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-.j,- [ ... J magna deum mater materque [erarurri et nostri genetrix haee dieta est corporis una. Nel Il libro (vv. 598-599) Lucreiio ricorda che così è stata definita la terra ed evoca il mito e il culto della Grande madre Cibele; ma infine conclude (vv. 652-654): Terra quideni vero earet omni tempo re sensu et quia multarum 'potiturprimordia rerum multa modis multis effert in lumina solis. In realtà la terra è sempre priva di una vera sensibilità; .poiché possiede gli elementi primi di molti corpi, in mille modi molti ne produce alla luce del sole. Dunque !a terrà nonè unadivinità, ma, come ogni cosa al mondo, un aggre0a~0 di atomi di vario genere. . ... Nel V libro Lucrezio sviluppa in modo più chiaro e ampio il suo discorso sufia tèr~a, ribadendo che a ragione può essere definita madre perché ha dato origine a vegetali ed esseri viventi nei tempi pri- mordiali, in una sorta di parto spontaneo. Come ogni cosa esistente, la terra ha avuto una nascita e uno sviluppo (vv. 780 e segg.); come un corpo femminile, ha avuto un'età assai feconda, poi, invec- chiando, si è isterilita ed è destinata a perire (di questo l.ucrezio ha già trattato alla fine del Il libro, vv. 1150 e segg./B3). Ogni qualvolta parla della terra, il poeta per lo più ne riconosce gli attributi materni perché, nonostante il suo invecchiare e isterilirsi, è essa che continua a nutrire gli esseri vi- venti. Nel brano che ora proporremo, il discorso lucreziano muta notevolmente tono: la terra - che viene praticamente a identificarsi con la natura - appare del tutto ostile all'uomo. Questo passo, tra i più celebri e i più discussi del poema, a certi studiosi sembra dimostrare l'estre- mo pessimismo di Lucrezio e quindi le profonde contraddizioni del suo pensiero, che pure si pro- fessa epicureo. Altri studiosi vi sentono soltanto l'eco di certi scritti di Epicuro (cfr. fr. 370 Us.) forte- mente polemici nei confronti del provvidenzialismo platonico.

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Page 1: -.j,- [ J - Scrivi che ti passa...... · 2010. 9. 28. · tonici e Stoici), ~mmettevano che.gran parte della terra sia sottratta alla vita umana. Ad esempio, nel Somnium Scipionis

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[ ... J magna deum mater materque [erarurriet nostri genetrix haee dieta est corporis una.

Nel Il libro (vv. 598-599) Lucreiio ricorda che così è stata definita la terra edevoca il mito e il culto della Grande madre Cibele; ma infine conclude(vv. 652-654):

Terra quideni vero earet omni tempo re sensuet quia multarum 'potiturprimordia rerummulta modis multis effert in lumina solis.

In realtà la terra è sempre priva di una vera sensibilità;.poiché possiede gli elementi primi di molti corpi,in mille modi molti ne produce alla luce del sole.

Dunque !a terrà nonè unadivinità, ma, come ogni cosa al mondo, un aggre0a~0 di atomi di variogenere. . ...Nel V libro Lucrezio sviluppa in modo più chiaro e ampio il suo discorso sufia tèr~a, ribadendo che aragione può essere definita madre perché ha dato origine a vegetali ed esseri viventi nei tempi pri-mordiali, in una sorta di parto spontaneo. Come ogni cosa esistente, la terra ha avuto una nascita euno sviluppo (vv. 780 e segg.); come un corpo femminile, ha avuto un'età assai feconda, poi, invec-chiando, si è isterilita ed è destinata a perire (di questo l.ucrezio ha già trattato alla fine del Il libro,vv. 1150 e segg./B3). Ogni qualvolta parla della terra, il poeta per lo più ne riconosce gli attributimaterni perché, nonostante il suo invecchiare e isterilirsi, è essa che continua a nutrire gli esseri vi-venti.Nel brano che ora proporremo, il discorso lucreziano muta notevolmente tono: la terra - che vienepraticamente a identificarsi con la natura - appare del tutto ostile all'uomo.Questo passo, tra i più celebri e i più discussi del poema, a certi studiosi sembra dimostrare l'estre-mo pessimismo di Lucrezio e quindi le profonde contraddizioni del suo pensiero, che pure si pro-fessa epicureo. Altri studiosi vi sentono soltanto l'eco di certi scritti di Epicuro (cfr. fr. 370 Us.) forte-mente polemici nei confronti del provvidenzialismo platonico.

