indice della rivista - il progetto eurostudium · 2018-11-26 · indice della rivista luglio -...

113
Direttore: Francesco Gui (dir. resp.). Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Fabio Grassi, Piero S. Graglia, Francesco Gui, Giovanna Motta, Francesca Russo, Pèter Sarkozy, Pietro Themelly. Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Daniel Pommier Vincelli, Luca Topi, Giulia Vassallo. Proprietà: “Sapienza” - Università di Roma. Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea, P. le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma tel. 0649913407 – e - mail: [email protected] Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006 del 17 ottobre 2006 Codice rivista: E195977 Codice ISSN 1973-9443

Upload: ledan

Post on 18-Feb-2019

220 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Direttore: Francesco Gui (dir. resp.). Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Fabio Grassi, Piero S. Graglia, Francesco Gui, Giovanna Motta, Francesca Russo, Pèter Sarkozy, Pietro Themelly. Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Daniel Pommier Vincelli, Luca Topi, Giulia Vassallo. Proprietà: “Sapienza” - Università di Roma. Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea, P. le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma tel. 0649913407 – e - mail: [email protected] Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006 del 17 ottobre 2006 Codice rivista: E195977 Codice ISSN 1973-9443

Page 2: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Indice della rivista luglio - settembre 2017, n. 44 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città pontificia del Mezzogiorno d’Italia: gli statuti di Benevento del 1203 Giovanni Araldi p. 3 Forme di controllo in una città “appestata”: Roma 1656-1657 Luca Topi p. 25

L’aristocrazia di provincia e la Repubblica Romana. Tre casi di “giacobinismo nobiliare”: Francesco Canali, Camillo Mosca e Antonio Tolotti Sempiterni (1798-1799) Manuela Militi p. 54 COMMEMORAZIONE: IL CONGRESSO DELLA LEGA INTERNAZIONALE DELLA PACE E

DELLA LIBERTÁ, GINEVRA 1867 Le dimenticanze del 1867: l’anno dei pacifisti Daniele Armellino p. 71 Charles Lemonnier e Les Etats-Unis d'Europe Francesco Gui p. 80 Programma - Programme (en) - Programme (fr)

***

RECENSIONI Christopher Sanford, Union Jack: John F. Kennedy’s Special Relationship with Great Britain, Lebanon, NH, ForeEdge, an imprint of University Press of New England, 2017 Daniela Vignati p. 110

Page 3: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

3 G. Araldi, Trasformazioni sociali

Trasformazioni sociali e istituzionali in una città pontificia del Mezzogiorno d’Italia: gli statuti di Benevento del 1203*

di Giovanni Araldi Malgrado la sua collocazione geografica, la città oggetto di questo contributo non può essere facilmente inserita nello schema storiografico delle “due Italie”, poiché a partire dalla fine dell’XI secolo la sua evoluzione politica si differenziò nettamente da quella del resto del Mezzogiorno. Benevento fu infatti l’unico centro urbano di quest’area che si sottrasse alla conquista normanna, riuscendo a concretizzare una strategia tentata invano anche da altre città meridionali, le quali “avevano ravvisato nella dedizione alla Chiesa romana la via per realizzare il massimo di libertà politica e amministrativa che la formazione di vasti domini normanni nel Paese poteva ormai consentire”1.

Passata, alla morte dell’ultimo principe longobardo, sotto il diretto dominio del papa nel 10772, Benevento si trovò quindi a vivere da allora in poi, fino all’Unità, la condizione del tutto peculiare di enclave, piccola “isola” giurisdizionale incastonata, insieme ad un esiguo territorio circostante, prima nel Ducato di Puglia e Calabria e poi nel Regno di Sicilia, al quale – come è stato affermato – si presentava territorialmente, culturalmente, economicamente e socialmente legata3.

* Questo saggio apparirà in lingua francese nel volume Comparing The Two Italies. Civic Tradition, Trade Networks and Marriage Strategies, eds. P. Mainoni e N.L. Barile, Turnhout, Brepols. 1 G. Galasso, Dal Comune medievale all’Unità. Linee di storia meridionale, Laterza, Bari 1969, p. 71. 2 Sul passaggio della città sotto la dominazione pontificia cfr. O. Vehse, Benevento territorio dello Stato Pontificio fino all’inizio dell’epoca avignonese, trad. it., Torre della Biffa, Benevento 2002, pp. 47-56; D. Siegmund, Die Stadt Benevent im Hochmittelalter. Eine verfassungs-, wirtschafts- und sozialgeschichtliche Betrachtung, Shaker Verlag, Aachen 2011, pp. 31-38. 3 M.A. Noto, Tra sovrano pontefice e regno di Napoli. Riforma cattolica e Controriforma a Benevento, Piero Lacaita Editore, Manduria 2003, p. 17.

Page 4: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

4 G. Araldi, Trasformazioni sociali

È evidente che in quest’ultimo giudizio, largamente condiviso dalla gran parte dagli studiosi, sia racchiusa una parte di verità. Rimane tuttavia da verificare, a mio avviso, la sua applicabilità all’intero arco cronologico della storia cittadina dall’XI al XIX secolo. Formulando il quesito diversamente, si tratta soprattutto di chiedersi in primo luogo se, in che misura, e eventualmente a partire da quando, le dinamiche economico-sociali espresse dalla comunità beneventana possano considerarsi effettivamente omogenee a quelle in genere riscontrabili nel resto del Mezzogiorno urbano e feudale, nonostante – è importante sottolineare – la differente fisionomia politico-amministrativa assunta dalla città in conseguenza della sua dipendenza dalla Santa Sede.

Si può dire, infatti, che solo in tempi recenti è stata prestata adeguata attenzione, in un’ottica interpretativa matura4, all’elemento centrale della storia di Benevento: il fatto che essa abbia rappresentato per quasi otto secoli l’unico frammento di territorio meridionale non integrato politicamente nel Regnum fondato da Ruggero II. Benché il dato, ovviamente, sia stato sempre universalmente noto, in realtà non si è andati spesso molto al di là della sua pura e semplice constatazione, probabilmente anche a causa del peso dalla ricca tradizione storiografica locale, che a parte le settecentesche Memorie istoriche di Stefano Borgia5, forse non a torto considerate la migliore sintesi di storia beneventana tuttora esistente, ha frequentemente oscillato “fra due poli: quello della prospettiva del frammento e quello della costruzione di luoghi comuni”6. E uno dei luoghi comuni più radicati, elaborato dagli storici locali e accolto quasi inconsapevolmente da buona parte della storiografia “alta”, è stato quello che in sostanza ha considerato la sovranità pontificia su Benevento sempre alla stregua di quella esercitata dai sovrani “napoletani” sul loro Regno. Un’equiparazione che in una certa misura, e non senza distinguo, può essere considerata valida, se non a partire dall’incisivo intervento riorganizzatore del cardinale Albornoz negli anni 1353-13677, sicuramente dalla fine del Medioevo o dagli inizi dell’Età moderna, quando i processi di accentramento politico e di razionalizzazione dell’apparato burocratico e fiscale che allora si avviarono nelle terre della Chiesa

4 Cfr., tra gli altri, Siegmund, Die Stadt Benevent, cit. 5 S. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, 3 voll., Salomoni, Roma 1763-1769 (rist. anast. Forni, Bologna 1968). 6 A. Musi, Benevento tra medioevo ed età moderna, Piero Lacaita Editore, Manduria 2004, p. 8. 7 E. Duprè Theseider, Albornoz, Egidio de, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1960, pp. 45-53; P. Colliva, Il Cardinale Albornoz. Lo Stato della Chiesa. Le Constitutiones Aegidianae, Real Collegio de España, Bologna 1977; D. Waley, “Lo stato papale dal periodo feudale a Martino V”, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, VII/2, Comuni e signorie nell'Italia nordorientale e centrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Utet, Torino 1987, pp. 231-320, in partic. pp. 293-299.

Page 5: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

5 G. Araldi, Trasformazioni sociali

mostrano tratti comuni e convergenti con fenomeni simili riscontrabili nell’Italia di tradizione monarchica e altrove8.

Per il periodo precedente la situazione era invece ben diversa. Se infatti va ricordato che oggi vari studiosi, a differenza del passato, non guardano più anacronisticamente alla monarchia normanno-sveva come a una realtà “assolutistica” ante litteram9, è pur vero, d’altro canto, che il peso, l’incidenza e la stabilità del dominio che il papato riuscì a imporre sul mosaico di poteri locali (signorie territoriali e comuni) rientranti nella sua sfera d’influenza si collocano a lungo ad un gradino oggettivamente più basso in termini, per così dire, di “statualità”, rispetto alle esperienze regnicole10. Sia che ciò derivasse da reale debolezza del potere pontificio e delle sue strutture amministrative, sia che, invece, si voglia leggere l’azione dei papi come frutto di duttile pragmatismo vòlto a non ostacolare lo sviluppo delle libertà comunali dei centri urbani che accettavano di riconoscerne l’autorità11, appare in ogni caso difficilmente contestabile che almeno fino alla metà del Trecento l’interlocutore istituzionale dei Beneventani fosse molto più “dialogante” e sensibile alle istanze provenienti dal basso, rispetto a quello con cui dovevano fare i conti le altre città meridionali.

La complessità delle relazioni su cui si basava, soprattutto in determinati momenti, il legame di subordinazione tra la comunità in esame e il papa è illustrata bene da una singolare vicenda che vide protagonista Tommaso d’Aquino: non il santo dottore della Chiesa, ma un suo più anziano consanguineo, cugino in secondo grado di suo padre e dal 1220 fidato collaboratore di Federico II, che lo nominò conte di Acerra e poi Capitano e Gran Giustiziere della Puglia e della Terra di Lavoro12. Precedentemente il personaggio

8 G. Tabacco, “Regimi politici e dinamiche sociali”, in S. Gensini (a cura di), Le Italie del tardo Medioevo, Pacini, Pisa 1990, pp. 27-49, in partic. pp. 47-49; E.I. Mineo, “Alle origini dell’Italia di antico regime”, in Storia medievale, Donzelli, Roma 1998, pp. 617-652, in partic. pp. 634-635; I. Lazzarini, L’Italia degli Stati territoriali. Secoli XIII-XV, Laterza, Roma-Bari 2003; Ead., Stati regionali e stati monarchici, in A. Barbero (dir.), Storia d’Europa e del mediterraneo, VIII, Popoli, poteri e dinamiche, Salerno, Roma 2006, pp. 741-770, in partic. pp. 741-744, 760-761. 9 M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Il Mulino, Bologna 1994, pp. 276-282, 323-324, 353-361, 416-425; Id., La monarchia meridionale. Istituzioni e dottrina giuridica dai Normanni ai Borboni, Laterza, Roma-Bari 1998, in partic. pp. 71-200, 233-314. 10 Su questi aspetti del funzionamento dello Stato pontificio cfr. D. Waley, The papal state in the thirteenth century, MacMillan, London 1961; Id., Lo stato papale, cit., pp. 231-320; S. Carocci, Vassalli del papa. Potere pontificio, aristocrazie e città nello Stato della Chiesa (XII-XV sec.), Viella, Roma 2010. 11 A. Lanconelli, “Autonomia comunali e potere centrale nel Lazio dei secoli XIII-XIV”, in R. Dondarini (a cura di), La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo. Atti del convegno nazionale di studi (Cento, 6-7 maggio 1993), Comune di Cento, Cento 1995, pp. 84-101, qui p. 84. 12 Vehse, Benevento, cit., p. 140; M. Maccarrone, Studi su Innocenzo III, Antenore, Padova 1972, pp. 165-219, in partic. pp. 168-170, 173-175. Su Tommaso d’Aquino cfr. E. Cuozzo, “Tommaso I

Page 6: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

6 G. Araldi, Trasformazioni sociali

godeva già del favore del sovrano, con il quale, dopo essersi distinto insieme ad altri membri della famiglia nella difesa della loro città d’origine, Aquino, contro Ottone IV, era venuto in contatto nel 1212 a Gaeta, dove lo svevo, diretto in Germania, sbarcò il 21 marzo dello stesso anno13. Mancano notizie sulla vita di Tommaso nei mesi successivi a questa data, ma è noto che durante la lontananza di Federico dal Regno, nel contesto di una generale disorganizzazione amministrativa di quest’ultimo, le maggiori città del Mezzogiorno, come già durante la minorità del sovrano, seppero ritagliarsi significativi spazi di autonomia, pur continuando a muoversi nel quadro dell’ordinamento monarchico14. Si conoscono infatti, tra gli altri, i casi delle città pugliesi che stipularono accordi diretti con altre città marittime, come Ragusa, Venezia, Pisa, Marsiglia15, oppure quelli di Gaeta16, che si arrogò il privilegio di nominare i consoli, e di Napoli, che nel 1211 si ribellò al proprio arcivescovo, passando, forse, temporaneamente dalla parte di Ottone IV. Già nel 1207 aveva distrutto Cuma, da cui partivano continue scorrerie di ladri e masnadieri contro il capoluogo partenopeo17.

In questa delicata fase di relativa anarchia attraversata dalla monarchia sveva si colloca probabilmente il tentativo, riuscito, dei Beneventani di sottomettere alcuni centri limitrofi più o meno importanti, come Castelpoto, Montefusco e Montesarchio. Un’inchiesta sui confini dell’enclave condotta nel 1272 ci informa su questi avvenimenti, ma non consente di assegnarli con certezza al periodo prima del 1220 – come affermano alcuni dei testimoni ascoltati in quell’occasione – oppure – come affermano altri – al biennio 1228-1230, in concomitanza con la guerra tra papa Gregorio IX e Federico II, che vide inizialmente prevalere l’esercito pontificio18. La datazione più recente trova

d’Aquino, conte di Acerra”, in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, 3 voll., Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2005-08, II, pp. 837-839. 13 Maccarrone, Studi, cit., p. 178. 14 S. Tramontana, “La monarchia normanna e sveva”, in G. Galasso (dir.), Storia d’Italia, III, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Utet, Torino 1994, pp. 435-810, in partic. pp. 661-662; G. Vitolo, “Il Mezzogiorno dai Normanni agli Aragonesi”, in Id. e A. Musi, Il Mezzogiorno prima della questione meridionale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 1-105, in partic. pp. 20-21. 15 Ivi, p. 21; G. Andenna, Federico II e le città, in P. Cordasco e F. Vallone (a cura di), Un regno nell’impero. I caratteri del regno normanno nell’età sveva: persistenze e differenze (1194-1250). Atti delle diciottesime giornate normanno-sveve (Bari-Barletta-Dubrovnik, 14-17 ottobre 2008), Adda, Bari 2010, pp. 69-119, in partic. p. 84. 16 G. Cherubini, Gaeta, in G. Musca (a cura di), Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle decime giornate normanno-sveve (Bari, 21-24 ottobre 1991), Dedalo, Bari 1993, pp. 246-268, in partic. pp. 260-261; Vitolo, Il Mezzogiorno, cit., p. 21. 17 Ivi, pp. 27-28. 18 Vehse, Benevento, cit., pp. 140-141; L. Maio, Storia di Castelpoto (dalle origini al sec. XVII), Natan, Benevento 2012, pp. 66-70.

Page 7: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

7 G. Araldi, Trasformazioni sociali

conferma anche in alcuni passi del cronista Riccardo di San Germano19, ma non è improbabile che già durante il soggiorno di Federico in Germania i cives dell’ex capitale longobarda si fossero spinti al di là delle frontiere del loro territorio. A parte la costante tensione, di cui essi diedero prova fino al pieno Seicento, rivolta ad ottenere con tutti i mezzi possibili un contado ben più ampio di quello racchiuso nei ristretti confini dell’enclave20, induce a ritenere plausibili le testimonianze che riportano agli anni anteriori al 1220 la conquista delle succitate località regnicole proprio la vicenda che vide protagonista l’omonimo parente del Doctor communis.

Al 1213 risale infatti una lettera di Innocenzo III indirizzata all’arcivescovo, ai giudici e ai consoli della città campana, concernente le condizioni chieste dal pontefice per il rilascio di Tommaso d’Aquino, che era stato catturato con alcuni compagni d’arme dai Beneventani21: un episodio, di cui per ora non si sa altro, ma che, secondo quanto si è detto, è da porre in relazione forse con l’espansionismo aggressivo di questi ultimi, o con un maldestro tentativo di Tommaso per recuperare alla giurisdizione regia quanto da loro usurpato, piuttosto che con un suo colpo di mano contro l’enclave pontificia22. Non è infatti un caso, probabilmente, che Innocenzo nella lettera in questione sottolinei ripetutamente la sua estraneità ai fatti.

Sui giudici e i consoli citati, sui quali si tornerà più avanti, basti dire per ora che essi, riuniti in due collegi di dodici membri ciascuno, costituivano il vertice dell’amministrazione cittadina, operando in un complesso rapporto di mutua assistenza e di condivisione del potere locale con il rettore pontificio, posto naturalmente ad un gradino più elevato nella gerarchia delle competenze23. L’inclusione tra i destinatari della lettera papale anche dell’arcivescovo, che nell’inscriptio prende il posto solitamente assegnato al rettore in questo tipo di documenti, può essere spiegata osservando che tale lettera, datata 30 agosto 1213, ricade cronologicamente in una lunga lacuna, che va dal 1206 al 1215, nella

19 Ryccardus de Sancto Germano, Chronica priora, ed. A. Gaudenzi, Giannini, Napoli 1888 (Società Napoletana di Storia Patria. Monumenti Storici. Cronache, 1), pp. 49-164 (p. 131). 20 G. Araldi, “Storiografia e costruzione dell’identità cittadina a Benevento tra medioevo ed età moderna”, in G.M. Varanini (a cura di), Storiografia e identità dei centri minori italiani tra la fine del medioevo e l’Ottocento. Atti del XIII Convegno di studi organizzato dal Centro di studi sulla civiltà del tardo medioevo (San Miniato, 31 maggio-2 giugno 2010), Firenze University Press, Firenze 2013, pp. 167-209, in partic. pp. 194-196). Sul rapporto tra città e contado nel Mezzogiorno cfr. G. Vitolo (a cura di), Città e contado nel Mezzogiorno tra Medioevo ed Età moderna, Laveglia, Salerno 2005. 21 Maccarrone, Studi, cit., pp. 218-219. Cfr. anche Regesta Pontificum Romanorum inde ab anno MCXCVIII post Christum natum ad annum MCCCIV, ed. A. Potthast, 2 voll., Berolini, De Decker, 1874-75, I, n. 4801. 22 Questa è l’ipotesi sostenuta da Maccarrone, Studi, cit., p. 179. 23 Vehse, Benevento, cit., pp. 130-133; Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 104-143.

