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AVVOCATO QUADERNI dell’ ASPIRANTE i 54A/13 Gruppo Editoriale Simone E IMON S EDIZIONI GIURIDICHE MANUALE DI BASE PER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO IN APPENDICE GLI ARGOMENTI OGGETTO DI DOMANDA D’ESAME III Edizione Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet

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AVVOCATOQUADERNI dell’ ASPIRANTEi 54A/13

Gruppo Editoriale Simone EIMONSEDIZIONI GIURIDICHE

MANUALE DI BASEPER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE

DIRITTOINTERNAZIONALEPRIVATO

IN APPENDICE GLI ARGOMENTIOGGETTO DI DOMANDA D’ESAME

III Edizione

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’operaappartengono alla SImonE S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

I Quaderni dell’aspirante AvvocatoAltri titoli disponibili:

Vol. 54A/1 Diritto del lavoroVol. 54A/2 Diritto costituzionaleVol. 54A/3 Diritto penaleVol. 54A/4 Diritto amministrativoVol. 54A/5 Diritto civileVol. 54A/6 Diritto commercialeVol. 54A/7 Diritto processuale penaleVol. 54A/8 Diritto processuale civileVol. 54A/9 Diritto ecclesiasticoVol. 54A/10 ordinamento e deontologia forenseVol. 54A/11 Diritto comunitarioVol. 54A/12 Diritto tributario

Questa edizione è stata curata dalla dott.ssa Arianna Catta

Revisione del testo a cura della dott.ssa Emma Cosentino

Finito di stampare nel mese di giugno 2012dalla «Litografia Enzo Celebrano» - Via Campana, 234 - Pozzuoli (napoli)

per conto della SImonE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREmESSA

Già da prima che fossero istituiti i nuovi esami per procuratore, poi av-vocato, le Edizioni Simone hanno preso a cuore le esigenze degli aspiranti avvocati pubblicando una serie di fortunati testi di preparazione agli esami.

Si è posta attenzione ai volumi indirizzati alle prove orali in quanto, il candidato, all’atto della preparazione, già possiede le nozioni di base, e, quindi, necessita più che di testi istituzionali, di lavori sistematici e riassuntivi che gli consentano di «riorganizzare» le sue conoscenze in vista dell’esame.

Ciò soprattutto in considerazione dei tempi di studio, sempre più stretti, e dei potenziali interlocutori che fondano le loro conoscenze sulla pratica professionale più che su un sapere accademico, modificando così l’ottica di inquadramento dei singoli istituti.

Sulla base di tali convinzioni, e monitorando il sito e il forum di www.sarannoavvocati.it, i nostri autori hanno tenuto presente le indicazioni di quanti hanno superato con esito positivo le prove e, richiamandosi a Giusti-niano, hanno tagliato «il troppo e il vano».

nasce così, dal ponderoso e già ben affermato volume collettaneo «L’esa-me di avvocato», un’ultima generazione di testi: i Quaderni per l’esame di avvocato.

In particolare il Quaderno di diritto internazionale privato oltre a costituire un sintetico ma completo testo per la preparazione del programma d’esame, presta particolare attenzione alla disciplina comunitaria e agli orientamenti giurisprudenziali in vista di una formazione più attuale e professionale.

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Tali quesiti formulano l’argomento in termini di una risposta esaustiva e centrata operando anche collegamenti, paralleli e differenze con istituti affini.

Anche i Quaderni, dunque, si giovano della esperienza Simone per offrire il prodotto «giusto» al momento «giusto».

A proposito…anche il prezzo ci sembra «giusto» per la soddisfazione totale dei nostri lettori.

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Introduzione

Nozione e sviluppo storico del diritto internazionale privato

1. L’EsprEssIonE dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto

A) origine e fondamento della disciplina

Il termine «diritto internazionale privato» (d.i.p.) indica il complesso del-le norme giuridiche dello stato che regolano quei rapporti privatistici che presentano elementi di estraneità rispetto ad esso.

non si tratta di una disciplina analoga al vero e proprio diritto internaziona-le, ma, piuttosto, di norme che, pur essendo destinate a disciplinare rapporti e fattispecie che hanno punti di contatto con altri paesi, fanno parte dell’ordina-mento giuridico di un determinato Stato ed hanno valore esclusivamente in esso.

La locuzione diritto internazionale privato (d.i.p.) fu elaborata per la prima volta dal giurista nordamericano J. Story nella sua opera «Commentaries on the Conflict of Laws» del 1834 e solo in un secondo momento tale espressione cominciò ad essere usata anche negli ambienti giuridi-ci europei.

L’esigenza, avvertita in ogni Stato, di creare un sistema di d.i.p. nasce dall’esi-stenza di una serie di fatti e rapporti giuridici che appaiono collegati con una pluralità di ordinamenti.

È il caso, ad es., di un matrimonio celebrato in Italia tra cittadini tedeschi ovvero di una compravendita immobiliare stipulata in Italia ma avente ad og-getto beni siti in Spagna.

In presenza di rapporti di questo tipo si determina, inevitabilmente, un po-tenziale concorso tra le norme dei diversi ordinamenti giuridici che appaiono collegabili, per un verso o per l’altro, alla fattispecie.

Le norme di d.i.p. vengono definite, allora, come quelle con cui ciascuno Stato risolve, a suo modo, tale conflitto, stabilendo in quali casi il rapporto do-vrà essere disciplinato dalle proprie norme e in quali, invece, dovranno esse-re applicate, ritenendosi prevalente il collegamento esistente tra il rapporto ed un altro paese, norme di un diritto straniero.

In tale prospettiva, dunque, ben si comprende come talvolta, in luogo di d.i.p., si sia parlato, per designare la medesima disciplina, di «conflitto di norme» o, più propriamente, di «norme di conflitto».

B) Improprietà della locuzione

Ciò premesso, non sorprende che debba considerarsi tecnicamente inesat-ta la locuzione d.i.p., atteso che le disposizioni che ne fanno parte sono, in re-altà, norme di diritto interno al pari di tutte le altre che ciascuno Stato emana in campo civile, penale, commerciale etc.

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Le norme di d.i.p. si caratterizzano rispetto alle altre, infatti, non per ori-gine o natura giuridica ma, piuttosto, per oggetto e funzione.

In questo senso una connotazione di internazionalità può essere individua-ta nella circostanza che tali norme regolano soltanto fattispecie e rapporti ca-ratterizzati, come abbiamo già detto, da elementi di estraneità, ovvero da pun-ti di contatto (cittadinanza, luogo di svolgimento del rapporto etc.) con ordi-namenti giuridici stranieri.

Ciò non toglie, però, che si tratta comunque di norme interne emanate dal legislatore nazionale per disciplinare autonomamente determinate situa-zioni.

né può considerarsi del tutto esente da critiche la locuzione, talvolta usa-ta in alternativa a quella di d.i.p., di «norme di conflitto», in quanto le nor-me di d.i.p. sono emanate dal legislatore interno in base a considerazioni di opportunità economica, politica e sociale che nulla hanno a che vedere con la necessità di comporre un presunto conflitto tra la propria legislazione e quel-la di altri Stati che, in effetti, è soltanto apparente.

C) Le definizioni più corrette

Sembra più corretta, invece, quella definizione, particolarmente diffusa nella dottrina anglosassone che, nel definire le norme in questione, si basa sul particolare modo in cui le stesse operano.