Page 2: -.j,- [ J - Scrivi che ti passa...... · 2010. 9. 28. · tonici e Stoici), ~mmettevano che.gran parte della terra sia sottratta alla vita umana. Ad esempio, nel Somnium Scipionis

È anzitutto indispensabile considerare il contesto in cui si inserisce questa cupa visione della vitaumana.Affrontando l'argomento della mortalità del mondo, nella prima sezione del V libro, Lucrezio a par-tiredai v. 146 confuta la credenza che gli dei abbiano parte nella creazione e gestione del mondo, inparticolare che abbiano destinato agli uomini praeclaram mundi naturam (v. 157). Nell'ambito diquesta confutazione si inserisce il discorso sulla cu/pa che in così grande misura inficiala natura.È difficile cogliere con esattezza il valore della dura sentenza del v.199: tanta stat praedita culpa(natura). Si tratta di difetti, carenze? o di atteggiamenti colpevoli nei confronti degli uomini? Tenen-do conto della polemica in corso contro chi vede nelle ·cose umane l'intervento divino provviden-ziale, e considerando anche i versi conclusivi del brano (233-234), dove la natura e la terra sono viste- come di consueto in Lucrezio - provvide e generose nel soddisfare le esigenze di tutti, ci sembrache la culpa imputata alla natura e la visione angosciosa delle difficoltà esistenziali che si prospet-tane alluorno sindalla nascita siano proposte dal discorso. lucreziano in un'ottica "di parte", non"oggettiva": l.ucrezio non parla qui col distacco obiettivo del sequace di Epicuro che ha coscienzadei limiti umani (al v. 221 protesta persino per la mors inmatura), ma, sulia scorta della s~mplice OS'e ,

servazione dei fenomeni naturali (vv. 196-197), a çhi esalta la benevolenza della natura sciorina le mil-le contrarietà dell'ambiente in cui vive l'uomo, il quale, indifeso e nudo a differenza degli animali chelo circondano, si serite quindi vittima di una culpa, di una persecuzione. La rappresentazione dram-matica della situazione umana non è certamente insolita né contraddittoria nel poeta, che nei mo-menti di maggior tensione dialettica predilige i toni cupi e predicatori, sia che egli voglia far breccianel suo ascoltatore, sia che egli partecipi 'erriotivamente a-quanto va dipingendo. .

195 E anche se ignorassi quali sono i principi delle cose, oserei - sul semplice studio deifenomeni celesti, e su molti altri fatti ancora - sostenere e dimostrare che la naturanon è stata creata per noi da una volontà divina: tanto si presenta intaccata da di-

200 fetti. Prima di tutto, le montagne e le foreste piene di belve hanno conquistato unaenorme parte di questa terra coperta dall'immenso slancio del cielo;un'altra parte è

.occupata da rocce e da vaste paludi deserte; un'altra dal mare le cui .larghe distese205 separanole rive dei continenti-Quasi due terzi del suolovengono sottratti ai mortali

o da un calore torrido o dalla caduta 'incessante di neve!". Quel che resta di terracoltivabile, la natura, lasciata a se stessa, lo farebbe sparire sotto i rovi, se lo sforzodell'uomo non glielo disputasse, se il bisogno di vivere non lo avesse abituato a ge-

210 . mere sotto la pesante zappa, a fendere il suolo premendo sull'aratro. Se non rivol- .tassimo col vomere le glebe feconde, se non preparassimo il suolo per farli dischiu-dere, i germi non potrebbero sbocciare da soli e comparire all'aria luminosa. Ancora

215 troppo spesso.questi frutti guadagnati con tante pene, li vediamo, quando tutto so-pra la terra si copre di foglie e di fiori, o bruciati dall'ardore eccessivo del sole-etereo,o distrutti da piogge improvvise o dai bianchi ghiacci, o trascinati dai venti 2~ésof-fiano in turbini distruttori. Le specie temibili degli animali feroci - nemici accaniti

220 del genere umano - perché mai la natura si compiace di nutrirli e moltiplicarli in'terra e in mare? Perché le stagioni dell'anno ci portano le malattie? Perché si vedevagare qua e là la morte prematura? E il bimbo?: simile al marinaio che-i flutti fu-riosi hanno rigettato sulla riva, giac.e, t~tto nudo, per terra, incapace di parlare,

