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2011

IpercompendioISTITUZIONIdi DIRITTOROMANO

...la partenza giusta per superare l’esamein maniera più rapida e brillante

II Edizione

EDIZIONI GIURIDICHEEIMONS ®

Gruppo Editoriale Esselibri - Simone

I fondamentidella disciplinacomune a tuttii programmi

Glossariodei principaliargomenti

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in Italia

Ip 9

Estratto della pubblicazione

Estratto distribuito da Biblet

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Da anni si diventa magistrati, notai, avvocati, segretari comunali, funzionari di entipubblici e privati anche grazie al supporto dei volumi Simone … perché il taglio, ladidattica, l’aggiornamento costante e la veste grafica sono particolarmente curatiper facilitare lo studio e l’apprendimento per superare esami e concorsi.Basta documentarsi per darci ragione…Le collane universitarie, di cui gli ipercompendi, costituiscono gli strumenti diultima generazione, presentano gli argomenti di studio fruendo di una originalesistematica che agevola lo studente, in quanto tiene conto delle reali esigenze di chideve superare gli esami.I numerosi consensi del mercato confermano i nostri meriti e ci auguriamo cheanche il lettore di questo ipercompendio possa trarre gli opportuni vantaggi …

In bocca al lupo!L’Editore.

Della stessa collana:

IP1 • Ipercompendio di diritto del lavoroIP2 • Ipercompendio di diritto pubblico e costituzionaleIP3 • Ipercompendio di diritto penaleIP4 • Ipercompendio di diritto amministrativoIP5 • Ipercompendio di diritto civileIP6 • Ipercompendio di diritto commercialeIP7 • Ipercompendio di diritto processuale penaleIP8 • Ipercompendio di diritto processuale civileIP9 • Ipercompendio di istituzioni di diritto romanoIP10 • Ipercompendio di economia politicaIP11 • Ipercompendio di diritto dell’Unione EuropeaIP12 • Ipercompendio di economia aziendale

Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:

512 • Istituzioni di Gaio e Giustiniano512/1 • Commento e traduzione alle istituzioni di Gaio21 • Istituzioni di Diritto Romano21/1 • Prepararsi per l’esame di Istituzioni di Diritto Romano21/2 • Compendio di Istituzioni di Diritto Romano21/3 • Schemi e Scheda di Istituzioni di Diritto Romano583 • Dizionario Giuridico Romano

Questo volume parte da un ragionato adattamentodel Manuale di Istituzioni di Diritto Romano

curato dal Prof. Federico del Giudice (docente universitario)

Finito di stampare nel mese di giugno 2011dalla «MultiMedia» - V.le Ferrovie dello Stato Zona Asi - Giugliano (NA)per conto della «Esselibri S.p.A.» - Via F. Russo, 33/D - 80123 (Napoli)

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Apriamo il manuale per prepararci all’esame di Istituzioni di Diritto Ro-mano.

Ci troviamo di fronte ad un testo particolarmente ostico per i numerosiintrecci tra le due lingue che rendono più difficoltoso e lento lo studio deiconcetti da capire, catalogare e ricordare.

Una volta affrontata la lettura del testo tradizionale, si impone una sceltasu quali argomenti occorre soffermarsi con maggiore concentrazione per su-perare al meglio l’esame che ci aspetta.

Come bisogna orientarsi?Quali argomenti prediligere?Quali approfondire con più attenzione?Solo il dopo-esame ci potrà confermare se abbiamo «centrato» i cardini

della materia ed abbiamo, così, risposto esaurientemente alle domande deldocente!

L’Ipercompendio ci agevola anche in questa difficile operazione.Oltre a compilare un prezioso elenco delle «domande» d’esame, che avre-

mo diligentemente raccolto seguendo una o più sessioni precedenti, con ilricorso agli ipercompendi, strumenti didattici di ultima generazione da af-fiancare allo studio, ci sarà possibile ripercorrere in forma sintetica e sistema-tica le linee espositive del programma.

Grazie all’uso del colore, del neretto, delle mappe concettuali che per-mettono di «navigare» nella materia e delle schede … tale originale sussidio ciconsente di orientarci, tenere vivi la curiosità di apprendere e lo spirito diosservazione e, soprattutto, di migliorare la memorizzazione.

Terminata la lettura del testo ufficiale, l’ipercompendio è utile per scandi-re tempi e modalità nella delicata fase del ripasso dove occorre concentrarsisugli argomenti più complessi, sulle domande più «gettonate», per risponde-re, in modo sintetico e completo al cospetto del docente.

L’ipercompendio presenta, in appendice, un utile glossario dei lemmipiù tecnici e, in definitiva, delle domande d’esame.

Si raccomanda, quindi, una scorsa finale al glossario per colmare le ultimelacune, ordinare il pensiero, perfezionare la preparazione …… e dormire piùtranquilli la notte …… prima degli esami.

L’ipercompendio ha, così, compiuto la sua missione.

Estratto della pubblicazione

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583 - Dizionario Giuridico RomanoV edizione - pp. 560 - € 20,00con introduzione di Antonio Guarino

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5I periodi del diritto romano 5

Introduzione

I periodi del diritto romano

1. CONCETTO E DISTINZIONI

A) Diritto romano e religione

Il «diritto romano» è il diritto di Roma antica e abbraccia oltre tredici seco-li della sua storia, dalla fondazione (754 o 753 a.C.) alla morte di Giustiniano(565 d.C.).

Nel periodo romano arcaico il diritto (lo ius), aveva un fondamento reli-gioso ed i principi giuridici si confondevano con quelli religiosi e morali.

L’obbligatorietà della norma giuridica era collegata alla sua provenienzadivina e la conoscenza e la interpretazione del diritto erano monopolio deipontefici.

In epoca storica il diritto fu separato dalla religione, per quanto taluni attigiuridici conservassero il loro carattere religioso (ad es. confarreatio, stipula-tio, giuramento).

Nella Roma dei primi secoli «l’appartenenza alla civitas comportava neces-sariamente la partecipazione al culto cittadino, poiché i singoli cittadini nonpotevano professare un culto diverso da quello della civitas stessa.

B) Ius e lex

Nel diritto romano arcaico erano differentemente intesi i concetti di«ius» (che comprendeva le norme di carattere religioso e consuetudinario)e di «lex», (deliberazione adottata dai comizi popolari su proposta del ma-gistrato e confermata dal Senato). La lex interveniva eccezionalmente, percorreggere una applicazione dello ius non più conforme alla coscienza so-ciale.

C) Ius civile e ius honorarium (o praetorium)

Lo ius civile, contrapposto allo ius honorarium, indicava il complesso del-le norme derivanti dai mòres maiorum, dalle leges, dai plebiscìta, dai senatu-sconsùlta, dai respònsa prudèntium e dalle constitutiònes imperiali (v. par. suc-cessivo).

Lo ius honorarium, invece, era costituito da quell’insieme di norme sortedi volta in volta (e sempre in riferimento a casi concreti, non disciplinati diret-tamente dallo ius civile) grazie all’attività interpretativa esercitata dal praetorurbanus o peregrinus.

D) Ius civile - ius gentium

In contrapposizione allo ius gentium (diritto delle genti), lo ius civileera il diritto vigente in Roma, e cioè il diritto della cìvitas, il diritto positivodei romani, il complesso delle norme che il popolo si era dato da sé.

Ius gentium era il complesso di norme derivanti dalla ragione naturale(naturàlis ràtio), comune a tutti i popoli, ed applicabile — in mancanza diespresse deroghe da parte del ius civile — indifferentemente a cittadini e astranieri.

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6 Introduzione6

Condizione dello straniero

In base al principio della personalità del diritto, allo straniero non si applicava il diritto roma-no, ma il suo diritto nazionale. Lo sviluppo degli affari con gli stranieri portò all’esigenza dicreare una magistratura speciale, il praetor peregrinus. Quest’ultimo risolveva le controversietra stranieri o tra stranieri e romani, applicando una procedura molto rapida e creando divolta in volta la regola di giudizio più adatta al caso concreto. Poiché agli stranieri non eraapplicabile lo jus civile, il praetor peregrinus applicava i principi comuni a tutti i popoli. Ladistinzione tra ius civile e ius gentium venne meno quando Caracalla estese nel 212 d.C. lacittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero.