Sotto questo aspetto, infatti, esse si caratterizzano per il fatto che, in-vece di regolare direttamente un rapporto, si limitano a designare quale le-gislazione, tra tutte quelle che presentano punti di contatto con la fattispe-cie, dovrà provvedere alla sua disciplina. Si parla, allora, di «scelta di leg-ge» e di «norme di scelta di legge» proprio per sottolineare tale carattere (VITTA).

Altri ancora, forse più correttamente, parlano di diritto interno in mate-ria internazionale per evidenziare che tali norme, interne dal punto di vista della fonte di produzione e dell’ambito di applicazione, sono però destinate a regolare rapporti e fattispecie che sono in qualche modo collegati ad una plura-lità di Stati.

Ciò non toglie, comunque, che in considerazione del carattere tradiziona-le che, con l’uso costante, ha finito per assumere, si continui anche in dottri-na a fare largo uso, pur nella consapevolezza della sua imprecisione, dell’espres-sione d.i.p.

2. IL dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto dALLE orIgInI Ad oggI

A) origini del d.i.p.Dal punto di vista scientifico di d.i.p. si comincia a parlare soltanto nel XIX secolo, grazie al

contributo teorico di giuristi come lo Story, il Savigny e l’italiano P. Stanislao mancini.Tuttavia l’esigenza di predisporre una disciplina giuridica speciale per quei rapporti econo-

mico-sociali che coinvolgevano soggetti e/o beni collocati nell’ambito di comunità politiche di-verse si era già manifestata anche in epoche più remote.

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Così, ad esempio, nel sistema del diritto romano, tale esigenza, ampiamente avvertita in con-siderazione del notevole volume dei traffici economici internazionali, venne soddisfatta attraver-so l’elaborazione giurisprudenziale del c.d. «ius gentium», ovvero di un sistema di regole destina-te, per l’appunto, a disciplinare rapporti connotati da elementi di estraneità rispetto alla civitas romana. L’ambito di applicazione di tali norme era, peraltro, ristretto all’area dei rapporti com-merciali.

B) gli statutiDopo la parentesi delle invasioni germaniche, caratterizzate dall’applicazione contempora-

nea di più leggi in funzione della stirpe di chi ne invocava l’applicazione, la funzione propria del d.i.p. viene svolta dal c.d. ius commune inteso come sistema giuridico tendenzialmente univer-sale risultante dalla rielaborazione, ad opera dei giuristi medievali, del diritto romano giustinianeo e, in special modo, del Corpus iuris civilis.

È proprio grazie a tale rielaborazione (nella quale un ruolo di primissimo piano spetta ai giu-risti italiani) che vengono risolti i problemi di coordinamento tra gli statuti locali.

Con la locuzione statutum si designava, a partire dall’XI secolo, ogni norma giuridica emana-ta dall’organo (in genere lo stesso sovrano) dotato del potere legislativo.

Si trattava, in sostanza, del diritto «nuovo» rispetto a quello intricato e pluristratificato siste-ma di regole giuridiche di origine tradizionale al quale si era soliti fare riferimento.

L’affermarsi del diritto statutario finì per avere una benefica influenza anche sull’elaborazio-ne di regole di d.i.p.

Ciò avvenne per un meccanismo semplice ed inevitabile: a causa della frammentazione poli-tica dell’epoca, gli statuti finivano spesso per divergere anche tra territori (o addirittura città) as-sai vicini e ciò fece rapidamente sorgere il problema del loro coordinamento che venne risolto grazie al ricorso allo ius commune.

In altre parole i giuristi, soprattutto italiani, tra i quali si ricordano Carlo Di Tocco, Accursio e Bartolo da Sassoferrato, individuarono le norme per risolvere i conflitti tra i diversi statuti nel si-stema del Corpus iuris civilis, fatto oggetto, per l’occasione, di interpretazioni assai libere e cre-ative.

3. IL dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto nEL XX sECoLo

È soltanto in epoca moderna, per effetto anche del fenomeno della codifi-cazione giuridica, che il d.i.p. acquista, anche dal punto di vista scientifico-dogmatico, specificità ed autonomia rispetto agli altri settori del diritto.

Tra i giuristi che hanno dato un contributo decisivo allo sviluppo degli stu-di internazionalprivatistici, spiccano su tutti, sino quasi a meritare la qualifica di «padri fondatori» della disciplina, i nomi di story, savigny, Mancini e pil-let.

Ad essi si riconducono diverse ricostruzioni del fenomeno del d.i.p.:

La concezione moderna Apporto di Story

(1779-1845)

• Commentaries on the Conflict of Laws, Foreign and Domestic (1834), relativo alle problematiche afferenti al diritto inglese in ordine ai conflitti di legge.

• denominazione diritto internazionale privato

• lo Stato deve acconsentire, in maniera espressa o tacita ma sempre con un suo atto d’autorità, all’applicazione di una legge straniera nel suo territorio

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Introduzione88

La concezione moderna

Apporto di Story (1779-1845)

• occorre fissare un complesso di regole con validità universale, in modo che una stessa controversia possa avere la mede-sima valutazione

• la legge più conveniente per il rappor-to è quella concretamente applicabile. occorre, allora, individuare il punto di gravità che è il risultato di un’indagine sulla localizzazione del rapporto: ad es: il luogo in cui si trova la cosa oggetto del rapporto, il luogo del domicilio del sog-getto nel caso di questioni attinenti alle persone, il luogo in cui un’azione è acca-duta o deve accadere

• la nazionalità è il fondamento del dip e quindi va preferito il criterio della citta-dinanza

• alla base del sistema del dip c’è il prin-cipio del dovere obbligatorio di giusti-zia internazionale

Apporto di Pa-squale S. mancini

(1817-1888)

• distinzio-ne tra di-ritto priva-to necessa-rio e dirit-to privato volontario

— diritto necessario, re-lativo al diritto di fami-glia, ai diritti personali e al diritto successorio, regolato dalla legge del-lo Stato della cittadi-nanza (principio di nazionalità)

— diritto volontario, rela-tivo alle obbligazioni, ove era ammessa la possibilità di scelta del-la legge applicabile (principio di libertà).

— Al di fuori del diritto privato, a valere è il principio di sovranità: stranieri e cittadini sono assoggettati alle stesse norme di diritto interno per quanto at-tiene il diritto penale ed il diritto pubblico

• ricerca dell’armonia nelle soluzioni di dip, tramite l’adozione di norme unifor-mi quale interesse di ciascuno Stato

• principio di assoluta parità di tutti gli ordinamenti e quindi strutturazione della norma di dip in maniera neutra e bila-terale

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La concezione moderna Apporto di Pillet

• principio dello scopo sociale della legge. Se lo scopo è la protezione della persona, allora la legge avrà applicazio-ne extraterritoriale; viceversa, se si protegge un interesse sociale l’applica-zione avrà dimensione territoriale

4. IL sIstEMA ItALIAno dI dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto

A) Evoluzione storica e nuova legge

Il sistema italiano di diritto internazionale privato è stato costituito per lun-go tempo, e fino alla approvazione della legge 31 maggio 1995, n. 218, da un numero piuttosto esiguo di disposizioni contenute in varie fonti normative.

Il nucleo fondamentale era rappresentato dagli artt. 17-31 delle disposizio-ni sulla legge in generale premesse al codice civile.

Altre disposizioni, peraltro, si ritrovavano nel codice civile, in quello di pro-cedura civile e nel codice della navigazione (artt. 1-14).