Page 8: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

8 G. Araldi, Trasformazioni sociali

cronotassi dell’ufficio rettorale oggi nota24. Data la scarsità di informazioni in proposito non è agevole fare supposizioni, ma è comunque possibile che all’epoca non ci fosse effettivamente nessun rettore in carica, ed è interessante rilevare che a ricoprire, almeno secondo il formulario cancelleresco, il ruolo di massimo rappresentante del papa in città fosse l’arcivescovo. Il capo della Chiesa beneventana, istituzione prestigiosa, che si voleva fondata da un discepolo di San Pietro, custode delle reliquie dell’apostolo Bartolomeo, vertice di una vastissima metropolia comprendente ben ventiquattro diocesi suffraganee agli inizi del Duecento25, fu infatti quasi sempre un elemento importante e attivo nel giuoco delle relazioni tra la città e il potere papale. Agendo con strategie e intenti variabili a seconda della loro personalità e delle circostanze del momento, gli arcivescovi giocarono spesso un ruolo ambiguo: da un lato fiancheggiatori o protettori dell’autonomia cittadina (si pensi al caso abbastanza noto dell’arcivescovo Giovanni da Castrocielo)26, dall’altro massimi garanti della soggezione della città al pontefice.

Tornando rapidamente all’esame della lettera, e rinunciando del tutto in questa sede ad un’analisi approfondita del linguaggio adoperato dal pontefice, occorre rilevare alcuni dati salienti. Innanzitutto il fatto che Innocenzo ricordi di aver già ripetutamente scritto ai suoi destinatari circa la vicenda in oggetto, senza che, evidentemente, i suoi desiderata fossero stati soddisfatti (“sepe vobis super hoc scripta nostra direximus, qualia pro tempore novimus expedire”). In secondo luogo va osservata la presa di distanza ufficiale del pontefice, ripetuta due volte nel testo, dagli eventi accaduti, che vanno addebitati solo all’iniziativa dei Beneventani. Infine, bisogna considerare l’oggetto specifico della sua richiesta. Dopo aver dato precisa rassicurazione sul fatto che non intendeva impedire la liberazione di Tommaso (“liberationem tamen ipsius [...] nolumus impedire”)27, il papa afferma che a lui sarebbe stata cosa gradita se i Beneventani avessero indotto il prigioniero – evidentemente inserendo la cosa tra le clausole del suo

24 L’arcivescovo allora in carica era Ruggero Sanseverino. Su di lui cfr. N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Wilhelm Fink, München 1973, pp. 203-208. Per la lacuna nella cronotassi dei rettori beneventani cfr. Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., p. 348. 25 Sulla Chiesa beneventana cfr. C. Lepore, L’Église de Bénévent et la puissance publique: relations et conflits (des origines au XIIe siècle), in T.F. Kelly (sous la direction de) La cathédrale de Bénévent, Ludion-Flammarion, Gand-Amsterdam 1999, pp. 45-65; Id., “Benevento. Antica e medievale”, in S. Tanzarella (a cura di), Dizionario storico delle diocesi della Campania, L’epos, Palermo 2010, pp. 193-205, in partic. pp. 193, 197, 201. 26 Sull’arcivescovo Castrocielo cfr. A. Mercantini, “Giovanni da Castrocielo”, in Dizionario biografico degli Italiani, LV, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2001, pp. 767-768; G. Araldi, Vita religiosa e dinamiche politico-sociali. Le congregazioni del clero a Benevento (secoli XII-XIV), Società Napoletana di Storia Patria, Napoli 2016, pp. 251-265. 27 Maccarrone, Studi, cit., p. 218.

Page 9: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

9 G. Araldi, Trasformazioni sociali

riscatto – a restituire il “modicum castrum quod dicitur Broccus”, il piccolo castello di Brocco, nel Lazio meridionale, che quello aveva ingiustamente occupato e che invece apparteneva legittimamente al fratello di Innocenzo, Riccardo28. In chiusura del documento, dopo aver esortato i suoi sudditi ad agire quali “viri providi et fideles”29, il pontefice li ammonisce a non lasciarsi ingannare da Tommaso, poiché – aggiunge sibillinamente – “quantum vobis valeat compositio inter vos et illum tractata sine nostro favore prodesse, vestra, sicut credimus, discretio non ignorat”30.

Quale che sia il valore da attribuire al favor apostolicus, preciso concetto giuridico oppure espressione più sfumata, equivalente a termini come gratia o benevolentia31, che Innocenzo minaccia di negare ad un’eventuale compositio dei Beneventani con Tommaso che ignorasse la sua richiesta, quel che conta sottolineare è la cautela con cui egli formula il suo intervento “potestativo”, nonché il generale atteggiamento di lasseiz-faire che traspare da tutto il suo discorso. Non importa se i Beneventani hanno catturato, forse ingiustamente, un importante cavaliere regnicolo, purché sia chiaro che il papa non ha parte alcuna nella vicenda e che la cattura non sia considerata come ritorsione per l’occupazione del castello appartenente a suo fratello; non importa quale tipo di accordo i Beneventani stipulino con il prigioniero per la sua liberazione, purché non dimentichino di fargli restituire il castello in questione.

Si è indugiato a lungo su questo documento, poiché esso offre uno spaccato eloquente della qualità delle relazioni politiche concretamente intercorrenti tra la comunità beneventana e il potere sovraordinato del pontefice: relazioni dal carattere elastico, “pattizio”, clientelare, molto più di quelle su cui si reggeva, di norma, il rapporto tra le altre città del Mezzogiorno e i sovrani normanno-svevi32.

Chiarito ciò, tuttavia, non si intende affatto ridurre semplicisticamente il discorso sugli ampi spazi di autonomia politica conseguiti dalla cittadinanza beneventana tra XI e XIII a quello sulla debolezza o meno del dominio papale in quella stessa fase storica. Neppure sarebbe sufficiente limitare l’analisi alle strategie di governo attuate da Innocenzo III: lo stesso pontefice che pochi anni prima della vicenda di cui si è detto, nel 1207, aveva confermato gli statuti di Benevento, già approvato dalle magistrature cittadine con l’assenso del rettore in

28 Ivi, pp. 181-182. 29 Sull’uso del concetto di fidelitas da parte di Innocenzo III cfr. Carocci, Vassalli, cit., pp. 81-97, 163. 30 Maccarrone, Studi, cit., p. 218. 31 Sulle interpretazioni del concetto di favor apostolicus cfr. Maccarrone, Studi, cit., p. 180. 32 Carocci, Vassalli, cit., pp. 11-17. Su questi aspetti del funzionamento degli stati tra tardo Medioevo ed Età moderna cfr. Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1994; Lazzarini, L’Italia, cit.

Page 10: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

10 G. Araldi, Trasformazioni sociali

carica, nel 120333, e che amava citare nelle sue lettere ai sudditi delle terre della Chiesa un versetto del Vangelo di Matteo (“iugum meum suave est et onus meum leve”)34, allo scopo di rimarcare il carattere non dispotico e non oppressivo del governo pontificio35.

L’”anomalia” beneventana nel contesto del Mezzogiorno bassomedievale, della quale proprio gli statuti cittadini del 1203 sono una delle testimonianze più vistose, non è infatti riconducibile né solo alla diversa natura del potere a cui la città era soggetta né solo al mutevole giuoco delle relazioni diplomatiche tra papato e sovrani meridionali, che spingeva talvolta il primo a favorire particolarmente, per ragioni di convenienza politica, la comunità urbana. Tali fattori furono indubbiamente dotati di una loro corposa realtà, e in alcune circostanze si rivelarono particolarmente incisivi. Ma non si spiegherebbe il diverso destino di Benevento rispetto alle altre realtà urbane meridionali, se non si adottasse anche una prospettiva “dal basso” nello studio dei suoi sviluppi istituzionali, ricostruendo i lineamenti peculiari della struttura economica e della società cittadine.

Spostandoci su questo terreno, appare metodologicamente opportuno affrontare, anche nel caso beneventano, la questione dell’impatto che ebbe a livello locale la sovrapposizione di un potere centrale, prendendo in esame le conseguenze che questo fatto fece registrare [...] non solo riguardo l’evoluzione dell’autonomia politica, ma anche nella costruzione delle gerarchie sociali, nella formazione del ceto politico, nelle lotte tra partiti, nello sviluppo della vita economica e nelle espressioni della cultura. 36

Per Benevento tutto ciò comporta in primo luogo la tematizzazione del nesso continuità-frattura in rapporto al passaggio politico fondamentale nella storia cittadina del periodo qui in esame: la sostituzione del potere del principe longobardo con quello, almeno teoricamente della stessa natura, del pontefice romano. Il che significa in altri termini interrogarsi su una serie di quesiti di importanza cruciale: qual era la fisionomia istituzionale della città e quale la composizione del suo corpo sociale nei decenni centrali dell’XI secolo, quando attraverso una serie di passaggi si consumava la vicenda del principato longobardo e si realizzava l’incorporazione di Benevento nei domini temporali

33 La più recente edizione degli statuti di Benevento è in C. Lepore, Gli statuti del 1203. Coscienza civica e albori del diritto municipale in Benevento, Eurocomp, Napoli 2000, 2001. 34 Mt 11, 30. 35 E. Petrucci, “Innocenzo III e i comuni dello Stato della Chiesa. Il potere centrale”, in Società e istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Congresso storico internazionale (Perugia, 6-9 novembre 1985), 2 voll., Deputazione di storia patria per l’Umbria, Perugia 1988, I, p. 91; Carocci, Vassalli, cit., p. 30. 36 Lanconelli, Autonomie comunali, cit., p. 85.

Page 11: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

11 G. Araldi, Trasformazioni sociali

della Chiesa? Quali soggetti sociali e politici guidarono la transizione? Quale fu la sorte dei ceti dirigenti longobardi dopo il cambio di regime? Quale l’atteggiamento del papato nei loro confronti? Su questi temi, e su altri non meno importanti, non è possibile soffermarsi approfonditamente in questa sede. Basterà, tuttavia, sottolineare almeno alcuni elementi fondamentali.

In un passo del Costitutum stipulato nel 1073 tra Gregorio VII e l’ultimo principe Landolfo VI, al sovrano longobardo, di fatto ridotto al rango di semplice funzionario amovibile ad nutum, fu proibito, tra molte altre cose, di “in aliquo minuere publicam rem Beneventanam”37. È possibile che in questo, come in altri casi più tardi presenti nelle fonti meridionali, l’espressione res publica sia sinonimo di universitas, il termine con cui nel Mezzogiorno medievale abitualmente si denominava la collettività organizzata dei cives38. Il che potrebbe far pensare che già nell’XI secolo, quando si realizzò l’integrazione di Benevento nei domini papali, la comunità cittadina fosse strutturata in una qualche forma istituzionale riconosciuta, fosse cioè un ente dotato di personalità giuridica e non una massa amorfa di popolazione39.

Più importante ancora è rilevare un altro dato: la continuità, durante il primo secolo e mezzo della dominazione pontificia, del Sacrum Palatium principesco. Non si tratta solo della continuità materiale dell’edificio, che fu poi distrutto da Federico II nel 1250 insieme a gran parte della città40, ma anche e soprattutto della sua continuità quale simbolo del potere; come istituzione depositaria sin dall’alto medioevo di una chiara e mai smarrita nozione giuridico-politica del publicum41, e, ancora, come luogo di trasmissione di conoscenze giuridiche e di pratiche di gestione della vita politica, maturate dai soggetti che operavano in stretto rapporto con i principi.

Sugli apparati di governo dell’ultima età longobarda e la loro sorte nei primi decenni della dominazione pontificia esistono alcune valide ricerche, alle quali si rimanda, benché, a mio giudizio, l’argomento sia suscettibile ancora di ulteriori

37 Das Register Gregors VII, hrsg. v. Erich Caspar, Wiedmannsche Buchhandlung Berlin 1920, p. 30. 38 G. Vitolo, L’Italia delle altre città. Un’immagine del Mezzogiorno medievale, Liguori, Napoli 2014, pp. 62-66. 39 C. Lepore, R. Valli, L’Adventus di S. Nicola in Benevento, in «Studi beneventani», 7 (1998), pp. 3-118, in partic. p. 15. Sulla questione occorrerà tuttavia ritornare approfonditamente in futuro. 40 D. Siegmund, C. Gallotti, Sacrum Palatium Beneventanum. Le rovine nell’anno 1272, in «Archivio Storico del Sannio», XX (2015), pp. 105-126. 41 M. Del Treppo, “Medioevo e Mezzogiorno: appunti per un bilancio storiografico, proposte per un’interpretazione”, in G. Rossetti (a cura di), Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1977, pp. 249-283, in partic. pp. 265-268.

Page 12: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

12 G. Araldi, Trasformazioni sociali

approfondimenti42. Ai nostri fini è importante rilevare invece la situazione quale appare agli inizi del XII secolo, quando il Sacrum Palatium è divenuto la sede stabile del rettore, che dal tempo di Pasquale II è un forestiero nominato dal papa e non più, come avveniva in precedenza, un beneventano scelto dai suoi concittadini43: cosa che aveva portato alla costituzione di una signoria di fatto sulla città da parte di Dacomario, titolare inizialmente del munus rettorale congiuntamente al collega Stefano Sculdascio, poi defunto o estromesso dai giochi44.

Accanto al rettore, dotato di una sfera di competenza a lungo mal definita e che mediamente restava in carica non più di un anno e mezzo, opera nel palazzo un collegio di giudici (in origine sei, poi in seguito dodici), che costituisce uno dei principali assi portanti, forse il principale in assoluto, del sistema di potere beneventano, ed intorno al quale ruotano a lungo sia gli equilibri politici all’interno della città sia la trama delle relazioni tra questa e il papato45. Tali giudici, la cui figura era andata progressivamente emergendo durante la fase finale del principato, presentano infatti non pochi aspetti degni di attenzione. In primo luogo essi sono tutti, senza eccezione, di provenienza locale, appartenendo peraltro a famiglie che, nei casi in cui è stato possibile accertarlo, già da tempo si trovavano ai vertici della società cittadina. Dotati di un’ampia cultura giuridica, legata alla piena conoscenza sia del diritto romano sia di quello longobardo, hanno inoltre delle competenze molto ampie, nell’ambito della giustizia civile e di quella penale, quest’ultima amministrata però in collaborazione con i consoli e il rettore. Inoltre, occorre sottolineare, risultano gli indiscussi protagonisti del processo di produzione dei documenti privati a partire dalla metà del XII secolo,

42 Vehse, Benevento, cit., pp. 47-68; S. Palmieri, Aristocrazia e amministrazione palatina nella Benevento longobarda dell’XI sec., in «Annali dell’Istituto Italiano per gli studi storici», XII (1991/1994), pp. 439-456; Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 31-38, 73-104. 43 Vehse, Benevento, cit., pp. 69-78; Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 113-119. 44 R. Huls, “Dacomario”, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXI, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1985, pp. 580-581; Vehse, Benevento, cit., pp. 57-68; Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 40-42, 108-113. 45 Su tutto quello che si dirà di qui in avanti sui giudici beneventani cfr. Vehse, Benevento, cit., pp. 130-133; Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 104-143; H. Taviani-Carozzi, “La chronique urbaine, le notaire et le juge: l’exemple de Falcone de Bénévent (XIIe siècle)”, in C. Carozzi et H. Taviani-Carozzi (sous la direction de), Le médiéviste devant ses sources. Questions et méthodes, Publications de l’Université de Provence, Aix-en-Provence 2004, pp. 287-312, in partic. pp. 304–308; V. Matera, Notai e giudici a Benevento nei secoli XI e XII, in G. De Gregorio e M. Galante (a cura di), La produzione scritta tecnica e scientifica nel Medioevo: libro e documento tra scuole e professioni. Atti del Convengo internazionale di studio dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Fisciano-Salerno, 28-30 settembre 2009), Cisam, Spoleto 2012, pp. 337-357; Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 33, 158-159, 199-202. Sull’argomento, tuttavia, si veda soprattutto Id., Giudici e cultura giuridica a Benevento tra XII e XIII secolo, in «Studi storici», 58 (2017), pp. 655-688 (in corso di stampa).

Page 13: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

13 G. Araldi, Trasformazioni sociali

quando a Benevento si afferma progressivamente una nuova tipologia documentaria, che presenta forti punti di contatto con l’instrumentum publicum: lo scriptum memoriae46. Nelle carte di questo tipo, parallelamente alla scomparsa delle sottoscrizioni testimoniali, emerge in primo piano proprio la figura del giudice, il quale, come ha osservato Vittorio De Donato, non si limita più ad agire solo in veste di sottoscrittore e autenticatore del contratto – come avveniva da tempo nei territori del Mezzogiorno longobardo –, ma assume il ruolo di vero e proprio promotore della documentazione47: riceve la rogatio dalle parti, compare come il soggetto del dettato diplomatistico, descrivendo il negozio e presentando gli attori in terza persona, e poi in conclusione ordina di redigere materialmente l’atto al notaio, che opera in veste di mero scrivano48.

Oltre a tutto ciò, i giudici beneventani – come notato già a suo tempo da Stefano Borgia –49 svolgono un ruolo politico importante, cosa che spiega la loro menzione nell’inscriptio dei documenti papali, al secondo posto dopo il rettore, o, in assenza di questo, dopo l’arcivescovo, come si è visto50. Fungono, infatti, in più occasioni come ambasciatori della città presso il papa o i normanni, giurano accordi diplomatici con questi ultimi a nome e per conto della città e in qualche circostanza ne trattano la resa51. E non va dimenticato infine il risalto che assumono nel cerimoniale seguito in occasione dell’ingresso di Callisto II in Benevento nel 1120. Secondo il racconto di Falcone, egli stesso un giudice ed autore dell’unica vera e propria cronaca cittadina prodotta nel Mezzogiorno in questa fase storica52, furono proprio quattro giudici beneventani a scortare il

46 V. De Donato, Introduzione, in A. Ciaralli, V. De Donato, V. Matera (a cura di), Le più antiche carte del capitolo della cattedrale di Benevento, Istituto storico italiano per il medio evo, Roma 2002, pp. XXXIV-XXXVI; Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 46-52, 60. 47 De Donato, Introduzione, cit., p. XXXV. 48 Sui fenomeni analoghi riscontrabili nei documenti salernitani vedi P. Delogu, “La giustizia nell’Italia meridionale longobarda”, in La giustizia nell’alto Medioevo (secoli IX-XI), 2 voll., Cisam, Spoleto 1997, I, pp. 257-308, in partic. pp. 305-306; M. Galante, “Il giudice a Salerno in età normanna”, in P. Delogu e P. Peduto (a cura di), Salerno nel XII secolo. Istituzioni, società, cultura. Atti del convegno internazionale (Raito di Vietri sul Mare, 16-20 giugno 1999), Centro Studi Salernitani “Raffaele Guariglia”, Salerno 2004, pp. 46-60. 49 Borgia, Memorie istoriche, cit., II, p. 107. 50 Vehse, Benevento, cit., p. 131; Maccarrone, Studi, cit., p. 218. 51 Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum. Città e feudi nell’Italia dei Normanni, a cura di E. D’Angelo, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, pp. 5-7, 127-129, 180-181, 192-193, 196-197, 200-201. 52 G. Vitolo, Tra Napoli e Salerno. La costruzione dell’identità cittadina nel Mezzogiorno medievale, Carlone, Salerno 2001, pp. 76-77; Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., p. XLII; E. D’Angelo, Storiografi e cronologi latini del Mezzogiorno normanno-svevo, Liguori, Napoli 2003, pp. 36-38. M. Zabbia, Écriture historique et culture documentaire. La chronique de Falcone Beneventano (première moitié du XIIe siècle), in «Bibliothèque de l'École des chartes», 159 (2001), pp. 369-388, in partic. pp. 369-371; Taviani-Carozzi, La chronique urbaine, cit., pp. 287-289.