225 sprovvisto di tutto ciò che aiuta a vivere, dall'ora in cui, gettandolo sulle rive bagna-te dalla luce, la natura lo strappa con sforzo dall'utero materno: riem ie l'aria convagiti lamentosi, come è giusto per colui al quale la vita riserva ancora tanti mali ,da sopportate. Al contrario, si vedono crescere senza pena gli animali domestici,

230 grandi e piccoli, e le bestie selvagge: non hanno bisogno né di sonagli né delle parole

(I) Anche gli avversari contro cui muove la polemica di Epicuro e del suo discepolo, sostenitori del provvidenzialisrno (Pla-tonici e Stoici), ~mmettevano che. gran parte della terra sia sottratta alla vita umana. Ad esempio, nel Somnium Scipionis diCicerone (cfr. pago 485 e seqq.), si parla delle calotte polari e della fascia torrida, che per l'eccesso di freddo e di caldo50'10 proibitive per la vita umana. Ricorda però che per gli Epicurei la terra non è sferica, ma forse simile a un disco.

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carezzevoli che sussurra la vocedi una tenera nutrice: non sono in cerca di abiti checambiano con le epoche dell'anno; non hanno bisogno né di armi né di alte mura-perdifendere i propri beni: per venire incontro a tutti i loro bisogni, la terra e la inge-gnosa natura generano spontaneamente ogni specie di risorse abbondanti (2).

I)21 L'ultimo versorestituiscegenerositàallanaturacheè provvidaper tutti gli esserianimati,trannel'uomo, il quale- pardi capire=, scioccamen(~illusoche il mondo siastatocreatoper lui, in realtàsi è reso la creaturapiù inadattaa esso,per la sua incapacitàdi limitarsiai bisogni essenzialiche la naturasoddisfacevae per l'insaziabilitàdi agi e possessisempre nuovi. AI v. 1425 l.ucrezio sentenzieràche di questasituazione,a suo parere, magis in nobis cu/paresedit: eif culpa sembravolutarnenterichiamarela culpa naturae del nostro passo... ." .. '

(~.-

LESSiCO .

Il termine culpaE.Andreoni, nell'esaminare questo passo, concorda con l'interpretazioneche il Paratore!" dà del termine culpa, rifacendosi al lessico giuridico eaccostando la culpa all'Ò:"f.xvL(XrpuO"f.Wç[atechnìa phiiseos] di Epicuro.La studiosa sottolinea « questa "noncuranza, indifferenza" della naturache è proprio del significato di culpa tratto dal linguaggio del lessico giu-ridico e indicante una responsabilità non colpevole per dolus, cioè percolpevolezza volontaria, ma per :'negligenza nell'aqire" ». LAndreoni

Iconclude:' « si rende ben così ragione della polemica che nell'intero passo Lucrezio sostiene controogni fìnalìsrno provvidenziale e ben sì spiega [il termine cu/pa] come una traduzione e interpretazione

.,;, ""1a romano -.cioè da parte di chi nella formazione culturale non poteva igl"lorare almeno le cognizionielementari del diritto - dell'astrattò concetto o~1termine greco Ò:"f.XVL(X»(E.ANDREONI,La genesi dell.asocietà civile, in Studi di poesia latina in onore di Antonio Traglia, Roma Wì9, pagg. 292-93) ;\

l1l E. PARATO RE - E. PIZZANI, LucretiDe RerumNatura,Roma1960, pagg. 382 e 399.

PERCORSIINTERTESTUALI'

'Lucrezio e Leopardi

-, Nell'introduzion~ a « IItriorifodiEpicuro» (-+ A2, vv. 68-79) abbiamocitato i vv. 111-117 de La ginestra di Leopardi. Spesso i lettori del poe-

11 ta recanatese nort resistono alla tentazione di accostare il suo materia-lismo e il suo pessimismo a quelli del latino Lucrezio ..

Così, di fronte a De r. n. V, 195-234 sorge spontaneo il confronto con vari passi leopardiani, inparticolare dei Dia/ago dei!a Natura e di un Is/andese e del Carita notturno di un pastore er-rante dell'A~ia. Non potendo in questa sede ripercorrere le varie fasi del pessimismo leopardia-no attraverso le sue opere, ne accenneremo sinteticamente soffermandoci soltanto: su 'alcunicomponimenti, tra i più significativi della sua maturità. o '. -'. ••.. ,