Quanto ai contenuti ed ai principi informatori, inoltre, il sistema previgen-te di diritto internazionale privato appariva ancora fedele al modello, formu-lato da Mancini per il codice civile del 1865, caratterizzato da una parità tra diritto interno e diritto straniero temperata da numerosi eccezioni e, quanto alle regole per l’individuazione del diritto applicabile, dalla prevalenza del cri-terio della nazionalità.

Col tempo tale complesso normativo si è rivelato sempre più inadeguato a disciplinare e governare giuridicamente la tumultuosa crescita dei rapporti intersoggettivi, patrimoniali o meno, che presentano elementi di collegamen-to con una pluralità di paesi.

Questo sia per l’eccessivo valore attribuito al criterio della nazionalità sia per l’estrema laconicità della disciplina positiva.

Basti pensare alla regolamentazione previgente delle obbligazioni contrat-tuali, tutte affidate ad una sola, scarna disposizione (art. 25 preleggi) che, ol-tretutto, nel privilegiare il criterio della nazionalità delle parti, se comune, ov-vero quello del luogo di perfezionamento del contratto, irragionevolmente non prendeva in considerazione alcuna il luogo in cui doveva trovare prevalente esecuzione la prestazione.

È il caso, ad esempio, del contratto concluso tra una potente multinazionale americana, con sede legale in Svizzera, e un fornitore italiano per la prestazione di materie prime (olio) destina-te ad uno stabilimento industriale alimentare di prodotti indirizzati al mercato statunitense che, pur facendo capo alla predetta multinazionale, si trova in America Latina. orbene, ai sensi dell’abrogata normativa, tale attività avrebbe dovuto essere regolata, in caso di proposta accetta-ta dall’impresa italiana con un fax indirizzato alla sede legale della multinazionale, dal diritto svizzero ovvero dall’ordinamento di un paese totalmente estraneo in termini economici e sostan-ziali alla vicenda in esame.

A ciò si aggiunga che alcune disposizioni delle preleggi (artt. 18 e 20) erano state dichiarate costituzionalmente illegittime perché ispirate, per la prevalen-za riconosciuta alla legge nazionale del marito, a principi incompatibili con

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il divieto di discriminazione sessuale e con la tutela dell’uguaglianza tra i co-niugi (cfr. sentenze 71 e 477 del 1987 della Corte Costituzionale).

Per la perdurante assenza di un intervento legislativo organico, pure inten-samente sollecitato da vasti settori della dottrina e degli operatori economici e del diritto effettivamente interessati a tale area di attività, una prima forma di arricchimento e rinnovamento del sistema di diritto internazionale priva-to italiano è passata soltanto attraverso il ricorso alle fonti convenzionali.

L’Italia, infatti, ha aderito a numerose convenzioni internazionali dirette a sostituire, nei rapporti tra le parti contraenti ed in specifiche materie, le norme di diritto internazionale privato dei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali.

E, a tal proposito, proprio in tema di obbligazioni contrattuali, quello, for-se, più insofferente al sistema di matrice ottocentesca previgente, si era regi-strata, con la legge 18 dicembre 1984, n. 75, l’adesione dell’Italia alla fonda-mentale Convenzione di roma del 19 giugno 1980, che, per la sua efficacia tendenzialmente universale, aveva finito per sostituire ed abrogare, di fatto, quasi per intero, la norma dell’art. 25 delle preleggi. non deve sorprendere, allora che, accanto alla moltiplicazione degli accordi internazionali di diritto internazionale privato, in questi anni molti ordinamenti giuridici abbiano ri-formato, in tutto o in parte, il loro sistema nazionale di diritto internaziona-le privato (ad es. Svizzera, Spagna, Portogallo etc.).

Finalmente, proseguendo e portando a definitivo compimento un disegno di legge già presentato nel corso della precedente legislatura, si è pervenuti all’approvazione della legge 218/1995 che, con i suoi 74 articoli, si pone come un vero e proprio codice, per la prima volta raccolto in unico testo di legge, del diritto internazionale privato e processuale italiano.

Infine, occorre ricordare le convenzioni internazionali, specifiche o genera-li, che contengono norme di conflitto (o anche norme di conflitto), insieme a norme di altro tipo.

La struttura della legge fondamentale del nuovo diritto internazionale pri-vato italiano si articola in quattro gruppi funzionali di norme:

— il primo (Titolo I, artt. 1-2) stabilisce e delimita la sfera di operatività della legge che, fermo restando il rispetto delle eventuali diverse regole sancite da convenzioni internazionali alle quali l’Italia aderisce o aderirà, discipli-na in modo organico ed esaustivo (finalmente) sia il diritto internazionale privato propriamente detto che il diritto processuale civile internazionale.

Complementare a tale finalità di coordinamento e sintesi della materia è la disposizione dell’art. 73 che prevede l’abrogazione di norme preesistenti sparse tra le preleggi (artt. 17-31), il codice civile (artt. 2505 e 2509) e di procedura civile (artt. 2, 3, 4, 37 e 796-805);

— il secondo gruppo di norme (Titolo II, artt. 3-12) costituisce il nuovo siste-ma del diritto processuale civile internazionale.

Tali disposizioni, cioè, disciplinano lo svolgimento del processo civile allor-quando lo stesso coinvolge persone (attore, convenuto), fatti, atti, beni o provvedimenti che presentano elementi di estraneità ovvero punti di contat-to con ordinamenti giuridici diversi da quello in cui si svolge il processo;

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— un altro e più numeroso insieme di norme (Titolo III) è quello costituito dalle norme di conflitto vere e proprie, cioè quelle che, per le diverse tipo-logie di rapporti con elementi di estraneità, stabiliscono a quale ordina-mento giuridico fare riferimento.

Quest’area corrisponde a quella storica e tradizionale del diritto interna-zionale privato;

— l’ultimo gruppo di norme (Titolo IV) regola le condizioni e procedure alle quali è subordinato il riconoscimento dell’efficacia anche nel nostro paese di sentenze e atti stranieri.

B) diritto transitorioLe disposizioni transitorie sono contenute nel Titolo V (artt. 72-74).Proprio in riferimento al diritto transitorio, rispetto al quale sono sorti i primi problemi ap-

plicativi ed interpretativi della legge di riforma, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che le norme del nuovo sistema di diritto internazionale privato trovano applicazione in tutti i giudi-zi iniziati successivamente all’entrata in vigore della legge 218/1995 anche se riferiti a rapporti giuridici di fatto sorti prima di tale epoca.

A tale principio di parziale retroattività sostanziale si deroga, con conseguente applicazione del vecchio sistema, solo in riferimento a situazioni giuridiche che possono dirsi «esaurite» che si identificano in quelle definitivamente accertate in sede giurisdizionale o in quelle che abbiano già compiutamente realizzato tutti i loro effetti (cfr. Cass., I sez., n. 12538 del 12-11-1999).

Così, ad esempio, i criteri di collegamento richiamati dall’art. 57 della legge 218/1995 trove-ranno applicazione anche ai contratti stipulati prima del 1996 purché essi debbano trovare, in tutto o in parte, esecuzione successivamente alla data di entrata in vigore della nuova legge ov-vero sorga, in tale epoca, controversia giudiziaria.