Page 14: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

14 G. Araldi, Trasformazioni sociali

pontefice nell’ultimo tratto del suo percorso intra moenia, che lo condusse dalla cattedrale al Sacrum Palatium, dove prese alloggio53.

Tralasciando il tema della formazione culturale dei giudici in esame e quello, strettamente connesso, della probabile esistenza di una vera e propria scuola giuridica attiva nel Palatium54, è necessario, concludendo su questo punto, sottolineare altri due aspetti. Innanzitutto la durata della carica, che a Benevento era vitalizia e non temporanea come invece abitualmente avveniva altrove. In secondo luogo il fatto che tale carica risulta in molti casi ricoperta da membri delle stesse famiglie che si succedono per varie generazioni55: nonostante il fatto – si badi – che la nomina a giudice cittadino spettasse di diritto al papa56.

Tirando le somme di tutto quello che si è detto, mi pare che non si vada lontano dal vero se si afferma che fino alla prima metà del XIII secolo, prima che Federico II smantellasse a fundamentis il Palazzo che fu già di Arechi II, segnando una cesura nella storia di Benevento, il collegio dei giudici cittadini abbia rappresentato una ristretta e potente oligarchia di potere, con un saldissimo radicamento nella società urbana, grazie alla convergenza di una serie di fattori: antiche tradizioni di preminenza familiare, importanza e ampiezza delle competenze e del ruolo svolti, preparazione culturale e, non ultimo, consistenza della ricchezza materiale. Basti ricordare, per avere almeno un’idea di quest’aspetto niente affatto secondario, l’acquisto di alcune case con una torre per la somma di ben 76 once d’oro compiuto nel 1223 dal celebre giurista Roffredo Epifanio57, una volta ritornato nella città natale dopo essere stato nominato giudice della stessa da Onorio III58, e la domus cum turri di cui era proprietario il giudice Canturberio, il quale, tra molte altre cose, lasciò in eredità al figlio Sadutto, anch’egli giudice nonché docente presso l’ateneo napoletano, il suo Corpus iuris civilis in quattro volumi, del valore di trenta once d’oro59.

53 Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., pp. 56-57. 54 Su questi temi cfr. soprattutto Araldi, Giudici e cultura giuridica, cit. 55 Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 158, 200-201; Id., Giudici e cultura giuridica, cit., pp. 657-675. 56 Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., pp. 148-149; Lepore, Gli statuti, cit., pp. 22-23; Vehse, Benevento, cit., pp. 126, 132; Araldi, Giudici e cultura giuridica, cit., pp. 661-663. 57 G. Ferretti, Roffredo Epifanio da Benevento, in «Studi medievali», III (1908-1911), pp. 230-287, in partic. pp. 279-280; G. Mongelli (a cura di), Abbazia di Montevergine. Il regesto delle pergamene, II, Ist. Poligraf. dello Stato, Roma 1957, nr. 1502. Sulla biografia di Roffredo Epifanio cfr. anche E. Cortese, “Roffredo Epifani (Epifanius, Epifanides) da Benevento”, in I. Birocchi, E. Cortese, A. Martone (a cura di), Dizionario Biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), 2 voll., Il Mulino, Bologna 2013, II, pp. 1712-1715; M. Giansante, “Roffredo da Benevento”, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXXVIII, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2017, pp. 119-122. 58 Ferretti, Roffredo Epifanio, cit., p. 247. 59 Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 170, 319. Su Sadutto e il padre cfr. Id., Sadutto di Canturberio: un giudice e giurista tra la Benevento pontificia e la Napoli di Federico II, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», CXXXV, 2017 (in corso di stampa).

Page 15: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

15 G. Araldi, Trasformazioni sociali

Se si tiene conto di quanto si è appena detto, a cui molto altro si potrebbe aggiungere, e si ricorda il fatto che il rettore pontificio, pur essendo gerarchicamente superiore ai giudici locali, restava però in carica al massimo uno o due anni60, è facile ricavare un’immagine abbastanza realistica dei rapporti di forza all’interno della città. Tutto ciò, occorre ancora rimarcare, in una fase storica in cui, da un lato, il papato si trovava sprovvisto di efficaci strumenti d’intervento politico-militare per incidere nella vita delle comunità soggette, e dall’altro Benevento rivestiva un’importanza chiave nei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e i sovrani normanno-svevi. Conservare la fedeltà dell’ex capitale longobarda fu dunque a lungo un obiettivo primario per i pontefici di Roma ed è facile congetturare che a tale scopo essi abbiano instaurato una relazione di stretta e reciproca collaborazione con le famiglie dell’élite locale raccolta intorno al Palatium, delle quali si garantivano l’appoggio utilizzando accortamente la “leva” rappresentata dall’accesso alla più importante carica politico-amministrativa cittadina. In quest’ottica, a mio giudizio, si può anche comprendere la curiosa anomalia, la strana “dissociazione” per così dire, incarnata dalla figura di Falcone Beneventano. Egli fu infatti l’unico cronista cittadino del Mezzogiorno, tra l’altro cronologicamente precedente rispetto a Caffaro, totalmente imbevuto di spirito municipale ma contrario alla communitas Beneventana, che fu, come informa lui stesso, un tentativo riuscito di dar vita al comune, durato tuttavia solo nel biennio 1128-1130, prima di essere soffocato dall’azione intrapresa dal papa61. Falcone, come si è detto, era un giudice, e per giunta lo scriba del Sacrum Palatium, cioè, probabilmente, il cancelliere dello stesso, cosa che, se verificata, consentirebbe per inciso di sciogliere ogni dubbio sulla natura pubblica e ufficiale del suo testo62. Da notaio qual era, egli è diventato giudice con il consenso del rettore e soprattutto per volontà del papa, sicché sono comprensibilissime la sua costante devozione alla Chiesa e la sua dura avversione per il rivoluzionario organismo comunale beneventano, il quale minacciava di sovvertire il sistema di potere che gli aveva consentito di affermarsi e percorrere una brillante carriera professionale.

60 Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 325-372. 61 L’opera di Falcone fu interrotta nel 1140 o nel 1144, possibile data della sua morte (cfr. Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., pp. VIII, XI), mentre Caffaro presentò i suoi Annali al Consiglio del Comune di Genova nel 1152: G. Petti Balbi, “Caffaro”, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1973, pp. 256-260. Sulla communitas Beneventana cfr. Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., pp. 104-105, 108-111; Vehse, Benevento, cit., pp. 79-92; Siegmund, Die Stadt Benevent, cit., pp. 113-119, 174-182. 62 Taviani-Carozzi, La chronique urbaine, cit., p. 293. Sul significato del termine scriba in questo periodo si veda anche C. Paoli, Diplomatica, a cura di G.C. Bascapè, Le lettere, Firenze 1987, p. 97; A. Pratesi, “La documentazione comunale”, in Id., Tra carte e notai. Saggi di diplomatica dal 1951 al 1991, Società romana di Storia patria, Roma1992, pp. 49-63, in partic. p. 56.

Page 16: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

16 G. Araldi, Trasformazioni sociali

Per quanto importantissima, come si è cercato di dimostrare, e ancora tutta in gran parte da studiare, la “vita del Palazzo”, se mi è consentito usare una nota metafora di Pier Paolo Pasolini, non esaurisce affatto la ricca e multiforme complessità della vita cittadina63. Una ricerca che si limitasse a indagare la relazione dialettica tra il vertice del potere locale e quello del potere centrale, relazione mediata, e talvolta disturbata, dal rettore e dall’arcivescovo, finirebbe pertanto per essere se non proprio una “cronaca dal Palazzo”, per usare la stessa immagine pasoliniana, certamente una ricostruzione del tutto parziale della storia beneventana, priva della possibilità, ad esempio, di cogliere la genesi e il senso degli statuti del 1203.

I secoli in cui si afferma il ceto dei giudici di cui si è detto, ai quali sono spesso da ricollegare per formazione culturale e origini familiari non pochi dei maestri di diritto beneventani attivi allora in varie università italiane64, sono infatti gli stessi in cui l’intera compagine della collettività cittadina è in grande e vitale fermento. Lo dimostrano bene, tra molti altri dati su cui purtroppo non si può indugiare, alcuni vistosi cambiamenti del paesaggio urbano.

Nel 1112 furono infatti avviati i lavori per la costruzione dell’imponente basilica di S. Bartolomeo, destinata ad accogliere le reliquie dell’apostolo di Cana custodite a Benevento sin dall’alto medioevo e meta di significativi flussi di pellegrinaggio65. Due anni dopo fu ampliata la cattedrale da tre a cinque navate66. Alla metà del secolo furono poste in opera le porte di bronzo di entrambi gli edifici e all’incirca nello stesso periodo fu realizzato il chiostro dell’abbazia di S. Sofia, che contiene il più vasto insieme di scultura romanica della Campania67. Nella prima metà del Duecento si colloca la costruzione dei conventi dei

63 P.P. Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, Torino 1976, pp. 92-98. 64 Araldi, Giudici e cultura giuridica, cit., pp. 673-688. 65 O. Bertolini, Gli Annales Beneventani, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano e Archivio Muratoriano», 42 (1923), pp. 1-163, in partic. p. 155; Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., p. 4. Sulla basilica di S. Bartolomeo cfr. F. Bove, “Le sedi monumentali beneventane delle reliquie di san Bartolomeo”, in Tre apostoli una regione, De Mauro, Cava de’ Tirreni 2000, pp. 53-79; S. Carella, Architecture religieuse haut-médiévale en Italie méridionale: la diocèse de Bénévent, Brepols, Thurnout 2011, pp. 31-33. 66 Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., pp. 30-31. Sulla cattedrale cfr. M. Rotili, Benevento: la cattedrale e la città nel XII secolo, in «Romanobarbarica», 19 (2006-2009), pp. 363-390. 67 F. Abbate, Storia dell’arte meridionale. Dai longobardi agli svevi, Donzelli, Roma 1997, p. 182. Sulla porta della cattedrale cfr. S. Angelucci, Il restauro della Porta del Duomo di Benevento, Auxiliatrix, Benevento 2005; su quella di S. Bartolomeo cfr. H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, 3 voll., Edizioni di storia e letteratura, Roma 1986, I, pp. 567-570.

Page 17: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

17 G. Araldi, Trasformazioni sociali

Francescani e dei Domenicani, a cui in seguito si aggiunsero gli Agostiniani, attestati con sicurezza già nel 1288, e in epoca più tarda anche i Carmelitani68.

Il dato più significativo e per certi versi sconvolgente che connota il paesaggio urbano beneventano nei secoli centrali del medioevo, a parte la consistente diffusione di torri e case-torri, di cui si è già dato qualche esempio, è però un altro. Si tratta della costruzione di oltre novanta chiese parrocchiali.

Su questo tema e le sue molteplici implicazioni ho già avuto occasione di soffermarmi recentemente, in un lavoro dedicato alle congregazioni del clero di Benevento69. In questa sede, tralasciando altri aspetti, è necessario tuttavia rimarcare con forza l’elemento principale che è alla base della vistosissima moltiplicazione dei luoghi di culto urbani soprattutto tra la fine dell’XI e la prima metà del XII secolo, e che, a mio avviso, costituisce il principale fattore di cambiamento e trasformazione del tessuto sociale: l’intensissimo inurbamento di cui la città fu oggetto in questo arco cronologico e in misura minore nei periodi successivi70.

A parte gli Ebrei, la cui comunità, sicuramente presente già in età altomedievale, appare in crescita costante per tutto il Millecento, fino a contare duecento individui alla fine del secolo, secondo le stime del viaggiatore spagnolo Beniamino da Tudela71, a Benevento è attestata infatti una comunità di calabro-greci, sopravvissuta fino alle soglie dell’Età moderna, e soprattutto una fiorente, numerosa e ben organizzata colonia di Amalfitani, insediata con le proprie botteghe nel cuore commerciale della città, la platea recta. A ciò si aggiunga, a parte il flusso di immigrati dalle campagne e dai centri minori circostanti, l’inurbamento cospicuo di elementi di provenienza pugliese, che occupano prevalentemente le aree della cosiddetta Civitas Nova, il settore urbano nato dall’ampliamento del circuito murario decretato a suo tempo da Arechi II, e del suburbio di Porta Rufina, che nei secoli qui in esame conosce un vistoso ampliamento72.

68 L. Pellegrini, «Che sono queste novità?». Le religiones novae in Italia meridionale (secoli XIII e XIV), Liguori, Napoli 2000, pp. 79, 106, 114-116, 119, 129-131, 139. Su Agostiniani e Carmelitani si veda inoltre Araldi, Vita religiosa, cit. p. 151. 69 Ibidem. 70 Per tutto quanto di qui in avanti si dirà sull’inurbamento a Benevento cfr. ivi, pp. 25-42, 158, 162-164, 168, 174-175, 178-183. 71 Binyamin da Tudela, Itinerario (Sefer massa’ot), a cura di G. Busi, Rimini, Luisè, 1988, p. 22. Sugli Ebrei di Benevento cfr. C. Colafemmina, “Gli ebrei in Benevento”, in Italia Judaica. Gli ebrei nello Stato pontificio fino al Ghetto (1555). Atti del VI Congresso internazionale (Tel Aviv, 18-22 giugno 1995), Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 1998, pp. 204-227. 72 Sulla Civitas Nova, cfr. M. Rotili, Benevento romana e longobarda. L’immagine urbana, La Buona Stampa, Ercolano 1986, pp. 83-84. Sul suburbio di Porta Rufina, cfr. Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 284–285.

Page 18: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

18 G. Araldi, Trasformazioni sociali

Il grosso dei trasferimenti si deve tuttavia ad un’altra componente “etnica”. Senza dimenticare i Troiani che con mogli e figli si trasferirono a Benevento dopo la distruzione della loro città da parte di Ruggero II nel 113373, furono infatti le famiglie dell’aristocrazia longobarda del Principato di Benevento e di quello di Capua, tra cui i discendenti degli stessi principi capuani, che, a mano a mano che la sempre più insostenibile pressione normanna li estrometteva dalle loro contee e dai loro possedimenti, si riversarono in massa nella piccola enclave papalina rimasta indipendente. Quello che emerge dalla documentazione è dunque in buona sostanza l’esistenza di un fenomeno definibile forse come “inurbamento forzoso”, dalle dimensioni inusitate, che andò a sommarsi alle capacità attrattive che Benevento da sempre aveva avuto. La città infatti, che, come ha sottolineato Giuseppe Galasso, si configurava come l’”unico centro urbano di rispettabili dimensioni e di consolidata vocazione cittadina fra l’area campana e quella pugliese”74, sorge alla confluenza di due fiumi e alla convergenza della principali vie di comunicazione terrestri del Mezzogiorno peninsulare; era stata per cinque secoli quasi ininterrottamente “capitale di Stato”75; era caput di una estesissima metropolia e meta internazionale di pellegrinaggio, come si è già detto; tra XI e XIII secolo ospitò ben dodici papi, alcuni dei quali vi soggiornarono a lungo, come Alessandro III, che vi rimase stabilmente per tre anni76; era sede – di sicuro dagli inizi del XV secolo – di quattro fiere annuali, delle quali la principale, quella di San Bartolomeo, sicuramente già attiva nei secoli precedenti77.

Stimolato dall’insieme di fattori appena riepilogati, ma soprattutto indotto dalla conquista normanna nonché – occorre sottolineare – dalle opportunità di affermazione sociale e politica che la peculiare fisionomia istituzionale della città offriva, il massiccio inurbamento di cui Benevento fu oggetto ebbe ripercussioni vistosissime in tutti i campi. Ma innanzitutto generò una crescita quantitativa, che bisogna presumere considerevole, della popolazione urbana.

Avanzare stime precise sulla consistenza di quest’ultima appare naturalmente azzardato, data la mancanza di fonti suscettibili di trattamenti di tipo statistico78. Il numero elevatissimo di parrocchie attestate, per quanto effetto

73 Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum, cit., p. 154. 74 G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), in G. Galasso (dir.), Storia d’Italia, XV/1, Il Regno di Napoli, Utet, Torino 1992, p. 889. 75 S. Gasparri, Il ducato e il principato di Benevento, in G. Galasso e R. Romeo (dir.), Storia del Mezzogiorno, II/1, Il Medioevo, Edizioni del sole, Napoli 1988, pp. 83-146. 76 Borgia, Memorie istoriche, cit., II, pp. 108-161, III, p. 265. 77 A. Grohmann, Le fiere nel Regno di Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1969, pp. 218-219. 78 La popolazione della città è stata stimata approssimativamente in 7000 unità nel Trecento: A. Filangieri, L’evoluzione della popolazione della Campania dal XIV al XVIII secolo, in «Working paper», 2 (2002), pp. 1-96, in partic. p. 5. Nel secolo successivo gli abitanti di Benevento sarebbero stati

Page 19: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

19 G. Araldi, Trasformazioni sociali

anche di altre dinamiche, cui a breve si accennerà, e dotate di territori parrocchiali assai ridotti, è tuttavia un indizio eloquente della crescita demografica. A ciò si possono aggiungere i dati in nostro possesso sulle dimensioni del capitolo cattedrale, che contava di sicuro non meno di 56 membri negli anni 1308-1310 e forse, secondo più tarde testimonianze erudite, addirittura 87; senza dimenticare, come si è già detto, la crescita vistosa del suburbio79.

Tracciare un quadro esauriente della composizione della società beneventana nei secoli centrali del Medioevo non è possibile allo stato attuale delle ricerche. In futuro occorrerà, infatti, moltiplicare gli sforzi muovendosi, da un lato, in direzione di ricostruzioni prosopografiche sempre più accurate dei gruppi familiari attestati nelle fonti, e dall’altro, avviando ricerche sistematiche sulle strutture dell’economia cittadina.

In base ai dati che possono già dirsi acquisiti, appare tuttavia in maniera molto nitida la vivace articolazione interna del tessuto sociale. A parte la presenza delle minoranze etniche e delle colonie mercantili già ricordate, pugliesi e soprattutto amalfitane, si riscontra infatti quella di un certo numero di categorie professionali, tra cui orefici, conciatori, ramai, vasai e tintori. I primi quattro gruppi formavano insediamenti compatti, situati in altrettanti settori dello spazio urbano, dove la loro presenza è attestata sia dalla toponomastica (platea de erariis, platea de conciatoribus) sia dagli appellativi delle parrocchie ivi esistenti (S. Maria de aurificibus, S. Nazzaro de lutifiguli, S. Giovanni de conciatoribus, S. Maria de caldararis). Sul quinto, quello dei tintori, siamo meno informati, ma sappiamo comunque che un gruppo di artigiani di quest’arte operava nella Città Nuova, nei pressi del priorato verginiano dei SS. Filippo e Giacomo, con il quale entrò in lite a causa degli sversamenti di “aqua sordida” prodotta dalle loro lavorazioni, che insozzavano la via d’accesso al suddetto monastero80.