Leopardi, superato il momento dell'esaltazione - di contro alla Ragione - della Natura qualemadre benevola,ispiratrice di grandi ideali, di generose illusioni che dissimulavano i limiti del-l'esistenza, giunge, attraverso varie fasi di meditazione, alla concezione opposta della Naturamatrigna, che nega all'uomo ogni possibile felicità, coinvolgendolo nel suo moto implacabilee incomprensibile di trasformazione della materia. La Ragione, rifiutando poco per volta le"consolazicni'vdei miti e della religione e rivelando la nullità di ogni cosa, conduce il poeta ver-so una lucida e disincantata disperazione. È questo il pe'tiodo più "Iucreziano" di Leopardi,quello della più recisa negazione dell'antropocentrisrno e del finalismo, e anche della maggio-re "apoliticità". La persuasione dell'infelicità radicale di tutti gli esseri viventi fa apparire inutilee vano ogni sforzo volto a migliorare la sorte degli uomini.Stralciamo ora qualche passo dalle opere prima citate per accostarle al poema lucreziano.

NATURA Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone

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Lucrezio

[De r.n.,III, 964-969]

[De r.n.,V,222-227]

pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro, che alla felicitàdegli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo econ qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come,ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto,come credete voi, quelle tali cose, o non fa quelle tali azioni, per dilettarvio giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vo-stra specie, io non me ne avvedrei. [_..]

NATURA 1\1 mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo èun perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue trasé di maniera, che ciascheduna serve continuamente al1'altra, ed allaconservazione del mondo; il quale sempre che 'cessasse o 1'una o l'altradi loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe insuo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.

(Operette morali, «Dialogo della Natura e di un Islandese», passim)

Nasce l'uomoa fatica,ed è rischio di morte il nascimento.Prova pena e tormentoper prima cosa; e in sul principio stessola madre e il genitoreil prende a consolar dell'esser nato.Poi che crescendo viene,1'uno e 1'altro il sostiene, e via pur semprecon atti e con parolestudiasi fargli care,e consolarlo dell'umano stato:altro ufficio più gratonon si fa da parenti alla lor prole.Ma.perché dare al sole,perché reggere in vitachi poi di quella consolar convenga?Se la vita è sventura,perché da noi si dura?[...]Oh greggia mia che posi, oh te beata,che la miseria tua, credo, non sai!Quanta invidia ti porto!Non sol perché d'affannoquasi libera vai;ch'ogni stento, ogni danno,ogni estremo timor subito scordi;ma più perché giammai tedio non provi.(Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv. 39-56; 105-112)

.- ..

A tanti secoli di distanza, i due poeti figurano concordi nel denunciare la' mortalità del tutto,dovuta al «perpetuo circuito di produzione e distruzione», nell;irridere il tradiz~nale antropo-centrismo e il secolare «progresso» dell'umanità, nel rilevare la sostanziale infelicità del genere·umano di contro all'apparente serenità degli altri animali, nell'esaltare la ragione come unicostrumento dato/all'uomo per elevarsi.Ma i messaggi finali di Lucrezio e Leopardi si diversificano assai. Per Lucrezio la ragione conce-de all'umanità di riscattarsi dalla sua abiezione, giungendo a comprendere i meccanismi dellanatura e la propria limitatezza, ma al tempo stesso a rendersi conto della sua libera volontà e

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';,':della sua autonomia da qualsiasi giogo soprannaturale. Leopardi non s'afJPaga di constatare''l'indifferenza della Natura alle sorti dell'uomo, né di vedersi accomunato agli altri esseri dalla<mortalità: e certamente non si sente libero; la ragione è per lui motivo di grandezza, ma anchedi infelicit~~~perché spinge l'uomo - a differenza degli altri animali - a porsi domande cui non sadare risposta. Pure se privo di dolori e di desideri, l'uomo è, poi, afflitto dalla noia, male suo

'peculiare. Anche-il tedio leopardiano è altra cosa da quello lucreziano (~ C2, vv. 1053 e segg.):, in l.ucrezio prova tedio lo stolto, che, inquieto, cerca di occupare il tempo in vane attività, non