5. dIsCIpLInE AffInI E rApportI Con IL dIrItto IntErnAzIo-nALE prIvAto

Al d.i.p. possono essere affiancate altre discipline giuridiche.Vengono in considerazione, principalmente il diritto penale internazionale;

il diritto amministrativo internazionale; il diritto processuale civile internazio-nale.

Tutte queste discipline, insieme al d.i.p., costituiscono il c.d. diritto statale ester-no o, come anche si suole dire, il diritto interno in materia internazionale.

La differenza tra il d.i.p. vero e proprio e queste altre discipline sta in ciò che il primo adotta, per regolare i rapporti con elementi di estraneità, un mez-zo tecnico particolare, consistente nel rinvio ad una serie indeterminata di or-dinamenti giuridici, mentre le altre discipline sono costituite da norme che provvedono direttamente a disciplinare i rapporti che presentano, in materia penale, processuale, amministrativa etc., elementi di collegamento con altri ordinamenti giuridici.

Sono stati fatti numerosi tentativi per mettere le norme del d.i.p. in una qualche relazione con quelle di diritto internazionale pubblico.

Secondo alcuni, il legislatore statale, formulando le norme di d.i.p., svolge la stessa funzione di delimitazione dei vari sistemi giuridici nazionali che svol-ge il legislatore internazionale. ne consegue che alle norme di d.i.p. dovrebbe riconoscersi, quantomeno sotto questo aspetto, natura internazionale.

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La prevalente dottrina, peraltro, è del parere che tra diritto internazionale pubblico e privato vi sia una sostanziale ed insopprimibile differenza, ricondu-cibile alla diversa funzione che le due discipline svolgono.

Il d.i.p. è costituito da un insieme di norme giuridiche che, in ciascuno Stato, individuano la legge applicabile alle fattispecie caratterizzate appunto da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento statale in questione.

Il diritto internazionale pubblico è, invece, il diritto della comunità degli Sta-ti ed è costituito da norme che si formano al di sopra (e non all’interno) degli Stati. Si tratta di disposizioni che, scaturendo dall’ordinamento dell’intera co-munità internazionale, ciascun paese si impegna, con le proprie norme inter-ne a rispettare, anche con norme di carattere costituzionale (cfr. ad es. art. 10 Cost. italiana).

Il diritto penale internazionale

nell’ambito del diritto interno in materia internazionale una particolare considerazione deve essere riservata, per un duplice ordine di motivi, al diritto penale internazionale ovvero a quel-le norme del diritto penale interno che regolano le fattispecie criminose connotate da elementi di estraneità (o meglio di collegamento con altri Stati) e la collaborazione processuale penale tra più Stati.Questa particolare attenzione può dirsi giustificata dall’allarmante sviluppo della criminalità organizzata la cui attività sempre più spesso si sviluppa su scala internazionale o, addirittu-ra, mondiale (ad es. traffico internazionale di armi o stupefacenti, centrali terroristiche, etc.).Il principio fondamentale cui si è ispirato il legislatore del codice di procedura penale è quel-lo della prevalenza sulle norme del codice, delle norme di origine internazionale.L’art. 696 c.p.p. stabilisce, infatti che le norme del codice trovano applicazione soltanto in via sussidiaria, quando cioè la materia non è regolata dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 o dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale.In effetti nell’ambito del diritto penale internazionale è possibile individuare due aree omogenee.Da un lato si pongono le norme che delimitano l’ambito di applicazione della legge penale so-stanziale, definendo i criteri in base ai quali individuare la normativa (nazionale o straniera) applicabile ad attività criminose che presentano elementi di estraneità (ad es. omicidio di un cittadino italiano commesso da un cittadino francese in territorio statunitense).Dall’altro si possono raccogliere le disposizioni più strettamente processuali penali, che rego-lano la cooperazione tra gli Stati nella repressione dei reati (mAnToVAnI).A quest’ultimo gruppo debbono ricondursi le norme in materia di estradizione, rogatorie in-ternazionali, riconoscimento di efficacia di sentenze pronunciate da giudici stranieri.Il principio fondamentale al quale si ispirano le norme del diritto penale internazionale so-stanziale italiano è quello della territorialità, in forza del quale la legge penale nazionale si ap-plica a tutti coloro, cittadini o stranieri, che commettono reati nel territorio dello Stato (art. 6 c.p.).Tale principio, che appare espressione dell’idea di sovranità territoriale dello Stato, viene però derogato, in alcuni casi, in ossequio ai principi della difesa dello Stato e dei suoi cittadini non-ché delle altre comunità.Così, ad es., l’art. 10 c.p. consente la punizione secondo la legge italiana, a condizione che l’autore del fatto si trovi nel territorio dello Stato, del cittadino straniero che, al di fuori del territorio italiano, abbia commesso un delitto in danno di un cittadino italiano punito con la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno (ad es. rapina).

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6. IL dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto ConvEnzIonALE

A) generalità

Poiché ciascun ordinamento statale predispone, per proprio conto, un si-stema autonomo di d.i.p., può ben accadere che, in alcune materie, i diversi ordinamenti statali adottino regole di risoluzione, dei problemi posti dalle fat-tispecie che presentano elementi di estraneità, differenti o, addirittura, con-trapposte. Ciò è fonte di conflitti giurisdizionali gravemente pregiudizievoli per la certezza del diritto il cui valore va difeso anche sul piano dei rapporti privati che si collocano in più ambiti nazionali.

non sorprende, quindi, che venga perseguito, con sempre maggiore intensità, l’obiettivo di pervenire ad una unificazione convenzionale del d.i.p. degli sta-ti.

Vengono cioè stipulati tra più Stati dei veri e propri trattati internazionali aventi lo scopo di unificare, in un determinato settore, le norme di d.i.p. degli Stati parti di tale accordo internazionale che hanno l’obbligo di emanare nel proprio ordinamento le norme di d.i.p. concordate.

È il caso, ad esempio, delle numerose convenzioni dell’Aja in materia di adozione (1965), testamento (1961), divorzio (1902 e 1971), della Convenzio-ne di Roma sulle obbligazioni contrattuali (1980).

L’uniformità è anche lo scopo dell’UnIdroIt (l’istituto Internazionale per l’unificazione del d.i.p.) cui aderiscono oltre 60 Stati la cui finalità istituzio-nale è per l’appunto studiare, elaborare e predisporre nuove regole di d.i.p.

B) Il diritto internazionale privato dell’Unione europea

nel tempo è divenuto sempre più frequente, nel campo del diritto interna-zionale privato e processuale, l’intervento del legislatore comunitario.

Se, inizialmente, esso era circoscritto alle materie che potevano apparire più strettamente funzionali all’effettiva garanzia della libera circolazione dei beni e dei servizi,con la progressiva trasformazione dell’Unione Europea da mera Comunità economica e commerciale a vera e propria unione politica tra Stati sovrani, la competenza dell’Unione si è estesa grandemente.

Al processo di unificazione del d.i.p. a livello dell’Unione Europea ha dato ulteriore accelerazione l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha mo-dificato il Trattato istitutivo della Ce in Trattato sul funzionamento dell’Unio-ne Europea (TFUE). L’art. 81 del TFUE, infatti, affida all’Unione il compito non solo di sviluppare la cooperazione giudiziaria in materia civile fondata sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziarie ma anche di adottare misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. A tale scopo lo strumento, più diretto ed efficace, è quello del regolamento.