Non si può dire al momento se tali gruppi professionali fossero organizzati in vere e proprie corporazioni, sebbene qualche indizio desumibile dalle fonti spinga a guardare cautamente in questa direzione. È innegabile comunque che nella dislocazione di determinate categorie artigianali all’interno di ben definite porzioni di tessuto urbano giocassero “elementi di interazione sociale e personale, vale a dire legami di vicinato e di parentela che andavano ad intrecciarsi con quelli derivanti dal comune esercizio di un’arte”81.

invece all’incirca 9000: F. Bencardino, Benevento. Funzioni urbane e trasformazioni territoriali tra XI e XX secolo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1991, pp. 62-63. 79 Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 192, 284-285. 80 Sui gruppi professionali attivi a Benevento e le loro tracce nella toponomastica cittadina cfr. ivi, pp. 175-177. 81 D. Degrassi, L’economia artigiana nell’Italia medievale, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p. 176.

Page 20: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

20 G. Araldi, Trasformazioni sociali

I legami di vicinato, occorre ancora aggiungere per completare il quadro, a Benevento sembrano un elemento costitutivo della strutturazione stessa della società. Dietro la costruzione delle quasi cento parrocchie di cui si è detto, è possibile infatti cogliere uno dei caratteri tipici dell’urbanesimo medievale, che nel nostro caso assume connotati assai vistosi, ovvero la segmentazione del paesaggio urbano in una pluralità di aggregati edilizi, compatti dal punto di vista topografico e omogenei sotto il profilo antropico, specchio dell’esistenza di altrettante cellule familiari e sociali tendenzialmente autonome82. Per ognuna di queste l’edificazione di una propria chiesa particolare e il legame devozionale intrattenuto con essa rappresentavano, insieme con altri, un elemento importante di coesione83.

Orbene, alla luce del quadro complessivo, sommariamente tratteggiato, delle dinamiche sociali che attraversano la comunità beneventana nel basso medioevo, è possibile adesso passare rapidamente, in conclusione, all’esame degli statuti del 1203, cominciando col descrivere l’articolata struttura del governo cittadino che emerge dalla lettura di questo documento. Accanto al rettore, compaiono infatti i giudici, in numero di dodici; i consoli anch’essi in numero di dodici; i giurati, in numero di ventiquattro; i “potiores de singulis portis”, cioè i rappresentanti più ragguardevoli delle singole porte cittadine.

La prima considerazione da fare, dando uno sguardo anche sommario all’architettura costituzionale così delineata, riguarda l’ampiezza degli spazi di partecipazione politica concessi alla comunità beneventana, che non trovano riscontri, a quanto è dato sapere, in nessuna altra località del Mezzogiorno. Tranne il rettore, nominato dal papa fin dal tempo di Pasquale II, come si è detto, tutte le altre magistrature risultano infatti ricoperte da cittadini.

In secondo luogo, colpisce l’evoluzione subita dagli assetti politico-amministrativi nell’arco di un secolo. Agli inizi del Millecento – lo si è già rilevato – il governo cittadino si risolveva in pratica nella diarchia collaborativa rettore-giudici: il primo, rappresentante del papa, i secondi, espressione della comunità. Al momento della redazione della carta statutaria, che segue l’esperienza traumatica della communitas messa in piedi nel 1128, ma poi rientrata nel giro di due anni, e la comparsa dell’istituto consolare, attestato per la prima volta nel 118484, il quadro appare invece molto più ricco. Ciò si deve ad un vistoso

82 J. Heers, Il clan familiare nel Medioevo, trad. it., Liguori, Napoli 1976, pp. 175-226; Id., La città nel Medioevo. Paesaggi, poteri e conflitti, a cura di M. Tangheroni, Jaca Book, Milano 1995, pp. 219-320. 83 Per questa interpretazione dello sviluppo della rete parrocchiale di Benevento cfr. Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 161-186. 84 Italia Pontificia seu Repertorium privilegiorum a Romanis pontificbus ante annum 1198 Italiae ecclesiis, monasteriis, civitatibus singulisque personis concessorum, IX, Samnium-Apulia-Lucania, ed. W. Holtzmann, Berolini 1962, p. 43, n. 111.

Page 21: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

21 G. Araldi, Trasformazioni sociali

ampliamento della rappresentanza politica, a tutto vantaggio di nuovi ceti produttivi emergenti e di famiglie aristocratiche, autoctone e inurbate, escluse fino ad allora dalla gestione del potere, nonostante il già ricordato raddoppio del numero dei giudici cittadini.

Assai indicativa in questo senso dell’emergere sulla scena politica di nuove componenti sociali, maturate nella lunga fase espansiva conosciuta da Benevento nel XII secolo, è la figura dei “potiores de singulis portis”, ai quali nello statuto è riconosciuto un ben preciso ruolo istituzionale. Essi hanno infatti quasi una sorta di potere di veto sulle decisioni prese dal rettore, dai giudici e dai consoli, grazie alla norma “siquid novi et commune fuerit statuendum, communi eorum et potiorum de singulis portis consilio statuatur”85. Tali potiores, destinati ad assumere in seguito più definita fisionomia istituzionale, assumendo già nel 1221 la denominazione di octonarii dal numero delle porte di Benevento86, si configurano come l’espressione sul piano politico di un’articolazione interna della società cittadina su scala rionale o circoscrizionale, verosimilmente accostabile alle “società di porte” tipiche delle città comunali87. La qual cosa in qualche modo presuppone lo sviluppo di legami associativi su scala ridotta, di tipo parrocchiale o vicinale, di cui, come si è detto, vi è amplissima attestazione nel nostro caso.

Le fonti attualmente note non forniscono purtroppo i nomi degli octonarii, mentre invece dallo stesso statuto è possibile conoscere i soggetti che componevano il consiglio dei ventiquattro giurati cittadini, cui si è accennato88. Di tre di loro è indicata la professione: un notaio, il primo della lista – ma si ricordi che il notaio a Benevento in quest’epoca è una figura minore e subalterna rispetto al giudice –89, un orefice e un conciatore. A costoro si aggiungono, tra gli altri,

85 Lepore, Gli Statuti, cit., p. 28. 86 Ivi, p. 8. Gli octonarii sono menzionati per la prima volta in una lettera di papa Onorio III indirizzata “iudicibus, consulibus, octonariis et populo Beneventano”: Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae per G. H. Pertz, ed. C. Rodenberg, Berolini, Weidmannos 1883 (M. G. H. Epp. Saec. XIII, I), p. 119, n. 172. Altra edizione del documento è in E. Galasso, Saggi di storia beneventana, Le forche caudine, Benevento 1963, pp. 39-41. 87 J. Koenig, Il «popolo» dell’Italia del Nord nel XIII secolo, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 173-182; F. Menant, L’Italia dei comuni (1100-1350), trad. it., Viella, Roma 2011, pp. 61-62. 88 Lepore, Gli Statuti, cit., pp. 32-33, 42-43. Sui giurati e tutti gli altri individui beneventani menzionati negli statuti sono in corso ricerche prosopografiche, delle quali qui di seguito si dà solo qualche brevissima e parziale anticipazione. 89 Sulla diplomatica beneventana cfr. Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 45-61. Sul notariato meridionale latino in età normanno-sveva cfr. Pratesi, Tra carte e notai, cit., pp. 235-324; M. Caravale, “Notaio e documento notarile nella legislazione normanno-sveva”, in F. D’Oria (a cura di), Civiltà del Mezzogiorno d’Italia. Libro, scrittura, documento in età normanno-sveva. Atti del Convegno dell’Associazione italiani dei paleografi e diplomatisti (Napoli-Badia di Cava dei Tirreni, 14-18 ottobre

Page 22: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

22 G. Araldi, Trasformazioni sociali

Giovanni de Leone e Bernardo de Murica90. Il primo apparteneva a una famiglia di mercanti proprietaria di botteghe in zone centrali della città, e il secondo ad una famiglia di origine pugliese residente nel suburbio di Porta Rufina, alcuni membri della quale nella seconda metà del Duecento si muovevano tra Benevento e Trani, dove risultano impegnati in attività di navigazione con l’altra sponda dell’Adriatico e successivamente anche come prestatori di denaro a Carlo I d’Angiò, intento ad estendere il suo dominio oltremare.

Il quadro diventa più chiaro se si dà una rapida scorsa al complesso processo genetico della carta statutaria in esame, che è costituita da due distinti privilegia, uno concernente le prerogative e i doveri dei giudici e, più in generale, l’amministrazione della giustizia, e l’altro le prerogative e i doveri dei consoli, entrambi redatti nel gennaio 120391. Dalla narratio documentaria si apprende tuttavia che in quell’occasione il rettore Gregorio di Sant’Angelo e i giudici che lo assistevano nella curia si limitarono a confermare, dopo aver cassato alcuni capitoli con il consenso dei giurati92, il contenuto dei due privilegi contenenti le “constitutiones pro salute populi et ipsius utilitate”93, che gli stessi giudici avevano in precedenza emanato. Ad esibire materialmente i due documenti in questione al rettore, a richiederne la conferma e a porgere allo stesso “preces affectuosissimas pro civitate et populo”94, affinché inducesse giudici, consoli, avvocati, notai, serventi della curia e gabellieri a prometterne la piena e integrale osservanza, furono i ventiquattro giurati, “qui […] a populo electi sunt”95.

Lo scarso spazio che si è sinora riservato ai consoli, la cui comparsa, come è noto, viene di norma considerata l’atto di nascita del comune, si spiega in base alle procedure con cui avveniva l’elezione di quelli beneventani, tali da limitarne fortemente la ‘carica eversiva’ dell’ordinamento costituito. Alcune norme degli statuti stabiliscono infatti che i consoli, i quali erano in numero di dodici e restavano in carica un anno, al contrario dei giudici che erano vitalizi, eligantur [cum] sinceritate per tres iuratas personas. Et ille tres persone eligantur communi consilio rectoris, iudicum et consulum. Quando iudices et consules conveniunt cum rectore pro

1991), Carlone, Salerno, 1994, pp. 333-358. Sulla figura del giudice ai contratti cfr. M. Amelotti, Il giudice ai contratti, ivi, pp. 359-367. 90 Sulla famiglia de Leone cfr. A. Zazo, Professioni, arti e mestieri in Benevento nei secoli XII-XIV, in «Samnium», XXXII (1959), pp. 121-177, in partic. pp. 128-129. Sulla famiglia de Murica cfr. Araldi, Vita religiosa, cit., pp. 282-285. 91 Lepore, Gli statuti, cit., p. 7. 92 Ivi, pp. 18, 21. 93 Ivi, p. 18-19. 94 Ibidem. 95 Ibidem.

Page 23: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

23 G. Araldi, Trasformazioni sociali

eligendis prefatis tribus personis, que consules eligantur, vocentur tres de ministerialibus, qui cum iudicibus et conusulibus intersint. 96

Come si vede, si tratta di un complicato meccanismo indiretto, grazie al quale, se effettivamente poterono accedere alla carica consolare alcuni homines novi, è indubbio che fu dato agio di condizionare pesantemente l’accesso alla magistratura, depotenziandone così la reale capacità rappresentativa di istanze innovative, al blocco di potere tradizionale, rappresentato dall’alleanza rettore-giudici.

La conferma degli statuti cittadini nel 1230 ad opera del rettore Roffredo di Uberto, dopo l’approvazione papale del 1207, vede nuovamente in primo piano il nuovo soggetto politico, cui tra le righe si è già fatto riferimento dianzi.97 Il rettore infatti acconsente a far di nuovo giurare l’osservanza degli statuti da parte delle componenti del governo cittadino dietro insistenti reclami dal parte del popolo, i cui rappresentanti, chiamati anch’essi a giurare insieme ai giudici e ai consoli vecchi e nuovi, vengono ricordati in calce al documento98. Dalla lettura integrale degli statuti, testo della cui complessità strutturale e ricchezza contenutistica qui non si può provare a dare neppure un breve saggio, emerge, a mio giudizio, in maniera chiara come il “popolo” di cui si fa ripetutamente menzione non debba essere inteso come “popolo-cittadinanza”, quale massa generica indistinta, universus populus99. Si tratta invece del popolo come parte politica organizzata, che emerge con un certo anticipo rispetto a varie realtà comunali, a causa della forte accelerazione dei processi storici che Benevento conosce nel XII secolo come si è cercato brevemente di mostrare. Nonostante la precocità della sua comparsa, il “popolo” beneventano presenta caratteristiche e orientamenti molti simili a quelli che si riscontrano in genere in molte città centrosettentrionali. In primo luogo per quanto riguarda la composizione sociale. Esso raccoglieva infatti un vasto insieme di soggetti precedentemente esclusi dal governo, ovvero dall’accesso alla carica di giudice cittadino, e comprendeva accanto a famiglie di antico lignaggio, famiglie di più recente fortuna o inurbatesi nel corso del secolo, ma anche mercanti ed esponenti del mondo artigianale e dell’associazionismo legato alle strutture rionali in cui si articolava il territorio cittadino, le porte.100 Oltre ai rappresentanti di queste ultime, gli octonarii, si configura come di diretta emanazione popolare il consiglio dei giurati, composto da ventiquattro membri. Questi due organismi

96 Ivi, pp. 40-43. 97 Ivi, pp. 45-53. 98 Ivi, pp. 49-53. 99 E. Occhipinti, L’Italia dei comuni. Secoli XI-XIII, Carocci, Roma 2000, pp. 64-65; G. Milani, I comuni italiani. Secoli XII-XIV, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 83; Menant, L’Italia dei comuni, cit., pp. 60-61. 100 Occhipinti, L’Italia dei comuni, cit., pp. 70-71;

Page 24: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

24 G. Araldi, Trasformazioni sociali

costituiscono un asse politico-sociale che si affianca e si contrappone a quello rettore-giudici, imperniato sul Palatium, e ne bilancia le competenze, dando vita, come spesso accade, naturalmente in forme diverse, nei governi di popolo comunali, ad una sorta di peculiare dualismo istituzionale.101 Esso trova un elemento di mediazione, un originale trait d’union, nella magistratura consolare, cui si accede attraverso un’incerta formula di compromesso tra le due parti in competizione, ove è fatto spazio a meccanismi di cooptazione e di scelta dall’alto, che contribuisce a rendere del tutto peculiare il caso beneventano nel quadro della storia medievale italiana.

101 Koenig, Il «popolo», cit., pp. 18, 145-173; E. Artifoni, “Città e comuni”, in Storia medievale, Donzelli, Roma 1998, pp. 363-386, in partic. p. 378; Menant, L’Italia dei comuni, cit., pp. 78-80; G. Milani, “Il potere delle città”, in A. Barbero (dir.), Storia d’Europa e del Mediterraneo, VIII, Popoli, poteri e dinamiche, Salerno, Roma 2006, pp. 629-664, in partic. p. 655.

Page 25: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

25 L. Topi, Forme di controllo

Forme di controllo in una città “appestata”: Roma 1656-1657 di Luca Topi

Negli anni 1656-1657 una forte epidemia di peste interessò alcuni Stati italiani colpendo con particolare virulenza la Sardegna e le aree urbane di Napoli, Roma e Genova a differenza di quanto accaduto per la pestilenza del 1630 che si diffuse nell’area dell’Italia settentrionale1.

Il punto di origine dell’epidemia è stato individuato nella Sardegna dove iniziò nel 1562 e finì nel 1657; nelle principali città dell’isola la mortalità si stimò essere superiore al 55%2. Nel mese di aprile 1656, presumibilmente portata dalle navi, la pestilenza raggiunse Napoli dove, nel giro di un anno e mezzo, uccise circa la metà della popolazione (150.000 cittadini); dalla capitale si diffuse nel resto del Regno causando la morte di 900.000 persone3. A maggio, attraverso le

1 Sulla peste in generale si veda W. Naphy, A. Specer, La peste in Europa, Bologna 2006; per quel che riguarda le pestilenze del seicento B. Anatra, La peste del 1647-1658 nel Mediterraneo occidentale: il versante italiano, in «Popolazione, società, ambiente, temi di demografia storica italiana (secc. XVII-XIX)», Bologna 1990, pp. 549-559; A. Pastore, Crimine e giustizia in tempo di peste nell'Europa moderna, Roma-Bari 1991, G. Calvi, Storie di un anno di peste, Milano 1984, C. M. Cipolla, Chi ruppe i rastrelli a Monte Lupo?, Bologna 2004, Id, Contro un nemico invisibile: epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento, Bologna 1986, Id, Cristofano e la peste, Bologna 2004; sul rapporto tra la peste e la società cfr. J. Revel, Autor d’une épidémie ancienne: le peste de 1666-1670, «Revue d’Histoire moderne et contemporaine», XVII, (1970), pp. 953-983; P. Preto, Peste e società a Venezia nel 1576, Vicenza 1978; A. Pastore, Peste e società, «Studi storici», XX, (1979), pp. 857-873 e G. Calvi, «Dall’altrui communicatione»: comportamenti sociali in tempo di peste (Napoli, Genova, Roma 1656-1657), in «Popolazione, società, ambiente», cit., pp. 561-579. Per i dati demografici cfr. A. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Bologna 1863 vol. IV e L. Del Panta, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX), Torino 1980, pp. 167-178. 2 Sulla peste in Sardegna cfr. F. Manconi, Castigos de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di Filippo IV, Roma 1994; M. Galinanes Gallén, M. Romero Frias (a cura di), Documenti sulla peste in Sardegna negli anni 1652-1657, Sassari 2003; G. Puggioni, Peste in Sardegna, in «Popolazione, società, ambiente», cit., pp. 659-668; B. Anatra, I fasti della morte barocca in Sardegna fa epidemia e carestia, «Incontri meridionali», 4, (1977), pp. 117-142. 3 Su Napoli cfr. G. Calvi, L’oro, il fuoco, le forche: la peste napoletana del 1656, «Archivio storico italiano», 139, (1981), pp. 405-458; S. De Renzi, Napoli nell’anno 1656, Napoli 1867; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica, cultura, società, Firenze 1982, pp. 46-47; sulla peste nel Regno di Napoli cfr. C. A. Corsini, G. Delille, «Ne si scorgeva altro per le strade che condurre

Page 26: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

26 L. Topi, Forme di controllo

vie di collegamento abruzzese e napoletana, il morbo giunse nello Stato Pontificio colpendo Civitavecchia e Nettuno e, proprio da quest’ultima cittadina, arrivò tra la fine di maggio e la metà di giugno a Roma4. Durante l’estate la peste penetrò nel territorio della Repubblica di Genova falciando circa un quinto della popolazione. La sola città di Genova venne colpita molto pesantemente con la perdita di 50-60 mila persone pari a circa il 60% dei suoi abitanti5.