E) ius ex scripto e ius ex non scripto

Il ius ex scripto era il diritto espressamente sancito dal legislatore e il iusex non scripto derivava, invece, dalla consuetudine.

F) ius publicum e ius privatum

Ius publicum era quel ramo del diritto che aveva per riferimento direttoed immediato l’organizzazione statale e il suo funzionamento; ius privatumera, invece, quel complesso di norme che si rivolgeva direttamente al privatus,cioè al singolo pater familias in quanto tale, per la tutela dei suoi interessi .

G) ius commune e ius singulare

Ius commune era il diritto applicato a tutti indistintamente, mentre iussingulare era la norma eccezionale, divergente dalla ratio iuris e suggerita dauna utilità particolare.

Così inteso, lo ius singulare non va confuso con il privilegium, che era, invece, la norma difavore indirizzata ad un solo soggetto o ad una limitata categoria o classe di soggetti.Diverso, infine, sia dallo ius singulare sia dal privilegium era il benefícium, e cioè una normadi favore posta nell’interesse di tutti i soggetti ed applicabile a chi ne facesse richiesta (es.:beneficium inventarii).

2. LE FONTI DEL DIRITTO ROMANO

Ciascuna epoca del diritto romano ebbe fonti proprie.Durante il periodo arcaico le norme giuridiche erano prodotte dai mores

maiorum, ossia da regole di condotta consuetudinarie tramandate da padrein figlio, nel convincimento della loro necessità e obbligatorietà, ed il cui fon-damento era attribuito alla volontà divina (fas). Da ciò derivava la certezzadell’immutabilità del ius civile. Ciononostante i mores maiorum richiedevanodi essere interpretati e adattati ai singoli casi concreti attraverso la interpreta-tio, prima dei pontefici, e poi (a partire dal III sec. a.C.) dei giuristi laici (cd.interpretatio prudentium).

L’interpretatio prudentium aveva carattere innovativo ed era pertanto at-tività creatrice di nuove norme; ma i Romani, che avevano il culto dellatradizione, ritenevano che essa avesse natura chiarificatrice o integraticedei mores, non riformatrice. La situazione mutò nell’età del principato, quan-do i responsa prudentium furono ufficialmente inquadrati tra le fonti deldiritto.

L’interpretatio pontificale era effettuata dal collegio dei pontefici (esponen-ti del patriziato) e pertanto si prestava ad arbitrî della classe dominante aidanni della plebe. L’esigenza di certezza del diritto fu soddisfatta con la con-cessione da parte dei patrizi della prima legge scritta: le XII tavole, seguita daaltre leges votate dai comizi patrizio-plebei o da plebiscita, approvate dalle

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7I periodi del diritto romano 7

assemblee della plebe, che furono dopo molte lotte equiparati alle leges dallalex Hortensia del 287 a.C.

Le disposizioni dei mores maiorum e delle leggi comiziali, interpretate dal-la giurisprudenza in modo da dar vita ad un sistema coerente ed unitario,rappresentarono il c.d. ius civile.

In seguito alla decadenza dei comizi popolari, che coincise con la crisi dellaRepubblica e con l’avvento del Principato, si affermarono due nuove fonti deldiritto: il senatus consultum, adottato dal Senato e la constitutio principis.

Il senatusconsultum era la deliberazione del Senato, ciò che il Senatocomandava e disponeva. Mentre in origine il Senato si limitava ad esprimerepareri sulle leggi, in epoca classica i senatusconsùlta e furono dotati di forzapari alla legge e divennero fonte del diritto. Nel periodo imperiale, invece, isenatusconsùlta furono emessi su proposta dell’imperatore e si limitarono arecepire la volontà di quest’ultimo.

La constitùtio prìncipis era ciò che veniva stabilito dall’imperatore.Ultima fonte del diritto a comparire, dal II sec. d.C. restò l’unica fonte

attiva: man mano che si affermarono i poteri imperiali, le altre fonti finironocon l’inaridirsi, ed il potere legislativo fu riconosciuto come prerogativa esclu-siva dell’imperatore.

Come già si è osservato, tra le constitutiònes rientravano tutti i provvedi-menti dell’imperatore, la cui produzione normativa si svolse attraverso gliedìcta, i mandàta, i rescrìpta e i decrèta.

Fonti del ius honorarium furono invece gli edicta.L’edìctum era l’ordinanza emanata da un magistrato fornito di potestà di

comando (imperium), e riguardante le materie di sua competenza.Gli editti più importanti erano quelli del pretore, che diedero origine allo

ius honorarium.

Fasi di svolgimento del Diritto Romano

La periodizzazione più nota ripartisce la storia di Roma in quattro fasi:

— periodo arcaico, che corrisponde a quello della cìvitas quiritaria (VIII-IV sec. a.C.), e va dalla fondazione (754-753 a.C.) all’emanazione delleleges Liciniae Sextiae (367 a.C.);

— periodo preclassico, che corrisponde a quello della res publica roma-no-nazionale (IV-I sec. a.C., cioè dal 367 a.C. al 27 a.C., anno in cuiOttaviano Augusto venne proclamato prìnceps Romanorum e Augustusdal Senato);

— periodo classico, che corrisponde a quello della res publica romano-universale, e del relativo regime di principatus (dal I sec. a.C. al III sec.d.C., cioè dal 27 a.C. al 284 d.C., anno in cui, dopo la fine dell’anarchiamilitare, vi fu l’ascesa al potere di Diocleziano);

— periodo post-classico, che corrisponde a quello dell’assolutismo im-periale (III-IV sec. d.C., cioè dal 284 d.C. al 565 d.C., anno in cui morìl’imperatore Giustiniano).

3. IL PERIODO ARCAICO O QUIRITARIO

A) Nascita della civitas

Il periodo arcaico corrisponde a quello della cìvitas quiritaria, e viene tra-dizionalmente compreso tra l’VIII sec. a.C. e la metà del IV sec. a.C. (ossia, dal754 a.C., anno della fondazione di Roma, al 367 a.C., anno delle c.d. leges Lici-

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8 Introduzione8

niae Sextiae, che permisero ai plebei l’accesso ad una delle due magistratureconsolari).

La cìvitas Quiritium sorse dalla progressiva aggregazione delle tre tribùinsediate sulle rive del Tevere, intorno al colle del Quirinale e del c.d. Septi-montium (Palatino, Esquilino e Celio): quella dei Ramnes, dei Tities e dei Lu-ceres. Queste tribù erano a loro volta il risultato dell’unione di minori rag-gruppamenti politico-parentali (le gentes) che, a loro volta, derivavano dallefamiliae.

La cìvitas quiritaria fu, dunque, concepita come comunità di patres fami-liarum o di Quirites e trovò la sua massima espressione nell’assemblea deipatres (più tardi denominata senatus), che eleggeva un rex vitalizio, vero capopolitico e religioso della civitas.

In questa prima fase, l’ordinamento giuridico della civitas arcaica si fondava su:

1. accordi federatizi (o foedera) intervenuti tra i capi delle gentes (appartenenti alle tretribus) all’atto dell’aggregazione;

2. deliberazioni (o leges) proclamate davanti ai comitia;3. mores maiòrum, cioè dalle consuetudini che regolavano la pacifica convivenza tra le

familiae.

La violazione dei foedera, delle leges, dei mores maiòrum era consideratanèfas, costituiva, cioè, un illecito che comportava l’ira dei numina (cioè delledivinità), e permetteva ad uno qualsiasi dei membri della comunità di ristabi-lire l’ordine sociale, punendo o uccidendo impunemente lo stesso responsabi-le (a seguito della dichiarazione di sacèrtas del colpevole).

Col termine ius Quiritium furono inizialmente denominati solo i moresmaiòrum che, rispetto ai foedera e alle leges, si caratterizzavano per la mag-giore vetustà e per la particolare autorevolezza, trattandosi di antichi usi avi-ti.

B) La rivoluzione plebea

La fine della cìvitas quiritaria fu causata dalla rivoluzione della plebe, cheterminò con l’emanazione delle leges Liciniae Sextiae (367 a.C.), le quali affi-darono il comando dello Stato a due praetores-consules, uno dei quali potevaprovenire anche dalla classe plebea.

Con la rivoluzione plebea si affermò, a fianco del ius Quiritium, un nuovosistema giuridico, cui in dottrina si dà convenzionalmente il nome di ius legi-timum vetus, il cui nucleo fu costituito dalle leggi delle XII Tavole (451-450a.C.).

