.

In realtà è l'unica forza che esiste veramente, ed è la fonte dacui derivano tutte le altre forme di potere. Dalla nostra esperienzain sogno sappiamo che abusando del nostro potere di attenzioneper immaginare e conoscere cose diverse da noi stessi, possiamocreare un mondo intero e ingannare noi stessi scambiando perreale quel mondo. Poiché sappiamo che possiamo creare unmondo apparentemente reale col nostro potere d'immaginazionenel sognare, non abbiamo alcun motivo valido per supporre che ilmondo che sperimentiamo ora in questo cosiddetto stato di vegliasia altro che una creazione del nostro stesso potered'immaginazione.

Così la nostra attenzione ha il potere di creare un mondo chenon esiste veramente, e mentre lo fa, ci inganna considerandoerroneamente quel mondo come reale. Tutto ciò che vediamo nelmondo che immaginiamo essere fuori noi stessi sembra esisteresolo a causa del nostro potere di attenzione. Tutto ciò che cisembra reale lo è solo perché siamo attenti a esso. Poiché la nostraattenzione è così potente, è un'arma pericolosa che dovremmousare con attenzione e saggezza. Il modo più saggio per usare ilnostro potere di attenzione è conoscere noi stessi.

Fino a quando non conosceremo la verità sul nostro sé, che

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conosce tutte le altre cose, non possiamo conoscere la verità diogni altra cosa. Per conoscere noi stessi dobbiamo occuparci dinoi stessi, della nostra essenziale coscienza di sé, 'Io sono'. Altrecose sembrano venire in esistenza solo quando ci occupiamo diloro, e scompaiono quando cessiamo di occuparcene. Questo èperché Sri Ramana dice:

“Quando la [nostra] mente sottile passa attraverso ilportale del [nostro] cervello e degli organi di senso, inomi grossolani e le forme appaiono; quando essarimane nel [nostro] cuore, nomi e forme scompaiono”.

Che cosa esattamente vuol dire quando dice questo? Quando cioccupiamo o conosciamo ciò che è apparentemente diverso dallanostra coscienza di essere, sentiamo che la nostra mente ol'attenzione sta andando verso l'esterno, lontano da noi stessi.Quando la nostra attenzione va quindi verso l'esterno, lo faattraverso il proprio portale o porta del nostro cervello, oattraverso i portali sia del nostro cervello sia di uno o più deinostri cinque organi di senso.

Quando la nostra attenzione esce solo attraverso il portale delnostro cervello, sperimentiamo pensieri che noi riconosciamocome esistenti solo all'interno della nostra mente, ma quando lanostra attenzione esce ancora, non solo attraverso il nostrocervello, ma anche attraverso i nostri organi di senso,sperimentiamo oggetti che immaginiamo esistere al di fuori eindipendente della nostra mente. Sri Ramana descrive sia ipensieri, che noi consideriamo esistenti unicamente all'internodella nostra mente, sia gli oggetti che immaginiamo esistere fuoridella nostra mente come 'nomi e forme', perché ogni pensiero èsolo una forma mentale o immagine, e ogni oggetto esterno èanche solo una forma o immagine che sperimentiamo nella nostramente, poiché diamo o possiamo dare un nome a ogni forma chenoi conosciamo.

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Così, in questo contesto, la parola 'nomi' denota i nostripensieri verbalizzati, mentre la parola 'forme' contraddistingue inostri pensieri pre-verbalizzati. Tuttavia, poiché i nostri pensieriverbalizzati e pre-verbalizzati sono intimamente associati eintrecciati, la distinzione tra loro non è chiara, e quindi nellafilosofia indiana sono considerati come un tutto indistinguibile,che si esprime con la parola composta 'nāmarūpa', che significa'nome-forma'.

Poiché tutti i pensieri che pensiamo e tutti gli oggetti checonosciamo non sono altro che 'nomi e forme', questa parolacomposta nāma-rūpa o 'nome-forma' viene spesso utilizzata nelVedanta Advaita per indicare collettivamente tutti i pensieri e tuttigli oggetti esterni. Una ragione importante per cui questo terminenāmarūpa viene così spesso utilizzato per indicare tutti i pensierie gli oggetti esterni è che li distingue nettamente dalla nostracoscienza essenziale di essere, 'Io sono', che è senza nome e senzaforma, perché non ha forma definibile ed è quindi oltre ogniconcezione mentale.

Dato che la nostra mente è in sostanza pura coscienza, e poichéquindi non ha forma propria, Sri Ramana la descrive come'sottile', mentre descrive tutti i pensieri e gli oggetti esterni come'grossolani', perché sono tutte solo forme-immagini che formiamonella nostra mente col nostro potere dell'immaginazione.Formiamo tutte queste immagini mentali solo consentendo allanostra mente o attenzione di andare verso l'esterno, lontano da noistessi.

Pertanto, quando manteniamo la nostra attenzione all'interno dinoi stessi, non permettendo alla nostra mente di attivarsi perconoscere qualcosa diverso da 'Io sono', tutte queste immaginimentali scompariranno. Questo è ciò che Sri Ramana vuolsignificare quando dice: “...quando rimane nel [nostro] cuore,nomi e forme scompaiono”. Con la parola 'cuore' intende solo ilnucleo del nostro essere, che è la nostra fondamentale edessenziale coscienza di sé: 'Io sono', e che è la fonte o 'luogo di

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nascita' della nostra mente immaginaria. Sri Ramana descrivequesto stato di trattenere la nostra attenzione nel nostro 'cuore' o ilnucleo del nostro essere come 'introversione', ma mentre fa così,in modo efficace utilizza non uno ma due termini sanscriti perdenotare 'introversione'.

Il secondo di questi due termini è 'antarmukham', che è iltermine più comunemente usato sia in sanscrito sia nellaletteratura filosofica Tamil per indicare introversione, e che ècomposto di due parole, antar e mukham. La parola 'antar'significa 'entro', 'dentro', 'interno', 'interiore' o 'verso l'interno',mentre la parola 'mukham' significa 'guardare verso', 'direzione','rivolto a', 'voltarsi verso', 'girato verso' o 'guardando a'. Così laparola composta antarmukham significa 'rivolto verso l'interno','guardarsi dentro', 'girato verso l'interno' o 'dirigere l'attenzioneverso l'interno'. Il primo dei due termini che usa per descrivere lostato di introversione è ahamukham, che è un termine piùraramente usato, ma che in realtà è più espressivo diantarmukham. Come antarmukham, ahamukham è composto didue parole, aham e mukham. In sanscrito la parola aham significasolo 'Io', ma in tamil significa non solo 'Io' o 'sé', ma anche daun'altra radice che significa 'dentro', 'mente', 'cuore', 'dimora','casa', 'abitazione', 'luogo' o 'spazio'.

Così la parola composta ahamukham significa non solo'introversione', ma anche più specificamente 'rivolto verso l'Io','essere di fronte al sé', 'guardando verso il sé', 'dirigendosi versoil sé' o 'dirigendo l'attenzione verso l'Io'. Sri Ramana passa poi adire che quando la nostra mente o l'attenzione rimane cosìfermamente stabilita nel nostro cuore o hrdaya, il nucleo piùintimo del nostro essere, il nostro primo e fondamentale pensiero'io' svanirà, e solo il nostro ovunque esistente vero sé brillerà osarà conosciuto.

Cioè, quando siamo in grado di mantenere la nostra attenzionesaldamente fissata nella nostra coscienza di essere, la chiarezzadella coscienza di sé che sperimentiamo in quello stato, la

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chiarezza della coscienza di sé che esiste da sempre nel nostrocuore, ma che sperimentiamo solo quando noi manteniamo lanostra attenzione saldamente fissata su di essa , distruggerà persempre la nostra tendenza a sorgere come il pensiero 'io', lacoscienza individuale spuria che si immagina di essere un corpo, equindi il nostro sé reale ed essenziale resterà solo, splendendochiaramente come 'Io sono' o 'Io sono Io'.

Al fine di sottolineare il fatto che la realtà non duale, che solarimane dopo che la nostra coscienza individuale 'io' ha cessato diesistere, non è qualcosa di estraneo a noi, ma è solo noi stessi, neltesto originale Tamil, nella proposizione finale e principale diquesta frase: “[...] [il nostro] sempre esistente sé da solobrillerà”, Sri Ramana ha evidenziato in grassetto il pronome tāṉche significa 'sé' o 'se stessi'. Anche se abbiamo sempresperimentato questo sempre esistente 'sé' come 'Io sono', eglidistruggerà la nostra mente o la coscienza individuale, solo sefissiamo la nostra attenzione saldamente su di essa.

Sri Ramana poi descrive il nostro sé essenziale o svarupa comeil 'luogo' in cui neanche la minima traccia di pensiero 'io' esiste.Questo 'luogo' è il nostro 'cuore', il nucleo più profondo del nostroessere. Egli si riferisce a esso figurandolo come un 'luogo' per duemotivi, per prima cosa perché è la sorgente o luogo di nascitadella nostra mente (e di tutta la progenie della nostra mente, cioè isuoi pensieri e gli oggetti che compongono questo mondo), esecondariamente perché lo sperimentiamo come il nucleo delnostro essere, il punto centrale nello spazio della nostra mente, ilpunto da cui noi concepiamo tutti i pensieri e percepiamo tutti glioggetti esterni.

Oltre ad essere descritto come un 'luogo', può anche esseredescritto come uno 'stato', perché è lo stato di perfetta assenza diego, lo stato in cui sperimentiamo solo la nostra pura,incontaminata e senza aggiunte coscienza del puro essere, 'Iosono'. Sri Ramana descrive anche questo 'luogo' o lo stato senzaego come mauna o 'silenzio', perché è lo stato di perfetto silente e

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immobile essere. Poiché il nostro vero sé è dunque lo stato diperfetto silenzio, possiamo conoscerlo solo rimanendo in silenzio,cioè, solo essendo, senza nulla che sorga a pensare nulla.

Cioè, poiché l'attività di irrequietezza o di chiacchiere dellanostra mente è il rumore che ci impedisce di conoscere il silenziodel puro essere; possiamo sperimentare quel silenzio solomettendo a tacere tutta la nostra attività mentale. Pertanto ilsilenzio in questo contesto non significa solo silenzio della parola,ma completo silenzio della mente.

Sri Ramana descrive ulteriormente questo stato di silenzio o diessere senza ego come stato di 'solo essere'. Le parole Tamil cheegli usa per dire 'solo essere' sono 'summā iruppadu'. La parola'summā' è un avverbio che significa 'solo', 'semplicemente','silenziosamente', 'tranquillamente', 'pacificamente','riposantemente', 'piacevolmente', 'senza fare nulla','immobilmente', 'liberamente' o 'continuamente', mentre'iruppadu' è un gerundio o sostantivo verbale che significa'essendo', dalla radice iru, che è un imperativo che significa 'sii'.

Questo termine summā iruppadu è un concetto chiave nellaletteratura Tamil filosofica, e la sua forma imperativa, summā iru,che significa 'sii solo', è considerata la forma ultima e più perfettad'istruzione spirituale. La ragione per la preminenza data a questotermine è che esprime tanto perfettamente, per quanto una parolapuò esprimere, lo stato di vera conoscenza di sé, che è lo stato diperfetto silenzio. Sri Ramana lo definisce semplicemente come:“...fare in modo che la [nostra] mente sprofondi [si calmi, sifonda, si dissolva, sparisca, sia assorbita o perisca] in ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]”.

La parola sanscrita 'ātman', che è utilizzata in Tamil in varieforme modificate come 'ātmā', 'āttumā' e 'āṉmā', significa 'sé','spirito', 'vita', 'anima', 'mente', 'spirito supremo', 'essenza' o'natura', ed è utilizzata anche come pronome singolare riflessivoper tutte e tre le persone e tutti i tre i generi, 'se stesso', 'me stesso','te stesso', 'lui stesso', 'lei stessa' o 'esso stesso', o come la forma

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genitiva del pronome riflessivo, nel senso 'proprio', 'mio proprio'e così via. In un contesto spirituale, ātman significa il nostro verosé, il nostro spirito o essere essenziale, che è anche chiamatoBrahman, lo spirito supremo o assoluta realtà, l'essenza o lasostanza unica di tutte le cose.

La parola sanscrita 'svarūpa', che in Tamil è di solitomodificata come 'sorūpam', è un sostantivo composito formato dadue parti, 'sva', che significa 'personale', 'proprio se stesso', 'mioproprio', 'tuo proprio', 'di lui proprio', 'di lei proprio', 'di essoproprio', 'nostro proprio', 'loro proprio', e 'rūpa', che significa'forma', 'aspetto', 'immagine' o 'natura'. Così la parola composta'Atma-svarupa' significa letteralmente 'la propria vera natura',cioè la vera natura del nostro vero sé, che è la nostra meraconsapevolezza di essere, la nostra fondamentale coscienza del sé'Io sono'.

Poiché la nostra mente è il nostro falso sé, una forma spuria dicoscienza che scambiamo per essere noi stessi, siamo in grado diattuare il suo dissolvimento solo fissando la nostra attenzionefermamente nel nostro vero sé, il nucleo più profondo del nostroessere, che abbiamo sempre sperimentato come la nostracoscienza fondamentale ed essenziale 'Io sono'.

Quando dissolviamo la nostra mente nel nostro vero sé, la veranatura del nostro vero sé rivela se stessa come semplice essere,essere che è silenzioso, tranquillo e privo di qualsiasi movimentoo attività. Questo stato in cui così dissolviamo la nostra mente nelnostro vero sé è quindi descritto come summā iruppadu, lo Statodi 'solo essere' cioè, lo stato in cui ci si limita a essere come siamoveramente sempre, privi anche della minima attività o di 'fare'. SriRamana dice che solamente questo stato di 'solo essere' può esserechiamato 'jñānadṛṣṭi' o 'l'esperienza della vera conoscenza'.

La parola sanscrita 'jñāna', che è derivato dalla radice verbale'jna' che significa 'sapere', 'aver cognizione' o 'sperimentare',significa 'conoscere' o 'conoscenza', e in un contesto spiritualesignifica vera conoscenza: cioè, la conoscenza del nostro vero sé.

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Il Sanscrito 'dṛṣṭi' significa l'atto di 'vedere', 'contemplare' o'guardare a', o la facoltà della 'vista', 'l'occhio', uno 'sguardo', un'colpo d'occhio' o una 'visione'. così la parola composta 'jñāna-dṛṣṭi' significa il 'vedere' o 'l'esperienza della vera conoscenza'.

Pertanto, poiché l'esperienza della vera conoscenza non è altroche l'esperienza di conoscere il nostro vero sé, e poiché possiamoconoscere il nostro vero sé solo essendo nient'altro che il nostro séreale, lo stato di solo essere, che siamo sempre veramente, èl'esperienza della vera conoscenza o jñāna-dṛṣṭi Nell'immaginariopopolare, tuttavia, il termine jñāna-dṛṣṭi è a torto credutosignificare il potere o la capacità di conoscere certe cose che nonpotevano normalmente essere conosciute dalla mente umana,come ciò che le altre persone pensano, cosa accadrà in futuro, ociò che sta accadendo in un posto lontano.

Tali poteri miracolosi o sovrannaturali non hanno nulla a chefare con la vera conoscenza. Al contrario, essi sono soltanto altreforme d'ignoranza, illusione o autoinganno; forme di illusione chesolo si aggiungono alla densità della nostra già esistente eprofondamente radicata illusione su chi o che cosa siamoveramente. Dato che la nostra mente ha creato l'intero universo colpotere della sua immaginazione, non ci sarebbe nulla che nonpotrebbe fare se solo potesse padroneggiare il controllo completosulla sua immaginazione.

Tuttavia, poiché il nostro potere d'immaginazione è un potered'illusione e di autoinganno, non possiamo mai dominarloperfettamente. Se cerchiamo di controllarlo in un modo, esso ciingannerà in qualche altro modo. Tuttavia, poiché la nostra menteè così potente, è possibile per noi manipolare il nostro poteredell'immaginazione con alcune tecniche (come certe forme dimeditazione, ripetizione concentrata di certi mantra o suoni chesono presumibilmente dotati di un certo potere mistico, certepratiche yogiche, riti e rituali occulti, uso attentamente controllatodi talune erbe enteogeniche, cioè di espansione della mente,funghi o altri farmaci, alcune altre forme di magia che

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presumibilmente permettono a una persona di invocare l'aiuto dispiriti, jinn, demoni, angeli, divinità secondarie o deva, o qualchealtro mezzo artificiale) in modo tale da ingannare noi stessi e farcredere agli altri che possediamo alcuni poteri miracolosi, propriocome nel sogno siamo in grado di manipolare il nostro potered'immaginazione in modo tale da illudere noi stessi credendo chestiamo volando.

Tuttavia, poiché il mondo che vediamo in questo stato di veglianon è più reale del mondo che abbiamo visto in sogno, eventualipoteri miracolosi che possiamo essere in grado di mostrare inquesto stato di veglia non sono più reali della nostra capacità divolare in un sogno. Pertanto, al versetto 35 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu',Sri Ramana dice:

“Conoscere ed essere la realtà [assoluta] [il nostroessere essenziale], che è [eternamente] siddha[realizzato], è [l'unica vera] [realizzazione] di siddhi.Tutti gli altri siddhis [realizzazioni di poterimiracolosi] sono solo [come] siddhis che[sperimentiamo] in sogno. Se [noi] consideriamo [talisiddhi dopo che ci siamo svegliati] lasciando il sonno,essi [appariranno ancora a noi] essere reali?Considerate [altresì], quelli che hanno lasciato [oterminato] l'irrealtà [sperimentando e] dimorandonello stato reale [della vera conoscenza di sé] potrannoforse essere ingannati [dall'ingannevole illusione deipoteri miracolosi]?

Qualunque cosa noi sperimentiamo in un sogno ci sembraessere reale solo finché stiamo vivendo quel sogno. Quando cisvegliamo e consideriamo quello che abbiamo sperimentato, sicapisce chiaramente e senz'ombra di dubbio che era tutto irreale,essendo solo un parto della nostra immaginazione. Allo stessomodo, tutto ciò che sperimentiamo in questo cosiddetto stato di

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veglia ci sembra essere vero solo finché stiamo vivendo questostato.

Quando ci svegliamo nel nostro stato di veglia reale, che è lostato non duale perfettamente chiaro della coscienza di sé oconoscenza di sé, scopriremo che tutte le dualità che stiamovivendo nel nostro stato attuale d'ignoranza del sé sono irrealicome tutta la dualità che abbiamo sperimentato nel nostro sogno,null'altro che un frutto della nostra immaginazione.

Quando conosciamo chiaramente come siamo veramente, cioècome la nostra non duale coscienza del nostro essere essenziale,'Io sono', che è l'unica e sola realtà assoluta, scopriremo che solonoi siamo reali, e che tutto ciò che prima sembrava essere diversoda noi stessi è del tutto irreale. Vivere e dimorare fermamente inquesto stato di assoluta chiarezza è quindi l'unica realizzazione osiddhi che vale veramente la pena di raggiungere.

Con il raggiungimento di questa realizzazione del sé o ātma-siddhi, libereremo noi stessi dall'illusione che siamo questa mente,la forma falsa e finita della coscienza che immagina di vivere ladualità o l'alterità, e così potremo trascendere tutte le nostre attualiconoscenze immaginarie dell'alterità. Avendo quindi scartatol'intera fabbricazione della dualità, potremo essere illusi da ogniapparenza, come la visualizzazione di poteri miracolosi? Se cirendiamo conto che tutto questo mondo è solo un sogno, nonproveremo meraviglia e non ci rallegreremo dei miracoli o diqualsiasi visualizzazione di soprannaturale potenza. I miracoliaccadono secondo la fede della gente in essi, e tale fede non èaltro che un atto d'immaginazione. Siamo in grado di volare in unsogno, perché in quel momento crediamo di poter volare.

Se non credevamo di poter volare, non avremmo nemmenotentato di farlo. Allo stesso modo, non cercheremmo i miracoli inquesto mondo, se non credessimo che i miracoli siano possibili.Se vediamo un miracolo, dobbiamo avere già creduto,consciamente o inconsciamente, che un tale miracolo fossepossibile. Possiamo attribuire tali miracoli a qualche forma di

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agente divino, ma in realtà non sono altro che un prodotto dellanostra immaginazione, proprio come tutto questo mondo è unprodotto della nostra immaginazione.

Quindi, se abbiamo capito almeno in teoria che tutta laconoscenza della dualità o alterità è solo un parto della nostraimmaginazione, come tutta la conoscenza che abbiamo delle cosediverse da noi stessi in un sogno, non sentiremo nessun desideriodi acquisire qualsiasi forma di potere soprannaturale o di compierequalche miracolo. Se siamo in grado di compiere miracoli,potremmo essere in grado di illudere altre persone, ma cosìfacendo la prima persona che illuderemmo sarà noi stessi.Pertanto, nel versetto 8 di 'Upadēśa Taṉippākkaḷ Sri Ramana dice:

“Un prestigiatore potrà illudere le persone di questomondo senza essere egli stesso illuso, figlio [mio], maun siddha [una persona che ha acquisito siddhis opoteri miracolosi] inganna la gente di questo mondoed è lui stesso [anche] illuso [credendo che i propripoteri e miracoli siano reali]. Che meraviglia èquesta?”

Qualunque sia il potere soprannaturale che possiamo avere, siail potere di sapere cosa pensano gli altri, o il potere di conoscerecosa accadrà in futuro, o il potere di conoscere cosa stasuccedendo in luoghi lontani, tale potere è solo un potere diconoscere qualcosa di diverso da noi stessi, e non può quindiaiutarci a conoscere noi stessi. Tutti questi poteri sono quindi solomezzi di autoinganno, e non possono essere mezzi per la verascoperta di sé.

Nessuna conoscenza di qualcosa di diverso da noi stessi puòessere vera conoscenza, perché tutte queste conoscenze sonoacquisite da noi attraverso l'illusoria e auto ingannevole coscienzache chiamiamo la nostra 'mente'. L'unica conoscenza che è vera oreale è la corretta conoscenza incontaminata del nostro reale sé: la

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nostra essenziale non duale coscienza del nostro essere, 'Io sono'.La conoscenza di qualcosa di diverso da 'Io sono' è semplicementeuna forma di immaginazione, e non è quindi in realtà conoscenza,ma solo ignoranza.

Quindi se vogliamo raggiungere la vera conoscenza, senza laquale non possiamo sperimentare la vera e perfetta felicità, nondobbiamo sprecare tempo ed energia per praticare la meditazione,lo yoga o qualsiasi altra tecnica occulta con l'obiettivo di acquisireogni forma di potere soprannaturale. Poiché sappiamo dalla nostraesperienza nel sogno che la nostra mente ha il potere di creare unintero mondo dentro di sé, e dato che abbiamo il sospetto cheanche questo mondo che sperimentiamo nel nostro presente statodi veglia è solo una creazione della nostra mente, sappiamo che lanostra mente è già dotata di poteri incommensurabili.

Tuttavia, tutto il meraviglioso potere della nostra mente, tutto ilsuo potere presente e tutta la sua forza potenziale, non è altro cheil potere della nostra immaginazione. Inoltre, tutto questo potere èsolo un potere di estroversione, un potere orientato verso l'esterno,lontano da noi stessi, e quindi serve solo a illudere noi e aoscurare la chiarezza della nostra esperienza della vera coscienzadi sé o conoscenza di sé, che esiste da sempre nel cuore del nostroessere.

Cioè, poiché il potere rivolto verso l'esterno della nostra mente,il potere della nostra mente di conoscere qualcosa di diverso danoi stessi, è il potere di maya, il potere dell'illusione oautoinganno, è l'ostacolo che sbarra la strada al nostro conoscere ilnostro vero sé. Quindi, se cerchiamo di aumentare la potenzaverso l'esterno della nostra mente in qualsiasi modo, ci limiteremoad aumentare la densità della nostra ignoranza.

La densità della nube di falsa conoscenza che oscura la nostrasempre esistente chiarezza interiore della vera conoscenza di sé.Pertanto, nel versetto 16 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham', SriRamana chiede:

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“Poiché solo la [assoluta] pace [o calma] dellamente è Mukti [liberazione dai vincoli dell'ignoranzadel sé o illusione], che è [in verità sempre] conseguita,dite [a me], come possono coloro le cui menti sonolegate ai [i desideri di] siddhi [poteri soprannaturalidella mente], che non possono essere raggiunti senzal'attività della mente, immergersi nella beatitudine delmukti, che è [completamente] priva di movimento[oscillazione, ondeggiamento o attività] della mente?”

Le parole iniziali di questo versetto, 'cittattiṉ śānti', cheletteralmente significano 'pace della mente', denotano lo stato incui la nostra mente è calmata e dissolta nella pace assoluta delmero essere, che è completamente privo di qualsiasi tipo dimovimento o attività. Solo in quello stato di assoluta pace e calmapossiamo sperimentare la chiarezza piena e perfetta della veraconoscenza di sé.

Questo stato di pace della vera conoscenza di sé è spessodescritto come lo stato di 'Mukti', che significa 'liberazione' o'emancipazione', perché solo la vera conoscenza di sé ci puòliberare dalla nostra schiavitù dell'esistenza finita, che è causatadalla nostra ignoranza del sé: la nostra illusione immaginaria chesiamo qualcosa di diverso dalla realtà infinita e assoluta, che è ciòche siamo realmente. Sri Ramana descrive questo stato di 'Mukti'come 'siddha', che significa 'raggiunto', perché è in realtà il nostrosempre esistente o eternamente raggiunto stato naturale di essere.Sri Ramana esprime l'idea centrale in questo verso nella forma diuna domanda retorica, una domanda la cui risposta è chiaramenteimplicita nella sua formulazione.

Poiché possiamo sperimentare la felicità infinita e assoluta solonello stato perfettamente pacifico della liberazione o della veraconoscenza di sé, lo stato in cui tutta l'attività mentale è cessata, èovvio che non possiamo sperimentare tale felicità se permettiamoalla nostra mente di essere vincolata dal desiderio di qualsiasi

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forma di siddhi, potere soprannaturale o miracoloso della mente,perché tutti questi poteri mentali possono essere raggiunti solo conl'attività mentale.

Fino a quando la nostra mente è attiva, non possiamoconoscere il nostro vero sé, che è un essere perfettamentetranquillo e inattivo, perché la nostra mente diventa attiva soloquando immaginiamo di essere la forma limitata di un particolarecorpo. Quando non immaginiamo di essere qualsiasi corpo, comenel sonno, tutta l'attività inquieta della nostra mente si placa, erimaniamo in pace felicemente nello stato di semplice essere.

Non appena la nostra mente sorge, sia nello stato di veglia siain uno stato di sogno, immaginiamo di essere un corpo, eattraverso i cinque sensi di tale corpo vediamo un mondo, cheimmaginiamo di essere separato da noi stessi. Pertanto, poichétutte le forme di conoscenza dualistica, e tutte le forme di attività,vengono alla luce solo quando la nostra mente si attiva, il sorgeredella nostra mente oscura il nostro stato naturale di esserepacifico, felice e inattivo, in cui sperimentiamo solo la non dualeconoscenza del nostro vero sé, 'Io sono'.

Poiché la comparsa di questo mondo in stato di veglia, o diqualsiasi altro mondo nel sogno, è causata solo dall'attivarsi dellanostra mente, non possiamo sperimentare lo stato pacifico, nonduale di vera conoscenza di sé finché percepiamo questo mondo.Pertanto, nel terzo paragrafo di 'Nāṉ Yār?', Sri Ramana dice:

“Se la [nostra] mente, che è la causa di tutta la[oggettiva, dualistica, relativa] conoscenza e di tutte leattività, si disattiva [diventa calma, scompare o cessadi esistere], [nostra] la percezione del mondo cesserà.Come la conoscenza della corda, che è la base [chesottende e sostiene l'aspetto del serpente], non sorgeràfino a che la conoscenza del serpente immaginariocessa; svarūpa-darśana [la vera empirica conoscenzadella nostra natura essenziale o reale sé], che è la base

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[che sottende e sostiene l'aspetto del mondo], nonpotrà sorgere a meno che la [nostra] percezione delmondo, che è una fantasia [o fabbricazione], cessi”.

Il mondo e tutto ciò che sappiamo, (tranne il nostro vero sé, lanostra non duale coscienza del nostro essere essenziale, 'Io sono'),è solo un frutto della nostra immaginazione, una costruzione oillusione creata dalla nostra mente, che è il potere di Maya, lanostra illusoria e auto-ingannevole potenza dell'immaginazione.Pertanto, nel settimo paragrafo di 'Nan Yar?', Sri Ramana hadetto:

“Ciò che realmente esiste è solo Atma-Svarùpa [ilnostro sé essenziale]. Il mondo, l'anima e Dio [chesono i tre elementi fondamentali dell'esistenza finita]sono immaginazioni [o costruzioni] in esso [il nostrosé essenziale], come [l'immaginario] argento [chevediamo] in una conchiglia.

Questi tre [elementi di base della relatività odualità] appaiono allo stesso tempo [come quando ciusciamo dal sonno] e scompaiono, allo stesso tempo[come quando noi sprofondiamo nel sonno]. Solo [ilnostro] svarùpa [la nostra 'propria forma' o séessenziale] è il mondo; [il nostro] svarùpa solo è l''io'[la coscienza che appare come il nostro sé individuale,la nostra mente o anima]; [il nostro] svarùpa solo èDio; tutto è Śiva-Svarùpa [il nostro essenziale sé, cheè Shiva, l'assoluto e la realtà che solo veramenteesistono]”.

Dato che il nostro sé individuale o anima, e il mondo e Dio(cioè, Dio come un'entità separata) che appaiono con esso, sonotutti semplici immaginazioni sovrapposte a una realtà

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fondamentale, che è il nostro vero sé, il loro aspetto ci impediscedi sperimentare la realtà come realmente è, cioè, come il nostroproprio assolutamente inattivo, non duale, essere cosciente di sé.

Quindi non possiamo sperimentare la vera natura del nostrovero sé, se non cessiamo di immaginare l'esistenza di tale forma didualità o relatività. Ogni mondo che possiamo percepire non èaltro che una serie d'immagini mentali o pensieri che formiamonella nostra mente col nostro potere dell'immaginazione. Poiché ilmondo è null'altro che i nostri pensieri, e poiché la radice di tutti inostri pensieri è il nostro pensiero principale 'io sono questocorpo', l'aspetto del mondo, che comprende l'aspetto del corpo chescambiamo per noi stessi, oscura la vera conoscenza di noi stessi,la non duale coscienza del nostro essere essenziale, 'Io sono'.Questo processo di oscuramento è spiegato chiaramente da SriRamana nel quarto paragrafo di 'Nāṉ Yār?':

“Quello che si chiama 'mente' è un atiśaya śakti[uno straordinario o meraviglioso potere] che esiste inātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]. Esso proiettatutti i pensieri [o causa la comparizione di tutti ipensieri]. Quando [noi] vediamo [quello che rimane]dopo aver cancellato [abbandonato, scartato, fugato,cancellato o distrutto] tutti [i nostri] pensieri,[scopriremo che] da sola [separata o indipendente daipensieri] non esiste una cosa come la mente'; pertantoil pensiero solamente è lo svarupa [la 'propria forma'o la natura di base] della [nostra] mente.

Dopo aver rimosso [tutti i nostri] pensieri,[scopriremo che] non esiste una cosa come 'il mondo'[esistente separatamente o in maniera indipendente]come altro [che i nostri pensieri]. Nel sonno non cisono pensieri, [e di conseguenza] non c'è il mondo;nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, [e di

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conseguenza] c'è anche un mondo. Proprio come unragno tesse fuori [un] filo da se stesso e lo richiamaancora una volta [di nuovo] in se stesso, così [lanostra] mente proietta [questo o qualche altro] mondoda dentro se stessa e di nuovo lo dissolve [indietro] inse stessa.

Quando [la nostra] mente esce dall'Atma-Svarùpa[il nostro essenziale sé], il mondo appare. Pertanto,quando appare il mondo, svarūpa [la 'nostra propriaforma' o sé essenziale] non appare [come è realmente,cioè come la non duale coscienza assoluta e infinita disolo essere]; quando, svarūpa appare (brilla) [comerealmente è], il mondo non appare. Se [noi]continuiamo a indagare la natura della [nostra] mente,'tāṉ' da sola, infine, apparirà come [l'unica realtàsottostante che ora erriamo considerando essere lanostra] mente.

Ciò che è [qui] chiamato 'tan' [in Tamil è unpronome riflessivo che significa 'se stesso' o 'noistessi'] è solo ātmasvarūpa [il nostro sé essenziale].[La nostra] mente sussiste solo sempre seguendo[conformandosi o associandosi a] un oggettogrossolano [un corpo fisico]; da sola non sta in piedi.[La nostra] mente da sola è detta sūkṣma śarīra [ilnostro 'corpo sottile', cioè, la forma sottile o seme ditutti i corpi fisici immaginari che la nostra mente creaed erra considerandoli essere se stessa] e, come Jīva[la nostra 'anima' o sé individuale]”.

Il mondo che ci immaginiamo di percepire fuori da noi stessinon è in realtà null'altro che i nostri pensieri, una serie diimmagini mentali che la nostra mente proietta dentro se stessa, e

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sperimenta in se stessa. È quindi una creazione e una proiezionedella nostra mente, proprio come il mondo che sperimentiamo inun sogno.

Dato che i nostri pensieri sono il velo che oscura la nostra veranatura, che è perfetta pace e felicità, la nostra esperienza deipensieri e del mondo creato dai nostri pensieri è la vera causa ditutta la nostra infelicità. Come Sri Ramana dice alla fine delquattordicesimo paragrafo di 'Nan Yar?' (una completa traduzionedel paragrafo è riportata nelle pagine finali del primo capitolo):

“[...] Ciò che viene chiamato il mondo è solopensiero. Quando il mondo scompare, cioè, quando ilpensiero cessa, [la nostra] mente sperimenta la felicità;quando appare il mondo, sperimenta l'infelicità”.

La felicità che proviamo quando il mondo scompare insieme atutti gli altri pensieri è il nostro vero sé, il nostro essere essenziale.Sebbene Sri Ramana dice che la nostra mente sperimenta lafelicità quando i pensieri cessano, quello che in realtà sperimentala felicità in quel momento non è la nostra mente come tale, ma èsolo il nostro vero sé, che è l'unica realtà alla base del falsoaspetto della nostra mente. La nostra mente in quanto tale è solopensieri.

In assenza di pensieri, ciò che rimane non è la nostra mente, masolo il nostro essere essenziale: la nostra pura coscienza di sé, 'Iosono', che è sempre non contaminata da qualsiasi pensiero.

Finché ci occupiamo di pensieri, la nostra mente sembraesistere, ma quando rivolgiamo la nostra attenzione lontano datutti i pensieri per scrutare l'essenziale aspetto di coscienza dellanostra mente, scopriremo che la nostra mente non è veramenteun'entità separata, ma è solo il nostro vero sé, la cui natura è lanon duale coscienza di essere, 'Io sono'. Questo è ciò che intendeSri Ramana nel quarto comma di 'Nan Yar?', quando dicecripticamente:

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“Se [noi] continuiamo ad indagare la natura della[nostra] mente, il 'sé' da solo finalmente apparirà come[nostra] mente”.

Il verbo Tamil muḍiyum, che ho qui tradotto come 'finalmenteapparirà', letteralmente significa 'finirà', ma ha anche molti altrisignificati, quali: 'verrà compiuta', 'sarà completa' o 'apparirà'.Quando lui dice: “[...]il 'sé' da solo finirà come mente”, significache quando persistentemente scrutiamo la natura essenziale dellanostra mente finalmente scopriremo che ciò che ora sembra esserela nostra mente non è in realtà altro che il nostro vero sé, la nostracoscienza fondamentale del nostro essere, 'Io sono'. Lui esprimequesta stessa verità nel versetto 17 di 'Upadēśa Undiyār':

“Quando [noi] esaminiamo la forma della [nostra]mente senza dimenticanze, [scopriremo che] nonesiste una cosa come la 'mente' [distinta da o altro cheil nostro vero sé]. Per tutti, questo è il percorso diretto[il mezzo diretto per sperimentare la vera conoscenzadel sé]”.

Noi non siamo altro che la coscienza pura e assoluta; non lacoscienza di qualcosa di diverso da noi stessi, ma solo lacoscienza del proprio essenziale essere, che sempresperimentiamo come 'Io sono'. Quando immaginiamo di essereconsapevoli di qualcosa di diverso da 'Io sono', ci sembra diessere la nostra mente, una coscienza separata che conosce glioggetti.

Ma quando esaminiamo questa coscienza che sembraconoscere altre cose al di fuori di se stessa, questa si dissolverà escomparirà, e ciò che rimarrà sarà solo la nostra vera non duale-coscienza di essere, poiché non c'è davvero una cosa come la'mente' diversa dalla nostra fondamentale ed essenzialeautocoscienza di sé 'Io sono'. Quando appare la nostra mente, il

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mondo appare con essa. L'apparizione del mondo dipendedall'apparizione della nostra mente. Ma la nostra mente non puòsussistere indipendente, senza un mondo.

Ogni volta che appare la nostra mente, lo fa associandosi a uncorpo fisico, che lei scambia per se stessa. Il corpo che noiscambiamo come noi stessi è una parte del mondo, ma a causadella nostra identificazione di quel particolare corpo come 'io',creiamo una distinzione artificiale tra ciò che immaginiamo diessere noi stessi e ciò che immaginiamo essere altro da noi stessi.

Questa falsa distinzione è creata dalla nostra mente, ma senzadi essa la mente non può stare. Anche se il mondo è la sua stessacreazione immaginaria, la nostra mente non può immaginare unmondo senza contemporaneamente immaginare se stessa essere unparticolare corpo in quel mondo. Questo è il motivo per cui alquarto comma di 'Nan Yar?', Sri Ramana dice:

“[La nostra] mente sta soltanto seguendo sempre[conformandosi o associandosi a] un oggettogrossolano [un corpo fisico]; che da solo non puòstare”.

Questa è la nostra esperienza sia nella veglia sia nel sogno.Non abbiamo mai sperimentata la nostra mente senza sentire diessere un corpo particolare in un mondo apparentementeoggettivo. Pertanto Sri Ramana ha spesso descritta la nostra mentecome la coscienza 'io sono questo corpo', per la quale ha a volteusato il termine tradizionale sanscrito 'dēhātma buddhi', cheletteralmente significa 'il senso del corpo-sé', cioè il senso, ilsentire, il pensiero o immaginazione che il nostro corpo è noistessi.

Egli dice anche che la nostra mente è quello che è chiamato il'sūkṣma śarīra' o 'corpo sottile', perché è il seme o la forma sottiledi tutti i corpi fisici immaginari che crea col suo potered'immaginazione e che erroneamente ritiene di essere se stessa. Il

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nostro immaginare un particolare corpo come 'io' è il prerequisitoper la nostra percezione del mondo, perché è attraverso i cinquesensi del corpo, che immaginiamo esistere, che percepiamo ilmondo.

Come dice Sri Ramana, questo mondo è proiettato dalla nostramente, e nel processo di questa proiezione, i cinque sensi delnostro corpo funzionano come la lente in un proiettorecinematografico. Anche se sentiamo che percepiamo il mondoattraverso i cinque sensi, noi in realtà non solo lo percepiamo malo proiettiamo anche attraverso i nostri sensi. Proprio come ilpensiero è un processo duplice di formare e sperimentare ipensieri nella nostra mente, così la percezione è un processoduplice di proiezione e di sperimentazione del mondo.

Il formare un pensiero e sperimentarlo non sono due azionidistinte, ma sono solo due aspetti inseparabili del singolo processodel pensare. Allo stesso modo, proiettare gli oggetti esterni eviverli non sono due azioni distinte, ma sono solo due aspettiinscindibili del singolo processo di percezione. Il pensare e lapercezione sono entrambi processi d'immaginazione. L'unicadifferenza tra loro è che noi riconosciamo che i pensieri chepensiamo esistono solo nella nostra mente, mentre immaginiamoche il mondo che percepiamo esiste fuori della nostra mente.Tuttavia, questa distinzione non è reale, ma esiste solo nella nostraimmaginazione.

In un sogno immaginiamo che il mondo che percepiamo inquel momento esiste fuori dalla nostra mente, ma quando cisvegliamo ci rendiamo conto che in realtà esisteva solo nellanostra mente. Il mondo che noi percepiamo ora in questocosiddetto stato di veglia è sperimentato da noi esattamente nellostesso modo che abbiamo sperimentato quel mondo nel nostrosogno, quindi non abbiamo alcun motivo valido o adeguato disupporre che essa non sia solo un parto della nostraimmaginazione, proprio come era quell'altro mondo. In entrambiveglia e sogno abbiamo prima esperienza di un corpo, che

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scambiamo essere noi stessi, e poi attraverso i cinque sensi diquesto corpo sperimentiamo un mondo che sembra esistere al difuori di noi..

Ogni volta che sperimentiamo un corpo come noi stessi e unmondo come esistente fuori di noi stessi, sia nella veglia che insogno, l'esperienza ci appare essere reale. Solo dopo il risveglio daun sogno siamo in grado di riconoscere senza il minimo dubbioche si trattava solo di un frutto della nostra immaginazione, unaproiezione della nostra mente. In un sogno il corpo chescambiamo per essere noi stessi è una proiezione della nostramente.

Quando cominciamo a sognare, la prima cosa che facciamo èsimultaneamente immaginare un corpo e di illudere noi stessi divivere quel corpo come se fosse noi stessi. Senza questo ingannoauto-indotto che un corpo immaginario è noi stessi, non avremmopotuto sperimentare il mondo immaginario che percepiamo inquel momento. Ogni volta che percepiamo un mondo, cicomportiamo sempre così dall'interno dei confini di un corpoparticolare, che riteniamo di essere noi stessi.

Quindi la nostra percezione di ogni mondo dipende dalla nostraimmaginazione di essere un corpo in quel mondo, che a sua voltadipende dalla nostra mente, la coscienza finita che si immagina diessere quel corpo. Pertanto nei versetti 5, 6 e 7 di 'UḷḷaduNāṟpadu', Sri Ramana dice:

“[Il nostro] corpo [è] una forma [composta] dicinque involucri [i pañca kōśas o cinque attributi cheapparentemente ricoprono e oscurano la coscienza delnostro vero sé quando immaginiamo qualcuno di loroessere noi stessi]. Pertanto tutte e cinque [queste'guaine' o ausiliari] sono incluse nel termine 'Corpo'.Senza [una sorta di] corpo, c'è forse [qualcosa comeun] mondo? Diciamo, dopo aver lasciato [tutti i tipi di]corpo, c'è forse [qualche] persona che ha visto [questo

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o qualsiasi altro] mondo? Il mondo [è] niente altro cheuna forma [composta] di [cinque tipi di] percezionedei sensi [vista, udito, olfatto, gusto e tatto]. Questicinque [tipi di] percezioni sensoriali sono oggetti[note] ai [nostri] cinque organi dei sensi.

Poiché solo la [nostra] mente conosce il mondoattraverso [questi] cinque organi di senso, affermiamo,senza [la nostra] mente può forse esserci [qualsiasicosa come un] mondo? Anche se il mondo e la[nostra] mente sorgono e spariscono insieme [cioè,insieme e contemporaneamente], il mondo risplende[o è noto solo] dalla [nostra] mente. Solo quello [ilnostro vero sé] che brilla senza [mai] apparire oscomparire come spazio [o base] per l'apparizione e lascomparsa del mondo e della [nostra] mente [è] poruḷ[la vera sostanza, essenza o realtà assoluta], cherappresenta l'insieme [la totalità infinita di tutto ciòche è]”.

Sri Ramana inizia il versetto 5 dicendo che il nostro corpo èuna forma composta da cinque guaine, e che tutti questi cinqueinvolucri sono pertanto inclusi nel termine 'corpo'. Come abbiamovisto quando abbiamo parlato del significato del versetto 22dell'Upadesa Undiyār nelle pagine finali del capitolo precedente,le pañca-kōśas o 'cinque guaine' sono il nostro corpo fisico: laforza vitale nel nostro corpo, la nostra mente, il nostro intelletto ele tenebre dell'ignoranza relativa che sperimentiamo nel sonno.

Questi cinque 'involucri' o aggiunte {forme} appaiono oscurarela nostra naturale coscienza del nostro vero sé, perché noiimmaginiamo noi stessi di essere uno o più di essi in ciascuno deinostri tre stati abituali di coscienza: veglia, sogno e sonno. Nellaveglia e nel sogno sperimentiamo noi stessi come unacombinazione di quattro dei nostri cinque involucri: un corpo

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fisico, la vita in quel corpo, la nostra mente e il nostro intelletto equindi attraverso i cinque sensi del nostro corpo fisicosperimentiamo un mondo di oggetti materiali.

Nel sonno, invece, si cessa di sperimentare noi stessi come unadi quelle quattro guaine esterne. Invece ci identifichiamo con lanostra guaina più intima, che è un buio apparente o ignoranza,perché ci immaginiamo di essere inconsci di tutto, e quindi in quelmomento non conosciamo alcun mondo diverso da quellaoscurità.

Noi percepiamo un mondo fisico solo quando ci immaginiamodi essere un corpo fisico in quel mondo. Pertanto, nel versetto 5 di'Uḷḷadu Nāṟpadu', Sri Ramana chiede:

“[...] senza [una sorta di] corpo, c'è [ogni cosacome un] mondo? Diciamo, dopo aver lasciato [tutti itipi di] corpo, c'è [una] persona che ha visto [questo oqualsiasi altro] mondo?”.

Nel versetto 6 egli sottolinea la verità evidente che tutto ciò chenoi chiamiamo 'mondo' è solo una combinazione dei cinque tipi dipercezione sensoriale: viste, suoni, odori, sapori e sensazionitattili, che sperimentiamo attraverso i nostri cinque organi disenso. Tuttavia, quella che effettivamente sperimenta questicinque tipi di percezione sensoriale è solo la nostra mente.Pertanto Sri Ramana chiede:

“[...] poiché solo la [nostra] mente conosce ilmondo attraverso [questi] cinque organi di senso,possiamo forse dire che senza la [nostra] mente vi è lì[qualsiasi cosa come un] mondo?”.

Cioè, l'apparizione di qualsiasi mondo dipende non solo dalnostro corpo, attraverso i cinque sensi con cui noi lo percepiamo,ma anche dalla nostra mente, che è la coscienza che in realtà lo

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conosce. Questa dipendenza dell'apparizione di ogni mondotramite la nostra mente è ulteriormente sottolineata da Sri Ramananel versetto 7, in cui dice:

“Se il mondo e la [nostra] mente sorgono eregrediscono insieme, il mondo brilla tramite la[nostra] mente”.

Che cosa esattamente vuol dire dicendo che il mondo risplendetramite la nostra mente? Qui la parola 'oḷirum' o 'brilla' significa'apparire', 'diventare percettibile' o 'noto'. Cioè, il mondo appare oè noto solo a causa della nostra mente, che è la coscienza che loconosce. Ogni mondo appare o è conosciuto solo quando la nostramente è attenta a esso.

Nel nostro attuale stato di veglia questo mondo appare perchéla nostra mente da attenzione a esso, mentre in sogno un altromondo appare perché in quel momento la nostra mente si occupadi esso. Pertanto la nostra mente non dipende dalla comparsa diogni mondo particolare, mentre la comparsa di un particolaremondo dipenderà dalla nostra mente. Anche se il mondo e lanostra mente appaiono e scompaiono, alla base del loro compariree scomparire vi è una realtà che non appare né scompare.

Quella realtà è il nostro vero sé: la nostra essenziale non dualecoscienza del nostro essere, che sperimentiamo sempre come 'Iosono'. Sia nella veglia sia nel sogno la nostra mente appareinsieme a un mondo, mentre nel sonno la nostra mente e tutti imondi scompaiono. Tuttavia in tutti questi tre stati continuiamo asperimentare noi stessi come 'Io sono'. Dato che la nostraessenziale coscienza di sé, la nostra consapevolezza che siamo,persiste anche in assenza della mente, è chiaramente più realedella mente.

Poiché trascende tutti i limiti che sono vissuti dalla nostramente, non è limitata in alcun modo, e quindi è sia infinita siaassoluta. È quella perdurante realtà, e quindi è la vera sostanza che

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appare come la nostra mente, il nostro corpo, questo mondo e ognialtra cosa. Quindi, riferendosi alla nostra autocoscienza di base 'Iosono', che noi Sperimentiamo continuamente, Sri Ramanaconclude il versetto 7 esprimendo la sua propria esperienzatrascendente della vera conoscenza di sé:

“[...] Solo ciò che brilla, senza [mai] apparire oscomparire come lo spazio [o base] per l'apparizione ela scomparsa del mondo e la [nostra] mente [è] poruḷ[la vera sostanza, essenza o assoluta realtà], cherappresenta l'insieme [l'infinita totalità di tutto ciò cheè]”.

Proprio come una corda sembra essere un serpente senza maicessare di essere una corda, così la nostra non duale coscienza disé: 'Io sono', che è l'unica realtà assoluta, appare come la nostramente e tutta la dualità vissuta dalla nostra mente senza maismettere di essere ciò che realmente è. Sri Ramana riassume laverità che esprime nei tre precedenti versi di 'Uḷḷadu Nāṟpadu',nel verso 99 di 'Guru Vācaka Kōvai':

“[Questo o qualsiasi altro] mondo non esiste senza[un corrispondente] corpo [che immaginiamo di esserenoi stessi], [tale] organismo non esiste in qualsiasimomento senza [la nostra] mente, [la nostra] mentenon esiste in qualsiasi momento senza [la nostraessenziale] coscienza e [la nostra essenziale]coscienza non esiste in qualsiasi momento senza [ilnostro vero] essere [la nostra propria realtà o 'Iosono']”.

L'esistenza di qualsiasi mondo è dipendente dal corpoattraverso il quale noi lo percepiamo. L'esistenza di tale corpodipende dalla nostra mente, che lo sperimenta come 'io'.

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L'esistenza della nostra mente dipende dalla nostra coscienzaessenziale, senza la quale non potrebbe conoscere né la propriaesistenza né l'esistenza di qualsiasi altra cosa. Come funzionaesattamente questa sequenza di dipendenza?

La nostra vera coscienza, cioè, la nostra coscienza del sé dibase 'Io sono' non dipende da qualsiasi altra cosa, perché esistesempre e conosce la propria esistenza. La nostra mente, d'altraparte, non sempre esiste, o almeno non conosce sempre la propriaesistenza. Conosce la sua propria esistenza solo nella veglia e nelsogno, ma non nel sonno.

Sembra conoscere la propria esistenza solo quando sovrapponeun corpo immaginario sulla nostra vera coscienza del sé 'Io sono',sperimentando in tal modo il corpo come 'io', e solo dopo che si ècosì immaginato di essere un organismo è in grado disperimentare un mondo attraverso i cinque sensi di taleorganismo. Pertanto, l'apparizione del mondo dipende dal nostrocorpo, l'apparizione del nostro corpo dipende dalla nostra mente, el'apparizione della nostra mente dipende dalla nostra essenzialecoscienza del sé 'Io sono'. Dopo aver espresso questa sequenza didipendenza, Sri Ramana conclude dicendo:

“[...] la coscienza non esiste, in qualsiasi momento,in assenza di essere”.

Dicendo questo, non intende che la coscienza è qualche cosa diseparato che dipende dall'essere, ma solo che la coscienza stessa èessere. Se la coscienza fosse altro dall'essere, non sarebbe, cioè,non esisterebbe, e quindi, non potrebbe conoscere se stessa oqualsiasi altra cosa. Allo stesso modo, se essere fosse stato diversodalla coscienza, questa potrebbe non conoscere se stessa, e,quindi, dovrebbe dipendere da un'altra coscienza diversa da sestessa per essere conosciuta.

Quindi, per essere indipendente e pertanto assolutamente reale,l'essere deve essere consapevole di se stesso, e la coscienza deve

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essere. L'essere reale è solo il nostro stesso essere, perché il nostroessere è consapevole di sé, considerando che l'essere apparente ol'esistenza di ogni altra cosa è conosciuto solo da noi, e quindidipende da noi. Poiché il nostro essere è cosciente di sé, è unacoscienza perfettamente non duale, e quindi non dipende daqualsiasi altra cosa sia per 'essere' sia per 'essere conosciuto diessere'.

Essendo completamente indipendente, è libero da ogni formadi limitazione, da tutte le condizioni e da tutte le relatività. Èpertanto una realtà infinita e assoluta. In questo versetto del GuruVācaka Kovai la parola che ho tradotto come 'essere' è 'uṇmai',che di solito significa 'verità' o 'realtà', ma che etimologicamentesignifica 'essere' o 'sono'. Poiché il vero essere o 'sono' èconsapevole di sé, non è una forma oggettiva di essere, ma èun'infinita realtà che sottende e sostiene l'apparizione di ognioggettività o dualità. È la coscienza fondamentale che rendepossibile l'apparizione di tutte le altre cose.

Dato che la nostra mente, il nostro corpo, questo mondo e ognialtra cosa concepibile dipende dal nostro non duale esserecosciente di sé, e poiché tutti appaiono e scompaiono, sono tuttesolo immaginarie apparizioni, e la sola realtà che sottende esostiene la loro apparenza è solo il nostro proprio essere ocoscienza. In altre parole, l'unica sostanza che appare come tutto èsolo la nostra essenziale coscienza di essere, 'Io sono'.

Considerando che ogni altra cosa è solo relativamente reale,essendo una pura immaginazione, la nostra coscienza è la sola eunica realtà assoluta. In essenza, dunque, tutto è solo la nostracoscienza. Quindi la nostra coscienza è la solo cosa reale. Oltre aessa, nulla esiste davvero. Questa è la conclusione finale a cui SriRamana ci conduce. Tuttavia, la comprensione teorica che tutto èsolo la nostra coscienza non è un fine in sé. Sri Ramana ci porta aquesta conclusione al fine di convincerci che l'unico mezzoattraverso il quale possiamo sperimentare la realtà assoluta èquello di sperimentare noi stessi come l'infinita non duale

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coscienza di essere che siamo veramente.Al fine di sperimentarla noi stessi quindi, dobbiamo distogliere

la nostra attenzione da tutte le altre cose, e focalizzarlainteramente ed esclusivamente su noi stessi, cioè, sul nostro esserecosciente di sé, che sempre sperimentiamo come 'Io sono'. Lanostra conoscenza attuale della dualità o alterità è ciò che ciostacola dal vivere la nostra coscienza che è libera da coseaggiunte, l'assolutamente non duale coscienza di sé che èveramente sempre quel che è.

Poiché la nostra conoscenza della dualità si attiva solo quandoimmaginiamo noi stessi di essere un corpo, non possiamosperimentare noi stessi come l'infinita, indivisa, non duale eassoluta realtà fintantoché noi sperimentiamo l'esistenza apparentedi qualsiasi altra cosa. Al fine di rimuovere la nostra conoscenzaimmaginaria della dualità, dobbiamo cessare di immaginare noistessi di essere questo o qualsiasi altro organismo, e al fine dicessare di immaginare così noi stessi, dobbiamo conoscere noistessi come siamo veramente.

La nostra mente sorge, immaginando se stessa di essere uncorpo e quindi sperimenta cose che sembrano essere altro da sé,solo a causa della nostra ignoranza del sé, e quindi sarà distruttasolo da una vera conoscenza di sé. La nostra immaginazioneprimaria che siamo un corpo fisico è il fondamento su cui ècostruita la nostra mente. Ogni volta che la nostra mente si attiva,sia in un sogno che in un cosiddetto stato di veglia, si immaginasempre di essere un corpo.

Senza questa immaginazione fondamentale 'io sono questocorpo', non poteva sorgere e immaginare qualsiasi altra cosa.Quando la nostra mente è attiva, percependo il mondo o i pensieri(tutti quelli che riguardano il mondo in un modo o nell'altro), cisentiamo sempre, 'io sono una persona chiamata così e così, iosono diverso da questo mondo intorno a me, e da tutte le altrepersone e creature che vedo in questo mondo', e questi sentimentisono tutti radicati nella nostra immaginazione fondamentale che

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un corpo particolare sia noi stessi.Qualunque cosa sperimentiamo, questa fondamentale

immaginazione 'io sono questo corpo' è sempre là sullo sfondo,alla base di tutte le nostre esperienze. Nella nostra naturaessenziale, c'è solo la coscienza senza forma, e come tale nonpensiamo nessun pensiero o sperimentiamo qualcosa di diverso da'Io sono'.

Noi sperimentare questo stato naturale di coscienza senzaforma nel sonno profondo, che è uno stato in cui conosciamo soloil nostro essere essenziale, 'Io sono'. Il fatto che possiamo essere epossiamo conoscere il nostro essere nello stato senza forme diprofondo sonno, indica chiaramente che nella nostra naturaessenziale non siamo una qualsiasi forma, ma solo una coscienzasenza forma di essere. Anche se siamo una coscienza senza forma,nella veglia e nel sogno noi immaginiamo di essere la forma di uncorpo particolare.

La forma vincolata a una coscienza che viene apparentementein esistenza quando attribuiamo noi stessi a un corpo è ciò chechiamiamo la nostra 'mente'. La nostra mente, che in realtà è solola coscienza senza forma, si manifesta come coscienza legata auna forma immaginandosi di essere la forma di un corpoparticolare. La forma di base che la nostra mente prende su di sé èla sua fondamentale immaginazione 'io sono questo corpo'.

Questa immaginazione fondamentale è di per sé la nostramente. Al di fuori di questa immaginazione 'io sono questo corpo',la nostra mente non esiste come entità separata. La nostra mentesorge solo quando si forma come questa immaginazionefondamentale, e solo dopo la formazione di se stessa, comincia aformare tutte le altre immaginazioni. Pertanto, la radice di ogniimmaginazione è la nostra fantasia primaria 'io sono questocorpo'.

Nel quinto paragrafo di 'Nan Yar?', Sri Ramana descrive altrecose su questa fantasia primaria 'io sono questo corpo', che egliriferisce come il pensiero 'io' che sorge in questo corpo:

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“Ciò che sorge in questo corpo come 'io', questosolo è la [nostra] mente. Se [noi] indaghiamo dove ilpensiero 'io' sorge per la prima volta nel [nostro]corpo, [noi] verremo a sapere che [sorge inizialmente]nel [nostro] cuore [il nucleo più interno del nostroessere]. Questo solo è il luogo di nascita della [nostra]mente. Anche se [noi] rimaniamo a pensare 'Io, Io',esso [ci] prenderà e [ci] lascerà (ci condurrà) in quelluogo. Di tutti i pensieri che appaiono [o sorgono]nella [nostra] mente, solo il pensiero 'io' è il primopensiero. Solo dopo che questo è sorto altri pensierisorgono. Solo dopo che la prima persona appare,appare la seconda e la terza persona; senza la primapersona la seconda e la terza persona non possonoesistere”.

Anche se il nostro corpo è una fantasia, un'immagine che lanostra mente si è formata dentro di sé, la nostra mente non puòattivarsi senza immaginare questa immagine mentale come sestessa. Tale è la natura enigmatica di Maya, il nostro potere auto-ingannevole d'immaginazione. Essendo un'immagine mentale, ilnostro corpo esiste in realtà solo nella nostra mente, ma noi ciinganniamo nell'immaginare che la nostra mente esiste soloall'interno del nostro corpo.

Come risultato di tale illusione, quando la nostra mente sorgeriteniamo che sorga all'interno dei confini del nostro corpo. Lasensazione limitata 'io' che sorge all'interno di questo corpo,scambiandola per essere se stessi, è la nostra mente. Anche sequesta sensazione 'io', che è un pensiero o immagine mentale,sembra sorgere o originare all'interno di questo corpo, se laesaminiamo attentamente al fine di accertare da dove in questocorpo proviene, scopriremo che in realtà non viene da nessunluogo all'interno di questo corpo, ma solo dal nucleo più profondodel nostro essere.

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Nella letteratura spirituale questo nucleo più profondo delnostro essere, che è la nostra coscienza fondamentale edessenziale 'Io sono', è quello che viene chiamato il nostro 'cuore' o'hrdaya'. Come Sri Ramana ha spesso spiegato, la parola 'cuore' inquesto contesto non denota alcun organo all'interno del nostrocorpo, ma è sinonimo del nostro vero sé, lo spirito informe einfinito, che è la realtà assoluta e che sempre sperimentiamo comela nostra coscienza fondamentale del mero essere, 'Io sono'.

La nostra coscienza fondamentale: 'Io sono' è riferita come ilnostro 'cuore' o il nucleo del nostro essere, perché lasperimentiamo come il centro da cui si sperimentano tutte le altrecose. In ogni esperienza ed ogni conoscenza della nostracoscienza fondamentale 'Io sono', è presente come sia il centroche la base. Tutta la nostra conoscenza si basa ed è centrata nellanostra prima e fondamentale conoscenza 'Io sono'. Tutte le altreforme di conoscenza appaiono e scompaiono, ma questaconoscenza o coscienza 'Io sono' rimane come nostra unicacostante e immutabile conoscenza. È quindi il 'cuore' o nucleo ditutto ciò che consideriamo essere noi stessi e di tutto ciò che noicome individui conosciamo, sperimentiamo e facciamo.