sacramenti agli infermi e cadaveri alle sepolture». Eboli e la peste del 1656, in «Popolazione, società, ambiente», cit., pp. 581-592; G. Da Molin, La peste del 1656-1657 in Puglia attraverso i registri parrocchiali, in «Popolazione, società, ambiente», cit., pp. 613-628; F. Volpe, La peste del 1656 nel Cilento, «Ricerche di storia sociale e religiosa», XIII, (1978), pp. 71-106. Sui porti come luoghi di arrivo e partenza della peste si veda G. Restifo, I porti della peste. Epidemie mediterranee fra Sette e Ottocento, Messina 2005. 4 Sulla peste del 1656-1657 a Roma cfr. E. Sonnino, R. Traina, La peste del 1656-57 a Roma: organizzazione sanitaria e mortalità, in «La demografia storica delle città italiane», Bologna 1982, pp. 433-452; P. Savio, Ricerche sulla peste a Roma degli anni 1656-1657, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», XCV, 1972, pp. 125-132; A. Pastore, Crimine e giustizia, cit., pp. 187-204; M. D’amelia, La peste a Roma nel carteggio del prefetto dell’Annona, «Dimensioni e problemi della Ricerca storica», 2/1990. pp. 135-151; A. Belardelli, Il governo della peste: l’esperienza romana del 1656, «Sanità, scienza e storia», (1987), pp. 51-79; G. Cassiani, Medici, magistrati e filosofi contro i miasmi della peste. Ricerche in margine al alcuni documenti sull’epidemia di Roma del 1656-57, «Ricerca di storia sociale e religiosa», XLVI, 1994, pp. 187-215; B. Bertolaso, La peste romana del 1656-1657 dalle lettere inedite di S. Gregorio Barbarigo, «Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana», 2, 1969, pp. 220-269; R. Ago. A. Parmeggiani, La peste del 1656-57 nel Lazio, in «Popolazione, società, ambiente, temi di demografia storica italiana (secc. XVII-XIX)», Bologna 1990, pp. 595-611; G. Gastaldi, Tractatus de avertenda et profliganda peste politico-legalis, Bologna 1684; G. Balestra da Loreto, Gli accidenti più gravi del mal contagioso osservati nel lazzaretto all'isola, con la specialità de' medicamenti profittevoli, esperimentati per lo spatio di sette mesi, da Gioseppe Balestra da Loreto, chirurgo primario di detto luogo, & al presente chirurgo di S. Spirito In Roma, Nella stamperia di Francesco Moneta, Roma 1657; P. Sforza Pallavicino, Descrizione del contagio che da Napoli si comunicò a Roma nell’anno 1656 e de saggi provvedimenti ordinati allora da Alessandro VII. Estratta dalla vita del medesimo pontefice che conservasi manuscritta nella biblioteca Albani, Roma 1837 e i saggi contenuti nel volume di Roma Moderna e Contemporanea, anno XIV, 2006 fasc. 1-3 dedicato a «La peste a Roma (1656-1657)» a cura di I. Fosi. 5 Sulla peste a Genova cfr. D. Presotto, Genova 1656-1657: cronache di una pestilenza, «Atti della società ligure di storia patria», LXXIX, (1656), pp. 315-364, Pastore, Crimine e giustizia, cit., pp. 173-187; F. Casoni, Successi del contagio della Liguria negli anni 1656 e 1657, Genova 1831; W. Rossi, M. Lagomarsino, Nuove ricerche sulla grande peste del 1656-1657 a Genova, in Genova, la Liguria e l’Oltremare tra Medioevo e l’Età Moderna. Studi e ricerche d’archivio, Genova 1976, pp. 391-429; G. Rocca, La peste di metà seicento a Genova e in Liguria. Alcune considerazioni sulla diffusione spaziale di un’epidemia, in «Popolazione, società, ambiente», cit., pp. 707-720; A. M. da San Bonaventura, Li lazzaretti della città, e riviere di Genova del 1657. Ne quali oltre a successi particolari del contagio si narrano l'opere virtuose di quelli che sacrificorno se stessi alla salute del prossimo. E si danno le regole di ben governare un popolo flagellato dalla peste, Pietro Giovanni Calenzani e Francesco Meschini, Genova 1658. I dati sulla mortalità per peste nelle città di Napoli, Roma, Genova e nella Sardegna sono ripresi da E. Sonnino, Cronache della peste a Roma, cit., p. 35.

Page 27: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

27 L. Topi, Forme di controllo

Non appena a Roma si ebbero i primi sentori della presenza del morbo la Congregazione di Sanità, che già aveva preservato lo Stato Pontificio dalla pestilenza del 1630, si mise immediatamente all’opera6. Istituita da Urbano VIII il 27 novembre 1630 era riuscita, in quell’occasione, a stendere un cordone sanitario ai confini dello Stato per impedire che da Milano la peste scendesse sino a Roma; nonostante inevitabili falle l’azione della Congregazione risultò positiva impendendo al contagio di propagarsi all’interno dello Stato Pontificio.

Nel 1656, al momento dello scoppio della nuova pestilenza, la Congregazione si era ridotta nel numero a soli quattro prelati ma Alessandro VII, forte della precedenza personale esperienza, decise di ampliarne il numero, facendovi entrare tra i più eminenti esponenti del clero e i titolari delle più importanti cariche pubbliche. Durante la peste del 1630, infatti, Alessandro VII allora cardinale, venne inviato da Urbano VIII come Vice Legato a Ferrara per coadiuvare il cardinale Giulio Sacchetti nel suo governo e in quell’occasione ebbe modo di sperimentare direttamente le misure per arginare il contagio.

La Congregazione, così ampliata, era composta da nove porporati a cui vennero aggiunti sette prelati. Il Presidente era il cardinale Giulio Sacchetti, il Segretario monsignor Cesare Rasponi entrambi membri pari grado della Sacra Consulta7. Tra le figure di spicco vi era Girolamo Gastaldi, uno dei sette prelati, che ricoprì il ruolo di Commissario Generale fondamentale nella gestione dell’emergenza. Al fratello del pontefice, il principe Mario Chigi, fu affidato il compito della disinfestazione generale8. Infine completavano l’organico della Congregazione i Conservatori, il Governatore, il Tesoriere Generale e il Fiscale Capitolino9. Una funzione specifica ebbero il nobile veneziano Gregorio

6 Sulla Congregazione cfr. L. Duranti, Le carte dell’archivio della Congregazione di Sanità nell’Archivio di Stato di Roma, in Studi in onore di Leopoldo Sandri, a cura dell’Ufficio Centrale per i Beni Archivistici e della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma, II, Roma 1983, pp. 457-471; A. Belardelli, Il governo della peste, cit; P. Savio, Ricerche sulla peste a Roma, cit; I Fosi, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma Barocca, Roma 1997, pp. 152-154. 7 Sui tribunali pontifici cfr. I. Fosi, La Giustizia del papa. Sudditi e tribunali nello Stato Pontificio in età moderna, Roma-Bari 2007. 8 Sulla figura di Mario Chigi si vedano i saggi pubblicati nel catalogo Alessandro VII Chigi (1599-1667) il papa senese di Roma moderna, a cura di A. Angelini, M. Butzek e B. Sani, Siena 2000. 9 I membri della Congregazione erano i cardinali Barberini, Sacchetti, Borromeo, Azzolini, Imperiale, Sforza, Ottoboni, Astalli, Medici, Santacroce, d’Hassia; il Tesoriere Generale, il Governatore di Roma e il Fiscale Capitolino; i prelati, Rasponi, Rivaldi, Corsi, Bentivolgio, Celsi, Cerri, Carafa, Gastaldi; il principe Mario Chigi; i Conservatori, D’Annibale, Del Bufalo, Iacovacci; sulla composizione della commissione cfr. P. Savio, Ricerche sulla peste di Roma, cit. p. 113, e Biblioteca Corsiniana (d’ora in poi BC), Memorie diverse di bandi, provvedimenti, risoluzioni e congregazioni fatte in Roma nell’anno MDCLVI in tempo che in Roma vi era il male contagioso detto di buboni, ms 34.C.6 (d’ora in poi citato con il solo numero di collocazione): in questo volume sono

Page 28: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

28 L. Topi, Forme di controllo

Barbarigo e il genovese Giovanni Francesco Negroni con la responsabilità di due zone di Roma particolarmente importanti: il primo di Trastevere il secondo del Ghetto.

Dalla composizione della Congregazione, considerando in particolare la presenza di due membri della Sacra Consulta, cui erano affidati i ruoli principali e dall’assenza al suo interno di medici, si evince con chiarezza la scelta da parte dell’autorità pontificia di privilegiare l’aspetto burocratico organizzativo del controllo, dell’isolamento e della repressione della popolazione rispetto a quello curativo; i medici infatti venivano consultati solo in caso di necessità, rimanendo subordinati alle autorità politiche. Prevenire il disordine sociale, che sempre si accompagnava alle epidemie, era prioritario, come lo era impedire sovrapposizioni e contrasti fra diversi uffici, estremamente pericolosi in tempi di pestilenza10.

Il solo nominare la parola “peste” provocava il panico sia nelle popolazioni che presso le autorità ed evocava scenari terribili tanto che spesso, con un’operazione di rimozione, si arrivava a negarne la presenza anche quando questa era ormai accertata. Tale negazione non era appannaggio solo delle fasce più popolari della cittadinanza; il nobile Gregorio Barbarigo, preposto al controllo del recinto di Trastevere, scriveva nel luglio del 1656 che si moriva “più di stento e di paura che di peste”11. È necessario tenere presente che le condizioni nelle quali si trovarono ad agire i protagonisti dell’epoca erano molto difficili dal momento che le conoscenze mediche e di conseguenza anche quelle terapeutiche erano pressoché assenti12.

conservati i verbali delle riunioni della Congregazione dal 20 maggio al 30 luglio 1656, purtroppo non si ha notizia degli altri verbali. 10 Cfr. E. Sonnino, R. Traina, La peste del 1656-57 a Roma, cit; M. P. Donato, La peste dopo la peste. Economia di un discorso romano (1656-1720), «Roma Moderna e Contemporanea», 2006, cit., pp. 159-174; D. Gentilcore, Negoziare rimedi in tempo di peste. Alchimisti, ciarlatani, protomedici, ivi, pp. 75-91 e A. Pastore, Le regole dei corpi. Medicina e disciplina nell’Italia moderna, Bologna 2006 pp. 37-62; Id, Crimine e giustizia in tempo di peste, cit; G. Calvi, Una metafora degli scambi sociali: la peste fiorentina del 1630, «Quaderni storici», 1984, 1, pp. 34-64. 11 B. Bertolaso, La peste romana del 1656-1657, cit., p. 345 e A. Pastore, Crimine e giustizia in tempo di peste, cit., pp. 195-196. Sulla paura della peste e sui comportamenti che tale sentimento generava nella popolazione si veda il vecchio, ma ancora valido saggio di J. Delumeau, La paura in occidente. (secoli XIV-XVIII). La città assediata, Torino 1994, pp. 155-220. 12 Il bacillo delle peste fu isolato da Alexandre Yersin e da Shibasaburo Kitasato, in maniera indipendente uno dall’altro, soltanto nel 1894 durante una pestilenza che colpì Hong Kong. Il morbo si presenta in tre forme distinte che prendono il nome dalla loro caratteristica più evidente: quella bubbonica che si manifesta con bubboni o gonfiori che nei casi più gravi fa apparire sulla pelle puntolini lividi e cremisi (petecchie); quella setticemica connotata dalla concentrazione del bacillo nel sangue e quella polmonare con un accumulo del bacillo nei polmoni e con la sua espulsione attraverso l’espettorazione. La Yersina pestis non è un bacillo umano ma è presente nei

Page 29: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

29 L. Topi, Forme di controllo

La spiegazione della presenza della pestilenza trovava un suo fondamento nella corruzione dell’aria che, alimentando i miasmi, causava la malattia, stabilendo quindi una relazione tra qualità dell’aria e presenza del morbo13. Il principio su cui si reggeva tale teoria era che la peste derivasse dalla formazione di vapori velenosi; formazione legata ad una serie di cause di cui quelle primarie erano: la collera divina, le congiunzioni astrali, i terremoti che facevano emergere dal sottosuolo miasmi pericolosi, mentre quelle secondarie riguardavano: la corruzione dell’aria prodotta da processi di putrefazione legati, a loro volta, all’acqua stagnante delle paludi, ai cadaveri, alle sporcizia e anche a specifiche attività lavorative come la macellazione14. Girolamo Fracastoro introdusse elementi di novità all’interno di questo quadro con la teoria contagionista, sviluppata nel De Contagione. Nell’opera si fa riferimento a semi contagiosi, come agenti infettivi capaci di trasmettere la malattia in tre modi: attraverso il contatto diretto, tramite veicoli di trasmissione come indumenti, stoffe o oggetti che trattenevano i semi infetti e infine distanza15. Tali teorie innovative convivevano, in un sincretismo molto forte con la tradizione quando tra le ragioni delle epidemie annoveravano l’ira divina e l’aria infetta che corrompeva gli indumenti e gli oggetti delle persone facendole ammalare16. Questa commistione durerà a lungo ed è presente anche nell’opera di Muratori, Del Governo della peste, nella quale accanto a spunti innovatori si leggono consigli e sollecitudini a tenere “purgata” l’aria della città e quindi a pulire le vie e le piazze dalle immondezze:

topi e più in generale nei roditori a cui viene trasmesso dalle pulci. Alle volte la concentrazione del bacillo può essere talmente alta da causare una massiccia mortalità nella popolazione dei roditori; quando ciò accade le pulci tendono a spostarsi sul primo corpo caldo che incontrano e in questo modo la peste viene trasmessa all’uomo. Il decorso della malattia è molto rapido, tra i tre e i quattro giorni in caso di peste polmonare, dai tre ai dieci per quella bubbonica, cfr. W. Naphy, A. Specer, La peste in Europa, cit., pp. 42-43. 13 Cfr. C. M. Cipolla, Miasmi ed umori. Ecologia e condizioni sanitarie in Toscana nel Seicento, Bologna 1989. 14 Su questi temi si vedano i saggi di R. Sansa, Strategie di prevenzione a confronto. L’igiene urbana durante la peste romana del 1656-1657, «Roma Moderna e Contemporanea», 2006, cit., pp. 93-107, qui pp. 94-95, M. Conforti, Peste a stampa. Trattati, relazioni e cronache a Roma nel 1656, ivi, pp. 135-158 e M. P. Donato, La peste dopo la peste, cit: G. Cosmacini, A. W. D’Agostino, La peste passato e presente, Milano 2008; G. Cosmacini, Le spade di Damocle. Paura e malattie nella storia, Roma-Bari 2006. 15 G. Fracastoro, De sympathia et antipathia rerum liber vnus De contagione et contagiosis morbis et curatione libri tres, Venezia, eredi di Luca Antonio Giunta, 1546; su Fracastoro si vedano i saggi in Girolamo Fracastoro fra medicina, filosofia e scienze della natura, a cura di A. Pastore e E. Peruzzi, Firenze 2006. 16 È il caso di Kircher che pur essendo un innovatore, nei consigli che dava a chi non poteva lasciare città suggeriva di areare e pulire quanto più possibile le case in quanto i miasmi infettavano l’aria portando la malattia, A. Kircher, Scrutinium physico-medicum contagiosae luis, quae pestis dicitur, Roma, Mascardi 1658.

Page 30: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

30 L. Topi, Forme di controllo

Consiste la pestilenza in certi Spiriti velenosi, e maligni, che corrompendo il Sangue, o in altra maniera offendono gli Umori, levano di vita le persone, spesso in pochi, e talora in molti giorni, o pur quasi all’improvviso. Quella che nasce dalla totale Infezion dell’Aria, mai, o quasi mai, non suol accadere, benché per accidente succeda, che l’Aria ambiente gli appestati s’infetti anch’essa, e tanto più cresca tal’Infezione, quanto più copioso e vicino è il numero di quegl’infermi. All’incontro bensì frequentemente accade quella, che è Infezion di corpi contagiosa, cioè, che s’attacca a gli altri col contatto, e che riesce maggiormente pericolosa nelle città molto popolate e ristrette dove non soffiano venti, che purghino l’aria. 17

Elemento centrale per la trasmissione della malattia restava sempre l’aria e la sua “qualità”. Quell’aria infetta, contraddistinta dall’odore nauseabondo, che impregnava gli indumenti e gli oggetti facendo ammalare le persone18.

Dal momento che non vi era conoscenza del morbo, non vi erano neppure terapie curative efficaci e specifiche, e la possibilità di guarire era legata a fattori del tutto personali19. Se si sposta lo sguardo sulle misure preventive che venivano messe in atto il quadro muta in maniera significativa. Accanto a disposizioni del tutto inutili, come il profumare le stanze con legno odoroso o mangiare fichi prima di entrare nelle case infette, si trovano indicazioni del tutto sensate come la prassi di bruciare i materassi e i vestiti dei defunti; la disinfestazione di lane, tessuti e mobili; l’uso dell’aceto e della calcina per ripulire le stanze, e l’abito di tela cerata con cui si dovevano vestire i medici20; si tratta di precauzioni che ancora oggi sono indicate per contrastare i parassiti.

17 L.A. Muratori, Del governo della peste e della maniera di guardarsene, Modena, per Bartolomeo Soliani, 1714, pp. 1-2: su ques’opera cfr. Centro di studi muratoriani, Il buon uso della paura. Per una introduzione allo studio del trattato muratoriano “Del governo della peste”, Firenze 1990. 18 R. Sansa, Strategie di prevenzione a confronto, cit., p. 96. 19 Per una descrizione dei malati e dei loro sintomi si vedano G. Balestra da Loreto, Gli accidenti più gravi del mal contagioso, cit., pp. 31-32 e G. B. Bindi, Loemographiae Centumcellensis, sive De Historia pestis contagiosae, quae Anno intercalari MDCLVI in Ecclesiastica Ditione primum Civitatem Veterem invasit et inde in Pontificiarum Triremium Ducem Fuit illata, Romae, typis Varesij, 1658, su Balestra e Bindi rispettivamente medici a Roma nel Lazzaretto centrale all’Isola Tiberina il primo e a Civitavecchia il secondo cfr. M. Conforti, Peste a stampa, cit., pp. 144-150. 20 Sull’abito del medico abbiamo una descrizione fornita da una poesia del XVII secolo: As may be seen on picture here, / In Rome the doctors do appear, / When to their patients they are called, / In places by the plague appalled, / Their hats and cloaks, of fashion new, / Are made of oilcloth, dark of hue, / Their caps with glasses are designed, / Their bills with antidotes all lined, / That foulsome air may do no harm, / Nor cause the doctor man alarm, / The staff in hand must serve to show / Their noble trade where'er they go. Pubblicata in The Plague doctor, «Journal of the History of Medicine and Allied Sciences», 3, XX, 1965 p, 276: un’immagine del vestito del medico in G. Gastaldi, Tractatus, cit., e nella copertina di J.-J. Manget, Traité de la peste recueilli, des meilleurs auteurs anciens & modernes. Et enrichi de remarques & observations theoriques & pratiques, Ginevra 1721.

Page 31: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

31 L. Topi, Forme di controllo

L’idea all’origine di questi provvedimenti era quella della prevenzione basata sull’esperienza empirica, formatasi sull’osservazione della pestilenza; si era riscontrato che il male si trasmetteva per contagio, dalla persona, dagli oggetti e dagli animali ad altri persone, oggetti e animali. Nonostante le modalità della trasmissione non fossero note e le opinioni degli studiosi contrastassero tra loro, l’idea del contagio era ormai comunemente accettata.