Tali leges rappresentarono una conquista della plebe, in quanto fissaronodefinitivamente e per iscritto i principi fondamentali del jus Quiritium, senza,peraltro, contenere previsioni a favore di essa.

La interpretatio pontìficum

Tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C. emerse una ulteriore fonte di produzione indirettadi ius, costituita dall’attività interpretativa del diritto da parte del collegio sacerdotale deipontìfices (c.d. interpretatio pontìficum): in tal modo, ius Quiritium e ius legitimum vetus,integrati con l’attività interpretativa pontificale, finirono progressivamente con l’unificarsi,confluendo, in concomitanza con la formazione della Repubblica, in un sistema normativounitario che venne definito ius civile Romanorum.

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9I periodi del diritto romano 9

4. IL PERIODO PRECLASSICO O REPUBBLICANO

A) La struttura del sistema (ius civile)

Il periodo che è ricompreso fra la metà del IV sec. e la fine del I sec. (omeglio, dal 367 a.C. al 27 a.C.) è denominato preclassico o repubblicano, carat-terizzato, cioè dalla nascita della Repubblica. Il governo repubblicano fu «de-mocratico» poiché, almeno formalmente, tutte le cariche dello Stato eranoaperte a tutti i cittadini. L’unica limitazione di rilievo era rappresentata dalpossesso di un censo minimo.

Organismi fondamentali della Respublica romana furono le magistrature,uffici muniti di potere direttivo e, talora, anche civile e militare; le assembleepopolari, che eleggevano i magistrati; il Senato, che aveva funzione consultivanei confronti dei magistrati ed i cui pareri erano denominati senatusconsùlta.

Nel periodo preclassico, la spina dorsale dell’ordinamento giuridico roma-no fu costituita dal ius civile vetus. Le sue fonti erano gli antichi mores ma-iòrum del ius Quiritium, le leges del ius legitimum vetus e la interpretatioprudèntium, attività esercitata da giuristi laici (prudentes) che si dedicavanoallo studio del diritto.

B) Le nuove magistrature (ius honorarium)

Sul finire dell’epoca classica venne attribuito valore vincolante al parere deigiureconsulti e si giunse gradatamente a far coincidere il ius civile con la solainterpretazione giurisprudenziale.

La figura del giureconsulto

Il parere espresso dal giureconsulto poteva avere tre finalità:

— respondére: cioè dare un responso su una determinata questione, pratica o anche teorica(quaestio);

— ágere: cioè impostare una causa;— cavére: cioè fornire lo schema, la formula, di un contratto difficile da stipulare.

Due giuristi, in particolare, si affermarono in tale periodo: Quinto Mucio Scevola e ServioSulpicio Rufo; essi diedero il loro nome a scuole contrapposte, quella Muciana e quella Ser-viana.

Il praètor urbanus (istituito intorno al 367 a.C.) emanava ogni anno, all’at-to della sua entrata in carica, un edictum, col quale indicava i criteri cui si sa-rebbe attenuto nell’amministrazione della città. Il pretore non poteva abrogarele norme del ius civile ma, in forza dell’imperium di cui era titolare, potevaregolare il caso concreto in modo differente, qualora l’applicazione del ius civileavesse condotto a risultati reputati iniqui dalla mutata coscienza sociale.

Le nuove regole introdotte presero il nome di «ius honorarium», il qualenon giungeva mai sino al punto di negare la validità dello ius civile ma, se incontrasto con esso, si limitava a sostituirlo di fatto, nella pratica applicazione.

Intorno al 242 a.C. venne istituita la magistratura del praètor peregrìnus,con il compito di dirimere le controversie tra Romani e stranieri o tra stranieriche si trovassero a Roma.

Dall’editto che il pretore peregrino emanava derivò un ordinamento speciale, che, per lecaratteristiche testé enunciate, fu detto ius gentium. Applicato originariamente solo ai rap-porti tra Romani e stranieri, ben presto fu adottato per regolare anche i rapporti tra cittadi-ni, in forza dei vantaggi che esso presentava. Si trattava, infatti, di un sistema molto agile eduttile, del tutto privo di forme solenni e perciò più rispondente alla necessaria speditezzadegli affari. Esso si fondò essenzialmente sulla buona fede.

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10 Introduzione10

5. IL PERIODO CLASSICO O DEL PRINCIPATO

A) La preminenza costituzionale del prìnceps

Il periodo classico corrisponde a quello del Principatus che viene conven-zionalmente fatto decorrere dagli ultimi anni del sec. I a.C. sino alla fine delsec. III d.C. (dal 27 a.C. colpo di stato di Augusto, al 284 d.C. morte di Diocle-ziano).

Lo Stato conservò le istituzioni giuridiche repubblicane ma al di sopra e aldi fuori della Respublica si ergeva il potere «protettivo» del prìnceps.

Accanto alle strutture repubblicane ordinarie (magistrature, comizi, sena-to), il prìnceps si affermò come supremo moderatore della cosa pubblica, eacquistò una posizione di preminenza costituzionale nel sistema politicoromano, in forza di due poteri concessigli, almeno formalmente, dalle assem-blee repubblicane:

– la tribunicia potestas, di cui erano titolari in origine i soli tribuni della ple-be, e che si sostanziava nel potere di intercessio contro tutti gli atti deimagistrati repubblicani;

— il c.d. imperium proconsulare maius et infinitum, consistente nel supremopotere militare.

I previgenti sistemi giuridici, pur ancora formalmente in vita, persero rapi-damente ogni capacità evolutiva e finirono per essere considerati ius vetus.

B) Le Constitutiones

Si andò poi affermando una nuova fonte di diritto, non omogenea rispettoa quelle preesistenti (e, cioè, extra òrdinem), e frutto dell’intervento diretto delprìnceps nella direzione della vita giuridica: l’intervento si manifestava attra-verso constitutiones, che si distinguevano in:

— edìcta: enunciavano i criteri direttivi (non vincolanti) cui gli imperatoridesideravano si attenessero i magistrati delle province;

— mandàta: erano istruzioni vincolanti impartite dal principe ai funzionariamministrativi da lui direttamente dipendenti, circa il modo di svolgere laloro attività;

— rescrìpta: erano i responsi del principe sulle questioni pratiche sottopostealla sua cognizione; tali atti potevano assumere la forma di:

— epìstulae, se consistevano in lettere di risposta indirizzate dal principeai magistrati o funzionari che a lui si erano rivolti per il parere;

— rescrìpta, in senso stretto, i quali consistevano in un parere annotatoin calce alla richiesta (libellum) presentata da un privato;

— decrèta: erano sentenze emanate dal principe senza il rispetto delle formedi procedura ordinaria (iudicia extra ordinem).

Per effetto di tali procedimenti si creò, accanto allo ius vetus, uno ius novum, che pocoalla volta soppiantò sia quello civile sia quello honorarium, cristallizzato nell’editto perpe-tuo emanato sotto Adriano (117-138 d.C.). Ancor più importante delle constitutiones prìnci-pum, tuttavia, fu lo sviluppo in epoca classica della scienza del diritto e, quindi, dei giure-consulti.

L’opera principale della giurisprudenza classica fu quella di riordinare i due sistemi delloius civile e dello ius honorarium e di coordinarli con lo ius novum; non mancò tuttavia, alme-no nel primo periodo dell’epoca classica, una certa attività creativa da parte dei giureconsul-ti.

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11I periodi del diritto romano 11

Ius publice respondendi

Tale attività fu incrementata grazie allo ius publice respondèndi, introdotto da Augusto edisciplinato da Tiberio.Lo ius publice respondendi consisteva in una sorta di patente di buon giurista concessa dal-l’imperatore, per effetto della quale il parere espresso dal giurista che ne era fornito godevadi particolare autorevolezza ed era comunemente accettato. I pareri così espressi costituiro-no fonte di diritto, come lo erano stati quelli dei giuristi dell’epoca precedente. Tale istituto,tuttavia, decadde ben presto e già con Traiano può ritenersi scomparso.

C) La constitutio Antoniniana

Grande importanza ebbe in tale fase la Constitutio Antoniniana emanatadall’imperatore Antonino Caracalla nel 212 d.C., con la quale fu concessa lacittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero.