Poiché è la fonte da cui sorge la nostra mente e tutto ciò che èconosciuto dalla nostra mente; Sri Ramana dice che il nostro'cuore' o il reale sé è 'il luogo di nascita' della nostra mente.Anche se usa la parola 'luogo' per indicare il nucleo o 'cuore' delnostro essere, non lo usa nel senso letterale di un luogo esistentenelle limitate dimensioni di tempo e spazio, ma solo in sensofigurato. Cioè, sebbene il nucleo del nostro essere non è confinatoall'interno dei limiti del tempo e dello spazio, si riferisce a esso insenso figurato come un 'luogo' perché lo sperimentiamo semprecome il punto centrale nel tempo e nello spazio, come 'ora' e 'qui',l'unico punto da cui percepiamo e concepiamo tutti gli altri puntinel tempo e nello spazio.

Alcune persone sembrano avere difficoltà a comprendere ilsemplice fatto che il nostro vero essere è infinita coscienza senza

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forma, presumibilmente perché non sono in grado o sono riluttantia concepire ogni coscienza oltre la loro attuale coscienza finita diloro stessi come corpo fisico. Poiché non possono concepire chesiano qualcosa di più del loro limitato complesso mente-corpo, epoiché alcuni di loro sono innamorati dell'idea dei chakras o centrimistici situati in alcuni punti all'interno del corpo fisico, questepersone spesso chiedevano a Sri Ramana in quale punto del corpofisico si trova hrdaya o il 'cuore' spirituale.

Sapendo che queste persone non erano in grado o non volevanocomprendere la semplice verità che la parola 'cuore' indicaveramente la realtà infinita, lo spirito senza forma o la coscienza,Sri Ramana usava placare la loro curiosità dicendo che il 'cuore'spirituale si trova due dita a destra del centro del nostro petto. Ilmotivo per cui ha precisato questo particolare punto come laposizione del 'cuore' nel nostro corpo fisico è che questo è il puntonel nostro corpo in cui il nostro senso dell''io' sembra originare eda cui si diffonde in tutto il nostro corpo.

Tuttavia questa posizione del nostro 'cuore' non èassolutamente vera, ma è vera solo rispetto al nostro corpo.Questa posizione è solo reale com'è reale il nostro corpo, e ilnostro corpo non è più reale della nostra mente, di cui è unacreazione. Poiché il nostro corpo è una mera fantasia, come ilmondo intero di cui fa parte, come può qualsiasi punto essere ilnostro vero 'cuore', il nucleo del nostro essere, che è la realtàinfinita e assoluta?

Pertanto, a tutte le persone che erano in grado di comprenderela semplice verità del suo insegnamento, cioè che: il nostro séessenziale è l'unica realtà, e che la nostra mente e tutto ciò che aessa è noto, tranne 'Io sono', è un mero frutto della nostra fantasiadi autoinganno. Sri Ramana spesso evidenziava la verità che il'cuore' spirituale non è un qualsiasi posto nel nostro corpo, ma èsolo il nostro vero sé, la nostra coscienza fondamentale edessenziale di essere, 'Io sono'. Non solo la posizione del nostro'cuore' spirituale in questo corpo fisico è solo una verità relativa,

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ma è anche una verità che non ha alcun valore pratico.Quando una volta qualcuno gli ha chiesto se dobbiamo

meditare sul lato destro del nostro petto per meditare sul nostrocuore spirituale, egli rispose: “Il 'Cuore' non è fisico. Lameditazione non dovrebbe essere a destra o a sinistra. Lameditazione dovrebbe essere sul nostro sé. Conosciamo tutti l'Iosono. Che cosa è questo 'Io'? Non è né dentro né fuori, né sulladestra o sulla sinistra. 'Io sono', questo è tutto”.

Ai fini pratici, tutto quello che dobbiamo sapere sul 'cuore'spirituale è che è la nostra coscienza di base 'Io sono', che è ilcuore del nostro essere, è il centro di tutto ciò che sperimentiamo.In questo quinto paragrafo di 'Nan Yar?', Sri Ramana insegna cheil mezzo con il quale possiamo sperimentare una chiaraconoscenza di questo 'cuore', che è la sorgente o 'luogo di nascita'della nostra mente, è quello di esaminare profondamente il nostropensiero primordiale 'io' al fine di accertare da 'quale luogo' o dacosa ha avuto origine. Anche se spiega questo processo di auto-indagine o vicāra dicendo:

“Se [noi] indaghiamo in quale posto il pensiero 'io'sorge inizialmente nel [nostro] corpo, [noi] verremo asapere che [sorge prima] nel [nostro] cuore. Questosolo è il luogo di nascita della [nostra] mente”.

Questo è essenzialmente lo stesso processo che ha espresso piùdirettamente al sesto paragrafo (che abbiamo citato in precedenzain questo capitolo) dicendo: “Se [noi] indaghiamo 'chi sono Io?',[la nostra] mente tornerà al suo luogo di nascita”. La nostramente o l'attenzione ritorna alla sua fonte o 'luogo di nascita', ilpiù interno nucleo del nostro essere, ogni volta che smettiamo dipensare a qualsiasi cosa diversa dal nostro essenziale esserecosciente di sé, che sperimentiamo sempre come 'Io sono'.

La nostra mente sorge dalla sua fonte solo pensando, cioè,immaginando e occupandosi di qualcosa di altro da sé, e

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naturalmente scompare e si fonde nella sua fonte ogni volta chesmette di pensare. Questo cedimento e fusione della nostra mentenel nostro essere essenziale capita ogni giorno quando ciaddormentiamo.

Tuttavia nel sonno non sperimentiamo una chiara conoscenzasenza nuvole del nostro vero essere, perché cadiamo nel sonnosolo ritirando la nostra attenzione da altre cose, ma senzaconcentrarci profondamente sulla nostra coscienza di essere, lanostra fondamentale autocoscienza di sé 'Io sono'. La nostramente sorge a causa della nube di dimenticanza del sé o auto-ignoranza con cui abbiamo apparentemente oscurato la nostranaturale chiarezza di pura coscienza del sé.

Noi inganniamo noi stessi ritenendo di essere la coscienza diquesto limitato e finito corpo, chiamata 'mente' solo perchéabbiamo scelto apparentemente di ignorare il nostro vero essere,la coscienza infinita e incontaminata 'Io sono'. Questa volontariaignoranza del sé o dimenticanza persiste fino a quando scegliamodi ricordare ciò che il nostro vero essere realmente è. Possiamoricordare ciò che realmente siamo solo concentrando la nostraattenzione interamente ed esclusivamente sul nostro essenzialeessere, la nostra coscienza 'Io sono', perché la vera natura delnostro essere essenziale è pura non duale coscienza di sé. Poichéci calmiamo e sprofondiamo nello stato di sonno senzaconcentrare la nostra attenzione interamente ed esclusivamentesulla nostra coscienza essenziale di essere, 'Io sono', la nuvoladella nostra ignoranza o dimenticanza di sé continua a esistere nelsonno.

Il sonno ordinario che sperimentiamo ogni giorno è solo unostato in cui la nostra mente riposa dalla sua attività incessante erecupera la sua energia per impegnarsi in ulteriori attività. Con latemporanea immersione e diventando tutt'uno con sua fonteoriginaria, che è la vera fonte di tutto il potere, la nostra mente èin grado di ricaricare la sua energia, che spende poi in un altroperiodo di attività sia di veglia che di sogno.

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Dopo aver speso la sua quantità limitata di energia, la nostramente deve ancora rifondersi nel sonno per rinnovare talefornitura. Nessuna macchina può ottenere energia semplicementesmettendo di essere attiva. Non possiamo ricaricare una batteriasemplicemente smettendo di usarla per un po'. Allo scopo diricaricarla, dobbiamo collegarla a una fonte di alimentazione,come ad esempio la rete elettrica o un generatore. Allo stessomodo, la nostra mente non rinnova la sua energia nel sonno soloperché è inattiva. Succede ciò perché nel sonno è collegata a unasorgente di alimentazione, che è il nostro essere essenziale.

L'energia che la nostra mente deriva rimanendo per un po' nelsonno non viene da fuori noi stessi; essa viene solo da una fonteall'interno di noi stessi, e questa fonte è il nostro vero sé o lospirito, la natura essenziale del quale è la nostra meraconsapevolezza di essere: la nostra coscienza di sé 'Io sono'. Nelsonno tutto ciò che sperimentiamo è 'Io sono' e, semplicementesperimentando questa coscienza 'Io sono' per un po' (nella brevedurata del sonno), la nostra mente è in grado di ricaricare la suaenergia. Tuttavia, anche se sperimentiamo la conoscenza di 'Iosono' nel sonno, non la sperimentiamo con perfetta chiarezza.

Anche se la nostra mente si è dissolta nel sonno insieme contutta la sua conoscenza delle altre cose, l'influenza obnubilantedella nostra basilare dimenticanza di sé persiste. Pertanto, se nelsonno sappiamo che esistiamo, non sappiamo chiaramente ciò chesiamo. Il motivo per cui non sappiamo chiaramente ciò che siamonel sonno è che ci immergiamo in quello stato semplicementeritirando la nostra attenzione da altre cose, ma senza concentrarcisu di noi stessi. Per sapere ciò che siamo, dobbiamo focalizzare lanostra attenzione intensamente sul nostro essere essenziale.

Questa concentrazione della nostra attenzione interamente edesclusivamente su noi stessi, la nostra coscienza di essere, 'Iosono', è ciò che Sri Ramana chiama 'auto-investigazione'{investigazione sul Se, auto-indagine} o Atma-Vicara. SriRamana descrive questo semplice processo di 'auto

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investigazione' in vari modi, ciascuno dei quali è adatto a unparticolare contesto.

Nel sesto paragrafo di 'Nan Yar?', nel contesto di comedobbiamo comportarci con gli altri pensieri, che tendono adistrarci ogni volta che proviamo a dare attenzione al nostro puroessere, lo descrive come un processo di indagare: “A chi siverificano questi pensieri? A me. Chi sono Io?”.

Nel quinto paragrafo, nel contesto di come la nostra mentesorge sempre come un senso limitato di 'io' apparentementeconfinato all'interno di un corpo, lo descrive come un processo diindagine in quale parte del nostro corpo il pensiero 'io' sorge perprimo. Poiché la nostra mente sorge sempre in un corpoimmaginando il corpo essere 'io', Sri Ramana dice che dovremmoindagare in quale posto sorge nel nostro corpo. Tuttavia, eglispiega che quando facciamo così scopriremo che in realtà nonsorgerà da qualsiasi luogo all'interno del nostro corpo fisico, masolo dal nostro 'Cuore', il nucleo non-fisico del nostro essere.

Al fine di accertare da dove la nostra mente sorge come 'io',dobbiamo concentrare profondamente la nostra attenzione sullacoscienza essenziale che noi sperimentiamo come 'io'. Quando lofacciamo, la nostra attenzione sarà automaticamente distolta dalnostro corpo e da tutto il resto, e sarà incentrata interamente nelnostro basilare senso di essere, la nostra fondamentale coscienzadi sé, 'Io sono'.

Pertanto, suggerendo di indagare da dove in questo corpo lanostra mente sorge come 'io', Sri Ramana ci sta fornendo untrucco per distogliere la nostra attenzione dal nostro corpo e versola coscienza essenziale che, quando è apparentemente contaminatadalla nostra conoscenza di questo corpo e del mondo chepercepiamo attraverso di esso, ci permette di sentire che questocorpo è 'io'. In qualunque modo egli può descrivere questoprocesso di auto-indagine o auto-esame, il solo scopo di SriRamana è di fornirci indizi che verranno ad aiutarci a distoglierela nostra attenzione dai nostri pensieri, dal nostro corpo e da tutte

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le altre cose, per concentrarci interamente ed esclusivamente sullanostra fondamentale coscienza essenziale di essere, che abbiamosempre sperimentato come 'Io sono'.

Nei suoi scritti e detti vi sono molti esempi di come lo fa. Inquesto quinto paragrafo di 'Nāṉ Yār?', per esempio, dopo il primosuggerimento che dovremmo indagare in quale parte del nostrocorpo sorge il pensiero Io, prosegue per darci un mezzo ancora piùsemplice con cui possiamo coscientemente tornare alla fonte dacui siamo sorti, dicendo:

“Anche se [noi] rimaniamo a pensare, 'Io Io', ciò[ci] prenderà e [ci] lascerà in quel luogo”.

Egli esprime questa stessa verità con parole leggermentediverse nel verso 716 di Guru Vācaka Kōvai:

“Anche se [noi] incessantemente contempliamoquel [divino] nome 'Io, Io' [o 'Io sono Io'], con la[nostra] attenzione [così fissata saldamente] nel[nostro] cuore [cioè, nel nostro vero 'Io', che è ilcentro del nostro essere], egli salverà [noi], prendendouno [cioè, noi stessi] nella fonte da cui [la nostra]mente [o pensiero] sorge [in modo da] distruggere il[nostro] ego, [che è] l'embrione limitato del corpo[germe, causa o base da cui tutte le altre cosesorgono]”.

In questo verso le parole 'quel nome' fanno riferimento alnome: 'Io', 'sono', 'Io sono' o 'Io [sono] Io', che ha dichiarato neiprecedenti versi 712/715 di essere il più originale e piùappropriato nome di Dio. Quando contempliamo questo nome 'Io',la nostra attenzione sarà attirata dalla nostra coscienza di sé dibase, che abbiamo sempre sperimentato come 'Io sono', e quindila nostra mente sarà attratta indietro alla sua propria fonte.

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Quando la nostra mente o ego affonda quindi di nuovo nel nostrovero sé, che è la fonte da cui si era elevata, sarà distrutta, essendoconsumata, nella chiarezza infinita della pura coscienza di sé.

Poiché la nostra mente ci inganna, facendoci immaginare noistessi di essere vincolati entro i limiti di un corpo fisico, ladistruzione della nostra mente nella chiara luce della veraconoscenza di sé è l'unica vera salvezza, e quindi Sri Ramana diceche noi saremo salvati contemplando il nome originale di Dio, cheè 'Io', 'Io sono' o 'Io sono Io'. Sri Ramana descrive la nostra mentecome 'ūṉ ār karu ahandai', che significa: 'l'ego, [che è]l'embrione confinato dal corpo', poiché viene in esistenza soloimmaginando se stesso di essere un corpo, e poiché dà quindiluogo alla comparsa di tutte le altre cose.

La parola Tamil 'Karu', che ho tradotto come 'embrione',significa anche 'germe', causa 'efficiente', 'sostanza' o'fondamento', e deriva dalla parola sanscrita 'garbha', che significa'grembo' o 'interno'. In tale contesto, pertanto, implica che ilnostro ego o mente è l'embrione o il seme da cui è nata ognidualità o alterità, la sostanza di cui è formata, la causa attiva ocreatrice che unisce tutti nell'essere, la fondazione che sostiene ilsuo apparire, e il grembo entro il quale tutto è contenuto.

Poiché il nostro corpo e tutte le altre cose sono appendiciimmaginarie che distraggono la nostra attenzione dalla nostraessenziale coscienza di sé 'Io sono', siamo in grado di liberare noistessi da loro solo mantenendo la nostra attenzione fissatasaldamente sulla nostra coscienza del sé. Un mezzo semplice efacile che possiamo utilizzare per portare la nostra attenzioneindietro verso la nostra coscienza del sé, e che ci aiuterà in unacerta misura a tenerla fissa lì, è di ricordare il nome di 'Io' o 'Iosono' incessantemente.

Questo è un indizio molto pratico dato a noi da Sri Ramana, edè particolarmente utile per quelle persone che inizialmente hannodifficoltà a capire che cosa s'intende esattamente con il termine'auto-attenzione' {attenzione al sé}. Tali persone sono così

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abituate all'attenzione oggettiva che non possono capire comepossiamo dare attenzione alla nostra coscienza non-oggettiva esenza forma 'Io sono', e quindi si lamentano che non riescono atrovare alcuna cosa come 'Io' per osservarla.

Poiché immaginano di dover cercare un 'io', come se fosse unasorta di sottile oggetto, si lamentano che è troppo sfuggente perloro per essere in grado di occuparsi di esso. La vera causa dellaloro immaginata difficoltà, tuttavia, è che la nostra coscienza 'Io'non è un oggetto di qualsiasi tipo, ma è il soggetto che conoscetutti gli oggetti. Non possiamo oggettivare la nostra coscienza inprima persona 'Io', e se cerchiamo di farlo staremo deviando lanostra attenzione dal vero 'Io' di cui ci saremmo dovuti occupare.Anche se la nostra coscienza 'Io sono' non è un oggetto, ècomunque una cosa che conosciamo sempre.

Nessuno di noi dubita dell'ovvia verità 'Io sono', anche se nonabbiamo una perfettamente chiara conoscenza di ciò cheesattamente questo 'Io sono' è. Poiché molte persone sperimentanotale difficoltà a cogliere esattamente ciò che Sri Ramana intendequando dice che dobbiamo essere attenti alla nostra meracoscienza 'Io sono', egli a volte ha suggerito che dovremmocontinuamente pensare 'Io, Io, Io...' o 'Io sono, Io sono, Io sono...'.Se pensiamo così, la nostra attenzione sarà naturalmente attrattaindietro alla coscienza che viene indicata con le parole 'Io' e 'Iosono'.

Ogni volta che pensiamo al nome di una persona o di unoggetto, un ricordo di quella persona o dell'oggetto vienenaturalmente in mente. Il pensiero di qualsiasi nome porterà allanostra mente la forma o la cosa indicato con quel nome. Allostesso modo, il pensiero del nome 'Io' o 'Io sono' attirerà la nostraattenzione al soggetto della coscienza non-oggettiva indicata conquel nome. Pertanto pensare 'Io, Io, Io' è un utile ausilio allapratica di attenzione al sé, almeno fino al momento in cuidiventiamo familiari con l'esperienza di essere attenti alla nostramera coscienza di essere.

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Tuttavia, poiché anche il pensiero verbalizzato 'Io' o 'Io sono' èun oggetto conosciuto da noi, la pratica del pensiero 'Io, Io, Io...' o'Io sono, Io sono, Io sono...' può diventare una distrazione,impedendo alla nostra attenzione di penetrare in profondità nellacoscienza che è in effetti indicata con le parole 'Io' o 'Io sono'.Questa pratica di pensare continuamente 'Io, Io, Io...' è quindi utilesolo in una certa misura, ma cadrà naturalmente quando èdiventata inutile, cioè, quando siamo diventati abbastanza abituatiall'esperienza della vera attenzione al sé.

Tuttavia, anche quando ci siamo abituati a essere attenti alnostro mero essere, possiamo a volte scoprire che pensare 'Io, Io,Io...' o 'Io sono, Io sono, Io sono...' alcune volte può essere unaiuto per distogliere la nostra attenzione da altri pensieri e dicentrarla esclusivamente sul nostro essenziale essere consapevoledi sé. In questo piccolo trattato estremamente prezioso 'Nāṉ Yār?',Sri Ramana ci ha dato molti altri indizi che possono aiutarci apraticare l'attenzione al sé. Per esempio al paragrafo undicesimo,quando descrive come dobbiamo superare tutti i nostri 'viṣaya-vāsanās', le nostre pulsioni mentali profondamente radicate odesideri di occuparci di altre cose diverse dal nostro vero sé,afferma:

“[...] Se uno si aggrappa saldamente eininterrottamente allo svarūpa-smaraṇa [ricordo dellapropria natura essenziale e vero sé, 'Io sono'] fino araggiungere svarùpa [cioè, fino a quando si raggiungela vera conoscenza dell'unica propria naturaessenziale], questo da solo [sarà] sufficiente. [...]”

In parole povere il termine sanscrito 'svarūpa-smaraṇa' puòessere meglio tradotto come 'ricordo del sé', che è solo un altromodo di descrivere lo stato di attenzione del sé. Tuttavia, ogniparola ha il suo sapore particolare, e usando la parola 'smarana' o'ricordo' in questo ambito Sri Ramana è in grado di trasmettere

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una sfumatura di significato che non sarebbe stata trasmessa seavesse invece usato la parola 'attenzione'.

La parola 'ricordo' suggerisce qualcosa che già sappiamo, maabbiamo dimenticato o trascurato. Conosciamo sempre l''Io sono',ma in qualche modo lo tralasciamo o ignoriamo perché siamotroppo affascinati dall'attrazione illusoria di altre cose. Sevogliamo liberarci dalla schiavitù degli attaccamenti a qualunquealtra cosa che non sia il nostro vero sé, tutto quello che dobbiamofare è di ricordare ininterrottamente la nostra essenziale coscienzadi essere, 'Io sono'.

Poiché il nostro oblio del sé è la causa principale di tutta lanostra infelicità e di tutti gli altri problemi, il ricordo del sé èl'unico antidoto che curerà tutti i nostri problemi. Inoltre, mentretermini come 'auto-investigazione', 'auto-esame', 'auto-ricerca','auto-indagine' e 'auto-attenzione' {'investigazione del sé', 'esamedel sé', 'ricerca del sé', 'indagine del sé' e 'attenzione al sé'}tendono a suggerire un ruolo attivo nel processo di indagare,esaminare, investigare, scrutare o occuparci di noi stessi; iltermine 'ricordo del sé' tende a suggerire uno stato più passivosemplicemente di ricordare noi stessi.

Tutte queste parole denotano lo stesso 'processo' o stato, chenon è in realtà un processo di fare qualsiasi cosa, ma è solo unostato di solo essere. Tuttavia, anche se tutte indicano la stessacondizione di solo essere, ognuna di loro raffigura quello stato inmodo leggermente diverso, perciò Sri Ramana ha utilizzatoqualsiasi termine fosse più appropriato al contesto in cui stavaparlando.

Altri due termini che spesso ha usato per indicare questo stessostato di solo essere, sono stati 'ātma-niṣṭha', che significa'dimorare nel sé', e 'ātma-cintana', che letteralmente significa'pensiero del sé' o il 'pensiero di noi stessi'. Il primo di questi duetermini, 'dimorare nel sé', è particolarmente significativo, perchéimplica la verità che dare attenzione e conoscere noi stessi non èun'azione, ma è solo lo stato di consapevole dimorare come nostro

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sé reale, o in altre parole, semplicemente essere ciò che realmentesiamo, che è la coscienza di essere perfettamente liberi dapensieri. Tuttavia, l'altro termine, 'pensiero del sé' potrebbefacilmente essere frainteso se implica che l'auto-attenzione è unatto del 'pensare' a noi stessi.

Anche se questi due termini sembrano implicare significaticontrastanti, Sri Ramana usa entrambi nella prima frase delparagrafo tredicesimo di 'Nāṉ Yār?', nel contesto che descrivere lostato di completo abbandono di sé:

“Essendo completamente assorbito in ātma-niṣṭha[dimorare nel sé], non dando anche il minimo spazioal sorgere di ogni pensiero tranne ātmacintana [ilpensiero del nostro sé reale], è dare noi stessi a Dio.[...]”

Il motivo per cui usa il termine ātma-cintana o 'pensiero del sé'in questo contesto è per sottolineare il fatto che, al fine dirispettare lo stato di perfetto abbandono di sé non ci si deveoccupare o 'non si deve pensare' ad altro che al nostro proprioessere essenziale, 'Io sono'. Se pensiamo ad altro, ci attiviamocome separata coscienza conoscitrice di oggetti che chiamiamo lanostra 'mente'. Pensare è quindi ciò che ci separa da Dio.

Se vogliamo veramente arrendere, completamente a Dio, ilnostro sé individuale o mente, dobbiamo astenerci dal pensarequalsiasi cosa. Perché allora Sri Ramana dice: “Tranne ātma-cintana”, in questa frase? Egli fa questa eccezione perché ātma-cintana o 'pensiero di sé' non è in realtà un pensiero comequalsiasi altro pensiero che noi pensiamo. Pensare a qualsiasi cosadiversa dal nostro vero sé è un azione, e come tale richiede ilsorgere della nostra mente, o sé individuale per eseguire l'azione,mentre 'pensare' al nostro vero sé non è un'azione.

Quando cerchiamo di 'pensare' al nostro vero sé, la nostraattenzione si volge verso l'interno, verso il nostro essenziale essere

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consapevole di sé, e così la nostra mente scompare nella fonte dacui ha avuto origine. Questo cedimento della nostra mente nelnucleo più intimo del nostro essere, 'Io sono', che è la vera formadi Dio, è lo stato di vero e perfetto auto-abbandono (resa di sé).Pertanto, anche se ātma-cintana significa letteralmente 'pensierodel sé' o 'pensiero di noi stessi', non è veramente uno stato dipensiero, ma è semplicemente lo stato di solo essere.

Ogni volta che Sri Ramana parla di 'pensiero di noi stessi','pensare a noi stessi' o 'pensare Io', non sta usando le parole'pensiero' o 'pensare' in un senso preciso, ma le utilizzaimpropriamente per indicare 'attenzione' o 'dare attenzione'{occuparsi}. Un pensiero o l'atto di pensare è in realtà solo l'attodi prestare attenzione a qualcosa. Quando ci occupiamo diqualcosa diverso dal nostro essere essenziale, la nostra attenzioneprende la forma di un'azione, che chiamiamo 'pensiero', maquando ci occupiamo solo del nostro essere essenziale, la nostraattenzione rimane come è.

Quindi se cerchiamo di 'pensare' a noi stessi, al nostro veroessere o 'Io sono', la nostra mente diventerà immobile, tutto ilnostro pensiero cesserà, e lo faremo rimanere nello stato di soloessere. In senso stretto, il pensare è l'atto di formare un pensiero eviverlo nella nostra mente. Il nostro formare un pensiero e ilnostro sperimentarlo non sono due azioni distinte, perchéformiamo un pensiero con lo stesso atto di sperimentarlo{viverlo} o di conoscerlo.

Come tale, il pensiero è un processo d'immaginazione, unprocesso mediante il quale evochiamo l'esperienza di immagini,pensieri o sentimenti nella nostra mente. Questo processo dipensiero è ciò che dà alla nostra mente un'identità apparente oun'esistenza separata. Quando pensiamo, ci attiviamo comecoscienza separata che chiamiamo la nostra 'mente', e quando nonpensiamo, questa nostra mente si placa e si dissolve nella suasorgente, che è il nostro essere essenziale o vero sé. La nostramente è la coscienza separata e finita in cui formiamo e

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sperimentiamo tutti i nostri pensieri e immaginazioni.Tuttavia la mente, non è solo quella nella quale tutti i nostri

pensieri sono formati e sperimentati, ma anche quella con la qualeessi sono stati formati e sperimentati. Inoltre, poiché la nostramente si forma con il suo atto di pensare, è essa stessa unpensiero, un prodotto della propria immaginazione. Pertanto,poiché la nostra mente si sperimenta sempre come l''io' che pensatutti gli altri pensieri, Sri Ramana spesso si riferisce a essa come ilpensiero 'io'. Nel quinto paragrafo di 'Nan Yar?', dopo averspiegato che questo pensiero 'io', che sembra sorgere nel nostrocorpo, in realtà sorge dal nostro 'cuore', il nucleo più intimo delnostro essere, ed essendo attenti a questo pensiero 'io' possiamotornare a quella fonte. Sri Ramana continua a dire:

“[...] Di tutti i pensieri che appaiono nella [nostra]mente, solo il pensiero 'io' è il primo pensiero. Solodopo che questo è sorto altri pensieri possono sorgere.Solo dopo che la prima persona è apparsa sembraapparire la seconda e la terza persona; senza la primapersona la seconda e la terza persona non possonoesistere”.

Nella frase 'solo il pensiero io è il primo pensiero', che èevidenziate in grassetto nel testo originale Tamil, la parola che hotradotto come 'primo' è 'mudal', che ha vari significati correlati,quali primo, principale, primario, radice, base, basamento, originee causa, che sono tutti appropriati in questo contesto. Non soloquesto pensiero di base è l''io': il primo pensiero a sorgere el'ultimo pensiero a placarsi; è anche l'origine e la causa di tutti glialtri pensieri.

Senza di esso nessun altro pensiero può sorgere, perché questoprimario pensiero 'io' è il pensatore che pensa tutti gli altripensieri. Essendo non solo un pensiero, ma anche il pensatore, èfondamentalmente diverso da tutti i nostri altri pensieri, perché è il

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soggetto conoscente, mentre gli altri sono solo oggetti noti. Cioè,è l'unico pensiero che è dotato di un elemento di coscienza. Èconsapevole sia di tutti gli altri pensieri, che di se stesso come 'io'.

Tuttavia, poiché sembra essere limitato entro i confini di uncorpo fisico, non è una forma incontaminata e pura dellacoscienza, ma è una miscela di coscienza e di tutte le limitazionidi questo corpo che immagina di essere 'io'. Quando Sri Ramanadice: “...di tutti i pensieri che appaiono nella [nostra] mente[...]”, significa ogni tipo di pensiero, inclusi tutti i nostri pensieriverbalizzati, i nostri concetti, le nostre convinzioni, i nostriricordi, i nostri sogni, i nostri sentimenti e le nostre percezioni.

Tranne la nostra coscienza essenziale 'Io sono', tutto quello checonosciamo, è un pensiero, un'impressione o immagine che apparenella nostra mente. Quando si descrive la dipendenza di tutti glialtri pensieri dal nostro pensiero primario 'io', Sri Ramana siriferisce a quest'ultimo come la 'prima persona', e ai precedenticome la 'seconda e terza persona'. A quali dei nostri altri pensierisi riferisce come 'seconde persone', e a quali si riferisce come'terze persone'? I nostri pensieri 'seconda persona' sono tutti queipensieri che riconosciamo come esistenti solo nella nostra mente,e che quindi sentiamo più vicini e intimi, mentre i nostri pensieri'terza persona' sono tutti quei pensieri che immaginiamo di essereoggetti esterni che percepiamo attraverso uno o più dei nostricinque sensi.

Tutti gli altri nostri pensieri, cioè, entrambi i nostri pensieri'seconda persona' e i nostri pensieri 'terza persona', sorgono nellanostra mente solo dopo che la nostra 'prima persona' il pensiero'io' è sorto. In assenza della nostra prima persona il pensiero 'io',né i pensieri seconda persona né i nostri pensieri terza personapossono esistere. Tranne la nostra coscienza essenziale 'Io sono',tutto quello che conosciamo, dipende per la sua apparenteesistenza nella nostra mente dal nostro pensiero prima persona'io', che è la coscienza che li conosce.

La nostra mente, la nostra coscienza composita 'io sono questo

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corpo', è semplicemente un'immaginazione sovrapposta allanostra reale coscienza 'Io sono', proprio come un serpenteimmaginario che è sovrapposto a una corda. Nella penombra delcrepuscolo, quando vediamo una corda che giace a terra, possiamoimmaginare che sia un serpente. Se osserviamo attentamente quelserpente immaginario, vedremo che in realtà è nient'altro che unacorda.

Allo stesso modo, se guardiamo la coscienza composita 'iosono questo corpo' sufficientemente da vicino e profondamente, siscoprirà che in realtà, non è nient'altro che la coscienza pura esemplice 'Io sono', e che l'aggiunto {l'attributo-la forma} 'questocorpo' è solo un'illusione sovrapposta su di essa da parte dellanostra potenza d'immaginazione. Questo corpo illusorio, e tutti glialtri oggetti o pensieri conosciuti dalla nostra mente,continueranno ad apparire reali finché ci occupiamo di loro,proprio come un sogno continua ad apparire reale finché losperimentiamo.

Il nostro potere di attenzione è ciò che dà una realtà apparentealle cose che conosciamo. L'illusione 'io sono questo corpo' potràpertanto essere sostenuta fino a quando continueremo a dareattenzione a questo corpo o a uno qualsiasi degli oggetti checonosciamo attraverso il supporto dei suoi cinque sensi. Perdisperdere questa illusione, dobbiamo cessare di occuparci diqualsiasi oggetto conosciuto dalla nostra mente, e dobbiamoinvece rivolgere la nostra attenzione indietro a noi stessi, al fine diconoscere la nostra sottostante coscienza 'Io sono'.

Pertanto, al fine di sperimentare la nostra vera coscienza 'Iosono' come è: illimitata e incontaminata dall'identificazione conqualsiasi forma; dobbiamo rivolgere la nostra attenzione lontanada tutte le forme, tutti i pensieri oggettivi, i sentimenti o immaginimentali, come il nostro corpo e questo mondo; rivolgerla versol'unico elemento essenziale della nostra mente: la nostra coscienzadi base 'Io sono'. Finché continuiamo ad aggrapparci o a occuparcidi qualsiasi forma di pensiero oggettivo, non potremo mai

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sperimentare la nostra coscienza 'Io sono' come realmente è.Invece, noi continueremo a ingannare noi stessi credendo che lanostra mente e tutto il conosciuto da essa siano reali. Può qualsiasicosa conosciuta dalla nostra mente, in realtà, essere reale? Omeglio, può tutto ciò che conosciamo attraverso quel mezzoingannevole che noi chiamiamo la nostra 'mente' essere vero?

Tranne la nostra fondamentale coscienza del sé 'Io sono', ognicosa e tutto quello che sappiamo è solo un pensiero in una forma onell'altra. Ogni pensiero è una forma di conoscenza, e viceversa:ogni conoscenza diversa dalla nostra coscienza di base 'Io sono' èuna forma di pensiero. Tutti i pensieri sono conosciuti da noi soloper mezzo della nostra mente, che è il nostro primo pensiero 'io',ma la nostra coscienza essenziale 'Io sono' è conosciuta da noidirettamente, non attraverso la nostra mente o qualsiasi altromezzo.

Ogni conoscenza che abbiamo diversa da 'Io sono' dipende perla sua apparente realtà dalla realtà della mente attraverso la qualenoi la conosciamo. Se la nostra mente è irreale, tutte le coseconosciute da essa devono essere irreali, poiché sono solo pensieriche essa ha creato in sé. L'unica cosa che sembra essereconosciuta dalla nostra mente ma che comunque non dipendedalla nostra mente per la sua realtà è la nostra fondamentalecoscienza 'Io sono', perché non è solo un pensiero che la nostramente ha formato in sé.

Anche in assenza della nostra mente, negli stati liberi dalpensiero come il sonno, sperimentiamo questa basica coscienza'Io sono'. Inoltre, ciò che la nostra mente conosce in realtà non è lanostra coscienza 'Io sono' come è realmente, ma è solo la nostracoscienza 'Io sono' oscurata dalla nostra immaginazione 'io sonoquesto corpo'. Al risveglio dal sonno, la prima cosa che la nostramente sa è 'Io sono', ma appena sa 'Io sono' sovrappone a essa lafalsa identità 'io sono questo corpo'.

Così fin dall'inizio la nostra mente è una menzogna, una falsamiscela della nostra coscienza fondamentale 'Io sono' con un

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corpo fisico composto di materia incosciente. Quando la suaconoscenza più basilare, la conoscenza che ha di sé, è quindi unabugia o falsità, come possiamo fidarci di qualsiasi altraconoscenza che la nostra mente può acquisire? Tutto ciò che lanostra mente sa si basa sulla sua prima conoscenza, la suaconoscenza errata 'io sono questo corpo'.

Poiché sempre sovrappone questa falsa identificazione 'io sonoquesto corpo' alla nostra pura, originale e fondamentale coscienza'Io sono', la nostra mente non può mai conoscere la nostracoscienza pura e incontaminata come realmente è. Una qualitàessenziale della coscienza è che è sempre consapevole: conoscesempre la propria esistenza o essere, e quella coscienza della suastessa esistenza è ciò che chiamiamo 'Io sono'. Tuttavia, oltre aconoscere la sua esistenza, la coscienza, a volte sembra ancheconoscere altre cose.

Quando la nostra coscienza conosce le altre cose, la chiamiamola nostra 'mente'. La natura della nostra mente è di conoscerel'alterità o dualità. La nostra mente è quindi una coscienza mista,una coscienza in cui la nostra conoscenza fondamentale 'Io sono' èmescolata con la conoscenza di altre cose. Tuttavia, mentre laconoscenza di altre cose è qualcosa che appare e scompare, ementre appare, pur apparendo subisce costantemente ilcambiamento, la nostra conoscenza di base 'Io sono' non appare oscompare, ma esiste in modo permanente e senza subire alcuncambiamento. Inoltre, mentre la conoscenza dell'alterità dipendedalla nostra coscienza per essere conosciuta, la nostra conoscenzadi base 'Io sono' non dipende da nient'altro, al fine di essereconosciuta, perché è essa stessa la coscienza da cui tutte le cosesono note.

Così nella coscienza mista, che chiamiamo la nostra 'mente',ciò che è reale è solo la nostra coscienza fondamentale 'Io sono'.Questa coscienza fondamentale e incontaminata 'Io sono' sembradiventare la coscienza mista chiamata 'mente' solo quandosovrapponiamo su di essa la conoscenza di altre cose. Mentre la

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nostra coscienza di base 'Io sono' è permanente e quindi reale,tutta la nostra conoscenza di altre cose è solo un aspettotemporaneo, ed è quindi irreale. Solo la nostra coscienza 'Io sono'è reale perché solo essa soddisfa tutte e tre le condizioni dallequali possiamo giudicare se qualcosa è reale.

Cioè, è permanente, immutabile, e non dipendente da qualsiasialtra cosa, sia per esistere sia per essere conosciuta di esistere. Lanostra mente è una forma temporanea di coscienza che appare escompare, e che subisce costantemente il cambiamento durante lasua apparizione. Anche se sembra conoscere la propria esistenzacome 'Io sono', in realtà prende in prestito questa conoscenza dellapropria esistenza dalla nostra reale coscienza, che è alla sua base ele dà una sua propria esistenza apparente. La nostra conoscenza'Io sono' è vissuta da noi anche nel sonno, quando la nostra menteè scomparsa, ma quando la nostra mente appare nella veglia o nelsogno, usurpa da noi questa conoscenza di base 'Io sono', e simaschera come se questa conoscenza fosse sua.

La nostra conoscenza o coscienza 'Io sono' è il nostro vero sé, equindi è l'unica cosa che sperimentiamo sempre, ma la nostramente non è il nostro vero sé, perché la sperimentiamo solotemporaneamente. Vi è quindi una chiara distinzione tra la nostraconoscenza 'Io sono' e la nostra mente, che si limita ad assumerequesta conoscenza nella veglia e nel sogno, come se fosse lapropria, ma è separata da essa nel sonno.

Così l'apparente unione della nostra mente con la nostraconoscenza 'Io sono' non è una vera e propria unità, ma è solo unaspetto transitorio. Pertanto la nostra mente non èindipendentemente consapevole della propria esistenza. Perconoscere la propria esistenza come 'Io sono', dipende interamentedalla nostra vera coscienza, senza il sostegno della quale nonpotrebbe risultare esistere. Essendo impermanente, costantementesoggetta a modifiche, e completamente dipendente dalla nostravera coscienza, sia per la sua esistenza apparente che perl'apparente conoscenza della propria esistenza, la nostra mente

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non è reale.Qualunque realtà sembra avere è solo relativa, e non assoluta.

Ciò che è solo relativamente vero non è veramente reale a tutti glieffetti, ma sembra solo essere reale. Solo ciò che è assolutamentee incondizionatamente reale può essere chiamato 'reale' nel verosenso di questa parola. Nel capitolo precedente abbiamo descrittola nostra mente come la nostra 'coscienza che conosce', perché lasua natura è di conoscere continuamente cose che immagina diessere altro da sé.

Poiché sorge e sparisce, appare e scompare, possiamo anchedescriverla come la nostra 'coscienza che sorge', in contrasto conla nostra vera coscienza, che è il nostro 'essere-coscienza', lacoscienza che solo è, e che non sorge mai per conoscere nulla didiverso da se stessa. La nostra mente o 'coscienza che sorge' nonpuò attivarsi o venire in esistenza senza immaginare se stessa diessere una entità distinta e separata, e senza contemporaneamenteimmaginare di conoscere qualcosa di diverso da sé. S'immagina diessere un'entità separata immaginando un corpo fisico econtemporaneamente immaginando che il corpo fisicoimmaginario sia se stessa.

Così la nostra mente o la 'coscienza che sorge', sorgeimmaginando 'io sono questo corpo', e immaginacontemporaneamente di conoscere cose diverse da se stessa.Senza contemporaneamente immaginare entrambe le cose, lanostra mente non può attivarsi. Appena ci svegliamo dal sonno, cisentiamo come se ci fossimo svegliati o sorti in un corpoparticolare, che sentiamo di essere noi stessi, e ci sentiamocontemporaneamente come se avessimo preso coscienza di unmondo intorno a noi, che percepiamo essere altro che noi stessi.

Questa sensazione di attivarsi, come un corpo e di conoscerealtre cose è tutta una fantasia, ma fintanto che ci identifichiamocon la nostra 'coscienza che sorge' ci sembrerà essere abbastanzareali. Siamo in grado di conoscere le cose diverse da noi stessisolo attraverso il mezzo della nostra mente, la nostra limitata

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'coscienza che sorge'.Generalmente dividiamo tutti gli oggetti che conosciamo in due

grandi categorie, i nostri pensieri e gli oggetti esterni percepiti danoi. In questo ambito il termine 'nostri pensieri' comprende tuttigli oggetti 'seconda persona' conosciuti da noi, che sono tutti inostri pensieri, sentimenti ed emozioni, e tutto il resto chericonosciamo come esistere solo nella nostra mente. Il termine'oggetti esterni', d'altro canto, include tutti gli oggetti 'terzapersona' conosciuti da noi, che sono tutto ciò che percepiamoattraverso uno qualsiasi dei nostri cinque sensi, e che quindiimmaginiamo che esistano al di fuori e indipendenti dalla nostramente.

Se ci viene chiesto se pensiamo che esistano i nostri pensieriindipendentemente dalla loro conoscenza, la maggior parte di noiammetterebbe prontamente che possono esistere solo se noi liconosciamo. Possiamo pensare che siamo solo vagamenteconsapevoli di alcuni pensieri sullo sfondo della nostra mente, maogni pensiero esiste solo nella misura in cui noi lo conosciamo.Un pensiero è essenzialmente solo un'immagine nella nostramente, un oggetto che esiste solo nella nostra coscienza, e cometale esiste solo perché noi lo conosciamo.

Anche se ci rendiamo conto che per la loro apparente esistenzai nostri pensieri dipendono dalla nostra conoscenza di essi,tuttavia immaginiamo che gli oggetti esterni che percepiamoattraverso i nostri cinque sensi in qualche modo esistonoindipendentemente della nostra conoscenza di essi. Ma questadistinzione che facciamo tra i nostri 'pensieri' e gli 'oggettiesterni' è falsa. Qualunque cosa sappiamo, la sappiamo solo nellanostra mente. Anche gli oggetti esterni che pensiamo di percepirecome esterni a noi stessi sono effettivamente sperimentati da noisolo come immagini nella nostra mente, e quindi sono anchepensieri che formiamo e conosciamo col nostro poteredell'immaginazione. Tranne la nostra basilare coscienza del nostroessere, 'Io sono', tutto quello che conosciamo è solo un pensiero

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che abbiamo formato nella nostra mente. Conoscere qualcosa didiverso da noi stessi è quindi sinonimo di pensare. Si tratta di unprocesso di immaginazione, e può accadere solo quandoimmaginariamente limitiamo la nostra coscienza come qualcosa didiverso dai pensieri e oggetti che conosciamo. Limitare noi stessicome una mente, una separata individuale forma di coscienza, èquindi il fattore fondamentale ed essenziale nel processo dipensare o conoscere altre cose oltre a noi stessi.

Anche se di solito immaginiamo che la nostra mente sorge nonappena ci svegliamo dal dormire, e non si placa fino a quando nonscompare di nuovo nel sonno, la nostra mente in realtà compare escompare innumerevoli volte ogni secondo. Con il sorgere di ognipensiero, la nostra mente si attiva per pensare e conoscere, e conla sparizione di ogni pensiero la nostra mente si placa un attimo,prima di riattivarsi quasi istantaneamente a pensare e conoscerealtri pensieri.

Pensare è essenzialmente un processo di formare esimultaneamente conoscere i pensieri. Come abbiamo discusso inprecedenza, la nostra formazione di un pensiero e la nostraconoscenza di quel pensiero non sono in realtà due azioni distinte,perché formiamo pensieri solo immaginandoli, e l'immaginazioneimplica necessariamente la conoscenza di ciò che immaginiamo.Poiché la nostra mente forma i suoi pensieri solo immaginandoli,e poiché immaginare qualcosa coinvolge essenzialmente ilprestare attenzione e il conoscere l'immagine mentale o pensiero,tutti i pensieri sono in ultima analisi formati solo dalla nostraattenzione o potere del conoscere.

In altre parole, il nostro potere d'immaginazione, che formatutti i nostri pensieri, è solo una facoltà del nostro potere diconoscere o di coscienza. Poiché in ogni singolo momento lanostra mente può occuparsi e conoscere un solo pensiero, non puòimmaginare o formare più di un pensiero allo stesso tempo.Quindi, come abbiamo visto nel primo capitolo, i nostri pensieri siattivano e si disattivano nella nostra coscienza uno alla volta.

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Ogni pensiero consecutivo può sorgere o essere formato solodopo il che il pensiero precedente si è abbassato o dissolto.Tuttavia, poiché ogni singolo pensiero sorge e si placa in unintervallo di tempo molto piccolo, durante ogni secondoinnumerevoli pensieri consecutivi possono sorgere e sparire inrapida successione. Pertanto, a causa della rapidità con cui ipensieri si alzano e si abbassano, la nostra mente di superficie nonè in grado di discernere il sorgere e il cedimento di ogni singolopensiero, e quindi conosce solo l'impressione collettiva formata dauna serie di tali pensieri individuali. Questo è simile all'incapacitàdel nostro occhio di discernere ogni singolo spot di luce su unoschermo televisivo, in conseguenza della qual cosa riconosce solol'impressione collettiva formata da una serie di tali punti che coprel'intero schermo in rapida successione.

L'immagine che vediamo sullo schermo di un televisore a tubocatodico è formata da molte linee orizzontali di luce, ognunaformato da molti puntini di luce di colori e intensità diverse.Questi singoli punti di luce, che sono noti come pixel (la sillaba'pix' sta per immagine, 'el' sta per elemento), sono formati sulloschermo uno alla volta da un raggio di elettroni emessi dal catodonella parte posteriore del tubo. Controllati da una sequenzacostante di oscillazioni del campo magnetico o elettrostaticoattraverso cui il raggio di elettroni è generato, in una frazione disecondo l'intero schermo televisivo è coperto con una serie dipixel di colori e intensità diversi, formando così un quadrocompleto.

Poiché ogni singolo pixel è formato solo momentaneamente, esi dissolve quasi immediatamente, in una frazione di secondo ilraggio oscillante di elettroni è in grado di formare un altro pixel dicolore e intensità differente sullo stesso punto dello schermo, equindi in ogni successiva frazione di secondo si forma un quadroleggermente diverso sulla schermata. Il potere di ricezione deinostri occhi non è sufficientemente sottile e raffinato per essere ingrado di percepire distintamente la rapida formazione e la

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dissoluzione di ogni singolo pixel, o anche la formazioneleggermente meno rapida e la relativa dissoluzione di ogniimmagine intera che si forma sullo schermo con una singolascansione del raggio di elettroni; ciò che si percepisce non è larapida evoluzione dei singoli puntini di luce, ma solo un quadrocompleto in continuo cambiamento. Ogni pensiero individuale chesorge momentaneamente e scompare nella nostra mente è simile aun pixel che viene momentaneamente acceso e spento sulloschermo di un televisore.

Poiché ogni singolo pensiero sorge o si forma solomomentaneamente, e si abbassa o si dissolve quasiimmediatamente, in una minima frazione di secondo la nostramente può formare un altro pensiero al suo posto. Poiché il poterecognitivo della nostra mente di solito non è sufficientementesottile e raffinato per essere in grado di discernere distintamentel'estremamente rapida formazione e la dissoluzione di ognisingolo pensiero, quello che di solito percepiamo non è il rapidoaumento e cedimento di un pensiero individuale, ma solo unsingolo flusso di pensieri, ma in continua evoluzione.

Tuttavia, se pratichiamo stando attenti alla nostra infinitamentesottile coscienza di essere, 'Io sono', il nostro potere di attenzioneo di cognizione gradualmente diventerà più sottile e raffinato, ealla fine saremo in grado di discriminare ogni singolo pensieroche sorge. Quando mediante la pratica dell'attenzione al sé ilnostro potere di attenzione sarà raffinato e reso sufficientementesottile da poter rilevare distintamente la formazione di ciascunpensiero individuale, sarà anche in grado di percepire chiaramenteil nostro puro essere essenziale, che è sempre alla base e sostienela formazione dei nostri pensieri, e che resta momentaneamente dasolo nell'intervallo tra la dissoluzione di un pensiero e laformazione del pensiero successivo.

Quando il nostro potere di attenzione o di cognizione diventaquindi sufficientemente raffinato per permetterci di vivere inmodo chiaro la coscienza essenziale del nostro essere, 'Io sono',

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nella chiarezza di quella pura coscienza del sé o conoscenza del séla nostra mente sarà dissolta, essendo una semplice apparizioneche era sorta solo a causa della nostra mancanza di una chiaraconoscenza del sé.

Cioè, poiché la nostra mente è semplicemente una formalimitata di coscienza che si crede 'io sono questo corpo', non puòsorgere o essere formata nella luce brillante della vera conoscenzadi sé, che brilla solo come la nostra coscienza del sé 'Io sono',libera dalla forma e quindi non adulterata. E poiché questasensazione illusoria 'io sono questo corpo' è il nostro primopensiero fondamentale, che è la radice o base di tutti gli altripensieri, quando questo sentire viene dissolto da una veraconoscenza di sé, nessun altro pensiero sarà in grado di sorgere oessere formato nella nostra coscienza.

Come abbiamo visto in precedenza in questo capitolo, la nostramente prima forma il pensiero radice 'io', e allora solo forma ognialtro pensiero. Il nostro pensiero principale 'io' è il pensatore,l'agente che pensa tutti gli altri pensieri. Pertanto alla base dellaformazione di ogni singolo pensiero è la formazione del nostropensiero radice 'io'. Nessun pensiero può essere formato senza cheil nostro pensiero 'io' sia formato prima. Cioè, non siamo in gradodi fare qualsiasi altro pensiero senza prima la formazione di noistessi come il pensiero 'io', che è l'agente che pensa quel pensiero.

Tuttavia, l'ovvio corollario di questa verità è che non possiamoformare noi stessi il pensatore o primo pensiero 'io', senzacontemporaneamente pensare o formare qualche altro pensiero.Senza la formazione di qualche altro pensiero a cui aggrapparsi,non possiamo sorgere pensando il pensiero 'io'. La natura delnostro primo pensiero 'io' è quella di pensare altri pensieri, e senzapensare altri pensieri non può comparire formata come coscienzaindividuale separata. Cioè, la nostra coscienza essenziale diessere, 'Io sono', apparentemente si forma nel nostro primopensiero 'io sono questo corpo' solo pensando a qualche altropensiero. Pertanto, con la formazione e la dissoluzione di ogni

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La Natura della Nostra Mente

nostro altro pensiero, il nostro pensiero 'io' si forma e si dissolve.In altre parole, le ripetute formazioni e dissoluzioni del nostropensiero fondamentale 'io', sono parte integrante della formazionee dissoluzione di ciascuno dei nostri pensieri. Quindi nel brevespazio tra la dissoluzione e la formazione di due pensiericonsecutivi, la nostra mente o il pensiero radice 'io' è esso stessodissolto e riformato. Così questo divario tra due pensieri è uncampione in miniatura del sonno, e il sorgere e il cedimento diogni pensiero sono un esempio in miniatura di risveglio o sogno.Pertanto i nostri stati di veglia e sogno sono un macrocosmo nelquale la formazione e la dissoluzione di ognuno dei nostri pensieriindividuali sono il microcosmo.

Se abbiamo gradualmente affinato il nostro potere di attenzioneo di cognizione con la nostra pratica persistente di attenzione alsé, saremo finalmente in grado di percepire la realtà sottostanteche rimane tra ogni successiva disattivazione e conseguenteattivazione della nostra mente o del pensiero radice 'io'. Quellarealtà sottostante è la nostra essenziale coscienza del sé: chesempre sperimentiamo come 'Io sono'. Anche se sempresperimentiamo la nostra vera coscienza di sé: 'Io sono',attualmente noi non la sperimentiamo come è veramente, perchéla sperimentiamo mescolata con le distorte limitazioni della nostramente.

Quindi se siamo in grado di sperimentarla chiaramentenell'intervallo momentaneamente libero dalla mente che esiste trail cedimento di un pensiero e il sorgere del pensiero successivo,saremo in grado di conoscere come realmente è, non adulteratadalla benché minima forma di dualità o alterità. Quindi quando sipratica l'attenzione al sé, il nostro obiettivo è di sperimentare lanostra naturale coscienza del sé non adulterata dalla benchéminima apparizione della nostra mente o di qualsiasi oggettoconosciuto dalla nostra mente. Invece di sperimentare noi stessicome un corpo o come qualsiasi altra aggiunta {attributo-forma},dovremmo cercare di sperimentare noi stessi chiaramente come la

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vera coscienza di sé 'Io sono', priva di attributi {coscienzaoggettiva}.

Il substrato immediato, sfondo o schermo su cui i nostri stati diveglia e sogno, e tutti i nostri pensieri individuali all'interno diquegli stati, sono formati e dissolti è lo stato di sonno, in cuisperimentiamo solo la nostra coscienza essenziale di essere, ma inun modo che non è perfettamente chiaro e distinto. Tuttavia, ilsubstrato finale o lo spazio nel quale non solo la veglia e il sogno,ma anche il sonno si formano e dissolvono è il nostro vero stato diessere consapevole di sé, 'Io sono', in cui sperimentiamo la nostracoscienza fondamentale ed essenziale di essere nella sua piena,naturale e assoluta chiarezza.

Pertanto, poiché l'intero universo e lo spazio fisico in cui ècontenuto non sono altro che i pensieri che abbiamo formato nellanostra mente col nostro potere d'immaginazione, in AdvaitaVedanta si dice che lo spazio fisico o bhūtākāśa è contenutoall'interno dello spazio della nostra mente o cittākāśa, e che lospazio della nostra mente è contenuto nello spazio della nostravera coscienza o cidākāśa.

Se possiamo conoscere come all'interno della nostra coscienzaformiamo e dissolviamo i nostri pensieri, avremo capito il segretodi come l'intero universo è creato e distrutto. Per raggiungere diprima mano e immediatamente la conoscenza di questo segreto,non abbiamo bisogno di sforzare la nostra mente a riflettere su unadelle varie teorie religiose o scientifiche sull'origine dell'universo,ma bisogna solo esaminare la nostra coscienza, che è la fonte e lospazio da cui tutti i nostri pensieri e questo intero universosorgono, momentaneamente sussistono, e poi di nuovoscompaiono.

Sia la 'Genesi' sia il 'Big Bang', che alcuni gruppi di personehanno creduto siano la spiegazione dell'apparizione diquest'universo, sono presenti nella nostra mente in ogni momento,con la formazione di ognuno dei nostri pensieri.

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Capitolo 4

La Natura della Realtà

Che cosa è la realtà? Che cosa intendiamo quando usiamo isostantivi 'realtà' e 'verità', e i loro aggettivi corrispondenti 'reale'e 'vero'?

Consideriamo che molte cose siano reali o vere, ma sonoqueste cose assolutamente reali, o la loro realtà è solo relativa? Sela realtà di qualcosa è solo relativa, può effettivamente esserechiamata reale nel senso più stretto del termine? Se qualcosa èrelativamente reale, è anche relativamente irreale. Può sembrareessere reale in certi momenti o in determinate condizioni, macessare di essere reale in altri momenti e in altre circostanze,quindi la sua realtà è impermanente.

Poiché la sua realtà dipende da certe condizioni, non èindipendentemente reale. La sua cosiddetta realtà è limitata dalla erelativa alla realtà di qualunque condizione da cui essa dipende, edè quindi imperfetta. Essendo relativa, condizionale e dipendente,non è reale di per sé, ma sembra solo essere reale in determinatecondizioni. Ciò che appare in un certo momento inevitabilmentesparirà in un altro momento. Poiché non è reale sia prima diapparire che dopo che scompare, è in verità non reale, anchequando sembra essere reale.

La sua realtà apparente è solo un aspetto transitorio oapparizione, e non è quindi assolutamente vero. Quello che apparein un certo momento e scompare in un altro momento sembra soloesistere, ma in realtà non esiste. Ciò che esiste veramente, ciò cherealmente è, deve esserlo in ogni momento. Quindi tutte le formetemporali di esistenza sono mere apparenze, e quindi non sonoreali. Solo ciò che è assolutamente, incondizionatamente,indipendente e permanentemente reale è reale nel senso più stretto

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del termine.Ciò che è perfettamente reale deve essere reale in ogni

momento, in ogni circostanza e in tutte le condizioni. La sua realtànon deve essere in alcun modo dipendente, limitata o relativa aqualsiasi altra cosa. Inoltre, non deve cambiare, o cessare di esserecom'era una volta. Ciò che cambia esiste in una forma in un certomomento, e in qualche altra forma in un altro momento, quindinon ha forma permanente propria.

Essendo impermanente, nessuna delle sue forme èassolutamente reale. Inoltre, poiché il cambiamento avviene neltempo, quello che si modifica è legato al tempo, e quindi la suarealtà dipende da qualcosa, è limitata e quindi relativa rispetto altempo. Solo ciò che è senza cambiamento e immutabile, dunque, èreale in senso assoluto. Così una cosa può essere consideratoassolutamente reale solo se è permanente, immutabile, noninfluenzata dal passaggio del tempo e dal mutare delle condizioni,indipendente da qualsiasi altra cosa, non limitata da qualsiasi altracosa, e in nessun modo rispetto a qualsiasi altra cosa.

Se siamo soddisfatti con le cose che sono impermanenti,imperfette, mutevoli, relative, condizionate e dipendenti,possiamo considerare queste cose essere reali. Ma c'è qualcuno dinoi veramente soddisfatto di queste cose? Non dobbiamo tutti,consapevolmente o no, cercare quella felicità che è: permanente,perfetta, immutabile, assoluta, incondizionata e indipendente?Non possiamo raggiungere tale felicità con ciò che èimpermanente, imperfetto, mutevole, relativo, condizionato edipendente; pertanto non si potrà mai essere veramente soddisfattidi una cosa del genere.

Qualcosa che è relativamente reale può dare solo felicitàrelativa, e solo ciò che è assolutamente reale può dare felicitàassoluta. Quindi, se siamo seri nel nostro desiderio di felicitàassoluta, dovremmo accettare solo una definizione assoluta dellarealtà. Se invece scegliamo di accettare una definizione relativadella realtà, non abbiamo chiaramente capito che ciò che

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La Natura della Realtà

realmente desideriamo è solo felicità assoluta. Poiché pensiamo atorto che possiamo avere la felicità che desideriamo da oggetti ecircostanze in questo mondo relativo e temporale, noi ci illudiamopensando che tali oggetti e circostanze relative e transitorie sianoreali.

Tuttavia, finché continuiamo a credere che tali cose transitoriee relative sono reali, non potremo mai sperimentare la felicitàassoluta che tutti noi desideriamo, e che possiamo trovare solo inciò che è assolutamente reale. Siamo tutti liberi di scegliere seaccettare le cose relative come reali, o di accettare solo l'assolutocome reale. Pertanto, la definizione che diamo alla realtà è chedipende da quello che vogliamo davvero. Se pensiamo chepossiamo essere soddisfatti da cose che sono relative, noiaccetteremo una definizione relativa della realtà.

Se ci rendiamo conto che non possiamo mai essere soddisfatticon qualsiasi forma di realtà relativa, noi non accetteremo alcunadefinizione della realtà che non sia assoluta. Poiché questo libro sioccupa solo del raggiungimento della felicità assoluta e dellaconoscenza assolutamente vera, la definizione di realtà sulla qualesi ragiona in questo libro è soltanto quella assoluta. Pertanto, salvoche il contesto non indichi chiaramente il contrario, ovunque sonoutilizzati in questo libro i sostantivi 'realtà', 'verità', o gli aggettivi'reale' o 'vero', dovranno essere intesi solo nel senso di ciò che èassolutamente, incondizionatamente, indipendentemente,permanentemente e immutabilmente reale.

Quando diciamo che la nostra mente, il nostro corpo e questomondo, e il Dio che si crede abbia creato tutte queste cose, sonotutti irreali, noi non intendiamo negare il fatto che essi sono realiin senso relativo. Quello che intendiamo dire è che non sonoassolutamente reali in modo permanente, immutabile, senzacondizioni e indipendentemente. Sono tutte apparenze transitorieche sono concepite o percepite dalla nostra mente, e quindi la lororealtà apparente dipende dalla nostra mente, che è di per séimpermanente e in continua evoluzione.