La peste a Roma, andamento e mortalità

Non appena giunsero in città le prime notizie sull’epidemia di peste scoppiata a Napoli la Congregazione di Sanità promulgò degli editti per tentare di arginare il contagio: il 20 maggio 1656 venne ordinata la sospensione di ogni attività commerciale con il Regno di Napoli; una settimana dopo (27 maggio 1656) il blocco venne esteso anche alle persone provenienti dal Regno e infine il 29 dello stesso mese Civitavecchia venne posta in quarantena in quanto si erano verificati casi di peste in città; nei giorni e mesi successivi molte altre località dello Stato Pontificio vennero poste in stato di isolamento21. Per quel che riguarda le misure relative a Roma il 21 maggio la Congregazione aveva deciso di chiudere tutte le porte della città lasciandone aperte solo otto, che dovevano essere sorvegliate da soldati, comandati da un “gentiluomo” e da un cardinale. L’ordine era di registrare tutti coloro che entravano e la chiusura doveva avvenire all’Ave Maria22. La Congregazione doveva essere abbastanza convinta della validità delle sue decisioni tanto che il 1 giugno 1656 nel verbale delle sue sedute si legge “La città sta bene, non si sente un minimo sospetto”23; nonostante tutte queste precauzioni la peste riuscì ad entrare in città eludendo il sistema di controlli.

La data di inizio del contagio a Roma è fissata al 15 giugno 1656 con la morte di un soldato napoletano seguita da quella di un pescivendolo, anch’esso napoletano, nell’Ospedale di San Giovanni:

Morì un marinaio nell’Ospedale di San Giovanni, il quale fu sospetto di peste, et dicono, che la moglie gli haveva mandato un Anello con una fettuccia attaccata per la quale se gli attaccò la Peste, et egli poi l’attaccò ad un altro suo paesano. Il quale morì in Trastevere, et in Trastevere morsero alcuni altri delli quali era dubio se era Peste o nò. 24

La notizia è confermata anche da Sforza Pallavicino che aggiunge che la Congregazione, insospettita dalla morte dell’uomo aveva inviato un perito

21 G. Gastaldi, Tractatus, cit., rispettivamente pp. 271-272, p. 288 e p. 289. 22 BC, 34.C.6, cc. 4rv-5v: le porte lasciate aperte erano: S. Giovanni, S. Paolo, S. Pancrazio, Pia, Popolo, Angelica, Portese, Cavalleggieri e Pinciana. 23 Ivi, c. 22r. 24 G. Gigli, Diario di Roma, a cura di M. Barberito, 2 voll., Roma 1994, vol. II, p, 763.

Page 32: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

32 L. Topi, Forme di controllo

all’Ospedale. Questi non aveva riscontrato segni di peste e quindi non si era ritenuto opportuno prendere subito tutte le necessarie precauzioni25. Tuttavia poco dopo perì anche tutta la famiglia che gestiva l’osteria a Trastevere dove il pescivendolo si era fermato a dormire e da li il morbo si diffuse in tutta la città.

Vi sono delle altre ipotesi sull’arrivo della peste in città; una di queste è quella descritta dall’abate Caetani che parlò di alcune morti sospette tra l’aprile e il maggio 1656 seguite poi da una serie di eventi luttuosi legati dall’arrivo di una donna da Napoli che portava con sé molte “robbe”; infine il prelato registrò quattordici decessi di uomini che avevano maneggiato delle casse di ventagli, anch’esse provenienti da Napoli e depositate presso un negozio alla Scrofa26.

Qualsiasi sia l’origine e il vettore di ingresso le fonti concordano sul fatto che la peste giunse da Napoli (portata da persone e oggetti), e che la sua porta di ingresso nello Stato Pontificio fu la cittadina di Nettuno che infatti ne risultò pesantemente colpita27.

La pestilenza iniziò nel maggio/giugno del 1656 e terminò nell’agosto del 1657 ed ebbe un andamento sinusoidale. L’apice si raggiunse nei mesi di ottobre e novembre del 1656, per poi cominciare a scemare gradualmente nel periodo tra dicembre 1656 e aprile 1657; il periodo tra maggio e luglio 1657 vide una recrudescenza del morbo che scomparve definitivamente nell’agosto dello stesso anno.

Secondo Girolamo Gastaldi i morti, dal giugno 1656 sino al luglio 1657 furono poco meno di 14.500 così divisi: in città e nei lazzaretti circa 11.373; nella parte di Trastevere chiusa dal recinto 1.500; nel Ghetto e nel lazzaretto degli ebrei 1.60028. Questi numeri però ricomprendono tutti i decessi avvenuti in città, mischiando quelli causati dalla peste con quelli che normalmente colpivano la popolazione.

Secondo le ricerche condotte da Eugenio Sonnino risulta invece che i decessi per peste furono circa 9.500; il numero, riferito alla popolazione romana totale composta da circa 120.596 unità, fornisce una mortalità del 7.8% circa. Di questi, 5.871 morirono nei lazzaretti, dove in totale furono ricoverati 9.210 persone con un tasso di mortalità di 63,7 morti ogni cento ricoverati; mentre morirono “in città”, cioè nelle loro case o in strada, circa 3.629 persone. La durata media della

25 “Ciò che mise in grave orrore e scompiglio fu che, un pesciajuolo napoletano morì a Roma con segni di pestilenza nello spedale di San Giovanni”, P. Sforza Pallavicino, Descrizione del contagio, cit., p. 2 e per la vicenda dell’esame del cadavere pp. 11-12. 26 Il testo dell’abate Caetani è pubblicato in Appendice da D. Rocciolo, Cum suspicione morbi contagiosi obierunt. Società, religione e peste a Roma nel 1656-1657, «Roma Moderna e Contemporanea», 2006, cit., pp. 111-134, Appendice pp. 130-134 la citazione p. 130. 27 R. Benedetti, La via della peste: dalla terra di Nettuno a Roma (1656), «Roma Moderna e Contemporanea», 2006, cit., pp. 13-35. 28 G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 111-119.

Page 33: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

33 L. Topi, Forme di controllo

malattia, nei casi mortali, era di circa 4 giorni e il coefficiente di letalità pari a 59,7 morti su 100 ammalati29.

Roma perdette un numero di abitanti minore rispetto a Napoli e Genova ma questo dato nasconde al suo interno una forte disparità del contagio e della mortalità tra la popolazione cristiana e quella ebraica.

Un editto del 18 luglio 1656 aveva interessato il ghetto disponendo tra l’altro la sua chiusura e istituendovi un unico lazzaretto. Nelle statistiche della Congregazione gli ebrei morti per peste vennero sempre distinti da quelli della popolazione cristiana, questa “separazione” ha permesso di far emergere un’alta mortalità all’interno del gruppo ebraico30.

Si è visto che la mortalità media cittadina fu pari all’7,8%, ma se si scorpora il dato risulta che tra gli ebrei la mortalità fu del 13,8% (596 morti su 4.314 abitanti) rispetto al 7,6% tra i non ebrei (8.904 morti su 116.282 abitanti)31.

I motivi di una mortalità così alta della componente ebraica sono da riferirsi principalmente all’ambiente del ghetto e all’organizzazione sanitaria che vi fu imposta. L’area dove sorgeva il ghetto era uno dei luoghi più malsani dell’intera città, un lato del perimetro era delimitato dal Tevere di cui erano frequenti le inondazioni e vi si apriva uno degli sbocci della cloaca; vicino agli altri insistevano il mercato del pesce da una parte e le concerie dall’altra32. Oltre all’ambiente malsano è necessario tenere presente che una delle principali attività economiche degli ebrei era il commercio di abiti usati e degli stracci con il conseguente ammassarsi di questi oggetti in case e magazzini; una tale concentrazione favoriva il proliferare dei vettori della peste cioè i topi e le pulci e se si aggiunge infine l’altissima densità abitativa e la grande promiscuità, derivanti dalla ristrettezza dell’area, si hanno concentrati in un unico luogo tutti i fattori che la moderna epidemiologia ritiene decisivi per il propagarsi di un morbo.

Come già detto ai fattori ambientali vanno aggiunte le specifiche disposizioni sanitarie riguardanti la popolazione ebraica. Per i cristiani era previsto un sistema di lazzaretti basato sulla separazione dei diversi soggetti, con

29 I restanti 5.000 decessi imputabili a cause naturali, che devono essere aggiunti per arrivare al numero riportato da Gastaldi, corrisponderebbero invece ad una mortalità media degli anni non colpiti dalla peste. Per tutti i dati cfr. E. Sonnino, R. Traina, La peste del 1656-57, cit., pp. 440-443 e 448: gli autori hanno basato i loro calcoli sui ristretti statistici giornalieri approntati dalla Congregazione di Sanità, si veda la nota 3, p. 449 del saggio citato per le segnature e le collocazioni di tale materiale. 30 L’editto è pubblicato da E. Sonnino, Cronache della peste, cit., pp. 62-63 su questo editto e sulla situazione del ghetto cfr. infra. 31 E. Sonnino, R. Traina, La peste del 1656-57, cit., p. 442. 32 Cfr. A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963 pp. 532-538 e Id, Il Ghetto di Roma. Illustrazioni storiche, Roma 1988, pp. 200-206.

Page 34: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

34 L. Topi, Forme di controllo

luoghi deputati all’osservazione dei casi sospetti, al ricovero di quelli riconosciuti come appestati e, successivamente, per coloro che erano scampati alla malattia era stato predisposto un doppio regime di quarantena e convalescenza in appositi lazzaretti. Questa organizzazione non era presente nel ghetto dove fu attivo un solo lazzaretto nel quale venivano portati indistintamente tutti i sospetti di peste, con i loro letti e i loro vestiti, e nel quale i degenti restavano sino alla risoluzione della malattia o alla morte. Una sola struttura sanitaria di ricovero può aver quindi favorito il contagio tra i malati conclamati e quelli solo sospetti di aver contratto la peste.

I dati sulla mortalità nel ghetto avvalorano tale ipotesi in quanto risulta che la gran parte degli ebrei infetti venne ricoverata e morì nel lazzaretto. I ricoverati nei lazzaretti furono circa il 7,1% della popolazione cristiana contro il 15,8% di quella ebraica. Tra gli ebrei il 78% dei decessi avvenne proprio in quella struttura contro il 61% degli altri romani. Il tasso di mortalità degli ammalati ebrei entrati in lazzaretto fu del 68,6% (467 morti su 681 ricoverati) contro il 63,4% (5.404 su 8.529) dei cristiani. Il lazzaretto degli ebrei fu quindi un luogo di grande veicolo di contagio33.

Girolamo Gastaldi Commissario Generale di Sanità

Nella Roma del 1656 la gestione della peste venne affidata alla Congregazione di Sanità che nominò Girolamo Gastaldi, prima Commissario Generale per i Lazzaretti a cui aggiunse in seguito la carica di Commissario Generale di Sanità. L’attuazione delle politiche scelte per contrastare la peste fu quindi totalmente nelle sue mani sino a diventare il massimo responsabile operativo della politica di lotta alla pestilenza34. Circa trent’anni dopo gli avvenimenti di Roma, in occasione di una pestilenza che aveva colpito la città di Gorizia, Gastaldi scrisse un Tractatus con l’intento, sia di celebrare il governo pontificio che di fornire un manuale pratico alle autorità che si trovavano a dover gestire il fenomeno35.

33 Su questo tema e sulla comunità ebraica durante la peste cfr. E. Sonnino, Cronache della peste, cit. e la bibliografia citata. 34 Su Girolamo Gastaldi cfr. M. Marsili, Gastaldi Gerolamo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 52, Roma 1999 e il vecchio saggio di P. Capparoni, La difesa di Roma contro la peste del 1656-57 come risulta dall'opera del cardinale G. "Tractatus de avertenda et profliganda peste", in Atti e memorie dell'Accademia di storia dell'arte sanitaria, XXXIV (1935), 3, pp. 1-12. 35 G. Gastaldi, Tractatus, cit. In quest’opera l’autore l'intende fornire la propria interpretazione scientifica con la volontà di conciliare le principali posizioni mediche del tempo. Attribuisce la peste a “particelle insensibili” che, circolando nel sangue, trasportano il male e sono letali a causa del loro agire non per le loro “qualità”; nonostante Gastaldi non si sbilanci sull’origine di queste particelle e non escluda l’acqua stagnante e i corpi putrefatti come loro origine, si tratta di una concezione del contagio più moderna di quella che lo attribuisce alla semplice “aria corrotta”, cfr.

Page 35: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

35 L. Topi, Forme di controllo

Probabilmente è per questi motivi, e per ribadire la necessità di un governo fermo in caso di epidemie che nel volume del 1684, l’autore pubblicò tutti gli ordini, editti, notificazioni ed istruzioni emanati durante il periodo 1656-165736.

L’azione della Congregazione di Sanità per opera di Gastaldi era improntata a tre grandi linee di intervento che trovavano la loro fondatezza nell’idea di contagio elaborata, come si è visto, sull’osservazione empirica delle pestilenze passate. Si trattava di:

- spingere la popolazione a denunciare ogni caso di malattia e di morte, anche solo sospetti,

- separare fisicamente i sani dagli infetti. A tal fine era stato creato un sistema di lazzaretti dove ricoverare i malati e i convalescenti. Tale separazione non riguardava solo le persone ma anche gli oggetti. Tutto ciò che poteva essere veicolo di contagio non doveva entrare in contatto con ciò che non lo era; queste regole si estendevano anche ai defunti. La separazione avveniva con il controllo e la gestione di spazi urbani pubblici e privati come porte, strade, case sino ad estendersi, in alcuni casi, ad intere aree della città, come per Trastevere e per il Ghetto,

- disinfettare persone, luoghi e oggetti a maggior rischio di contagio. In caso di decessi per peste conclamata o solo sospetti si procedeva con lavaggi a base di aceto e “affumicazioni”, i letti e gli indumenti dei defunti venivano bruciati e si procedeva con “espurgazioni” di intere abitazioni. La stessa procedura di controllo e lavaggio era applicata alle merci che entravano in città.

Si rendeva dunque necessario controllare le persone, i luoghi e gli “oggetti” di un’intera città. Per ottenere un controllo così capillare vennero emanati decreti, disposizioni, obblighi, bandi, istruzioni, diretti alla popolazione, ai parroci, ai medici, ai birri e agli addetti ai lazzaretti e agli espurgatori. Anche il sistema delle pene venne ridisegnato con un forte inasprimento tanto che la più piccola inosservanza alle disposizioni veniva sanzionata con una pena molto grave, compresa quella capitale.

Scrive il diarista Gigli nel gennaio 1657: “Non si teneva Raggione in nessun Tribunale, ogni giorno si faceva Giustitia di quelli, che contravvenivano all’ordine dati per la sanità”37.

M.P. Donato, La peste dopo la peste, cit., pp. 164-165 e E. Sonnino, Cronache della peste a Roma, cit., pp. 57-58. 36 Si tratta della più completa raccolta di questi atti; 245 tra notificazioni, bandi, editti, istruzioni e regolamenti, G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 271-624 e a tale raccolta si farà riferimento in questo saggio. Altre collezioni sono conservate in Archivio Segreto Vaticano (ASV), Miscellanea, arm IV, 61, Bandi sciolti, serie I, nn. 6 e 7; Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR), Bandi, b. 21; Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV), Borg-Lat, 119. 37 G. Gigli, Diario di Roma, cit., p. 775.

Page 36: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

36 L. Topi, Forme di controllo

La Congregazione di Sanità e Gastaldi, che spesso si assunse in prima persona la responsabilità di decisioni anche gravi, furono spinti dalla necessità di dover procedere senza tentennamenti nell’esecuzione della giustizia e nella severità delle pene sia per non svilire agli occhi della popolazione il ruolo della Congregazione che per mostrare come fosse impossibile sfuggire all’applicazione dei decreti e occhiuta e rapida la giustizia; poterono adottare questa linea di azione molto dura, forti dell’esplicito consenso del pontefice Alessandro VII.

Anche le forme attraverso cui questo rigore si manifestava ebbero una grande importanza; la spettacolarità del supplizio e della morte dei rei aveva come fine quello di ammonire e di educare coloro che assistevano all’esecuzione. La Congregazione decise quindi di procedere all’esecuzione delle sentenze negli stessi luoghi, o in quelli nelle immediate vicinanze dove il reato era stato commesso. Gastaldi a questo scopo aveva fatto applicare ai cancelli del lazzaretto e a quelli del ghetto una “girella” dove pubblicamente infliggeva la pena dei tratti di corda a tutti i rei di infrazioni minori. Per le pene più gravi, come il furto di oggetti da case sospette, la fuga dai lazzaretti, dal recinto di Trastevere, dal ghetto, dalle case serrate o la mancata denuncia di morti per peste, era prevista invece l’impiccagione, ritenuta una pena molto più infamante della decapitazione38. Le forche per punire un ebreo che aveva acquistato delle merci rubate e uno scrivano fuggito dal lazzaretto vennero alzate nelle immediate vicinanze di questi due luoghi in modo che tutti potessero vedere la pena39.

Altro elemento importante era quello della partecipazione popolare al rito dell’esecuzione, partecipazione incoraggiata dalle autorità anche se questa concentrazione di persone poteva diventare veicolo di trasmissione del morbo. Per sottolineare il forte intento pedagogico attribuito dalla Congregazione a queste manifestazioni basti pensare che nel contempo erano state vietate tutte le cerimonie pubbliche.

L’azione di Gastaldi venne celebrata e il suo operato apprezzato dai contemporanei che non esitarono a definirlo, “colonna di fuoco che condurrà fuori dalla feruità della morte questo popolo tormentato”40 e “il miglior istrumento che avesse papa Alessandro in quel travaglioso e spaventoso infortunio per sollevamento di Roma”41 anche se la sua azione non mancò di provocare risentimenti e odi nella popolazione. Spia di questi sentimenti è un

38 Su questa modalità di morire cfr. V. Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, Roma 1982 e Id, «La pietà dei carcerati», Confraternite e società Roma nei secoli XVI-XVIII, Roma 1980. 39 Entrambi i casi citati in A. Pastore, Crimine e giustizia in tempo di peste, cit., rispettivamente pp. 189-190 e 198. 40 G. Balestra da Loreto, Gli accidenti più gravi del mal contagioso, cit., p. 3. 41 P. Sforza Pallavicino, Descrizione del contagio, cit., p. 28.

Page 37: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

37 L. Topi, Forme di controllo

episodio del dicembre 1656 quando degli ignoti appesero il cartello con la scritta “Sanità”, che indicava in una casa la presenza della peste, proprio sulla porta dell’abitazione di Gastaldi a riprova dell’ostilità che la durezza dei suoi provvedimenti aveva fatto nascere in città42.

La struttura di controllo

Nello Stato Pontificio, come negli altri Stati di Antico Regime, non vi erano forme di controllo cittadino di tipo poliziesco che, vedranno la luce solo nel corso dell’Ottocento, ma bensì la gestione dell’ordine pubblico era affidato ai Tribunali investiti di poteri giurisdizionali; a Roma erano i Tribunali del Governatore e del Senatore ad avere, tra i loro compiti, quello di controllare e mantenere l’ordine tra le mura della città43.