Per effetto di tale concessione il diritto romano divenne diritto di tuttol’Impero (prima, invece, ciascun popolo era retto dal proprio diritto). La con-seguenza fu che ben presto si crearono conflitti fra il diritto locale ed il dirittoromano universale, che finì non poche volte con l’adeguarsi a quello locale.

6. IL PERIODO POST-CLASSICO

A) Generalità

Il periodo post-classico del diritto romano è caratterizzato, come forma digoverno, dalla monarchia assoluta (o «dominato») e cronologicamente si col-loca tra l’impero di Diocleziano (284) e l’ascesa di Giustiniano I (527): lo Statofu concepito, a livello organizzativo, come Stato patrimoniale, considerato,cioè, come dominio assoluto dell’imperatore.

La conseguenza di tale concezione fu il totale inaridimento delle fonti re-pubblicane (leges, senatusconsùlta, edicta magistràtuum) e la definitiva affer-mazione della volontà del principe come fonte unica del diritto. Il diritto creatodalle constitutiones imperiali fu denominato ius novum, in contrapposizioneall’ormai superato ius vetus.

Con il venir meno dei centri diffusi di potere (magistrature repubblicane) e con l’accentra-mento di questo nelle mani del prìnceps, la scienza giuridica svuotata di ogni attività creativasi limitò dapprima ad un’opera di aggiornamento e modificazione delle opere classiche, fi-nendo però spesso col corromperle; successivamente, del tutto soffocata dal potere assolutodel principe, andò sempre più decadendo, riducendosi ad una mera attività interpretativa dimodestissima levatura e con fini esclusivamente scolastici.

B) Fonti

Fra i numerosi elaborati della giurisprudenza postclassica possono distin-guersi due gruppi: il primo è composto da raccolte di iura; il secondo è forma-to da compilazioni più ampie, comprendenti sia iura sia leges.

Tra le raccolte di iura vanno annoverati i tituli ex corpore Ulpiani, lePauli Sententiae, l’Epitome Gai, gli Scholia Sinaitica.

Principali fonti

I Tituli ex corpore Ulpiani sono un’opera postclassica, risalente al IV secolo, tramandataciattraverso un manoscritto conservato nella Biblioteca Vaticana; costituisce una trattazioneelementare e riassuntiva di brani gaiani e ulpianei.Le Pauli Sententiae sono un’antologia di scritti giuridici compilata durante il principato diDiocleziano (285-305 d.C.), sulla base di opere di Paolo. La raccolta si articola in 5 libri. Laredazione più completa è contenuta nella Lex Romana Wisigothorum.

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12 Introduzione12

L’Epitome Gai fu redatta nelle scuole d’Occidente nel V sec. d.C. È un’opera in due libricompilata sulla base delle Institutiones di Gaio.Gli Scholia sinaitica furono elaborati nella parte d’Oriente nel V sec. d.C. L’opera pervenu-taci attraverso un papiro del Monastero del monte Sinai consiste in un commento moltosemplice ai Libri ad Sabinum di Ulpiano.Tra le raccolte di iura e di leges ci sono pervenuti i Fragmenta Vaticana, la Collatio, il LiberSyro-Romanus.I Fragmenta Vaticana sono circa 400 frammenti, raccolti in Occidente da un privato, contutta probabilità nel IV secolo. Nella compilazione, infatti, sono utilizzati i codici Gregorianoed Ermogeniano, ma non il codice Teodosiano del 438. L’opera era suddivisa in titoli nei qualierano riportati brani di opere di Paolo, di Papiniano, di Ulpiano e costituzioni imperiali. Diessa ci sono giunti solo pochi titoli conservati in un manoscritto della Biblioteca Vaticana.La Collatio legum Mosaicarum et Romanarum è un’opera che ci è pervenuta solo parzial-mente. Essa si prefiggeva di dimostrare che le leggi romane derivavano da quelle mosaiche,perciò, erano posti a confronto passi della legge mosaica e testi romani.Il Liber Syro-Romanus è un’opera scritta in greco nel V secolo, di cui si hanno traduzioni insiriaco e in arabo; in tale testo è raccolto soltanto ius civile, aggiornato con le costituzioniemanate da Costantino in poi.

Il notevole incremento delle costituzioni imperiali fece sorgere l’esigenzadi raccogliere le varie leges in collezioni ordinate, in codices legum, al fine diconsentire la conoscenza di tutte le leggi applicabili. Inizialmente l’attività diraccolta fu svolta dalla giurisprudenza e non si trattò, pertanto, di compila-zioni ufficiali. Nel periodo di transizione tra principato ed Impero furono re-datte due raccolte di leggi speciali, il Codex Gregorianus, compilato forse daun certo Gregorius, collazionando rescritti di Adriano e Diocleziano e destina-to alla pratica civile, ed il Codex Hermogenianus, una sorta di ampliamentoed appendice di aggiornamento al Codex Gregorianus.

Nel 438 l’imperatore Teodosio II fece compilare un Codex, che prese ilnome di «Theodosianus» e raccoglieva solo leges generales, cioè provvedi-menti normativi generali, ed integrò e completò i due codici precedenti, aiquali fu conferito riconoscimento ufficiale.

Leggi romano-barbariche

Tra le leggi romano-barbariche, che costituirono il corrispettivo occidentale delle compila-zioni giustinieanee vanno menzionate innanzitutto il Codex Eurici e l’Edictum Theodori-ci. Il primo fu pubblicato intorno al 476 d.C. dal re dei Visigoti Eurico, successore di Teodo-rico I, che governava buona parte della Gallia occidentale e della Spagna. Il Codex Eurici siritenne applicabile non solo ai Romani, ma anche ai Visigoti.L’Edictum Theodorici fu emanato in Italia tra i primissimi anni del secolo VI e il 524 daTeodorico II, re dei Visigoti della Gallia.Pertanto esso si applicò sia alla popolazione romana sia a quella visigota. Eurico e Teodoricodismostrarono in tal modo di accettare, almeno sul piano formale, la supremazia dell’impe-ro romano. Altre raccolte degne di rilievo furono la Lex Romana Wisigothorum, pubblicatanel 506 dal re visigoto Alarico II e la Lex Romana Burgundionum emanata da Gundobado,re dei Burgundi, intorno al 500 d.C.

7. IL PERIODO GIUSTINIANEO

L’Impero di Giustiniano I (527-565) segnò l’ultimo bagliore della romani-tà. Non solo, infatti, Giustiniano riuscì e realizzare l’unità dell’Impero, riu-nendo sotto il suo dominio Oriente ed Occidente, ma riuscì a far rifulgere dinuovo il senso della romanità mediante la definitiva sistemazione del dirittoromano.

Anche Giustiniano, come gli imperatori che lo avevano preceduto, mirò alla raccolta di iurae leges vigenti. Col termine iura si fa riferimento a frammenti di opere di giuristi classici; perleges si intendono, invece, le costituzioni imperiali.

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13I periodi del diritto romano 13

L’insieme delle compilazioni è stata denominata dai posteri Corpus iuriscivilis; il suo grande merito, tuttavia, fu quello di trovare il giusto punto diincontro tra le esigenze pratiche ed il modello del diritto classico, riuscendoad infondere lo spirito classico nel diritto allora vigente.

Fonti giustinianee

A) Il Codex Iustinianus

La grandiosa opera di compilazione che «riassunse in sé l’eredità del pensiero giuridico ro-mano» ebbe inizio con una raccolta di leggi progettata da Giustiniano e dal suo ministroTriboniano.Ben presto, di fronte all’imponenza della legislazione giustinianea, fu necessaria una secon-da, più completa e aggiornata edizione del Codex Iustinianus, denominata Còdex repetìtaepraelectiònis.

B) Digesta seu PandectaeIl 15 dicembre 530 Giustiniano, con una costituzione (Deo auctore) indirizzata a Triboniano,ordinò la realizzazione di una compilazione di iura: i Digesta o Pandectae. Si trattava diraccogliere l’opera dei giureconsulti classici muniti di ius publicae respondendi, senza l’obbli-go di preferire il parere di un autore rispetto ad un altro.Il materiale venne distribuito in cinquanta libri, divisi in titoli, seguendo l’ordine del Co-dex e dell’Editto perpetuo.