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Anche se la nostra mente, e tutto ciò che è conosciuto dallanostra mente come altro da sé, è irreale, non poteva apparire realese non ci fosse stata una qualche realtà sottostante. La realtà che èalla base di tutta la relatività è assoluta. Qual è la natura di questarealtà assoluta? Poiché ogni forma di dualità è relativa, la realtàassoluta non può essere più di una. È pertanto singola e non duale.Non ci può essere più di una realtà assoluta, perché se ci fosseropiù realtà, ciascuna di queste realtà sarebbe limitata, e sarebberelativa rispetto all'altra, e quindi nessuna di loro sarebbe l'interosenza restrizioni.

Essere assoluto è essere liberi da tutte le condizioni, restrizioni,limitazioni e influenze modificatrici; è essere infinito, intero,completo, incontaminato, perfetto e indipendente. Quindi la realtàassoluta è, per definizione, solo un tutto perfettamente non dualeal di fuori del quale nient'altro può esistere. Ogni cosa che sembraesistere in realtà non è diversa dall'unica non duale realtà assoluta.La realtà assoluta è come la corda, e tutto il resto è come ilserpente che quella corda è scambiata essere.

Proprio come solo la corda esiste davvero, e il serpente è soloun aspetto immaginario sovrapposto a essa, così solo la realtàassoluta esiste veramente, e tutte le dualità e la relatività cheappaiono in essa sono semplicemente un'immaginazionesovrapposta a esso. La realtà assoluta non è solo il substrato allabase della comparsa di ogni dualità e di ogni relatività, è la lorounica sostanza, perché oltre a essa non esiste nulla. Finchévediamo il serpente illusorio, non possiamo vedere la corda veracom'è realmente.

Allo stesso modo, fino a quando sperimentiamo la dualità, nonpossiamo conoscere la non duale assoluta realtà così com'è.Pertanto, se si vuole raggiungere la vera empirica conoscenzadella realtà assoluta, dobbiamo smettere di attribuire realtà aqualsiasi forma di dualità e di relatività. Finché crediamo che ladualità e la relatività sono reali, la nostra mente continuerà aoccuparsi di loro, credendo che così può raggiungere la vera

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felicità. Solo se siamo fermamente convinti che ogni forma didualità e di relatività sono apparenze illusorie e irreali, merefinzioni della nostra immaginazione, saremo disposti a portare lanostra mente lontana da loro per cercare l'assoluta realtà che lesottende. Esiste effettivamente una realtà assoluta, e se è cosìpossiamo ottenere la vera conoscenza empirica di essa?

Prima di decidere se effettivamente esiste, dobbiamoinnanzitutto stabilire esattamente ciò che deve essere la suanatura. Abbiamo già visto che la realtà assoluta deve esserepermanente, immutabile, incondizionata e indipendente, ma c'èun'altra qualità necessaria della realtà che non abbiamo ancoraesaminato. Secondo Sri Ramana, la definizione di realtà è che èciò che è eterno, immutabile e auto-splendente. Per essere eternadeve essere permanente, ma abbiamo già esaminato i primi dueelementi della definizione di Sri Ramana, eterno e immutabile.

Che cosa vuol dire auto-splendente, e perché auto-splendentedovrebbe essere una qualità che definisce la realtà assoluta? Auto-splendente significa la qualità di conoscere se stessi alla luce dellapropria coscienza. Se qualcosa è conosciuto solo da una certacoscienza diversa da se stessa, o se non può conoscere se stessasenza l'ausilio di un po' 'di luce' che è diversa da sé, non puòessere reale, perché deve dipendere da quell'altra cosa per essereconosciuta. Poiché non può essere conosciuta senza l'aiuto diquell'altra cosa, la sua realtà apparente dipende dalla realtà diquell'altra cosa, e quindi non è assolutamente reale.

Se la realtà assoluta non fosse la coscienza, non potrebbesapere di se stessa, e, quindi, dovrebbe dipendere da una coscienzadiversa da se stessa per essere conosciuta. Tuttavia, se dovessedipendere da qualcosa diversa da sé, per qualunque motivo, nonsarebbe assoluta. Pertanto, una qualità necessaria della realtà è chedovrebbe esistere non solo permanentemente e senza mai subirealcun tipo di variazione, ma dovrebbe anche conoscere la propriaesistenza o il proprio essere. La realtà assoluta è, e sa che è. Cioè,non è solo essere, ma è anche la coscienza di essere.

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Poiché è non duale, la realtà assoluta è sia essere sia coscienza.Il suo essere e la sua coscienza non sono due cose diverse, masono una stessa essenza. Ma tale realtà effettivamente esiste, o èsemplicemente un ipotetico concetto? Conosciamo forse qualcosache esiste da sempre, che non subisce alcun cambiamento, e checonosce sempre se stessa splendendo della luce della coscienza?Tutti gli oggetti che conosciamo, e la nostra mente attraverso cui liconosciamo, sono impermanenti e soggetti a modifiche.

Anche se la nostra mente sembra conoscere se stessa, non puòessere la realtà assoluta, perché è impermanente e in continuaevoluzione. La nostra mente sembra esistere e conoscere se stessanella veglia e nel sogno, ma nel sonno cessa di conoscere sestessa, e cessa di esistere come coscienza che pensa e che conoscedi oggetti, che noi chiamiamo 'mente'. Tuttavia, come abbiamovisto in precedenza, sottostante alla nostra mente abbiamo un piùprofondo livello di coscienza che continua a conoscere se stessa intutti i tre stati di coscienza, veglia, sogno e sonno.

Questo livello più profondo di coscienza è la nostraconsapevolezza fondamentale del nostro essere, la nostra vera edessenziale coscienza di sé 'Io sono'. Questa coscienzafondamentale ed essenziale del nostro essere esiste in modopermanente, non solo in tutti i nostri tre stati normali di coscienza,ma al di là dei limiti della vita del corpo fisico che oraimmaginiamo di essere noi stessi. Poiché questo corpo fisico èsolo un prodotto immaginario della nostra mente, proprio comeogni corpo che scambiamo come noi stessi in un sogno, la nostramente manterrà il suo potere di creare corpi immaginari daidentificare come 'io' anche dopo la vita di questo corpo, quando ilsogno che noi chiamiamo la nostra attuale vita di veglia è giuntoal termine.

L'esistenza della nostra mente non è limitata alla durata diquesto corpo presente, perché questa vita è solo uno dei tantisogni che la nostra mente immagina e sperimenta nel suo lungosonno di oblio del sé. Fino a quando la nostra mente rimane in

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questo sonno di oblio del sé o mancanza di chiarezza nellaconoscenza di sé, continuerà a immaginare tali sogni, e cosìcontinuerà a riapparire dopo ogni volta che scomparetemporaneamente sia nel sonno sia nella morte.

Poiché l'essenziale fondazione che sottende e sostiene lacomparsa e la scomparsa della nostra mente è la nostra coscienzafondamentale di essere, 'Io sono', essa perdura per tutto il nostrosonno di oblio di sé, in cui appaiono e scompaiono tanti sogni o lecosiddette vite. Come la nostra mente, che appare in essa, il nostrosonno della dimenticanza di sé è solo un'apparizione temporanea.Anche se ci sembra di mancare di una chiara conoscenza di ciòche siamo veramente, questa mancanza di chiarezza riguarda solola nostra mente, la nostra superficiale coscienza conoscitrice dioggetti.

La nostra vera coscienza, che è la nostra coscienzafondamentale del nostro essere essenziale, conosce semprechiaramente se stessa come 'Io sono'. Non è quindi influenzatadall'illusoria comparsa e scomparsa del nostro apparente oblio disé. La nostra dimenticanza di sé o la mancanza di chiarezza dellaconoscenza di sé esiste solo dal punto di vista della nostra mente,e non da quello della nostra vera coscienza 'Io sono'.

Pertanto la nostra vera non duale coscienza di essere esiste econosce la propria esistenza eternamente, sia che sembriverificarsi o meno il nostro sonno della dimenticanza di sé Nonsolo la nostra coscienza fondamentale ed essenziale di essereesiste eternamente, ma anche rimane senza mai subire alcuncambiamento. Ogni cambiamento è un aspetto che è vissuto solodalla nostra mente, che è una forma limitata e distorta della nostracoscienza originale di essere, 'Io sono', e non dalla vera forma diquesta coscienza. Cioè, la nostra originale coscienza di essere nonconosce nulla al di fuori di sé, 'Io sono', che solo veramente esiste.

Pertanto non conosce mai l'aspetto illusorio della nostramutevole mente, o una qualsiasi delle mutevoli conoscenze delladualità che la nostra mente sperimenta. La nostra coscienza

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fondamentale: 'Io sono' non rimane quindi influenzata dalleeventuali modifiche che possono apparire verificarsi all'interno diessa. Qualunque cosa noi possiamo fare o pensare, o qualunqueesperienza possiamo subire, conosciamo sempre il nostro essere,'Io sono', anche se non prestiamo una particolare attenzione aesso.

Così dalla nostra esperienza sappiamo chiaramente che lanostra essenziale coscienza di essere rimane sempre invariata.Inoltre, la nostra coscienza fondamentale ed essenziale del nostroessere è auto-splendente, perché continuiamo a conoscere noistessi come 'Io sono' sia quando appare la nostra mente chequando scompare. Si richiede l'aiuto della nostra mente perconoscere tutte le dualità immaginarie create dal suo potered'immaginazione, ma non si richiede l'ausilio di nulla perconoscere 'Io sono'. Anche nel sonno, quando la nostra mente etutto il resto è scomparso, continuiamo a conoscere 'Io sono'.

Nel sonno null'altro esiste, ma in assenza di tutte le altre cose lanostra coscienza essenziale continua a conoscere se stessa come'Io sono'. Poiché conosce essa stessa senza alcun aiuto esterno, lacoscienza del nostro essere è eternamente e immutabilmente auto-splendente. Così la nostra coscienza di essere è l'unica cosa chesperimentiamo che abbia tutti i requisiti essenziali necessari peressere la realtà assoluta.

È eterna, immutabile e auto splendente, è non duale, nonrisente minimamente del passare del tempo e del mutare dellecondizioni, ed è indipendente da qualsiasi altra cosa, non limitatada qualsiasi altra cosa, e in nessun modo relativa a qualsiasi altracosa. Pertanto, non è forse chiaro che la sola e unica realtàassoluta è la coscienza essenziale del nostro essere: la nostrafondamentale non duale coscienza di sé, 'Io sono'?

Quando sappiamo chiaramente che la nostra coscienza del sé èassolutamente reale, come possiamo accettare che qualsiasifenomeno transitorio e relativo come la nostra mente o unaqualsiasi delle cose conosciute da essa siano reali? Anche se

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possono apparire reali dal punto di vista relativo, da un punto divista assoluto sono tutte cose irreali. L'unica cosa che è vera insenso assoluto è la nostra non duale coscienza del nostro essere,'Io sono'. Come abbiamo visto, il nostro essere è in sé la nostracoscienza del nostro essere.

Il nostro essere essenziale e la nostra coscienza essenziale sonola stessa realtà. Poiché il nostro essere è la coscienza, conosce sestesso solo essendo se stesso. Come abbiamo visto nel primocapitolo, la perfetta felicità è solo lo stato in cui si rimane come lanostra coscienza essenziale di essere. Cioè, essere consapevoli dinoi stessi come mero essere è lo stato di felicità suprema. Perchéproviamo perfetta felicità quando rimaniamo come la nostra meracoscienza di essere? Perché la felicità è la nostra natura essenziale.

Il nostro essere non è solo coscienza, ma è anche felicità. Ilnostro essenziale essere, la nostra coscienza essenziale e la nostrafelicità essenziale non sono tre cose separate, ma sono tutte unastessa realtà. Essere, coscienza e felicità sembrano essere tre coseseparate solo dal punto di vista della nostra mente. Cioè,sembrano essere separati solo da un punto di vista relativo. Nellavisione limitata e distorta della nostra mente, noi esistiamo soloper tutta la durata del nostro corpo fisico.

Ma se riconosciamo che noi esistiamo, sia che la nostra mentesia nello stato di veglia o sogno o sonno profondo, ciononostantesembra che siamo coscienti solo nella veglia e nel sogno, e chesiamo incoscienti nel sonno. E ci sembra che la nostra felicità siaancora più fugace della nostra coscienza. La nostra esperienzadella felicità appare essere così transitoria e relativa che sembraanche avere diversi gradi di intensità, e di essere costantementefluttuante da un livello all'altro.

Dal punto di vista relativo della nostra mente, non solo l'essere,la coscienza e la felicità sembrano essere tre cose separate, masembrano avere un opposto, e i loro opposti sembrano essere realicome loro. Immaginiamo che esistiamo per un certo periodo ditempo, e che siamo non esistenti in tutti gli altri; che siamo venuti

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in esistenza quando il nostro corpo è nato, e che possiamo o nonpossiamo continuare ad esistere dopo che il nostro corpo muore.Immaginiamo anche che siamo coscienti in alcuni stati e inconsciin altri stati, e che siamo felici a volte e infelici in altri momenti.

Allo stesso modo, immaginiamo che tutte le altre cose vengonoa esistere in un certo momento, e diventano inesistenti in altrimomenti; immaginiamo, che queste sono coscienti o incoscienti, eche se sono coscienti possono essere felici o infelici. Nella vistadella nostra mente, esistenza e non-esistenza, coscienza eincoscienza, felicità e l'infelicità sono tutti ugualmente reali.Tuttavia, la realtà di ciascuno di questi opposti è solo relativa. Laloro realtà è limitata nel tempo e dipende da circostanze, e laconoscenza della loro realtà dipende dalla nostra mente.

Pertanto, nessuno di questi opposti è assolutamente reale.Poiché tutto ciò che è conosciuto dalla nostra mente è solorelativamente vero, c'è forse qualcuna di queste coseassolutamente esistenti o non esistenti, assolutamente coscienti oincoscienti, o assolutamente felici o infelici? Consideriamo primale qualità negative. Una qualità negativa come la non esistenza,l'incoscienza o l'infelicità non può mai essere assoluta, perché unaqualità negativa può solo 'esistere' rispetto alla sua qualità positivacorrispondente. Infatti, una qualità negativa in realtà non 'esiste',ma è solo l'assenza o la non esistenza di una corrispondentequalità positiva.

Non-esistenza o non-essere non può mai esistere davvero,perché è solo una assenza o la negazione dell'esistenza o di essere.Non c'è davvero una cosa come non-esistenza o non-essere,perché se ci fosse, sarebbe un esistente non-esistenza che è unacontraddizione in termini. Non esistenza o non-essere è quindireale solo come un concetto mentale, e non esiste tranne comeun'idea o un pensiero nella nostra mente. Come tale, non esistenzaè essenzialmente una qualità relativa, e quindi non può mai essereassoluta.

Allo stesso modo, non ci può essere una cosa come incoscienza

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assoluta. Ciò che chiamiamo 'incoscienza' è solo assenza dicoscienza, ma in una totale assenza di coscienza, 'l'incoscienza'non potrebbe essere nota o sperimentata. Come non esistenza,l'incoscienza è quindi reale solo come concetto mentale. Lacoscienza o incoscienza di altre persone, creature o cose non potràmai essere conosciuta da noi direttamente, ma è dedotta solo dallanostra mente, e come tale è reale solo come un'idea o un pensieronella nostra mente.

Inoltre, anche se conosciamo la nostra coscienza, non possiamomai conoscere la nostra incoscienza. L'incoscienza è quindiqualcosa che non possiamo mai realmente conoscere, sia in noistessi o in qualsiasi altra cosa, e quindi è solo una condizioneipotetica, e non una condizione che può essere sempre realmentesperimentata. Quando ci svegliamo dal sonno, pensiamo di esserestati inconsci nel sonno, ma in realtà non possiamo sapere osperimentare una completa incoscienza in quello stato.

Quello che abbiamo effettivamente vissuto nel sonno erasoltanto l'assenza di qualsiasi conoscenza o coscienza di qualcosadiverso da noi stessi. Quando noi diciamo: “So che eroincosciente nel sonno”, stiamo descrivendo la nostra attualeesperienza nel sonno, ma lo stiamo facendo in termini moltovaghi, perché non abbiamo riflettuto profondamente su ciò cherealmente abbiamo vissuto in quel momento, o che cosaesattamente intendiamo con il termine 'incosciente'.

Per sapere quello di cui eravamo incoscienti nel sonno,dobbiamo essere stati consapevole di tale apparente 'incoscienza'.Cioè, siamo stati in grado di sperimentare la relativa 'incoscienza'del sonno solo perché eravamo davvero coscienti in quelmomento. Quando diciamo: “Ero incosciente”, non intendiamoche eravamo assolutamente inconsapevoli, ma solo che eravamonon consapevoli del nostro corpo, del mondo e di tutte le altrecose che siamo abituati a conoscere nella nostra veglia e negli statidi sogno.

La nostra 'incoscienza' o la mancanza di oggettive conoscenze

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nel sonno è relativa solo alla nostra conoscenza oggettiva nellaveglia e nel sogno. L'assenza di ogni conoscenza oggettiva nelsonno, che è ciò che intendiamo descrivere quando diciamo, 'eroincosciente', non è solo desunta dalla nostra mente, ma era inrealtà vissuta da noi nel sonno. Quando diciamo: “Non conoscevoniente nel sonno”, lo facciamo con un forte senso di certezza,perché ricordiamo ciò che abbiamo realmente sperimentato inquel tempo, che era una relativa assenza di conoscenza.

Il fatto che ora ricordiamo di aver sperimentato in quelmomento l'assenza di ogni conoscenza oggettiva dimostrachiaramente che eravamo coscienti nel sonno. Anche sechiamiamo quell'esperienza di non conoscenza oggettiva comeuno stato di 'incoscienza', è solo una perdita di coscienza relativa,perché eravamo presenti come la coscienza di conoscere quellostato d'incoscienza apparente. Possiamo quindi sicuramenteaffermare che la non-esistenza e l'incoscienza sono reali, solocome concetti mentali, e non possono mai esistere o essereconosciuti come qualità assolute; ma possiamo dire lo stessodell'infelicità?

Non è l'infelicità qualcosa che in realtà sperimentiamo? Seriformuliamo la nostra descrizione di infelicità come 'sofferenza','dolore' o 'miseria', non diventa così una qualità positiva? Inprimo luogo, non si può equiparare la parola 'dolore' conl'infelicità. Il dolore è una parola che è solitamente usato perdescrivere una sensazione fisica, e una sensazione fisica di doloreci fa sentire infelici solo perché la detestiamo fortemente e nonsiamo disposti a tollerarla.

Come tutti sappiamo, una persona può essere in grande dolorefisico eppure sentirsi abbastanza felice e allegro. Nella misura incui si è disposti a tollerare il dolore, siamo in grado di sentircifelici a dispetto di esso. Tuttavia, se usiamo la parola 'dolore', nelsenso di angoscia mentale, lo descriviamo come uno statod'infelicità reale. Siamo in grado di staccare mentalmente noistessi dal dolore fisico, e quindi non essere influenzati da esso, ma

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non possiamo così facilmente staccarci dal dolore mentale, e sesiamo in grado di farlo, allora cesserà di essere dolore mentale.

Anche se possiamo usare termini positivi come 'sofferenza','miseria', 'dolore' o 'angoscia' per descriverla, l'infelicità è ancorasolo uno stato relativo, ed è vissuta da noi come una mancanza oassenza di qualcosa che desideriamo e sentiamo come nostro didiritto. Noi desideriamo la felicità, perché riteniamo che sianaturale per noi, e siamo a disagio con sofferenza e miseria perchéli sentiamo innaturali ed estranei a noi. Se non avessimo avutoalcun desiderio o preferenza per essere felici, o qualsiasiavversione per sentirci infelici, la felicità non potrebbe farcisentire felici, e la sofferenza non potrebbe farci sentire infelici.

Quello che insinuiamo in questa frase è un'assurditàcontraddittoria. Ma più che essere semplicemente assurdo, èinfatti impossibile, perché la nostra esperienza di felicità èinseparabile dal nostro amore per la felicità, e la nostra esperienzadi infelicità è inseparabile dalla nostra avversione per l'infelicità.La felicità ci fa sentire felice perché ci piace, e ci piace perché cifa sentire felici. Allo stesso modo, l'infelicità ci fa sentire infeliciperché siamo contrari a essa, e noi siamo contrari a essa, perché cifa sentire infelici.

Anche se si parla di loro come se fossero due cose diverse, ilnostro amore per la felicità e la nostra avversione per l'infelicitàsono in realtà una stessa cosa. Questi due termini, 'l'amore per lafelicità' e 'l'avversione per l'infelicità', sono solo due modi didescrivere la stessa sensazione unica, un sentimento che è insitonel nostro essere. Le parole 'avversione per l'infelicità' sono solouna descrizione negativa del nostro sentimento positivo di amoreper la felicità.

Poiché amiamo la felicità e poiché l'infelicità è un stato in cuisiamo privati della felicità che amiamo, quando ci confrontiamocon l'infelicità noi sperimentiamo il nostro amore per la felicitàcome un avversione per tale infelicità. Anche se usiamo paroleapparentemente positive come 'sofferenza' o 'miseria' per

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descriverla, l'infelicità è essenzialmente solo una privazione dellafelicità. In qualunque modo la guardiamo, non possiamo evitare laconclusione che infelicità, sofferenza o miseria sonofondamentalmente solo negazioni, l'assenza della felicità che tuttinoi desideriamo.

Pertanto, poiché l'infelicità esiste solo in contrasto alla felicità,è una qualità essenzialmente relativa, e quindi non può esserci unacosa come l'infelicità assoluta. Se non-esistenza, incoscienza einfelicità sono ciascuna necessariamente solo qualità relative,qualità che non potranno mai avere alcuna realtà assoluta,possiamo non dire lo stesso dei loro opposti? Non sono esistenza,coscienza e felicità qualità allo stesso modo relative? Sì, quando siparla di ciascuna di queste qualità come l'uno di una coppia diopposti, sono certamente relative, e non possono essere assolute.

Per esempio, quando parliamo di esistenza e non-esistenza,l'esistenza di cui stiamo parlando è relativa al suo opposto, non-esistenza. Quando consideriamo l'esistenza di una qualità incontrasto al suo contrario, è solo una qualità relativa. Tuttavia,solo perché nella visione limitata e distorta della nostra menteesistenza, coscienza e felicità sembrano essere solo qualitàrelative, questo forse significa che non ci possono essere cosecome assoluta esistenza, coscienza assoluta e felicità assoluta?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo ancora considerareche cosa intendiamo con la parola 'assoluto'. Etimologicamente,assoluto significa 'non legato da' o 'liberato da', e quindi essereassoluto è quello che è libero da tutte le condizioni, restrizioni elimitazioni, libero da ogni forma di confinamento, libero da tuttele dimensioni come il tempo e lo spazio, libero da tutti i confini olimiti, libero da tutte le divisioni e parti, libero da tutte lerelazioni, influenze modificanti, libero da ogni dipendenza, liberoda ogni forma di imperfezione o incompletezza, libero da ognifinitezza relatività e dualità.

Per esprimerlo in termini più positivi, assoluto significacompleto, intero, infinito e perfetto. Pertanto la nostra domanda è

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se c'è o non c'è alcuna cosa come un'esistenza, coscienza o felicitàche sono infinite, indivise, indipendenti e libere da tutte lecondizioni e relatività. L'infinitudine non consente l'esistenza diqualsiasi altra cosa. Per essere infinita, una cosa deve essere untutto unico, e nient'altro può esistere. Se qualcosa d'altro dovesseesistere, al di fuori o indipendente dall'infinito, ciò avrebbe fissatoun limite allo infinito, e, quindi, cesserebbe di essere infinito.

Non solo non ci può essere null'altro che l'infinito, non cipossono essere neanche divisioni all'interno dell'infinito, perché ladivisione è una forma interna di restrizione o limitazione, el'infinito è per definizione privo di ogni limite, sia interno cheesterno. Pertanto, se c'è qualche cosa come un infinito o realtàassoluta, deve essere l'unica realtà, tutta la realtà, e una realtà cheè essenzialmente unica, indivisa e non duale. Non ci può esserepiù di una realtà assoluta.

Quindi, se esiste effettivamente un'esistenza assoluta o essere,una coscienza assoluta e un assoluta felicità, non possono esseretre cose separate, ma deve essere una stessa realtà. C'è una talerealtà, ed è così esistenza, coscienza e felicità? Per rispondere aquesto, dobbiamo in primo luogo considerare la coscienza, perchéla coscienza è il punto di partenza e il fondamento di ogni cosa, labase di tutto ciò che sappiamo o mai possiamo sapere.

Se la realtà assoluta non fosse coscienza, non potrebbeconoscere la propria esistenza o essere, e poiché non ci può esserealtro che l'assoluto per conoscerla, non potrebbe mai essereconosciuta e sarebbe quindi solo un concetto ipotetico osupposizione. Tutti i discorsi di essere o esistere presuppongono lacoscienza, perché senza la coscienza per conoscerla, chi potrebbedire di cosa si tratta? La stessa parola 'esistere', significaetimologicamente: 'risaltare' (distinguersi), perché una cosa puòessere detta di essere o di esistere solo se 'risalta' nella coscienza.

Un essere sconosciuto o un'esistenza sconosciuta sono una purafantasia, una supposizione infondata, che come tale non puòessere reale. Vi è quindi forse qualcosa come una coscienza

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assoluta, una coscienza che è libera da tutte le condizioni elimitazioni, libera da ogni frontiera esterna e da divisioni interne,libera da tutte le influenze che modificano, libera da ognidipendenza, e libera da ogni relatività e dualità?

Poiché non possiamo conoscere alcuna coscienza al di fuoridella nostra coscienza, possiamo rispondere a questa domandasolo applicandola alla nostra coscienza. Di fronte a questadomanda, la maggior parte di noi concluderebbe superficialmenteche la nostra mente è l'unica coscienza che conosciamo, e che lanostra mente non soddisfa nessuno dei criteri richiesti per esserechiamata assoluta. Naturalmente è vero che la nostra mente non èassoluta, ma è la nostra mente l'unica coscienza che conosciamo?

Poiché siamo consapevoli del nostro essere nel sonno, quandola nostra mente è assente, abbiamo chiaramente una coscienza chetrascende la nostra mente e tutte le sue limitazioni. La nostra veracoscienza non è dunque la nostra mente, ma è un'altra coscienzapiù fondamentale che sottende la nostra mente. Questa basilarecoscienza fondamentale è la nostra essenziale coscienza del sé, lanostra non duale coscienza del nostro essere, che sempresperimentiamo come 'Io sono'.

Applicando la domanda di cui sopra alla nostra fondamentalecoscienza del sé, 'Io sono', penseremo che essa soddisfi tutti icriteri che contraddistinguono l'assoluta realtà. È libera da tutte lecondizioni, restrizioni e limitazioni. È libera da ogni forma diconfinamento. È libera da tutte le dimensioni come il tempo e lospazio. È libera da tutti i confini o limiti. È libera da tutte ledivisioni e parti. È libera da tutte le relazioni e le influenzemodificanti. È libera da ogni dipendenza. È libera da ogni formadi imperfezione o incompletezza. È libera da ogni finitezza,relatività e dualità. È quindi completa, intera, infinita e perfetta.Questa fondamentale coscienza del sé è non duale e priva di ognirelatività perché non è una coscienza di qualsiasi altra cosa, masolo di se stessa, del proprio essere essenziale, che sperimentiamocome 'Io sono'.

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Poiché è, ed è consapevole del suo stato di 'egli che è' {'is-ness'} o meglio del suo stato di 'Io sono' {am-ness}, non è solocoscienza, ma è anche essere. Tuttavia, anche se è essere, non èqualsiasi forma di essere oggettivo o esistenza, perché l'essereoggettivo richiede una coscienza diversa per essere conosciuto.Mentre l'esistenza di qualsiasi altra cosa dipende dalla coscienzache deve conoscere, l'esistenza della coscienza non può essereconosciuta da qualcosa di diverso da sé.

La coscienza non è un oggetto, e quindi la sua esistenza oessere non può essere conosciuta oggettivamente. Anche se cipossono essere segni oggettivi o indicazioni dell'esistenza dellacoscienza finita che chiamiamo 'mente', l'effettiva esistenza diquella coscienza non può mai essere conosciuta da qualcosa didiverso da sé. Quando anche quella coscienza finita, cheinteragisce con gli oggetti conosciuti da essa, non può essereconosciuta oggettivamente o da qualcosa diverso da sé, come puòla vera coscienza infinita essere conosciuta come un oggetto?

L'essere o l'esistenza della nostra coscienza fondamentale 'Iosono' è perfettamente consapevole di sé, e quindi è non duale,indiviso e completamente indipendente da tutte le altre cose. Tuttele altre cose dipendono per la loro apparente esistenza da questacoscienza fondamentale ma questa coscienza fondamentale nondipende da nulla. È, e conosce il suo stato di essere {is-ness}senza l'aiuto di qualsiasi altra cosa.

Il suo essere e la sua coscienza del suo essere sono quindi unastessa cosa: l'unica realtà non duale, indivisa, illimitata e assoluta.Poiché non è confinato entro qualsiasi limite o confine, il nostroessenziale essere cosciente di sé, 'Io sono', è l'infinita pienezza diessere. È veramente il solo essere che è. L'essere di qualsiasi altracosa è solo un limitato e distorto riflesso di questo essere reale,che si sperimenta eternamente come 'Io sono'.

Vero essere non è ogni essere che può essere sperimentato siacome 'egli è' che come 'essi sono', perché questi denotano unaesperienza oggettivata di essere. Vero essere è solo quell'essere

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che è vissuto come 'Io sono', {lo stato di Io sono (am-ness)},perché solo la prima persona singolare del verbo 'essere' denota ilsé cosciente e la non duale esperienza di essere come realmente è.Così abbiamo stabilito il fatto che la nostra fondamentale edessenziale coscienza 'Io sono' è la realtà assoluta, e che è anchel'infinita pienezza di essere.

Tuttavia, non è solo coscienza assoluta ed essere assoluto, ma èanche la felicità assoluta. Noi sperimentiamo infelicità solo neglistati di veglia e sogno, nei quali la nostra mente è sorta ed è attiva,ma nello stato di sonno profondo non si sperimenta una cosasimile. Nel sonno sperimentiamo solo la felicità, e mentresperimentiamo questa felicità, non è relativa a qualsiasi altra cosa.Sebbene sembri giunta alla fine quando ci svegliamo, la felicitàche abbiamo vissuto nel sonno in realtà non cessa di esistere, ma èsemplicemente oscurata quando la nostra mente si attiva.

Nel sonno non sperimentiamo la dualità, quindi tutto ciò chesperimentiamo in quel momento, deve essere uno con il nostroessere essenziale e la nostra coscienza del nostro essere. Pertanto,poiché sperimentiamo la felicità nel sonno, che è lo statoperfettamente non duale di puro essere cosciente di sé, la felicitàdeve essere la natura stessa del nostro essere essenziale. Quindi,poiché il nostro essere essenziale è l'infinito e la realtà assoluta epoiché è anche perfetta felicità, la realtà assoluta deve essere nonsolo la pienezza della coscienza e di essere, ma deve anche esserela pienezza della felicità perfetta.

Pertanto, sebbene non ci può essere qualcosa come assolutanon-esistenza, assoluta incoscienza o assoluta infelicità, vi èun'unica realtà che è essere assoluto o esistenza, coscienzaassoluta e assoluta felicità. Tuttavia, non dobbiamo confonderequest'assoluta esistenza, coscienza e felicità con la relativaesistenza, coscienza e felicità, ognuna in possesso di unacorrispondente qualità opposta. Come tutte le altre forme didualità, queste coppie di opposti, esistenza e non-esistenza,coscienza e incoscienza, felicità e infelicità, sono tutte relative e

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quindi interdipendenti.Assoluta esistenza, coscienza e felicità, d'altra parte, sono

un'unica realtà, che è del tutto indipendente e completamentepriva di ogni forma di dualità e di relatività. La realtà non duale eassoluta, che è l'infinito essere, coscienza e felicità, trascendequeste coppie di opposti relativi: esistenza e non-esistenza,coscienza e incoscienza, e felicità e infelicità, ed è interamentenon influenzata sia dal loro apparire sia dalla loro scomparsa.

Tuttavia, se la realtà assoluta non è in alcun modo collegata aqueste coppie di opposti, è intimamente e inevitabilmente a essicorrelata. Essa è il loro substrato e sostegno, e senza di essa nonpotrebbero nemmeno sembrare di essere reale. La realtà assolutanon è legata ad alcuna forma di dualità o relatività, perché inverità essa solo esiste.

Dal suo punto di vista, quindi, non vi è una cosa come dualità orelatività, o qualcosa di altro da sé. Trascende e non è influenzatada qualsiasi rapporto che altre cose possono sembrare di avere conessa. Dal punto di vista della nostra mente, tuttavia, tutte le altrecose che sembrano essere conosciute dalla coscienza che siconosce come 'Io sono', sono quindi inevitabilmente a essacorrelate. La verità è, dunque, che tutte le cose sono in relazionecon la nostra mente, perché è la coscienza che le conosce, e lanostra mente è legate alla realtà assoluta, perché la realtà assolutaè la fondamentale coscienza 'Io sono' quella che la nostra menteerra confondendo come sua propria.

La nostra mente esiste solo dal suo punto di vista, e non daquello della nostra vera, non duale e assoluta consapevolezza diessere, che non conosce niente altro che se stessa. Pertanto ilrapporto tra la nostra mente e la nostra assoluta coscienza 'Iosono' sembra essere reale solo dal punto di vista della nostramente, la cui visione della nostra vera coscienza è distorta. Nellavisione limitata e distorta della nostra mente, il nostro essere, lanostra la coscienza e la nostra felicità, che sono una non duale eassoluta realtà, sono erroneamente considerate tre cose distinte,

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ognuna delle quali è vissuta come un membro di una coppia diopposti.

Ciò che la nostra mente vede come esistenza relativa e nonesistenza è solo un limitato e distorto riflesso del nostro vero eassoluto essere. Allo stesso modo, ciò che vede come relativacoscienza e incoscienza è solo un limitato e distorto riflesso dellanostra vera e assoluta coscienza e ciò che vede come relativafelicità e infelicità è semplicemente un riflesso limitato e distortodella nostra vera e assoluta felicità.

Che cos'è che conferisce una apparente realtà alla dualità e allarelatività? È solo la nostra mente. Ma come fa la nostra mente aimpartire tale realtà alle cose che esistono solo nella suaimmaginazione? Poiché la nostra mente è una miscela confusadella nostra vera coscienza 'Io sono' e una serie di limitazioniirreali, essa scambia se stessa assieme a tutte le sue limitazionicome cosa reale. E poiché essa confonde questa miscela di sé e ditutte le limitazioni che essa ha imposto su di sé come cosa reale,essa scambia ogni cosa da essa conosciuta per una cosa reale. Inun sogno vediamo e sperimentiamo molte cose, ognuna delle qualisembra essere reale, ma quando ci svegliamo, pensiamo che tuttequelle cose che abbiamo sperimentato fossero in effetti irreali,essendo solo finzioni della nostra immaginazione.

Dopo il risveglio, riteniamo che l'unica cosa che era vera nelnostro sogno, fosse noi stessi: cioè, la nostra mente, la coscienzache ha sperimentato quel sogno. Tuttavia, la verità è che la nostramente è irreale come il sogno che ha vissuto. La nostra mente eraconfusa circa la realtà del sogno che ha vissuto poiché era ed èconfusa sulla propria realtà. E proprio com'era confusa sulla realtàdi tutto ciò che ha vissuto in un sogno, è anche confusa sulla realtàdi tutto ciò che sta ora sperimentando in questo cosiddetto stato diveglia.

Nel sogno abbiamo sentito, 'sto camminando, sto parlando, stovedendo tutte queste cose e sentendo tutti questi suoni', ma inrealtà non stavamo camminando o parlando, né stavamo vedendo

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o sentendo nulla. Stavamo solo immaginando tutte queste cose.Abbiamo sentito che stavamo camminando e così via, perché cisiamo illusi di essere un corpo particolare ma quel corpo era, inrealtà, solo il frutto della nostra immaginazione.

Ci siamo illusi di essere quel corpo immaginario perché siamoingannati su ciò che realmente siamo. Come nostra coscienzaessenziale 'Io sono' noi siamo reali, ma come nostra mente noiconfondiamo questa vera coscienza 'Io sono' con varie limitazioni,tutte irreali. Poiché come 'Io sono' siamo reali, e poichéconfondiamo questo reale 'Io sono' con un corpo immaginario econ le sue azioni immaginarie come camminare, parlare, vedere esentire, scambiamo quel corpo immaginario e le sue azioniimmaginarie come reali.

Poiché il corpo immaginario è parte di un mondo immaginario,e poiché percepiamo quel mondo immaginario attraverso le nostreazioni immaginarie come vedere e sentire, tutto ciò che noipercepiamo o sperimentiamo, sia in un sogno che in questocosiddetto stato di veglia, ci appare essere reale come il corpoimmaginario e le azioni immaginarie che abbiamo confuso con 'Iosono'.

La nostra conoscenza confusa di 'Io sono' è dunque la causaprincipale che impartisce la realtà a tutte le dualità e le relativitàche sperimentiamo. Fintantoché immaginiamo ogni esperienzacome 'io sono questo corpo, io sono questa persona, io stocamminando, sto parlando, sto vedendo, sto sentendo, penso' ecosì via, non possiamo non confondere tutte queste esperienzecome cose reali, perché sono tutte sovrapposte e identificate come'Io sono', che è l'unica cosa che è effettivamente reale.

Pertanto, se vogliamo liberare noi stessi da ogni confusione, econoscere ciò che è veramente reale, dobbiamo prima tentare diconoscere la realtà della nostra coscienza fondamentale 'Io sono'.Fino a quando non otteniamo una chiara e non confusaconoscenza della nostra coscienza 'Io sono', tutta la conoscenzasulle altre cose resterà confusa, e non saremo in grado di

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distinguere chiaramente tra la realtà e la nostra immaginazione.Finché scambiamo dualità e relatività come reali, non possiamosperimentare la realtà assoluta com'è veramente. Al contrario, epiù importante, fino a quando non sperimentiamo la realtàassoluta com'è veramente, non possiamo evitare di errareconsiderando dualità e relatività come reali.

Pertanto, al fine di trascendere e liberare noi stessi da ognidualità e relatività, e da tutta la confusione che ne risulta,dobbiamo acquisire la vera conoscenza empirica della realtàassoluta. Se non ci fosse la realtà assoluta, o se la realtà assolutafosse qualcosa che non possiamo conoscere, saremmo condannatia rimanere per sempre in confusione, sia per quanto riguarda lanostra realtà che la realtà di tutte le altre cose. Finché facciamoesperienza della sola realtà relativa, la nostra conoscenza dellarealtà sarà sempre confusa, perché la realtà relativa è unaconoscenza che noi sperimentiamo solo attraverso il mezzo dellanostra mente, che è di per sé una conoscenza o coscienzaintrinsecamente confusa.

Poiché siamo la coscienza che conosce tutte le altre cose, nonsiamo in grado di conoscere la realtà di ognuna di quelle altre cosese non conosciamo la realtà di noi stessi. Qual è la realtà di noistessi? Siamo semplicemente una realtà limitata e relativa, osiamo la realtà infinita e assoluta? Se c'è davvero una realtàinfinita e assoluta, non possiamo essere separati o diversi daquesta e viceversa, questa non può essere separata o diversa danoi. La realtà assoluta deve quindi essere la nostra fondamentaleessenza. Quindi non possiamo conoscere la realtà assoluta comeoggetto, come qualcosa di separato da noi stessi, ma la possiamoconoscere solo come nostro vero ed essenziale sé.

Pertanto, al fine di sperimentare la realtà assoluta, e in tal modotrascendere ogni conoscenza relativa, dobbiamo conoscere ilnostro vero sé; cioè, dobbiamo raggiungere la non dualeesperienza della vera e perfettamente chiara conoscenza del sé.Molte persone si sentono confuse e spaventate quando per la

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prima volta è stato loro detto che la loro mente non è reale, e cheil mondo percepito dalla loro mente e il Dio nel quale la loromente crede sono entrambi irreali come la loro mente.

Anche se queste verità possono in un primo momento sembraremolto scoraggianti e sgradevoli, e per molte persone quindi deltutto inaccettabili, in realtà non sono così terribili o sgradevolicome possono sembrare.

“Se questo mondo è irreale, come un sogno, perché non dovreicomportarmi in qualsiasi modo desidero?”

“In un mondo irreale, che bisogno c'è di etica o morale?”“Se tutte le altre persone sono solo finzioni della mia

immaginazione, come la gente che ho visto in un sogno, perchédovrei preoccuparmi per i loro sentimenti, e perché dovreiprovare compassione quando li vedo soffrire?”

“Se questo mondo è solo un sogno, perché non dovrei sologodere del contenuto del mio cuore, incurante di ogni sofferenzache io possa in tal modo sembrare causare ad altre persone?”

“Anche se non posso costringere me stesso a comportarmi inun modo così crudele e indifferente, se a tutti è stato detto chequesto mondo è solo un sogno, molti di loro non comincerebberoforse a comportarsi in questo modo?”

Domande come queste nascono nella mente di alcune personequando per la prima volta vengono a sapere che i saggi come SriRamana hanno insegnato che la nostra vita in questo mondo è soloun sogno, e alcune persone rimarcano che questa è potenzialmenteuna filosofia molto pericolosa, perché potrebbe indurre le personead agire irresponsabilmente.

Tuttavia queste domande sono tutte basate sulla base delfraintendimento della verità insegnata da Sri Ramana e da altrisaggi. Quando dicono che questo mondo e tutto ciò checonosciamo, tranne la nostra fondamentale coscienza di sé 'Iosono', è irreale, significa solo che nessuna di queste cose èassolutamente reale, ma non significa negare la realtà relativa diogni cosa. Il mondo che percepiamo, e il Dio in cui crediamo,

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sono entrambi reali come la nostra mente.Finché ci sentiamo di essere reali come un individuo: il mondo

e Dio sono altrettanto reali, come lo sono tutte le nostre azioni e leloro conseguenze. Le altre persone e le creature che vediamo inquesto mondo sono reali quanto la nostra mente, che le vede, equindi i loro sentimenti, la loro felicità e la loro sofferenza, sonotutte reali come i nostri sentimenti. Se le nostre azioni provocanodanni a qualsiasi altro essere senziente, dovremo subire leconseguenze di tali azioni, perché le conseguenze chesperimenteremo sono reali come le azioni che facciamo.

Le leggi del karma includono il fatto che dobbiamo prima o poisperimentare le conseguenze di ogni nostra azione, buona ocattiva, e il fatto che il giusto tempo, luogo e modo in cui dovremosperimentare queste conseguenze sono tutti ordinati da Dio inmodo tale che gradualmente svilupperemo una maturità spirituale;queste leggi sono reali finché ci illudiamo di essere reali comeagenti o 'esecutori' delle azioni, e come colui che sperimenta il'frutto' o le conseguenze delle azioni. Come dice Sri Ramana nelversetto 38 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Se siamo l'agente dell'azione, noi sperimenteremoil frutto risultante [le conseguenze delle nostre azioni].Quando [noi] conosciamo noi stessi […] avendoindagato: 'Chi è l'agente dell'azione?', kartrtva [ilnostro senso di essere l'agente, la nostra sensazione 'iosto facendo azione'] si allontanerà e i tre karmascivoleranno via [scompariranno o cesseranno diesistere]. [Questo stato privo di ogni azioni o karma è]lo stato di liberazione, che è eterno”.

La parola composta vinai-mudal, che ho tradotto come'l'agente dell'azione', significa letteralmente l'origine o la causa diun'azione, ma è usato idiomaticamente, soprattutto in grammatica,a significare il soggetto o l'agente che esegue un'azione. Nel

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contesto del karma o azione, la parola 'frutto' è utilizzatoidiomaticamente sia in Tamil che Sanscrito per indicare leconseguenze morali che derivano da una qualsiasi delle nostreazioni, buone o cattive, nella forma delle esperienzecorrispondentemente piacevoli o spiacevoli che dobbiamo prima opoi subire.

Ogni azione che facciamo con la mente, la parola o il corpo ècome un seme, come indicato dalle parole vittu-p-pōṉḏṟa, che SriRamana ha aggiunto prima della prima linea di questo versetto,quando, al fine di rendere più facile per le persone da imparare amemoria e cantare 'Uḷḷadu Nāṟpadu', ha aggiunto un supplementometrico di un piede e mezzo tra ciascuno dei suoi versiconsecutivi, trasformandolo da quarantadue versi in metro veṇbā,in un unico versetto in metro kaliveṇbā.

Queste parole, vittu-p-pōṉḏṟa, che significano 'come semi',sono stati aggiunti alla frase iniziale di questo versetto, che incombinazione con loro significa: “Se noi siamo l'autore di azioni,che sono come i semi, noi sperimenteremo i frutti risultanti”.Proprio come un frutto contiene due elementi, la sua porzionecommestibile e il suo seme, la conseguenza di ogni nostra azioneè duplice. Un elemento della conseguenza di ogni azione è ilpiacere o il dolore che dobbiamo, prima o poi, sperimentare invirtù di essa.

Questo elemento è come la parte commestibile di un frutto.L'altro elemento, che è come il seme contenuto all'interno di quelfrutto, è il conseguente karma-vāsanā, la tendenza o l'inclinazionea fare di nuovo l'azione. Cioè, il nostro karma o azioni formanoabitudini. Quanto più ci lasciamo andare in un particolare tipo diazione, tanto più genereremo e nutriremo una corrispondenteVasana, un'inclinazione o simpatia che ci spinge a fare di nuovo lostesso tipo di azione. Pertanto, nel versetto 2 del Upadesa UndiyārSri Ramana dice:

“Il frutto [prodotto, risultato o conseguenza] di

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[ogni] azione essendo perito [passato o cessato, comefa non appena è stata sperimentata in modoappropriato da noi sotto forma di piacere o dolore],sarà come far [noi] cadere un] seme nell'oceanodell'azione.[Pertanto l'azione e i suoi risultati, i suoifrutti e i suoi semi] non darà liberazione”.

La conseguenza davvero nociva di ogni azione che facciamonon è solo la piacevole o spiacevole esperienza che alla finederiverà da essa, ma è il seme o impulso latente che è generato onutrito all'interno della nostra mente. Proprio come la partecommestibile del frutto scompare quando la mangiamo, così lapotenziale esperienza che risulta come la conseguenza morale diun'azione passerà oltre quando noi la subiremo.

Anche se l'esperienza passa, un dannoso residuo della nostraazione rimarrà nella nostra mente sotto forma di Vasana,un'inclinazione o tendenza a ripetere una tale azione. Cioè, propriocome il seme sopravvive al consumo di un frutto, in attesa diun'opportunità adatta per germinare e produrre ancora altri frutti;così la tendenza o impulso di fare nuovamente tale azione rimarràin noi in forma latente, in attesa di affermarsi sia quando una certaesperienza apparentemente esterna lo richieda o quando nessunaltro impulso più forte ha una presa sulla nostra mente.

Questi karma-vasanas o impulsi mentali sono i semi dei nostridesideri, che sono le forze che ci spingono a fare azioni con lamente, la parola e il corpo. Se una particolare azione può essereclassificata in una prospettiva relativa come una buona azione ouna cattiva azione, l'impulso o latente desiderio di fare tale azioneè ancora una volta un altro nodo che aiuta a legarci alla ruotaperennemente girevole del karma o azione.

Se le cattive azioni sono come le catene di ferro che ci legano eci immergono in un oceano inquieto di azione, le buone azionisono come catene d'oro che ci legano e ci immergono in quellostesso oceano. L'unica differenza tra i semi lasciati da buone

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azioni e semi lasciati da cattive azioni è che il primo ci spinge afare di più buone azioni, che produrranno frutti relativamentepiacevoli o conseguenti esperienze, mentre i secondi cispingeranno a fare di più brutte azioni, che produrranno fruttirelativamente sgradevoli o esperienze conseguenti.

Perciò Sri Ramana dice nel versetto 2 del Upadesa Undiyār chequalsiasi azione possiamo fare può solo immergerci ulteriormentenel mare delle azioni, e quindi non ci libererà dalla schiavitù delfare ossessivamente altre azioni. Dato che questa schiavitù risultadalla nostra illusione di essere questa mente legata al corpo, che èl'autore di azioni e sperimentatore dei risultanti piacevoli ospiacevoli frutti, non può essere rimossa da qualsiasi azione chequesta mente può fare, ma può essere rimossa solo dallaesperienza assolutamente chiara della vera conoscenza di sé.

Finché facciamo qualsiasi azione, perpetuiamo l'illusione chesiamo questa mente e corpo, che sono gli strumenti che in realtàfanno tali azioni. Dato che non siamo in realtà questa mentesempre attiva o il corpo, ma solo la sottostante coscienza del sé,'Io sono', in cui quelle appaiono e scompaiono, al fine disperimentare noi stessi come siamo veramente dobbiamo separarenoi stessi da questi strumenti di azione restando fermamente comeil nostro sempre inattivo essere cosciente del sé.

Quindi non possiamo raggiungere la liberazione 'facendo'qualsiasi cosa, ma solo 'essendo'. Cioè, la liberazione dallaschiavitù della nostra presente illusione, che siamo un individuolimitato, che fa azioni tramite la mente, la parola e il corpo, nonpuò essere conseguita mediante qualsiasi tipo di nostra azione, masolo essendo l'essere assolutamente non duale consapevole del sé,che sempre realmente siamo. Poiché l'obiettivo che cerchiamo diraggiungere è solo l'essere consci di sé, liberi dall'azione; l'unicastrada o mezzo con cui possiamo ottenere ciò è solo essere lacoscienza di sé libera dall'azione Questa unicità del percorso edell'obiettivo è espressa da Sri Ramana chiaramente e con enfasinel versetto 579 della Guru Vācaka Kovai:

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“A causa della natura non duale [o grandezza] del[nostro eternamente] duraturo Svarupa [nostro séessenziale], [e] a causa del [conseguente] fatto cheescludendo [questo non duale] sé non c'è altra gati[rifugio, rimedio o un modo per raggiungerlo], ilupēya [lo scopo] che è da raggiungere è soltanto il sé el'upaya [i mezzi per raggiungerlo] è solo il sé.[Pertanto] osserva che [il nostro obiettivo e il nostropercorso] sono abheda [non diversi]”.

In questo verso Sri Ramana enfatizza tre volte la verità che ilnostro obiettivo e il percorso per raggiungerlo sonosostanzialmente gli stessi. In primo luogo egli dice che, a causadel nostro sempre esistente sé non duale, non c'è modo per cuipossiamo sperimentarlo diverso da questo stesso sé.

Da qui il nostro sé essenziale è il nostro unico rifugio sevogliamo essere salvati dalla schiavitù del karma o azione, cioè,dall'illusione che siamo una persona finita che è intrappolata nelladualità e che fa di conseguenza le azioni e le esperienze che da ciòrisultano. In secondo luogo egli dice, 'upēyamum tāṉē upāyamumtāṉē', che significa 'l'obiettivo è solo il sé, e il mezzo è solo il sé' .E infine termina con forza affermando che il nostro obiettivo e ilnostro cammino sono quindi abhēda o 'non diversi'.

Cioè, poiché il nostro sé essenziale è un eterno essereassolutamente non duale, cosciente di sé, privo di ogni alterità equindi di ogni azione o 'fare': quindi non ci possono essere mezziper raggiungerlo o sperimentare, altro che solo essere com'è: cioè,di rimanere semplicemente come l'essere non duale libero dapensieri cosciente di sé che siamo sempre veramente. I 'tre karma'che Sri Ramana cita al verso 38 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu', sono:

(1) le nostre azioni presenti, che noi compiamo col nostrolibero arbitrio sotto l'influenza delle nostre vasanas o dei 'semi'latenti dei nostri desideri, e che quindi generano non solo altri'semi', ma anche 'frutti' che dovremo sperimentare più tardi;

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(2) l'archivio dei 'frutti' delle nostre azioni passate che devonoessere da noi vissuti;

(3) il nostro destino presente o fato, che è l'insieme di questi'frutti' delle nostre azioni passate che Dio ha scelto e ordinato dasperimentare ora.

Questi 'tre karma' sembreranno reali finché ci illuderemo diessere l'esecutore e lo sperimentatore, cioè, un individuo che faazioni e sperimenta il piacere e il dolore, che sono i 'frutti' oconseguenze delle azioni che abbiamo fatto in passato. Seindaghiamo 'chi sono Io, chi ora sente che sto facendo azioni?',cioè, se vogliamo esaminare profondamente la nostra coscienzaessenziale 'Io sono', che ora confondiamo con la mente, la parola eil corpo che fa azioni, scopriremo che non siamo in realtà unindividuo finito che fa azioni tramite la mente, la parola e il corpo,ma siamo solo la coscienza infinita che semplicemente è.

Quando arriviamo così a conoscere noi stessi come siamoveramente, cesseremo di confondere noi stessi come esserel'agente di ogni azione e lo sperimentatore del frutto di ogniazione. In mancanza di tale senso di esecutore dell'azione osperimentatore, tutti i nostri 'tre karma' scivoleranno via da noicome la pelle che scivola via da un serpente. Sri Ramana descrivelo stato in cui si rimane come lo stato di mukti o liberazione,emancipazione o salvezza che dice è 'nitya'; una parola che è disolito tradotta come 'eterno' o 'perpetua', ma che significa anche'interno', 'innato', 'naturale' o 'suo proprio'.

Qual'è il significato dell'uso di questa parola nitya o 'eterno' perdescrivere lo stato di vera conoscenza di sé, in cui siamo liberatidal nostro senso di essere esecutori dell'azione e da tutti i 'trekarma', che derivano da tale senso? Questo stato è eterno perché èl'unico stato che esiste davvero. Non c'è veramente mai unmomento in cui non sappiamo chiaramente come siamoveramente. Il nostro senso di azione, 'sto facendo questo o quello',e tutte le altre nostre confuse conoscenze di noi stessi sono vissutesolo dalla nostra mente, e non dal nostro vero sé, che è la non

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duale coscienza infinita ed eterna che conosce solo 'Io sono'.La nostra mente è una semplice apparizione o immaginazione,

ed esiste solo nella sua visione distorta della realtà. Quandosappiamo ciò che siamo veramente, scopriremo che abbiamosempre conosciuto solo il nostro vero sé, e che la nostra mente èun fantasma che non è mai realmente esistito. Tuttavia, anche se laverità assoluta è che la nostra mente non è mai realmente esistita,fintanto che ci immaginiamo di essere questa mente, la suaesistenza sembrerà essere reale, ma solo nella sua visione distorta.

E finché la nostra mente si sperimenta come reale,sperimenterà anche tutto ciò che è conosciuto da lei comeugualmente reale. Cioè, tutto ciò che la nostra mente sperimenta,sembra che sia reale come lei stessa sembra essere. Tuttavia,tranne la nostra conoscenza di base 'Io sono', né la nostra mente,né tutto ciò che è conosciuto da essa, è assolutamente reale. Anchese nulla della nostra conoscenza di qualcosa di diverso da 'Iosono' è assolutamente reale, tutto è relativamente reale.

Cioè, in relazione alla nostra mente, che lo sperimenta, tutta lanostra conoscenza dell'alterità o dualità è reale. Inoltre, poichétutta la nostra esperienza della dualità è reale, in relazione allanostra mente, ogni singolo elemento nella nostra esperienza didualità è anche reale in relazione ad alcuni altri elementiindividuali. Tuttavia, se un particolare elemento può essere realein relazione ad alcuni altri elementi, può sembrare irreale, inrelazione a vari altri elementi.

La realtà o irrealtà di tutto ciò che sperimentiamo nel regnodella dualità è quindi relativa. Ad esempio, in un sogno possiamosentire la fame, e se mangiamo un po' di cibo in quel sogno lanostra fame sarà placata. Anche se né la fame né il cibo cheabbiamo mangiato erano assolutamente veri, erano entrambi realiin relazione a ciascun altro, e anche in relazione alla nostra mente,che li ha sperimentati entrambi nello stesso stato di sogno.

Poiché il cibo del sogno era reale come la nostra fame nelsogno, era in grado di accontentare, o meglio dare origine a un

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senso di sazietà, che era reale come il nostro ex senso di fame.Tuttavia, poco prima di manifestare quel sogno, si puòeffettivamente aver mangiato un pasto completo nello stato diveglia. A proposito della nostra pancia piena che noi abbiamosperimentato prima di addormentarci, la fame che abbiamosperimentato in sogno era irreale.

Ma la nostra mente aveva dimenticato il pasto completo cheaveva appena goduto nello stato di veglia, cosicché la fame chesentiva in sogno sembrava essere reale. Anche se la realtà di ciòche viviamo in uno stato può negare la realtà di quello cheabbiamo vissuto in un altro stato, non si può dire che uno stato siapiù reale rispetto agli altri. Solo perché ci siamo sentiti veramenteaffamati in sogno, non possiamo concludere che non avevamodavvero una pancia piena nello stato di veglia. Il motivo per cui ledue serie di realtà, che sembriamo vivere in questi due stati,sembrino contraddirsi a vicenda è che il corpo che ciimmaginiamo di essere in uno stato è diverso dal corpo cheimmaginiamo di essere noi stessi in un altro stato.

Rispetto al nostro corpo di veglia, la nostra sensazione dipienezza è reale, ma rispetto al nostro corpo di sogno, la nostrasensazione di fame è altrettanto vera. Ciò che sperimentiamo inognuno di questi stati è altrettanto reale di quello che abbiamosperimentato nell'altro, ma nessuno dei due è la realtà assoluta. Lanostra mente, che prende una serie di esperienze come reali in unostato, fa un'altra serie di esperienze che considera reali in un altrostato.

Poiché la realtà che viviamo nella veglia e la realtà chesperimentiamo in sogno sono entrambe solo forme relative direaltà, nessuna di loro può permanentemente e definitivamentestabilire l'irrealtà degli altri. Nella veglia possiamo pensare chenoi conosciamo le nostre esperienze in sogno come irreali, ma benpresto ci illuderemo di nuovo scambiando un altro sogno comereale. Tuttavia per quanto intelligenti possiamo pensare di essere,la nostra mente ci illuderà sempre e ci farà scambiare la nostra

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immaginazione come reale.Non solo la realtà che viviamo nella veglia non riesce a

convincerci definitivamente che la realtà che sperimentiamo insogno è irreale, e viceversa, ma in realtà questi due insiemi direaltà hanno un effetto molto opposto. Cioè, entrambi servonosolo a riconfermare la realtà della nostra mente, e così facendociascuno di essi rafforza l'illusione di base che ci fa sentire chequalsiasi stato la nostra mente viva normalmente sia reale. Fino aquando sperimentiamo la nostra mente come reale, non possiamoche sperimentare qualunque cosa che stiamo conoscendo permezzo della nostra mente come ugualmente reale.

Solo in contrasto con qualche altra esperienza che la nostramente può sperimentare più tardi, si sarà allora in grado diconcludere che quello che si stava sperimentando era irreale. Lanostra mente avrà sempre la sensazione che ciò che sta vivendoora è più reale di quello che ha vissuto nel passato o sperimenteràin futuro. Il momento presente nel tempo è sempre vissuto dallanostra mente come relativamente il momento più reale, e ognialtro momento è sentito relativamente meno reale.

Pertanto, poiché sentiamo sempre che il nostro attuale gruppodi esperienze è reale, quando siamo svegli sentiamo sempre che lenostre attuali esperienze di veglia sono reali, mentre quandostiamo sognando sentiamo sempre che le nostre attuali esperienzeoniriche sono reali. Poiché la nostra mente è la causa principaleche rende tutte le nostre relative esperienze reali, e poiché lenostre esperienze sia nella veglia che nel sogno rafforzano larealtà apparente della nostra mente, nulla di ciò chesperimentiamo in uno di questi due stati, tranne naturalmente lanostra permanente coscienza di base 'Io sono', ci può consentire discoprire con assoluta chiarezza e certezza la irrealtà di tuttal'esperienza relativa.

Solo nel reale, assoluto e non duale stato di vera conoscenza disé tutta la conoscenza relativa sarà dissolta permanentemente.Cioè, possiamo sapere per certo che la nostra mente e tutto ciò che

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sperimenta sia nella veglia che nel sogno, sono del tutto irrealisolo quando effettivamente sperimentiamo la realtà assoluta dellanostra coscienza essenziale di essere, 'Io sono'. Fino a quando nonsperimentiamo la realtà assoluta del nostro sé essenziale,continueremo a sperimentare la nostra mente e la sua conoscenzadella dualità e dell'alterità come reale.

Tuttavia, anche se li sperimentiamo come se fossero reali, né lanostra mente né nulla conosciuto da essa, tranne 'Io sono', èassolutamente vero. Pertanto, la realtà della nostra mente e di tuttala dualità e alterità che sperimentiamo è solo relativa.Relativamente alla nostra mente o coscienza individuale, questomondo è reale. Se è reale, tutto ciò che esiste è altrettanto reale,comprese tutte le persone e le innumerevoli altre creaturesenzienti, e tutte le loro varie azioni ed esperienze.