Come è noto tale tipo di provvedimento normativo, a differenza della diret-tiva, ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamen-te applicabile nel territorio degli Stati membri,senza che sia necessaria alcuna attività di ratifica o recepimento del legislatore nazionale di ciascun paese.

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Introduzione1414

Dal punto di vista della gerarchia delle fonti, inoltre, ai regolamenti si ricono-sce, nelle materie riservate alla competenza comunitaria dei trattati istitutivi, for-za di legge con prevalenza sulle leggi statali incompatibili ancorché successive.

Regolamenti in tema di diritto internazionale privatoReg. CE 1346/2000 in tema di procedure di insolvenza;Reg. CE CE 44/2001 sulla giurisdizione e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e com-merciale (cd. Bruxelles I);Reg. CE CE 2201/2003 in materia di competenza,riconoscimento ed esecuzione delle decisio-ni in materia matrimoniale e di potestà sui figli (cd. Bruxelles IIbis) che abroga il reg. 1347/2000;Reg. CE CE 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati;Reg. CE CE 1896/2006 istitutivo di un procedimento europeo di ingiunzione di pagamento;Reg. CE CE 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità;Reg. CE CE 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (cd. Roma II);Reg. CE CE 1393/2007 relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, che abroga il Reg. 1348/2000; Reg. CE CE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale(cd. Roma I);Reg. CE CE 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’ese-cuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari (tale regolamento prevale, in ra-gione della materia, sul Reg. 44/2001 e sul Reg. 805/2004);Reg. CE UE 1259/2010 relativo all’attuzione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.

È chiaro, in definitiva, che il cd. diritto internazionale privato comunita-rio, anche alla luce dell’enorme allargamento del numero degli Stati membri, costituisce una realtà dalla quale nessun studioso della materia potrà mai più prescindere.

Per questo motivo la dottrina, già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, parlava di comunitarizzazione del diritto internazionale privato e processuale.

Capitolo Primo

Nozione, oggetto, fonti e funzioni del diritto internazionale privato

1. nozIonE Ed oggEtto

Il diritto internazionale privato comprende il complesso delle norme giu-ridiche con le quali uno Stato regola i rapporti privatistici che presentano ele-menti di estraneità rispetto ad esso.

Si tratta di norme che, pur essendo destinate a disciplinare rapporti e fat-tispecie che hanno punti di contatto con altri paesi, fanno parte dell’ordina-mento giuridico di un determinato Stato ed hanno valore esclusivamente in esso.

È il caso, ad esempio, di un matrimonio celebrato in Portogallo tra cittadini italiani ovvero di una successione nel patrimonio di un cittadino tedesco in cui siano compresi beni immobili che si trovano in Italia. In tutte le ipotesi di questo tipo vi sono, rispetto all’ordinamento giuridi-co italiano:

— elementi di collegamento (nel caso dell’esempio la cittadinanza dei nubendi o la sede degli im-mobili ricompresi nell’asse ereditario);

— elementi di estraneità (luogo di celebrazione del matrimonio o nazionalità del de cuius).

orbene in presenza di fattispecie di questo tipo l’ordinamento di uno Sta-to può atteggiarsi in maniera diversa a seconda della maggiore o minore rile-vanza accordata all’elemento di estraneità:

1) in una prima ipotesi, l’ordinamento può considerare l’elemento di estraneità così rilevante da disinteressarsi completamente della regolamentazione giu-ridica del fatto.

Così, ad esempio, il nostro ordinamento non prende in alcuna considerazione la disciplina dei rapporti coniugali (salvo ipotesi di reato) di due turisti svedesi temporaneamente in Ita-lia.

In questo caso l’elemento di estraneità, rappresentato dallo svolgersi dell’at-tività in territorio estero, è stato ritenuto assorbente ed esclusivo di ogni re-golamentazione giuridica da parte del nostro ordinamento;

2) una seconda eventualità può realizzarsi, invece, quando l’elemento di estra-neità viene considerato di nessuna rilevanza di modo che il rapporto viene disciplinato interamente dall’ordinamento come se l’elemento predetto non esistesse affatto.

Tale situazione si realizza, ad esempio, nell’ipotesi della successione ereditaria di un italiano in cui tutti gli eventuali elementi di estraneità che si possono presentare (es. beni situati all’estero) finiscono per non avere alcun rilievo, atteso che la successione sarà comunque re-golata dalla legge italiana così come lo sarebbe se tali elementi non sussistessero (art. 46, L. 218/1995, che tuttavia, nel riprendere questa disposizione dell’abrogato art. 23 disp. prel. le ha affiancato la possibilità per il testatore di porvi deroga);

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Capitolo Primo1616

3) può accadere, infine, che l’elemento di estraneità agisca nel senso di deter-minare l’ordinamento ad assegnare al fatto una disciplina giuridica partico-lare, diversa da quella, che il rapporto riceverebbe qualora il suddetto ele-mento non esistesse.

2. L’oggEtto dEL dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto

Allorquando (v. amplius Capitolo Terzo) sorge l’esigenza di individuare per la fattispecie concreta una disciplina specifica, il legislatore può scegliere tra due strumenti giuridici diversi:

— in primo luogo può predisporre apposite norme che contengono, rispetto alla disciplina comune, gli adeguamenti resi necessari dagli elementi di estraneità del rapporto.

È il caso delle norme degli artt. 8, 9 e 10 del codice penale che regolano direttamente la ma-teria dei delitti commessi all’estero da cittadini italiani ovvero in danno di cittadini o dello Stato italiano;

— in secondo luogo, ed è questo il meccanismo tecnico generalmente pratica-to, l’ordinamento può disporre l’applicazione delle norme che, per quel de-terminato tipo di rapporto, hanno vigore nell’ordinamento dello Stato estero con il quale la fattispecie si presenta collegata. Il problema della disciplina giuridica di questi rapporti con elementi di estraneità viene pertanto risol-to attraverso un richiamo o rinvio a norme di altri ordinamenti statali.

Le norme che, in un certo ordinamento, al fine di regolare i fatti con ele-menti di estraneità, provvedono al suddetto richiamo di norme di ordina-menti stranieri, costituiscono quelle che si dicono in senso stretto norme di diritto internazionale privato.

oggetto delle norme di d.i.p. è, dunque, la regolamentazione dei fatti che presentano, rispetto allo Stato, uno o più elementi di estraneità.

In considerazione di questo oggetto specifico, può apparire giustificato il qualificativo «inter-nazionale» che compare nella locuzione «diritto internazionale privato».

Il qualificativo non si giustifica, invece, se con esso si intende riferirsi alla natura delle norme di d.i.p., attribuendosi tali norme al diritto internazionale in senso stretto ovvero alle norme che regolano i rapporti tra gli Stati (moRELLI). Le norme di d.i.p. restano, infatti, sotto ogni punto di vista, norme di diritto interno.

Ciò non toglie, peraltro, che possa esistere un diritto internazionale privato convenziona-le, adottato, cioè, sulla base di accordi internazionali, e quindi norme del diritto internazio-nale vero e proprio in materia di d.i.p.

3. LE fontI dEL dIrItto IntErnAzIonALE prIvAto

Le fonti del diritto internazionale privato possono essere interne o esterne.

A) fonti interne

Le norme del d.i.p. sono norme interne, di conseguenza le fonti di esse si individuano, in primo luogo, nelle normali fonti di produzione del diritto pro-prie dell’ordinamento di cui si tratta.