C) Le Institutiones Iustiniani AugustiMentre era ancora in corso per il Digesto, Giustiniano ordinò a Triboniano, Teofilo e Doroteodi compilare un trattato elementare di diritto, destinato a sostituire le vetuste Istituzioni diGaio. Anche quest’opera venne eseguita rapidamente: le Institutiones furono infatti pubbli-cate il 21 novembre 533.

D) Codex repetitae praelectionisL’emanazione di numerose costituzioni innovative, a partire dal 530 d.C., rese necessariauna nuova e più aggiornata edizione del Codex. Della sua compilazione furono incaricatiTriboniano, Doroteo e tre avvocati, già membri della commissione dei Digesta. L’opera fupubblicata il 17 novembre del 534. Il Novus Codex Iustinianus repetitae prelectionis èdiviso in dodici libri. In esso ogni costituzione è preceduta da una praescrìptio col nomedell’imperatore e del destinatario, ed è seguita da una subscriptio, con il luogo e la data diemanazione. La compilazione è giunta fino a noi.

E) Le NovellaeGiustiniano non limitò la sua opera alla compilazione, ma si dedicò anche alla pubblicazio-ne di nuove costituzioni (Novellae), delle quali alcune si segnalano per la vasta portatainnovatrice, in particolare in materia di successioni legittime e di matrimonio.

F) Il Corpus IurisIl complesso dell’opera legislativa giustinianea è stato chiamato, a partire dal XII secolo,Corpus iuris civilis; ciascuna delle parti, che contenutisticamente non si presentavano omo-genee, ci è pervenuta attraverso manoscritti.I manoscritti delle Institutiones, conservati a Torino, sono del IX o X secolo; il Digesto è in unmanoscritto del VI secolo (cioè quasi contemporaneo alla composizione), conservato oggialla Laurenziana di Firenze.Manoscritti del Novus Codex si trovano nelle biblioteche d’Italia, Francia e Germania, masono tardivi e corrotti da interpolazioni non classiche.Gli studiosi hanno tentato di ricostruire il Corpus iuris civilis ed oggi ne possediamo unaedizione scolastica completa curata dal Kruger e pubblicata a Berlino.La conoscenza dei testi giustinianei, poco diffusa durante il medioevo, riprese con il rinasci-mento bolognese.I moderni studiosi hanno sottoposto il testo ad un’accurata analisi attraverso un metodoconosciuto come «critica interpolazionistica della compilazione giustinianea», rivolto a de-cifrare le interpolazioni avvenute rispetto al diritto romano classico.

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14 Introduzione14

PERIODO PRECLASSICO IV-I sec. a.C

Leges Liciniae-Sextiae 367 a.C. Ottaviano Augusto Princeps 27 a.C.

Respublica romano-nazionale

Fonti del diritto

Legge comiziale (lex regia)

Plebiscito (plebiscitum)

Senatoconsulto (senatusconsultum)

Ius civile vetus (diritto civile antico) Consuetudine (mores maiorum)

Giurisprudenza (responsa prudenitium)

Editto del magistrato

Sentenza del giudice

PERIODO ARCAICO VIII-IV sec. a.C

Fondazione di Roma 754-753 a.C. Leges Liciniae-Sextiae 367 sec. a.C

Civitas quiritaria

Ramnes TitiesLuceres

Fonti

Ius Quiritium

Accordi federatizi (foedera)

Leggi comiziali (leges regiae)

Consuetudini familiari (mores maiorum)

Leggi delle XII tavoleIus legitimum vetus(diritto legislativo antico)

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15I periodi del diritto romano 15

PERIODO CLASSICO I sec. a.C - III sec. d.C.

Ottaviano Augusto princeps 27 a.C. Diocleziano imperatore 284 d.C.

Respublica romano-universale (principato)

Fonti del diritto

Costituzioni del principe(constitutiones principum)

Editti (edicta)

Mandati (mandata)

Rescritti (rescripta)

Decreti (decreta)

Ius publice respondendi(diritto di dare pubblici responsi)

Lettere (epistulae)

PERIODO POST-CLASSICO I-IV sec. d.C.

Diocleziano 284 d.C. Morte di Giustiniano I 565 d.C.

Monarchia assoluta (dominatio)

Fonti del diritto

Costituzioni imperiali(leges generales)

Opere dei più famosi giuristi classici (iura)

Ius novum

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16 Capitolo Primo16

Capitolo Primo

I soggetti di diritto

1. IL CONCETTO DI «PERSONA» IN DIRITTO ROMANO

A) Significato del termine «persona»

Il termine persona, che attualmente indica il soggetto di diritti, nella ter-minologia romanistica aveva il significato originario di maschera teatrale e,più frequentemente, di uomo; in epoca gaiana, persona era anche lo schiavo,che pure giuridicamente era considerato una cosa, oggetto anziché soggetto didiritti. Poiché anche i servi avevano la possibilità di acquistare la soggettivitàgiuridica, la giurisprudenza ritenne opportuno trattare di essi in quanto sog-getti potenziali, unitamente ai soggetti di diritto veri e propri; non era invececonsiderata persona la c.d. persona giuridica.

B) Concetti di «caput» e «status»

I Romani non avevano termini tecnici idonei ad esprimere i concetti di sogget-to di diritto e di persona giuridica, così come intesi nel diritto vigente. Essi faceva-no ricorso a espressioni diverse come, ad es. al termine caput che, nell’accezionepiù diffusa, designava l’essere umano in ogni sua possibile condizione.

«Caput», infatti, significava letteralmente «testa» e quindi, per traslato,«individuo», il quale poteva essere indifferentemente un «servile caput» o un«liberum caput» (di condizione servile, oppure libero).

In senso caput esprimeva l’appartenenza ad una categoria di persone (uomini liberi, cittadini,membri di una familia) e veniva usato solo nell’espressione «cápitis deminútio» che, nel dirittoclassico, indicava la perdita della libertà (cápitis deminutio maxima), della cittadinanza (c.d. me-dia) o della posizione che occupava nella famiglia (minima); è solo in diritto giustinianeo, peral-tro, che il termine caput assunse un significato che adombrava l’idea moderna della capacitàgiuridica: si ritenne, ad es., che lo schiavo nullum caput habet.

Più importante era, nella terminologia romanistica, la parola «status», cheindicava la posizione dell’individuo in relazione ad un determinato sistemadi rapporti: o come uomo libero (status libertátis), o come cittadino (statuscivitátis), o come membro della famiglia (status familiae).

2. LE VICENDE DELLE PERSONE FISICHE

A) La nascita e la condizione di nascituro

La persona fisica iniziava la vita con la nascita: bisognava, però, esser nativivi e anche un solo breve istante di vita bastava perché la persona acquistassediritti e li trasmettesse, immediatamente dopo la morte, ai propri successori.

Tendenzialmente, i giuristi romani ritennero che il nascituro, non essen-do in rerum natura (cioè non essendo in vita quando si trova nel ventre mater-no) costituisse una mera pórtio muliéris (parte della donna) e, quindi, fosseprivo di soggettività giuridica; col tempo gli fu riconosciuta una limitata tutelagiuridica, sotto due profili:

— si punì il procurato aborto, considerato come lesione cagionata alla madreo al diritto del padre (privato della spes prólis, cioè della prole sperata);

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17I soggetti di diritto 17

— dal punto di vista strettamente civilistico, il concepimento trovò rilievo peril nascituro istituito erede o legatario, la legge prevedeva la nomina di uncuratore speciale, il cúrator véntris, con il compito di conservare i beni chesarebbero spettati al nascituro.

B) Morte, commorienza, successione

L’estinzione della persona fisica avveniva con la morte.Per il caso di commorienza, e cioè di morte nello stesso sinistro di più

persone (imparentate tra loro in modo che l’una potesse acquistare diritti dal-l’altra) senza che ci fosse la possibilità di stabilire chi fosse morto per primo,il diritto classico presumeva in modo assoluto (presunzione iuris et de iure, ecioè che non ammette prova contraria) che tutti fossero morti nello stessomomento; in diritto giustinianeo, invece, nel caso della morte del genitore edel figlio, prevalse il principio della maggiore o minore resistenza fisica: siconsideravano, pertanto, morti prima i più deboli (ad es. i genitori più vecchirispetto ai figli puberi, ed i figli impuberi rispetto al genitore).