Tuttavia, anche se essi sono reali, nessuna di queste cose èassolutamente reale, ma sono solo relativamente reali. Sono infattisolo frutti della nostra immaginazione, ma questo non li rendemeno reali della nostra mente, che li immagina e simultaneamenteli sperimenta, perché anche la nostra mente è solo frutto dellanostra immaginazione. In un sogno immaginiamo non solo ilmondo dei sogni, ma anche la persona che vive il mondo chesogna. A differenza di uno spettacolo di cinema, in cui glispettatori non sono in realtà i partecipanti al dramma che stannoguardando, ma sono assolutamente distinti da essa, in un sogno,non siamo solo lo spettatore, ma anche un partecipante che èintimamente coinvolto nel dramma che stiamo vivendo.

Noi non viviamo un sogno come un estraneo che osserva, macome un membro interno che è in realtà una parte del mondo deisogni. In un sogno cessiamo di essere la persona che eravamonello stato di veglia, che presumibilmente giace addormentata inun letto, e diventiamo un'altra persona, un altro corpo che èimpegnato in varie attività ed esperienze in un altro mondoimmaginario. Il mondo immaginario che è vissuto in un sogno èreale come l'immaginaria persona che lo vive.

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Finché stiamo sognando, scambiamo erroneamente questapersona per noi stessi, ma quando ci svegliamo ci rendiamo contoche lui o lei era solo un prodotto della nostra immaginazione.Analogamente, nel nostro presente stato di veglia, abbiamoimmaginato non solo questo mondo, ma abbiamo ancheimmaginato questa persona che vive in questo mondo.

Questo mondo è quindi reale come questa persona, che noiscambiamo, errando, per noi stessi finché rimaniamo in questostato di veglia. In sogno smettiamo di confondere questa personaimmaginaria di essere noi stessi, invece scambiano qualche altrapersona immaginaria essere noi stessi, e nel sonno profondosmettiamo di confonderci di essere qualsiasi persona immaginaria.

Anche se la persona immaginaria che per errore scambiamo diessere noi stessi nella veglia e la persona immaginaria del sognoche scambiamo come noi stessi, sono essenzialmente la stessapersona, poiché è la nostra stessa mente che in ciascuno di essisperimenta un corrispondente mondo, si parla di loro come sefossero due persone diverse per due motivi strettamente connessi.

In primo luogo, e ovviamente, il corpo che consideriamo noistessi in un sogno non è lo stesso corpo che scambiamo come noistessi in questo stato di veglia. In secondo luogo, in un sogno nonsolo identifichiamo noi stessi con un altro corpo immaginario, maanche, di conseguenza identifichiamo noi stessi con le esperienzeche subiamo in quel corpo, mentre quando ci svegliamo, cessiamodi identificare noi stessi sia con quel corpo che con quelleesperienze.

Ad esempio, in sogno forse abbiamo sentito, 'ho fame', manella veglia pensiamo, 'io non ero veramente affamato'. In sognopossiamo aver sentito di essere ferito, ma nella veglia pensiamo,'non ero davvero ferito'. Così in ogni stato ci dissociamo sia dalcorpo sia dalle esperienze della persona che abbiamo scambiatoper noi stessi in un altro stato, e così facendo in effetti neghiamola realtà della persona che ha sperimentato quell'altro stato. Inquesti due stati, veglia e sogno, sperimentiamo due distinte e

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insieme indipendenti realtà relative, e ciascuno di questi insiemi direaltà relativa include una persona distinta e indipendente che noiscambiamo come noi stessi.

Quando ci svegliamo da un sogno, permettiamo alla relativarealtà di questo stato di veglia di soppiantare e sostituire la relativarealtà di quel sogno. Analogamente, quando cominciamo asognare, permettiamo alla relativa realtà di quel sogno disoppiantare e sostituire la relativa realtà di questo stato di veglia.

Pertanto quando ci svegliamo da un sogno, nel quale la personache scambiavamo come noi stessi era affamata o ferita, e quandoritroviamo {nella veglia} la persona che ora scambiamo per noistessi di essere senza fame né è ferita, permettiamo alla relativarealtà di questa persona di veglia di soppiantare e sostituire larelativa realtà di quella persona del sogno, e quindi pensiamo che'non avevo veramente fame' o 'io non ero davvero ferito'.

La persona che non ha fame ed è illesa del nostro presente statodi veglia non è più reale della persona ha fame o ferita del nostrostato di sogno, ma poiché ora confondiamo questa persona dellaveglia come noi stessi, lui o lei ci appare essere più reale dellapersona che abbiamo scambiato come noi stessi nel sogno.

Esattamente la stessa cosa accade quando cominciamo asognare. La persona affamata che scambiamo di essere noi stessinel nostro sogno non è più reale della persona che abbiamoscambiato per noi stessi in stato di veglia, che era appena andato aletto con la pancia piena. Tuttavia, poiché nel nostro sognoscambiamo quella persona affamata come noi stessi, in quelmomento lui o lei sembrano a noi essere più reali della personache abbiamo scambiato come noi stessi nello stato di veglia, equindi la realtà della sua fame sostituisce la realtà della panciapiena della persona della veglia.

La persona che ora noi stessi ci illudiamo di essere e la personache abbiamo scambiato noi stessi di essere nel nostro sogno sonoentrambe frutto della nostra immaginazione, e sono quindientrambi ugualmente irreali. Tuttavia, nel momento in cui

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abbiamo effettivamente esperienza di ognuna di queste personecome noi stessi, quella persona e le sue esperienze sembranoessere del tutto reali, mentre l'altra persona e le sue esperienzesembrano essere del tutto irreali. Pertanto, il giudizio che noi oradiamo in questo stato di veglia sulla realtà della nostra esperienzapresente e la irrealtà della nostra esperienza di sogno è unilateralee quindi scorretto.

Tuttavia, continuiamo a mantenere questo giudizio di parte eprevenuto a favore della realtà della nostra esperienza presente inquesto stato di veglia solo finché ci illudiamo che questa personadella veglia sia noi stessi. Non appena cominciamo a scambiarequalche altra persona come noi stessi in sogno, concepiamo ungiudizio altrettanto parziale e ingiusto a favore della realtà dellanostra esperienza in questo nuovo stato.

Ad esempio, in un sogno potremmo incontrare un amico cheera morto molti anni prima nel nostro stato di veglia, e anche sepossiamo essere sorpresi di vedere che l'amico è vivo, ci sentiamoperò felici di poter parlare con lui e dirgli tutto quello che èsuccesso nella nostra vita dal nostro ultimo incontro. Anche seabbiamo ricordato che sarebbe dovuto essere morto molto tempofa, ora che possiamo effettivamente vederlo, non siamo in grado didubitare della sua realtà presente, e così ci sentiamo convinti chela nostra memoria del suo essere morto non è in qualche modo deltutto corretta. In questo modo, il nostro giudizio di realtàprediligerà sempre qualunque stato nel quale stiamo ora vivendo.

Il motivo per cui sentiamo sempre il nostro stato presente comereale è che in questo specifico momento scambiamo questaparticolare persona che non solo sta sperimentando ma anchepartecipando in questo stato attuale, come noi stessi.. Noi nonpossiamo non sentire che ciò che scambiamo essere noi stessi èreale. In un sogno, poiché confondiamo la persona del sogno connoi stessi, non possiamo non illuderci che lui o lei sia reale, epertanto scambiamo tutte le sue esperienze come esperienze reali.

Lo stesso accade in questo stato di veglia. Poiché ora

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scambiamo questa persona sveglia come noi stessi, non possiamonon scambiamo lui o lei come reale, e quindi illuderci che tutte leloro esperienze siano reali. Pertanto, se analizziamo le nostreesperienze nella veglia e nel sogno con attenzione e senzaparzialità, dovremo concludere che le nostre esperienze di veglianon hanno più diritto alla realtà che le nostre esperienze oniriche.

Entrambe sono relativamente reali mentre noi lesperimentiamo, anche se ognuna di esse sembra essere irrealementre stiamo vivendo l'altro stato. Ciascuna è solo realerelativamente alla persona che le sperimenta e che in quelmomento ci illudiamo sia il nostro vero sé. Tuttavia, anche seciascuna sembra essere reale dal punto di vista della persona chele sperimenta, entrambe sono in realtà semplici prodotti dellanostra immaginazione.

Ciò che dà a tutte le nostre esperienze immaginarie, una realtàapparente è solo la realtà effettiva di noi stessi. Le nostreesperienze sembrano essere tutte reali mentre noi lesperimentiamo perché sono vissute da noi. Qual'è l'effettiva realtàdi noi stessi, che noi sperimentiamo? Noi le sperimentiamo comeuna persona, e quella persona è una parte della nostra esperienzaimmaginaria. Quale realtà ha quella persona immaginaria? C'èsolo un elemento di realtà effettiva in quella persona immaginaria,ed è la nostra coscienza essenziale di essere, 'Io sono'. Poichésentiamo che 'io sto vivendo questo', qualunque cosa noisperimentiamo appare essere reale.

Tuttavia, anche se la nostra semplice coscienza 'Io sono' èassolutamente reale, la nostra coscienza composita 'io sto vivendo'è irreale. Cioè, è irreale nel senso che non è assolutamente reale.Si tratta di una semplice immaginazione, un'apparizionetransitoria, che appare in un momento e scompare in un altromomento. Inoltre, non solo il suo apparire è transitorio, ma apparesolo dal suo punto di vista, e non dal punto di vista della nostrasemplice coscienza libera da attributi {aggiunte-forme} 'Io sono'.

Dal punto di vista di questa semplice coscienza di sé 'Io sono':

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solo 'Io sono' esiste. Oltre a questa semplice e basilare coscienza'Io sono', tutto è immaginazione, ed è sperimentato solo dallacoscienza immaginaria che immagina 'io sto vivendo esperimentando' { io sto facendo esperienze}.

Questa coscienza immaginaria 'io sto sperimentando' è lanostra mente, che è ciò che diventa una persona in uno stato eun'altra persona in un altro stato. Questa coscienza immaginarianon può rimanere senza diventare una persona, perché ha bisognodi limitarsi come una forma immaginaria per essere in grado diimmaginare e sperimentare cose diverse da sé.

La forma di base con la quale limita sempre se stessa è uncorpo fisico, che immagina di essere se stessa, e attraverso icinque sensi del corpo immaginario sperimenta un mondoimmaginario. La coscienza composita che sorge quando ciimmaginiamo 'io sono questo corpo' è ciò che costituisce lapersona che diventiamo. In ogni stato di esperienza dualistica,cioè, in ciascuno dei tanti sogni che sperimentiamo, di cui ilnostro attuale stato di veglia ne è uno, noi diventiamo unapersona, che è una parte intima di quello stato dualistico, e che èquindi interamente coinvolta nella realtà apparente di tutto ciò cheegli sperimenta in quello stato. Poiché tutto ciò che sperimentiamoin qualsiasi stato di dualità, è un prodotto della nostraimmaginazione, la persona immaginaria che scambiamo per noistessi ogni volta che sperimentiamo un tale stato non è più reale diqualsiasi altra persona o cosa immaginaria di cui facciamoesperienza in quello stato. L'unica cosa di questa personaimmaginaria che la distingue da tutte le altre persone immaginariein quello stato è che la nostra esperienza di questa personaimmaginaria è mescolata e confusa con la nostra coscienza 'Iosono', e quindi ci sentiamo 'io sono questa persona che stavivendo tutto questo'. Poiché quindi ci immaginiamo di esserequesta persona che sperimenta, che è una parte del mondo chestiamo vivendo in questo stato, si diventa coinvolti e intrappolatinella realtà apparente di tutto ciò che stiamo quindi vivendo.

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Cioè, poiché confondiamo la nostra coscienza essenziale 'Iosono' con questa persona immaginaria, che sembra vivere lo statoattuale, noi ci illudiamo che lui o lei siano reali. E poichéattribuiamo la realtà a questa persona che sta facendo esperienza,così attribuiamo lo stesso grado di realtà a tutto ciò che lui o leista vivendo.

Pertanto, sebbene tutto quello che sperimentiamo è altrettantoreale quanto questa persona che sta facendo esperienza, che noiimmaginiamo essere noi stessi, tutto ciò che sperimentiamo derivala sua realtà apparente solo da questa persona che sperimenta, chea sua volta deriva la sua apparente realtà solo dalla nostrafondamentale coscienza del sé 'Io sono'. In un sogno a voltepossiamo pensare che stiamo solo sognando, ma anche allora nonsiamo in grado di cambiare ciò che stiamo vivendo in quel sogno.

Poiché il sogno è la nostra immaginazione, perché nonpossiamo immaginarlo in qualsiasi modo lo desideriamo? Laragione è che noi che vogliamo cambiare questa esperienzaimmaginaria siamo una parte di essa. Poiché abbiamo immaginatodi essere una persona che non solo sta sperimentando un mondoimmaginario, ma che è anche una parte di tale mondoimmaginario, siamo, in effetti, diventati un parto della nostraimmaginazione. Essendo una parte del sogno che abbiamoimmaginato, siamo impotenti per cambiarlo.

Il nostro potere dell'immaginazione è così intenso e vivace cheogni volta che immaginiamo qualcosa, siamo irretiti dalla nostraimmaginazione. Poiché noi che sperimentiamo la nostraimmaginazione non siamo in grado di controllarla, chi o cosa lacontrolla? Sta accadendo casualmente, o è controllata in qualchemodo? Anche se spesso appare esserci un certo disordine ecasualità negli eventi che sperimentiamo in un sogno, almeno nelnostro mondo della veglia sembra ci sia un alto grado di ordine eregolarità.

Qual è il potere o la forza di controllo che regola tutti gli eventiche sperimentiamo in questo mondo immaginario che stiamo ora

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vivendo? Chiaramente non siamo noi come individui, perchéessendo una parte di questo mondo immaginario siamo soggettialla regola con cui è in esecuzione. Noi non possiamo cambiarequesto mondo a volontà, così come non possiamo cambiare ilnostro mondo di sogno a volontà. Anche se il mondo in cuiviviamo è un prodotto della nostra immaginazione, comeindividuo di questo mondo non siamo in grado di regolare l'ordinecon il quale è in esecuzione.

Pertanto, il potere che sta regolando questo mondoimmaginario è separare da questo individuo che ora immaginiamodi essere. Cos'è quindi quel potere? È forse il nostro vero sé? No,non può essere, perché il nostro vero sé è solo essere, e nonconosce null'altro che il semplice essere. Il nostro vero sé è solo lanostra coscienza essenziale di essere, 'Io sono', e poiché conoscesolo il proprio essere, dal suo punto di vista non c'èimmaginazione o qualsiasi prodotto della fantasia.

Poiché è infinito, indiviso e non duale, esso solo esisteveramente, e per esso non vi è altro da conoscere oltre se stesso.Cioè, il nostro sé reale è la realtà assoluta, e come tale non hafunzioni, ma è solo il substrato, il sostegno e unica vera sostanzadi questa mondo della relatività e della dualità. Poiché non siamonoi come mente individuale, né noi come nostro vero sé, il potereche regola tutto ciò che immaginiamo sembra sia qualcosa diseparato da noi.

Quel potere apparentemente separato è quello che noicomunemente chiamiamo 'Dio'. Anche se Dio sembra essereseparato da noi, la sua separazione esiste solo nella visionelimitata e distorta della nostra mente. Nella vista illimitata di Dio,né noi né questo mondo siamo separati da lui, ma siamo soloforme distorte del proprio essere essenziale. In realtà, Dio non èaltro che il nostro vero sé, ma ciò che apparentemente lo distinguedal nostro vero sé è la sua funzione.

La funzione del nostro sé reale è quella di essere, mentre lafunzione di Dio è di regolare l'intero mondo della nostra

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immaginazione. Poiché ha questa funzione di regolare o digovernare tutto questo mondo, Dio è, in effetti, un'entità o essereche è separata sia dal mondo sia da noi come individui. In realtà,né questo mondo, che noi immaginiamo di sperimentare attraversoi nostri cinque sensi, né Dio, che regola esattamente ciò chesperimentiamo in questo mondo, sono separati da noi, cioè, dalnostro vero sé.

Tuttavia, poiché noi stessi ci siamo separati come una mentefinita o coscienza individuale, il mondo e Dio sembrano essereseparati da noi. Pertanto, la causa principale della separazioneapparente o divisione che sperimentiamo tra noi stessi, il mondo eDio è la nostra immaginazione di base che siamo una coscienzaindividuale separata. In uno stato privo di forma, non può esserciseparazione, quindi siamo in grado di separare noi stessi soloimmaginando noi stessi come una forma.

Poiché noi immaginiamo di essere una forma distinta, anchetutte le altre forme che sono separate da noi sembrano esistere.

La forma di base che immaginiamo noi stessi è il nostro corpofisico, ma immaginandoci come questo corpo, facciamo anchesorgere una forma più sottile, vale a dire la nostra mente, che è lacoscienza individuale che si sente come 'io sono questo corpo', equindi sentiamo come noi stessi anche questa più sottile forma.Così la forma che ci distingue come una persona fisica è unaforma composta costituita dalla forma fisica del corpo e la formasottile di questa mente {o anima}. Immaginando questa formacomposta come noi stessi, apparentemente ci dividiamo osepariamo dalla nostra realtà assoluta, il nostro vero sé senzaforma, infinito e indivisibile vero sé; avendo quindi separato noistessi quindi, sperimentiamo il nostro sé {relativo} come altre dueentità fondamentali, vale a dire il mondo e Dio. Poichéimmaginiamo il mondo e Dio separati da noi, immaginiamo chesiano forme come noi. Pertanto, nel versetto 4 di 'UḷḷaduNāṟpadu', Sri Ramana dice:

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“Se siamo una forma, il mondo e Dio sarannoaltrettanto. Se non siamo una forma, chi potrebbevedere le loro forme, [e] come? Può la vista[qualunque cosa si vede] essere diversa dall'occhio [lacoscienza che lo vede]? Noi, quell'occhio [lacoscienza senza forma 'Io sono'], siamo l'occhio senzalimiti [la coscienza infinita]”.

La forma in cui questo mondo esiste nella nostraimmaginazione è una forma fisica, come il nostro corpo fisico, ela forma in cui Dio esiste nella nostra immaginazione è una formapiù sottile, come la nostra mente. Così come non possiamo vederela nostra mente come un'entità fisica, non possiamo vedere Diocome un'entità fisica, ma questo non significa che egli non ha unaforma. Anche se non possiamo vedere la sua forma nello stessomodo in cui vediamo la forma fisica di questo mondo, egli non èper questo meno reale che questo mondo.

Proprio come la nostra mente è l'anima che anima la formafisica del nostro corpo, così Dio è l'anima che anima la formafisica di tutto il mondo {universo}. Noi non possiamo vedere lamente nel corpo fisico di un'altra persona, ma dal comportamentodi quel corpo fisico siamo in grado di dedurre che una mente èpresente all'interno di esso. Allo stesso modo siamo in grado didedurre la presenza di Dio in questo mondo, anche se nonpossiamo vederlo.

Proprio come la nostra mente è una forma sottile e intangibile,una forma che si sperimenta come il nostro primo pensiero 'io',così Dio è anche una forma sottile e intangibile, una forma chepossiamo sperimentare solo come un pensiero, un concetto, unacredenza o un'immagine mentale. Tuttavia, proprio perché laforma di Dio come noi lo conosciamo è solo un pensiero oimmagine mentale, ciò non significa che egli è irreale. Comeforma o essere separato, Dio è reale come questo mondo e come ilnostro sé individuale.

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Anche le forme fisiche del nostro corpo e di tutto il mondosono in realtà solo pensieri o immagini mentali, ma ciò nonsignifica che essi siano irreali. Il nostro sé individuale, il mondo eDio sono tutti pensieri, e come tali sono reali, ma solorelativamente reali. Come entità separate, nessuno di loro è unarealtà assoluta, ma sono ciascuno una realtà relativa. Il mondo eDio sono reali come la nostra mente, la nostra coscienzaindividuale, che sperimenta entrambi come immagini mentali.

Come immagini mentali distinte, non solo il mondo e Dio, maanche il nostro io individuale o mente esiste solo nella nostraimmaginazione. Appena immaginiamo noi stessi come unindividuo separato, il mondo e Dio arrivano in esistenza comeentità separate. La realtà di ognuna di queste tre entità di base èinseparabile dalla realtà delle altre due. Anche se tutti e tre sonoimmaginari, fintantoché si sperimenta l'esistenza di noi stessicome un individuo, dovremo anche sperimentare l'esistenza delmondo e di Dio. Come dice Sri Ramana nel settimo paragrafo di'Nan Yar?', che abbiamo discusso nel capitolo precedente:

“Ciò che realmente esiste è solo atma-svarùpa[nostro sé essenziale]. Il mondo, l'anima e Dio sonokaṯpaṉaigaḷ [immaginazioni, creazioni mentali ofabbricazioni] in esso [il nostro sé essenziale], è come[l'immaginario] argento [che vediamo] in unaconchiglia. Questi tre [elementi fondamentali direlatività o dualità] appaiono allo stesso tempo escompaiono allo stesso tempo. [Il nostro] svarùpa [lanostra 'propria forma' o sé essenziale] solo è ilmondo; [Il nostro] svarùpa solo è 'io' [la nostra mente,o sé individuale]; [il nostro] svarupa solo è Dio; tutto èsiva-svarùpa [il nostro sé essenziale, che è siva,l'assoluto e la realtà unica veramente esistente]”.

Pertanto, se Dio come entità separata è solo un parto della

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nostra immaginazione, egli è comunque reale come questomondo, e anche reale come la nostra mente, che lo immaginaseparato da se stesso. Fintantoché sperimentiamo la nostra mentecome se fosse reale, non possiamo negare la relativa realtà di Dio.

Poiché egli è il potere infinitamente sottile che regola tutto ciòdi cui abbiamo esperienza in questo o qualsiasi altro mondo, egli èreale come qualsiasi altra cosa di cui abbiamo esperienza. Comeabbiamo visto in precedenza, la funzione di Dio è di regolare ogovernare questo mondo e tutti gli individui in esso. La suafunzione generale di governare tutto quest'universo comprendemolti aspetti o sub-funzioni, tra cui varie funzioni materiali comegarantire che tutti gli oggetti fisici in quest'universo obbediscanoalle varie 'leggi della natura', le leggi della matematica, fisica,chimica, biologia e così via.

Tuttavia, la sua più importante e significativa funzione è quellapiù sottile, che è quella di dare la sua 'grazia' o 'benedizione' atutte le anime individuali in modo tale da guidarci verso e lungo ilsentiero che conduce alla 'salvezza' o vera conoscenza di sé.Questa funzione di conferire grazia include ordinare l'ora, il luogoe il modo in cui ciascuno dei 'frutti' o conseguenze di tutte lenostre passate azioni dovrebbero essere sperimentati da noi. Noigeneriamo questi 'frutti' col pensiero, le parole e le azioni, cioè,usando il nostro libero arbitrio per eseguire karma o azioniattraverso la nostra mente, la parola e il corpo.

Tutte queste azioni che compiamo così col nostro liberoarbitrio sono guidate dalla forza dei nostri desideri. Quando inostri desideri sono forti e noi non li teniamo sotto controllo,s'infuriano selvaggiamente come i pensieri nella nostra mente e cispingono a parlare e agire avventatamente, egoisticamente e senzapreoccupazione per gli effetti che le nostre parole e le azioniavranno sugli altri. Tali pensieri egoisticamente motivati, le parolee le azioni sono 'cattivo karma' o 'peccati', e da tali peccatigeneriamo cattivi 'frutti', che in seguito dovremo vivere come unaqualche forma di sofferenza o dolore.

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Quando controlliamo i nostri desideri e li modelliamo con ladovuta preoccupazione per le altre persone e creature, noipenseremo, parleremo e agiremo con più attenzione e conmaggiore compassione, non volendo causare alcun danno aqualsiasi altro essere vivente. Tali azioni della mente, della parolae del corpo che eseguiamo con la dovuta cura e vera compassionesono 'buoni karma', da cui si generano buoni 'frutti', che verrannoin seguito vissuti come una qualche forma di piacere.

Buoni desideri portano a buone azioni, che a sua volta dannobuoni 'frutti', mentre cattivi desideri portano a cattive azioni, che aloro volta producono cattivi 'frutti'. La quantità di 'frutti' chegeneriamo è determinata dalla forza dei nostri desideri. Che sitratti di buoni desideri o cattivi desideri, o come di solito è il caso,una miscela di entrambi, se i nostri desideri sono forti si generano'frutti' rapidamente. Noi possiamo evitare la generazione di nuovi'frutti' solo cedendo la nostra volontà a Dio, cioè, rinunciando atutti i nostri desideri, buoni e cattivi.

Tuttavia, poiché i nostri desideri sono generalmente molto forti,di solito generano nuovi 'frutti' ad una velocità molto maggiore diquanto siamo in grado di sperimentarli. Così in ogni singola vitageneriamo ben più 'frutti' di quanti se ne potrebbero scontare inuna singola vita, quindi durante il corso di molte vite abbiamoaccumulato un'ampia riserva di 'frutti' che dobbiamo ancorasperimentare. Anche se i nostri desideri sono ora notevolmenteridotti grazie ai nostri sforzi per cedere la nostra volontà e cederenoi stessi alla volontà di Dio, ci sarà ancora una vasta scorta di'frutti' che abbiamo accumulato come risultato dei nostri passatidesideri.

Dal vasto magazzino dei 'frutti' delle nostre azioni passate chenon abbiamo ancora sperimentato, Dio è in grado di selezionarecon attenzione i 'frutti' che saranno più vantaggiosi per noi dasperimentare adesso, e lui ordina quindi che quei 'frutti' sianovissuti da noi come nostro destino o fato nella presente vita. I'frutti' che destina di sperimentare ora sono quelli che saranno più

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favorevoli per lo sviluppo della nostra maturità spirituale, cioè persuscitare nella nostra mente la chiarezza di discriminazione che cipermetterà di liberare noi stessi dai nostri desideri, le paure e gliattaccamenti, e di sviluppare il vero amore solo per essere.

Poiché tutto ciò che sperimentiamo è il nostro destino, e poichéil nostro destino è quei 'frutti' delle nostre azioni passate che per ilnostro bene più grande Dio ha attentamente selezionato e ordinatoa noi di provare ora; qualunque cosa ci capiti di sperimentare èveramente la 'volontà di Dio'. Tutte le qualità divine di Dio chesono descritti dalle nostre varie religioni sono vere. La cosa piùimportante è che egli è tutto amore, onnisciente e onnipotente.Poiché lui è onnisciente o che tutto conosce, nulla può accadere inquesto mondo che egli non conosca.

Poiché lui è onnipotente o che può tutto, nulla può succedere inquesto mondo senza il suo consenso. E poiché egli è tutto amore,o meglio, poiché è l'amore in sé, nulla può accadere in questomondo che non sia per il bene ultimo di tutti gli interessati. Tuttoquesto è vero, ma solo vero come la nostra esistenza comecoscienza individuale separata. Se siamo reali come un individuoseparato, allora Dio e tutte le sue qualità divine sono anche reali.In altre parole, fino a quando non raggiungiamo la veraconoscenza del se e quindi ci fondiamo nel nostro vero sé,perdendo la nostra separata individualità, Dio esisterà comeseparato essere tutto amore, onnipotente e onnisciente, e lui saràsempre guida e aiuto nei nostri sforzi per conoscere noi stessi.

Tuttavia, quando finalmente conosciamo il nostro vero sé e cosìdiventiamo liberi dall'illusione di essere un individuo separato,anche Dio cesserà di esistere come essere separato, e sarà invecevissuto da noi come nostro vero sé. Come essere separato, Dio èreale, ma solo relativamente reale. Fintantoché immaginiamo chelui sia separato da noi, non può in quanto tale, essere l'assolutarealtà, che è infinita e quindi non separata da nulla. Tuttavia, lasua separazione da noi è reale solo nella visione limitata e distortadella nostra mente. Nella sua vera natura o essere essenziale, Dio

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è sempre uno con il nostro essere essenziale, così quandosperimentiamo il nostro essere essenziale come realmente è,scopriamo che Dio è il nostro vero sé, e che come tale egli è larealtà assoluta. Finché sentiamo di essere una persona, unindividuo distinto e finito, abbiamo la tendenza a considerare Diocome una sorta di persona, non una persona limitata come noistessi, ma in qualche modo una persona.

Noi crediamo che Dio sia infinito, ma comunque loconsideriamo una persona. Come possiamo conciliare questacontraddizione evidente, e ciò che è la base di questo quasiuniversale concetto di Dio? Come può Dio essere sia l'infinitapienezza di essere ed anche un qualche tipo di persona, anche se siconsidera che la persona sia la 'Persona Suprema'? Se egli èveramente infinito, non può essere una persona di qualsiasi tipo,perché una persona è per definizione un individuo finito, un esseredistinto e separato.

Cosa poi dobbiamo dedurre dal fatto che abbiamo questa ideaconfusa di un infinito che è anche un Dio personale? Questo nonindica forse che nessuno dei nostri concetti di Dio è in realtà unarappresentazione adeguata della sua vera natura, perché in realtàlui trascende ogni concezione umana? È vero che Dio è infinito,ma come tale non può essere separato sia da noi stessi sia daqualsiasi altra cosa.

Poiché egli è l'infinita pienezza di essere, egli è l'insieme checomprende tutte le cose in sé, e come tale è l'essenza di ogni cosa.Tuttavia, finché non sperimentiamo il suo infinito essere come ilnostro vero sé, la nostra vera essenza, ci illuderemo di essere unapersona finita, e questa visione sbagliata di noi stessi distorcerà lanostra concezione della realtà infinita che chiamiamo Dio,facendoci sentire che lui è in qualche modo separato da noi.

Poiché ci illudiamo di essere qualcosa di separato dalla realtàinfinita che chiamiamo Dio, in relazione a questa visione erroneadi noi stessi e di Dio, abbiamo forse qualche motivo valido perconsiderare Dio essere una persona? È forse il nostro concetto di

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un Dio personale anche un'approssimazione remota sulla veritàdella sua natura? Per quanto possa sembrare sorprendente, lanostra concezione di Dio come una persona in realtà ha una baseragionevole e valida nella realtà.

Che cosa è questa base? La realtà ultima di Dio è che egli è ilnostro vero io, il nostro essenziale essere. Come abbiamo visto inprecedenza, una caratteristica intrinseca di noi stessi è cheamiamo noi stessi e amiamo la felicità, perché la felicità è lanostra vera natura. Quando rimaniamo come siamo realmente,cioè come il nostro puro essere cosciente di sé, privo di ogni 'fare'e di ogni dualistico 'conoscere', sperimentiamo la perfetta felicità,poiché il nostro essere essenziale, che è la nostra non dualecoscienza di essere priva di aggiunte, è di per sé l'infinita pienezzadella felicità.

Tuttavia, quando immaginiamo noi stessi come una personafinita, siamo apparentemente separati dalla felicità infinita che è ilnostro vero essere, e quindi diventiamo inquieti, bramosi disperimentare ancora una volta quella infinita felicità. Il nostrodesiderio di essere felici è inerente non solo a noi come individuo,ma anche a noi come coscienza infinita e non duale di essere.L'amore è in realtà la nostra vera natura il nostro essere essenziale.

Non possiamo nemmeno per un momento rimanere senzal'amore per la felicità, perché siamo quell'amore. Il nostro esserecosciente di sé e perfettamente felice è amore infinito, poiché lafelicità e l'amore sono inseparabili. Amiamo tutto ciò che ci rendefelici, e siamo felici di sperimentare tutto ciò che amiamo.L'ultima felicità sta nel vivere ciò che amiamo di più, che è noistessi: il nostro vero essere conscio di sé.

Quando immaginiamo di essere una persona finita, siamoapparentemente separati da Dio, che in realtà non è altro che ilnostro vero essere, che è perfetta pace e felicità assoluta. Che losappiamo o no, il nostro amore per la felicità è amore per Dio,perché 'Dio' è un nome che diamo all'infinita felicità che tutti noicerchiamo. Poiché Dio è in verità il nostro vero sé, egli ci ama

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come se stesso, e il suo volere o 'desiderio' è che dovremmoessere perfettamente felici. Poiché ama ogni essere vivente comese stesso, e poiché egli desidera che tutti siano infinitamente felicicome egli è, tutte le religioni insegnano la verità fondamentale cheDio è amore.

Poiché ognuno di noi sente di essere un essere umano, nonpossiamo evitare il pensiero dell'amore di Dio in terminiantropomorfi. A causa della nostra illusa esperienza di noi stessicome una persona individuale, ci illudiamo che l'amore siaqualcosa di personale, e non siamo in grado di concepire un amoreche è impersonale, o meglio, transpersonale. Quindi, anche se inrealtà l'amore di Dio trascende tutte le forme di limitazione, tra cuila limitazione che è inerente all'amore di una persona per un'altrapersona, non siamo del tutto in errore nel considerare Dio comeuna persona il cui amore abbraccia tutto.

Cioè, dal punto di vista limitato della nostra mente umana,l'amore che Dio ha per ciascuno di noi svolge una funzione in unmodo che è molto simile all'amore tra una persona e un'altra.L'amore che è la vera natura di Dio, e che si manifesta a nostroavviso come amore apparentemente personale per ciascuno di noi,è la base della nostra fede in un Dio personale. Anche se in realtànon è una persona, ma è l'essenziale sostanza e la totalità infinitadi tutto ciò che è, dal punto di vista finito della nostra menteumana, lo fa in effetti agendo come una persona che ha sconfinatoamore per ognuno di noi.

Pertanto, sebbene la nostra fede nella natura apparentementepersonale di Dio può sembrare incompatibile con la verità ultimadella sua natura, vale a dire che egli è l'infinita, indivisibile, nonduale e assoluta realtà, che è il nostro vero sé o essere essenziale;questa incompatibilità superficiale è riconciliata dal fatto che Dionon è soltanto l'essere e la coscienza infinita, ma è anche amoreinfinito. Poiché lui è l'essere infinito, e poiché non vi è quindinulla che sia separata da o diverso da lui, egli è davveroonnipotente.

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Poiché lui è la coscienza o la conoscenza infinita, essendol'ultimo fondamento e la sostanza essenziale di tutte le forme diconoscenza, lui è davvero onnisciente. E poiché è amore infinito,avendo sconfinato amore per tutto come se stesso, egli è davverochi ama tutto. Finché immaginiamo noi stessi come una personaparticolare, l'onnipotente, l'onnisciente e amorevole realtà infinitache chiamiamo 'Dio' sembra funzionare come persona, e quindisiamo in grado di sperimentare un intenso amore personale per lui,anche se possiamo capire la verità che egli è la realtà assolutaimpersonale.

Coltivando tale amore per lui nel nostro cuore, possiamoimparare a cedere la nostra auto-illusa volontà individuale alla suadivina 'volontà', che è il semplice amore solo di essere, e quindisiamo in grado di sintonizzare noi stessi alla sua vera natura dinon duale essere autocosciente. L'amore personale che proviamoper Dio non è per niente un amore unilaterale da parte nostra.Infatti, se è in qualche modo unilaterale, lo è da parte sua e nonnostra, perché il suo amore per noi è infinitamente più grande delnostro amore per lui.

Pertanto, quando coltiviamo l'amore sincero per lui, eglirisponde in modo molto più grande, aiutandoci ad abbandonarciinteramente a lui trainando la nostra mente verso l'interno,stabilendola saldamente nella nostra fondamentale coscienza delnostro essere, 'Io sono', che è la sua vera natura. In verità, però,Dio fa molto di più che rispondere all'amore che sentiamo per lui,perché egli è in realtà responsabile nel suscitare un tale amore nelnostro cuore.

Cioè, poiché è la fonte ultima di ogni amore, qualunque amoreche proviamo per lui proviene solo da lui. Anche se parliamo delnostro rapporto personale con Dio in questa manieraapparentemente dualistica, la dualità che sembra esisterenell'amore tra lui e noi in realtà esiste solo nella prospettivaintrinsecamente dualistica della nostra mente, e non nellaprospettiva intrinsecamente non dualistica del suo vero essere.

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Giacché ci conosce e ci ama come proprio sé essenziale, il suoamore è in verità sempre perfettamente non duale, e quindiassolutamente non personale. Tuttavia, sebbene la verità assoluta èche il suo amore per noi è non duale e non personale; dal relativopunto di vista della nostra mente la natura apparentementedualistica e personale natura del suo amore è del tutto reale. Cioè,il suo amore personale per noi è altrettanto reale quanto la nostraapparente esistenza di individuo separato.

Finché ci illudiamo di essere una persona, l'amore non dualeche Dio ha per noi ci apparirà come un amore personale, anche seè un amore che è infinito. Solo quando rispondiamo al suo infinitoamore abbandonando interamente a lui la nostra mente ol'individualità separata, sacrificandola nella chiarezza del nostroessere cosciente di sé, che è la sua vera essenza, saremo in gradodi sperimentare la vera natura non duale e transpersonale {chesorpassa il personale} del suo amore.

Anche se nella visione limitata e distorta della nostra menteDio appare svolgere determinate funzioni, in realtà è solo essere, equindi non deve fare nulla. Tutte le funzioni che sembra svolgereaccadono a causa della sua semplice presenza, senza di lui inrealtà non si può fare nulla. Questo fatto è spiegatoallegoricamente da Sri Ramana nel paragrafo quindicesimo di'Nan Yar?':

“Proprio come alla mera presenza del sole, che èsorto senza icchā [volere, desiderio, preferenza]saṁkalpa [volontà o intenzione], [o] yatna [sforzo ofatica], una pietra di cristallo [o lente d'ingrandimento]emetterà fuoco, un fiore di loto fiorirà, l'acquaevaporerà, e la gente del mondo s'impegnerà nelle [oinizierà le] rispettive attività, farà [quelle attività] e sifermerà [o cesserà di essere attiva] e [come] di frontea un magnete un ago si sposta, [così gli] jīvas [esseriviventi], che sono catturati ne [lo stato finito

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governato da] muttoṙil [la triplice funzione di Dio,ossia: creazione, sostentamento e dissolvimento delmondo] o pañcakṛtyas [le cinque funzioni di Dio, valea dire la creazione, sostentamento, dissoluzione,occultamento e grazia], che accade a causa dinient'altro che la natura particolare della presenza diDio, si muovono [occupano se stessi, eseguono leattività, fanno sforzo o si sforzano] e si placano[cessare di essere attivi, diventare fermi o dormire] inconformità con i loro rispettivi karma [cioè, inconformità non solo con il loro prārabdha karma odestino, che li spinge a fare qualsiasi azione necessariaper consentire loro di sperimentare le cose piacevoli espiacevoli che sono destinati a sperimentare, ma anchecon i loro karma vāsanās, le loro inclinazioni oimpulsi a desiderare, pensare e agire in modiparticolari, che li costringono a sforzi necessari persperimentare certe cose piacevoli che non sonodestinati a sperimentare, e per evitare certe cosespiacevoli che sono destinati a sperimentare].

Tuttavia, egli [Dio] non è saṁkalpa sahitar [unsoggetto collegato o in possesso di volontà ointenzione]. Neppure un karma aderisce a lui [cioè,non è vincolato o influenzato da alcun karma o azionidi sorta]. Questo è come le azioni sulla terra [le azioniche accadono qui sulla terra] che non aderiscono al [oattaccano il] sole, e [come] le qualità e i difetti deglialtri quattro elementi [terra, acqua, aria e fuoco] noninfluenzano l'onnipervadente spazio”.

Come il sole, la cui sola presenza provoca così tante cose cheaccadono su questa terra, Dio non ha icchā or saṁkalpa, desiderioo intenzione, e quindi non fa mai alcun yatna o tentativo di fare

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qualcosa, ma la sua mera presenza porta tutti gli esseri viventi adagire, ciascuno secondo il proprio destino e le inclinazionipersonali.

Anche se tutto ciò che accade, accade a causa della sua merapresenza, egli rimane completamente inalterato da tutto ciò cheaccade, sia da qualsiasi azione o sia dai suoi effetti. Lui non fanulla, e non è colpito da tutto ciò che sembra essere fatto, perché èpuro essere. Essere è il singolo, non duale, indiviso e infinito statodi 'egli è' {is-ness} o essenza di tutto ciò che è, e come tale essosemplicemente è, e non fa mai nulla. Qualunque cosa noi ochiunque altro possiamo apparire fare, il nostro essenziale 'egli è'o essere resta come è. Tutto il karma, qualsiasi azione o 'fare', èfinito e quindi relativo e superficiale. Ciò che è infinito, assolutoed essenziale è solo essere.

Ogni 'fare' dipende dall''essere', e può accadere solo allapresenza dell''essere'. Se non siamo, non possiamo fare, ma ciòche facciamo non può in alcun modo riguardare, cambiare omodificare il fatto che siamo. L'essere quindi trascende tutte leforme di fare. Dio è l'infinità pienezza di essere. Egli è 'is-ness'{lo stato di egli è} o essenza di tutto ciò che è. Poiché lui èl'essenza di ogni cosa, egli è presente ovunque, in ogni luogo e inogni momento.

La sua presenza onni-pervadente è quindi solo il suo essere,che è l'essere essenziale o 'is-ness' {lo stato di egli è} di tutto.Perché lui è l'unico tutto infinito o pienezza di essere, nulla puòesistere senza di lui, e quindi è presente in ogni cosa come untutto. Poiché lui è tutto, egli è anche detto essere 'mahākartā', il'grande esecutore', o 'sarvakartā', 'l'esecutore di tutto', colui chefa tutto, comprese le cinque azioni fondamentali o pañcakṛtyas.

Vale a dire sṛṣṭi: la creazione o proiezione di tutta questaapparenza di dualità, che noi chiamiamo il 'mondo' o 'universo';sthiti: il sostentamento o la manutenzione di questa apparizione;saṁhāra: lo scioglimento o la revoca di tale aspetto; tirōdhāna otirōbhāva: l'occultamento o la velatura della realtà, che permette

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non solo a sṛṣṭi, sthiti e samhara di prendere posto, ma ancheconsente più specificamente agli esseri viventi di continuare a farekarma e di sperimentare le loro conseguenze fintanto che hanno ildesiderio di farlo; anugraha o la grazia: la rivelazione della realtà,che ci permette di sperimentare la vera conoscenza di sé e quindidi trascendere lo stato irreale di dualità in cui accadono tutti questipañcakṛtyas. Tuttavia, anche se nella nostra prospettiva limitatasembra che Dio fa tutte queste 'cinque azioni' o pañcakṛtyas, egliin effetti, non fa nulla.

Egli soltanto è, e grazie alla sola presenza del suo 'essere' tuttequeste pañcakṛtyas avvengono automaticamente espontaneamente. Pertanto, se vogliamo dire che Dio fa tutto,questo è vero solo nel senso che fa tutto ma solo essendo. Questoè il motivo per cui Sri Ramana dice che questi pañcakṛtyasaccadono a causa di 'īśaṉ sannidhāna viśēṣa mātra', che significa'nient'altro che la natura particolare della presenza di Dio'. Ilfatto che Dio è solo l'infinita pienezza di essere e quindi non fanulla è la verità ultima e assoluta. Tuttavia, dal punto di vistalimitato della nostra mente finita, il fatto che egli è separato da noie ha alcune funzioni da compiere è relativamente vero.

Cioè, fino a quando sentiamo di essere un esecutore di azione,ci sembrerà che le funzioni di Dio siano azioni che staeffettivamente facendo. Fino a che ogni azione è fatta, ci deveessere qualcosa o qualcuno che sta facendo quella l'azione, cosìdal nostro relativo punto di vista siamo nel giusto credendo cheDio è l'agente ultimo di tutto. Il fatto che egli è solo essere, e che acausa del suo semplice essere o presenza, tutte le azioni sembranoessere fatte, può essere pienamente compreso da noi solo quandosperimentiamo noi stessi come solo essere, e quindi scopriremoche non abbiamo mai fatto nulla, e che ogni azione o 'fare' era unamera fantasia che esisteva solo nella visione distorta della nostramente irreale.

Ogni 'fare' è solo una distorsione di essere. Anche se l'essere èveramente l'unica realtà, e anche se solo è, nella visione limitata e

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distorta della nostra mente è vissuto come se facesse. Anche seogni fare è un aspetto irreale, essendo un mero frutto della nostraimmaginazione, non potrebbe neppure apparire come reale se nonfosse sostenuto dalla realtà sottostante di essere. Prima di poterimmaginare che non stiamo facendo nulla, dobbiamo prima saperechi siamo. L'immaginazione che stiamo facendo appare escompare, ma la conoscenza che siamo perdura.

Dato che solo il nostro essere perdura, è l'unica permanenterealtà assoluta, e quindi l'apparenza di fare è un'illusione che puòavvenire solo a causa di essere, o meglio, a causa della visionedistorta di essere da parte della nostra mente. Proprio come siamoreali in due sensi ben distinti, così Dio è reale negli stessi duesensi distinti. Come coscienza individuale finita che immagina 'iosono questo corpo', 'io sto facendo questo o quello', siamorelativamente reali; come infinita coscienza 'Io sono', siamoassolutamente reali.

Analogamente, come un essere separato che fa tutto, tutto ama,tutto conosce e tutto può, Dio è relativamente vero; ma come lanostra coscienza infinita 'Io sono', che è la pienezza senza limiti diessere, amore, conoscenza e potere, egli è assolutamente reale.Finché Dio e noi stessi sembriamo due esseri separati, anche ilmondo apparirà esistere. Rispetto al nostro sé individuale o mente,Dio e il mondo sono entrambi perfettamente reali.

Nessuna di queste tre entità separate è meno reale delle altredue. Non possiamo sperimentare sia il mondo che percepiamo siail Dio che lo governa come irreale fintanto che sperimentiamo lanostra mente sperimentatrice come reale. Capire teoricamente chela nostra mente, il mondo e Dio sono tutti irreale è necessario, maè di valore pratico solo nella misura in cui ci permette disviluppare un vero distacco interiore dalla nostra mente e dallanostra intera vita in questo mondo, e ci permette di conoscere ilvero amore e di essere il nostro vero sé.

Se crediamo di aver compreso che il mondo è irreale, maabbiamo ancora il desiderio di godere di uno qualunque dei

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piaceri apparenti di questo mondo, stiamo solo illudendo noistessi. L'unico scopo e vantaggio che ci dà la nostra comprensionedella teoria della filosofia spirituale è quello di permetterci disviluppare il vero amore e di sperimentare solo il nostro séessenziale, che è l'unica assoluta realtà, e la vera libertà da ognidesiderio di sperimentare qualcos'altro. Se vogliamo veramentecapire che questo mondo, la nostra mente e ogni altra cosa diversadalla nostra coscienza essenziale di essere è irreale, dobbiamorivolgere la nostra l'attenzione verso l'interno per scoprire ciò cheè reale.

Tuttavia, fino a quando non abbiamo effettivamentesperimentato la realtà assoluta e infinita, come il nostro sé,continueremo a identificare la nostra mente finita come noi stessi,e quindi inevitabilmente sperimenteremo la nostra mente e tutto ilconosciuto come se fosse reale. Fino a che identifichiamo noistessi con questo complesso mente-corpo, continueremo aconsiderare il mondo come reale.

Anche se per il nostro vero e interiore scopo di scoprire larealtà assoluta dobbiamo sviluppare la comprensione e laconvinzione che questo mondo è irreale, per tutti gli effettiesteriori dobbiamo comportarci come se questo mondo fossereale, perché è irreale solo dal punto di vista della realtà assoluta,e non dal punto di vista della nostra mente altrettanto irreale.Relativamente alla nostra mente, questo mondo è reale, quindidobbiamo di conseguenza interagire con esso.

Ad esempio, il fatto che il fuoco brucia non può essereun'assoluta realtà, ma è sicuramente una realtà relativa. Anche sepossiamo immaginare che abbiamo capito che il fuoco è irreale, selo tocchiamo sentiremo dolore. Il fuoco, il nostro dolore e lanostra mente, che sperimenta il dolore, sono tutti ugualmentereali.

Pertanto, nella filosofia non-dualistica di advaita vedanta, unadistinzione importante è sempre fatta tra la realtà assoluta e larealtà relativa, che in sanscrito sono chiamati rispettivamente

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pāramārthika satya e vyāvahārika satya. La parola 'satya'significa 'verità' o 'realtà', e la parola pāramārthika è una formaaggettivale di paramārtha, che in questo contesto significa la'sostanza ultima' o essenza. Così il termine pāramārthika satya,che di solito è tradotto come la 'suprema realtà' o 'assoluta realtà',significa letteralmente la realtà che è la sostanza ultima o essenzadi tutte le cose. La parola vyāvahārika è una forma aggettivale divyavahāra, che significa: fare, azione, pratica, la condotta, ilcomportamento, l'occupazione, attività o qualsiasi interazionemondana come affari, scambio, commercio o contenzioso, equindi vyāvahārika satya significa: realtà mondana, pratica,interattiva.

Quindi, in advaita vēdānta il termine vyāvahārika satya è usatoper indicare la relativa realtà della nostra mente e tutto ciò chesperimenta, mentre pāramārthika satya è usato per indicare larealtà assoluta del nostro essere essenziale. Oltre a queste dueforme ben distinte di realtà, alcuni studiosi distinguono una terzaforma di realtà chiamata prātibhāsika satya.

La parola prātibhāsika è una forma aggettivale di pratibhāsa,che significa un aspetto, una parvenza o un'illusione, e quindiprātibhāsika satya significa 'apparente realtà', 'realtà illusoria'. Inalcuni testi filosofici del vēdānta il mondo che sperimentiamo instato di veglia è descritto come 'vyāvahārika satya' o 'realtàconcreta', mentre il mondo che sperimentiamo nel sogno èdescritto come 'prātibhāsika satya' o 'realtà apparente'. Tuttaviagli stessi testi dicono anche che certe cose che noi sperimentiamonello stato di veglia, come un miraggio o l'illusione di un serpentein una corda, non sono vyāvahārika satya ma solo prātibhāsikasatya.

Così la distinzione che dovrebbe esistere tra vyāvahārika satyae prātibhāsika satya è che il primo è una realtà vissuta'oggettivamente' da molte persone, mentre quest'ultima è unarealtà vissuta 'soggettivamente' da una sola persona. Tuttavia,questa distinzione è falsa, e sembra essere vera solo in relazione

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alla nostra esperienza presente in questo mondo di veglia. Propriocome ora immaginiamo che questo mondo di veglia è vissutaoggettivamente da molte persone, così nel sogno abbiamoimmaginato che quel mondo dei sogni è stato vissutooggettivamente da molte persone. In entrambi gli stati, tuttavia,esistono le 'molte persone' solo come immagini nella nostramente.

Tutto ciò che sperimentiamo è o assolutamente reale o solorelativamente reale. Giacché ci può davvero essere solo una realtàassoluta, tutto il resto è solo una forma di realtà relativa. Anche sepotremmo essere in grado di distinguere diverse forme di realtàrelativa, queste distinzioni non sono di alcuna utilità per noi se ilnostro obiettivo è di sperimentare la realtà assoluta. Distinguiamola realtà relativa da realtà assoluta solo perché, per sperimentare larealtà assoluta, dobbiamo imparare a ignorare tutto ciò che non èassolutamente reale, e focalizzare la nostra attenzione solo su ciòche è assolutamente reale.

Tuttavia, quando facciamo esperienza della realtà assoluta cosìcom'è, scopriremo che essa solo esiste, e che non c'è nulla al difuori di essa. In questo stato tutte le realtà relative si fonderanno escompariranno, essendo risultate non essere altro che quella realtàassoluta, infinita, indivisa e non duale. Alcuni filosofi scolasticidescrivono la realtà assoluta e la realtà relativa come diversi'livelli' o 'piani' della realtà. Tuttavia, la realtà assoluta e la realtàrelativa non possono essere paragonate in questo modo. La realtàassoluta è assolutamente reale, quindi è relativa a nulla, e quindinon può essere paragonata in alcun modo ad altro.

Tuttavia, dal punto di vista limitato e distorto della realtàrelativa, dobbiamo dire che la realtà assoluta è il fondamentoultimo, il substrato o il sostegno di tutta questa realtà relativa.Pertanto, anche se la realtà assoluta non è collegata in alcun modoalla realtà relativa, la realtà relativa è intimamente,intrinsecamente e inevitabilmente legata alla realtà assoluta,perché è interamente dipendente da questa. Cioè, ogni relatività

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dipende per la propria apparente realtà dalla vera realtà di un'unicaessenza assoluta, che è il nostro essere cosciente del sé o am-ness{lo stato di 'Io sono'}, mentre questa essenza assoluta non dipendeda niente altro. Il concetto di un tale rapporto a senso unico nonavrebbe senso e sarebbe auto-contraddittorio se fosse riferito aqualcosa di diverso da questo 'rapporto' tra la realtà assoluta e larealtà relativa.

Tuttavia, non si può spiegare questo particolare 'rapporto'come qualcosa di diverso da una relazione a senso unico, a causadei due partner di questo rapporto; solo il primo è veramentereale, mentre il secondo è una semplice apparizione: un'illusioneche esiste solo nella prospettiva della nostra mente, che è essastessa parte dell'illusione che sperimenta. Il concetto di 'livelli' o'piani' della realtà può quindi essere applicato solo alle varieforme di realtà relativa. Finché la realtà relativa sembra esistere,può sembrare che ci sia un numero qualsiasi di diversi 'livelli' o'piani' di tale realtà.

Tuttavia, poiché il nostro obiettivo è di trascendere tutta larealtà relativa e di sperimentare solo la realtà non duale assoluta,non abbiamo bisogno di interessarci a qualsiasi analisi odiscussione su qualsiasi diverso 'livello' o 'piano' della realtà,perché in verità c'è solo una realtà, e noi siamo questa. Per lenostre menti, che sono ormai abituate all'idea che i problemi dellavita sono complessi e difficili da comprendere appieno, e che lesoluzioni a tali problemi sono altrettanto complesse e oscure, ilresoconto della realtà dato qui può sembrare eccessivamentesemplice e privo di oscurità, e come tale eccessivamentesemplicistico. Tuttavia, la realtà assoluta è infatti perfettamentesemplice e priva di ogni oscurità. La complessità e l'oscuritàappartiene solo al regno della relatività, e non al regno assoluto.

Ciò che è assoluto è per sua stessa definizione perfettamentesemplice e chiaro. Per essere assoluto deve essere perfettamentenon duale, perché tutte le dualità sono per loro stessa naturarelative. Finché ci immaginiamo qualsiasi forma di dualità nella

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realtà, questa realtà non è assoluta, ma solo relativa. Seconsideriamo gli innumerevoli problemi relativi della vita, sonodavvero estremamente complessi e impossibili da comprenderepienamente o adeguatamente, e l'obiettivo della nostra discussionequi non è quello di fingere il contrario.

Ciò che stiamo considerando qui non sono dei problemirelativi, ma solo la realtà assoluta che è alla base di tutta la realtàrelativa, e dato che è assoluta la realtà deve essere perfettamentesemplice e priva di ogni oscurità. Poiché la realtà assoluta non puòessere limitata in alcun modo, deve essere infinita e indivisa, ecome tale deve essere unica, non duale e libera da ognicomplessità.

Poiché è infinita, non può essere diversa da se stessa, quindideve essere il vero ed essenziale essere di tutto, compresi noistessi. Pertanto la realtà assoluta non è altro che il nostro essereessenziale, che noi sperimentiamo sempre come la nostraperfettamente semplice, conoscenza di sé e quindi sempreevidente coscienza 'Io sono'. La realtà assoluta è semplice edevidente come questa coscienza di sé.

La radice di tutti i relativi problemi che sperimentiamo nellanostra vita è la nostra mente. La nostra mente col suo potere diimmaginazione crea ogni dualità e relatività, e la dualità e larelatività inevitabilmente danno luogo a conflitti e complessità. Iproblemi del mondo relativo persisteranno in una forma onell'altra finché cerchiamo di risolverli solo con mezzi relativi.Nessuna soluzione relativa può risolvere perfettamente oassolutamente un problema relativo.

Non appena un problema relativo è risolto, o sembra essererisolto, un altro problema relativo si apre. In un mondo relativo,dunque, una vita senza problemi è inconcepibile. L'utopia non puòmai essere vissuta in un mondo di dualità e relatività, ma solo inuno stato di là di ogni dualità e relatività, in uno stato di non-dualità assoluta.

Poiché ogni dualità e relatività sono esperiti solo all'interno

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della nostra mente, se vogliamo trovare una soluzione perfetta pertutti i problemi relativi della vita, si deve guardare oltre la nostramente, alla realtà assoluta che sottende le sue apparizione. Lanostra mente è una forma relativa di coscienza, e come tale èestremamente complessa e piena di problemi. In realtà la nostramente vive di complessità e problemi, ed evita istintivamente glistati perfettamente semplici e senza problemi, di non dualecoscienza di sé.

Perché? Perché in uno stato di coscienza perfettamente chiaranon duale, uno stato di conoscenza di sé semplice e vera, la nostramente non può sopravvivere. Essendo un fantasma illusorio, lanostra mente può apparire ed esistere solo nella confusione eoscurità della complessa dualità del proprio stato auto-creato direlativa coscienza. Nello stato di coscienza perfettamente chiaranon duale del sé, tutto ciò che si sa è la semplice coscienza delnostro essere, 'Io sono'.

Nella chiarezza di tale non duale autocoscienza assoluta,pertanto, l'aspetto illusorio del relativo conoscitore degli oggetti lacoscienza chiamata 'mente', la consapevolezza che non si sentesolo 'Io sono' ma 'io sto conoscendo questo' o 'io sto conoscendoquello', si dissolverà e scomparirà.

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Capitolo 5

Qual'è la Vera Conoscenza?

Qual è la 'vera conoscenza'? Può la conoscenza che oraabbiamo essere chiamata vera conoscenza, o è tutta la nostraconoscenza solo una parvenza di vera conoscenza? C'è infatti unacosa come vera conoscenza, e se sì come possiamo sapere checosa è? È qualcosa che possiamo raggiungere, o è oltre il potere diafferrare della mente umana? Se è oltre il potere di afferrare dellanostra mente, non abbiamo qualche livello di coscienza piùprofonda con la quale possiamo sperimentarla? Come possiamosperimentare la vera conoscenza? Vediamo, prima di decidere,quale conoscenza può essere considerato come vera.

Per qualificarsi come vera conoscenza nel senso più stretto deltermine, la conoscenza in questione deve essere assolutamentevera, perfetta, permanente, senza condizioni e indipendentementevera. Cioè, deve essere una conoscenza che è vera di suo, unaconoscenza che è vera in ogni momento, in tutti gli stati e in tuttele condizioni; una conoscenza la cui verità non è in alcun mododipendente da qualcosa, limitata da qualcosa o relativo a qualsiasialtra cosa; una conoscenza la cui verità è immodificabile eimmutabile, non influenzata da qualsiasi altra cosa che possaapparire o scomparire, o da eventuali modifiche che possonoverificarsi intorno ad essa.

Essa deve inoltre essere auto-evidente, perfettamente chiara eassolutamente affidabile, priva anche della minima ambiguità oincertezza e deve essere conosciuta direttamente, non attraversoqualsiasi mezzo d'intervento dalla cui verità e affidabilità la suaverità ed affidabilità allora dipenderebbe. Solo tale conoscenzapuò essere considerata conoscenza vera in senso assoluto.

Una conoscenza che non è vera da tale punto di vista assoluto

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ma solo da un punto di vista relativo non è perfettamente vera.Può essere vera in alcune condizioni, ma non è vera in tutte lecondizioni. Può essere vera in un momento o in uno stato, ma nonè vera in ogni momento o in tutti gli stati. È vera solorelativamente ad alcune altre cose, e quindi la sua verità dipendeed è limitata dalla verità delle altre cose, ed è influenzata dallaloro comparsa o scomparsa, e da cambiamenti che possono averluogo al loro interno.

Tale conoscenza relativa è incerta e inaffidabile, tanto più che èinvariabilmente ottenuta da noi non direttamente ma soloattraverso l'intervento del supporto della nostra mente e dei nostricinque sensi, la cui verità e affidabilità è (come vedremo piùavanti) aperta a seri dubbi. La conoscenza che è quindi vera solorelativamente e non assolutamente non giustifica il nome di 'veraconoscenza' in una rigorosa analisi di quale conoscenza può essereconsiderata vera o reale. Pertanto, ogni volta che è utilizzato iltermine 'vera conoscenza' in questo libro, significa solo laconoscenza che è assolutamente vera, e non solo relativamentevera.

Lo scopo di questo libro non è quello di negare la veritàrelativa o la validità di una delle molte forme di conoscenzarelativa che viviamo, ma è quello di indagare la nostra esperienzaprofondamente per scoprire se qualche conoscenza all'internodella nostra esperienza è assolutamente vera. Se possiamo scoprirequalche conoscenza che è assoluta, saremo in grado di apprezzare(dal punto di vista di quella conoscenza assoluta) meglio larelatività di tutte le relative forme di conoscenza che oggisperimentiamo.