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nozione, oggetto, fonti e funzioni del diritto internazionale privato 17

nel nostro ordinamento la fonte principale del d.i.p., come degli altri rami del diritto, è rappresentata dalla legge.

Legge fondamentale è la 218/1995, che ha abrogato quasi tutta la prece-dente normativa; altre disposizioni sono contenute negli artt. 5-14 delle pre-leggi al codice della navigazione e negli artt. 115 e 116 c.c.

Per quanto concerne il ruolo del diritto non scritto, ovvero della consue-tudine, va evidenziato come, nel nostro ordinamento, essa abbia, nel d.i.p. come negli altri settori del diritto, una rilevanza piuttosto modesta a causa del-la presenza di un sistema di norme scritte notevolmente sviluppato.

In altri paesi, come quelli del Common law, il sistema di d.i.p. è, invece, quasi interamente fondato su principi di carattere consuetudinario.

Dalle norme consuetudinarie vanno tenuti rigorosamente distinti i principi elaborati dalla dot-trina e dalla giurisprudenza; in questa prospettiva non si può trascurare la tendenza diffusa nella più autorevole dottrina, ad individuare dei veri e propri principi generali del diritto internazio-nale privato, che funzionerebbero come punti di riferimento costanti nell’interpretazione per la risoluzione di ogni problema applicativo relativo alle norme di diritto internazionale privato.

B) fonti esterne: il diritto internazionale privato convenzionale

Proprio perché si tratta di norme interne adottate autonomamente da cia-scuno Stato vi è, in materia di d.i.p., il rischio che i diversi Stati accolgano re-gole differenti se non addirittura incompatibili. Per ridurre tale rischio, spe-cialmente in alcune materie in cui un contrasto risulterebbe particolarmente pregiudizievole (tutela dei minori, titoli di credito etc.), è stata elaborata una seconda categoria di norme di d.i.p. che vengono adottate in esecuzione di ac-cordi internazionali cui partecipano una pluralità di Stati i quali pertanto avran-no, in una determinata materia, le medesime norme di d.i.p. Si parla, con ri-ferimento a questo tipo di disposizioni, di d.i.p. convenzionale o speciale.

Va ricordato che, in virtù del tradizionale criterio «lex specialis derogat ge-nerali», le norme di d.i.p. che provengono dall’esecuzione di trattati e convenzio-ni internazionali vengono applicate a preferenza di quelle di carattere generale.

Le convenzioni di d.i.p. di cui è parte il nostro paese, sono numerose e quasi tutte multilate-rali, e tra le più significative si ricordano:

— Convenzione di Ginevra del 7 giugno 1930 sui conflitti di legge in materia di cambiale e vaglia cambiario.

— Convenzione di Ginevra del 19 marzo 1931 sui conflitti di legge in materia di assegno.— Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.— Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sulla adozione internazionale resa esecutiva con la

L. 476/1998.— Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza, la legge applicabile ed il riconosci-

mento e l’esecuzione dei provvedimenti a favore dei minori.— Convenzione dell’Aja del 13 giugno 2000 sugli istituti di protezione degli adulti.— Convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005 sulla scelta del foro.

C) Il diritto dell’Unione europea

Il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha eliminato la distinzione tra Comunità europea e Unione europea facendo riferimento ad un unico soggetto: l’Unione europea.

Capitolo Primo1818

Il trattato di Lisbona ha modificato il trattato dell’Unione europea (TUE) che mantiene la sua denominazione e il trattato CE ora denominato trattato del fun-zionamento dell’Unione europea (TFUE). Per quanto riguarda in particolare il d.i.p. l’art. 81 del TFUE attribuisce all’Unione il compito di adottare misure in-tese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Gli organi dell’Unione europea hanno la facoltà per assolvere questo compito di adottare atti normativi, alcuni dei quali, come i regolamenti, le decisioni e le direttive hanno efficacia giuridica vincolante per gli Stati membri.

orbene, negli ultimi anni, come già ricordato (v. supra), i competenti orga-ni hanno adottato numerosi regolamenti in materia di diritto internazionale privato e processuale (per tutti si ricorda il fondamentale Reg. CE 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale).

Tali disposizioni, sia pure con esclusivo riferimento ai rapporti ricon-ducibili agli ordinamenti di stati aderenti alla UE, proprio per il loro va-lore cogente diretto, che le colloca a pieno titolo tra le fonti del diritto di cia-scun paese, entrano a far parte del nostro sistema di diritto internazionale pri-vato prevalendo, in virtù del principio di specialità, su quelle, eventualmente incompatibili, della L. 218/1995.

rapporti tra diritto convenzio-nale e diritto comunitario

principio della preminenza delle norme di diritto comunitario sia sulle norme interne di dip, sia sulle norme convenzionali nei rapporti tra stati membri

rapporti tra diverse convenzio-ni di dip

Coordinamento tra diverse convenzioni attraverso «l’in-terpretazione sistematica dei vari strumenti convenzio-nali» che dovrebbero guidare interpreti ed operatori verso un sistema integrato (mosconi).

Spesso le convenzioni stesse prevedono clausole di abrogazione espressa

In altre occasioni è stato utilizzato lo strumento della direttiva come ad esempio la direttiva n. 2008/122/CE relativa a contratti di multiproprietà che è stata recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 79/2011 che ha modifi-cato il Codice del Consumo.

d) La prassi

È sempre più frequente, in dottrina, l’inserimento nel panorama delle fon-ti del diritto internazionale privato di regole di tipo consuetudinario.

Ci si riferisce, in particolare, alla cd. lex mercatoria (v. infra Cap. Quar-to, § 8).

Tale espressione definisce un sistema di norme e regole nate spontanea-mente per regolare, in alcuni settori commerciali (ad es. credito, trasporti, as-sicurazioni), i rapporti economici con elementi di internazionalità.

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nozione, oggetto, fonti e funzioni del diritto internazionale privato 19

4. LA fUnzIonE dELLE norME dI dIrItto IntErnAzIonALE prI-vAto

Se l’oggetto della disciplina apprestata dalle norme di d.i.p. può essere pa-cificamente individuato nei rapporti caratterizzati dalla presenza di elementi di estraneità rispetto all’ordinamento, discussa è invece la funzione delle nor-me in esame.

A) Concezione bilaterale

Secondo un primo orientamento, poiché le norme del d.i.p. hanno lo sco-po di determinare la legge applicabile ad una determinata fattispecie concre-ta e poiché tale legge può tanto essere quella nazionale quanto quella di uno Stato estero, la funzione delle norme di d.i.p. è duplice consistendo:

1) nel delimitare l’ambito di applicazione del diritto interno;2) nel richiamare, se del caso, norme del diritto straniero.

In altri termini, l’efficacia delle norme di diritto internazionale privato può spiegarsi tanto in direzione interna, determinando l’applicazione della lex fori, cioè della legge nazionale, quanto in direzione esterna, giustificando l’applica-zione di norme di altri Stati.

Così, ad es., l’art. 46, comma 1, L. 218/1995 (come già l’art. 23 delle preleggi al c.c.), che ri-solve il problema della disciplina delle successioni mortis causa, può avere tanto la funzione di escludere l’applicazione del diritto italiano per giustificare quella di leggi straniere, quanto quel-la di statuire l’osservanza dello stesso diritto italiano.

B) Concezione unilaterale

Secondo un’altra concezione, c.d. unilaterale, la funzione della norma di d.i.p. è unica, nel senso che l’efficacia di tali norme si esplica esclusivamente in una direzione.