Nel caso di una pestilenza era indispensabile avere una sola struttura di comando al fine di evitare contrasti di competenze gelosie e quant’altro potesse ritardare l’azione di prevenzione del morbo: questa fu la Congregazione di Sanità che di fatto governò la città. Non appena si rese conto che le misure prese per preservare Roma erano fallite e che la peste era ormai penetrata in città mise in atto una serie di provvedimenti tesi a ricercare e isolare persone e oggetti infetti.

Un controllo del territorio attento e vigile, diventava fondamentale e la Congregazione si rivolse all’unica struttura presente in tutta la città che era quella formata dalla rete delle parrocchie. I parroci diventarono gli occhi e le orecchie della Congregazione e furono in prima linea nella ricerca degli ammalati; infatti

42 ASR, Tribunale Criminale del Governatore (d’ora in poi Trib. Crim. Gov), processi 1656, b. 478, purtroppo nella busta non si è conservato il processo e l’informazione la si ricava dalla rubricella presente all’inizio del faldone. Un altro caso di ostilità verso Gastaldi è quello riportato nel processo contro un chirurgo accusato di aver sostenuto che la peste sarebbe finita solo quando Gastaldi sarebbe stato nominato cardinale dal momento che proprio sulla peste e sulla sua presenza stava costruendo la sua fortuna personale, ASR, Trib. Crim. Gov, processi 1656, vol. 488 citato da A. Pastore, Crimine e giustizia in tempo di peste, cit., p. 199. 43 Sul controllo della città da parte dei birri dei tribunali cfr. L. Londei, Apparati di polizia e ordine pubblico a Roma nella seconda metà del Settecento: una crisi e una svolta, in «Archivi e Cultura», XXX, 1997, pp. 101-132 e M. di Sivo, «Rinnoviamo l’ordine già dato»: il controllo sui birri a Roma in antico regime, in «La polizia in Italia e in Europa: punto sugli studi e prospettive di ricerca» a cura di L. Antonielli, Soverania 2006, pp. 13-24; Id., Il braccio del tribunale: birri e carceri a Roma tra Cinque e Seicento, in «La giustizia dello Stato pontificio in età moderna», a cura di M. R. Di Simone, Roma 2011, pp. 259-266. Sul Tribunale del Governatore cfr. N. del Re, Monsignor Governatore di Roma, Roma 1972, per il Tribunale del Senatore o di Campidoglio, cfr. M. Di Sivo, Il tribunale criminale capitolino nei secoli XVI-XVII: note da un lavoro in corso, «Roma moderna e contemporanea» III. 1995, pp. 201-216 mentre sulle competenze del Vicario si veda l’opera di A. Cuggiò, D. Rocciolo (a cura di), Della giurisdizione e prerogative del Vicario di Roma. Opera del canonico Nicolò Antonio Cuggiò segretario di Sua Eminenza, Roma 2004

Page 38: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

38 L. Topi, Forme di controllo

ogni rione venne affidato alla responsabilità di un singolo prelato coadiuvato da medici, gentiluomini e notai.

Nel giro di pochi giorni la macchina iniziò a funzionare: il 20 giugno 1656 venne pubblicato un editto che istituiva il sistema di controllo; il 27 giugno si crearono apposite commissioni rionali; pochi giorni dopo una specifica “Istruzione” (senza data ma pubblicata dopo il 27 giugno 1656) delineava meglio i compiti e i doveri di tali commissioni; infine l’8 luglio sempre del 1656 la Congregazione decise di attivare un altro livello di controllo e di affidare ad un prelato, con funzioni di coordinamento una serie di rioni44.

L’editto del 20 giugno 1656 si apriva con l’obbligo per tutti i cittadini di denunciare ogni “amalato in qualsivoglia casa, monastero o altro luogo della città di Roma” e la stessa disposizione riguardava anche le notizie di decessi45. Si imponeva ai parroci e, ai religiosi in generale preposti alla cura delle anime, di denunciare al notaio tutti i casi sospetti; inoltre si vietava qualsiasi sepoltura senza avere prima ottenuto il beneplacido di Monsignor Rivaldi. La Congregazione era conscia della fondamentale necessità di coinvolgere la popolazione nel processo di ricerca e per spingere a denunciare gli ammalati prometteva ai denuncianti di pagare lo spurgo dei loro beni o nel caso si dovesse procedere a bruciarli era prevista una contropartita in denaro.

L’editto del 27 giugno 1656 faceva un passo avanti nella creazione di una struttura più funzionale. Istituiva apposite commissioni rionali “per haver più pronta notizia d’ogni accidente”: tali commissioni erano composte da un prelato, due gentiluomini, due medici, un chirurgo ed un notaio46. Ma più che l’editto decisive furono le “Istruzioni” per i prelati e i deputati dei rioni che meritano un’attenta analisi47.

Le prime tre disposizioni di queste “Istruzioni” riguardavano l’obbligo, da parte dei parroci, di redigere una nota della popolazione loro assegnata: il primo passo prevedeva la formazione di una lista di tutti gli abitanti indicando oltre ai dati anagrafici la provenienza e il mestiere; in una seconda fase i parroci avrebbero dovuto redigere una nota dei poveri miserabili e vergognosi indicando coloro che erano in grado di lavorare. Compiuti questi atti, decisivi per la conoscenza del territorio, le “Istruzioni” passavano a descrivere gli obblighi nei confronti del contrasto alla malattia.

La prima disposizione, forse la più importante, riguardava il controllo del territorio. Ogni tre giorni i parroci e i loro aiutanti avevano l’obbligo di visitare

44 Sulla creazione di questa struttura di controllo cfr. A. Belardelli, Il governo della peste, cit., pp. 55-57. 45 Decreto del 20 giugno 1656, G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 297-301. 46 Decreto del 27 giugno 1656, ivi, pp. 311-314. 47 “Istruzioni, per li prelati ed altri deputati sopra li rioni”, ivi, pp. 557-559.

Page 39: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

39 L. Topi, Forme di controllo

ogni casa del rione per verificare la presenza di persone ammalate. Tale compito doveva essere condotto con molta attenzione e molto scrupolosamente: le istruzioni ribadivano l’importanza di non fidarsi di dichiarazioni di servitori e/o parenti ma di procedere all’identificazione di tutte le persone presenti sulla nota redatta in precedenza. I parroci dovevano obbligare i residenti delle case ad affacciarsi alle finestre per verificare il loro stato di salute e segnalare prontamente tutti coloro che non risultassero presenti; in quest’azione erano autorizzati anche a rivolgersi ai vicini. In caso fossero venuti a conoscenza di ammalati presenti nell’abitazione erano obbligati a controllare se fossero stati denunciati, visitati da un medico e presenti negli elenchi del notaio del rione e, qualora avessero riscontrato delle anomalie, avrebbe subito dovuto denunciare il responsabile.

In presenza di una casa chiusa, con il sospetto del contagio interno, dovevano far affacciare dalle finestre le persone supposte sane per verificarne lo stato di salute ma soprattutto dovevano controllare che le disposizioni dei bandi relative al totale isolamento della casa dal resto dell’area fossero rispettate48.

Altre disposizioni riguardavano poi la gestione del controllo del quartiere e si soffermavano sull’attenzione da prestare verso coloro che lasciavano la propria abitazione: costoro erano tenuti a darne notizia al deputato di quartiere che doveva registrare tale atto e doveva controllare dove fossero andati e quale fosse il loro stato di salute. Particolare attenzione doveva essere posta nel controllo di osterie, camere e locande “perché il concorso di molte genti le rende più pericolose”. In caso di distribuzione di elemosine queste andavano registrate e comunicate immediatamente con la spesa sostenuta: infine qualsiasi bando emesso dalla Congregazione di Sanità doveva essere prontamente affisso in tutti i luoghi del rione per essere portato a conoscenza della popolazione. Queste disposizioni si applicavano anche ai monasteri, seminari e collegi maschili mentre quelli femminili erano sotto la giurisdizione del Vicariato.

Tutta questa organizzazione non dovette funzionare nella maniera prevista tanto che, pochi giorni, dopo l’8 luglio 1656, venne deciso di dividere i rioni tra alti prelati affidando loro il compito di un maggior controllo e coordinamento nell’esecuzione degli ordini della Congregazione49.

48 Si trattava delle modalità che regolavano il ricevere cibo e acqua, l’obbligo di tenere la porta e le finestre sempre chiuse e sbarrate, la proibizione di passare oggetti, l’impossibilità di ricevere persone che non fossero il medico o il deputato della Congregazione e la presenza di cani e gatti, ivi, p. 558. 49 Questa è la divisione rionale con il prelato di riferimento: rioni Ponte, Parione, Regola, Borgo, mons. Cerri; Monti, Ripa, Campitelli, Pigna, Sant’Angelo mons. Celsi; Trevi, Colonna, Campo Marzio, Sant’Eustachio mons. Carafa; Trastevere Conventi, Monasteri, Ospizi mons. Rivaldi e il cardinale Barberini, ivi, pp. 323-325.

Page 40: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

40 L. Topi, Forme di controllo

Nei mesi autunnali, nei quali l’andamento della malattia si fece più virulento, i poteri di questi prelati vennero aumentati concedendo loro la facoltà di procedere anche nei riguardi degli ecclesiastici secolari e regolari sino alla possibilità di comminare la pena di morte contro coloro che non avessero rispettato gli editti50.

Sembra però che la presenza di questi alti prelati finisse per creare problemi ai membri delle commissioni rionali che lamentarono una diminuzione della loro autorità che finiva per minare la loro azione sul territorio51.

Il decreto del 3 agosto 1656 completò la struttura di controllo del territorio; con quest’atto si istituivano quattro case in altrettante zone di Roma dove dovevano risiedere i medici, i cerusici e i confessori con il compito di controllare i “sospetti” di peste. Coloro che fossero stati trovati ammalati sarebbero dovuti essere inviati al Lazzaretto ma se avessero voluto restare nella loro abitazione sarebbero stati curati dai medici e dai cerusici “brutti”52.

L’organizzazione, creata dalla Congregazione di Sanità nei mesi di luglio-agosto 1656, rimase in vigore sino alla fine dell’epidemia e costituì insieme al sistema dei lazzaretti e a quello degli “spurghi”, di cui si parlerà nel prosieguo del lavoro, la spina dorsale del controllo cittadino.

A fronte della sua complessità c’è da chiedersi quanto realmente sia stata efficace dal momento che affidava ai parroci, che spesso non avevano conoscenze di tipo medico, una grande responsabilità. Sembra infatti che proprio questi ultimi si trovassero in difficoltà in questa loro quasi quotidiana opera di controllo come risulta dalla testimonianza di Monsignor Marescotti, una delle poche conservatesi. Il sacerdote era il prelato addetto al rione Campo Marzio e nella sua relazione, redatta nel mese di luglio 1656, descrive un luogo dove la paura e lo spavento governavano le azioni degli uomini e delle donne. Vi era la paura di essere inviati al Lazzaretto, di avere la casa serrata con il cartello “Sanità”, i beni bruciati o derubati e infine la paura di diventare poveri e soli. Per far fronte a queste paure le soluzioni adottate dalla popolazione erano molto pericolose, “gli infermi cercano al possibile di celarsi, ne usano farsi vedere e medicare da medico, o chirurgo … ne di chiamare il confessore, temendo delle relationi che si devono dare dei loro mali a notari deputati”53. La paura portava le persone a nascondersi dietro alle finestre o alle gelosie oppure ad alzarsi dal letto per mostrarsi in buona salute per poi tornare a coricarsi; altri invece preferivano

50 Ivi, p. 426, edito del 25 ottobre 1656. 51 Monsignor Barbarigo, in una lettera del 4 novembre 1656 riporta queste lamentele “Questi (i prelati delle commissioni rionali) hanno rappresentato i loro gravami della poca autorità che hanno, assorta tutta dalli prelati superiori”. B. Bertolaso, La peste romana del 1656-1657, cit., p. 261. 52 Decreto del 3 agosto 1656, G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 344-346. 53 ASR, Camerale II, Sanità, b. 4/5.

Page 41: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

41 L. Topi, Forme di controllo

chiudere del tutto la loro abitazione come se fossero andati via con il risultato di morire soli in casa senza nessun aiuto.

Il controllo sui luoghi e sulle persone

Roma nel periodo di peste, soprattutto nei mesi di luglio - dicembre 1565, appariva come una città sotto assedio. La città si presentava con le sue porte chiuse da rastrelli e con complicate modalità di entrata e uscita per merci e uomini, il Tevere sbarrato da una catena a nord e a sud e all’interno due zone cinte da mura (un’ampia porzione del rione Trastevere e il Ghetto); infine i suoi abitanti erano soggetti a delle forti limitazioni nel loro vivere quotidiano.

Le porte cittadine erano uno dei punti critici, dal momento che anche la Congregazione era conscia dell’impossibilità di “sigillare” una città ma era altresì consapevole della pericolosità che derivava dall’ingresso, ma anche dall’uscita di uomini e merci. Uno dei primi provvedimenti presi (21 maggio 1656) era stato l’ordine di chiusura di molte porte, ma nel prosieguo del tempo, con la pestilenza ormai conclamata, l’attenzione aumentò sino ad arrivare a ridisegnarne la struttura creando delle apposite aree di scambio per le merci con un doppio sistema di rastrelli54.

Le Istruzioni per i commissari addetti al controllo imponevano di operare attenendosi a quattro disposizioni: la prima prescriveva che il passaggio di merci sia in entrata che in uscita andava fatto seguendo tutte le cautele del caso, provvedendo quindi a lavare e disinfettare con cura tutto quel che passava e soprattutto limitando al minimo i contatti fra gli uomini: la seconda e la terza indicazione riguardavano la celerità delle operazioni sia in entrata che in uscita, le merci ma anche gli animali andavano posizionati nelle rispettive aree di scambio dove però non dovevano sostare troppo a lungo e infine la quarta riguardava la consegna di bollettini di sanità ai trasportatori che dovevano far ritorno nei proprio paesi55.

Il filtro alle porte era anche rivolto verso coloro che da Roma uscivano per recarsi a lavorare nei campi vicini e poi rientravano in città. Questi uomini dovevano essere in possesso di speciali bollettini di sanità, emessi dal Conservatore di Campidoglio, e il compito dei Commissari alle porte era proprio quello di verificare la regolarità e la veridicità delle informazioni contenute nel bollettino. Eventuali casi sospetti andavano immediatamente isolati e denunciati;

54 Si vedano, come esempio, le iconografie della facciata di Porta del Popolo e del mercato delle grascie immediatamente limitrofo e il prospetto esterno di Porta Pia riportare da Gastaldi, G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 199, 203, 207. 55 Ivi, pp. 561-564.

Page 42: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

42 L. Topi, Forme di controllo

per queste operazioni il Commissario e i soldati addetti non potevano pretendere nulla da chi usciva e rientrava in città56.

Tutta l’organizzazione presupponeva una onestà e integrità di coloro che erano preposti al controllo delle porte doti che, nel caso di Bartolomeo Menagatti, Commissario di Porta Portese vennero disattese. L’uomo fu accusato di percepire tangenti in cambio dell’eliminazione dei controlli; si faceva consegnare una parte delle merci che transitavano sia per la porta che per il fiume; pretendeva una tangente dai mietitori che uscivano e che dovevano rientrare in città e senza una mercede non controfirmava i bollettini, infine falsificava i bollettini che distribuiva alle squadre57.

L’azione del Commissario Menagatti permette di gettare una luce sulla situazione del Tevere e delle barche che vi transitavano e che arrivavano al porto di Ripa Grande. La Congregazione riteneva la via d’acqua pericolosa al pari di quella di terra e come questa quindi soggetta a controlli tanto che per impedire il passaggio venne stesa a nord e a sud del fiume una catena. Il 26 giugno 1656 con un editto venne vietato il transito notturno delle barche e una porzione che andava da Ponte Sisto sino all’ultima Torre della dogana di Ripa venne completamente interdetta alla navigazione. Lo stesso editto ordinava ai barcaioli di tenere le proprie imbarcazioni legate con lucchetto o catena per impedire che di notte potessero essere utilizzate per trasportare uomini od oggetti potenzialmente infetti58.

Il controllo sulle abitazioni, su chi ci viveva e sugli oggetti contenuti costituì uno del punti di maggiore attenzione della Congregazione. Si dai primissimi giorni la ricerca dei malati aveva costituito la maggiore preoccupazione. Una volta individuati sulla porta della loro casa veniva apposto il cartello con la scritta “Sanità” che stava ad indicare la presenza della peste.

La casa veniva immediatamente sbarrata e l’accesso consentito solo a poche persone e con molte cautele. Il malato o i malati potevano restare nella loro stanza ma più spesso venivano inviati al lazzaretto, trasportati su apposite carrette con il loro letto e la casa restava in attesa di essere disinfettata.

Nella città, complice anche la fuga di una parte importante della popolazione, vi erano quindi moltissime case chiuse o per peste oppure

56 Istruzioni, datate 1656, allegate ad un processo contro Bartolomeo Menegatti, commissario di Porta Portese accusato di contravvenzione ai bandi di Sanità, ASR, Trib. Crim. Gov, Processi 1657, b. 485, cc. 1063-1170. 57 Ibidem, il processo è istruito nel giugno 1657 quando la peste è ormai finita ma i fatti riportati riguardano i mesi precedenti: purtroppo non si conosce l’esito del processo non essendo stata rinvenuta la sentenza. 58 G. Gastaldi, Tractatus, cit., p. 308, l’immagine della catena che congiungeva la due sponde del Tevere a p. 299.

Page 43: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

43 L. Topi, Forme di controllo

semplicemente abbandonate e questo forniva ai ladri un bacino di bersagli molto ampio. Illuminante è il processo contro Carlo di Bartolomeo da Palombara, servitore di numerosi autorevoli personaggi romani, nella cui casa venne ritrovata numerosissima refurtiva; le carte processuali contengono un lungo elenco di case svaligiate che fa pensare che ci si trovi davanti ad un uomo che approfittò dell’eccezionale situazione per arricchirsi59.

L’obbiettivo delle autorità non era solo quello di tutelare i beni impedendo i furti, ma vi era il reale timore che si potessero sottrarre oggetti infetti che avrebbero potuto a loro volta contribuire all’allargamento della pestilenza come nel caso di un furto accaduto in casa di don Mario Petrosi, rettore della chiesa parrocchiale dei santi Simone e Giuda, dove erano morte, oltre al prelato anche la sorella e la nipote. Una notte dalla casa vennero rubate biancheria e suppellettili e la Congregazione emanò subito un editto di ricerca sia dei ladri che della refurtiva60.

Un’altra testimonianza dell’importanza del controllo sulle case viene dalla relazione del caporale dei birri del Governatore della squadra di Trevi, Carlo de Domine redatta il 1 gennaio 1657 e riguardante il giro notturno della sua squadra. Durante il pattugliamento venne arrestato un ragazzo che tentava di aprire la porta di un’abitazione dove era stato apposto il cartello “Sanità”; sempre nella stessa relazione il caporale dichiarò che poco più avanti aveva trovato una casa con la porta scassinata, casa che era stata chiusa il giorno precedente e i suoi abitanti trasferiti al lazzaretto61.