Poiché pensiamo che ora non possiamo sperimentare ciò che èassoluto, attribuiamo realtà indebita e diamo eccessivo credito allaverità apparente di tutta la nostra conoscenza relativa. Questolibro, dunque, concerne soprattutto non il determinare la veritàrelativa di ogni conoscenza, ma solo l'investigare se vi sia unaconoscenza assolutamente vera che possiamo sperimentare. La

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maggior parte delle conoscenze che oggi diamo per vere, sonosolo relativamente vere.

Ad esempio, con l'eccezione di illusioni ottiche come i miraggi,e altre errate percezioni sensoriali, generalmente accettiamo che laconoscenza che acquisiamo attraverso i nostri cinque sensi siavera. Tuttavia, tutta questa conoscenza è relativa, in quantodipende dalla discutibile affidabilità dei nostri cinque sensi, eperché è limitata al loro campo di percezione. Poiché i nostri sensifisici sono strettamente limitati e non del tutto affidabili, sono unsupporto imperfetto per acquisire vera conoscenza.

Anche se essi possono fornirci la conoscenza che èrelativamente vera e che soddisfa molti dei nostri bisogni relativi,compresa la nostra sopravvivenza biologica, non possono fornircialcuna conoscenza che sia assolutamente vera. Non solo tutte leconoscenze che acquisiamo attraverso i nostri cinque sensi sonorelative, ma lo è anche tutta la conoscenza che acquisiamo tramitela nostra mente.

Come i nostri cinque sensi fisici, la nostra mente è un mezzoimperfetto per acquisire vera conoscenza, perché è uno strumentolimitato e inaffidabile. Noi tutti riconosciamo il fatto che moltedelle conoscenze che la nostra mente prende per essere vere, incerti momenti non sono vere. Ad esempio, la nostra mente puòconsiderare un'illusione vera mentre la sta vivendo, e più tardiriconoscere che in quel momento si era sbagliata nel suo giudiziodi ciò che è vero o reale. Allo stesso modo, la nostra menteconsidera le sue esperienze in un sogno come vere mentre stasperimentando quel sogno, ma riconosce successivamente tuttequelle esperienze come immaginarie e quindi non vere. Poichésappiamo che la nostra mente s'inganna facilmente credendo chequalunque cosa sta attualmente vivendo sia vera, come possiamofare affidamento sulla nostra mente come un'affidabile strumentoattraverso il quale possiamo acquisire vera conoscenza?

La nostra mente non è solo ingannata temporaneamente nelconfondere la propria immaginazione come vera, ma è anche

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ripetutamente ingannata nel fare questo stesso errore. Avendo unavolta capito che in sogno si è ingannata confondendo l'irreale peril reale, non per questo diventa immune da essere nuovamenteillusa nello stesso modo.

La stessa illusione si ripete ancora e ancora ogni volta che lanostra mente sperimenta un sogno. Poiché non è in grado diimparare dai propri errori ripetuti, la nostra mente è moltoinaffidabile nel discernere la conoscenza che è vera da quellaconoscenza che è falsa. Quando è così spesso incapace diriconoscere le proprie fantasie come false, come possiamo esseresicuri che tutto ciò che si sperimenta non è semplicementeun'illusione, un prodotto irreale dell'immaginazione?

La nostra mente ha accesso a due sole fonti fondamentali diconoscenza oggettiva, vale a dire i suoi cinque sensi fisici, cheritiene forniscano le conoscenze ottenuto dall'esterno di sé, e lapropria conoscenza generata internamente come i propri pensieri,sentimenti, emozioni, credenze, concetti e così via. Nessuna diqueste due fonti può fornire informazioni sempre affidabili. I sensifisici forniscono spesso false percezioni, e al suo interno laconoscenza generata fornisce spesso dei sogni, e quando sisperimentano effettivamente tali percezioni errate o sogni, disolito non si è in grado di distinguerle da tutte le altre conoscenze,che sono ritenute vere.

Inoltre, la nostra mente non è in grado di distinguere tra laconoscenza che si suppone ha ottenuto da ciascuna di queste duefonti. In un sogno la nostra mente crede che il mondo che stavivendo sia percepito tramite i suoi sensi fisici, e che quel mondoesiste pertanto fuori di sé. Tuttavia, quando ci si sveglia da quelsogno, la nostra mente riconosce che il mondo nel suo sogno nonè stato effettivamente percepito attraverso qualsiasi senso fisico,ma era solo una fantasia generata internamente.

Anche ora nel nostro presente stato di veglia, la nostra mentenon ha modo di sapere per certo che la conoscenza che sembraavere da fuori di sé attraverso i suoi sensi fisici, non sia in realtà

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solo un'immaginazione generata internamente. Tutta laconoscenza che la nostra mente vive è vissuta da essa dentro di sé,quindi non ha mezzi affidabili per sapere per certo che qualchesua conoscenza sia in realtà derivata fuori di sé. Sia che ciimmaginiamo che sia derivato da una fonte esterna o sia generatointernamente, o una combinazione di entrambi, ogni conoscenzache abbiamo di qualcosa di diverso da noi stessi è conoscenzaoggettiva.

Tutta la conoscenza oggettiva è duale e quindi relativa, perchécomporta una distinzione tra il soggetto conoscente e gli oggetticonosciuti. Ogni conoscenza che coinvolge qualsiasi forma didualità deve essere necessariamente relativa. Poiché la conoscenzache abbiamo di tutto il resto è oggettiva, dualistica e quindirelativa, l'unica conoscenza che abbiamo che può eventualmentequalificarsi come assoluta è la nostra conoscenza soggettiva equindi non duale di noi stessi. La nostra conoscenza di noi stessi,cioè, del nostro essere essenziale, è l'unica conoscenza che è privadi ogni dualità e relatività. Per conoscere noi stessi, cioè, vivere ilnostro essere essenziale come 'Io sono', non abbiamo bisognodell'aiuto dei nostri cinque sensi, e neppure della nostra mente.

Noi conosciamo il nostro essere, 'Io sono', anche nel sonno,quando siamo completamente all'oscuro sia del nostro corpo chedei suoi cinque sensi, o della nostra mente. Pertanto, la nostraconoscenza di base 'Io sono' non dipende da qualsiasi altra cosa.In assenza di ogni alterità, come nel sonno, sappiamo che 'Iosono'. Qualunque cosa possiamo conoscere, e anche quando nonsappiamo nient'altro, noi conosciamo sempre 'Io sono'.

Perciò la nostra conoscenza di base 'Io sono' non è solocompletamente indipendente da ogni altra conoscenza, è anchepermanente e immutabile. Altre forme di conoscenza possonoandare e venire, e possono addirittura sembra essere sovrappostetemporaneamente alla nostra conoscenza 'Io sono' di base, quindioscurandola apparentemente (anche se in realtà nulla può mainasconderla); ma questa conoscenza 'Io sono' rimane in modo

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permanente, senza mai venire o andare, apparendo oscomparendo, all'inizio o alla fine, e senza mai subire alcuncambiamento.

Pertanto, questa conoscenza di base del nostro essere, 'Io sono',è l'unica conoscenza assoluta che sperimentiamo. Il motivo per cuiconosciamo sempre noi stessi come 'Io sono' è che siamo lacoscienza, e la coscienza è necessariamente ed essenzialmente lacoscienza del sé. Come coscienza, noi conosciamo sempre ilnostro essere, non perché il nostro essere è un oggetto conosciutoda noi, ma perché è noi stessi, la nostra coscienza essenziale.Siamo quindi sia l'essere che la coscienza. Il nostro essere e lanostra coscienza sono un unico non duale tutto.

La nostra coscienza è essere, perché ella è, e il nostro essere èla coscienza, perché conosce se stesso. Tuttavia, quando diciamoquesto, stiamo esprimendo l'unicità del nostro essere e la nostracoscienza rozzamente e in modo imperfetto, perché stiamoparlando di loro in terza persona, come se fossero oggetti. Ilnostro essere-coscienza non conosce sé oggettivamente come unaterza persona, ma solo soggettivamente come la prima persona.

Pertanto, piuttosto che dire che la nostra coscienza è essere,perché è, siamo in grado di esprimere la verità più accuratamentedicendo che 'siamo essere perché siamo'. Analogamente, anzichédire che il nostro essere è coscienza, perché egli conosce se stesso,possiamo esprimere la verità in modo più accurato dicendo chesiamo la coscienza perché noi conosciamo noi stessi. Ancora piùprecisamente, possiamo esprimere la verità dicendo che 'Io sonoessere perché Io sono', ed 'Io sono la coscienza, perché Ioconosco me stesso', perché non solo il nostro essere-coscienzaconosce se stesso solo soggettivamente come prima persona, maconosce se stesso non come la prima persona plurale, ma solocome la prima persona singolare perfettamente non duale.

Nei suoi insegnamenti, quando gli è capitato di far riferimentoal nostro vero sé o al nostro sé individuale, Sri Ramana ha spessousato il pronome di prima persona plurale 'noi' piuttosto che la

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prima persona singolare 'io', ma lui non intendeva implicarenessun senso di pluralità o dualità nel nostro vero sé. Ha fattoriferimento al nostro vero sé come 'noi', al fine di includerechiunque nel parlare o scrivere e per indicare che siamo tuttiun'unica realtà. In molti casi, se avesse usato 'io' invece di 'noi',avrebbe creato l'impressione che il nostro vero sé è esclusivo,mentre in verità è omni-inclusivo.

Pertanto, ovunque egli ha usato il termine 'noi' con riferimentoal nostro vero sé, dobbiamo capire che lo ha usato come la primapersona inclusiva piuttosto che come il pronome di prima personaplurale. Tutta la nostra conoscenza oggettiva è conosciuta da noiindirettamente attraverso l'imperfetto supporto della nostra mentee dei cinque sensi, mentre la vera coscienza è conosciuta da noidirettamente come noi stessi.

Nessuna forma di conoscenza indiretta o mediata può essereassoluta, perché tale conoscenza è intrinsecamente divisa edualistica, poiché implica una distinzione tra il soggetto che è ilconoscitore e l'oggetto che è il conosciuto, e il mezzo attraverso ilquale il soggetto conosce l'oggetto {la conoscenza}. Poiché laconoscenza assoluta deve essere libera da tutte le limitazioni, siainterne che esterne, deve essere priva di divisioni, parti o dualità.

Deve quindi essere conoscenza diretta e immediata checonosce se stessa, in se stessa e per se stessa, senza l'ausilio dialcun mezzo interno o esterno. La conoscenza assoluta devequindi essere cosciente del sé, perfettamente e singolarmenteconsapevole del sé. Deve essere di per sé conosciuta, e solotramite se stessa. Essa non può essere conosciuta da qualcosa didiverso da se stessa, perché se ciò fosse non sarebbe assoluta.

L'esistenza di qualcosa di diverso da essa che potrebbeconoscerla fisserebbe un limite alla totalità del suo essere, e quindisignificherebbe che non era assoluta nel senso più pieno dellaparola. Conoscenza assoluta non può esistere in relazione aqualsiasi altra cosa, ma solo in sé e per sé. Per essere assoluta, unaconoscenza deve essere l'unica vera conoscenza esistente. Ogni

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conoscenza che sembra essere diversa da ciò deve essere falsa.Al contrario, per essere vera assolutamente e perfettamente

vera, una conoscenza deve essere assoluta. Poiché la veraconoscenza deve quindi, per definizione, essere assoluta, deveessere unica, infinita, intera, indivisa, non duale, immediata econsapevole conoscenza. L'unica conoscenza che conosce sestessa è la nostra essenziale coscienza del nostro essere, 'Io sono'.

Anche la nostra mente non è veramente auto-cosciente, perchénon si conosce come realmente è, e perché la sua apparentecoscienza di sé è limitata ai due stati immaginari di veglia e disogno. L'unica conoscenza che è veramente consapevole di sé,dunque, è la nostra coscienza fondamentale 'Io sono', perché siconosce sempre, indisturbata e non influenzata dal passaggio deitre stati transitori di veglia, sogno e sonno. La nostra coscienzaessenziale 'Io sono' non è solo immediatamente ed eternamenteconsapevole, è anche singola, indivisa e non duale.

È, tuttavia, infinita? È un tutto illimitato, al di fuori della qualenulla può esistere? Sì lo è, perché non ha forma propria, e quindi èlibera da tutti i confini e limiti. Pertanto, poiché non è limitata inalcun modo, nulla può essere veramente diverso da essa. Tutto ilresto che sembra esistere dipende per la sua esistenza apparentedalla nostra coscienza di base 'Io sono'. Nessun'altra conoscenzapuò esistere se la nostra prima e originale conoscenza 'Io sono'non esiste. Poiché ogni altra conoscenza appare e scompare nellanostra mente, e dato che la nostra mente appare e scompare nellanostra coscienza sottostante 'Io sono', nessuna conoscenza èveramente separata o altro da questa coscienza fondamentale 'Iosono'.

L''alterità' di ogni altra conoscenza, la nostra sensazione chequello che noi sappiamo è separato o diverso da noi stessi ècausato dalle limitazioni che apparentemente imponiamo noistessi quando immaginiamo di essere una creatura finita, unacoscienza che si sperimenta come 'io sono questo corpo'. Tuttavia,anche quando sperimentiamo questa illusione di separazione o

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'alterità', tutta la nostra 'altra' conoscenza è conosciuta in noi e danoi, quindi è veramente non separata da o diversa da noi stessi.

È infatti tutto solo un prodotto della nostra immaginazione, e lanostra immaginazione è solo una funzione distorta della nostracoscienza. L'apparente 'essere' di ogni 'altra' cosa che conosciamoè solo una proiezione del nostro vero essere, che è la coscienza.Anche se altre cose sembrano esistere al di fuori di noi stessi,l'esterno in cui si verificano è in realtà solo una parte della nostraimmaginazione.

Il processo da cui sono proiettate dall'interno di noi stessi in unesterno apparente è in realtà solo una distorsione interna dellanostra coscienza una distorsione che, tuttavia, si verifica nonrealmente, ma solo in apparenza. Nessuna delle cose che noiconosciamo hanno qualche essere o esistenza a prescindere dallanostra conoscenza di loro, e quindi in ultima analisi tutte le 'cose'sono solo conoscenza, e la conoscenza è solo coscienza.

In un sogno sperimentiamo la conoscenza di cose chesembrano essere distinte e diverse da noi stessi, ma quando cisvegliamo ci rendiamo conto che tutte queste conoscenze sonostate create dalla nostra immaginazione, e quindi non hanno avutoun'esistenza indipendente fuori dalla nostra coscienza. Come ognialtra forma di immaginazione, un sogno è solo una distorsioneinterna della nostra coscienza naturale.

Tutta la conoscenza che sperimentiamo nel nostro sogno siforma nella nostra coscienza e dalla nostra coscienza. Cioè, lasostanza di cui sono formate tutte le nostre immaginazioni è lanostra coscienza. Al di fuori della nostra coscienza, non vi èalcuna sostanza dalla quale tutta la nostra immaginazione, i nostripensieri, sentimenti, percezioni e ogni forma di conoscenzadualistica, potrebbe essere formata. L'unica sostanza cheveramente conosciamo è la nostra coscienza di essere.

Tutto il resto che ci sembra di conoscere è generato dalla nostracoscienza dentro di sé e dalla propria sostanza. Tuttavia, vi è unadifferenza importante tra la nostra coscienza che sembra di

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immaginare e sperimentare altre forme di conoscenza, e la nostravera coscienza, che sperimenta solo il nostro stesso essere, 'Iosono'. La nostra coscienza che immagina di star vivendo 'alterità',conoscenza di cose diverse da sé: è ciò che chiamiamo la nostra'mente'.

Anche se questa mente è in sostanza solo la nostra coscienzareale e infinita di essere, 'Io sono', essa si sperimenta come unacoscienza finita, perché immagina l'apparizione di cose diverse dasé. La sua separazione o distinzione dalla nostra vera coscienza èdunque solo una fantasia. Tuttavia, quando stiamo analizzandocriticamente le nostre diverse forme di conoscenza o coscienza etestiamo la loro realtà, questa distinzione tra la nostra coscienzadella conoscenza-oggetto e la nostra coscienza della conoscenzadi sé è quello che dobbiamo fare per essere in grado disperimentare quest'ultima come realmente è.

Poiché questa distinzione è la causa principale di tutte ledualità, è in effetti molto reale e significativa fino a quandosperimentiamo anche la minima traccia di ogni dualismo o'alterità'. Poiché il nostro obiettivo è di sperimentare la nostraconoscenza vera ed essenziale o la coscienza come realmente è,nasce inevitabilmente il bisogno di distinguerla da tutte le formeirreali di conoscenza che abbiamo apparentemente sovrapposto sudi essa col nostro potere d'immaginazione.

Poiché tutte le altre forme di conoscenze sono esperite nella edalla nostra mente, al fine di distinguere la nostra vera conoscenza'Io sono' da ogni altra conoscenza abbiamo solo bisogno didistinguerla dalla nostra mente. La nostra mente è solo una formadistorta della nostra vera coscienza di essere, 'Io sono', ed èdiventata distorta solo immaginando cose diverse da sé.

Poiché conoscere se stessa come 'Io sono' è la vera natura dellacoscienza, l'obiettivo naturale o luogo di riposo della suaattenzione è se stessa. Cioè, nel suo vero stato naturale, la messa afuoco o attenzione della nostra coscienza riposa automaticamentee senza sforzo su se stessa, e non su qualsiasi altra cosa. La nostra

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attenzione è deviata lontano da noi stessi e verso 'altre cose' soloquando le immaginiamo o le formiamo nella nostra coscienza.

Finché il centro della nostra coscienza o attenzione poggianaturalmente su noi stessi, rimaniamo come la coscienza realeinfinita o vera conoscenza che siamo sempre, ma quando il fuocodella nostra coscienza sembra essere deviato verso oggettiimmaginari o pensieri, ci sembra diventare la coscienza finita chechiamiamo la nostra 'mente'.

Pertanto, se la nostra mente desidera sperimentare la veraconoscenza che è il proprio sé reale, tutto ciò che dobbiamo fare èritirare la sua attenzione da tutte le altre cose e metterla a fuocointensamente sulla sua coscienza essenziale, 'Io sono'.

Questo stato in cui la nostra mente riposa la sua attenzione insé, conoscendo solo il suo essere o coscienza, è descritto da SriRamana nel versetto 16 dell'Upadesa Undiyār come lo stato divera conoscenza:

“La [nostra] mente conoscendo la propria forma diluce, dopo aver rinunciato a [conoscere gli] oggettiesterni, da sola è vera conoscenza”.

Quando la nostra mente conosce gli 'oggetti esterni' o cosediverse da se stessa, lo fa scambiandosi per un corpo fisico, che èuna di quelle altre cose che conosce. Ma quando ritira la suaattenzione di nuovo verso stessa, cesserà di conoscere qualsiasialtra cosa, e quindi cesserà di considerarsi un corpo fisico oqualsiasi altro prodotto della sua immaginazione.

Dando quindi attenzione solo alla propria coscienza, essenzialeo 'forma di luce', e smettendo di essere attenti a qualsiasi formad'immaginazione, la nostra mente sperimenterà se stessa come lasua coscienza naturale di essere, 'Io sono'. in altre parole, dandoattenzione e conoscendo solo la sua vera coscienza di essere, lanostra mente si fonde e diventa tutt'uno con quella coscienza.

Questa non duale esperienza della vera coscienza del sé è lo

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stato di vera e assoluta conoscenza. Che cosa esattamente SriRamana significa quando parla della nostra 'mente che conosce lasua forma di luce, dopo aver rinunciato agli oggetti esterni'? Checosa è la propria forma di luce della nostra mente?

La nostra mente, come abbiamo visto nel capitolo tre, è lanostra 'coscienza composita' 'io sono questo corpo', che sicompone di due elementi, la nostra essenziale e fondamentalecoscienza 'Io sono', e l'aggiunta {forma} sovrapposta 'questocorpo'. Poiché l'aggiunta 'questo corpo' appare in un momento escompare in un altro momento, e poiché cambia la sua forma, cheappare come un corpo nella veglia e un altro corpo nel sogno, èsolo un'apparizione superficiale, una spuria e irreale apparizione.

Pertanto, l'unico elemento reale della nostra mente è la nostracoscienza fondamentale 'Io sono', la coscienza essenziale dellanostra esistenza, perché questa coscienza fondamentale edessenziale è permanente, non qualcosa che appare in un momentoe scompare un'altra volta, e non cambia mai la sua forma. Poichéquesta fondamentale coscienza del nostro essere è quindi la formavera ed essenziale della nostra mente, e dato che è la 'luce' chepermette alla mente di conoscere non solo se stessa ma anche tuttele altre cose, in questo verso Sri Ramana si riferisce a essa comela forma di luce propria della nostra mente

Quando la nostra mente rivolge il suo potere di attenzione su sestessa, lontana da tutte le altre cose, focalizzando la sua attenzioneintensamente ed esclusivamente sulla sua coscienza fondamentaleed essenziale del proprio essere, 'Io sono', essa si disattiva escompare, fondendosi e diventando un tutt'uno con quellafondamentale coscienza.

Cioè, quando noi, che ora scambiano noi stessi per essere talelimitata coscienza individuale che chiamiamo 'mente',focalizziamo la nostra attenzione esclusivamente sulla nostrafondamentale coscienza libera da aggiunte 'Io sono', scopriremoquesta coscienza libera da aggiunte {forme} essere il nostro séreale, e così non ci confonderemo più come questa mente, la

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coscienza vincolata dall'aggiunto 'io sono questo corpo'.Tuttavia, fintanto che ci occupiamo di cose diverse da noi

stessi, perpetueremo l'illusione che siamo questa mente. Perconoscere noi stessi come veramente siamo, dobbiamo smettere dioccuparci di altre cose e dobbiamo concentrarci solo sul nostroessere essenziale, la nostra coscienza libera da aggiunte: 'Io sono'.

Pertanto, quando la nostra mente abbandona la sua abitudine difare attenzione agli oggetti esterni, e conosce solo la propria veraforma di luce, la nostra chiara luminosa coscienza 'Io sono', nonsarà più un essere separato, un'entità, denominata 'mente', mabrillerà invece solo come il suo vero ed essenziale essere, che è lanostra coscienza che eternamente conosce il sé 'Io sono'. Quindi,ciò che conosce la nostra coscienza, libera da aggiunte 'Io sono',non è in realtà la nostra mente, ma è solo la nostra stessacoscienza libera da aggiunte.

Poiché conosce solo se stessa, ed è conosciuta solo da se stessa,la nostra coscienza libera da aggiunte 'Io sono' è essenzialmentenon duale. Pertanto, la nostra 'mente che conosce la propria formadi luce, dopo aver rinunciato agli oggetti esterni' è il non dualestato in cui, conoscendo la sua vera ed essenziale natura, la nostramente ha cessato di essere l'immaginaria coscienza, che conoscegli oggetti, legata alle aggiunte, chiamata 'mente'; e invece rimanesolo come la nostra essenziale coscienza di sé priva di aggiunte, lanostra vera coscienza, che conosce sempre solo il suo essere, 'Iosono'.

Come dice Sri Ramana, questo stato non duale di chiaracoscienza di sé o di conoscenza del sé è solo lo stato di veraconoscenza. Perché è così? L'unica cosa che sappiamo concertezza assoluta è 'Io sono'. Se noi stessi non esistessimo, nonpotremmo conoscere qualsiasi altra cosa. Pertanto, poiché siamocoscienti, noi esistiamo.

Noi non possiamo conoscere esattamente ciò che siamo, manon possiamo ragionevolmente avere alcun dubbio sul fatto chesiamo. La nostra coscienza 'Io sono' è dunque l'unica conoscenza

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che possiamo essere assolutamente certi che sia una veraconoscenza. A differenza di tutte le altre nostre conoscenze, chesono solo relativamente o condizionatamente vere, la nostracoscienza 'Io sono' è assolutamente e incondizionatamente vera,perché è permanente, immutabile e perfettamente auto-evidente.

Poiché è conosciuta direttamente da se stessa, e non da altri oattraverso qualsiasi altro mezzo, la sua verità o realtà non dipendeda qualsiasi altra cosa. Poiché è vera in ogni momento, in tutti glistati e in tutte le condizioni, e poiché è sempre non modificabile eimmutabile, non è influenzata da qualsiasi altra cosa che possaapparire o scomparire o da eventuali modifiche che possonoverificarsi intorno ad essa, è vera di per sé, assolutamente,incondizionatamente e indipendentemente vera.

Giacché è l'unica cosa che sperimentiamo in ogni momento, intutti gli stati e sotto tutte le condizioni, e poiché rimane semprecosì com'è senza mai subire qualsiasi modifica, questa coscienzafondamentale: 'Io sono' deve essere il nostro vero io, la nostravera e più essenziale natura. Tuttavia, anche se già conosciamoquesta coscienza 'Io sono', non sappiamo chiaramente com'è,perché sembra essere offuscata dalla sovrapposizione della nostramente, la coscienza spuria che è sempre mescolata ad aggiunte, eche non può mai conoscere se stessa priva di aggiunte come meracoscienza 'Io sono'. Pertanto, anziché essere il mezzo per la veraconoscenza, la nostra mente è il principale ostacolo alla veraconoscenza. Perché nessuna conoscenza diversa dalla conoscenzadi sé (il non duale stato in cui conosciamo chiaramente, efermamente dimoriamo nella coscienza che conosce solo il suoessere, 'Io sono'), è considerata la vera conoscenza?

Ogni conoscenza diversa dalla nostra reale, libera da aggiunte,non duale coscienza 'Io sono' è conosciuta solo dalla nostra mente:la nostra falsa coscienza limitata dalle aggiunte 'io sono questocorpo'. Considerando che la nostra coscienza allo stato puro 'Iosono' è essenzialmente non duale, perché conosce solo il proprioessere; la nostra mente è invece una forma di coscienza

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intrinsecamente duale, perché appare come una coscienzaindividuale separata che conosce apparentemente solo cosediverse da sé.

Tutta la conoscenza duale, cioè, tutta la conoscenza in cui ciòche è noto è separato da o diverso da quello che conosce, èconoscenza relativa. Ciò che è noto come un oggetto distinto dalsoggetto conoscente esiste relativamente a quel soggetto che loconosce, ed è quindi dipendente per la sua apparente realtà da quelsoggetto. A meno che il soggetto conoscente sia di per sé reale,nessuno degli oggetti di sua conoscenza può essere reale. Tutta laconoscenza che abbiamo degli oggetti sono solo pensieri che lanostra mente ha formato in sé col suo potere d'immaginazione.Non possiamo conoscere qualsiasi oggetto, qualsiasi cosa diversadal nostro essere, 'Io sono', se non attraverso la nostra mente.

Quindi non possiamo sapere se un oggetto esiste davveroindipendentemente dal pensiero su esso che abbiamo formatonella nostra mente. Pertanto tutte le nostre conoscenze su ognicosa diversa da 'Io sono' sono null'altro che pensieri, che sonosolo reali quanto la nostra mente che li ha formati. Come abbiamovisto in precedenza, la nostra mente, insieme con tutta la suaconoscenza della dualità, è solo una fantasia sovrapposta allaconoscenza reale, che è la nostra non duale coscienza 'Io sono'.

La nostra coscienza 'Io sono' è non duale perché conosce solose stessa il suo essere essenziale, e non qualsiasi altra cosa. Ciòche conosce le cose che sono apparentemente diverse da se stessiè solo la nostra mente. Tutta la conoscenza oggettiva, tutta laconoscenza della dualità, tutta la conoscenza di altro da 'Io sono',è conosciuta solo dalla nostra mente, e quindi esiste solorelativamente alla nostra mente. Quindi tutta la conoscenzadiversa da 'Io sono' è conoscenza dualistica e relativa, e come taledipende per la sua realtà apparente dalla nostra mente che laconosce.

La nostra mente è una forma irreale di coscienza, perché entrain esistenza come una coscienza separata conoscitrice di oggetti

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solo identificando falsamente la sua coscienza essenziale 'Io sono'con un'aggiunta {forma} 'questo corpo', che è solo uno dei suoipensieri, un'immagine che ha formata dentro di sé col suo potered'immaginazione. Poiché la nostra mente è così formata solo dalnostro potere d'immaginazione, tutto ciò che è conosciuto da essaè anche solo un prodotto della nostra immaginazione.

Come può una conoscenza immaginaria relativa, dualistica eoggettiva essere considerata vera conoscenza? Non è chiaro,quindi, che l'unica vera conoscenza che possiamo ottenere è lachiara conoscenza di noi stessi come realmente siamo, priva diaggiunte sovrapposte, cioè, la conoscenza di noi stessi: la nostrapura ed essenziale coscienza di sé, 'Io sono', che è la non dualecoscienza assoluta che conosce solo se stessa?

Tutta la conoscenza oggettiva comporta una distinzionefondamentale tra il soggetto, che è il conoscitore, e l'oggetto, che èil conosciuto. Essa comporta anche una terza fattore, l'atto delsoggetto di conoscere l'oggetto. Poiché la conoscenza di noi stessicoinvolge solo il soggetto cosciente del sé e nessun oggetto, noiconosciamo noi stessi solo essendo noi stessi, e lo facciamo senzal'aiuto di qualsiasi altra cosa. Poiché siamo naturalmente coscientidel sé, non abbiamo bisogno di fare nulla per conoscere noi stessi.

Pertanto, a differenza di tutta la nostra conoscenza oggettiva, lanostra conoscenza di noi stessi non comporta né un oggetto néalcun atto di conoscenza, e quindi è conoscenza perfettamente nonduale. La conoscenza oggettiva comporta un atto di conoscenza acausa dell'apparente separazione che esiste tra il soggettoconoscente e l'oggetto conosciuto. Cioè, poiché l'oggetto èqualcosa che sembra essere diverso dal soggetto, al fine diconoscere l'oggetto l'attenzione del soggetto deve spostarsilontano da sé verso l'oggetto.

Questo movimento della nostra attenzione da noi stessi versoqualcosa che sembra essere altro che noi stessi è un'azione o 'fare'.Mentre conosciamo noi stessi col solo essere noi stessi, possiamoconoscere altre cose solo occupandoci attivamente di loro; cioè,

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solo indirizzando la nostra mente verso di loro.Quando conosciamo noi stessi, la nostra attenzione, che è il

nostro potere di conoscere o coscienza, riposa in se stessa, senzamuoversi. Quando conosciamo qualsiasi altra cosa, la nostraattenzione deve essere deviata da noi stessi verso l'altra cosa.Questo atto di dirigere la nostra attenzione verso qualcosa chesembra essere diversa da noi stessi è ciò che chiamiamo pensiero.Ogni pensiero comporta un movimento della nostra attenzionelontano da noi stessi e verso qualche immagine nella nostra mente.

La nostra mente forma tutti i suoi pensieri o immagini mentalisolo apparentemente spostando la sua attenzione lontano da sestessa. Poiché tutta la nostra conoscenza oggettiva è solo pensierio immagini mentali che la nostra mente si è formata al suo internoapparentemente spostando la sua attenzione fuori se stessa,sembra esistere solo a causa di questa azione, che noi chiamiamocon vari nomi quali pensare, conoscere, comprendere,sperimentare, vedere, udire, ricordare e così via.

Analogamente, tutti gli oggetti che conosciamo sono venuti inesistenza solo a causa del nostro atto di conoscerli. Cioè, poichétutti gli oggetti sono pensieri o immagini che sorgono nella nostramente, essi sono formati dalla nostra azione di pensarli oimmaginarli: un'azione che può avvenire solo quandopermettiamo alla nostra attenzione di spostarsi apparentementelontano da noi stessi. Così tutta la conoscenza oggettiva coinvolgetre elementi fondamentali, il soggetto conoscente, il suo atto diconoscenza e gli oggetti conosciuti da essa; in altre parole, ilconoscitore, il conoscere e il conosciuto.

Questi tre elementi base o fattori di conoscenza oggettiva sononoti in Sanscrito come 'triputi' e in Tamil come 'muppuḍi', duetermini che letteralmente significano 'ciò che è triplice' ma chepuò essere tradotto più comodamente con la parola 'triade'. Diquesti tre fattori di conoscenza oggettiva, il primo e piùimportante è il conoscitore, che è la nostra mente o la coscienzaconoscitrice di oggetti. Senza questo primo fattore, gli altri due

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fattori non potrebbero apparire.Pertanto la nostra mente conoscitrice è la radice o la causa

originaria della comparsa di questi tre fattori di conoscenzaoggettiva. In altre parole, questi tre fattori dipendono per il loroapparire o apparente esistenza, dalla comparsa della nostra mente.Di conseguenza, essi sembreranno esistere solo finché appariràesistere la nostra mente. Questa verità è chiaramente indicato daSri Ramana nel versetto 9 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Le coppie e le triadi esistono [solo] aggrappandosisempre a uno [cioè, alla nostra mente o la coscienzaconoscitrice di oggetti]. Se [noi] cerchiamo dentro [lanostra] mente 'che cosa è quello?', essi fuggiranno[perché scopriremo che la loro causa e base diappoggio, la nostra mente, è di per sé inesistente].Solo coloro che hanno [quindi] visto [la non-esistenzadella nostra mente e la sola esistenza del nostro verosé] sono quelli che hanno visto la realtà [la realtàassoluta o vero 'Io sono']. Non saranno illusi [confusio agitati immaginando di nuovo l'esistenza di talicoppie o triadi]. Vedi così [questa realtà assoluta, che èil nostro vero sé, l'essenziale e non duale coscienza delnostro essere, 'Io sono']”.

In questo verso la parola 'iraṭṭaigaḷ' o 'coppie', significa lecoppie di opposti come la vita e la morte, l'esistenza e non-esistenza, coscienza e incoscienza, felicità e infelicità, reale eirreale, la conoscenza e l'ignoranza, luce e tenebre, bene e male, ecosì via. La parola 'muppuḍigaḷ' o 'triadi' intende le varie formeche la 'triade' o insieme dei tre fattori di conoscenza oggettivaassume, come 'il conoscitore, il conoscere e il conosciuto', 'ilpensatore, il pensare e il pensiero', 'il percipiente, la percezione eil percepito', 'lo sperimentatore, lo sperimentare e l'esperienza', ecosì via.

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L'irrealtà sia di queste 'triadi', che costituiscono la totalità dellanostra conoscenza oggettiva, e sia di queste 'coppie', che sonoparte integrante della nostra conoscenza oggettiva, essendofenomeni oggettivi vissuti dalla nostra mente conoscitrice, èsottolineata dalla parola viṇmai, che Sri Ramana ha aggiunto tra ilversetto precedente e questo versetto nella versione kaliveṇbā di'Uḷḷadu Nāṟpadu'.

Essendo collocato immediatamente prima delle parole diquesto versetto di apertura, iraṭṭaigaḷ muppuḍigaḷ, questa parolaviṇmai, che letteralmente significa 'skyness' la qualità astratta ocondizione del cielo, che in questo contesto implica il suo azzurro,definisce la natura di queste 'coppie' e 'triadi'. Cioè, questicostituenti fondamentali di tutta la nostra conoscenza oggettiva odualistica sono apparizioni irreali, come l'azzurro del cielo.

Proprio come il cielo è in realtà solo uno spazio vuoto, che èprivo di colore, così noi siamo in realtà: solo lo spazio vuoto dellapura autocoscienza del sé, che è privo di dualità o alterità. Maproprio come l'azzurro apparente del cielo si forma perché la lucedel sole viene rifratta quando entra nella atmosfera terrestre, cosìl'apparizione della dualità è formata nell'indiviso spazio dellanostra coscienza, perché la chiara luce della nostra non dualecoscienza del sé è apparentemente divisa in molti pensieri oimmagini mentali quando il fantasma della nostra mente nascedentro di noi.

Questo è il motivo per cui Sri Ramana dice che queste coppiedi opposti e triadi esistono solo 'aggrappandosi sempre a uno'.L''uno' a cui si aggrappano sempre è la nostra mente o coscienzaconoscitrice di oggetti, e si dice che si aggrappano a essa perchéper la loro esistenza apparente tutti dipendono dalla suaimmaginaria esistenza. Quando la nostra mente sembra esistere,come avviene nella veglia e nel sogno, le coppie di opposti e letriadi sembrano esistere, e quando non sembra esistere, come nelsonno, anche loro non sembrano esistere.

Perciò Sri Ramana dice che se guardiamo all'interno della

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nostra mente per vedere cosa è questo 'uno', le coppie di opposti ele triadi fuggiranno via. Cioè, se scrutiamo noi stessi attentamenteper sapere cosa questa coscienza conoscitrice di oggetti è davvero,scopriremo che in realtà è solo la nostra essenziale non dualecoscienza di sé, che non conosce altro che se stessa, e quindi tuttal'alterità e la dualità che ora sembra apparire svanirà.

La nostra mente o coscienza conoscitrice di oggetti sembraesistere solo quando ignoriamo la nostra vera non duale coscienzadi sé, e, quindi, cesserà di esistere quando ci concentriamo solo sunoi stessi: cioè, la nostra fondamentale ed essenziale coscienza disé. Quando osserviamo da vicino un serpente immaginario questoscomparirà, e al suo posto rimarrà solo la reale corda. Allo stessomodo, quando osserviamo attentamente questa coscienzaimmaginaria conoscitrice di oggetti che noi chiamiamo 'mente',questa sparirà, e al suo posto solo la nostra reale non dualecoscienza del sé rimarrà.

Proprio come il serpente scompare perché è immaginario equindi mai realmente esistito, così la nostra mente scompariràperché è immaginaria e quindi mai realmente esistita. Propriocome l'unica realtà alla base dell'aspetto immaginario del serpenteè la corda, quindi la sola realtà sottostante l'aspetto immaginariodella nostra mente è la nostra fondamentale non dualeautocoscienza {coscienza di sé}, 'Io sono'. Quando guardiamo davicino la coscienza conoscitrice di oggetti che chiamiamo nostra'mente', si scoprirà che è inesistente in quanto tale, essendo nientealtro che la nostra vera coscienza, la nostra non duale coscienza disé 'Io sono', che non conosce mai qualcosa diverso da sé.

Quando abbiamo così scoperto che la nostra mente conoscitricedi oggetti è inesistente in quanto tale, scopriamo anche che tutte ledualità che sembravano essere conosciute da questa sono ancheinesistenti.

Questo è il motivo per cui Sri Ramana dice che se guardiamoall'interno della nostra mente per vedere cosa questa coscienzaconoscitrice di oggetti è davvero, le coppie di opposti e le triadi

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'fuggono via': cioè, spariranno insieme alla loro causa , la nostramente. Dopo aver detto che le coppie di opposti e le triadifuggiranno se si vuole vedere che cosa quella coscienzaconoscitrice di oggetti è davvero, Sri Ramana dice: “Solo coloroche hanno visto [in questo modo] sono quelli che hanno visto larealtà”.

Qui la parola kaṇḍavarē, che ho tradotto come 'solo coloro chehanno visto', significa solo coloro che hanno cosi 'visto' osperimentato la non esistenza della nostra mente e la solaesistenza del nostro vero sé. La parola uṇmai, che è stata tradottacome 'la realtà', ma che etimologicamente significa 'is-ness' {lostato di 'egli è'} o 'am-ness' {lo stato di 'Io sono'}, qui denota larealtà assoluta, che è il nostro 'vero essere', il nostro essenzialeessere non duale cosciente del sé. Sri Ramana poi dichiara,'kalaṅgārē', che significa 'Loro certamente non saranno illusi,confusi o agitati'.

Cioè, poiché ogni delirio, confusione e agitazione sorgonounicamente dovuti alla nostra conoscenza della dualità o alterità,che a sua volta sorge solo a causa della comparsa immaginariadella nostra mente, e poiché la nostra mente scomparirà persempre quando sperimentiamo l'assoluta e unica realtà veramenteesistente, che è il nostro essere perfetto non duale cosciente di sé,dopo che abbiamo vissuto questa realtà non saremo mai più illusio confusi dalla comparsa immaginaria della dualità.

Così in questo verso Sri Ramana sottolinea il fatto che la nostramente è l'unico fondamento su cui l'intero aspetto immaginariodella dualità è costruito, e che quindi possiamo sperimentare larealtà assoluta che è alla base di questo aspetto solo scrutandone lesue fondamenta: la nostra mente. Fino a quando non ci liberiamodalla nostra auto-illusoria immaginazione che questa mente è ilnostro vero sé, continueremo a sperimentare la conoscenza irrealedella dualità, e non saremo quindi in grado di sperimentare la veraconoscenza non duale che è questo nostro reale sé.

La conoscenza che la nostra mente ha sul mondo è duplice,

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prendendo la forma di conoscenza di alcune cose e ignoranza dialtre cose. Tale conoscenza relativa e ignoranza (che è una dellecoppie di opposti a cui Sri Ramana si riferisce nel versetto 9 di'Uḷḷadu Nāṟpadu') è possibile solo per cose diverse da noi stessi.A proposito di noi stessi non possiamo mai essere davveroignoranti, perché conosciamo sempre noi stessi come 'Io sono'.

Tuttavia, finché non conosceremo noi stessi, senza il velooscurante delle sovrapposte aggiunte, non sapremo comeveramente siamo, ma conosceremo noi stessi in modo errato come'io sono una persona così e così'. Anche se questa conoscenzasbagliata che ci sembra di avere sulla nostra vera natura è talvoltachiamata 'ignoranza del sé', 'ignoranza del nostro vero sé' o'spirituale ignoranza', non è infatti reale, ma è solo un aspetto chesembra esistere solo nella prospettiva della nostra mente

Cioè, è solo un apparente ignoranza che è vissuta solo dallanostra mente, e non dalla nostra vera coscienza, che si conoscesempre come 'Io sono'. Nell'esperienza della nostra realecoscienza 'Io sono', non esiste la dualità della conoscenza eignoranza, perché è l'unica realtà sottostante tutte le apparenze, equindi per esso niente esiste fuori o diverso da quello che per essasia conoscere o non conoscere. Come ogni altra conoscenza eignoranza che sono vissute dalla mente, la nostra apparenteignoranza della nostra vera ed essenziale natura è solo relativa.Inoltre, anche lo stato della conoscenza di sé che ora cerchiamo diraggiungere esiste solo rispetto al nostro attuale stato di ignoranzadel sé.

Tuttavia, è relativa solo dal punto di vista della nostra mente,che cerca di raggiungerla come se fosse una conoscenza che oranon possediamo, e che potremo quindi sperimentare in unmomento futuro. Questo concetto che la nostra mente ha circa laconoscenza di sé è una falsa immagine di ciò che la veraesperienza di conoscenza del sé è davvero. Quando avremoeffettivamente sperimentato lo stato di vera conoscenza di sé,scopriremo che non è qualcosa che abbiamo appena raggiunto in

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un determinato momento, ma è l'unico stato reale, che abbiamosempre vissuto e che sperimentiamo sempre, perché esisteeternamente, al di là della relativa dimensioni del tempo: passato,presente e futuro.

Cioè, in tale stato sapremo chiaramente che siamo sempre statisolo la coscienza pura di essere, 'Io sono', e che l'ignoranza e laconoscenza sbagliata 'io sono questo corpo' non è mai realmenteesistita, proprio come quando finalmente vediamo la corda come èrealmente, noi capiremo che stavamo sempre vedendo solo quellacorda, e che il serpente che abbiamo immaginato di vedere non èmai realmente esistito.

Anche quando immaginiamo che non conosciamo il nostrovero sé e quindi proviamo a concentrarci su noi stessi, al fine disapere ciò che realmente siamo, siamo in realtà nient'altro che ilnostro vero sé, che conosce sempre se stesso come realmente è.L'ignoranza apparente della vera non duale natura del nostro verosé è solo un'immaginazione, e l'unico scopo del nostro sforzo perconoscere noi stessi è solo quello di rimuovere l'immaginazione.

Questa verità è affermata con enfasi da Sri Ramana nel versetto37 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Anche la discussione che dice: 'Dualità [è vera]nello [stato della] pratica spirituale, [mentre] nondualità [è vera] nello [stato di] raggiungimento [dellaconoscenza di sé]', non è vera. Sia quando siamoamorevolmente [ardentemente o disperatamente] allaricerca [di noi stessi], che quando [noi] abbiamoraggiunto il nostro sé, chi altro possiamo essere se nonil decimo uomo?”

La parola 'daśamaṉ' o 'il decimo uomo' si riferisce aun'analogia che è spesso utilizzato in advaita vēdānta.. Secondo lastoria tradizionale su cui questa analogia si basa, dieci uominiottusi sono spinti a guadare un fiume che scorre veloce. Dopo aver

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attraversato il fiume, hanno deciso di contare quanti fossero, alfine di assicurarsi che tutti avessero attraversato in modo sicuro.Ognuno di loro conta gli altri nove uomini, ma dimentica dicontare se stesso, in modo che tutti immaginavano di aver persouno dei loro compagni, e invece di cercare di sapere chi fosse il'decimo uomo' mancante, tutti cominciarono a lamentare la suaperdita.

Vedendoli piangere per la perdita del loro presunto compagnomancante, un passante che aveva capito che ciascuno di loroaveva dimenticato di contare se stesso, per convincerli chenessuno di loro era davvero mancante, ha suggerito che avrebbetoccato ciascuno di loro uno per uno, e che a partire da uno ogniuomo appena toccato avrebbe contato il numero successivo nellasequenza, appena toccato.

Quando l'ultimo uomo fu toccato disse 'dieci', dopo di che tutticapirono che nessuno di loro era mai stato veramente mancante.Chi allora era il 'decimo uomo' che ciascuno di loro avevaimmaginato di aver perso? Ogni uomo, aveva contato gli altrinove uomini, ma dimenticato di contare se stesso, era lui stesso ilpresunto 'decimo uomo' mancante. Proprio come il 'decimo uomo'sembrava mancare solo perché ognuno di loro aveva ignorato sestesso e contato solo gli altri, così noi sembriamo non conoscerenoi stessi solo perché abitualmente ignoriamo noi stessi e cioccupiamo solo delle cose che sembrano essere diverse da noistessi.

Pertanto, quando Sri Ramana chiede: '[...] chi altro possiamoessere se non il decimo uomo?', quello che intende con la paroladaśamaṉ o 'il decimo uomo' è solo il nostro vero sé, che noi oraimmaginiamo di non conoscere. Da qui il senso della domandaretorica che Sri Ramana chiede nell'ultima parte di questoversetto: che siamo sempre veramente nient'altro che il nostrovero sé, sia quando siamo alla ricerca di esso, che quandoabbiamo scoperto di esserlo.

Proprio come la perdita del 'decimo uomo' era solo una

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fantasia, così il nostro attuale stato di auto ignoranza è anche unamera fantasia. Pertanto, dal momento che tutte le dualità chesperimentiamo in questo stato sono il risultato della nostraimmaginaria auto-ignoranza: anche questa è una mera fantasia.Quindi, anche nel nostro attuale stato di apparente auto-ignoranza,l'unica realtà è la nostra fondamentale non duale coscienza di sé,'Io sono'.

Per far scoprire a ciascuno dei dieci uomini il mancante'decimo uomo', tutto ciò che era richiesto era di eliminarel'immaginazione che uno di loro mancasse, e che ciò si potevaraggiungere solo facendo attenzione a se stessi. Allo stesso modo,per scoprire il nostro vero sé, tutto ciò che è richiesto è dirimuovere la nostra immaginazione di conoscere qualcosa didiverso dal nostro vero sé, e che questo può essere raggiunto solospostando la nostra attenzione verso noi stessi.

Cioè, dato che la causa della nostra esperienza immaginariadella dualità o alterità è la nostra apparente ignoranza del sé, ciòpuò essere rimosso solo dall'esperienza di una chiara conoscenzadel sé non duale, che possiamo ottenere solo concentrandociintensamente ed esclusivamente su noi stessi. La necessità dellapratica spirituale, per il nostro sforzo di realizzazione di essereprofondamente ed esclusivamente attenti al nostro esserecosciente di sé, è necessaria solo perché immaginiamo di esserequalcosa diverso dal nostro vero sé, che è la nostra non duale edessenziale coscienza di sé.

Questo è il significato implicito nelle due parole che SriRamana ha aggiunto prima dell'inizio di questo versetto nellaversione kaliveṇbā di 'Uḷḷadu Nāṟpadu', che sono aṟiyādēmuyalum, che significano 'che [noi] tentiamo [o ci sforziamo difare] solo [a causa del] non conoscere'. Essendo collocato davantialla parola iniziale di questo versetto, sādhakattil, che significa'nello [stato di] pratica spirituale', queste due parole implicanoche dobbiamo fare lo sforzo di fare qualsiasi tipo di praticaspirituale, compresa la finale pratica dell'ātma-vicāra o auto-

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indagine, solo perché non sperimentiamo la vera conoscenza di sé,la vera conoscenza che siamo solo un essere assolutamente non-duale e quindi perfettamente chiaro e cosciente di sé.

Anche se questa auto-ignoranza o mancanza di veraconoscenza di sé è soltanto immaginaria, fintanto che nonsperimentiamo noi stessi come niente altro che assolutamente puracoscienza del sé: la coscienza che non conosce altro che se stessa,il suo essere essenziale 'am-ness' {lo stato di 'Io sono'}; ènecessario per noi praticare l'auto indagine, che è la vera praticaspirituale di rimanere senza distrarsi come nostro vero esserecosciente del sé.

Tuttavia, poiché la nostra attuale ignoranza del sé è veramenteimmaginaria, quando come un risultato della nostra praticaviviamo il nostro vero sé, il nostro assolutamente non duale esserecosciente di sé, scopriremo che non abbiamo mai conosciutoqualcosa diverso da esso. Proprio come il 'decimo uomo' non èstato mai nessun altro che l'uomo che s'immaginava mancare, cosìil sé reale che ora stiamo cercando non è qualcosa di diverso danoi stessi, che ora immaginiamo di essere qualcosa che nonconosciamo chiaramente.

Perciò Sri Ramana dice che non è vero dire che la dualità èreale quando stiamo cercando il nostro vero sé. Anche ora siamonient'altro che il non duale reale sé che cerchiamo. Dal momentoche noi stessi siamo il vero sé, che ora cerchiamo, e dato che lavera natura del nostro vero sé è quella di non conoscere nulla didiverso da sé, non abbiamo mai davvero avuto alcun dualità. Lanostra attuale esperienza della dualità è quindi solo un sogno, unimmaginazione che esiste solo nella nostra mente.

Poiché la nostra mente è di per sé solo una fantasia, e dalmomento che scompare quando sperimentiamo noi stessi comerealmente siamo, il nostro sogno di dualità sarà dissolto dallanostra esperienza della vera conoscenza di sé. Nello stato di veraconoscenza di sé scopriremo che siamo quella non dualecoscienza di sé, 'Io sono', che non conosce nulla di diverso da sé

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stessa. Dal momento che questa vera non duale coscienza di sé è ilnostro vero io, siamo in realtà questo in ogni momento e in tuttigli stati, anche quando immaginiamo di essere qualcos'altro.

Pertanto, visto che siamo l'unica non duale, indivisa, infinita,eterna e immutabile coscienza di sé, noi stessi siamo l'unica veraconoscenza. Noi siamo quella conoscenza assoluta che trascendeogni relatività, ogni conoscenza e ignoranza, tutte le distinzionicome quella tra il soggetto che conosce, l'atto del conoscere, e glioggetti conosciuti, trascende tutto il tempo e lo spazio, e tutte lealtre forme di dualità.

Tutte le forme di dualismo o relatività esistono solo nellafantasia della nostra mente, che di per sé non è altro che un partodella nostra immaginazione: qualcosa che in verità non è mairealmente esistito. Tuttavia, anche se la vera conoscenza trascendenon solo tutte le forme di dualismo o di relatività, ma anche lanostra mente, tramite la quale sono note tutte le forme di dualità edi relatività, la vera conoscenza è comunque il substrato finale chesottende e sostiene la comparsa di tutte loro.

La vera conoscenza è quindi solo la conoscenza assoluta chesta alla base eppure trascende tutta la conoscenza relativa el'ignoranza. E li trascende perché, anche se è il loro substratofinale o supporto, nondimeno rimane distinta da loro,indipendente e non influenzata da loro, proprio come uno schermodel cinema è il supporto che sottende l'aspetto delle immagini chepassano velocemente su di esso, e tuttavia rimane distinto eindipendente e non influenzato da esse.

Proprio come lo schermo non si brucia quando una foto di unfurioso fuoco è proiettato su di esso, né diventa bagnato quandol'immagine di un'alluvione è proiettata su di esso, così la veraconoscenza, la nostra vera non duale coscienza del sé 'Io sono'non è interessata minimamente da qualsiasi conoscenza relativa oignoranza che può sembrare sorgere all'interno di essa.

Anche se la nostra vera, assoluta e non duale conoscenza 'Iosono' è il massimo supporto o substrato che sottende tutte le forme

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di dualismo o di relatività, non è il loro supporto immediato o dibase. La base immediata da cui tutta la dualità dipende, e senza laquale non cessa di esistere, è solo la nostra errata conoscenza 'iosono questo corpo', che è il nostro senso individuale del sé, ilnostro ego o mente. Pertanto, nel versetto 23 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu',Sri Ramana dice:

“Questo corpo non dice 'io' [cioè, non conosce 'Iosono', perché è solo materia incosciente]. Nessunodice 'nel sonno non esisto' [anche se nel sonno questocorpo non esiste]. Dopo che un 'io' è nato[immaginando 'io sono questo corpo'], tutto nasce.[Pertanto] con un sottile intelletto scruta dove questo'io' sorge”.

Che cosa esattamente Sri Ramana significa dicendo nella primafrase del presente versetto, 'Questo corpo non dice 'io'', è statochiarito da lui nella versione kaliveṇbā di 'Uḷḷadu Nāṟpadu', in cuiha aggiunto, prima, la parola mati-yiladāl, che significa 'dalmomento che è privo di mati'. La parola 'mati' di solito significamente, l'intelletto o potere di discernimento e comprensione, main questo contesto Sri Ramana la usa in un senso più profondo perindicare la coscienza.

Cioè, dal momento che il nostro corpo non ha coscienza suapropria, non può di per sé dire 'Io sono'. Qui 'dire' non è utilizzatooggettivamente a significare 'fare suono con la bocca', ma è usatopiù soggettivamente per significare 'testimoniare', 'testimonianza','dichiarare' o 'far conoscere'. Il nostro corpo non sperimenta otestimonia la sua esistenza, non più di quanto lo fa un cadavere, equindi non può testimoniare 'Io sono'.

Quello che ora sperimenta la sua esistenza apparente è solo noi:la coscienza o la mente all'interno di questo corpo; e dato cheimmaginiamo la mente essere noi stessi, ci sentiamo come 'iosono questo corpo'.

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Qual'è la Vera Conoscenza

Quindi, quando questo corpo sembra dire 'io', siamo noi che inrealtà parliamo attraverso di esso riferendoci a esso come 'io'. Lanostra mente, l'ego o il senso individuale di 'io', che sente oraquesto corpo essere sé stesso, non è in realtà né questo corpo né lanostra vera coscienza 'Io'. Non è questo corpo, perché questocorpo è solo materia incosciente, che non conosce la propriaesistenza, 'Io sono', e non è il nostro vero 'Io', perché sappiamoche noi esistiamo nel sonno, anche se non sperimentiamo la nostramente in quello stato.

Poiché la nostra mente non esiste nel sonno, non esiste ladualità in quello stato. La dualità o molteplicità sembra esisteresolo dopo che la nostra mente è sorta, posizionando se stessacome il nostro vero 'Io'. Pertanto la causa della comparsa delladualità nella veglia e nel sogno è solo l'apparire della nostra menteo ego, che si manifesta immaginando sé stessa come un corpo. Dalmomento che la nostra mente o il senso individuale di 'io' non èreale, ma appare semplicemente come una fantasia, Sri Ramanaconclude questo versetto consigliandoci di esaminare la fonte dacui sorge.

Tale sorgente è noi stessi, il nostro vero 'Io' o essenzialeautocoscienza, che abbiamo sperimentato anche nel sonno. Seesaminiamo noi stessi con un 'intelligenza sottile', cioè, chiara eraffinata e con un profondo e penetrante potere di discernimento,cognizione o attenzione, sperimenteremo noi stessi come la veranon duale coscienza che siamo davvero, e così la nostra mente oego svanirà

Nell'ultima riga di questo versetto, le due parole Nun matiyāl,che letteralmente significano 'da un intelletto sottile', sono moltosignificative, e per capire il loro senso più chiaramente, ledobbiamo confrontare con due parole simili che Sri Ramanautilizza nel versetto 28, dette kūrnda matiyāl, che letteralmentesignificano 'da un intelletto acuto' o 'da un intelletto concentrato',vale a dire, da un forte, appassionato, intenso, acuto e penetrantepotere di discernimento, cognizione o attenzione.

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Poiché egli dice nel versetto 28 che per mezzo di un tale'intelletto acuto' o kūrnda mati 'dovremmo sapere il luogo [ofonte] da cui [il nostro] ego sorgente si leva', è chiaro che il'sottile intelletto' a cui si riferisce al versetto 23 è lo stessodell''intelletto acuto' a cui si riferisce al versetto 28. Il nostro 'veroIo' è infinitamente sottile, perché è coscienza senza forma,considerando che in confronto tutti i nostri pensieri sonogrossolani, perché sono forme o immagini che sembrano esserealtro da noi stessi.

Quindi se siamo abituati a occuparci solo di pensieri o oggetti,il nostro intelletto o potere di discernimento sarà diventatorelativamente grossolano, ottuso e lento, avendo perso la suanaturale sottigliezza, nitidezza e chiarezza, e quindi non sarà ingrado di discernere chiaramente la nostra vera, sottile, coscienzadel sé libera da aggiunte. Poiché costantemente ci occupiamo dipensieri e oggetti grossolani abbiamo perso la sottigliezzanaturale, la nitidezza e la chiarezza di attenzione o didiscernimento; per ritrovare queste qualità dobbiamo cercare dipartecipare di più alla nostra infinitamente sottile coscienza di sé.

Quanto più si pratica tale attenzione al sé, tanto più sottile,forte e chiaro, diventerà il nostro potere di attenzione odiscernimento, e come aumenta la sua sottigliezza, nitidezza echiarezza, saremo in grado di discernere la nostra vera coscienzadel sé in modo più chiaro, preciso e corretto, finché alla fine lasperimenteremo nella sua purezza assolutamente incontaminata.

Questa esperienza incontaminata della nostra vera non dualeautocoscienza è solo lo stato di vera conoscenza assoluta. Ilrisultato che si ottiene quando con una potenza veramente sottiledi attenzione esaminiamo la nostra essenziale coscienza di sé, 'Iosono', che è la fonte da cui la nostra mente o falso senso finito di'io' sorge, è dichiarato da Sri Ramana esplicitamente nelle paroleche ha aggiunto alla fine di questo versetto nella versionekaliveṇbā di 'Uḷḷadu Nāṟpadu'. La parola finale di questo versettoè la eṇ, che è un imperativo che in questo contesto significa

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'scruta', ma nella versione kaliveṇbā ha modificato come eṇṇa,che è la forma infinita dello stesso verbo che è utilizzatoidiomaticamente per dire 'quando [noi] esaminiamo', e lui haaggiunto un verbo conclusivo naṙuvum, che significaletteralmente 'egli scappa fuori', 'egli s'invola' o 'egli fugge', e chequindi implica che partirà, scomparirà, svanirà, evaporerà, siscioglierà o diventerà del tutto inesistente.

Così il significato di questa frase finale nella versionekaliveṇbā è:

“Quando [noi] esaminiamo con un intelletto sottiledove questo 'io' sorge, egli [questo crescente 'io']scomparirà'”.

Questo io che sorge, la nostra mente o ego, sembra esistere soloquando immaginiamo noi stessi di essere un corpo, e quindi la suaesistenza apparente dipende dal nostro spostare l'attenzionelontano dal nostro essenziale essere autocosciente, 'Io sono', versoun corpo e altri pensieri, che sono tutti oggetti che abbiamo creatocol nostro proprio potere d'immaginazione.