Con la morte di un soggetto, le situazioni giuridiche che a lui facevanocapo si trasferivano ai successori o si estinguevano; in alcuni casi, tuttavia,si fingeva che il morto fosse ancora titolare di situazioni giuridiche (ad es., incaso di eredità passiva, la vendita dei beni (bonorum venditio — che compor-tava infamia — poteva esser fatta a carico del debitore insolvente defunto, sulquale ricadeva l’infamia stessa).

3. LO STATUS LIBERTÁTIS: I LIBERI E I SERVI

La fondamentale distinzione nell’ambito del diritto delle persone è che tut-ti gli uomini sono o liberi o schiavi. A loro volta tra gli uomini liberi alcunisono ingenui (nati liberi), altri liberti (liberati da una schiavitù in modo con-forme al diritto).

Tra i fatti estintivi della libertà, ricordiamo:

— condanne penali o provvedimenti normativi che riducevano in schiavitù un cittadinoresosi responsabile di gravi illeciti;

— la prigionia di guerra presso popoli stranieri (alla quale era collegata la cápitis deminu-tio maxima, per la quale vedi infra, sub B);

— la vendita da parte del pater familias, molto diffusa in epoca arcaica, ma caduta benpresto in disuso, tranne che nelle province.

A) La schiavitù

In origine il fenomeno della schiavitù non ebbe grande rilevanza: sia lefamiglie plebee (i cui membri erano normalmente sufficienti a provvederealle esigenze della familia) sia quelle patrizie (che solevano avvalersi dell’ope-ra dei clientes, cioè di coloro ai quali era stato concesso il godimento precariodelle terre appartenenti alla familia) non avevano schiavi; a partire dal IV sec.a.C., a causa delle numerose guerre vinte, il numero degli schiavi presto siaccrebbe notevolmente.

Il dóminus aveva sullo schiavo lo stesso potere che la legge attribuiva sullecose al proprietario (ius vitae ac necis, diritto di vita e di morte). La facoltà didisporre, che arrivava sino alla uccisione, fu grandemente temperata; la sensi-bilità dei giuristi romani ritenne perseguibile il dominus che ingiustificata-mente avesse ucciso uno schiavo, o gli avesse arrecato maltrattamenti ripu-gnanti per la collettività.

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18 Capitolo Primo18

In ordine ai rapporti patrimoniali, la condizione degli schiavi era simile aquella dei filii familias, giacché la capacità patrimoniale spettava solo al paterfamilias: quest’ultimo, però, soleva assegnare ai più meritevoli tra i suoi sotto-posti un piccolo patrimonio (peculium) che di fatto apparteneva al beneficia-rio, pur se di diritto spettava al pater.

Lo schiavo poteva compiere atti giuridici, i cui effetti ricadevano, però,nella sfera giuridica del dóminus; attraverso lo schiavo era possibile, inoltre,per il dóminus acquistare ed esercitare il possesso.

Se lo schiavo commetteva un delitto privato, il dominus poteva pagare lapena pecuniaria o abbandonare il reo al danneggiato (noxae deditio). Qualoralo schiavo fosse stato abbandonato dal dóminus (c.d. derelíctio), il dominiumex iure Quiritium su di lui poteva essere acquistato da un altro soggetto peroccupazione.

B) Acquisto dello status servile

Occorre premettere che lo status di schiavo si assumeva:

— per nascita «ex ancilla», cioè da una donna schiava al momento del parto;— in seguito a condanne penali o provvedimenti normativi che riducevano in

schiavitù soggetti colpevoli di gravi delitti;— a seguito di captivitas, cioè di prigionia di guerra;— in diritto post classico per revocatio in servitutem del liberto ingrato nei

confronti del patronus.

Può dirsi che, in generale, lo status di schiavo dipendeva dallo status della madre: nascevaschiavo il figlio di schiavi o della schiava, se il padre era ignoto. Se la madre era schiava al mo-mento del parto, pur essendo risultata libera al momento del concepimento, dapprima si ritenneche il neonato fosse schiavo; successivamente si ritenne che egli nascesse libero quando la madrefosse stata libera anche per un solo istante tra il concepimento e la nascita.

Quanto alla prigionia di guerra, si riteneva che cadessero in schiavitù sia gli stranieri fattiprigionieri dai Romani, sia i Romani fatti prigionieri dai nemici: il prigioniero (captívus) perdevatutti i diritti.

La cápitis deminutio

Il cittadino libero caduto nelle mani del nemico subiva la cápitis deminutio maxima ecadeva in stato di sérvitus iniusta, cioè non conforme allo ius civile: lo stato servile non siconsiderava definitivo e cessava se il captívus riusciva a rientrare entro i confini dello Statoromano con l’intenzione di restarvi. In questo caso il captívus riacquistava ipso iure nella suainterezza lo status di cittadino libero e, di conseguenza, tutti i suoi precedenti diritti (sidiscute in proposito se egli perdesse ogni diritto, salvo a riacquistarlo — al rientro — per unareviviscenza, o se, invece, la titolarità dei rapporti fosse sospesa fino all’eventuale rientro).Tutto ciò accadeva in virtù di un risalente principio consuetudinario, detto postlimínium oius postlimínii (diritto di ritornare in patria).

4. Segue: LA MANUMÍSSIO

A) Gli effetti della manumíssio: i liberti

Il principale modo di acquisto della libertà dello schiavo fu la manu-míssio, un atto irrevocabile (che tollerava, tuttavia, l’apposizione di unacondizione) che faceva divenire il servo, ad un tempo, libero e cittadinoromano.

Lo schiavo manomesso si chiamava libértus; il soggetto che poneva in es-sere la manumíssio, patronus. Tra i due soggetti intercorreva il rapporto giu-ridico di patronátus: alla morte del patrono la titolarità del rapporto si tra-smetteva ai suoi discendenti agnati.

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19I soggetti di diritto 19

Con la manumíssio lo schiavo non diventava in tutto uguale all’uomo natolibero, ma acquistava uno status particolare, quello della libertínitas, divenen-do libertínus.

Lo status di libertínus (o libértus)

Tale status comportava alcune limitazioni rispetto allo status di ingénuus:

• i liberti erano esclusi da alcune cariche pubbliche: venivano inoltre raggruppati in po-chissime tribù, in modo che il loro voto avesse minore valore rispetto a quello degliingenui;

• le liberte, inoltre, non potevano contrarre matrimonio con soggetti di rango senatorio;• il liberto doveva al patrono obséquium, operae, bona. L’obbligo delle operae si concretava

in una obbligazione naturale che imponeva una prestazione di servigi, quali l’ammini-strazione dei beni, la cura dei figli del patrono.Il patrono aveva un diritto di successione legittima sui beni del liberto, il quale nonpoteva compiere atti in frode a tale aspettativa.

Il patrono e il liberto avevano l’obbligo reciproco degli alimenti.

B) Forme di manumissio

La manumíssio non era un semplice atto privato di disposizione, ma avevarisvolti pubblicistici, poiché a seguito di essa un nuovo civis entrava a farparte della comunità politica.

Tre furono le forme solenni con le quali venivano affrancati gli schiavi:

— la manumíssio vindícta consisteva in un finto processo nel quale un citta-dino, il c.d. adsértor in libertátem, in forma solenne, dichiarava nei con-fronti del padrone lo stato di libertà dello schiavo (vindicatio ex servitútein libertátem); non opponendosi il padrone a tale dichiarazione, il magi-strato pronunciava l’addictio libertátis, confermava cioè la dichiarazionedell’adsertor. In seguto non si ritenne più necessario l’intervento dell’adser-tor libertatis.

— la manumíssio censu veniva compiuta dal padrone e consisteva nell’iscri-vere lo schiavo che si voleva affrancare nelle liste dei cittadini;

— la manumíssio testamento era la dichiarazione, fatta dal padrone nel pro-prio testamento, di volere affrancare il proprio schiavo e poteva aversi:

a) directis verbis, cioè quando era ordinata direttamente dal testatore: loschiavo diventava libero al momento dell’accettazione dell’eredità daparte dell’erede;

b) per fideicommíssum, quando il testatore imponeva all’erede, al legata-rio o al fedecommissario l’obbligo di liberare un servo determinato: ilsoggetto affrancato diventava libertus del manumittente.

Nel periodo repubblicano prevalsero forme meno solenni.