A questo proposito occorre distinguere due ulteriori posizioni dottrinali:

— in una prima prospettiva (moRELLI) si sostiene che, poiché l’applicazio-ne del diritto interno non ha bisogno di una particolare giustificazione avendo luogo di per sé stessa in virtù di un principio di naturale effettivi-tà dell’ordinamento, l’unica funzione della norma di d.i.p. consiste nel ri-chiamo o rinvio agli ordinamenti stranieri per la disciplina delle fattispecie con elementi di estraneità (concezione unilaterale estroversa);

— secondo una differente interpretazione della concezione unilateralista (QUA-DRI) le norme di d.i.p. avrebbero la funzione non già di rinviare al diritto straniero ma, al contrario, di delimitare l’ambito di applicazione dell’ordina-mento interno (concezione unilaterale introversa): l’applicazione del di-ritto straniero a determinati rapporti non sarebbe il risultato delle norme di d.i.p., ma di un principio di coordinamento con gli ordinamenti stranie-ri, ovvero di un principio fondamentale, fondato sulla buona fede, di ga-rantire la continuità ed uniformità della vita giuridica.

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Capitolo Primo2020

C) valutazione critica e conclusioni

non è agevole stabilire la ricostruzione preferibile; certo è, però, che in ter-mini di diritto positivo le tesi unilaterali sono contraddette dalla formulazione tipicamente bilaterale delle nostre norme di d.i.p., che appaiono ispirate al prin-cipio di uguaglianza tra tutti gli ordinamenti, compreso il diritto statale. D’al-tronde, anche in altri Stati (ad es. la Francia), in cui talune norme di d.i.p. era-no state legislativamente congegnate in modo unilaterale, la giurisprudenza ha finito, in sede applicativa, per bilateralizzarle tutte. In definitiva appare pre-feribile la concezione bilaterale che porta a identificare la funzione delle nor-me di d.i.p. nella scelta della disciplina applicabile alla fattispecie con elemen-ti di estraneità attuata attraverso l’applicazione dello stesso diritto interno, o, in alternativa, grazie al rinvio ad ordinamenti stranieri.

non pare dubbio, del resto, che la legge di riforma del 1995, nello stabili-re l’applicabilità alle norme straniere del principio «iura novit curia» (v. infra Cap. IV, par. 2), e nel precisare, all’art. 15, che esse vanno riconosciute e inter-pretate alla luce del sistema giuridico in cui sono inserite, ha dato autorevole fondamento di diritto positivo alla struttura bilaterale delle norme italiane di d.i.p.

È tuttavia da tener presente che il legislatore, avendo voluto inserire nella L. 218/1995 anche le disposizioni concernenti gli aspetti più tipicamente pro-cessuali, prima regolati nel codice di procedura civile, ha aggiunto una ulte-riore funzione al sistema di d.i.p.: determina quale sia il giudice cui spetta l’ap-plicazione, anche d’autorità, delle norme, interne e non, più rispondenti alle concrete esigenze di disciplina.

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Capitolo Secondo

La struttura della norma di diritto internazionale privato

1. gEnErALItà

Una tipica norma di d.i.p. si articola in due elementi distinti:

— i fatti che intende disciplinare descrivendoli in maniera astratta, sussumi-bile in categoria giuridica; ad es. l’art. 56, L. 218/1995 è dedicato alla fatti-specie delle donazioni;

— uno o più elementi di estraneità: la norma di d.i.p. disciplina i rapporti con-notati da elementi di estraneità e pertanto, è indispensabile dare evidenza, nella struttura delle norme, a quelle circostanze od aspetti che conferiscono carattere di estraneità ad un determinato rapporto.

naturalmente non è necessario prendere in considerazione, in sede di re-dazione della norma di d.i.p., tutti i possibili elementi di estraneità che in una determinata categoria di rapporti, possono manifestarsi, ma soltanto quelli che il legislatore ha stimato prevalenti sugli altri dando ad essi rile-vanza giuridica e che sono atti a stabilire quale diritto debba essere appli-cato alla fattispecie. Si parla, in riferimento a tale elemento, di criterio di collegamento.

Così, ad esempio, in riferimento alla categoria dei diritti reali la cittadinanza straniera del proprietario è certamente un elemento di estraneità della fattispecie, tuttavia nella formulazio-ne dell’art. 51 tale elemento non è stato considerato rilevante al fine di determinare la connessio-ne con un ordinamento straniero. Il legislatore ha reputato, invece, prevalente l’elemento della localizzazione dei beni, quale criterio di collegamento con l’ordinameto concretamente applica-bile.

2. LE CAtEgorIE dIsCIpLInAtE: IL proBLEMA dELLA QUALIfI-CAzIonE

L’analisi del primo dei due elementi della tipica struttura della norma di d.i.p. ovvero l’indicazione, per categorie, dei rapporti che si intendono discipli-nare, introduce il tema c.d. delle qualificazioni che rappresenta una delle tra-dizionali problematiche internazional-privatistiche.

La sostanza del problema può essere sinteticamente riassunta in questo modo: poiché le norme di d.i.p. nel descrivere le fattispecie che intendono re-golare, utilizzano categorie tecnico-giuridiche (ad es. obbligazioni, successio-ni, diritti reali), ci si domanda, data la concezione bilaterale della norma di d.i.p., se il significato e la comprensività di tali categorie debbano essere indivi-duati alla luce dell’ordinamento interno, cui appartengono le norme di d.i.p., o alla stregua degli ordinamenti stranieri cui si fa rinvio.

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Capitolo Secondo2222

Così, ad es., nella categoria delle successioni, che rappresenta l’ambito d’operatività dell’art. 46, L. 218/1995, si ricomprende, secondo il nostro ordinamento, anche il diritto della moglie ad ottenere parte dei beni del coniuge defunto, mentre in altri sistemi giuridici tale questio-ne potrebbe essere ricompresa nella categoria dei rapporti patrimoniali tra coniugi che, nel nostro sistema di d.i.p. è disciplinata da una disposizione diversa, e cioè dall’art. 30, L. 218/1995.

A) teorie sulla qualificazione

Il problema delle qualificazioni viene risolto, in dottrina, in modo diverso:

teorie sullaqualificazione

Teoria della quali-ficazione in base alla lex causae

• La qualificazione è fatta in base ai prin-cipi che appartengo-no all’ordinamento richiamato, che an-drà a dettare la disci-plina della questione (Pacchioni)

— Commento: tale teoria conduce ad un circolo vizioso: la qualificazione andrebbe infatti effettua-ta sulla base di un ordi-namento che ancora non è stato individuato

Teoria della com-parazione giuri-dica

• La qualificazione va operata sulla base della comparazione tra i principi dell’ordina-mento a cui appar-tiene la norma di dip e q u e l l i p r o p r i dell’ordinamento straniero che verrà richiamato, risalen-do a principi comuni per ridefinire i singoli istituti (meriggi)

— Commento: non sempre è possibile risalire a principi comuni. Le difficoltà più evidenti si rintracciano nei casi in cui ordinamenti cono-scono istituti che in altri ordinamenti non esisto-no, né possono essere ricondotti ad alcunché (es. il trust)

Teoria della quali-ficazione in base alla lex fori

• Le norme di conflitto in quanto norme in-terne devono essere interpretate, sulla base dei canoni er-meneutici propri dell’ordinamento che le comprende alla stregua di ogni altra norma dello stes-so sistema, (morelli, mosconi, Ballarino)

— Commento: tale tesi, maggioritaria in dottri-na e applicata dalla giu-risprudenza, appare preferibile, poiché le nor-me di d.i.p. sono norme interne dello Stato, sem-bra naturale concludere che tali disposizioni deb-bano essere interpretate in base ai criteri ermeneu-tici propri dell’ordina-mento cui appartengono.