Quando non ci occupiamo di qualsiasi oggetto immaginario,come questo corpo, il mondo o qualsiasi altro pensiero dellanostra mente, o il senso finito di 'io' non possono stare in piedi, equindi diminuiscono e svaniscono dentro di noi, essendo risultatidel tutto inesistenti. Pertanto, quando esaminiamo la fonte delnostro limitato nascente 'io', cioè, quando rivolgiamo la nostraattenzione lontano da tutti i pensieri o immagini mentali e ciconcentriamo interamente ed esclusivamente sul nostro essenzialeessere cosciente di sé, questo falso 'io' svanirà nella chiarezzaassoluta della nostra non duale coscienza di sé perfettamentelibera da aggiunte

Nella seconda metà del versetto 23 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu' SriRamana sottolinea la verità evidente che tutto ciò che è, ognidualità o alterità, sorge solo dopo che la nostra mente o il senso

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individuale di 'io' è risorto, e ci consiglia di scrutare con un'intelligenza sottile' la fonte da cui questo 'io' sorge. Egli aggiungeche quando esaminiamo questo 'io', scivolerà via, sparirà odiventerà del tutto inesistente. La conclusione che dovremmocapire dalla sua dichiarazione: “Dopo che un 'io' è sorto, tuttosorge”; e dal suo successivo suggerimento: “Con un sottileintelletto esaminate dove questo 'io' sorge”; e dalla suadichiarazione finale che questo 'io' poi svanirà, è affermato da luichiaramente nel versetto 26 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

Se il [nostro] ego viene in esistenza [come nellaveglia e nel sogno], tutto viene in esistenza. Se il[nostro] ego non esiste [come nel sonno], tutto ciò nonesiste. [Quindi il nostro] ego davvero è tutto [questointero apparire della dualità o relatività]. Pertanto,conoscere questo esaminando 'che cosa è questo[ego]?' è davvero rinunciare a tutto.

Nella versione kaliveṇbā di 'Uḷḷadu Nāṟpadu' Sri Ramana haaggiunto la parola karu-v-ām, che significa 'che è la karu', primadella prima parola di questo versetto, che è ahandai o 'ego'. Comeho spiegato nel capitolo tre, quando ho discusso il significato delversetto 716 della Guru Vācaka Kovai, la parola karu significa'embrione', 'germe', 'causa efficiente', 'sostanza', 'fondamento' o'grembo', e Sri Ramana descrive il nostro ego o la mente come ilkaru perché è l'embrione o seme da cui tutto, ogni dualità oalterità nasce, la sostanza di cui è formato tutto, il principio attivocausa o creatore, che porta tutto in essere, la fondazione chesostiene l'apparenza di ogni cosa, e il grembo al cui interno tuttonasce ed è contenuto.

Tranne la nostra fondamentale autocoscienza 'Io sono', tuttoquello che conosciamo o sperimentiamo è solo un pensiero oun'immagine che abbiamo formato nella nostra mente con ilnostro potere d'immaginazione. Quindi tutto è solo un

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ampliamento della nostra mente, il nostro ego o radice delpensiero 'io'.

Questo è il motivo per cui Sri Ramana afferma enfaticamenteche il nostro 'ego è davvero tutto'. Perché poi procede dicendo cheesaminare o analizzare il nostro ego per sapere di cosa si tratta, èrinunciare o gettare via tutto? Esaminare il nostro ego è simile aesaminare il serpente apparente che vediamo giacere a terra nellapenombra del crepuscolo. Quando guardiamo attentamente ilserpente, scopriamo che quello che stavamo vedendo non è maistato veramente un serpente, ma è sempre stato solo una corda.

Allo stesso modo, quando esaminiamo il nostro ego o sensoindividuale del sé con una potere di attenzione acuto e sottile,scopriremo che quello di cui siamo sempre stati consapevoli come'Io' non è mai stato veramente una coscienza limitata legata alleaggiunte {forme}, ma è sempre e solo l'illimitata coscienza, liberada aggiunte 'Io sono'. Proprio come il serpente, come tale non èmai realmente esistito, così il nostro ego come tale non è mairealmente esistito.

E proprio come l'unica realtà sottostante l'illusorio aspetto delserpente era solo una corda, la sola realtà sottostante l'apparenzaillusoria del nostro ego è solo il nostro vero sé, la nostra coscienza'Io sono' libera da aggiunte. Pertanto, quando esaminiamoattentamente il nostro ego e scopriamo che esso è inesistente inquanto tale, l'intera apparizione della dualità, che dipendeva per lasua realtà apparente dalla realtà apparente dell''io', cesserà diesistere, o meglio, sarà stata veramente sempre inesistente.

In realtà, quindi, esiste solo la vera conoscenza 'Io sono', e tuttele altre forme di conoscenza, tutte le conoscenze relative el'ignoranza sono sempre inesistenti. Tuttavia, fintanto che noisperimentiamo l'illusione della relativa conoscenza e ignoranza,essa deve, come ogni illusione, avere qualche realtà sottostante, equesta realtà non può che essere la nostra vera e assolutaconoscenza 'Io sono'. La nostra vera conoscenza 'Io sono' è ilsupporto o la base sottostante alla nostra falsa conoscenza 'io sono

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questo corpo', e la nostra falsa conoscenza 'io sono questo corpo'è a sua volta il supporto o la base sottostante alla nostra illusionedi ogni conoscenza relativa e ignoranza.

Pertanto, per sperimentare la vera conoscenza come è, nondobbiamo rimuovere solo l'illusione della conoscenza relativa edell'ignoranza, ma si deve anche rimuovere la sua base, che è ilnostro falso senso del sé individuale, la nostra conoscenza 'iosono questo corpo'. Questa verità è espressa da Sri Ramana neiversetti 10, 11 e 12 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Senza [la relativa] ignoranza, [la relativa]conoscenza non esiste. Senza la conoscenza [relativa],quella [relativa] ignoranza non esiste. La conoscenzache conosce [la non esistenza di] quel [individuale] séche è la base [di tutta la nostra relativa conoscenza eignoranza], [investigando] cosi a chi [sono conosciute]quella [relativa] conoscenza e ignoranza? È davvero[vera] conoscenza

Conoscere [ogni] altra cosa senza conoscere [la nonesistenza del nostro individuale] sé, che conosce [lealtre cose], è ignoranza; invece [può essere]conoscenza? Quando [noi] conosciamo [la non-esistenza del nostro individuale] sé, [che è] l'ādhāra[il supporto o contenitore] della conoscenza e [il suo]opposto, [entrambe] conoscenza e ignoranzacesseranno di esistere.

Ciò che è [completamente] privo di conoscenza eignoranza è quindi la [vera] conoscenza. Ciò checonosce [cioè, la nostra mente o sé individuale, checonosce solo le cose diverse da sé] non è veraconoscenza. Dal momento che [il nostro vero sé]splende [come l'unica realtà esistente] senza [alcuna]

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altra [cosa] da conoscere o da fare conoscere [cioè, oper conoscerlo, o per fare conoscere se stesso oqualsiasi altra cosa], [il nostro vero] sé è [vera]conoscenza. Non è un vuoto. Conoscete [questaverità]”.

Anche se il nostro vero sé, la nostra coscienza essenziale privadi complementi 'Io sono', è completamente priva di conoscenza eignoranza su qualsiasi cosa diversa da sé stessa, non èsemplicemente un inutile vuoto, perché è la pienezza di essere, lapienezza perfettamente chiara di essere cosciente di sé, che è lapienezza della vera conoscenza di sé.

Pertanto il termine 'śūnya' o 'vuoto', che è utilizzato perdescrivere la realtà assoluta non solo nel buddhismo ma anche inalcuni testi advaita vēdānta, è destinato a essere inteso solo comeuna descrizione relativa di essa; una descrizione di essa rispettoalla molteplicità della conoscenza relativa che la nostra mentesperimenta ora.

Anche se la realtà assoluta, che è il nostro essenziale esserecosciente di sé, è priva di qualsiasi conoscenza relativa, tutta laconoscenza della dualità o alterità non è un vuoto assoluto, perchénon è priva di vera conoscenza, che è l'assoluta chiarezza dellacoscienza di sé perfettamente non duale. Pertanto piuttosto chedescrivere la realtà assoluta come uno stato di śūnya 'vacuità' o'vuoto', è più corretto descriverla come lo stato di 'pūrṇa','pienezza', 'interezza' o 'completezza', perché è la pienezzaassoluta della vera conoscenza. La stessa verità che Sri Ramanaesprime nel versetto 12 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu' è espressa da luianche più succintamente nel versetto 27 del Upadesa Undiyār:

“La conoscenza che è priva sia di conoscenza sia diignoranza [sugli oggetti], solo è [vera] conoscenza.Questa [vera conoscenza] è la [sola esistente] realtà,[perché in verità] non c'è nulla da sapere [diverso da

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noi stessi]”.

Perché non c'è davvero nulla per noi da sapere di diverso da noistessi? Tutta la conoscenza dell'alterità o dualità è conosciuta solodalla nostra mente, che è semplicemente una falsa forma diconoscenza, un'apparizione che appare solo quando, per il nostropotere dell'immaginazione, sovrapponiamo alcune aggiunte{forme o corpi} illusorie alla nostra vera conoscenza 'Io sono'.

Quando esaminiamo questa apparizione illusoria, essascompare, essendo veramente inesistente, come il serpenteillusorio che abbiamo creato col nostro potere d'immaginazione.Quando scopriamo così che la nostra mente è veramenteinesistente, ci sarà anche da scoprire che tutte le altre cose, cheerano note solo tramite la nostra mente, sono altrettantoinesistenti. Tuttavia, anche se tutta la nostra conoscenza delladualità è irreale in quanto tale, siamo in grado di immaginare chesperimentiamo tale conoscenza della dualità solo perchésperimentiamo la vera conoscenza 'Io sono'.

Se non conoscessimo la nostra esistenza, 'Io sono', nonpotremmo immaginare di conoscere qualsiasi altra cosa. Pertanto,la nostra conoscenza immaginaria della dualità è solo una formaillusoria della nostra vera conoscenza 'Io sono', come spiegato daSri Ramana nel versetto 13 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Il [nostro vero] sé [il nostro essere essenziale], cheè conoscenza [la nostra conoscenza essenziale ocoscienza 'Io sono'], solo è reale. La conoscenza che èmolteplice [cioè, la conoscenza della molteplicità] èignoranza. [Ma] anche [quella] ignoranza, che èirreale, non esiste senza [il nostro vero] sé, che è[l'unica vera] conoscenza. La molteplicità diornamenti è irreale, per esempio, essa forse esiste aparte l'oro, che è reale?”

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Questo versetto è una versione succinta ma più ricca dicontenuti di un versetto precedente che Sri Ramana compose, cheè incluso in 'Upadēśa Taṉippākkaḷ' come versetto 12:

“Conoscenza [la vera conoscenza 'Io sono'] da solaè reale. L'ignoranza, che non è altro che la [falsa]conoscenza [la nostra mente] che vede [quella veraconoscenza 'Io sono'] come molteplicità, non esiste aparte il [nostro vero] sé, che è [l'unica vera]conoscenza. La molteplicità di ornamenti è irreale; peresempio, essa esiste a parte l'oro, che è reale?”

La diversità di ornamenti in oro è semplicemente una diversitàdi forme transitorie, e come tale è irreale. Ciò che è reale eduraturo in tutte quei diversi ornamenti è solo la sostanza di cuisono fatti, cioè l'oro. Allo stesso modo, anche se la conoscenzadella molteplicità è irreale, essendo solo un aspetto transitorio, lasua realtà o la sostanza di fondo è solo la vera conoscenza 'Iosono', senza la quale non potrebbe apparire di esistere. Quindil'unica cosa che vale la pena conoscere è il nostro vero io, lanostra coscienza essenziale 'Io sono'. Ecco perché Sri Ramanadice nel versetto 3 del Āṉma-Viddai:

“Quale [valore tutto il nostro sapere ha] se [noi]conosciamo qualunque cosa senza conoscere [il nostrovero] il sé? Se [noi] conosciamo [il nostro vero] sé,quindi cosa [altro] c'è da sapere? Quando [noi]conosciamo in noi stessi quel [vero] sé, che brillaindiviso [come l'illimitata, coscienza senza aggiunte'Io sono'] in tutti i divisi [o separati] esseri viventi,dentro di noi la luce del sé [la chiarezza della veraconoscenza di sé] risplenderà. [Questa è]effettivamente la splendente via della grazia,l'annientamento dell''io' [il nostro ego, mente, o sé

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individuale separato], [e] la fioritura di [vera edeterna] felicità”.

Proprio come nel versetto 16 del Upadesa Undiyār, di cuiabbiamo parlato in precedenza in questo capitolo, Sri Ramana hausato il termine 'propria forma di luce' per denotare la nostracoscienza essenziale della mente 'Io sono', quindi in questoversetto si usa il termine 'la luce del sé' per indicare la chiaracoscienza o la conoscenza del nostro vero sé. Perché usa la parola'luce' in questo modo figurato per indicare coscienza oconoscenza?

Dal momento che la nostra coscienza 'Io sono' è ciò tramite cuisia noi stessi che tutte le altre cose sono rese note, nel linguaggiopoetico della mistica è spesso descritta come la vera 'luce' cheillumina tutto, compresa la luce fisica che vediamo con i nostriocchi. Questo uso metaforico della parola 'luce' per indicare lanostra vera coscienza di essere, 'Io sono', si può trovare in detti escritti di saggi provenienti da tutte le tradizioni e tutte le culture.Gesù Cristo, per esempio, si è riferito alla nostra coscienza 'Iosono' come la 'luce del mondo'.

Dal momento che è la luce che ci permette di conoscere ilmondo, e dato che brilla come l'essere essenziale di ognuno di noi,tra cui anche Dio, che si è dichiarato essere 'Io sono', quando dissea Mosé: “IO SONO QUELLO CHE SONO. [...] Così tu dirai aifigli d'Israele, IO SONO mi ha mandato a voi'(Esodo 3, 14)”. ECristo, che ha indicato che era lo stesso senza tempo 'Io sono',quando ha detto: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Giovanni8.58). Cristo non solo ha detto: “Io sono la luce del mondo” (Gv8.12 e 9.5). Ma ha anche detto: “Voi siete la luce del mondo” (Mt5, 14).

Quindi questa coscienza 'Io sono' può ben dire di essere la'scintilla della divinità' all'interno di ognuno di noi. In effetti,questa pura coscienza del nostro essere, che ognuno di noiconosce come 'Io sono', è essa stessa la realtà ultima e assoluta,

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che si chiama 'Dio' o 'Essere Supremo', e che in Sanscrito vienechiamato Brahman.

Questa verità è affermato non solo dalla citata dichiarazione diDio nella Bibbia, 'IO SONO QUELLO CHE SONO', ma anche daiquattro 'grandi detti' o mahāvākyas dei Vēdas, che dichiaranol'unicità di noi stessi e della realtà assoluta.

Questi quattro mahāvākyas, sono contenuti in ciascuno deiquattro Vēdas, in quella parte di essi che è conosciuta come leupaniṣads, che sono alcune delle prime espressioni conosciute delvēdānta, la 'fine' o conclusione filosofica e l'essenza dei Veda.

Il mahāvākya del Rg Vēda è 'prajñānaṁ brahma', che significa'la coscienza pura è brahman' (Aitarēya Upaniṣad 3.3);

quello del Yajur Vēda è 'ahaṁ brahmāsmi', che significa 'Iosono brahman' (Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad 1.4.10);

quella del Sāma Vēda è 'tat tvam asi', che significa 'quello[Brahman] tu sei' (Chāndōgya Upaniṣad 6.8.7);

e quella del Atharva Vēda è 'ayaṁ ātmā brahma', che significa'questo sé è Brahman' (Māṇḍūkya Upaniṣad 2).

La nostra unità con la realtà assoluta chiamato 'Dio' è spiegatada Sri Ramana più chiaramente nel versetto 24 di 'UpadēśaUndiyār':

“Secondo la [loro] natura che è [cioè, nella loronatura essenziale o di essere, 'Io sono', che èsemplicemente] Dio e le anime sono solo una poruḷ[sostanza o realtà]. Solo la percezione dell'aggiunta è[ciò che li fa sembrare essere] diversi”.

Ci sentiamo noi stessi di essere un anima o essere individuale,perché identifichiamo noi stessi con alcune aggiunte, e questeaggiunte ci distinguono da Dio e da ogni altro essere vivente.Proprio come ci identifichiamo con un certo set di attributi oaggiunte, identifichiamo Dio con un altro set di attributi oaggiunte. Tuttavia, nessuno degli attributi che noi attribuiamo sia a

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Dio che a noi stessi sono in realtà inerenti o essenziali all'esserefondamentale che è la vera natura sia di se stesso che di noi stessi,ma sono tutti semplicemente ausiliari {nomi o forme o corpi} chesi sovrappongono su di essa.

Poiché tutti questi attributi o aggiunte sono semplici pensieri oimmagini mentali create dal nostro potere dell'immaginazione, SriRamana si riferisce a loro collettivamente come upādhi-uṇarvu, il'senso di aggiunta' o 'coscienza dell'aggiunta', cioè, la sensazione,l'idea o esperienza delle aggiunte.

Sebbene l'esatto significato di upādhi è un 'sostituto' o cosa cheviene messa al posto di qualcosa d'altro, in realtà deriva dallaradice verbale upādhā che significa mettere su, imporre, cogliere,occupare, aggiungere, collegare o giogo, e quindi per estensioneanche: un travestimento, un fantasma, un aspetto ingannevole, unattributo, una aggiunta, una qualifica o una limitazione. Così nelnostro contesto attuale significa qualsiasi aggiunta estranea, tuttociò che si sovrappone su qualche altra cosa, facendola sembrareessere quell'altra cosa.

Quindi tutto ciò che non è in realtà noi stessi ma chescambiamo come noi stessi, come il nostro corpo o la mente, èuno dei nostri upādhis o aggiunte limitanti {nomi-forme}, è lanostra idea sbagliata o immaginazione che tali appendici siano noistessi, è il nostro upādhi-uṇarvu. Dal momento chesovrapponiamo tali upādhis o aggiunte che limitano non solo noistessi ma anche Dio, sperimentiamo un upādhi-uṇarvu osensazione delle aggiunte, sia per quanto riguarda noi stessi cherispetto a Dio.

Tuttavia, poiché la nostra esperienza di aggiunte che cidistinguono da Dio è creata solo dal nostro proprio potered'immaginazione, e non da Dio, tutte queste distinguenti aggiunteesistono solo nella prospettiva della nostra mente e non nellaprospettiva di Dio, che è in realtà solo il nostro vero esserecosciente di sé, il nostro essere che conosce solo se stesso.Pertanto, al fine di conoscere Dio come egli è realmente, tutto

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quello che dobbiamo fare è sradicare il nostro senso illusorio delleaggiunte.

Quando smettiamo di identificarci con tutte le aggiunte, nonpotremo più immaginare Dio come avente delle aggiunte, mascopriremo che lui non è altro che il nostro vero e indispensabileessere cosciente di sé. Pertanto, nel versetto 25 di 'UpadēśaUndiyār' Sri Ramana dice:

“Conoscere [il nostro vero] sé, dopo averabbandonato [tutte] le nostre aggiunte, esso stesso èconoscere Dio stesso, perché [egli] brilla come [ilnostro vero] sé”.

La conoscenza che rimane quando rinunciamo a tutti i nostriausiliari è solo la nostra essenziale non duale coscienza del nostroessere, che è la vera natura di Dio. Ciò che sperimenta questa veraconoscenza di sé non è la nostra mente, ma è solo il nostro verosé, il nostro essere essenziale, che è sempre consapevole di sestesso come 'Io sono'. La nostra mente è la nostra coscienzaessenziale mista ad aggiunte, che sono le varie forme diconoscenza sbagliata che abbiamo su noi stessi, e che quindi nonpossono sopravvivere come tali nel perfetto chiaro stato di veraconoscenza di sé.

Così lo stato in cui conosciamo noi stessi come siamoveramente, e in cui in tal modo conosciamo Dio come noi stessi, èlo stato in cui la nostra mente è stata interamente consumata nellachiarezza assoluta della vera conoscenza di sé. Pertanto, nelversetto 21 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu', Sri Ramana dice:

“Se [è] chiesto che cosa è la verità [lo statosupremo che è indicato in] molti testi sacri che dicono'il [nostro] sé che vede [il nostro] sé [è] vedere Dio'.[dobbiamo rispondere con altre domande] Poiché [ilnostro] sé è unico, come [è possibile] per [il nostro] sé

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vedere [il nostro] sé? Se non è possibile [per noi]vedere [noi stessi], come [è possibile] vedere Dio?Vedere [Dio] è divenire cibo [per lui]”.

La nostra mente può conoscere solo le cose diverse da sestessa, perché se rivolge la sua attenzione verso se stessa perconoscere se stessa, scomparirà e annegherà nel proprio essenzialeessere cosciente di sé. Quando conosce veramente se stessa, omeglio, quando conosciamo veramente noi stessi, cesseremo diessere la mente o la coscienza conoscitrice di oggetti che oraimmaginiamo essere noi stessi, e rimarremo invece nel nostrostato naturale come non duale coscienza di essere. Conoscere ovedere, se intese dal punto di vista distorto della nostra mente,significa sperimentare la dualità, una separazione tra la coscienzache conosce e l'oggetto che è conosciuto. Pertanto, dal momentoche siamo unici, non possiamo conoscere o vedere noi stessi comeun oggetto. Siamo in grado di conoscere o vedere noi stessi soloessendo noi stessi, e non da alcun atto di sapere o vedere. PertantoSri Ramana chiede: 'Poiché [il nostro] sé è unico, come [èpossibile] per [il nostro] sé vedere [il nostro] sé?'.

Dal momento che non è possibile per noi vedere noi stessicome un oggetto, come è possibile per noi vedere Dio come unoggetto? Cioè, dal momento che Dio è la realtà di noi stessi, nonlo possiamo vedere come un oggetto più di quanto possiamovedere noi stessi come un oggetto. Pertanto Sri Ramana chiede:'Se non è possibile [per noi] vedere [noi stessi], come [èpossibile] vedere Dio [possibile]?'. Dal momento che nonpossiamo conoscere né noi stessi né Dio con un atto di oggettivaconoscenza, al fine di conoscere sia noi stessi che Dio dobbiamoabbandonare ogni obiettivo di conoscere.

Cioè, dobbiamo cessare di essere questa mente conoscitrice dioggetti, e dobbiamo invece rimanere come la non duale coscienzanaturale del nostro essere: la nostra vera ed essenziale coscienzadi sé 'Io sono'. Pertanto Sri Ramana conclude, 'ūṇ ādal kāṇ', che

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significa 'diventare cibo {assorbiti} [è] vedere'.Cioè, possiamo vedere Dio solo quando siamo totalmente

consumati da lui, diventando così uno con l'essere infinitoconsapevole di sé che è la realtà assoluta di se stesso e di noistessi. Fino a quando e se non conosciamo e rimaniamo come ilnostro vero sé, la nostra semplice non duale coscienza del nostroessere, 'Io sono', non possiamo conoscere Dio. Se immaginiamoche stiamo vedendo Dio come un oggetto diverso da noi stessi,stiamo vedendo solo un'immagine mentale. Pertanto, nel versetto20 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu', Sri Ramana dice:

“Lasciando [ignorando o omettendo di conoscere ilnostro] sé [il nostro individuale sé o mente], che vede[tutte le alterità o dualità], [il nostro] sé che vede Diosta [soltanto] vedendo una visione mentale [vista,immagine o apparenza]. Solo chi vede il [suo vero] sé,[che è] la base [o realtà] del [suo individuale] sé, è unapersona che ha [veramente] visto Dio, perché [ilnostro vero] sé [che solo rimane dopo che tutte leimmagini mentali o forme oggettive di conoscenzasono scomparse a causa della loro causale] radice, [ilnostro individuale] sé, essendo sparito [perito ocessato di esistere] non è altro che Dio”.

La formulazione di questo versetto è molto concisa e quindidifficile da tradurre esattamente in fluente italiano, ma il suo sensoè abbastanza chiaro. Le parole di apertura, 'lasciando il sé chevede', si riferisce alla nostra solita abitudine di ignorare e non fareattenzione a conoscere la realtà del nostro sé individuale o mente,che è la coscienza auto illusa che si immagina di vedere oconoscere le cose altro da sé. Il resto della prima frase, 'il sé chevede Dio sta vedendo una visione mentale', significa che, quandonon conosciamo la verità di noi stessi che stiamo vedendo, seimmaginiamo che stiamo vedendo Dio, ciò che stiamo vedendo è

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in realtà nient'altro che una visione mentale o manōmaya; unavisione che è fatta o formata da e della nostra mente.

Le parole che Sri Ramana utilizza in originale sonomanōmayam-ām kāṭci, che letteralmente significano una 'visioneche si compone di mente'. Sebbene la parola kāṭci letteralmentesignifica 'vista', 'visione' o 'apparenza', essendo derivata da kāṇradice verbale, che letteralmente significa 'vedere', ma che vienespesso utilizzata in un senso più ampio, nel senso di 'percepire','capire' o 'sperimentare'; come sua radice verbale può comportareogni forma di esperienza. In tale contesto, pertanto, implica nonsolo una visione di Dio in qualche forma visiva come Siva, Sakti,Krishna, Rama, Buddha o Cristo, ma anche qualsiasi altraesperienza di Dio sentito diverso da noi stessi, come ad esempioascoltare la 'voce' di Dio o sentire la sua presenza.

Fintantoché la 'presenza di Dio' che sentiamo è vissuta da noicome qualcosa di diverso dalla nostro semplice essere cosciente disé, 'Io sono', è solo un manōmayam-ām kāṭci, un'immaginementale, pensiero o concezione. Qualsiasi esperienza di Dio comediverso da noi stessi è conosciuta solo dalla nostra mente, ed èquindi un prodotto della nostra immaginazione. La seconda frasedi questo versetto è ancora più concisa. Per ragioni poetiche iniziacon la proposizione principale, che nella prosa Tamil normalmenteconclude una frase.

Il significato di questa frase principale: “Solo colui che vede ilsé è una persona che ha visto Dio”, è abbastanza chiaro. Cioè,possiamo veramente vedere Dio solo 'vedendo' o conoscendo ilnostro vero sé. Le prossime due parole, taṉ mudalai, sono legateal significato della parola 'sé' nelle parole iniziali della fraseprincipale, 'solo colui che vede il sé'.

La parola taṉ è la forma possessiva del pronome riflessivo tāṉ,e quindi significa 'di sé', 'suo proprio', 'nostro proprio' o 'loroproprio'. La parola mudalai rappresenta la forma accusativa dimudal, una parola il cui significato primario è 'primo' o 'inizio', eche in questo contesto significa fonte, base, realtà o sostanza

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essenziale. Così queste due parole qui significano 'la base [orealtà] del sé [individuale]', e sono una descrizione applicata al séreale riferita al primo punto, che con la loro aggiunta significa'solo colui che vede [il suo vero] sé, [che è] la base [o realtà] del[suo falso individuale] sé, è una persona che ha visto Dio'.

Nel prossimo gruppo di parole, tāṉ mudal pōy, 'tāṉ' si riferisceal nostro individuale 'sé'; 'mudal' significa 'radice', e 'pōy'significa 'essere scomparsi', 'essere periti' o 'avendo cessato diesistere'. Così le tre parole insieme significano 'la radice, [che è ilnostro individuale] sé, essendo andato [perito o cessato diesistere]'. Il motivo per cui il nostro sé individuale viene descrittocome la radice, è che è la radice o la causa primaria dellacomparsa di ogni dualità, alterità o conoscenza oggettiva.

Considerando che il nostro essere essenziale o vero sé èl'ultimo mudal o la base del nostro falso sé individuale, il nostrofalso sé individuale è il mudal immediato o base di ogni altra cosa.

Le ultime parole sono 'poiché [o dato che] il sé non è altro cheDio'. qui la parola tāṉ o 'sé' denota il nostro vero sé, e venendosubito dopo le precedenti tre parole tāṉ mudal poy, ciò implica cheil nostro vero sé è ciò che rimane dopo che il nostro falso séindividuale, la base di tutta la nostra conoscenza oggettiva, hacessato di esistere. Così il significato veicolato da questa secondafrase può essere parafrasato come segue:

Dal momento che il nostro sé reale e infinito, che resta solodopo che il nostro falso io finito, la base di tutta la nostraconoscenza oggettiva, ha cessato di esistere, non è altro che larealtà assoluta chiamata Dio, quando 'vediamo' o sperimentiamo ilnostro vero sé, la base del nostro falso sé, vedremo veramenteDio.

Quindi la conclusione combinata dei versi 20 e 21 d 'UḷḷaduNāṟpadu' è che possiamo vedere o conoscere Dio solo conoscendoil nostro vero sé, perché il nostro vero sé è la stessa realtà assolutache noi chiamiamo Dio, e che possiamo conoscere il nostro séreale solo cessando di esistere come falso e individuale sé, cioè,

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arrendendoci interamente a Dio, l'infinita pienezza di essere,diventando così preda di lui ed essendo totalmente consumati nelsuo essere cosciente di sé: assoluto, infinito, indiviso, senzariserve e perfettamente non duale. L'unico mezzo attraverso ilquale possiamo così sperimentare Dio come nostro vero sé oessere essenziale viene poi chiaramente spiegato da Sri Ramananel versetto 22 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu':

“Tranne [che] volgendo [ripiegando o attirando lanostra] mente all'interno [e in tal modo] mantenendo[essa] immersa [affondata, acquietata, placata, fissa oassorbita] nel Signore, che risplende all'interno diquella mente, dando luce [alla nostra] mente, come[possiamo riuscire a] conoscere il Signore tramite [lanostra] mente? Conoscete [il Signore, volgendoviall'interno e immergendovi in lui]”.

Il 'Signore' o pati a cui ci si riferisce in questo verso è Dio, cheè luce infinitamente luminosa di pura coscienza di sé. Comeabbiamo visto in precedenza, nella letteratura spirituale la nostracoscienza essenziale di essere è figurativamente descritta come laluce originale, la luce da cui tutte le altre luci sono conosciute,perché proprio come la luce fisica ci permette di vedere gli oggettifisici, la nostra coscienza di essere è ciò che ci permette diconoscere tutte le cose.

Tuttavia, considerando che la coscienza fondamentale delnostro essere è la vera luce originale; la coscienza che chiamiamola nostra mente, che è la luce per cui conosciamo tutte le altrecose, è solo una luce riflessa illusoria, perché viene in esistenzasolo quando la nostra luce originale della coscienza di sé èapparentemente riflessa nelle aggiunte immaginarie o upādhiscome il nostro corpo e la nostra personalità individuale. Pertanto,quando Sri Ramana dice che il Signore brilla nella nostra mentedando luce a essa, intende dire che lui risplende all'interno della

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mente come la nostra coscienza fondamentale del nostro essere,'Io sono', fornendo in tal modo la coscienza con la quale è ingrado di conoscere tutte le altre cose.

Perché ogni cosa diversa dalla nostra essenziale coscienza disé, cioè, ogni alterità, dualità o molteplicità; è conosciuta solodalla nostra mente. Nella versione kaliveṇbā di 'Uḷḷadu Nāṟpadu',Sri Ramana ha aggiunto le parole evaiyum kanum, che significa'che vede tutto', prima della parola iniziale di questo versetto, matio mente.

Dal momento che la nostra mente è una forma della coscienzache conosce gli oggetti, la sua natura è di conoscere tutto ciò che èdiverso dal proprio sé reale, ma per conoscere tutte quelle altrecose deve prendere in prestito la luce della coscienza dal suo verosé, dal proprio essere essenziale consapevole di sé, che è la realtàassoluta che noi chiamiamo 'Dio' o il 'Signore'.

Poiché Dio è la luce originale della coscienza cioè, la vera lucedella non duale coscienza di sé che brilla all'interno della nostramente, consentendole di conoscere tutte le altre cose; come può lanostra mente conoscere lui se non volgendosi indietro verso il sé,immergendosi in tal modo nella sua luce infinita? Finché la nostraattenzione è rivolta verso l'esterno, possiamo conoscere solo lecose che sembrano essere diverse da noi stessi, che sono tuttesoltanto prodotti della nostra immaginazione.

Poiché Dio è la vera luce della coscienza, che ci permette diconoscere tutte le altre cose, non possiamo mai conoscerlo comelui è davvero finché stiamo abusando della sua luce per conoscerequalsiasi altra cosa. Solo quando volgiamo la nostra mente oattenzione verso di lui all'interno di noi stessi, saremo in grado diconoscerlo veramente. Tuttavia, anche quando ci volgiamoindietro per occuparci di lui all'interno di noi stessi, non loconosceremo come un oggetto, perché la nostra menteconoscitrice di oggetti è annegata e si è dissolta nella sua luceinfinita di coscienza di sé libera da aggiunte.

Pertanto, quando ci volgiamo indietro entro noi stessi, lo

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conosceremo diventando tutt'uno con il suo vero essere coscientedi sé. Se si usa uno specchio per riflettere la luce del sole suglioggetti qui sulla terra, quel raggio di luce riflesso illumineràquegli oggetti, permettendoci di vedere chiaramente. Ma serivolgiamo quello specchio verso il sole stesso, il suo raggioriflesso di luce si fonderà e si dissolverà nella brillante luce delsole. Allo stesso modo, la luce riflessa della coscienza chechiamiamo la nostra mente ci permette di conoscere gli oggettidella nostra immaginazione fino a quando ci volgiamo verso loro.

Ma quando la volgiamo indietro all'interno di noi stessi perguardare verso il nostro essenziale essere cosciente di sé, che è lafonte della sua luce: si fonderà e scioglierà nell'infinitamenteluminosa e divorante luce di tale sorgente. Lo stato in cui la lucelimitata della nostra mente si dissolve nella infinita luce di Dio,scomparendo così come entità separata e diventando uno con lui, èlo stato che Sri Ramana ha descritto nell'ultima frase del versettoprecedente, quando dice: “Diventare cibo [per Dio]è vedere[lui]”.

Il fatto che l'unico mezzo attraverso il quale possiamoveramente vedere o sperimentare Dio, realtà assoluta, è quello didiventare tutt'uno con il suo essere essenziale cosciente di sé,esaminando con attenzione o scrutando il nostro essere essenzialeautocosciente e quindi sprofondando e dissolvendosi in esso èanche sottolineato da Sri Ramana nel versetto 8 di 'UḷḷaduNāṟpadu':

“Chiunque adora [la realtà assoluta o Dio] inqualsiasi forma dando [a lui] qualunque nome, che èun percorso [o mezzo] per vedere quella realtà [senzanome e senza forma] in [quel] nome e forma. Tuttavia,diventando uno [con quella realtà], dopo averattentamente esaminato [o conosciuta] la propriaverità [essenza, 'am-ness', lo stato di 'Io sono'] edessendosi [quindi] ritirati [o dissolti] nella verità

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[essenza o 'am-ness', 'Io sono'] di quella vera realtà, èsolo vedere [lui] in verità. Conosci [così]”.

La parola ēttiṉum, che ho tradotto come 'adora', significaletteralmente 'anche se o se [qualcuno] loda', ma in questocontesto implica l'atto di adorare in qualsiasi modo, sia con ilcorpo, che con la parola e la mente. Tuttavia, come Sri Ramanaspiega nel versetto 4 del Upadesa Undiyār:

“Questo è certo, puja [adorazione rituale], japa [laripetizione vocale di un mantra o nome di Dio] edhyāna [meditazione] sono [rispettivamente] azionidel corpo, parola e mente, [e quindi succedendosi traloro] uno è superiore a quello [precedente]”.

Cioè, l'adorazione vocale come il canto di inni o la ripetizionedi un nome di Dio è superiore a qualsiasi forma di culto fisicocome l'effettuare rituali, e i culti mentali come la meditazionesilenziosa su un nome o forma di Dio è superiore al culto vocale,la parola 'superiore' o uyarvu significa in questo contesto piùefficace. Pertanto per vedere Dio in ogni nome o forma scelti,meditare con amore su quel nome e forma è il modo più efficacedi adorazione.

Dicendo: “Chiunque adora [la realtà assoluta o Dio] inqualunque forma, dando [a lui] qualsiasi nome”, Sri Ramanaindica che siamo liberi di adorare Dio in qualsiasi nome o formache attira il nostro amore e devozione, perché Dio stesso non haun nome o una forma propria particolare. Non importa in qualenome o forma un devoto può adorare Dio, se tale adorazione èsincera e realizzata con vero amore per lui, Dio certamenterisponderà favorevolmente, perché anche se il suo devoto può nonsaperlo, lui sa che il vero oggetto dell'amore e dell'adorazione delsuo devoto è la sua realtà o vero essere senza nome e senza forma.

Pertanto qualsiasi forma settaria di religione o teologia che

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insegna che solo un particolare nome o forma di Dio è il suo veronome o forma, e che tutti gli altri nomi e forme sonosemplicemente falsi 'dei', non è riuscita a capire la vera, infinita etrascendente natura di Dio. Nessun concetto o immagine mentaleche possiamo avere di Dio (tra cui anche il concetto abbracciatoda certe religioni che egli è informe e quindi non deve essereadorato sotto forma di qualsiasi idolo, icona, simbolo o 'feticcio')può veramente definire Dio o adeguatamente dipingerlo come egliè veramente, perché è l'assoluta e infinita realtà che trascende tuttii concetti e le forme mentali di conoscenza.

Nelle parole pēr-uruvil, che Sri Ramana ha posto in questoversetto prima delle parole 'un percorso per vedere quella realtà',la sillaba terminale 'il' può essere sia il caso di una desinenzalocativa col significato 'in', o una terminazione negativa colsignificato di non esistenza o assenza. Così, in questo contesto,possono significare sia 'in nome e forma' o 'senza nome e senzaforma'. Nel senso 'senza nome e senza forma' qualificano 'quellarealtà', indicante il fatto che la realtà assoluta è completamentepriva di tutti i nomi e le forme. Nel senso 'in nome e forma' essiqualificano il modo in cui possiamo vedere la realtà adorando ilnome e la forma. Cioè, se la realtà assoluta trascende tutti i nomi etutte le forme e quindi non ha nome né forma propria, è possibileper noi vederla o viverla in qualsiasi nome o forma in cuiscegliamo di adorarla. Tuttavia, vedere Dio così in nome e formanon è vederlo come è davvero, ma è solo vederlo come ciimmaginiamo che sia.

Non importa quanto appaia reale una tale visione di Dio innome e forma, in realtà è solo un manōmayam-ām kāṭci o'immagine mentale', come Sri Ramana dice nel versetto 20 di'Uḷḷadu Nāṟpadu'. Sia nella prima e sia nella seconda frase delversetto 8, la parola che ho tradotto come 'la realtà' è poruḷ, cheletteralmente significa 'cosa', 'entità', 'realtà', 'sostanza' o'essenza', e che viene utilizzato nella letteratura filosofica Tamilper indicare la realtà assoluta o Dio come la vera sostanza o

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essenza di tutte le cose.Nella seconda frase Sri Ramana chiarisce ulteriormente in che

senso usa questa parola poruḷ qualificandola con la parola mey,che significa 'vero' o 'reale', formando così la parola compostameypporuḷ, che significa 'vera essenza' o 'vera sostanza', e che èun altro termine comunemente usato nella letteratura filosoficaTamil per indicare Dio. Così la realtà senza nome e senza forma,che si sta discutendo in questo versetto è l'assoluto esserecosciente di sé, che è la vera essenza o reale sostanza sia di Dioche di noi stessi.

Per vedere o conoscere questa realtà assoluta o essenziale diessere in 'verità', cioè, com'è veramente, Sri Ramana dice chedobbiamo diventare uno con esso scrutando e conoscendo lanostra propria verità: e in tal modo placarci e dissolverci nellaverità di questa vera essenza. La parola che ho tradotto come'verità', che usa tre volte nella seconda frase di questo versetto, èuṇmai, che etimologicamente significa uḷ-mai, 'Io sono' o 'egli è',e che costituisce quindi una parola che viene comunementeutilizzata per indicare l'esistenza, la realtà, la verità, veracità, o lanatura intrinseca o essere essenziale di ogni cosa.

Poiché uḷ è la base di un verbo senza futuro che significa'essere', nella sua forma base uḷ significa solo 'essere', e quindi uḷ-mai o uṇmai significa letteralmente 'essere'. Poiché è una baseverbale, uḷ non indica espressamente la prima persona, secondapersona o terza persona, così da un punto di vista puramentegrammaticale uḷ-mai può ugualmente essere intesa nel senso di'am'-ness, 'are'-ness or 'is'-ness. {lo stato di 'Io sono', lo stato di'tu sei' o lo stato di 'egli è'}.

Tuttavia, poiché il vero essere è cosciente del sé, e dalmomento che è conosciuto da niente altro che da sé, dal punto divista filosofico 'uḷ-mai' è più accuratamente descritto con iltermine 'am'-ness {o lo stato di 'Io sono'} piuttosto che dai termini'are'-ness or 'is'-ness {lo stato di: 'tu sei' o 'egli è'}.

Cioè, il vero essere è solo il nostro stesso essere consapevole di

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sé, che sperimentiamo sempre come 'Io sono', e non un altroessere oggettivo che sperimentiamo sia come 'tu sei' o come 'egliè' o, 'lei è' o 'lui è'. Pertanto, poiché Sri Ramana usa la parola'uṇmai' qui per denotare il vero essere, in questo contesto, ilsignificato etimologico è meglio tradotto come 'am'-ness (lo stato'Io sono'). Poiché il vero essere, cosciente di sé e non qualificato èunico, infinito, indivisibile e quindi assolutamente non duale, l''Iosono' {'am'-ness} di Dio e di noi stessi è veramente unico.

Quindi, scrutando e conoscendo la nostro propria essenza, noici placheremo e dissolveremo nella infinita, che è Dio, diventandocosì uno con esso, come in realtà siamo sempre. Diventare unocon Dio, avendo così conosciuto il nostro 'Io sono' ed essendocicosì dissolti nella sua vera essenza, è vederlo come egli realmenteè. Tale è la vera non duale esperienza di Sri Ramana, comeespressa da lui in questo verso.

La vera natura o essenziale essere sia di Dio che di noi stessi èsolo quella che si limita a essere, e non ciò che è o 'questo' o'quello'. Ciò che semplicemente è, e non è contaminatodall'associazione con eventuali aggiunte come 'questo' o 'quello', èciò che è descritto nella filosofia come 'puro essere' o 'puraesistenza'. Questo essere, puro, libero da aggiunte, è l'unica verasostanza di cui tutte le cose sono formate: l'unica realtà sottostantetutte le apparenze. In verità, quindi, solo l'essere puro esiste.

Quindi, poiché nulla può esistere come altro che essere oesistenza, non ci può essere altra coscienza oltre all'essere checonosce l'essere. Se la coscienza fosse altro che essere, lacoscienza non esisterebbe. Dal momento che la coscienza esistenon può essere altro che essere o esistenza. Pertanto, ciò chesappiamo che è, è solo ciò che è, e non qualche altra cosa che nonè. Poiché quel che conosce l'essere puro è dunque il puro esserestesso, l'essere puro è esso stesso coscienza. Il nostro essere e lanostra coscienza del nostro essere sono una sola cosa.

Entrambi sono espressi quando diciamo 'Io sono', perché leparole 'Io sono' significano non solo che siamo, ma anche che noi

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sappiamo che siamo. Pertanto, nel verso 23 del Upadesa UndiyārSri Ramana dice:

“A causa della non-esistenza di [ogni] coscienzadiversa [da 'quello che è'] per conoscere 'ciò che è','ciò che è' è la coscienza. [Questa] coscienza stessaesiste come 'noi' [il nostro essere essenziale o verosé]”.

Dato che siamo sia l'essere che la coscienza, non abbiamobisogno di conoscere noi stessi allo stesso modo in cuiconosciamo altre cose. Sappiamo altre cose da un atto diconoscenza, e quindi tutta la nostra conoscenza di altre cose èun'attività della nostra mente, un'attività che descriviamo con varitermini come 'pensare', 'sentire', 'percepire' e così via.

Ma nessuna di tali attività o atto di conoscere è necessaria perconoscere noi stessi. Conosciamo noi stessi semplicementeessendo noi stessi, perché il nostro essere è cosciente di ciò che è,il nostro essere è di per sé la coscienza del nostro essere. Pertanto,nel versetto 26 del Upadesa Undiyār Sri Ramana dice:

“Essere [il nostro vero] sé è davvero conoscere [ilnostro vero] sé, perché [il nostro vero] sé è ciò che èprivo di due. Questo è tanmaya-niṣṭha [lo stato diessere fermamente stabilito in e come tat o 'esso',l'assoluta realtà chiamata brahman]”.

Poiché il nostro vero sé è totalmente privo anche della minimadualità o 'duplicità', l'unico modo per conoscerlo è quello diesserlo, rinunciando a tutti i nostri ausiliari e in tal modo esseretotalmente assorbiti e saldamente stabiliti come l'unica realtàassoluta, che nella terminologia filosofica del vēdānta è notocome 'tat' o 'esso/egli', e che è il nostro puro, libero da aggiunteessere, essenziale e cosciente di sé, 'Io sono'. Lo stato di vera

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conoscenza, dunque, non è uno stato di non conoscere nulla, ma èsolo uno stato di essere, lo stato d'essere il nostro vero sécosciente di sé.

È lo stato in cui dimoriamo semplicemente come la conoscenzapura, che è la nostra fondamentale non duale conoscenza oconsapevolezza del proprio essenziale essere, 'Io sono'. Laconoscenza pura, che è il nostro vero sé o essere essenziale, èassoluta e non duale. Tuttavia, anche se siamo sempre puraconoscenza, e niente altro vi è a parte questo, immaginiamo noistessi di essere una coscienza individuale finita che conosce glioggetti.

Pertanto, lo stato che viene descritto come 'essere il nostro verosé' o 'dimorare come conoscenza pura' è lo stato in cui ciasteniamo dallo immaginare di essere una coscienza conoscitricedi oggetti {oggettiva/oggettivante}. Così la vera conoscenza èsolo la nostra attuale conoscenza del nostro essere, priva dellanostra attività immaginaria di 'conoscere qualcosa'. Il nostro veroio, 'Io sono', non è solo il puro essere e la pura coscienza, è anchepura felicità.

Tutta la miseria e l'infelicità esistono solo nella nostra mente, equando la nostra mente si placa, come nel sonno profondo,sperimentiamo la pace perfetta e la felicità. La felicità piena dipace che sperimentiamo nel sonno profondo è la natura stessa delnostro vero sé. Perché la nostra mente pensa sempre in termini didualità e differenze, pensiamo che essere, coscienza e felicitàsiano tre cose diverse, ma in sostanza sono una sola e medesimarealtà. Così come l'essere assoluto è di per sé la coscienzaassoluta, così è anche di per sé felicità assoluta.

Non esiste una cosa come assoluta non-esistenza, perché nonesistenza non esiste. Se nonostante tutto qualcosa chiamato'inesistenza' esiste, non è assoluta non-esistenza, ma solo una non-esistenza che esiste solo rispetto a qualche altra esistenzaugualmente relativa.

Allo stesso modo, non esiste una cosa come incoscienza

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assoluta, perché l'incoscienza si può dire di esistere solo sequalche coscienza diversa da essa esiste per conoscerla. Qualsiasiincoscienza che è nota esistere, esiste solo rispetto all'altrettantorelativa coscienza che conosce la sua esistenza.

Ad esempio, la perdita di coscienza che sperimentiamo nelsonno profondo esiste relativamente solo alla nostra mente, larelativa coscienza che sperimentiamo nella veglia e nel sogno,perché lo stato di sonno profondo è uno stato di incoscienza solonella prospettiva della nostra mente. Proprio come sia non-esistenza che incoscienza sono soltanto relative, in modo simile lainfelicità è solo relativa.

Dal momento che l'infelicità è semplicemente un'assenza onegazione della felicità, e poiché la negazione può essere solorelativa, perché richiede qualcosa di diverso da se stessa pernegare, non ci può essere una cosa come assoluta infelicità. Solociò che è positivo, e non ciò che è negativo, può essere assoluto,perché ciò che è positivo non richiede altro che se stesso sia pernegare che per relazionarsi con esso in qualsiasi altra maniera.Tuttavia, se il nostro vero sé, che possiamo chiamare sia il nostroessenziale essere che la nostra coscienza essenziale o la nostrafelicità essenziale, è in verità assoluto; nella prospettiva dellanostra mente queste tre essenziali e assolute qualità appaionocome essere relative rispetto ai loro opposti, non-esistenza,incoscienza e infelicità.

Dal momento che la visione della nostra mente èessenzialmente dualistica, può sperimentare solo relatività, e nonpuò mai sperimentare l'assoluto così com'è. Tuttavia, poiché lanostra mente non potrebbe apparire esistere senza l'assoluta realtàche sottende il suo aspetto, questa conosce sempre la realtàassoluta, ma solo in una forma distorta.

Così come conosce la realtà assoluta 'Io sono' nella formadistorta di un'entità relativa che si sente come 'io sono questocorpo', così conosce l'essere assoluto, la coscienza assoluta e lafelicità assoluta come tre coppie di opposti relativi, esistenza e

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non-esistenza, coscienza e incoscienza, e la felicità e l'infelicità.Queste coppie relative di opposti sono ciascuno semplicemente unriflesso distorto della qualità assoluta alla quale corrispondono.

La nostra mente sperimenta molte paia relative di opposti, manon tutte quelle coppie di opposti relativi corrispondono a unaparticolare qualità della realtà assoluta. Ad esempio, lungo e corto,o ricchi e poveri, non corrisponde a nessuna particolare qualitàdella realtà assoluta. Perché allora dovremmo dire che alcunecoppie di opposti, come esistenza e non-esistenza, coscienza eincoscienza, e la felicità e l'infelicità, corrispondono a unaparticolare qualità della realtà assoluta?

Sappiamo che ognuna di questi tre coppie di oppostieffettivamente corrisponde a una particolare qualità della realtàassoluta, perché nel sonno profondo, quando la nostra mente èsparita insieme a tutta la sua conoscenza della dualità e dellarelatività, noi sperimentiamo il nostro essere naturale, la nostracoscienza naturale, e la nostra naturale felicità, privi di qualsiasinozione dei loro opposti.

Pertanto, dalla nostra esperienza nel sonno profondo, sappiamoche il nostro essere naturale, la coscienza e la felicità esistonooltre la nostra mente, e quindi al di là di ogni dualità e relatività.Pertanto, anche se nessuna parola può esprimere adeguatamente lavera natura della realtà assoluta, che è oltre la gamma di pensieri oparole, in advaita vedanta la filosofia dell'advaita o non-dualità,la cui essenza è dichiarata nei Veda come loro anta o definitivaconclusione, l'assoluta realtà o Brahman è spesso descritta comeessere-coscienza-felicità o sat-cit-ānanda.

Anche se nella sua vera natura la realtà assoluta 'Io sono' ètotalmente priva di qualsiasi forma di dualità o relatività, è tuttaviala sostanza essenziale che sottende e dà una realtà apparente allacomparsa di tutte le forme di dualità o relatività, proprio come unacorda è la sostanza essenziale che sta alla base e dà una realtàapparente alla comparsa del serpente immaginario

Pertanto, poiché la realtà assoluta è l'essere essenziale che

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sottende e da un'apparente realtà all'apparizione del relativo esseree non-essere, o esistenza e non-esistenza, possiamo giustamentedescriverla come sat, vero e assoluto essere o esistenza. Poiché èl'essenziale coscienza che sottende e dà una realtà apparente allacomparsa della relativa coscienza e incoscienza, o conoscenza eignoranza, possiamo giustamente descriverla come cit, vera eassoluta coscienza o conoscenza. e poiché è la felicità essenzialeche sottende e dà una realtà apparente alla comparsa della felicitàrelativa e dell'infelicità, possiamo giustamente descriverla comeananda, vera e assoluta felicità o beatitudine.

Tuttavia, anche se queste tre parole separate, essere, coscienzae felicità, sono usate per descrivere la realtà assoluta, che è ilnostro vero sé, non dobbiamo pensare che questo implica che larealtà assoluta è qualcosa di più di un tutto unico. La realtàassoluta è essenzialmente non duale, e quindi queste tre paroledifferenti sono utilizzati per descriverla solo perché sono paroleche di fatto denotano la stessa realtà unica. L'essere è in sé lacoscienza di essere, ed è anche la felicità di solo essere comequella coscienza di essere.

Vero essere o esistenza, vera coscienza o conoscenza e verafelicità o amore, sono tutti solo quella unica non duale realtàassoluta che sempre sperimentiamo come 'Io sono'. Nella maggiorparte delle grandi religioni di questo mondo, la realtà assoluta o'Dio' è descritto come non solo la pienezza di essere, la pienezzadella coscienza o conoscenza, e la pienezza della felicità perfetta,ma anche la pienezza dell'amore perfetto. Perché la realtà assolutaè detta essere amore infinito? Noi tutti amiamo noi stessi, e taleamore per se stessi è naturale per tutti gli esseri viventi. Cosa noitutti amiamo sopra ogni altra cosa?

Se analizziamo a fondo, ci sarà chiaro che tutti noi amiamo noistessi più di quanto amiamo ogni altra cosa. Noi amiamo le altrecose perché riteniamo che in un modo o nell'altro danno, darannoo possono darci la felicità. Amiamo ciò che ci dà la felicità, epoiché la felicità assoluta è la nostra vera ed essenziale natura,

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amiamo noi stessi sopra ogni altra cosa. La felicità e l'amore sonoinseparabili, perché sono in realtà una stessa realtà: la nostra nonduale natura essenziale, 'Io sono'. La felicità ci rende amore, el'amore ci dà la felicità. Amiamo noi stessi perché essere noi stessie conoscere noi stessi è la felicità suprema.

Pertanto, un termine che è a volte usato in Advaita Vedanta alposto di sat-cit-ananda o essere-coscienza-beatitudine è asti-bhāti-priya, che significa essere-luminescente-amore. Lo stato divera conoscenza di sé è dunque lo stato di puro e perfetto essere,coscienza, felicità e amore. Pertanto, nel versetto 28 del UpadesaUndiyār Sri Ramana dice:

“Se sappiamo quale è la nostra [reale] natura, allora[quello che rimarrà e sarà conosciuta come l'unicarealtà è] anādi ananta akhaṇḍa sat-citānanda[senzainizio, senza fine e ininterrotto essere-coscienza-beatitudine]”.

La parola sanscrita 'ananta', che significa letteralmente 'senzafine' o 'senza limiti', significa anche 'eterno' e 'infinito'.Nell'originale versetto Tamil, gli aggettivi 'senza inizio' e 'infinito'vengono aggiunti prima del sostantivo 'essere', anādi ananta sat, el'aggettivo 'ininterrotta' viene aggiunto prima dei sostantivi'coscienza-beatitudine', akhaṇḍa cit-ānanda, ma queste parolesono formate in questo modo solo per adattarsi al metro poetico.

Dal momento che l'essere, la coscienza e la beatitudine sonouna sola realtà non duale, il significato implicito di queste parole èche essere-coscienza-beatitudine come un tutto unico è senzainizio, senza fine e ininterrotto. Perché Sri Ramana descrive unarealtà assoluta, che esiste e brilla come essere-coscienza-beatitudine, come senza inizio, senza fine e ininterrotta? Uninizio, una fine o una pausa sono ciascuno un limite o un confine,e come tali possono verificarsi solo nel tempo, nello spazio o inqualche altra dimensione.

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Tutto ciò che ha un inizio, una fine o una pausa è quindi finitoe relativo, e quindi non può essere la realtà assoluta. Ciò che èassoluto è per definizione infinito, perché è libero da tutti i limiti econfini, e quindi non può avere alcun inizio, nessuna fine ointerruzione. Un essere, una coscienza o una felicità che ha uninizio, una fine o una pausa è finito, e quindi non può essereassolutamente reale. Vero essere, vera coscienza e vera felicitàdevono essere assoluti, e come tali non possono avere né inizio, néfine o pausa.

Essere assoluto e infinito, vuol dire non avere limiti o confininel tempo, nello spazio o in qualsiasi altra concepibiledimensione, e quindi vuol dire trascendere. Essere è l'essenza diogni cosa che è, e la coscienza è l'essenza della nostra conoscenzadi ciascuna di queste cose. Anche se le cose appaiono esseremolte, sono divise e rese multiple solo a causa delle limitazioniinsite nelle rispettive forme.

Tuttavia, nella loro essenza, che è la loro 'is-ness' {o lo stato di'egli è'} o essere, esse sono indivise. Allo stesso modo, anche se laconoscenza appare essere molteplice, è divisa e resa molteplicesolo dalle limitazioni insite nelle sue varie forme, che sonopensieri o immagini mentali. Tuttavia, nella sua essenza, che è lacoscienza, la conoscenza è indivisa.

L'essere che è l'essenza di tutte le cose, e la coscienza che èl'essenza di tutta la conoscenza, non sono due cose separate,perché nessuna cosa può essere separata o distinta dalla nostraconoscenza di quella cosa. Infatti, l'idea che l'essere e la coscienzapossano in sostanza essere due cose separate è un assurdo logico,perché se lo fossero, la coscienza non sarebbe, e quindi l'esseresarebbe sconosciuto.

Essere e coscienza sono dunque una sola essenza, ed essendol'essenza di tutto e di ogni sapere, non hanno limiti o confini.Poiché il vero essere e la vera coscienza sono quindi una solarealtà, e poiché questa unica realtà non ha limiti né confini, èsenza inizio, senza fine e ininterrotta. L'inizio e la fine di qualcosa

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sono i suoi confini esterni, confini che limitano e definiscono lasua estensione nel tempo, nello spazio o in qualche altradimensione.

Poiché ciò che è assolutamente reale è infinito, è libero da tuttequeste frontiere esterne, e trascende i limiti di tutte le dimensioni.Pertanto, poiché non vi è alcun limite alla sua estensione neltempo o nello spazio, è eterna e onnipresente. Inoltre, essendoinfinita e assoluta, non è solo libera da tutti i confini o limitiesterni, ma anche da tutti i confini interni. Considerando che uninizio e una fine sono i confini esterni, una rottura o divisione è unconfine interno, e quindi la realtà assoluta non solo è priva diqualsiasi inizio o fine, ma è anche priva di qualsiasi interruzione odivisione.

Poiché è illimitata nella sua estensione, nulla può essereseparato da o essere altro dalla coscienza assoluta ed essenziale diessere, e quindi esiste soltanto, senza nulla fuori di sé. E poiché èininterrotta e indivisa in sé, non si compone di parti. È quindi deltutto non duale. È il singolo infinito, eterno e onnipresente intero,al di fuori dl quale nulla esiste. Dal momento che nessun altracosa esiste per turbare la pace perfetta del suo essere, l'assolutoessere-coscienza è assolutamente tranquillo e felice.

Quindi, dal momento che la pace e la felicità sono inerentiall'essere, il non duale, infinito e assoluto tutto non è soltantol'essere-coscienza, ma è essere-coscienza-felicità. Pertanto,essendo privo di ogni limite interno ed esterno, è quindi senzainizio, senza fine, senza interruzione essere-coscienza-felicità Dalmomento che è senza inizio, senza fine e ininterrotto nel tempo enello spazio, è eterno e onnipresente. Non c'è tempo e luogo in cuinon esiste. Poiché nessuna rottura mai si verifica nella continuitàdel suo essere o esistenza, non cessa di esistere in un momento ecomincia a esistere di nuovo in un altro momento. Inoltre, poichéè ininterrotto, è privo di qualsiasi forma di divisione e distinzione.È un singolo tutto, privo di parti e indivisibile, e quindi non c'èassolutamente alcuna distinzione tra il suo essere, la sua coscienza

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e la sua felicità.Essere-coscienza-beatitudine è l'eterno indiviso infinito tutto,

null'altro esiste fuori da questo. Anche se tutte le apparizionisembrano sorgere e regredire in esso, non è esso stesso diviso otoccato da tali apparizioni, perché in realtà esiste solo com'è, privodel comparire o scomparire di qualsiasi cosa. Tutto ciò che apparee scompare succede solo nell'ambito della nostra mente, che è essastessa una semplice apparizione che non esiste veramente; nonsuccede nell'ambito della realtà assoluta, che, essendo senzainizio, fine o rottura, non subisce alcun tipo di cambiamento omodifica.

Tuttavia, anche se si parla di essere-coscienza-beatitudine,senza inizio, senza fine e ininterrotto come 'esso', come se fosseuna terza persona, è in effetti la realtà unica della prima persona'Io', che è a sua volta la causa, il fondamento e il sostegno di tuttele seconde e terze persone. Pertanto l'illimitato, indiviso, eterno,onnipresente, infinito e assoluto essere-coscienza-beatitudine è ilnostro vero ed essenziale sé, e quindi possiamo sperimentarlo soloconoscendo ciò che è la nostra vera natura.

Lo stato in cui conosciamo cosa la nostra vera natura è, equindi, sperimentiamo noi stessi come l'infinito essere-coscienza-beatitudine è lo stato della vera conoscenza. Poiché questo stato divera conoscenza di sé, non ha inizio, fine o interruzione, è ilnostro stato eterno. Così, quando cessiamo di ingannarci di esserela nostra mente limitata nel tempo, scopriremo che la veraconoscenza di sé è sempre esistita, e che abbiamo quindi sempreconosciuto noi stessi come siamo veramente. Quindi noi nonsperimenteremo la conoscenza di sé come qualcosa di nuovoraggiunto, ma come ciò che esiste sempre, senza inizio, pausa ofine.

Quando scopriamo con un profondo auto-esame che la nostramente è veramente inesistente, noi scopriremo anche che il tempoè anche veramente inesistente, essendo niente di più che unprodotto del potere di immaginazione della nostra mente. Inizio,

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pausa e fine sono tutti fenomeni che possono verificarsi soloall'interno dei limiti di tempo e spazio, ma il tempo e lo spaziosono essi stessi fenomeni che sono conosciuti solo dalla nostramente.