Si diffuse, infatti, la manumíssio inter amícos, che avveniva in forma orale davanti a testi-moni.

In epoca classica e postclassica dalla manumíssio inter amicos derivarono due autonome for-me di manumissíones: la manumíssio per epistulam, consistente in uno scritto indirizzato aduna persona, in cui era espressa la volontà di liberare lo schiavo, e la manumíssio per mensam,cioè quella fatta durante un banchetto alla presenza dei convitati.

In epoca imperiale, sotto l’influsso del cristianesimo, venne introdotta una nuova forma dimanomissione, la manumíssio in Ecclesia, consistente in una solenne dichiarazione di volerliberare lo schiavo fatta dal padrone davanti all’autorità ecclesiastica. Essa faceva acquistare lacittadinanza romana all’affrancato.

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20 Capitolo Primo20

C) La lex Aelia Sentia e Fufia Caninia

Alla fine dell’epoca repubblicana, per impedire che il proliferare di af-francazioni permettesse l’acquisto della cittadinanza romana ad un numeroeccessivo di schiavi, intervennero due leggi, la lex Fufia Caninia del 2 a.C. e lalex Aelia Sentia del 4 d.C.

La lex Fufia Caninia stabilì che per testamento poteva essere affrancato solo un numero dischiavi proporzionale a quelli posseduti dal testatore; in particolare, chi aveva tre schiavi nepoteva affrancare 2, chi ne aveva sino a 10 poteva affrancare la metà, chi ne aveva da 10 a 30 unterzo, chi ne aveva da 30 a 100 un quarto, chi ne aveva oltre 100 un quinto.

La lex Aelia Sentia, a sua volta, stabilì tre principi:

a) erano vietate le affrancazioni effettuate al fine di rendersi insolventi e di pregiudicare i propridebitori (in fraudem creditorum);

b) non divenivano cittadini romani, ma soltanto Latini (detti, appunto, Latini Aeliani dal nomedella legge) gli schiavi minori di 30 anni o affrancati da padroni minori di 20 anni, salval’esistenza di una iusta causa dimostrata al cospetto del c.d. consilium (consesso di cittadini);

c) gli schiavi già puniti per aver commesso gravi delitti, se affrancati, si ritrovavano nella condi-zione di peregrini dediticii, che non potevano risiedere entro cento miglia dalla città di Roma(dediticii Aeliani), non avevano capacità né di disporre né di ricevere per testamento, e nonpotevano mai diventare cittadini romani.

Giustiniano abrogò del tutto la lex Fufia Caninia e quasi del tutto la lexAelia Sentia, riconoscendo ai Latini Iuniani e ai dediticii Aeliani la libertà e lacittadinanza romana.

5. LO STATUS CIVITATIS (LA CITTADINANZA)

La cittadinanza romana era il secondo requisito richiesto per l’acquistodella piena capacità giuridica.

Fino all’epoca classica, a causa della progressiva espansione territoriale diRoma, molte erano le persone libere, ma sprovviste del requisito della cittadi-nanza.

In età arcaica, cives (cioè cittadini) erano solo gli abitanti dell’Urbe (Roma eterritori limitrofi). Quando Roma conquistò nuovi territori, lo Stato si allargòma non fu abbandonata la vecchia concezione dello Stato-città: gran parte diquesti sudditi non cives era costituita dai peregrini (gli stranieri), i quali face-vano parte di popolazioni viventi nell’orbita dello Stato romano e da questosoggiogate.

A) I Latini

Latini erano i cittadini delle città latine facenti parte del foédus Latínum(federazione con le città del Lazio) e costituivano una categoria intermedia(sia per quanto riguarda la sfera privatistica che quella pubblicistica) tra civese peregrini.

Le fonti distinguono in tre gruppi i Latini:— Prisci, che erano gli antichi abitanti del Lazio e delle città latine federate con Roma. Ad

essi fu riconosciuta una limitata capacità:

— il ius commercii (la capacità di concludere con i Romani negozi giuridici secondo leforme solenni previste dal ius civile);

— il ius connubii (la capacità di sposarsi con cittadini Romani).

Ai Latini prisci non fu però riconosciuta la testaménti fáctio attiva (cioè la capacità di faretestamento), né la patria potéstas;

— Coloniarii, che erano gli appartenenti alle colonie latine formate da Latini e cittadini eavevano capacità identica a quella dei Latini prisci;

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21I soggetti di diritto 21

— Iuniani, che erano i Latini creati dalla lex Iunia Norbana del 19 d.C. (la quale disciplinòle affrancazioni non solenni) — costoro erano privi della capacità di fare testamento —nonché Aeliani, che erano i Latini creati dalla lex Aelia Sentia del 4 d.C. (cioè i servimanomessi in età inferiore ai trenta anni, contro il divieto della suddetta legge, i qualierano in condizioni identiche a quelle dei Latini Iuniani).

Sia i Latini Iuniani sia quelli Aeliani erano in posizione inferiore agli altri Latini: essi, infatti,avevano solo il ius commercii ed erano privi di capacità di fare testamento: alla loro morte illoro patrimonio tornava all’antico padrone, come se non fossero stati mai affrancati.

B) I peregrini

Peregrini erano gli stranieri, e cioè coloro che non erano né Romani néLatini. Essi si distinguevano in:

1) peregrini alicùius civitatis: erano gli abitanti delle città straniere conqui-state da Roma e non distrutte. A costoro era prescritta l’osservanza del iuscivile novum (cd. ius gentium) nei rapporti con i Romani ed era loro con-cessa la facoltà di ricorrere alla giurisdizione del praetor peregrinus. Essirestavano però liberi di seguire i propri ordinamenti nelle rispettive comu-nità;

2) peregrini dediticii erano gli abitanti di città straniere distrutte dai Roma-ni perché arresesi dopo una resistenza ad oltranza; a costoro era prescrittaesclusivamente l’osservanza del ius gentium. Ad essi erano equiparati i de-diticii Aeliani, cioè quei libertini che durante la schiavitù avevano subitopene infamanti per i crimina commessi.

C) Conclusioni

Già verso la fine dell’età repubblicana la distinzione tra cives, Latini eperegrini perse rilievo.

Infatti una lex Iulia del 90 a.C. accordò la cittadinanza romana agli abitanti del Latium; la lexPlautia Papiria dell’89 a.C. la accordò agli alleati italici; la lex Roscia del 49 a.C. la accordò agliabitanti della Gallia Transpadana.

In seguito di volta in volta gli imperatori concessero la cittadinanza a intere comunità o asingole persone, fino a quando nel 212 d.C. la Constitutio Antoniniana estese la cittadinanzaromana a tutti gli abitanti liberi dell’Impero organizzati in comunità.

6. LO STATUS FAMILIAE

Lo status familiae indicava l’appartenenza di un soggetto liber e civis aduna determinata familia e di per sé non influiva sulla capacità giuridica: inambito familiare, si distinguevano le persone sui iuris, che avevano pienacapacità giuridica, dalle persone alieno iure subiectae.

Era sui iuris l’individuo che non era soggetto ad alcun potere familiare, cioèche non aveva ascendenti maschi o che era stato emancipato: questi, se di ses-so maschile, si chiamava pater familias, anche se privo di discendenti o sot-toposti.

Persone alieni iuris (o alieno iure subiectae) erano tutte quelle sottopo-ste ad una qualsiasi potestà familiare, e che quindi erano in potestate (i figlilegittimi e gli adottivi), in manu (le donne entrate nella familia per matrimo-nio col pater o con le persone a lui sottoposte), in mancípio (coloro che sitrovavano nella familia perché venduti o dati in noxa dal loro pater familias).

Rispetto al diritto pubblico il filius aveva piena capacità, potendo accederealle supreme magistrature: l’incapacità riguardava la sfera patrimoniale, civi-listica.

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22 Capitolo Primo22

Riassumendo, per l’acquisto della piena capacità giuridica, occorreva che il soggetto fossenato libero, civis romanus e sui iuris.

La piena capacità giuridica si articolava nei seguenti diritti:

• ius commercii, e cioè la capacità di compiere negozi giuridici di natura patrimoniale,seguendo i precetti del ius civile, che si applicava ai soli cives Romani;

• ius conubii, e cioè la capacità di concludere iústae nuptiae con persona appartenente allacívitas (ossia civis);

• testamenti factio activa, e cioè la capacità di fare testamento;• testamenti factio passiva, e cioè la capacità di ricevere per testamento;• ius suffrágii, e cioè il diritto di voto;• ius honórum, e cioè il diritto di rivestire cariche pubbliche.