Inoltre è logico supporre che al momento di ema-narle anche il legislatore abbia inteso fare riferimen-to al significato che tali categorie comunemente avevano all’interno del si-stema giuridico nazionale

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La struttura della norma di diritto internazionale privato 23

B) teoria della doppia qualificazione

La teoria delle lex fori non risolve il problema della qualificazione di istitu-ti giuridici propri di alcuni ordinamenti ma sconosciuti ad altri quali, ad esem-pio, la bigamia, il trust, o il ripudio islamico. Per superare tali inconvenienti sono stati suggeriti due correttivi:

a) in primo luogo è stato chiarito che, allorquando le norme di d.i.p. utilizzano parole come «obbligazioni», «fatti illeciti» etc., non intendono fare riferimen-to (specificamente) agli istituti dell’ordinamento interno così come discipli-nati e regolati dalla lex fori, ma a concetti e categorie giuridiche che sono pa-trimonio comune di moltissimi sistemi normativi, sia pure con sfumature di-verse, e che, quindi, vanno interpretati con una certa larghezza ed elasticità;

b) in secondo luogo è stato osservato (c.d. teoria della doppia qualificazione) che l’ordinamento straniero, richiamato dalla norma di d.i.p., non può che es-sere considerato globalmente senza limitare l’indagine ad un determinato settore in nome di un velleitario parallelismo con l’ordinamento statale. ne consegue che una volta individuata (sulla base di una qualificazione del rapporto effettuata alla stregua della sistematica dell’ordinamento giuridi-co nazionale) la norma di d.i.p. cui fare riferimento e, quindi, il sistema giuridico estero al quale questa fa rinvio, si individueranno nell’ambito dell’ordinamento straniero (c.d. seconda qualificazione), le norme giuridi-che nel cui ambito di applicazione il rapporto in esame si colloca.

Alla luce della disposizione dell’art. 15 della legge 218/1995 può senz’altro affermarsi che la teoria c.d. della doppia qualificazione ha trovato riconosci-mento normativo. La norma in questione stabilisce, infatti, che, dopo il richia-mo, il diritto straniero deve essere interpretato secondo i criteri interpretati-vi e di successione nel tempo che sono a lui propri esattamente come farebbe il giudice estero.

C) La qualificazione nel diritto internazionale privato dlel’Unione Eu-ropea

Si ritiene che il fenomeno dell’espansione del diritto internazionale priva-to di fonte comunitaria abbia inciso anche sul problema delle qualificazioni. Si sostiene cioè che quando si tratta di una norma di diritto internazionale privato comunitario le nozioni e gli istituti giuridici da essa utilizzati devono essere definiti non in base ai criteri interpretativi del singolo ordinamento na-zionale ma alla stregua di quelli che risultano adottati nei trattati UE o nelle applicazioni giurisprudenziali della Corte di Giustizia.

Il depecage

Depecage significa frazionamento. È quella particolare tecnica legislativa in base alla quale il legislatore preferisce dedicare norme distinte ad un singolo istituto dividendone gli aspet-ti, che possono anche essere sottoposti ad ordinamenti differenti. Tale strumento è soprattut-to utilizzato per distinguere la regolamentazione della forma di un atto dalla sua sostanza.Il depecage crea ulteriori problemi di qualificazione in quanto diventa necessario determi-nare l’ambito di applicazione della singola norma.

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Capitolo Secondo2424

3. IL CrItErIo dI CoLLEgAMEnto

A) nozione

Tutte le fattispecie di rapporti regolate dalle norme di d.i.p. si caratterizzano per la presenza di un elemento di estraneità, ovvero una qualche circostanza (na-zionalità delle parti, luogo dove si sono svolti i fatti etc.) che pone in collegamen-to la vicenda, rilevante per l’ordinamento nazionale, con uno o più Stati esteri.

Tale circostanza, se evidenziata all’interno della norma di d.i.p., si identifi-ca con il c.d. criterio di collegamento.

Così, ad esempio, quando l’art. 43 L. 218/1995 stabilisce che la tutela è regolata secondo la legge dello Stato cui appartiene l’incapace individua nella nazionalità dell’incapace il criterio di collegamento valido in tema di tutela ed altri istituti di protezione degli incapaci.

non si può escludere che, nell’ambito della fattispecie concreta, vi siano al-tri aspetti, elementi o circostanze che collegano la fattispecie stessa ad un de-terminato ordinamento (ad es. nazionalità straniera del tutore ovvero residen-za estera dell’incapace); tuttavia l’unica circostanza che il legislatore ha rite-nuto giuridicamente rilevante, tanto da richiamarla nella struttura della nor-ma di d.i.p., è quella relativa alla nazionalità del donante.

Il criterio di collegamento, dunque, indica quell’aspetto del rapporto che il legislatore ritiene determinante ai fini dell’individuazione dell’ordinamento stra-niero da richiamare.

In questo senso il criterio di collegamento è uno degli elementi caratteri-stici della struttura della tipica norma di d.i.p.

B) Il criterio di collegamento della cittadinanza

nel nostro sistema, come nella maggior parte dei sistemi di d.i.p. moder-ni, il criterio di collegamento fondamentale è quello della cittadinanza.

Vengono, infatti, regolate dalla L. 218/1995 in base a tale criterio: le que-stioni relative allo stato ed alla capacità delle persone (art. 23), i rapporti di filiazione (art. 33), le successioni mortis causa e le donazioni (artt. 46 e 56) e quelle inerenti la tutela e gli altri istituti di protezione degli incapaci (art. 43).

È stato posto, in tema di applicazione di tale criterio di collegamento, il problema della dop-pia cittadinanza.

Si ritiene che, se una delle cittadinanze è quella italiana, trovi senz’altro applicazione la leg-ge italiana, mentre, in caso di doppia cittadinanza straniera, troverà applicazione la legge dell’or-dinamento la cui cittadinanza viene attribuita secondo i criteri più vicini a quelli in base ai qua-li si concede la cittadinanza italiana.

Questi criteri, già elaborati in sede dottrinale e giurisprudenziale, hanno trovato espresso rico-noscimento legislativo. L’art. 19, secondo comma, della L. 218/1995 stabilisce, infatti, che se la per-sona ha due o più cittadinanze prevale, se posseduta, quella italiana. In caso contrario si applica la legge di quello tra gli stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto.

nel 2003 la Corte di giustizia europea ha di fatto ridotto la portata del secondo comma dell’art. 19: la cittadinanza italiana non può prevalere se in concorso con altra cittadinanza comunitaria. La prevalenza della cittadinanza italiana contrasterebbe, infatti, col principio che vieta ogni pre-valenza all’interno dell’Unione.

Quanto agli apolidi, cioè i soggetti che non hanno alcuna cittadinanza, l’art. 19, L. 218/1995 stabilisce che si applichi, in luogo della legge nazionale, quella dello Stato in cui il soggetto ha il domicilio (o, in mancanza, la residenza).

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