Nello stato di vera conoscenza di sé, tutto ciò che esiste e che ènoto è solo essere-coscienza-beatitudine: l'infinita gioia di essere econoscere il nostro vero sé, 'Io sono'. In quel perfetto non dualestato di vera conoscenza, il tempo, lo spazio e tutte le altre formedi dualità o relatività sono inesistenti. Pertanto la realtà assoluta,che è sat-cit-ananda o lo stato di beatitudine di essere conscio dinoi stessi come semplice essere, 'Io sono', è quello che è senza'ādi' o 'inizio', 'khanda' o 'pausa', e 'anta' o 'fine'.

Anche se alla realtà assoluta sono dati molti nomi e descrizioniquali Dio, allāh, brahman, l'assoluto, l'eterno, l'infinito, lapienezza di essere, pūrṇa o l'intero, la conoscenza pura, sat-cit-ananda o essere-coscienza-beatitudine, tat o 'egli', nirvāṇa, ilregno di Dio e così via, Sri Ramana dice spesso che le parole cheesprimono la sua vera natura più perfettamente e con precisionesono 'Io' e 'sono', o la loro forma combinata 'Io sono'.

Questo perché ciò che queste parole 'Io' e 'sono' esprimono nonè solo essere, ma anche l'essenziale coscienza di sé di essere.Pertanto, non importa in quale lingua queste parole sono espresse,la prima persona singolare del pronome, 'Io', e l'equivalente primapersona singolare del verbo di base essere, 'sono', entrambeesprimono tutta la verità con la massima precisione possibile daqualsiasi parola Questo è il motivo per cui nella maggior partedelle principali religioni del mondo il nome di 'Io sono' è veneratocome il primo, primo e ultimo nome di Dio.

La suprema santità di questo nome divino 'Io sono' è espresso esancito nel Vecchio Testamento (su cui si basano le tre grandireligioni originarie dell'ovest asiatico, Ebraismo, Cristianesimo eIslam), le parole pronunciate da Dio a Mosé: “IO SONOQUELLO CHE SONO” (Esodo 3, 14), e anche nei Veda (su cui sibasa la vasta famiglia delle religioni dell'Asia meridionale

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conosciute come l'induismo) nel mahāvākya o grande detto: “Iosono Brahman” (Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad 1.4.10).

Il fatto che 'Io' e 'sono' sono i nomi originali e naturali dellarealtà assoluta o Dio è affermato con enfasi da Sri Ramana neiversi 712, 713, 714 e 715 del Guru Vācaka Kōvai:

“Quando meypporuḷ [la 'vera sostanza', 'veraessenza' o assoluta la realtà], che è chiamata uḷḷam [il'cuore' o 'centro'], essa stessa [apparentemente] esce esi diffonde gradualmente dal cuore come coscienza[cioè, quando sembra manifestarsi esteriormente comeinnumerevoli nomi e forme, che sono in realtà soloimmaginarie distorsioni dell'unica vera coscienzasenza forma e indivisa 'Io sono', che è quella 'realesostanza' stessa], tra le migliaia di [sacri] nomi chesono [attribuiti] a [questo] uḷḷa-poruḷ [l'essere essenzao realtà assoluta], sappiate che quando [noi] scrutiamo[scopriremo che] 'Io' è davvero il primo [l'originale epiù importante].

Dal momento che [insieme] con quell''Io', che èstato in precedenza [nel suddetto versetto] detto diessere il nome principale [della realtà assoluta o Dio],come la sua meypporuḷ-viḷakkam [la luce che è la suavera essenza] esso ['sono'] esiste sempre come 'Iosono' [nel cuore di ciascuno di noi], quel nome 'sono'inoltre è [il nome primario della realtà assoluta o Dio].

Tra i tanti nomi [attribuiti a Dio in tutte le diversereligioni e lingue di questo mondo], che sono migliaia,nessun nome ha [una tale] vera bellezza [o] è [così]veramente appropriato a kaḍavuḷ [Dio, che è kaḍandu-uḷḷavaṉ, 'colui che esiste trascendendo'], che dimoranel [nostro] cuore privo di pensieri, come questo nome

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['Io' o 'sono']. [Cioè, 'Io' o 'sono' è il più bello everamente appropriato nome di Dio, perché egli esistenel nostro cuore come il nostro essere cosciente di sé,naturalmente libero di pensieri, 'Io sono'.]

Tra tutti [i nomi di Dio], che sono noti, solo il[originale, naturale e vero] nome di Dio, [che èvissuto] come 'Io [sono] Io', tuonerà [sua unicasupremazia] a coloro la cui attenzione è volta a sestessi, risplendendo come il mauna-parā-vāk [laparola suprema, che è silenzio assoluto], riempiendolo spazio del [loro] cuore, in cui [il loro] ego è statoannientato”.

Quando volgiamo la nostra attenzione verso il sé e quindisperimentiamo come siamo veramente, la nostra mente o egosaranno annientati, ogni dualità scompare, e nello spazio libero dapensieri del cuore, che è lo spazio infinito dell'essere-coscienza-beatitudine, solo la nostra non duale coscienza di sé 'Io sono'rimarrà splendente chiaramente in tutta la sua purezzaincontaminata.

Poiché non vi è nulla che può disturbare la pace perfetta diquesta esperienza di vera conoscenza di sé, e poiché rivela la suaassoluta realtà più chiaramente di quanto qualunque parola parlatao scritta potrebbero mai fare, Sri Ramana descrive ciò come ilmauna-parā-vāk, la 'parola suprema' o parā-vāk, che è il silenzioassoluto o mauna. Il potere della chiarezza silenziosa della puracoscienza di sé di rivelarsi come la realtà assoluta è espressa daSri Ramana poeticamente nel versetto 5 del Ēkātma Pañcakam:

“Ciò che esiste sempre è solo quell'ēkātma vastu[quella realtà unica o sostanza, che è il nostro vero sé].Dal momento che l'ādi-guru in quel momento fece siche vastu fosse conosciuto [solo] parlando senza

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parlare, diciamo, chi può farla conoscere […]parlando?”

La parola 'ēka' significa 'uno', 'Atma' significa il 'sé', e 'Vastu' èil sanscrito equivalente della parola 'poruḷ' Tamil, che significa la'realtà assoluta', 'sostanza' o 'essenza'. Pertanto, il ēkātma vastu,che Sri Ramana dichiara di essere eppōdum uḷḷadu, 'ciò che èsempre', è l'unica assoluta realtà o sostanza essenziale, che è ilnostro vero sé. Nella versione kaliveṇbā di Ēkātma Pañcakam SriRamana ha aggiunto due parole in più per qualificare uḷḷadu, chesignificano 'ciò che è', vale a dire taṉadu oḷiyāl, 'tramite lapropria luce'.

Così ha dichiarato non solo che la ēkātma vastu è l'unica cosache esiste da sempre, ma anche che è 'quello che esiste sempre diluce propria', cioè la luce propria della non duale coscienza di sé,'Io sono'. La parola composta ādi-guru significa il 'guruoriginale', ed è un termine che denota Sri Dakshinamurti, unaforma di Dio, che simboleggia la rivelazione della realtà assolutaattraverso il silenzio, che è la 'suprema parola' o parā-vāk, che SriRamana descrive poeticamente come 'parlare senza parlare', valea dire, comunicare la verità senza pensiero o parole pronunciate.

Dal momento che il ēkātma vastu è il nostro essere cosciente disé, libero da pensieri, assolutamente silenzioso: può rivelare sestesso solo brillando dentro di noi silenziosamente e chiaramentecome 'Io sono Io', senza l'ostruzione di qualsiasi pensiero o parola.

Dato che l'esperienza silenziosa, senza pensiero, pacifica eassolutamente chiara di puro non duale essere conscio di sé, 'Iosono', è lo stato vero e naturale del nostro vero sé, che è l'unicarealtà assoluta o sostanza essenziale che noi chiamiamo 'Dio'; SriRamana dice che l'originale e più bello e appropriato nome di Dioè solo 'Io', 'sono', 'Io sono' o 'Io sono Io'. Anche se 'Io' e 'sono'sono due parole separate, entrambe denotano il nostro singolo,non duale e assolutamente indivisibile senso di sé, la nostrafondamentale coscienza del nostro essere, la nostra conoscenza

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fondamentale della nostra esistenza.Ciascuna di queste due parole è quindi implicita nell'altra. Il

pronome 'io' implica che noi esistiamo, e questa esistenza di noistessi è espressa dal verbo 'sono'. Al contrario, il verbo 'sono'implica l'esistenza di niente altro che noi stessi, che si esprime conil pronome 'io'. In molte lingue, quindi, uno di questi due terminipuò essere usato da solo, poiché la sua controparte è implicita inesso ed è quindi chiaramente compreso. In tali lingue, la formacomposta 'io sono' è un'opzione che viene utilizzata solo peraggiungere enfasi. A questo proposito, l'inglese è un'eccezione.

Ad esempio, se vogliamo dire che siamo un essere umano, ininglese dobbiamo usare sia le parole 'I' (io) e 'am' (sono) e dire 'iosono un essere umano', mentre in molte altre lingue, è sufficientein tale contesto utilizzare o solo 'io' o semplicemente 'sono'. InTamil, per esempio, non dobbiamo dire la prolisso frase 'nāṉmāṉiḍaṉāy irukkiṟēṉ', che significa 'io sono [un] uomo', perchépossiamo dire esattamente lo stesso senso semplicemente dicendo'nāṉ māṉiḍaṉ', che significa 'io [sono un] uomo', o 'māṉiḍaṉāyirukkiṟēṉ', che significa '[io] sono [un] uomo'. Simile è il caso dimolti altri antichi e moderni linguaggi europei e asiatici, tra cui ilsanscrito, l'ebraico, il greco e il latino sono alcuni esempi.

Nel Vangelo secondo San Giovanni, che è stato originariamentescritto in una forma di greco antico, ci sono molti ben noti 'Iosono' detti da Gesù, in molti dei quali egli allude più o menochiaramente all'uso nel Vecchio Testamento delle parole 'Io sono'per indicare l'essere essenziale consapevole di Dio. Questaallusione è particolarmente evidente nei sette versetti (8.24, 8.28,8.58, 13.19, 18.5, 18.6 e 18.8), in cui si usa 'Io sono' senzaaggiungere alcun predicato a essa, e che gli studiosi della Bibbiadescrivono quindi come istanze dell'uso 'assoluto' di 'Io sono'. Inognuno di questi sette versi, il più noto dei quali è: “Prima cheAbramo nascesse, Io sono” (8.58), il suo detto finisce con leparole greche ego eimi, che vogliono dire 'Io sono'.

Utilizzando queste due parole insieme, e ponendole alla fine di

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ogni rispettiva frase, questi versi arrivano a mettere grande enfasisul significato di 'Io sono' come inteso da Gesù, ma in alcuni casiquesta enfasi è purtroppo andata perduta nella traduzione. Oltre aquesti sette casi di uso 'assoluto' di 'Io sono', ci sono più di trentaaltri detti in cui si usa 'Io sono' con un predicato; considerandoche in alcuni di questi detti le parole ego eimi sono utilizzatenell'originale Greco, in altri la parola eimi, che significa 'sono', èusata da sola senza la parola ego, che significa 'io'. Un tale usovalido del verbo 'sono' senza il suo soggetto logico 'io' è comunein quelle lingue in cui tutti i verbi assumono una formaparticolare, in ciascuna delle tre persone e ciascuno dei due o piùtempi. Un tale linguaggio è il Latino, e quindi in latino la parolasum, che significa 'sono', e anche la forme della prima personasingolare di altri verbi che possono essere usate senza la parolaego o 'io'.

Per esempio, quando il famoso Cartesio concluse, 'cogito ergosum', che significa '[Io] penso, quindi [Io] sono', non ha bisognodi usare la parola ego sia prima di cogito o prima di sum, perché èchiaramente implicito nella forma grammaticale di ciascuno diquesti verbi. Come vedremo nel prossimo capitolo, questaconclusione di Cartesio è veramente un mettere il carro davanti aibuoi, ma io la cito qui solo come esempio del verbo 'sono' chetrasmette un senso completo senza l'uso esplicito del suocorrispondente pronome 'io'. In ebraico originale in cui è statoscritto l'Esodo, le parole che sono di solito tradotto come 'Io sonociò che sono' sono 'ehyeh asher ehyeh'. La parola ehyeh in realtàsignifica solo 'sono', e il pronome 'Io' è semplicemente implicitoin essa, così una traduzione più letterale sarebbe 'SONO QUELCHE SONO' o 'SONO COSA SONO'.

In ebraico antico non c'erano tempi in quanto tali, ma solo due'aspetti' di un verbo, il 'perfetto' e 'l'imperfetto'. L'aspetto'perfetto' di un verbo era usato per indicare un'azione che è statacompletata o chiusa, ed era quindi equivalente a un verbo alpassato, mentre 'l'imperfetto' era utilizzato per indicare un'azione

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che non era stata ancora completata o conclusa, ed è stato quindiutilizzato nei casi in cui vorremmo utilizzare il presente o il tempofuturo.

Poiché ehyeh è la prima persona 'imperfetta' del verbo 'essere',implica un presente continuo, che potremmo tradurre come 'sonoessendo'. Così 'ehyeh asher ehyeh' potrebbe essere tradotto come'[Io] sono essendo COSA [Io] sono, essendo Essere', o piùliberamente come '[Io] SEMPRE SONO COSA [Io] SEMPRESONO'. Alcuni studiosi biblici suggeriscono che dovrebbe esseretradotto come tempo futuro, '[IO] SARÒ COSA [IO] SARÒ', mase tradotto in questo modo, dovrebbe essere inteso nel senso '[IO]SARÒ SEMPRE COSA [IO] SARÒ SEMPRE' o '[IO] SARÒSEMPRE QUELLO CHE IO SEMPRE SONO', perché non è soloun tempo futuro, ma solo un tempo che continua verso il futuro.

Tuttavia, poiché l'essere essenziale che è Dio è eterno e semprepresente, ehyeh è più opportunamente tradotto in questo contestoda un presente continuo, 'sono' o 'sono essendo'. Poiché l'essere èin realtà sempre presente, trascende le tre divisioni del tempo,passato, presente e futuro. Questa natura eternamente continua diessere è giustamente espressa dalla parola ehyeh, che come unaspetto imperfetto del verbo 'essere' implica uno stato non finitoche continua a essere. Essere così non comincia o finisce, né maisubisce variazioni.

Rimane sempre così com'è, così in futuro sarà sempre quelloche è sempre stato, e non diventerà mai niente di nuovo. Pertantola vera natura o realtà assoluta di Dio è semplicemente eterno eimmutabile essere, e non è una qualsiasi forma di 'divenire'.Diventare implica il cambiamento, e il cambiamento richiedetempo, ma il vero essere di Dio trascende i limiti del tempo, ed èquindi di là di ogni cambiamento e divenire. Inoltre, essendo veroessere è cosciente del sé, e dal momento che non può quindiessere oggetto di conoscenza, una seconda o terza persona, masempre si sperimenta come la prima persona, la forma imperfettadella prima persona ehyeh che è una perfetta espressione della

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vera natura di essere.Tuttavia possiamo scegliere di tradurre questa espressione

profonda della vera natura di essere, 'ehyeh asher ehyeh', perché èimportante è che noi capiamo la verità che esprime. Di per sé, laparola ehyeh esprime il fatto che l'essere è cosciente del sé, non-oggettivo e continuo, o in altre parole, che l'essere è l'eternamentepresente sé consapevole della realtà della prima persona. Questaverità di essere, che si esprime perfettamente con la prima personacontinua del verbo ehyeh o 'sono', è ribadita e sottolineata dallaintera frase 'ehyeh asher ehyeh'.

Cioè, dicendo '[IO] SONO QUELLO CHE [IO] SONO', questeparole sottolineano ulteriormente la verità che l'eterna primapersona consapevole di essere 'sono' è assolutamente unico e nonduale. Ciò implica, 'Io sono solo quello che sono', 'Io sononull'altro, che quello che sono', o più semplicemente, 'Io sonosolo Io, e niente altro che Io'. Poiché questo detto biblico, 'IOSONO QUELLO CHE SONO', è una così perfetta espressione diessere eterno, non duale, non-oggettivo, assoluto, consapevole disé, prima persona della natura di essere, Sri Ramana diceva che èil più grande mahāvākya, anche superiore ai quattro mahāvākya o'grandi detti' dei Veda. Anche se l'importanza di ciascuno deimahavakya vedici, 'la pura la coscienza è Brahman', 'Io sonoBrahman', 'quello tu sei' e 'questo sé è Brahman', èessenzialmente la stessa di quello di questo detto biblico, sonoespressioni effettivamente meno perfette e precise della realtà,perché contengono ciascuno una o più parole che non sono inprima persona.

Cioè, in 'IO SONO COLUI CHE SONO' la prima persona delverbo essere, 'sono', è equiparato solo con se stesso e non conqualsiasi altro, mentre in ciascuna delle mahāvākyas Vedici èequiparato sia con una terza persona sostantiva, brahman, chesignifica la realtà assoluta o spirito supremo, o con la terzapersona pronome, 'esso', che indica la stessa realtà assoluta.Anche se 'Io sono' è veramente la realtà assoluta o brahman, non

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appena pensiamo che sia così, la nostra attenzione viene deviatalontano dalla nostra naturale coscienza di essere della primapersona, verso una concezione mentale innaturale ed estraneadell''assoluta realtà'.

Per aiutarci a fissare la nostra intera e indivisa attenzione su 'Iosono', è meglio che ci venga detto che 'Io sono' è solo 'Io sono',piuttosto che venga detto che 'Io sono' è Dio, Brahman o la realtàassoluta.

Proprio come la verità assoluta di essere è espressa da Dio inEsodo equiparando 'sono' solo con 'sono', e nulla oltre 'sono'; ognivolta che Sri Ramana ha espresso l'esperienza eterna del nostroessere, che si rivela quando l'oscuramento immaginario causatodalla nostra mente viene rimosso, si esprimeva equiparando 'Io'solo con 'Io', e nulla oltre 'Io'. Nel fare ciò, ha usato un minimo diparole, solo 'nāṉ nāṉ', che letteralmente significa 'Io Io', ma,secondo la consuetudine Tamil omettendo 'sono' ogni volta che ilsuo senso è chiarito con l'uso di 'Io'; chiaramente implica 'Io[sono] Io'.

Cioè, proprio come 'nāṉ yār?' significa 'Io [sono] chi?' e 'edunāṉ?' significa 'quello che [sono] Io?', o semplicemente come'nāṉ maṉidaṉ' significa 'io [sono un] uomo' e 'nāṉ iṉṉāṉ' significa'io [sono] così e così', cosi 'nāṉ nāṉ' significa chiaramente 'Io[sono] Io'. Tre importanti istanze del suo uso di queste parole 'nāṉnāṉ' o 'Io [sono] Io' per descrivere lo stato di vera conoscenza disé, sono il versetto 20 di 'Upadēśa Undiyār', il versetto 30 di'Uḷḷadu Nāṟpadu' e il versetto 2 di 'Āṉma-Viddai', in cui egli dice:

“Nel luogo [il nucleo del nostro essere] dove 'io' [lanostra mente o sé individuale] si fonde [o diventa uno]l'unica [vera conoscenza] appare [o scaturisce]spontaneamente [o come noi stessi] come 'Io [sono]Io'. Quella stessa [o quello, che è noi stessi] è tutta [latotalità infinita o pienezza di essere, la coscienza e lafelicità]. Quando [la nostra] mente raggiunge il

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[nostro] cuore [il nucleo del nostro essere] scrutandointeriormente 'chi sono Io?' [e] quando lei [la mente]che è 'io' [il nostro ego o sé individuale] è [quindi]sottomesso [letteralmente, 'quando soffre di vergogna',cioè, quando si placa, chinando il capo in segno divergogna], l'unica [vera conoscenza] appare [oscaturisce] spontaneamente [o come noi stessi] come'Io [sono] Io'.

Anche se appare, non è 'Io' [il nostro séindividuale]. È l'intera poruḷ [l'infinita essenza,sostanza o realtà], la poruḷ che è [il nostro vero] sé.Dal momento che il pensiero 'questo corpo compostodi carne è io' è una corda alla quale [tutti i nostri] varipensieri sono attaccati, se [noi] andiamo dentro[scrutando noi stessi] 'chi sono Io?'

Qual è il luogo? [la fonte dalla quale questopensiero fondamentale 'io sono questo corpo' sorge?],[tutti i] pensieri spariranno, e all'interno della grotta [ilnucleo del nostro essere] la conoscenza di sé splenderàspontaneamente [o come il nostro sé] come 'Io [sono]Io'. Questo da solo è il silenzio [lo stato silente oimmobile di puro essere], l'unico spazio [non duale][della coscienza infinita], l'unica dimora di [veraillimitata] felicità”.

Sebbene Sri Ramana descrive questa esperienza di veraconoscenza di sé come 'apparire' o 'scaturire' spontaneamentecome 'Io [sono] Io', esso non appare di nuovo, perché è l'interoeterno e infinito, la pienezza di essere e della coscienza, cheabbiamo sempre sperimentato come 'Io sono'.

Tuttavia, poiché immaginiamo di essere la nostra mente o lacoscienza individuale, la chiarezza naturale della nostra non duale

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coscienza di sé o vera conoscenza di sé, ora sembra essereoscurata. Pertanto, quando esaminiamo la nostra coscienza di base'Io sono', che è l'essenza di ciò che oggi sentiamo essere la nostramente, e quando la nostra mente cessa così di esistere comeseparata coscienza individuale, essendo scoperta come niente altroche la nostra essenziale coscienza 'Io sono', sperimenteremoquesta naturale coscienza libera dalla mente 'Io sono' come se sitrattasse di una conoscenza nuova e fresca.

Tuttavia, la novità e la freschezza di questa conoscenza di sésaranno vissute come tali solo nel momento preciso che la nostramente svanisce. Cosa rimarrà successivamente, è la chiaraconsapevolezza che siamo e sempre siamo stati niente altro chequesta semplice coscienza del nostro essere, 'Io sono', che è quellarealtà, unica, eterna e infinita.

Pertanto, nel versetto 30 di 'Uḷḷadu Nāṟpadu', dopo aver dettoche apparirà o risplenderà spontaneamente come 'Io sono Io', SriRamana aggiunge:

“[...] Anche se esso appare [o scaturisce], non è 'Io'[il nostro individuale sé, che appare e scompare]. Èl'intera essenza [sostanza o realtà] [eternamenteesistente], l'essenza che è [il nostro vero] sé”.

Perché oggi sperimentiamo noi stessi come una limitatacoscienza individuale che inganna se stessa considerandosi questocorpo, la nostra conoscenza di noi stessi appare ora nella forma 'iosono questo'. Quando questa conoscenza falsa e illusoria di noistessi è distrutta dalla chiarezza della vera conoscenza di sé,cesseremo di sentirci 'io sono questo' e ci sentiremo solo 'Io sonoIo'.

Tuttavia, non appena questa esperienza fresca 'Io sono io'appare, la riconosceremo come il nostro stato eterno e naturale diessere, che abbiamo sempre sperimentato come 'Io sono', e quindinon lo sentiremo più come nuovo o fresco nel senso che era

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precedentemente assente, ma sarà invece sperimentato come iltutto infinito, che trascende la dimensione immaginaria del tempoed è quindi eternamente nuovo e fresco.

Per sottolineare il fatto che questo 'tutto' o infinita totalità diessere, che è l'assoluta chiarezza della vera conoscenza di sé ocoscienza di sé che brilla come 'Io [sono] Io', non è qualcosa cheappare o scompare mai, anche se sembra momentaneamenteessere nuovamente sperimentata nel preciso istante in cui la nostramente è dissolta in esso e interamente consumata da esso; dopoaver detto nel versetto 20 dell'Upadesa Undiyār che apparespontaneamente come 'Io [sono] Io' quando la nostra mente o ego,il nostro senso individuale finito di 'io', si fonde e diventa tutt'unocon essa; nel versetto 21 Sri Ramana afferma che, che dalmomento che è sempre vissuta da noi come nostro essereessenziale, è eterno:

“Quello [unico intero infinito che brilla così come'Io sono Io'] è in ogni momento [nel passato, presentee futuro, e in tutta l'eternità] il [vero] significato dellaparola 'Io', a causa dell'assenza della nostra non-esistenza anche nel sonno, che è priva di [ogniseparato o finito senso di] 'io'”.

Le parole di questo versetto di apertura sono 'nāṉ eṉum sol-poruḷ', che ho tradotto come 'l'importanza della parola Io'.Tuttavia, anche se ho tradotto la parola poruḷ come 'importanza',non c'è in realtà nessuna parola adeguata (in inglese) a dare il suopieno significato, in particolare come viene usato in questocontesto. Quando è abbinato alla parola 'sol', che significa'parola', per formare la parola composta soṯporuḷ, come qui, chenormalmente significa solo la vera 'importanza', 'significato' o'valore' a qualsiasi parola si riferisca. Tuttavia, quando è utilizzatoin filosofia, poruḷ ha un significato molto più profondo, perchédenota la realtà assoluta, la vera sostanza o essere essenziale di

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tutto ciò che è.Pertanto, in questo contesto nāṉ eṉum sol-poruḷ significa la

realtà assoluta o essere essenziale che viene indicato con la parola'Io'. Cioè, anche se a causa della nostra conoscenza confusa di noistessi spesso usiamo questa parola 'io' per indicare il nostro corpoo la mente, ciò che realmente sentiamo quando diciamo 'Io' è lanostra fondamentale coscienza di sé: la coscienza fondamentaledel nostro essere.

Poiché siamo consapevoli del nostro essere, ci sentiamo come'Io sono', ma poiché confondiamo il nostro essere con questocorpo e la mente, abbiamo applicato erroneamente questa parola'io' usandola con riferimento a questi ausiliari estranei. Quandocosì confondiamo la coscienza del nostro essere con un corpo, laconseguente consapevolezza mista che si percepisce 'io sonoquesto corpo' è la forma limitata e distorta di coscienza chechiamiamo la 'mente'. Questa mente o coscienza legata a unaggiunto è il nostro finito 'io', il nostro sé individuale o ego.Anche se sperimentiamo questa mente nella veglia e nel sogno,essa scompare nel sonno. Tuttavia, anche se questa mente oindividuale 'io' è assente nel sonno, non sentiamo di cessare diesistere in quel momento.

Pertanto, nella seconda metà di questo versetto Sri Ramanadice: “[...] a causa dell'assenza della nostro esistenza anche nelsonno, che è privo di 'io'”. Ecco che le parole 'a causadell'assenza della nostra non-esistenza' sono un poetico modo didire 'poiché non siamo inesistenti'. Cioè, anche se la nostra mentediviene inesistente nel sonno, noi continuiamo ad esistere e aconoscere la nostra esistenza come 'Io sono', e quindi la nostramente non è il nostro vero 'Io', ma solo un impostore,un'apparizione o fantasma, che si pone come 'io'.

Il nostro vero 'Io' può solo essere ciò che siamo in ognimomento e in tutti gli stati. Poiché sappiamo che 'Ho dormito',chiaramente riconosciamo e conosciamo la nostra continuaesistenza o essere nel sonno, anche se in quel momento non

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possiamo sentire noi stessi di essere questa mente limitata o 'io'legato all'aggiunto che erroneamente consideriamo essere noistessi nella veglia e nel sogno. Pertanto, poiché continuiamo aesistere anche in assenza di questo falso 'io', questo non puòessere il vero significato della parola 'Io'.

Cioè, dal momento che la parola 'Io' denota noi stessi, il suovero significato deve essere quello che siamo in ogni momento, enon quello che ci sembra di essere solo in determinati momenti Daqui la vera importanza della parola 'Io', la realtà che è veramentedenotata da essa, può essere solo la nostra sempre presentecoscienza del proprio essere essenziale, che abbiamo sempresperimentato come 'Io sono', anche nel sonno.

Dato che il nostro essere essenziale rimane eternamentedistinto e incontaminato da eventuali aggiunte o upādhis chepossono apparire come sovrapposti su di esso, egli non si sentemai come 'io sono questo' o 'io sono quello', ma è semprechiaramente consapevole di se stesso solo come 'Io sono' o 'Iosono Io'. Dal momento che questo 'Io sono' non diventainesistente anche nel sonno, quando il nostro falso io 'legatoall'aggiunta' cessa di esistere, è in tutti i momenti e in tutti gli statiil nostro vero essere, il reale significato della parola 'Io'.

Pertanto, poiché non è limitato in alcun modo da eventualiaggiunte finite, o da qualsiasi dimensione finita come il tempo olo spazio, la nostra coscienza essenziale di essere, che abbiamosempre sperimentata come 'Io sono', è eterna e infinita. Poichénon è limitata come 'questo' o 'quello', non è separata da qualsiasicosa. Poiché sempre la sperimentiamo come base di tutta la nostraconoscenza di ogni cosa, è infatti la vera essenza di tutte le cose.

Dal momento che essa sola perdura attraverso e oltre tutti itempi, mentre tutte le altre forme di conoscenza appaiono escompaiono nel tempo, è l'unica conoscenza che è assolutamentevera. Tutte le altre forme di conoscenza appaiono e scompaionoperché sono conosciute solo dalla nostra mente, che appare escompare. Poiché questa appare solo nella veglia e nel sogno, e

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scompare nel sonno, la nostra mente non può essere il nostro verosé: il vero significato della parola 'Io'. Pertanto, nel versetto 717della Guru Vācaka Kōvai Sri Ramana dice:

“Dal momento che l'anima del corpo [l'animaincarnata, la coscienza finita che immagina se stessa diessere un corpo] appare e scompare, [non può esserela realtà duratura indicato con la parola 'Io', e quindi]ātmā [il nostro vero sé], che è la base costantedell'anima-corpo, solo è il corretto [diretto o onesto]poruḷ, [significato,senso o realtà] della parola che[ogni anima incarnata] dice come 'Io'. Sappiate chequando [noi] esaminiamo, [scopriremo solo il nostroĀtmā o fondamentale coscienza di sé] essere il poruḷconclusivo [la realtà ultima denotata dalla parola'Io']”.

La realtà di base che sottende l'immaginaria comparsa escomparsa della nostra mente legata al corpo è solo il nostroessere essenziale cosciente di sé, che abbiamo sempresperimentato come 'Io sono'. Anche se tutto appare e scompare, lanostra basilare coscienza di sé non appare né scompare, perchéessa permane in tutti gli stati e in ogni momento e, quindi, solo leiè la realtà che è ben indicata quando diciamo la parola 'Io'.

Poiché Sri Ramana ha spesso usato la terminologia dell'advaitavēdānta, facendo libero uso di molti dei suoi termini standardcome sat-cit-ananda o essenza-coscienza-beatitudine, la suafilosofia è generalmente considerato come una nuova espressionedi quella filosofia antica. Tuttavia, egli non è arrivato alla suafilosofia studiando uno qualsiasi dei testi filosofici dell'advaitavēdānta, ma lo ha fatto ancora prima che avesse avuto occasionedi conoscere quei testi.

La sua filosofia era un'espressione della propria esperienzadiretta della vera conoscenza di sé, che ha raggiunto all'età di

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sedici anni quando, spinto da un'improvvisa e intensa paura dellamorte, ha rivolto la sua attenzione verso l'interno di sé econcentrandosi intensamente ed esclusivamente sulla suacoscienza di essere, 'Io sono', per scoprire se il suo 'Io' sarebbemorto o no quando il suo corpo fosse morto.

Come risultato di questa intensa focalizzazione einvestigazione di sé, ha scoperto che non era il corpo corruttibile,ma solo la realtà imperitura, che è senza inizio, infinita eininterrotta di essere-coscienza-beatitudine. Solo molto più tardi,quando la gente gli ha fatto domande per chiarire i propri dubbi suciò che avevano letto nei testi dell'advaita vēdānta, ha avutooccasione di leggere questi testi, e quando lo ha fatto hariconosciuto che stavano descrivendo la propria esperienza.

L'advaita vēdānta è un antico sistema indiano di filosofia, e ilsuo nome significa etimologicamente la filosofia della 'non-dualità' (advaita) o 'no dualità' (a-dvi-tā), che è la 'fine' (anta) ditutta la 'conoscenza' (vēda), o l'ultima conclusione dei Vēdas.Sebbene la maggior parte delle conoscenze espresse nei quattroVēdas riguardi solo la dualità, nelle loro parti successive ciascunodei Vēdas finalmente da qualche espressione della conoscenzadella non-dualità. Dove tutta la conoscenza della dualità (dvaita)espressa nei Vēdas arriva a una fine (anta), rimane la conoscenzadella non-dualità (advaita).

Cioè, la vera conoscenza non duale 'Io sono' che sola rimanequando tutta la conoscenza dualistica, che è la preoccupazionecentrale non solo dei Vēdas, ma anche della maggior parte dellealtre scritture, delle filosofie e delle scienze, è finalmente arrivataalla fine, è la conoscenza della non-dualità o advaita espressa nelvēdānta. In verità, dunque, advaita vēdānta non è una filosofiache è esclusiva per tradizione vedica dell'India, ma è la 'filosofiaperenne' che sottende tutte le vere forme di misticismo, lametafisica e la filosofia radicalmente profonda.

Vale a dire, se nel contesto della tradizione vedica la filosofiadella non-dualità è chiamata advaita vēdānta, la filosofia

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essenziale della non dualità che è così chiamata può essere trovataespressa in altre parole in molte altre tradizioni mistiche efilosofiche in tutto il mondo. Tuttavia, discutendo della filosofiadella non duale vera conoscenza, è spesso utile fare riferimentospecificamente all'advaita vēdānta, perché nella tradizione post-vedica nota come vēdānta a questa filosofia è stato dato unaparticolarmente chiara espressione.

Pertanto, quando si dice che la filosofia di Sri Ramana è unamoderna espressione della filosofia antica dell'advaita vēdānta,questo non significa che la sua filosofia sia derivata dall'advaitavēdānta, né che sia rilevante solo nel contesto della religionevedica e nella cultura conosciuta come Induismo. La sua filosofiaesprime una verità che è al di là di tutte le religioni e al di là diogni differenza culturale, e che può essere trovata espressa in unaforma o nell'altra nella maggior parte delle grandi religioni e delleculture di questo mondo.

Tutti i versi filosofici e altri scritti di Sri Ramana, che cito inquesto libro esprimono l'esperienza di un essere che è in uno statodi coscienza che è molto diverso dallo stato di coscienza legato alcorpo che noi tutti conosciamo. Poiché egli sta parlando di unostato di assoluta non duale conoscenza di cui non abbiamopersonalmente esperienza (o meglio, di cui la nostra esperienza èstata apparentemente oscurata, e di cui dobbiamo quindiimmaginare che non abbiamo nessuna esperienza), c'è forsequalche motivo per cui non dovremmo credere a tutto quello chedice, o almeno accettarlo provvisoriamente?

Sri Ramana non ci chiede di credere ciecamente a nulla. Iniziala sua esposizione della filosofia della non-dualità chiedendoci dianalizzare criticamente la nostra esperienza di noi stessi nei nostritre stati di coscienza, veglia, sogno e sonno profondo, che noi tuttisperimentiamo ogni giorno. Tutto il resto della sua esposizione diquesta filosofia è conseguenza logica delle conclusioni alle qualiarriviamo per mezzo di questa analisi critica.

Nulla di ciò che egli dice è irragionevole, né si basa su malsane

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premesse. Pertanto, anche se non possiamo al momento verificareimmediatamente con la nostra esperienza tutto ciò che egli dicecirca l'assoluta realtà, che è lo stato di vera conoscenza, nonpossiamo ragionevolmente confutarla, e quindi non c'è ragioneperché non dovremmo accettarla almeno provvisoriamente.Inoltre, quando ha parlato dello stato di vera conoscenza assoluta,non lo ha fatto con l'intenzione che dobbiamo semplicementecredere alle sue parole.

Credere a qualcosa che non conosciamo con certezza è discarsa utilità per noi se non ci aiuta a raggiungere una certaconoscenza di essa. Pertanto Sri Ramana non solo ci ha descrittola natura della realtà assoluta, che è la perfettamente non dualecoscienza di essere o vera conoscenza di sé, ma ci ha detto ancheil mezzo attraverso il quale potremmo raggiungere la direttaesperienza di quella realtà. I mezzi che ha insegnato si inserisconologicamente in tutta la filosofia della non-dualità che ha esposto.

Poiché la nostra analisi critica dell'esperienza di noi stessi neitre stati di coscienza ci porta a capire che la nostra essenzialeautocoscienza 'Io sono' è l'unica realtà alla base dell'apparizione diquesti tre stati, essendo l'unica cosa che sperimentiamocontinuamente durante il loro permanere, è ragionevole per noiconcludere che, prima di cercare di conoscere ogni altra cosa,dobbiamo prima cercare di conoscere la vera natura di questacoscienza fondamentale 'Io sono'.

Poiché non possiamo conoscere qualcosa senza essere attenti aessa, l'unico modo col quale possiamo conoscere la vera natura diquesta coscienza è di scrutarla con un'attenzione acutamentefocalizzata. Questo metodo semplice ma profondo diinvestigazione di sé, o auto-investigazione o auto-attenzione{investigazione del sé o attenzione al sé} è quindi logicamentel'unico mezzo col quale siamo in grado di scoprire la vera naturadella realtà che sta alla base di tutte le diverse forme diconoscenza che oggi sperimentiamo. Così la filosofia della nonduale vera conoscenza esposta da Sri Ramana non è solo una

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filosofia ben ragionata, ma anche una pratica e una scienza esatta.Poiché inizia con un'analisi minuta della nostra coscienza, che

è la base di tutta la nostra conoscenza, e quindi costruisce per séuna base di teoria attentamente studiata e chiaramente motivata; laricerca della vera conoscenza e la scoperta di sé che Sri Ramana cispinge a intraprendere, è una filosofia, nel senso più vero eprofondo di questa parola.

E poiché da tale teoria ci porta naturalmente alla pratica dellasemplice tecnica empirica di trasformare il nostro potere diattenzione, il nostro potere di conoscere o di coscienza, su sestesso, verso la nostra basilare coscienza 'Io sono', per scoprire ciòche questo 'Io' è davvero, questa ricerca per la vera conoscenza disé è anche una vera scienza.

Così è una completa filosofia e scienza, quella in cui sononecessarie sia la teoria che la pratica che sono parti inseparabilidel tutto. La teoria di questa scienza della conoscenza di sé ènecessaria per iniziare e, guidarci e motivarci nella sua pratica.Ma se non iniziamo la pratica, o se non la seguiamo fino alla suaconclusione, tutta la teoria è di scarsa utilità per noi. La teoria dasola non potrà mai darci la vera conoscenza, ma solo unacomprensione intellettuale di essa.

Tale comprensione intellettuale è solo una conoscenzasuperficiale e dualistica, una conoscenza in cui ciò che si conosceè distinto dalla persona che la conosce. Nessuna comprensioneintellettuale può mai essere vera conoscenza, perché il nostrointelletto è solo una funzione della nostra mente, la nostracoscienza limitata legata all'aggiunto, che è la radice di ogniconoscenza errata, essendo essa stessa una conoscenza sbagliatache sorge solo quando ci inganniamo ritenendo di essere un corpofisico.

Una comprensione teorica di questa filosofia e della relativascienza è quindi utile solo nella misura in cui ci spinga a cercarel'esperienza diretta della vera non duale conoscenza di sé, e cipermetta di capire chiaramente il mezzo attraverso il quale

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possiamo raggiungere tale esperienza diretta.

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Bibliografia

Quando cito gli scritti Tamil e altri insegnamenti di Sri Ramanariportati in questo libro, mi riferisco alle mie traduzioni(M.James), molte delle quali sono basate, in gran parte, sullespiegazioni e interpretazioni della prosa Tamil di Sri Sadhu Om. Iseguenti sono alcuni dettagli circa i lavori che ho citato:

Poesie filosofiche di Sri Ramana

Upadesa Undiyār (உபத�ச வநத�ய ர) - Una poesia Tamildi trenta versi che Sri Ramana ha composto nel 1927 in rispostaalla richiesta di Sri Muruganar, e che ha poi redatto in Sanscrito,Telugu e Malayalam sotto il titolo Upadesa Saram, 'Essenza delleistruzioni'.

Uḷḷadu Nāṟpadu (உளளத ந றபத) - i 'Quaranta [Versi] suciò che è'. Un'altra poesia Tamil che Sri Ramana ha composto nel1928, quando Sri Muruganar gli chiese di insegnare la natura dellarealtà e dei mezzi per raggiungerla.

Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham (உளளத ந றபதஅனபநதம) Il 'Supplemento ai Quaranta [Versi] su ciò che è',una raccolta di quarantuno versi Tamil che Sri Ramana hacomposto in diversi momenti tra il 1920 e il 1930.

Ēkāṉma Pañcakam (ஏக ன ம பஞசகம - Noto anche comeEkatma Pañcakam) - I 'Cinque [Versi] sull'Unità del sé'; unapoesia che Sri Ramana compose nel 1947, prima in Telugu, poi inTamil, e più tardi in Malayalam.

Anma - Viddai (ஆன ம வ�த� - Noto anche come Atma-

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Vidya Kirtanam) Il 'Canto sulla Scienza del Sé', una canzoneTamil che Sri Ramana ha composto nel 1927 in risposta allarichiesta di Sri Muruganar.

Upadesa Taṉippākkaḷ (உபத�ச� தன�பப ககள) 'VersiSolitari di istruzione', una raccolta di ventisette versi Tamil cheSri Ramana ha composto in tempi diversi.

Poesie devozionali di Sri Ramana

Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai (ஸ அரண சலஅகரமணம �ல) - La 'Ghirlanda matrimoniale delle lettere' o'Ghirlanda dell'unione che non perisce'. Un inno Tamil di 108versi indirizzato a Dio nella forma del santo monte Arunachala,che Sri Ramana ha composto spontaneamente uno giorno del 1914o 1915.

Śrī Aruṇācala Aṣṭakam (ஸ அரண சல அஷ டகம) Gli'Otto [Versi] a Sri Arunachala', altro inno Tamil che Sri Ramanaha composto nella stessa epoca

Scritti in prosa di Sri Ramana

Nan Yar? (ந ன ய ர, conosciuta anche come Nāṉ-Ār?,ந ன ர?) - 'Chi sono Io?'. Un trattato di venti punti che SriRamana ha scritto alla fine del 1920, del quale tutti, meno il primoparagrafo sono una versione modificata di una raccolta di risposteche aveva dato a una serie di domande poste da Sri SivaprakasamPillai negli anni 1901-1902.

Vivekacudamani Avatārikai (வ�வகசட மண�அதவ ர��க) - Introduzione che Sri Ramana scrisse,

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Bibliografia

probabilmente nel 1903 o 1904, alla sua traduzione in prosa Tamildel grande poema filosofico di Sri Adi Sankara, Vivekacudamani.

Antichi testi tradotti da Sri Ramana

Bhagavad Gita Saram (பகவ� கத ச ரம) La 'Essenzadella Bhagavad Gītā', una selezione di quarantadue versi dellaBhagavad Gītā che Sri Ramana ha tradotto come una poesiaTamil.

Insegnamenti orali di Sri Ramanaregistrati da Sri Muruganar

Guru Vācaka Kovai (கரவ சகக �க �வ) - la 'Serie Deidetti del Guru'. La raccolta più completa e affidabile dei detti diSri Ramana, registrata in 1255 versi Tamil composti da SriMuruganar, con l'aggiunta di 42 versi composti da Sri Ramana (dicui 27 inclusi in Upadēśa Taṉippākkaḷ, 12 in Uḷḷadu NāṟpaduAnubandham, 2 in

Ēkātma Pañcakam and 1 in Uḷḷadu Nāṟpadu. Gli originaliTamil della maggior parte di queste opere sono disponibili indiversi libri, spesso con le spiegazioni di base o commentidettagliati, e molte traduzioni di loro sono disponibili in varielingue. Tuttavia, la principale fonte di tutti loro, tranne UpadēśaTaṉippākkaḷ e Guru Vācaka Kōvai, è Śrī Ramaṇa Nūṯṟiraṭṭu (ஸரமண நறறரடட) Opere complete di Sri Ramana, pubblicatoda Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai, Tamil Nadu, India(www.sriramanamaharshi.org).

La principale fonte di Upadēśa Taṉippākkaḷ è ŚrīRamaṇōpadēśa Nūṉmālai - Viḷakkavurai (ஸ ரம�ண பத�ச

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நன ம �ல - வளககவ�ர), un commento Tamil di Sri SadhuOm su tutte le poesie filosofiche di Sri Ramana, pubblicato da SriArunachalaramana Nilayam, Tiruvannamalai, India(www.sriarunachalaramananilayam.org).

Il testo originale Tamil del Guru Vācaka Kovai, e unatraduzione in prosa Tamil da Sri Sadhu Om, sono pubblicati in duevolumi separati da Sri Ramanasramam.

Una traduzione completa Inglese, di Sri Sadhu Om e me stesso,unitamente alle osservazioni da parte sia di Sri Muruganar sia diSri Sadhu Om, è pubblicata separatamente da SriArunachalaramana Nilayam

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Glossario

In questo glossario: {T} dopo una parola, indica che si tratta diTamil; {TS} indica che si tratta di una forma Tamil di una parolasanscrita; {Ts} indica che si tratta di una parola o una frase Tamilderivata in parte dal sanscrito; {S} indica che è Sanscrito (lamaggior parte delle parole sanscrite qui elencate sono anche usatefrequentemente nella letteratura spirituale Tamil, o nella stessaforma o in una forma eufonicamente modificata).

Aa {T} che, chi (un prefisso dimostrativo)ā {T} venire in essere, diventare, essere, accadere, accade, fare,essere completato, essere in forma, essere appropriato, esserecorretto - vedi ādal, ām, āy, etc.abheda {S} non diverso, indiviso, identicoadal {T} essere, divenire (sostantivo verbale formata da una)aḍaṅgi {T} cedevole, la presentazione, cedimento (participioverbale di aḍaṅgu)aḍaṅgu {T} rendimento, a presentare, placarsi, ridursi, esseresottomesso, ancora risolvere, cessare, scompaiono - vedi aḍaṅgiadaṟku {T} per taleadaṟku aḍaṅgi-y-irāmal {T} 'invece di aver ceduto a quel'adhara {S} supporto, substrato, suolo, containeradhiṣṭhāna {S} posto in piedi, base, substrato, suolo, dimoraādi {S} inizioādi-guru {S} guru originalea-dvi-tā {S} non-dualitàadvaita {S} non-dualitàAdvaita Vedanta {S} Vedanta non-dualisticaaham {S} 'Io'aham {T} dentro, il cuore, casa, dimora, lo spazioahaṁ brahmasmi {S} 'Io sono Brahman'

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ahamukham {Ts} rivolto verso l'interno, l'introspezione,introversione, 'Io' avanti di fronte, auto-attenzioneahandai {TS} (Ahanta {S}) egoahantā (ahaṁtā) {S} egoità, ego - vedi ahandaiāhāra {S} ciboāhāra-niyama {S} alimentare moderazioneahiṁsā {S} non nuocereajñāna {S} ignoranza, la mancanza di conoscenza di sé - vediajnaniajñāni {S} una persona che manca di conoscenza di séākāśa {S} spazio - vedi bhūtākāśa; cidākāśa; cittākāśaakhaṇḍa {S} ininterrotta, non frammentato, indiviso, indivisibile,tutto, interoakṣara {S} imperituro, lettera [dell'alfabeto], sillaba - vedi ŚrīAruṇācala Akṣaramaṇamālaiakṣaramaṇamālai (akṣara-maṇa-mālai) {Ts} ghirlanda dimatrimonio, di lettere, fragrante ghirlanda di lettere, ghirlanda diunione imperitura - vedi Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālaiallāh {arabo} Dioam {T} bellezza (o prima di una parola che inizia con 'm', am puòanche essere il prefix dimostrativo 'a' = un [che significa 'che' o'quelli'] (con un extra 'm' aggiunto per eufonia)ām {T} [egli] è, [essi] sono (futuro singolare o plurale o abitualeterza persona di 'a' = uno; che è, che sono, chi è, chi sono (futuroo abituale participio relativo di un)amalaka {S} un frutto con dimensioni dell'uvaamar {T} risiedere, restare, essere seduto, diventare fermo,calma, riposo,sistemareamarndu {T} assestamento, dopo aver sistemato (senza tempoparticipio verbale di amar)anādi {S} senza inizioānanda {S} felicità, la gioia, la beatitudine (vedi anche sat-cit-ananda)ānandamaya kōśa {S} 'guaina' composta di felicità (l'auto-

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Glossario

ignoranza che resta nel sonno, anche se la mente è placata)ananta {S} infinitaananya {S} non altri, non altro, otherless senza alteritàananya bhāva{S} meditazione su [Dio] non altro [che noi stessi]anātmā {S} non-sé, non autoanattā {Pali} (Anatman {S}) non-sé, non sé, priva di sé, nessunaséAnbu {T} amoreaṉbu pūṇumē{T} essere posseduto con l'amoreaṉḏṟi {T} eccezione, inoltre, nonāṉmā {TS} (Ātmā {S}) autoāṉma-viddai {TS} (Atma-Vidya {S}) scienza di sé (vedi ancheAnma-Viddai; Atmavidya)Āṉma-Viddai {TS} '[cantico su] Scienza del Sé'annamayakosa {S} 'guaina' composta di cibo (il corpo fisico)anta {S} endantar {S} all'interno, dentroantarmukham {TS} rivolto verso l'interno, l'introspezione,l'introversione, l'auto-attenzioneanubandham {TS} appendice, appendice, supplemento - vediUḷḷadu Nāṟpadu Anubandhamanugraha {S} grazia, gentilezzaanusandhāna (anusaṁdhāna) {S} indagine, controlloravvicinato, la contemplazioneaṇu {S} atomoaṇuvum (anu-v-um) {Ts} anche un atomoanya {S} altro, un altroanya bhāva {S} meditazione su [Dio come] altro [che noi stessi]ār{T} che (interrogativo, pronome personale) - vedi Nan-Ar?, yarār {T} diventa pieno, si sviluppa su, risiede, essere, si combinacon, mangiare, esperienza, ottenere, messo su, usura, cingere,unire (utilizzato anche in poesia come un participio significatorelativo, 'che è', 'che si combina con', 'che è vincolato da')ārāy {T} indagare, scrutare, esaminare, ispezionare, esplorare

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ārāycci {T} indagine, controllo, ispezione, l'esplorazione, laricercaari {T} conoscere, sapere, esperienza, essere consapevole di -vedi Arivu, aṟiyādu, eccarive (Arivu-e) {T} coscienza da sola, la coscienza certamenteaṟivē nāṉ {T} coscienza da solo [o certamente] è 'I'aṟivu {T} conoscenza, coscienza (sostantivo formato da aṟi)aṟiyādē (aṟiyādu-e) {T} non solo conoscendoaṟiyādē muyalum {T}, 'che [noi] pratichiamo solo [a causa di]non sapere'aṟiyādu {T} non sapere (negativo participio verbale di aṟi)artha {S} scopo, lo scopo, il significato, la sostanza, la ricchezza,proprietà, oggetto, cosaaruḷ {T} grazia, benevolenzaaruḷum vēṇumē {T} grazia è certamente necessariaaruṇācala {TS} Arunachala (il nome del colle sacro ai piedi delquale Sri Ramana visse, e che ha adorato come unamanifestazione fisica di Dio e guru, il nostro vero sé)Aruṇācala Akṣaramaṇamālai {Ts} - vedi Śrī AruṇācalaAkṣaramaṇamālaiAruṇācala Aṣṭakam {TS} - vedi Śrī Aruṇācala Aṣṭakamāśā {S} desiderio - vedi nirāśāasaiyādu {T} [it] non si muoveāsana {S} seduta, costante, la posturaasat {S} irreale, inesistenteasher {Ebraico} quello, chi, che, cosa (a 'relativizer', una parolache indica una proposizione relativa, come un pronome relativo ininglese)asi {S} [tu] sei - vedi tat tvam asiasmi {S} [Io] sonoaṣṭakam {TS} collezione di otto pezzi (in particolare una poesiadi otto versi) - vedi Śrī Aruṇācala Aṣṭakamashrama {S} 'ashram', eremo, dimora di un asceta, istituzionereligiosa formata attorno ad una dimora, dimora di una comunità

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Glossario

religiosaaṣṭan (aṣṭa in composite) {S} ottoasti {S} [egli] è, [egli] esiste, c'è, l'esistenza, la presenza, essendoasti-bhāti-priya {S} essere-illuminazione-amoreasubha {S} brutto, spiacevole, sgradevole, infausto, maleaśubha vāsanā {S} propensione sgradevoleatiśaya śakti {S} potere straordinario, meraviglioso potereatītam {TS} ciò che è andato al di là, ciò che trascendeātmā {S} sé, lo spirito (forma nominativo singolare dell'Atman,usato in Tamil sia come il suo nominativo che la sua base flessiva)ātmānusandhāna (Atma-anusaṁdhāna) {S} auto-indagine,auto-contemplazioneātma-cintana {S} auto-contemplazioneātma-jñāna {S} conoscenza di séātma-jñāna {S} saggio, colui che conosce séātman (Atma in composite, Ātmā in nominativo) {S} sé, lospirito, l'anima, la vita, l'essenza (serve anche come pronomeriflessivo per tutte le persone e generi: se stessi, me stesso, te, si,noi stessi, ecc)ātma-niṣṭha {S} self-dimorare, fissata in séātma-saṁsthaṁ manaḥ kṛtvā {S} 'aver reso la mente ferma nelsé'ātma-siddhi {S} auto-realizzazioneātma-sukha {S} self-felicitàātma-svarūpa {S} il nostro sé essenziale, la 'forma propria' dinoi stessiātma-vicāra {S} auto-indagine, l'auto-controllo, l'auto-attenzione,auto-inchiestaātma-vidyā {S} scienza di séĀtma-Vidyā Kīrtanam {TS} 'Cantico della Scienza del Sé'ātmāvil (Atma-v-il) {TS} in sé (forma locativa singolare diĀtmā)a-t-taṉmai {T} quella prima personaāttumā {TS} (Ātmā {S}) sé

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avaṉ {T} haavaṉ aruḷ aṉḏṟi ōr aṇuvum asaiyādu {T} 'se non per la suagrazia, nemmeno un atomo si muove'āvaraṇa {S} mantello, velare, nascondere, occultare, oscurareāvaraṇa śakti {S} potere del velo, nascondere, oscuramentoavastha {S} stato, condizioneavatārikai {TS} (avatārikā {S}) introduzioneay {T}, essendo divenuto, essendo, come (participio verbale di ā,spesso usato come suffisso avverbiale, come '- ly' in inglese)ayaṁ {S} questaayaṁ ātmā brahma {S} 'questa sé è Brahman'

Bbahirmukham {TS} rivolta verso l'esterno, estroversioneBhagavad Gita {S} 'Divine Song', 'Canzone di Dio'Bhagavad Gita Saram {TS} 'L'essenza della Canzone di Dio'Bhagavân {S} Signore, DioBhâgavatam {S} '[Libro] di Dio' - vedi Bhagavatambhakti {S} devozione, amorebhakti-marga {S} sentiero della devozioneBhati {S} brillante, la luce, l'illuminazione, la conoscenza, lacoscienzabhava {S} essere, stato, stato di essere, modo di pensare,l'atteggiamento, idea, concetto, parere, la convinzione, lacontemplazione, la meditazioneBhavana {S} forma nella mente, l'immaginazione, il pensiero, lameditazionebhramaṇa {S} esitazioni, smarrimento, confusionebhūtākāśa (bhùta-Akasa) {S} spazio fisicobrahman (brahma nei compositi e nei nominativi neutro [danon confondere con il maschile nominativo, Brahma, che è unnome di Dio come creatore]) {S} Dio (l'essere puro,impersonale), la realtà assoluta, lo spirito infinito, l'unico non

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Glossario

duale essere coscienza, 'Io sono', il nostro essere essenziale o verosé, la fonte, base e sostanza di tutte le cosebrahma-rsi {S} saggio, che si sperimenta come BrahmanBrahma Sutra {S} 'Aforismi su Brahman'buddhi {S} intelletto, la mente, la facoltà di discernimento, ladiscriminazione, la ragione, comprensione (vedi anche Dehatmabuddhi)

Ccakra {S} ruota, cerchio, centro mistico del corpocāvādavar {T} - vedi sāvādavarcāyndiḍum {T} - vedi sāyndiḍumcidākāśa (cit-Akasa) {S} spazio della coscienzacintana {S} pensiero, il pensiero, la meditazione - vedi Atma-cintanacit {S} facoltà di conoscere e sperimentare, quello che conosce,sperimenta o è cosciente, consapevolezza (particolarmente puracoscienza non-oggettiva), consapevolezza (che significaconoscere, sperimentare, cognizione, percepire, osservare,occuparsi, essere attenti, essere coscienti); (come altre paroletamil e sanscrito che sono tradotte come 'coscienza' o'consapevolezza', come aṟivu, uṇarvu, jñāna e rajñāna, negliinsegnamenti di Sri Ramana cit significa non solo lo stato diessere cosciente, ma più specificamente, che è cosciente, cioè noistessi)cit-Jada-granthi {S} il nodo che lega la coscienza alla non-coscienza [corpo]cit-śakti {S} potere della coscienzacitta {S} mente, volontà, facoltà di volontàcittākāśa (citta-Akasa) {S} spazio-mentecitta-bhramaṇa {S} esitazioni mentale, disorientamento,confusionecitta-suddhi {S} purificazione della mente

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cittattiṉ {TS}della mente (una forma di cittam, spesso servecome una forma genitiva)cittattiṉ śānti {TS} pace della mentecogito ergo sum {latino} '[I] penso quindi [Io] sono'col {T} - vedi solcoṯporuḷ {T} - vedi soṯporuḷcūḍāmaṇi (cuda-Mani) {S} gioiello - diademacumma {T} - vedi Summacummā-v-iru {T} - vedi Summa iru

Ddarśana {S} vedere, guardare, la percezione, il discernimento, lavisione, l'esperienzadaśamaṉ {TS} decimo uomo (un sostantivo personale formato dadaśama, decimo)dēha {S} corpodēhātma buddhi {S} 'il corpo [è] idea di me stesso', il senso di'io sono il corpo'dēva {S} dio, divinità, essere divinodharma {S} ciò che sostiene, supporta, sostiene, conserva,mantiene trattiene, mantiene in luogo o regola; la natura, lafunzione, il dovere, l'obbligo, la giustizia, correttezzafondamentale, ordine, come qualsiasi cosa deve essere o agire,legge morale, la giustizia, religione [come modo ordinato ecorretto di vita, piuttosto che come un insieme particolare dicredenze o dottrine], la legge [della natura umana e lo sviluppospirituale] ('Dharma' è un concetto estremamente importante eprofondamente significativo in tutte le filosofie e religioni diorigine indiana, che sono collettivamente descritti come 'religionidharmiche'. La parola deriva dalla DHR radice verbale, chesignifica tenere, difendere, trasportare, sostegno, sostenere,preservare, mantenere, tenere insieme, trattenere, frenare, tenerein luogo, controllare o regolare; tutto - anche un oggettoinsensibile, un elemento come il fuoco o nell'acqua, o di qualsiasi

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qualità astratta - ha un proprio dharma, ciò che tiene insieme, ilche rende quello che è, impedendole di essere qualsiasi altra cosa,la sua natura essenziale, la sua particolare proprietà o la qualità, lasua funzione, il suo 'dovere', il suo ordine, come dovrebbe essereo di un atto, la legge del suo essere e di azione; visto che siamosenziente, esseri razionali e sociali, con un senso di giusto esbagliato, e che aspirano a salire al di sopra dei limiti della nostrapresente finitezza, il nostra dharma include la nostra moraledharma, il nostro dharma sociale, il nostro dharma religioso, ilnostro dharma spirituale; i nostri doveri naturali e obblighi in ogniambito della nostra vita, tutti insieme costituiscono il nostrosvadharma o 'proprio dharma'; analogamente, ogni società osezione di società, ogni professione o mestiere, ogni ruolo sociale,ogni relazione familiare, ogni modo di vita o fase della vita, hauna sua particolare dharma)dhātu {S} strato, elemento costitutivo, ingredientedhyai {S} contemplare, meditare, pensare, immaginare,rammentare, tenere a mentedhyāna {S} contemplazione, la meditazione, la consapevolezza,l'attenzionedirgha {S} di lunga duratadṛg {S} vedi dṛśdṛg-dṛśya-vivēka {S} discriminazione tra il vedente e il vistodṛś (dṛk o dṛg nei composti) {S} vedere, guardare, conoscere,discernere, vista, occhio, quello che vede, quello che conosce (lacoscienza, il soggetto, veggente o conoscitore)dṛśya {S} oggetto visibile, ciò che si vede, ciò che è conosciuto(l'oggetto, visto o noto)dṛṣṭi {S} vedere, vistadvaita {S} dualitàdvandva (dvaṁdva) {S} paio [di opposti] - vedi iraṭṭai