7. CAUSE MINORATRICI DELLA CAPACITÀ

Le cause che escludevano o diminuivano la capacità di agire o comunquemodificavano la situazione giuridica delle persone erano molteplici.

A) Età

I Romani, ritenendo che lo sviluppo sessuale fosse accompagnato da unanalogo sviluppo intellettuale, ammisero che la piena capacità giuridica siacquistasse col raggiungimento dell’età pubere, a cui corrispondeva l’usodella toga virílis per i maschi. Il soggetto impúbere sui iuris era soggetto atutela.

Mentre per i Sabiniani bisognava accertare lo stato di pubertà caso per caso mediante inspec-tio corpóris (ispezione corporale), per i Proculiani l’età pubere era raggiunta senz’altro alcompimento dei 14 anni per i maschi e dei 12 per le donne. Per ragioni di pudicitia,Giustiniano accolse l’opinione dei Proculiani.

B) Infamia

L’infamia era connessa all’esercizio di determinati mestieri, che i Romaniconsideravano turpi, come il lenocinio (mediazione di amori illeciti), l’attivitàgladiatoria e l’arte del teatro; essa, inoltre, colpiva il responsabile di atti so-cialmente riprovevoli (es., matrimonio con una vedova prima del decorso dellutto vedovile: 300 giorni dalla morte del precedente marito) o di delitti (furto,rapina, iniuria) e gli esclusi dall’esercito per ignominia (per missio inhonésta).

A costoro il pretore negò la capacità di postuláre pro aliis, e cioè di rappre-sentare in giudizio altre persone. L’infamia, inoltre, privava il cittadino del iussuffrágii e del ius honórum.

C) Addicti e nexi

Addicti erano i debitori inadempienti, i quali venivano con la manus iniéc-tio asserviti al proprio creditore. Questi aveva la facoltà di tenerli in catene nelsuo carcere privato o venderli come schiavi o ucciderli.

Nexi erano i debitori consegnatisi volontariamente al creditore a garanziadel proprio debito, con la facoltà di riscattarsi prestando a suo favore servizi.

La condizione di addictus scomparve in epoca classica, per il prevaleredell’esecuzione patrimoniale introdotta dal pretore; quella di nexus fu abolitadalla lex Poetelia Papiria del 326 a.C.

D) Limitazioni alla capacità di contrarre matrimonio

Fino al V secolo a.C. i plebei furono privi del conubium (o ius conubii) neiconfronti dei patrizi: non potevano, cioè, contrarre matrimonio con questi

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23I soggetti di diritto 23

ultimi; la lex Canuleia del 445 a.C. abolì tale limitazione, concedendo la pos-sibilità di contrarre liberamente le nozze tra patrizi e plebei.

E) Limitazioni della capacità collegate all’esercizio di particolari mestieri

Oltre ai mestieri «turpi» (lanista, gladiatore, lenone, becchino etc.), va ri-cordato che per altri, come quello di fabbro, pompiere, minatore, tessitore emugnaio, vigeva in epoca postclassica il principio dell’appartenenza coatti-va, nel senso che chi svolgeva tale attività non poteva intraprenderne altra, ela stessa si trasmetteva anche ai discendenti.

Il colonato

Tra i mestieri che importavano una diminuzione della capacità giuridica, menzione a partemerita il colonato (da cólere, coltivare), che determinava una situazione di quasi-servitù, pergli addetti alla coltivazione del fondo.Si diventava coloni per nascita; più precisamente si diventava coloni anche se era tale unosolo dei genitori. Se poi i genitori appartenevano a due diversi padroni, i figli erano divisi inparti uguali tra essi; in caso di numero dispari, il figlio in più spettava al padrone dellamadre.Si poteva diventare coloni per volontaria sottomissione al padrone del fondo, per prescrizione(vivendo, cioè, per trenta anni come colono), per mendicità e, infine, a seguito di un provve-dimento di assegnazione emanato dal princeps.Il colono aveva piena capacità, ma non poteva abbandonare il fondo: se lo abbandonava,poteva essere rivendicato dal dóminus del fondo come se si fosse trattato di servus fugitívus.Egli non poteva esser liberato con l’affrancazione: affinché divenisse libero occorreva che ilpadrone gli cedesse una parte del fondo cui era assegnato, oppure che si facesse reclutarenell’esercito o anche che accedesse agli ordini sacri.

F) Sesso

Nell’ordinamento patriarcale romano, in cui aveva una notevole importan-za la potéstas del pater familias, le donne si trovavano in stato di netta inferio-rità rispetto agli uomini. La donna era esclusa da ogni partecipazione alla vitapubblica e anche una volta raggiunta la pubertà continuava ad essere consi-derata parzialmente incapace per cui, uscita dalla tutela degli impuberi, rica-deva sotto la speciale tutela mulierum.

L’auctoritatis interpositio del tutore era, però, richiesta solo per gli atti più importanti; ades.: agire in giudizio, alienare res mancipi, fare testamento.

Nei primi tempi dell’Impero si ammise che le donne potessero ricevere o disporre per testa-mento, decadde l’istituto della tutela e si permise alle donne di sollevare accuse private.

G) Appartenenza a determinate religioni

Nell’epoca pagana il credo religioso non influiva sullo stato delle persone, dalmomento che tutti i culti erano tollerati.

Al contrario la religione cristiana trovò a Roma ostilità per il rifiuto, oppo-sto dai fedeli, di onorare l’imperatore come se fosse una divinità. Tale atteg-giamento rientrava tra i crimina pubblica: era considerato, infatti, crimenmaiestatis punibile con la pena capitale.

Dopo l’Editto di Costantino del 313 d.C., con cui veniva sancito il trionfo del cristianesimo,vennero meno le dette sanzioni.

H)Infermità fisiche e mentali

Alcune infermità fisiche, se permanenti, davano luogo ad incapacità.Gli impotenti e gli evirati non potevano contrarre matrimonio.Il sordomuto, il sordo e il muto non potevano compiere il testamento orale.

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24 Capitolo Primo24

In generale i sordomuti erano incapaci di compiere qualsiasi atto solennedel ius civile dal momento che non potevano porre in essere tutte quelle for-malità e quelle dichiarazioni orali necessarie all’esistenza dell’atto.

Per le infermità mentali, i Romani non sancirono regole generali, ma di-sciplinarono solo alcune ipotesi:

a) il furiosus (pazzo) era del tutto incapace di agire ed era sostituito nella suaattività da un curator furiosi: poiché l’infermità di mente non si ritenevadesse luogo ad uno stato di incapacità permanente, l’atto del furiosus eraritenuto valido se compiuto durante un lucido intervallo;

b) il mentecáptus cioè il soggetto che si fosse fatto per debolezza condizio-nare in ordine al testamento era equiparato al furiosus;

c) il pródigus (soggetto affetto da prodigalità) era equiparato al furiosus, per-deva il ius commercii ed era sottoposto a curatela, dopo che il magistrato,constatata la prodigalità, pronunciava la sua interdictio.

d) per analogia con il furiosus e con il pródigus, erano incapaci e sottoposti acuratéla i débiles, cioè coloro che per una qualsiasi ragione non potevanobene occuparsi del proprio patrimonio.

CAPACITÀ DI AGIRE

Acquistopubertas

sesso maschilenormalità psichica

Limitazioni

Mera capacità di agire

14 anni (uomini)12 anni (donne)

no atti leciti

responsabilità atti illecititestamenti factio attiva

intervento tutore

donna pubere

infamesaddictinexiauctorati (gladiatori che giuravano ad un impresario di partecipa-

re a tutti i ludi che avesse voluto)redempti ab hostibus (cittadini riscattati dai nemici di guerra)furiosusprodigusdebiles personae (muti, sordi, ciechi)

minori di 25 anni curatela (età classica)tutela (età postclassica)

soggetti alieni iuris(filii familiarum, liberi inmancipio,uxores in manu, servi)

atti di incremento del patrimo-nium del pater o del dominus

atti di depauperamento del patri-monium del pater o del dominus

assunzione di obbligazioni in pro-prio

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