certamente colui che fa uso della ragione per riflettere sui fenomeni cosmici..Insornrna, per Leopardi l'uomo non ha scampo alla sua infelicità; un bar/ume di conforto vienesolo dal tardo messaggio rappresentato da La ginestra. In questa canzone, che è la più "lucre-ziana" fra tutte!", Leopardi propugna la morale laica della solidarietà fra gli uomini, necessaria acondùrre la battaglia nobile e disperata contro la Natura. Non a caso all'Epicuro del De rerumnatura rimanda la «nobil natura» di questa canzone (v. 111). Il sentimento che percorre tutta lapoesia (« Non so se il riso o la pietà prevale »: v. 201) nei confronti dell'umanità scioccamentesuperba è quello stesso che anima il De rerum natura, volto a disperdere le tenebre dell'igno-ranza e i timori puerili dell'uomo. Anche in Lucrezio si sente fremere la pietà verso il genereumano (ma quando questo accade sembra quasi che egli venga meno al suo credo epicureo).Certamente però il calore di fraternità e di solidarietà che sentiamo in Leopardi è altra cosa;Lu'crezio, fermo nel suo individualistico illuminismo epicureo, non ipotizza una «confederazio-~e ».in guerra contro la comune nemica, la natura «madre di parto e di voler matrigna» (La gi-h;stra, vv. '1:25 e segg.). Epicuro ha insegnato ail'uorno a conoscerela natura, ad accettar/a, asentirsene parte senza alcuna paura e senza alcuna ribellione. Tra il sapiente filosofo greco 'di-vinizzato e l'emblema dell'umile ginestra che saggiqmente non ha creduto «le frali sue stirpi»immortali, conscia della terrificante presenza del vulcano «sterminatore», c'è tutto il divario chesepara concezioni e poetiche dei due autori: dell'uno, che presume di scrivere in sublimi versiun trattato filosofico, in cui si chiarisca a fondo la natura delle cose, e dell'altro, che alla prosa-stica filosofia oppone prima la poesia d'immaginazione, propria degli antichi, poi la sua moder-na lirica, in cui il mistero della vita e della morte non trova risposta,lnsornrna, Leopardi si sarà in qualche misura ispirato a Lucrezio? In passato lo si dava quasi percerto; oggi si è assai più cauti'", Leopardi. dovrebbe aver letto il poeta latino almeno nella tra-duzione secentesca di Alessandro Marchetti'": Lucrezio è citato più volte nel giovanile Saggioiopr~ gli errori popolari degli antichi, poi sempre più raramente; e le citazioni sono piuttostogeneriche o di carattere lessicale (sulla scorta del dizionario del Forcellini).Sull'argomento troviamo una circostanziata relazione di M. SACCENTI(Leopardi e Lucrezi;, in Leo-

• pa~di e il mondo antico" «Atti del V Convegno internazionale di studi leopardiani », Firenze 1982,pagg. 119-48), a cui rimandiamo per la bibliografia e da cui riporuarno, percòncludere. «un'ipo-'tesi», come l'autore stesso la definisce, che ci pare suggestiva: «[ ...] O se lo scarso e dubbio lu-crezianismo leopardiano non riveli, piuttosto che conoscenza altamente difettosa dell'opera diLucrezio, un generale sentimento di estraneità, fors'anche divenuto di avversione, a una sistema-zione dell'universo che inserisce e tutela l'uomo nella natura, aprendo un porto di salvezza, innal-zando un nobile castello, allargando insomma - così come farà la cultura urnanistioa, la culturaprecopernicana e pregalileiana nelle sue gradazioni meno trionfalistiche -la sfera di "un'umanitàsuperiore e rasserenata" [quest'ultima citazione rimanda a B. BIRAL,Leopardi: la cultura e la so-cietà dei suoi tempi, in La posizione storica di G. Leopardi, Torino 19782, pagg. 2t:l8-209] »(41.

(11 W. Binni dichiarava che nel canto de La ginestra Leopardi dovette aver presente tutto il V libro del Dererum natura.(21 S. Timpanaro, ad esempio, pur dichiarando probabile la lettura diretta di Lucrezio da parte di Leopardi, si chie-de perché non ne resti traccia" in espliciti appunti o precise allusioni ».(31 A. Marchetti (1633-1714), che apparteneva alla scuola galileiana, fu scienziato e letterato; in particolare studiò edivulgò le teorie atomistiche di Pierre Gassendi (1592-1655).(41 In tempi recenti alcuni studiosi hanno cercato di precisare in quali anni Leopardi abbia letto il De rerum natura,Citiamo fra gli altri S. SCONOCCHIA,Ancora su Leopardi e Lucrezio, in A. FRATIINI,G. GALEAZZI,S. SCONOCCHIA,Leo-pardi e noi, La vertigine cosmica, Roma'1990, pagg. 87-147; S. TIMPANARO,Epicuro, Lucrezio e Leopardi, in "Criticastorica», 3, (1988), pagg. 359-402.