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E-ē {T} un intensificatore, un suffisso utilizzato per enfatizzare(che significa 'solo', 'se', 'certamente', 'anzi')edu {T} cosaedu nāṉ? {T} 'quello che [sono] Io?'ego {Greek} Ioego eimi {Greek} Sonoehyeh {Ebraico} [Io] sono, Io sonoehyeh asher ehyeh {Ebraico} '[Io] sono ciò che [Io] sono'eimi {Greek} [Io] sonoeka {S}, quelloēkāṉmā (ēkāṉma in compound) {TS} - vedi ēkātmanĒkāṉma Pañcakam {TS} - vedi Ekatma Pañcakamēkātman (Eka-ātman; Ekatma nel composto) {S} se stessi, 'sé,quello [la realtà]' (vedi anche Ekatma Pañcakam)Ekatma Pañcakam (Ēkāṉma Pañcakam) {TS} 'Cinque [Versi]sul Sé, l'Uno', 'Cinque [Versi] sulla Unicità del Sé'Ekatma vastu {S} l'unica sostanza del sé {T} pensare,considerare, meditare, scrutareeṉḏṟum {T} sempre, per sempre, costantementeeṉḏṟum taṉṉai viṉavum usāvāl {T} 'di indagine sottile, checostantemente scruta il sé'eṅgē {T} dove in effetti, ovunque (pronome interrogativa eṅgu,che significa 'dove', con intensificazione suffisso ē)eṅgē-y-irundālum irukkalām {T} 'ovunque [un] può essere[un] può essere', 'ovunque [si] può essere lasciato [un] essere'eṇṇa {T} quando [ci] pensiamo, consideriamo, meditare,esaminiamoeṇṇa naṙuvum {T} 'quando [siamo] esaminiamo, svanirà'eṉṉum {T} chi dice, cosa dice, che si chiama (un participiorelativo [come iti in sanscrito], che spesso funziona come levirgolette che racchiudono la precedente, parola o frase)enum {T} che dice, che dice, che si chiama (un'abbreviazionepoetica di eṉṉum)

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eppōdum {T} sempre, in ogni momentoergo {Latin} quindiēttiṉum {T} anche se uno adoraevaiyum {T} tuttoevaiyum Kanum {T} che vede tutto

Ggarbha {S} utero, embrionegati {S} modo, percorso, mezzi, rifugio, la liberazioneGita {S} canzone - vedi Bhagavad Gitagranthi {S}nodoguna {S} [finito] qualità, proprietà, un attributoguru {S} [spirituale] insegnante, guidaGuru Vācaka Kovai {T} 'Serie di detti del Guru'

Hhiṁsā {S} danno, lesione, feritohrdaya {S} cuore, anima, l'essenza

IIccha {S} voglia, desiderio, simpatia, inclinazioneiḍam{T} luogo, la posizione, la posizione, la stazione, luogo,situazione, stato, stanza, spazio, dimora, casa, terra (vedi anchemuviḍam)iladāl {T} poiché [it] non è, in quanto [it] è privo diiṉbu {T} felicitàiṉbu tōṇumē {T} 'felicità certamente comparirà'innan {T} così e così, come una personairāmal {T} non essere, senza essere, invece di essere (participioverbale negativo di IRU)

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iraṭṭai {T} paio [di opposti], dvandvairaṭṭaigaḷ {T} [coppie di opposti] (plurale di iraṭṭai)iru {T} essere, esistere, rimangonoiṟudi {T} fine, il limite, la cessazione, la morteiṟudi taṉṉai-y-uṇarndu tāṉ-ādal {T} 'infine conoscere noi stessi[e] di essere noi stessi'irukka {T} per essere, quando [si], quando [siamo] sonoirukkalām {T} lasciare [noi] essere, diciamo [un] essere, [si] puòessereirukkiṟēṉ {T} [I] sonoirundālum {T} anche se [un] è, anche se [un] èiruppadu {T} essere, già esistente, rimanendo (sostantivo verbaleformato da iru, sia, esiste, restano)iruḷ {T} tenebre (di auto-ignoranza), ignoranza spiritualeīśaṉ {TS} Dioīśaṉ sannidhāna {TS} (īśa-saṁnidhāna {S} presenza di Dio

Jjaḍa {S} non cosciente, insensibile, materiale, materia inanimatajāgrat {S} [stato] veglia, vegliajāgrat-suṣupti {S} sonno vegliajāla {S} net, rullante, web, l'inganno, la raccolta, moltitudinejapa {S} sussurrando, la ripetizione [di un nome di Dio, lapreghiera o mantra], l'invocazionejīva {S} vita, essere vivente, l'animajīvātmā {S} sé personale, animajñā {S} sa, essere consapevole di, cognise, accertare, l'esperienzajñāna {S} la conoscenza, la coscienza (spesso usato per indicareAtma-jñāna, auto-conoscenza)jñāna-dṛṣṭi {S} conoscenza vistajñāna-mārga {S} percorso di conoscenzajñāna-mātā {S} madre della conoscenzajñāna-vicāra {S} conoscenza dell'inchiesta

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jnanendriya {S} organo di sensojñāni {S} un conoscitore, saggio, uno che sa [auto]

Kkaḍa {T} passare attraverso, andare attraverso, superare,eccellere, trascendere, fuga dalla) - vedi kaḍandukaḍandu {T} trascendere (participio verbale di Kada)kaḍandu-uḷḷavaṉ {T} colui che esiste trascenderekaḍavuḷ {T} Diokālam {TS} tempokalaṅgārē (kalaṅgār-e) {T} che certamente non illudekaliveṇbā {T} una versione estesa del metro veṇbākalpanā {S} creazione mentale, l'immaginazione, lafabbricazione, l'immagine mentale - vedi kaṯpaṉaikan {T} eyekan {T} vedere, percepire, scoprire, conoscere, esperienza(utilizzato anche in poesia come un verbale sostantivo chesignifica 'vedere', ecc)kaṇḍavarē (kaṇḍavar-e) {T} solo coloro che hanno vistokāṇum {T} che vede, percepisce, conosce (participio relativa diKAN)kāraṇa {S} causakāraṇa śarīra {S} corpo causalekāraṇam illāda karuṇai {T} grazia senza causakarma {S} azione, attivitàkarma-mārga {S} sentiero dell'azionekarma-vāsanā {S} propensione o desiderio che spinge a farericorsokarmēndriya {S} organo di azionekartrtva {S} doershipkaru {T} (garbha {S}) embrioni, uova, causa efficientekaruṇā {S} compassione, graziakaruṇai {T} - vedi Karuna

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karuvām ahandai (karu-v-ām ahandai) {Ts} 'ego, che èl'embrione'kāṭci {T} ciò che si vede, la vista, la visione, l'aspettokaṯpaṉai {Ts} (kalpanā {S}) creazione mentale, l'immaginazione,la fabbricazione, l'invenzione, immagine mentale, illusione,sovrapposizione illusoriakaṯpaṉaigaḷ {Ts} immaginazioni, illusioni, immagini mentali(forma plurale di kaṯpaṉai)kaupīna {T} perizomakēḷ {T} sentire, ascoltare, imparare, chiedere, domanda, indagarekhaṇḍa {S} rotto, frammentata, divisa, divisione, rottura, parte,frammentokirtanam {TS} canto, lodekōśa {S} 'guaina', che coprekōvai {T} incordatura, serie, successione, disposizione - vediGuru Vācaka Kovaikṛ {S} fare, creare, causa, effetto - vedi kṛtvā, kṛtyakṛtvā {S} aver fatto, reso (participio passato di kr)kṛtya {S} azione, la funzione - vedi pañcakṛtyakṣaṇika {S} momentaneakuṟaḷ veṇbā {T} una versione a due linee della metro veṇbākūr {T} essere abbondante, intenso, tagliente, acuto, acuta,penetrante - vedi kūrndakūrnda {T} affilato, appuntito, tagliente, acuto, acuta (participiopassato parente di kūr)kūrnda mati {Ts} acuto, penetrante, acuto, attento, concentrato,sottile, la mente discernente

Llaksya {S} scopo, obiettivo, obiettivolakṣyārtha (laksya-artha) {S} significato obiettivo/scopo,significato desiderato/intesolaya {S} sdraiata, subsidenza temporanea, sospeso

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Mmā {S} nonmahākartā (maha-karta) {S} la 'grande agente' (Dio)mahāraṇya (maha-aranya) {S} grande foresta, deserto, desertomaharṣi (maha-ṛṣi) {S} grande 'veggente', salviamahāvākya (mahā-vākya) {S} grande dettomahēśaṉ (mahā-īśaṉ) {TS} gran Signore, Diomai {T} tenebre, l'ignoranza-mai {T} suffisso che indica uno stato astratto o di qualità (simileal suffisso '-ness' in inglese) (vedi naṉmai anche, taṉmai, uṇmai;viṇmai)mālai {TS} (mālā {S}) Ghirlanda - vedi akṣaramaṇamālai enūṉmālaimanaḥ {S} mente (nominativo, accusativo e vocativo singolareforma di manas)maṉam {TS} (manas {S}) mentemaṇam (maṇa nel composto) {T} matrimonio, unione, fragranza- vedi Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālaimanana {T} pensare, riflettere, meditare, meditare, rifletteremanas {S} mente (vedi anche Manam)maṉattai {TS} mente (accusativo singolare forma di Manam)maṇḍapam {TS} sala del tempiomaṅgalam {TS} buon auspicio, strofa composta comeintroduzione di buon auspiciomaṉidaṉ {TS} (manu-ja {S}) uomo, persona di sesso maschilemāṉiḍaṉ {TS} (Manusa {S}) l'uomo, essere umanomāṉiḍaṉāy (māṉiḍaṉ-ay) {Ts} divenuto umano, essere umano,come esseri umani, come [un] uomomāṉiḍaṉāy irukkiṟēṉ {Ts} '[I] esistere come [a] man', '[I] sono[a] man'maṉṉu {T} essere permanente, sopportare, rimase a lungo,soggiorno, perseverare, essere costante, abbondano - vediMannummaṉṉum {T} che dura (participio relativa di Mannu)

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manō - (per manas nei composti) {S} mente, della mentemanōlaya {S} sospensione della mentemanōmaya kōśa {S} 'guaina' composto di mentemanōmayam {TS} (manomaya {S}), composta [solo] dellamentemanōmayam-ām kāṭci {T} 'visione che si compone di mente',fatto di mente aspettomanōnāśa {S} annichilimento della mentemanōnigraha {S} controllo/limitazione mentemantra {S} sacra sillaba, parola, frase (ad esempio il nome diDio o una preghiera)mantra-japa {S} ripetizione di un mantramārga {S} percorso, strada, mezzi (vedi anche Marga bhakti;jñāna Marga, karma marga; Yoga Marga; Vari)mātā {S} madremati {S} mente, l'intelletto, il potere di discernimento (vedi anchebuddhi, kūrnda mati; nun mati)matiyāl (mati-y-Al) {TS} dalla mente (forma strumentale dimati)mati-y-iladāl {T} 'dal momento che è privo di coscienza'Matra {S} mero, solo, nient'altromauna {S} silenzio-maya {S} suffisso che significa 'fatto di', 'composto di','costituita esclusivamente da' - vedi Anandamaya, annamaya,manomaya, Pranamaya, Tanmaya, vijnànamayamāyā {S} ciò che non è (vedi yā mā), illusione, inganno,autoingannomey {T} la realtà, la veritàmeypporuḷ (mey-p-poruḷ) {T} vera sostanza, la vera essenza, larealtà, Diomeypporuḷ-viḷakkam {T} luce della reale sostanza - la coscienzadi essere, 'Io sono'mita {S} misurato, moderatomudal {T} origine, la causa, la radice, la base

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muḍiyum {T} [it] finirà, cesserà, sarà possibilemukti {S} liberazione, emancipazionemuṉṉilai (muṉ-nilai) {T} 'quella che si trova di fronte', laseconda personamuppuḍi {Ts} (triputi {S}) triade, tre fattori [di conoscenzaoggettiva] (Conoscitore, conoscere e conosciuto)muppuḍigaḷ {Ts} triadi (forma plurale di muppuḍi)mūrti-dhyāna {S} meditazione su una forma [di Dio]muttoṙil (mu-t-toṙil) {T} triplice funzione [di Dio]mūviḍam (mū-v-iḍam) {T} 'tre luoghi', tre persone (ingrammatica) (vedi anche muṉṉilai; paḍarkkai; taṉmai)muyal {T} cominciare, si impegnano, tentativo, pratica, faresforzo, esercitare, perseverare - vedi muyalummuyalum {T} che [noi] intraprendiamo, pratichiamo (participiorelativo di muyal)

Nna-iti {S} 'non [questa]' (vedi anche neti neti)naḍakka {T} per camminare, andare, comportarsināḍu {T} ricercare, perseguire, ispezionare, esaminare, indagare,esplorare, conoscerenam {T} noi (inclusivo di chi è indirizzato)nāma-rūpa {S} nome-formanāṉ {T} 'I'Nāṉ-Ār?{T} 'Io [sono] Chi?', 'Chi sono Io?'nāṉ ār iḍam edu {T} 'chi sono Io? qual è il posto [da cui mialzai]?', 'ciò che è il luogo dove Io dimoro?'nāṉ eṉum sol-poruḷ {T} 'l'importazione della parola I'nāṉ iṉṉāṉ {T} 'I [am] così e così'nāṉ maṉidaṉ {T} 'I [Sono] uomo', 'I [Sono] persona di sessomaschile'nāṉ māṉiḍaṉ {T} 'I [Sono] uomo', 'io [sono] umano'nāṉ māṉiḍaṉāy irukkiṟēṉ {T} 'io esisto come [un] uomo', 'io

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sono [un] uomo'nāṉ nāṉ {T} 'Io [sono] Io'nāṉ yār? {T} 'Io [sono] chi?', 'Chi sono Io?'naṉavu {T} [stato] veglia, veglianaṉavu-tuyil {T} sonno veglianaṉmai (nal-mai) {T} bontà, giustizia, beneficio, la virtù, lamoralitànāṟpadu {T} quaranta - vedi Uḷḷadu Nāṟpadunaṙuvum {T} '[it] svanirà'nāśa {S} annientamento, distruzione - vedi manōnāśanāṭṭam {T} indagine, l'esame, il controllo, l'ispezione,l'osservazione, l'attenzione, attenzionenēti nēti (na-iti, na-iti) {S} 'non [questo], non [questo]' (cheimplica '[Io sono] non [questa aggiunta], né [questa aggiunta]',la parola iti è un indicatore quotativo che è equivalente all'uso divirgolette in inglese)nididhyāsana {S} contemplazione profonda, la meditazione,l'attenzione, l'osservazione, controllo (derivato dal verbo nidhyai,in cui il ni prefisso significa giù, in profondità, indietro, oall'interno, e dhyai significa contemplare o meditare, da cuidhyāna è derivato)nihaṙviṉai {T} tempo presentenihaṙvu (spesso traslitterato come nihaḻvu e trascritto vagamentecome nihazhvu) {T} tempo presenteniṉaivu {T} pensiero, la menteniṉḏṟa {T} che sorge, esiste, abita, rimane, resiste, continua, èpermanente (anche se in realtà il participio passato del verborelativo nil, indica permanenza e, quindi, implica la continuità dalpassato al futuro)nirāśā (nir-āśā) {S} senza desiderio, assenza di desiderinirguna (nir-guna) {S} senza qualità, senza [finite] proprietà, nonqualificatanirguṇa brahman {S} 'brahman senza [finite] qualita', la realtànon qualificato, Dio (come puro essere, 'Io sono', la base

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impersonale, sostanza essenziale o infinito tutto)nirguṇa upāsana {S} culto senza attributi, il culto della realtànon qualificato (Dio come puro essere)nirvāṇa {S} spinto fuori, estinto, estinzione, annientamentonistha (o nistha) {S} in piedi, fissato, fondata, essendo in,dimorare in, intenti su, dedicato a, attaccato a, costanza, fermezza,dimorare, attaccamento, devozione, applicazione, abilità,conoscenza, conoscenza certa di posizione, stato, statonitamum Mannum {T} 'che dura da sempre'nitya {S} innata, fissa, perpetua, eternaniyama {S} restrittivo, la moderazione, la restrizionenul {T} filo, trattato, testo scientifico, testo spirituale, Scrittura -vedi nūṉmālai e nūṯṟiraṭṭunuṇ {T} sottile, raffinato, preciso, acuto, affilato, discernendonūṉmālai (nūl-mālai) {Ts} ghirlanda di testi - vedi ŚrīRamaṉōpadēśa Nūṉmālainuṇ mati {T} mente esigentinūṯṟiraṭṭu (nul-tiraṭṭu) {T} raccolta di testi, compilazione ditesti - vedi Śrī Ramana Nūṯṟiraṭṭu

Ooḍukkiḍavē {T} quando viene sottomesso, ridotto, condensato,sciolta, fusa, distruttooḷi {T} luceoḷirum {T} [it] splendeoḷiyāl (oḷi-y-āl) {T} dalla luce (forma strumentale di oli)oṉḏṟu {T} unoōr {T} uno, unōr {T} considerare con attenzione, indagare, esaminare, conoscere(usato anche come una forma poetica del relativo participio ōrum)ōr vaṙi {T} 'un percorso', 'indagando percorso', 'conoscendopercorso', 'percorso di ricerca [o conoscere]'oru {T} uno, un

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ōrum {T} che indaga, che non conosce, indagare, conoscere(relativa participio OR)

Ppaḍarkkai {T} quella che si è diffusa fuori [e diventare remoto],la terza personapākkaḷ {T} versi (plurale di Pa) - vedi taṉippākkaḷpañcakam {TS} raccolta di cinque parti (in particolare una poesiadi cinque versi) - vedi Ekatma Pañcakampañca-kōśa {S} cinque 'involucri' o rivestimentipañcakṛtya (Panca-kṛtya) {S} cinque funzioni (di Dio)pañcan (pañca in composti) {S} cinquepañca vāyu {S} cinque 'soffi vitali'para-bhakti {S} devozione supremaparama-īśa-bhakti {S} - vedi paramēśa -bhaktiparama karuṇā {S} suprema compassioneparamartha (parama-artha) {S} obiettivo più eccellente,principio di significato, ultimo sostanza, vera essenza, la più altaverità, tutta la verità, la realtà ultimapāramārthika {S} legati alla realtà ultima, più vera, piùessenziale (aggettivale forma di paramartha)pāramārthika satya {S} verità essenziale, realtà ultima, la realtàassolutaparamàtman {S} suprema autoparamēśa-bhakti (parama-isa-bhakti) {S} suprema devozione aDiopāramārthika satya (parama-Isvara-Śakti) {S} potere supremodi Diopara-sukha {S} suprema felicitàparā-vāk {S} parola supremapati {S} signore, padrone, Diopāyiram {T} prefazione, introduzione (in particolare un verso oun gruppo di versi spiegare la genesi di un'opera o dare una

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sinossi del suo oggetto)pēr {T} nomepēr-uruvil {T} 'in nome e forma', 'senza nome e senza forma'piḍikka {T} a cui aggrapparsi (infinito di PIDI, presa, afferrare,tenere, si aggrappano a)piṇam {T} cadaverepiṇam pōl tīrndu uḍalam {T} 'lasciare il corpo come uncadavere'pōl {T} comepoṉ {T} oropōṉḏṟa {T} che assomigliapoṟi {T} organo di senso, menteporuḷ {T} sostanza, l'essenza, la realtàpoy {T} falsità, irrealtà, illusione, apparenza ingannevole (ancheusato come aggettivo per significa 'falso', 'irreale', 'illusorio')poy mai-y-ār niṉaivu aṇuvum uyyādu oḍukkiḍavē {T}'quando il pensiero, che è buio irreale, è distrutto senza farrivivere nemmeno uno iota'pōy {T} andare, essendo andatoprajñāna {S} coscienza pura (libero aggiunto autocoscienza, 'Iosono')prajñānaṁ brahma {S} 'pura coscienza è brahman'pramāda {S} intossicazione, negligenza, imprudenza,disattenzione (in una spirituale contesto, in particolare l'auto-negligenza o mancanza di auto-attenzione)prāṇa {S} respiro, vita, forza vitale, vitalitàprāṇamaya kōśa {S} 'guaina' composto di respiroprāṇāyāma {S} respiro moderazioneprārabdha {S} azione (karma) che ha cominciato a dare frutti,destino, fatoprasthāna {S} fonte, origine, punto di partenzaprasthāna-traya {S} triplice fontepratibhāsa {S} apparenza, apparenza, illusioneprātibhāsika {S} apparente, esistente solo come un aspetto

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prātibhāsika satya {S} realtà apparentepravrtti {S} sforzo uscente, attività estroversopriya {S} amore, gentilezza amorevole, amato, voluto, gradevolepuhaṙcci {T} lodi, applausi, apprezzamento, adulazione, elogio,fama, fama, gloria, celebritàpūṇumē {T} messo su, usura, essere ornato con, essere inpossesso di essere aggiogato a, essere intrappolato inpūjā {S} culto (culto particolare rituale), l'adorazione, lariverenzapūrṇa {S} pieno, pieno, completo, intero, intero, pienezza,completezza, interezzapuruṣa {S} uomo, essere umano, persona, primordiale 'persona',essere supremo, lo spirito (come l'origine e la sostanza di ognicosa originale)

Rrajas {S} passione, l'emozione, l'attività inquietarajō- (per rajas in compound) {S} passione, l'emozione, l'attivitàinquietorajoguna {S} la qualità della passione (rajas)ram {S} stabilirsi, diventata calma, riposo, esperienza di gioia,dare gioia, delizia, per favoreRamana {S} gioia, piacere, ciò che dà gioia, amato, amante,maritoRamana Nūṯṟiraṭṭu {Ts} - vedi Sri Ramana Nūṯṟiraṭṭuramaṇōpadēśa (ramaṇa-upadēśa) {Ts} insegnamenti di SriRamana - vedere Śrī Ramaṇōpadēśa NūṉmālaiRamaṉōpadēśa Nūṉmālai {Ts} - vedi Śrī RamaṉōpadēśaNūṉmālaiṛṣi {S} (comunemente trascritto come Rishi) 'veggente', salviarūpa {S} forma, aspetto esteriore, la natura (vedi anche nāma-rūpa; svarūpa)

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Sśabda {S} suono, rumore, parolaśabda jālaṁ mahāraṇyaṁ {S} 'grande foresta di insidie diparole'saccidananda (sat-cit-ānanda) {S} essere-coscienza-beatitudine(vedi anche satcitānanda)sadā {S} sempre, sempre, sempre, perpetuamentesadākālam (sadā-kālam) {TS} sempre, in ogni momentosadākālamum maṉattai ātmāvil vaittiruppadu {T} 'esseresempre tenendo la mente fissata nel sé'sadguru (sat-guru) {S} vero guru, essendo-guru, vero maestrospiritualesādhakattil {TS} nella pratica spirituale (locativo singolare formadi sādhakam)sadhu {S} brava persona, persona gentile, persona santa,mendicante religiososaguṇa (sa-guṇa) {S} con qualità, con [finiti] immobili,qualificatisaguṇa brahman {S} 'brahman con [finite] qualita', la realtàqualificata, Dio (come una 'persona' o essere separato)saguṇa upāsana {S} culto con attributi, il culto della realtàqualificata (Dio come persona)sahitar {TS} persona che è unita, connessa, associata a, inpossesso diśakti {S} poteresamādhi {S} stato di quiete mentale, subsidenza, l'assorbimento,compostezza, intenso la meditazione, la contemplazione costantesaṁhāra {S} disegno insieme, la chiusura, la contrazione, ladissoluzione, distruzione [dell'universo]saṁsāra {S} scorre insieme, andare in giro, vagando, diffondendotra, essendo diffusa, spostamento a fondo, attività inquieta[mentale]saṁstha {S} in piedi insieme, in piedi saldamente, dimorare,riposa in, essendo come

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śanaiḥ śanair (śanais śanais) {S} dolcemente, con calma egradualmenteśanais {S} con calma, in silenzio, dolcemente, delicatamente, apoco a pocosanātana {S} antica, primordiale, eterno, eterno, costante,perpetuaSanatana Dharma {S} ciò che sostiene eternamente,, sostiene,tiene insieme, mantiene in luogo o regola; legge eterna [dellanatura umana e sviluppo spirituale], eterno 'religione' (cioè, lareligione come un ordinato e corretto modo di vita, piuttosto checome un particolare insieme di credenze o dottrine)sankalpa (saṁkalpa) {S} volontà, intenzione, desiderio, volontà,desideriosankalpa sahitar {TS} persona in possesso di volontàsannidhāna (saṁnidhāna) {S} vicinanza, presenzaśānti {S} pace, tranquillità, calmasapta {S} settesapta dhātu {S} sette componenti [del corpo fisico] (ossia chilo,sangue, carne, grasso, ossa, midollo e sperma)sāra {S} essenza, la sostanza, nucleo, midollo (vedi anche saram)sāram {TS} essenzasarira {S} corposarva {S} tutto, tutto, tutto, ognisarvakartā (sarva-karta) {S} tutto agente, quello che fa di tutto(Dio)śāstra {S} regola, precetto, insegnamento, istruzione, libro,trattato scientifico, religioso trattato, Scrittura, libro sacrosat {S} essere, già esistente, l'esistenza, quello che è, la realtà, laverità, l'essenza, reale, vero, giusto, buono, onesto, saggiosat-bhāva {S} essere reale, stato di esseresat-cit {S} essere-coscienzasat-cit-ānanda {S} essere-coscienza-beatitudinesattva {S} essere-ness, la realtà, la calma, la chiarezza, la purezza(la vera natura o essenza della mente e tutte le sue creazioni)

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sattva-guna {S} qualità di essere-ness, calma, chiarezza, lapurezzasāttvika {S} puro, incontaminato, dotato di sattvasatya {S} vera, reale, la verità, la realtàsāvādavar {T} coloro che non muoiono, immortalisāyndiḍum {T} [it] pende verso il basso, si china, si sdraia, pause(come ramo sotto pressione)siddha {S} compiuta, soddisfatta, effettuata, raggiunto, raggiunto,ha acquisito, persona che ha compiuto [sia un obiettivo spiritualeo non spirituale]siddhi {S} realizzazione, realizzazione [spirituale osoprannaturale], miracoloso potenzaśiva-svarūpa {S} Dio come nostro 'propria forma' o vero sé, larealtà assolutasmarana {S} ricordare, tenendo conto, ricordo, laconsapevolezza, attenzione, la meditazionesol {T} parola, termine, dicendo (anche un verbo che significadire, parlare)sol-poruḷ {T} - vedi soṯporuḷsoṯporuḷ (sol-poruḷ) {T} sostanza della parola (la sostanza,l'importazione o il significato di una parola)sorūpam {TS} (svarupa {S}) 'propria forma', essenziale séśravaṇa {S} 'udienza', l'apprendimento, lo studio, la letturaśrī {S} luce, lustro, radiosità, splendore (spesso usato come unprefisso onorifico [intendendo 'sacro'] prima dei nomi di divinità,santi, luoghi o oggetti)Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai {T} 'Ghirlanda di lettere delmatrimonio con Sri Arunachala', 'Fragrante Ghirlanda di Letterea Sri Arunachala', 'Ghirlanda di Imperitura unione con SriArunachala'Śrī Aruṇācala Aṣṭakam {TS} 'Otto [Versi] a Sri Arunachala'Śrīmad Bhagavatam {S} 'Sacro [Libro] di Dio'Sri Ramana Nūṯṟiraṭṭu {T} 'Raccolta di testi di Sri Ramana','Raccolta Opere di Sri Ramana'

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Śrī Ramaṇōpadēśa Nūṉmālai-Viḷakkavurai {T} 'CommentarioSri Ramana di Upadesa Nūṉmālai (Ghirlanda di testi didattici)'sṛṣṭi {S} lasciarsi andare, portando avanti, lo scarico, l'emissione,la proiezione, la creazione [dell'universo]Sthana {S} in piedi, stato, situazione, luogo, località, dimorasthiti {S} standing, stare, continua, durevole, manutenzione,sostentamento [del universo], stato, situazione, statosthūla {S} massiccia, lordo, materiale, fisicosthūla dēha {S} corpo fisicosthūla śarīra {S} corpo fisicośubha {S} luminoso, bello, gradevole, piacevole, di buonauspicio, buono, giusto, virtuosa, puraśubha vāsanā {S} buona inclinazione, propensione gradevoleśuddhi {S} pulizia, la purificazione, la purezza, chiarezzasukha {S} facile, piacevole, gradevole, facilità, comfort, lafelicitàsūkṣma {S} sottile, fine, minuto, appassionato, acuto, affilatosūkṣma śarīra {S} corpo sottile (la mente, ego o anima)sum {latino} '[io] sono'summā {T} facile, piacevole, inoperose, a riposo, a proprio agio,in pace, felici, tranquilli, in silenzio, a malapena, solo, solo(derivato da sukhamā, una forma avverbiale Tamil della parolasanscrita sukha)summā amarndu irukka (summā-v-amarndirukka) {T}'quando [un] appena è, avendo costante'summā iru (summā-v-iru) {T} essere solo, tranquillamenteessere, essere senza attività [della mente, discorso o corpo]summā irukkalām (summā-v-irukkalām) {T} 'cerchiamo solodi essere'summā iruppadu (summā-v-iruppadu) {T} solo di essereśūnya {S} vuotosusupti {S} sonno (sonno profondo e senza sogni)sūtra {S} fili, corde, spago, breve stringa di parole, aforisma,istruzioni concise, testo costituito da una serie di aforismi

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(istruzioni, in particolare aforismi)sva {S} proprio (riferimento a qualsiasi delle tre persone o tre ilnumero [singolare, doppio o plurale]), la propria, se stessi (serveanche [come ātman] come un pronome riflessivo)svarūpa {S} propria forma, natura, essenziale autosvarūpa-darśana {S} vedendo il sé, auto-discernimento,esperienza di sésvarūpa-dhyāna {S} attenzione al sé, auto-contemplazione, diauto-meditazionesvarūpa-smarana {S} ricordo del sé, auto-attenzionesva-svarūpa-anusandhāna {S} auto-indagine, auto-controllo,contemplazione del sé, auto-attenzione, attenzione al sé.

Ttalai {T} testa (letteralmente o metaforicamente)talai-sāyndiḍum {T} [it] testa-piegata, diventa testa piegata, siblocca [sua] testa [vergogna o modestia], muoretamas {S} tenebre, illusionetamo - (per tamas nei composti) {S} tenebre, illusionetamoguna {S} qualità delle tenebre (tamas)taṉ {T} auto sé (base inflessionale di tāṉ, e la sua forma indiretta,spesso utilizzato come genitivo [di sé, la sua, lei, la sua, proprio])tāṉ {T} sé (serve anche come pronome di terza persona [lui, lei oit], un indefinito pronome [uno o nessuno], il pronome riflessivoper tutte le persone e generi [se stessi, io, te, si, noi stessi, ecc], eun suffisso intensificativo [certamente, solo o da sola])tāṉ-ādal {T} divenire sé, essendo sétāṉ ām avaṉ {T} 'colui che è il sé'taṉadu {T} di sé, la sua, lei, la sua, la propria (una forma genitivodi tan)taṉadu oḷiyāl eppōdum uḷḷadu {T} 'quella che esiste da sempredi luce propria'tāṉē (tāṉ-ē) {T} sé stessa, sé sola, self certamente

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tāṉē tāṉē tattuvam {T} 'il sé da solo è certamente la realtà'taṉi {T} unicità, la solitudine, l'indipendenza, l'unicità, la purezza(anche usato come aggettivo) - vedi taṉippākkaḷtaṉippākkaḷ (tani-p-pākkaḷ) {T} versi solitari - vedi UpadesaTaṉippākkaḷtaṉmai (tan-mai) {T} 'self -ness', la prima persona, lo stato di sétaṉmaiyiṉ (taṉmai-y-in) {T} della prima persona (una forma nelcaso indiretto di taṉmai, usato come genitivo)taṉmaiyiṉ uṇmai {T} la verità della prima personatanmatra (tat-matra) {S} egli-solo, solo che, elementofondamentale, l'essenzatanmayānanda (tat-maya-ananda) {S} beatitudine compostasolo di tat ('egli', l'assoluta realtà)Tanmaya-nistha (tat-maya-nistha) {S} dimorare come tat ('it', larealtà assoluta)Tannai {T} sé (accusativo forma singolare di tan)Tannai-y-uṇarndu {T} conoscendo sétaṉṉāṭṭam (tan-nāṭṭam) {T} auto-indagine, auto-osservazione,auto-controllo, auto-attenzionetaṉṉuḷ (taṉ-ṉ-uḷ) {T} dentro di sé, in se stessitāṙ {T} cadere in basso, scendere, declino, lavello, placarsi,soggiorno, stop, riposo, chinarsi, arco giù, essere sottomessotāṙndu {T} cadere basso, cedimento, inchinarsi, essendosottomesso, essere umili (participio verbale di tāṙ)tat {S},egli, questo, che (il pronome terza persona, che vieneutilizzato nella filosofia per denotare brahman, quella non dualerealtà assoluta)tat tvam asi {S} 'ciò che sei', 'quello che tu sei'tattuvam {TS} realtà - vedi tattvatattva (tat-tva) {S} it-ness, that-ness, la realtà, la verità, principio(usato per indicare sia l'unica realtà assoluta che uno qualsiasi deiprincipi ontologici variamente enumerati)tēḍu {T} cercare, ricercare, indagare, esaminare, indagareTipiṭaka {Pali} (Tripitaka {S}) 'Tre cesti' (la più antica raccolta

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Glossario

scritta degli insegnamenti del Buddha, popolarmente noto come il'Canone Pali')tiraṭṭu {T} raccolta, la raccolta, la compilazione - vedi nūṯṟiraṭṭutirōbhāva {S} - vedi tirōdhānatirōdhāna {S} occultamento, oscuramento, velandotīr {T} end, scadenza, svanire, separato, lasciare, cessare, morire,perire - vedi tīrndutīrndu {T} finale, separare, lasciando (participio verbale di TIR)Tiru {T} luminosità, brillantezza, lucentezza, splendore,eminenza, distinzione, fortuna, benedizione, la santità, la sacralità,la divinità (usato come lo Sri come un prefisso onorifico [chesignifica 'sacro'] prima dei nomi di divinità, santi, luoghi ooggetti) - vedi tiruvaruḷtiruvaruḷ (tiru-v-aruḷ) {T} grazia divinatōṉḏṟum {T} [it] apparirà, sorgere, diventare visibile, venire inmente, essere conosciuto, diventare chiarotōṇumē {T} [egli] certamente appare, farsi conosceretraya {S} triplo, triplice, composto da tretriputi {S} triade, tre fattori [di conoscenza oggettiva](conoscitore, conoscenza e conosciuto)turiya {TS} (Turya {S}) quarto (il 'quarto' stato, lo stato dichiara autocoscienza libero dal pensiero, noto anche come 'sonnoveglia')turiya {S} quarto (il 'quarto' stato)Turiya (o Turya) avastha {S} il quarto statoturiyatita (turiya-atīta) {S} il quarto-trascendente, ciò chetrascende: il quarto (un nome alternativo di turiya, così chiamataperché trascende i tre stati falsi di coscienza, veglia, sogno esonno, e quindi non è in realtà il 'quarto' ma l'unico stato reale)turiya-v-atīta {TS} (turiyatita {S}) quarto trascendenteTurya {S} quarto (il 'quarto' stato)tuyil {T} sonno

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Uuḍal {T} corpouḍal nāṉ {T} '[questo] corpo [è] io', 'io [sono questo] corpo'uḍal nāṉ eṉṉum a-t-taṉmai {T} che in prima persona, che sichiama 'io [sono questo] corpo'uḍalam {T} corpoUdana {S / pali} 'esaltazione gioiosa'ūkkam {T} impulso, ardore, zelo, fatica, sforzo, fermaconvinzioneūkkam-uḷḷavaṉ {T} chi ha zelo, colui che fa [serio] sforzouḷ {T} essere, esistere, hanno (un verbo senza tempi, da cui lamaggior parte delle seguenti parole che cominciano con ul sonoderivate)uḷ {T} dentro, dentro, interno, cuore, menteuḷ-mai {T} 'be'-ness, (l'essenza di essere 'am'-ness (l'essenza di'Io sono')ulla {T} per essere, che è, che è, essendo (come aggettivo),esistente, reale, vero, reale (infinito, participio relativa e la formaaggettivo di UL)ulla {T} per pensare (infinito di uḷḷu, pensare, cogitare, meditare)uḷḷa-poruḷ {T} sostanza che è, vera sostanza, essendo essenza, larealtà esistenteuḷḷa-v-uṇarvu {T} coscienza che è, la coscienza esistente,essendo consapevolezza, coscienza realeuḷḷadē (uḷḷadu-ē) {T} solo essereuḷḷadu {T} essere (sostantivo verbale formato da uḷ, essere), ciòche è (uḷḷa-adu), quello che [davvero] esisteUḷḷadu Nāṟpadu {T} 'Forty [Versetti] sul Being', 'Quaranta[Versi] su ciò che è'Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham {T} 'appendice dell'UḷḷaduNāṟpadu'uḷḷal {T} pensiero, il pensiero, la meditazione (sostantivo verbaleformato da ullu)uḷḷam {T} mente, cuore, anima spirituale (anche una forma

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Glossario

poetica di uḷḷōm, il che significa '[noi] siamo', e che è quindi unmodo inclusivo di esprimere la nostra singolare la coscienza diessere, '[Io] sono')uḷḷattē (uḷḷattu-e) {T} nel cuore, solo nel cuore, nel cuore stessouḷḷavaṉ (uḷḷa-avaṉ) {T} colui che è, colui che esiste, che hauḷḷu {T} pensare, ricordare, cogitare, meditare, indagareūṇ {T} ciò che si mangia, il ciboūṇ {T} carne, carne, corpoūṇ ādal kāṇ {T} 'divenire cibo [è] vedere'ūṉ ār karu ahandai {Ts} ego, [che è] l'embrione - legato al corpouṇar {T} essere consapevole di, sapere, esperienza, sentire,capire, studiare, scrutare, pensareuṇara {T} per sapere (infinito di uṇar, conoscere, essere coscientedi)uṇara niṉḏṟa poruḷ {T} 'la realtà che sta [esiste, resiste econtinua] per sapere', 'la realtà che esiste e sa'uṇarndu {T} sapere, avendo conosciuto (participio verbale senzatempi di uṇar)uṇarvu {T} consapevolezza, conoscenza, chiaro discernimento,percezione, sensazione, senso, risvegliando (nome formato daUNAR, sanno, essere consapevoli di)undiyār (un particolare stile poetico) {T} - vedi UpadesaUndiyāruṇmai (uḷ-mai) {T} 'being-ness' (l'essenza di essere), l'esistenza,essendo la natura, l'essenza, la realtà, la veritàupadēśa {S} punta verso, indicando, istruire, precisando,istruzione, insegnamentoUpadesa Nūṉmālai {T} 'Ghirlanda di testi didattici' - vedi ŚrīRamaṉōpadēśa NūṉmālaiUpadesa Saram {S} 'Essenza di istruzioni', 'Essenza degliinsegnamenti'Upadesa Taṉippākkaḷ {Ts} 'Versi Solitari d'istruzione'Upadesa Undiyār {Ts} 'Insegnamenti [stile poetico chiamato]Undiyār'

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upādhā (o upadhā) {S} luogo al momento, sovrapporre,prendere, cogliereupādhi {S} aggiunta, sovrapposizione, travestimento, sostituto,ciò che viene messo in atto da qualcos'altro, ciò che èconfuso(sbagliato) essere qualcosa d'altroupādhi-uṇarvu {Ts} coscienza-aggiunta, conoscenza-aggiunta,sensazione-aggiuntaupalabdhi {S} acquisizione, la realizzazione, la percezione, laconoscenzaupaniṣad {S} uno qualsiasi di un gruppo di testi filosofici deiVeda (vedi anche Indice dei testi)upāsana {S} attesa su, che serve, la partecipazione, la riverenza,adorazione, culto, la meditazione, la contemplazione, essendointento aupāya {S} avvicinarsi, approccio, modo, significa che da che unobiettivo è stato raggiunto o raggiuntoupēya {S} scopo, obiettivo, quello che deve essere avvicinato,raggiunto o raggiuntoupēyamum tāṉē upāyamum tāṉē {T} 'lo scopo è soltanto di sé,e il mezzo è solo sé'urai {T} parlando, dicendo, spiegazione, interpretazione,esposizione, commenti - vedi viḷakkavuraiuraṉ {T} forza mentaleuru {T} formauruvil (uru-v-il) {T} in forma (forma locativa di uru), senzaforma (forma privativo di uru)uruppaḍuvāṉ (uru-p-paḍuvāṉ) {T} [egli] si formerà, riformatousā {T} indagine sottile, attento esame, appassionato controllousāvāl (usā-v-āl) {T} dall'indagine sottile (forma strumentale diusā)usāvu (o usavu) {T} ponderare, considerare, indagare acutamenteuy {T} vivere, sussistere, rivivere, fuga, essere salvato - vediuyyāduuyarvu {T} altezza, altitudine, elevatezza, eminenza, la

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Glossario

grandezza (anche usato come aggettivo a significare 'elevato','eminente', 'superiore')uyir {T} vita, anima, essere viventeuyyādu {T} non vive, non fuggire, non facendo rivivere, senzafar rivivere (participio verbale negativo di uy)

Vvācaka {S} parlando, raccontando, dicendo parola - vedi GuruVācaka Kovaivācya {S} parlato, ha detto, ha raccontato, ha espresso - vedivācyārthavācyārtha (vācya-artha) {S} significato detto, significatoespresso, significato letteralevai {T} messo, luogo, posto, mantenere, tenere, fissare - vederevaittuvairāgya {S} distacco, libertà dal desiderio, di desideri, diindifferenza (da viraga, senza passione, desiderio, simpatia,interesse)vaittu {T} sistemazione, tenendo, presa a terra, che fissa(participio verbale di vai)vaittiruppadu (vaittu-iruppadu) {T} mantenendo fisso, essendotenuta, essendo avendo mantenuto (sostantivo verbale formato davaittiru, un verbo composto in cui IRU [essere] serve comeausiliario vaittu [tenuta])vāk {S} parolavaṙi (spesso traslitterato come vaḻi e trascritto vagamente comevazhi) {T} percorso, strada, mezzivāsanā {S} disposizione, propensione, tendenza, inclinazione,impulso, il desiderio (derivato da vāsa, che significa dimora orimanere, perché un vāsanā è una disposizione che rimane nellamente come conseguenza delle azioni o esperienze precedenti)vastu {S} sostanza, l'essenza, la realtàvastu-upalabdhi {S} conoscenza diretta della realtà o vera

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essenzavastu-vicāra {S} controllo della nostra realtà essenzialevattu {TS} (vastu {S}) sostanzavattuvām (vattu-v-ām) {T}, che è la sostanzavēda {S} conoscenze (derivato da vid, sapere), il 'Veda' (tutti ouno qualsiasi dei quattro gruppi di antichi testi scritturali, Ṛg-Vēda, Yajur-Vēda, Sāma-Vēda and Atharva-Vēdavēdānta (vēda-anta) {S} 'fine' o conclusione definitiva dei Veda(spirituale filosofia e scienza delineati nelle Upanisad, Brahma-Sutra e Bhagavad Gita, e chiarito da molti saggi, tra cui SriRamana)vēdāntic {aggettivo inglese formato da Vedanta}veṇbā {T} un metro poetico a quattro linee Tamil(vedi anchekaliveṇbā; kural veṇbā)vēṇḍum {T} [it] è voluto, desiderato, necessario, indispensabile(spesso utilizzato con un infinito come un ausiliario ottativo nelsenso che si dovrebbe o deve fare un certa azione o di essere in uncerto stato)venum {T} [it] è necessario, necessario, indispensabile (comeVendum)vēṇumē {T} [it] è certamente necessariavicario {S} indagare, esaminare, controllare, verificarevicāra {S} indagine, esame, esamevicāri {TS} (vicar{S}) investigare, esaminare, controllare,ispezionare, esplorarevicārikka {TS} indagarevicārikka vēṇḍum {TS} [egli] è necessario per indagare, [un]dovrebbe indagareviḍāppiḍiyāy (viḍā-p-piḍi-y-āy) {T} fermezza, tenacia,incessantemente (letteralmente, afferrarsi tenacemente)viḍāppiḍiyāy-p piḍikka vēṇḍum {T} [egli] è necessarioaggrapparsi tenacemente, [un] dovrebbe aggrapparsi tenacementeviddai {TS} (Vidya {S}) la conoscenza, la scienzavidyā {S} la conoscenza, la filosofia, la scienza, l'arte pratica,

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Glossario

l'apprendimentovijnànamaya kosa {S} 'guaina' composto di conoscenzadiscriminativaviksepa {S} buttare fuori, proiezione [di pensieri checostituiscono l'aspetto mondo], gettando in merito, diffusione,dispersione, dissipazione, distrazione, confusione, agitazioneviksepa Śakti {S} potere di proiezione, dispersione, dissipazioneviḷakkam {T} luce, lampada, chiarezza, delucidazione,spiegazioneviḷakkavurai (viḷakka-v-Urai) {T} spiegazione, interpretazione,esposizione, commenti - vedi Śrī Ramaṉōpadēśa Nūṉmālai -Viḷakkavuraiviṉavu {T} questione, indagare, investigare, esaminare, scrutare,ascoltare, prestare attenzione a, tenere a mente, ascoltareviṉavum {T}, che scruta, che sta esaminando (participio relativodi viṉavu)viṇmai (vin-mai) {T} essenza del cielo (illusorio come l'azzurrodel cielo)Vinai {T} azione (karma),viṉai-mudal {T} 'colui che fa' (letteralmente, l'origine o la causa)dell'azione, soggetto (come il creatore di ogni azione)visesa {S} distinzione, differenza, particolarità, specialità,particolare qualità, l'eccellenzavisaya {S} misura, la gamma, la regione, dominio, sfera, sfera diattività, [mondana] affare, senso 'regione', percezione sensoriale,senso oggetto, senso di piacere, oggetto del desiderioviṣaya-vāsanā {S} desiderio che spinge a partecipare a rilevare lepercezioni e agli affari mondani, e di cercare il piacere in questecosevisistàdvaita (viśiṣṭa-advaita) {S} non-dualità differenziale, non-dualità qualificata (una filosofia antica che è distinta dalla non-dualità assoluta dell'advaita, perché sostiene che le differenze sonosolo false apparenze reali e non)vittu {T} seme

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vittu-p-pōṉḏṟa {T}, 'che assomiglia a un seme', sementi similevivēka {S} discriminazione, il discernimento, il potere didistinguere il vero dal irrealeVivēkacūḍāmaṇi (vivēka-cūḍā-maṇi) {S} 'Gioiello delladiscriminazione'vyavahara {S} facendo, attività, comportamenti, faccenda,occupazione, transazione, affari, commerce, dispute, controversie,la materia banalevyāvahārika {S} transazionale, legato agli affari mondani, banalerelativa (forma aggettivale di vyavahara)Vyavaharika satya {S} realtà transazionale, realtà mondana,realtà relativa

Yyā {S} colei che (forma femminile di ya o yad, che, quale o quali)yā mā {S} colei che non è, ciò che non è, ciò che non è (vediMāyā)yār {T} che (pronome personale interrogativo)artha {S} scopo, lo scopo, il significato, la sostanza, la ricchezza,proprietà, oggetto, cosayathārtha (yathà-artha) {S} secondo il significato, genuino,vero, vero, veroyathārtha svarùpa {S} sé realeyatna {S} sforzo, sforzo, energia, zelo, impegno, sforzandosiyōga {S} aggiogare, unire, congiungere, unione, mezzi [perraggiungere l'unione]yōga-mārga {S} percorso di unioneyōgi {S} uno che cerca l'unione, quello che ha raggiunto l'unioneyogica {aggettivo inglese formato da yoga} pertinenza yōga

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Dizionario Italianodi alcuni termini usati nel testo

- limitatamente ai significati che interessano questo testo -Advaita-Vedanta-Ramana

Abbandono = (al Sé) (del sé) vedi resaAbitare = /risiedere/permanere (nel Sé) attenersi; obbedire;restare con; restare in; rispettare. Vivere nel Sé senza la presenzadella mente e senza percezione degli oggettiAggiunto/Allegato = aggiunta/o; aggregato; complemento;accessorio; appendice. Elementi illusori o immaginari (duali)aggiunti dalla mente alla realtà di base che la oscurano enascondono. Il serpente (illusorio) è un aggiunto o allegato allacorda che è la realtà. Le percezioni dei sensi (il mondo) e leimmagini o costruzioni mentali sono allegati o aggiunti sullarealtà (il Sé). L'azzurro del cielo è un'aggiunta al vero cielo che diper sé non ha coloreAllegato = vedi aggiuntoArrendersi abbandonarsi = vedi resa = cedere; resa; lasciarsitrasportare; farsi trasportare; rinunciare; concedere; consegnare;soccombere; abbandonarsi; capitolare; dedizione.Attenzione = dare ( prestare) attenzione; occuparsi; assistere;attendere; curare; focalizzare; badare; concentrarsi su.Sostanzialmente: focalizzare l'attenzione; dare attenzione;concentrarsi su. La facoltà della mente di occuparsi di una cosa. Inparticolare dare attenzione al nostro vero essere, al nostro SéAuto-splendente = 'che conosce sé' o è 'cosciente di sé', cioè, checonosce se stesso per mezzo della propria luce di consapevolezza.Brillare - splendere = riferiti al Sé all'Atman a Siva all'Assolutoecc… Usate metaforicamente indicano (in modo inadeguato) lostato di manifestarsi come essere-coscienza-beatitudine. Possonoanche essere riferite a concetti duali e non assoluti per indicare la

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condizione di 'manifestarsi o di essere percepiti o di attivarsi' inambito empirico o limitato come oggetti, energie, attività. Auto-brillante = brillante da se stesso = cosciente di se stesso.Dimenticanza = (riferita al Sé) non ricordare il Sé; non esserecoscienti del Sé; oblio.Dio = Nel testo questa parola viene usata con due significati chebisogna desumere dal contesto:1) Dio come sinonimo di Atman o Brahman o l'Assoluto-Eterno-Infinito Sé2) Dio come concepito dalla mente [che crea, sostiene e distruggel'immagine del mondo (l'universo) e l'immagine delle anime (icorpi)]. Questo secondo Dio è un concetto della mente e quindiun'immagine irreale e destinata a scomparire al pari dell'anima edel mondo.Esterno = vedi internoInchiesta = investigazione accurataIndagine/indagare = investigazione; analisi accurata. Attivitàdiligente e sistematica di ricerca, volta alla scoperta della veritàintorno a fatti determinati, pratici o intellettualiInganno (della mente) = errore; inesattezza; peccare; sbagliare;sbaglio; scambiare; illudersi; fraintendere; travisare. La mente chefa vedere il corpo, le cose ed i pensieri come cose reali esterne anoi nascondendo il nostro vero SéInterno-Esterno = dentro - fuori: non esiste realmente un internoed esterno o un dentro e fuori se ci si riferisce al Sé o all'Essere:non esiste un concetto di spazialità o di posizione nel Sé. Nonesiste lo spazio e nemmeno il tempo nel Sé. In linea di massima'interno o dentro' si usa per indicare il Sé o ciò che si riferisce alSé ed 'esterno o fuori' ciò che si riferisce agli oggetti, a ciò chesembra estraneo alla mente, alle 2° e 3° persone. Il 'Cuore(spirituale) è dentro il petto' non indica una posizione ma solo unriferimento esistenziale del nostro Sé o centro.Investigazione/investigare = indagine inchiesta (indaginediligente e giudiziosa) ricerca attenta, accurata e minuta della

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verità sia nell'ordine intellettuale sia riguardo a cose praticheIo = Nel testo è usato (come la parola Dio) con due significati chedevono essere identificati dal contesto:1) Io sinonimo di Atman - Brahman o il Sé Assoluto-Eterno-Infinito2) Io o Jiva o anima individuale, relativo opposto ai molti. È unconcetto della mente e quindi un'immagine irreale e destinata ascomparire al pari del Dio della mente e del mondo.Io-Io = Vedi sphurana (la pura mente sattvica che brillaaggrappata al Sé)Oggettivo = che ha le qualità dell'oggetto; percepito dai sensi odalla mente; che sembra altro o esterno a noi stessiOggetto = Le cose illusorie viste o percepite o create dalla mentecome esterne a se stessa nel campo della dualità. Dal punto divista della mente (o Io prima persona) sono oggetti solo leseconde e terze persone Dal punto di vista del Sé sono oggetti leprime-seconde e terze persone.Pensiero (secondo Ramana) = ogni tipo di percezione oesperienza mentale, concetti, idee, fantasie, credenze, sentimenti,emozioni, desideri, paure e qualsiasi altra cosa che sperimentiamocome altro o diverso dal nostro Sé o 'Io sono'. Il prodottodell'attività psichica per cui l'uomo acquista coscienza di sé e delmondo in cui vive.Pensiero prima persona (secondo Ramana) = è solo il pensieroIo (o ego) (o 'io sono questo corpo') (soggetto separato e duale) lacui apparizione crea e sperimenta le seconde e terze persone.Investigando sul pensiero Io (dandogli attenzione) questoscompare e si rivela il Sé o 'Io sono' non duale (il nostro statonaturale), di conseguenza scompaiono anche le seconde e terzepersone (pensieri e mondo). La prima persona è cosciente e puòesistere solo se crea delle seconde o terze persone. Solo se siguarda con attenzione questo falso 'io' (o ego) (che è una miscelaconfusa della vera coscienza 'Io', con una collezione di aggiuntenon coscienti, tra cui un corpo fisico, un corpo sottile e tutto ciò

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ad essi associato), saremo in grado di provare il nostro vero 'IO'(che è pura coscienza di essere, non contaminato da eventualiaggiunte o Sé). Tutto il resto (tutte le seconde e terze persone)sembra esistere solo perché l'ego (la prima persona) sembraesistere, così l'ego è il seme, embrione, radice e la causa dellafalsa apparenza di tutto il resto. Prima della rivelazione del Sécompare (una volta eliminata ogni sovrapposizione) lo sphurana'Io-Io' che è un elemento intermedio tra il duale ed il Sé: la puramente sattvica che brilla aggrappata al Sé.Pensieri seconda persona (secondo Ramana) = apparentementeinterni alla nostra mente: mentali o soggettivi (per la mente).Indica gli oggetti direttamente percepiti di fronte a noi (dallamente) attraverso i cinque sensi.Pensieri terza persona (secondo Ramana) = apparentementeesterni alla nostra mente: oggetti fisici, oggettivi (per la mente)percepiti tramite i sensi. In genere seconde e terze persone sonoconsiderate insieme come elementi alieni al Sé. Le seconde e terzepersone possono esistere solo se diamo attenzione a loro (tramitela prima persona) perché non sono coscienti. Indica gli oggetti chenon sono ora percepiti di fronte a noi (ma esterni a noi) e che sonopensieri della mente.Persona = (prima, seconda e terza) vedi pensieriPiedi del Signore (di Dio) = modo ossequioso ed umile di riferirsial Sé all'Atman a Brahman. Il jiva s'inchina e si piega sotto i piedidi Dio perdendo la propria individualità e fondendosi con Dio.Placare = vedi subsidere (della mente)Prima persona = vedi pensieri prima personaResa/abbandono = al Sé resa a Dio nel senso di affidarsi edabbandonarsi al Sé/Dio che agisce per noi e come noi. È possibilecompletamente solo dopo aver realizzato il Sé, aver distrutto l'ego,silenziata la mente e non avendo più desideri.Resa/abbandono del sé = abbandono o resa del sé o ego al Sécioè all'AtmanSé / sé / se stesso = Può avere due significati che devono essere

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desunti dal contesto:1) l'essere assoluto, eterno, unico, auto-splendente, onnipotente,l'Atman, Dio;2) il sé creato dalla mente finito e limitato, l'individualità, l'ego. InTamil non esistono le lettere maiuscole e pertanto l'autore hapreferito scrivere 'se' preferibilmente sempre in minuscolo.Seconda persona = vedi pensieri seconda persona.Schiavitù /legame = limitato o confinato nel corpo quando lamente si identifica col corpo o limitato dalle immagini duali ooggettive non essendo coscienti del sé.Sogno = è lo stato del dormire in cui noi facciamo sogni o 'sonnocon sogni'. Non sempre i sogni si ricordano per cui si può aversognato ma non ricordare nulla allo svegliarsi . Si ritiene sia lostato in cui la coscienza è attiva su piani sottili e non si è coscientidel piano materialeSonno (profondo) = è lo stato del dormire in cui noi nonconosciamo le altre cose, nemmeno il corpo, ma in cui il Sé èsempre presente. È lo stato in cui la mente non è attiva. È unostato di beatitudine. È il dormire senza sogni. È ritenuto lo stato incui si ricaricano le energie del pensiero. È lo statodell'Anandamaya kosha sede del Jiva nel sonno.Spazio = come in 'Spazio della Grazia', 'Spazio della Coscienza','Spazio di Felicità', ecc... Sri Bhagavan lo usa per denotare l'ideadella vastità che tutto pervade, l'abbondanza, e la finezza, chesono tutte qualità del Sé.Sorgere (della mente) = manifestarsi, verificarsi, spuntare,alzarsi, levarsi, uscire, salire nascere, avere origine, scaturire,derivare, ergersi, innalzarsi, salire, aumentare, alzarsi, crescere. Rise of mind = sorgere della mente. È usato (assieme ai varisinonimi = salire, nascere, innalzarsi, ecc…) perlopiù per indicare(l'apparente) manifestarsi e l'attivarsi della mente per conoscere ilmondo della dualità identificandosi con un corpo, scaturendo dalSé che è il suo substrato.Splendere/brillare = essere chiaramente sperimentato-percepito.

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Riferiti al Sé all'Atman a Siva all'Assoluto ecc... Usatemetaforicamente indicano (in modo inadeguato) lo stato dimanifestarsi come essere-coscienza-beatitudine. Possono ancheessere riferite a concetti duali e non assoluti per indicare lacondizione di 'manifestarsi o di essere percepiti o di attivarsi' inambito empirico o limitato come oggetti, energie, attività.Subsidere/subsidenza (della mente) = diminuzione dell'attività,placare, dissolvere, cessare, calare, scendere, diminuire, calmare,affondare, sprofondare, disattivare, scomparire, ritirarsi, sparire,essere assorbita, perire, tramontare, sparire, svanire, scemare(figurato). Stato di diminuzione e quindi cessazione dell'attività(mentale) e dissolvimento/assorbimento nel Sé, immobilità nel Sé(normalmente in italiano è usato solo in campo geologico perindicare una placca tettonica che s'immerge lentamente sottoun'altra placca)Terza persona = vedi 'pensieri terza persona'Veglia = è lo stato in cui, insieme con la conoscenza della propriaesistenza ['Io sono'], vi è anche la conoscenza di altre cose(oggetti), considerate esterne a noi, del piano grossolano omateriale o di pensieri o di sentimenti. È lo stato in cui la mente èattivaVolgersi = (della mente o dell'attenzione all'interno) Spostarel'attenzione (concentrarsi) verso l'interno di noi stessi, verso lacoscienza di essere l'Io sono, il Sé, non dando più attenzione aglioggetti esterni e ai pensieri che quindi scompaiono dalla vista edalla percezione.

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NOTE

1) Tutte le parole composte inglesi che cominciano con ilprefisso self… (che significa 'Sé' o 'se stesso', 'ego', 'io', 'auto',ecc…) ('self-consciousness', 'self-knowledge', 'self-surrender','self-investigation', 'self-forgetfulness') sono tradotte (dipreferenza) con 'xxxxxx del sé', 'xxxxxx al sé', 'xxxxx di sé', eccquando si riferiscono al 'sé' (o Sé) (coscienza del sé, conoscenzadi sé, resa al sé, investigazione del sé, oblio del sé, ecc…) ed inalternativa e con lo stesso identico significato con la modalità'auto-xxxxxx' soprattutto per le parole più ricorrenti (auto-investigazione, auto-resa, auto-indagine, auto-dimenticanza).Sono tradotte solo con il prefisso 'auto' o in altro modo quandosignificano un'azione automatica o qualcosa di insito o implicito(che non sia il sé) (per es. self-evident = auto-evidente(assiomatico), self-defense = autodifesa, self-portrait =autoritratto...)

2) Le 'am-ness', 'is-ness', 'being-ness', 'mine-ness' dell'originaleinglese, non avendo (quasi mai) in italiano una traduzionecorrispondente sono tradotte con una perifrasi (lo stato di 'io sono'ecc...). Per chiarezza si è preferito, a volte, riportare a fiancol'originale inglese 'am-ness', 'it-ness', 'being-ness', ecc..

FINE

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