Anche il cartello “Sanità” venne fatto oggetto di attenzione dalla Congregazione. Vi era la tendenza a spostarlo o a rimuoverlo del tutto per consentire alle persone della casa di uscire. Il fenomeno dovette assumere dimensioni molto preoccupanti se il 27 luglio 1656 la Congregazione promulgò un editto nel quale si comminava la pena di morte per tutti coloro che avessero manomesso il cartello62. Una tale durezza della pena è in realtà molto giustificabile; il cartello serviva ad indicare in maniera certa la presenza in una casa del morbo, se tale certezza non vi fosse stata qualsiasi intervento sarebbe stato vanificato; nonostante questa disposizione nell’agosto del 1656 si trova traccia di un processo per spostamento del cartello63.

A Roma poi vi erano due intere zone interdette e chiuse da mura; una era il ghetto degli ebrei e l’altra una grande porzione del rione Trastevere.

59 ASR, Trib. Crim. Gov., Processi 1656, b. 488. L’imputato verrà condannato a morte per impiccagione, sul processo cfr. A. Pastore, Crimine e giustizia, cit., pp. 192-193. 60 Editto del 23 novembre 1656, G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 449-450. 61 ASR, Trib. Crim. Gov, Relazioni dei birri, b. 115. 62 G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 340-341. 63 ASR, Trib. Crim. Gov., Processi 1656, b. 478.

Page 44: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

44 L. Topi, Forme di controllo

Trastevere era il punto critico della città; qui si era manifestata la peste per la prima volta e per impedire che si diffondesse nella città si decise di “troncare … la parte viziata insieme ed ignobile dal più, e dal migliore del corpo”; per far questo, ma al contempo per evitare, da parte della popolazione, sommosse o fughe in massa si decise di agire con rapidità e sorpresa. La notte tra il 22 e il 23 giugno 1656 tre cardinali: forti di mano, di testa, e di stima quali furono Barberino, Imperiale, e d’Hassia, i quali con sufficiente mano di lavoranti e di soldati, assistendovi per nove ore continue, cinser di muro quella contrada. 64

La chiusura di un importante parte del rione si dimostrò un provvedimento inutile dal momento che il morbo era già penetrato negli altri rioni ed anche crudele per la popolazione che in una notte si trovò rinchiusa senza alcuna possibilità di uscire.

A completare l’opera venne un editto del 28 giugno 1656 che sigillava l’area impedendo a chiunque di entrare ma soprattutto di uscire e vietava qualsiasi forma di commercio di oggetti o di cibo se non attraverso i cancelli; per i contravventori le pene previste arrivavano sino alla morte65.

Nonostante questa severità molti furono i tentativi di fuggire dalla zona così recintata e altrettanto dure furono le condanne. La scoperta di un piano che preveda l’incendio dei cancelli portò all’impiccagione del responsabile e all’arresto dei complici. L’uomo venne lasciato appeso, come monito, per ore mentre i complici destinati alle galere o al servizio coatto nel lazzaretto66.

Nei mesi di luglio e agosto del 1656 si trovano registrati nella rubricella del Governatore diversi processi per fuga o tentativo di fuga dal “recinto” di Trastevere67. Il 21 agosto 1656 venne emanato un bando di ricerca contro Sisto di Belardino Cardello da Monte San Giovani fuggito dal “recinto”; il bando lo invitava a ripresentarsi per evitare la pena capitale, pena che sarebbe stata comminata a tutti coloro che lo avessero aiutato o solo avessero omesso di denunciarlo alle autorità68. L’area rimase chiusa sino al 10 ottobre 1656 e quando venne riaperta i cronisti la descrivono come un deserto, spopolato dalla pestilenza69.

64 P. Sforza Pallavicino, Descrizione del contagio, p. 6. 65 G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 317-318. 66 A. Pastore, Crimine e giustizia, cit., p. 189. 67 ASR, Trib. Crim. Gov., Processi 1656, b. 478. 68 G. Gastaldi, Tractatus, cit., p. 365+366. 69 “Di 4.000 persone che prima vi erano, circa 1.000 ne erano morti, e circa 2.000 partiti, si che pare un deserto”, ASR, Cartai Febei, b. 177, citato da E. Sonnino, Cronache della peste, cit., p. 38.

Page 45: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

45 L. Topi, Forme di controllo

L’altra zona chiusa completamente era l’area del ghetto. Il 18 luglio 1656 venne emesso il decreto che regolamentò la vita degli ebrei romani durante la peste. Il ghetto venne del tutto sigillato, un solo cancello fu lasciato aperto, quello su piazza Giudia e fu vietato qualsiasi contatto con l’esterno, se non preventivamente autorizzato. L’area fu divisa in quattro zone, affidate ciascuna ad un deputato a cui erano conferiti gli stessi poteri dei parroci: i deputati dovevano, a loro volta, riferire ad Abram Lazzaro Viterbo che era in contatto con Monsignor Negroni il responsabile della gestione del ghetto. Per il ricovero e la cura degli ammalati vi era, come detto, un solo lazzaretto senza quindi quella necessaria divisione tra malati e convalescenti; anche il trasporto dei morti, che avveniva via fiume come per i cristiani, era sottoposto agli ordini di Gastaldi senza la cui preventiva autorizzazione la barca che trasportava i cadaveri non poteva lasciare il molo70. Il ghetto restò chiuso sino al 5 dicembre 1656, quando dato “il buono stato di salute”, venne rimosso il divieto per gli ebrei di uscire dalle sue mura e fu loro consentito di tornare a commerciare per l’intera città.

Il controllo sulle persone

Nella Roma appestata il controllo sulle donne e sugli uomini divenne una delle priorità della Congregazione: si trattava di trovare, isolare e trasferire in un luogo di cura le persone infette e di mettere in atto tutti i sistemi possibili per tentare di impedire al morbo di colpirne altre.

Le linee di azione furono sostanzialmente due; una riguardava la gestione dei malati, una volta individuati e l’altra era indirizzata verso una minuta regolamentazione della vita quotidiana proprio al fine di impedire il contagio.

Dopo aver scoperto il malato, grazie all’azione dei parroci, dei delegati dei rioni e anche delle denunce dei cittadini, questo veniva subito isolato nella sua stanza e separato dagli altri abitanti della casa. Immediatamente dopo veniva trasferito al lazzaretto su di una apposita carretta portando con se solo il letto; la casa veniva sigillata con il cartello “Sanità” e le persone che vi si trovavano non potevano uscire71.

Il trasbordo doveva essere condotto con celerità e attenzione limitando i contatti tra il malato e il resto della popolazione e sotto il controllo di due birri72. In una di queste operazioni, nell’agosto 1656, un uomo venne arrestato perché si era rifiutato di obbedire all’ordine di allontanarsi dalla carretta dove si stavano

70 G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 335-338; A. Milano, Il Ghetto di Roma, cit., pp. 92, 205, 390. 71 Il 18 luglio 1656 nelle Memorie della Congregazione si legge: “Nel vicolo del Caprifoglio vi sono cinque ammalati, in una casa è morta una vecchia, questa donna è stata amalata. Che in questa casa non entri se non la gente necessaria”, BC, 34.C.6, c. 113r. 72 Ivi, c. 42r.

Page 46: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

46 L. Topi, Forme di controllo

caricando gli ammalati e i loro oggetti73. Uguale procedura era seguita in caso di morte, anche solo sospetta di peste, avvenuta in casa con la differenza che la carretta era quella addetta al trasporto dei cadaveri. In un secondo momento la stanza dell’ammalato o del morto, con tutti i mobili e gli oggetti contenuti, veniva disinfettata.

I malati vennero gestiti attraverso la creazione di un vero e proprio sistema di lazzaretti che si modificò nel corso dell’epidemia. Il primo lazzaretto istituito fu quello di San Pancrazio e successivamente venne scelto il Casaletto di Pio V. Entrambi però presentavano un problema grave di gestione dei malati e anche di morti, dal momento che erano lontani dall’abitato e le carrette dovevano quindi attraversare buona parte della città.

Il problema fu ovviato scegliendo come lazzaretto principale il convento di San Bartolomeo all’isola Tiberina che venne completamente isolata con rastrelli sui ponti. La scelta cadde su quel luogo innanzitutto per il fatto di essere separato dalla città dal fiume e quindi facilmente controllabile, praticamente attaccato a Trastevere, una delle zone maggiormente colpite, e con la via d’acqua utilizzata per il trasporto dei morti. Il lazzaretto entrò in funzione il 25 giugno 1656 e ben presto divenne il luogo centrale per il ricovero dei malati. Sull’isola poi trovarono posto anche tutti coloro che ruotavano attorno al lazzaretto soprattutto i carrettieri e i barcaioli addetti al trasporto dei malati e dei cadaveri.

La Congregazione aveva creato una vera e propria catena ospedaliera di cui il Lazzaretto di San Bartolomeo era solo un anello per quanto importante; per i fortunati che scampavano al morbo era prevista una prima quarantena di circa venti giorni a San Pancrazio e poi un’ulteriore periodo sempre di venti giorni al convalescenziario delle Carceri Nuove (non ancora adibite a prigioni) al fine di rimettersi in forze.

Con l’aggravarsi della pestilenza, e con la necessità di avere più luoghi di ricovero, vennero aperti altri lazzaretti nei conventi di San Giuliano, di San Vito all’Esquilino e di San Eusebio, inoltre gli ospedali romani attrezzarono dei reparti speciali per i malati e i sospetti di peste. Gli ebrei avevano, come detto, un loro unico lazzaretto nel ghetto e infine diverse “nazioni” istituirono dei propri ospedali come il caso degli spagnoli e dei portoghesi74.

La Congregazione, spinta dalla necessità di arginare il male, prese provvedimenti che riguardavano tutti gli aspetti del vivere quotidiano e i cambiamenti riguardarono indistintamente tutti i ceti sociali.

73 ASR, Trib. Crim. Gov., Relazioni dei birri, b. 115. 74 Sul sistema dei Lazzaretti e degli Ospedali cfr. E. Sonnino, R. Traina, La peste del 1656-57, cit., pp. 438-439; A. Belardelli, Il governo della peste, cit., pp. 59-61 e M. Boiteux, Le bouclage. Rome en temps de peste (1656-1657), in La peste a Roma (1656-1657), cit., pp. 175-203 qui pp. 182-183.

Page 47: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

47 L. Topi, Forme di controllo

Le disposizioni inerenti la vita della popolazione furono innumerevoli; il bando del 18 ottobre 1656, imponeva agli osti di controllare che non vi fossero più di quattro persone sedute per ogni tavolo, obbligava i padroni di cani e gatti a tenerli in casa e ordinava di uccidere tutti quelli randagi considerati vettori del male. Infine ribadiva il divieto di frequentare le case dove vi era un ammalato se non per quelle persone incaricate di governarlo e solo per il tempo strettamente necessario75. Ai cardinali e ai diplomatici venne imposto di spostarsi per la città usando carrozze coperte, senza contrassegni, senza seguito di accompagnatori e quindi senza nessun codazzo di popolo questuante. Queste disposizioni rappresentavano una diminuzione dell’identità, una perdita di potere e di prestigio sociale e infine una sorta di omologazione fra alto e basso arrivando così a disegnare “uno spazio socialmente anonimo attorno ai membri dei ceti privilegiati”76.

Nonostante questi divieti e l’attenzione posta i comportamenti elusivi delle norme erano molto comuni: da un controllo effettuato in alcune locande vennero trovate persone provenienti da fuori Roma che non erano state denunciate77; interessante è la vicenda di Cristoforo Chillani, costui innamoratosi di una giovane rinchiusa in una casa serrata dal cartello “Sanità” entrò nell’abitazione dove vi rimase per diversi giorni. Successivamente per poter uscire con lei organizzò, con la complicità di un amico, una messinscena; l’amico si vestì con l’abito nero del notaio della Sanità e ordinò di levare il cartello e lasciare liberi gli abitanti della casa: il maldestro tentativo venne scoperto e tutti gli attori della recita vennero arrestati dai birri del Governatore78. Probabilmente il giovane ritenne che, vista la situazione di eccezionalità, i vincoli sociali si fossero allentati e che fosse possibile per lui recarsi a vivere a casa della ragazza e che infine, in un momento di difficoltà per la gestione dell’ordine cittadino, fosse più semplice trovare un escamotage per sfuggire ai controlli79.

Anche la vita religiosa subì dei cambiamenti importanti: vennero sospese le quarantore, vietate le processioni pubbliche e le prediche di piazza: feste e cerimonie furono celebrate a porte chiuse e le autorità ecclesiastiche arrivarono a privilegiare forme private e personali di devozione e preghiera80. Nonostante questi divieti la chiesa di Santa Maria in Portico, dove era conservata l’immagine della Beata Vergine del Portico, che la tradizione popolare voleva aver difeso la

75 G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 417-418. 76 G. Calvi, «Dall’altrui communicatione», cit., p. 566. 77 ASR, Trib. Crim. Gov., Relazioni dei birri, b. 115 relazione del 4 e 5 giugno 1656. 78 Ibidem. 79 Sui tentativi di eludere i controlli cfr. A. Pastore, Crimine e giustizia in tempo di peste, cit., pp. 190-195. 80 D. Rocciolo, Cum suspicione morbi contagiosi obierunt, cit., pp. 119-120.

Page 48: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

48 L. Topi, Forme di controllo

città dalle pestilenze, era continuamente affollata di fedeli che arrivavano ad occupare anche i vicoli vicini. L’8 ottobre 1656 la Congregazione ordinò la chiusura della chiesa e del vicolo per impedire che la forte promiscuità potesse costituire un elemento di contagio: nonostante questo divieto la popolazione continuò a recarsi presso la chiesa e nelle vie vicine81.

Il controllo sui corpi andava oltre la morte; la gestione dei cadaveri, considerati potenziali veicoli della peste, venne sottoposta ad una precisa normativa. Uno dei primi provvedimenti fu quello di vietarne la sepoltura nelle chiese e, per far fronte ai numerosi decessi venne individuata un’apposita area, nei prati vicino San Paolo, dove furono scavate delle profonde fosse comuni. Qui i cadaveri, dopo essere stati trasportati via fiume, venivano gettati, completamente nudi, per poi essere ricoperti di calce viva.

La sepoltura in queste fosse comuni, che non erano su terra consacrata, generò molte ansie nella popolazione che si chiedeva quale sarebbe stato il destino eterno dei morti e se avessero potuto godere dei benefici dei suffragi. Fu il Pontefice a sciogliere questi dubbi e, venendo incontro ad una richiesta popolare, concesse ai sepolti delle fosse di essere partecipi dei suffragi82. I morti ebrei invece conoscevano una sepoltura diversa: trasportati anch’essi via fiume, su barche apposite distinte da scritte, vennero sepolti, con le stesse modalità, in un’area vicino l’Aventino.

La forte presenza in città, di una popolazione mendicante e povera fu un importante motivo di preoccupazione e di attenzione da parte della Congregazione. Lo stile di vita dei mendicanti e dei poveri in generale, difficilmente controllabile e altamente promiscuo, li faceva ritenere un potenziale vettore di diffusione della pestilenza.

Già il 22 maggio 1656 la Congregazione emanò un editto con il quale proibiva l’ingresso in città di nuovi mendicanti; con due editti successivi del 20 e del 22 giugno dello stesso anno l’attenzione si concentrò sulla gestione di quelli presenti in città.

L’editto del 20 giugno 1656 proibiva di chiedere l’elemosina a San Giovanni e alla Scala Santa: ne erano esclusi coloro che erano assistiti dall’Ospedale di San Sisto che mantenevano le loro prerogative83.

Altre misure di tipo restrittive furono prese due giorni dopo, il 22 giugno. In quella data il Governatore di Roma ordinò a tutti i mendicanti di recarsi in appositi luoghi per essere registrati e divisi in abili e inabili al lavoro: solo a questi

81 Ivi, pp. 123-124. 82 Ivi, p. 122. 83 Sull’Ospedale di San Sisto e in generale sulla questione dell’assistenza cfr. A. Groppi. Il welfare prime del welfare. Assistenza alla vecchiaia e solidarietà tra generazioni a Roma in età moderna, Roma 2010 e la bibliografia citata; l’editto in G. Gastaldi, Tractatus, cit., pp. 295-296.

Page 49: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

49 L. Topi, Forme di controllo

ultimi sarebbe stato concesso di continuare a questuare mentre gli altri sarebbe stati inviati fuori Roma e instradati al lavoro nei campi o ad altre attività: in alternativa potevano scegliere di ricoverarsi presso apposite strutture dalle quali sarebbero poi stati inviati a prestare dei servizi nella città84. Questa reclusione quasi forzata provocò delle fughe tanto che il 19 agosto 1656 lo stesso Governatore emanò un ulteriore editto in cui si minacciava la pena di morte per tutti coloro che avessero abbandonato l’Ospizio di San Saba.

“Si purghino tutte le robbe, si che non resti alcun causa atta a far ripullulare il male”85.

La Congregazione era convinta che la peste si propagasse anche attraverso mobili, vestiti, denaro, lettere, oggetti, biancheria che in precedenza erano entrati in contatto con persone ammalate.

L’ipotesi di bruciare tutti gli oggetti pericolosi venne scartata, sia perché socialmente inaccettabile, sia per i danni economici che avrebbe provocato e quindi la linea che ispirò l’azione della Congregazione fu quella di ripulire, “profumare”, “spurgare”, tutto ciò che fosse potenzialmente pericoloso senza quindi distruggerlo. Nel contempo, vista la pericolosità degli oggetti venne posta molta attenzione a che non si verificassero, durante tutto il procedimento, furti e danneggiamenti86.

Come per i lazzaretti anche per gli spurghi venne creato un vero e proprio sistema che prevedeva un primo lavaggio all’”Espurgatore brutto”, un’asciugatura e poi un successivo passaggio in un “Espurgatore netto”.

I luoghi individuati erano diversi ed esterni alle mura cittadine. Le ville del duca Sannesio e del cardinale Colonna, fuori Porta del Popolo furono adibite rispettivamente a Espurgatore brutto e netto, mentre a villa Antoniana si sarebbero asciugati i panni: altri espurgatori furono individuati fuori Porta Angelica. La mole di lavoro risultò ben presto enorme e ci rese conto che il sistema non poteva reggere alla pressione; era molto difficile tenere gli oggetti separati e le operazioni di lavaggio e asciugatura risultavano troppo lente per poter smaltire tutti gli oggetti in sicurezza.

Per tentare di ovviare a questi problemi, almeno per quel che riguardava i vestiti e i panni, furono aperti altri spurghi forniti di apposite macchine che battevano i panni al fine di velocizzare tutto il procedimento: si tratta delle

84 L’Ospizio di San Saba era adibito al ricovero degli uomini mentre quello di San Giacomo degli Incurabile era destinato alle donne, ivi, pp. 301-303. 85 Ivi, pp. 371-374§; editto del 28 agosto 1656. 86 Sull’importanza degli oggetti nell’età moderna cfr. R. Ago, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Roma 2006 e la bibliografia citata.

Page 50: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

50 L. Topi, Forme di controllo

fulloniche dette anche comunemente “valche”87. La posa in opera di queste macchine consentì di velocizzare il lavoro e molte fulloniche vennero aperte in diversi luoghi della città.

Non solo gli oggetti dovevano essere “purgati” ma il procedimento venne esteso ai locali della casa dove l’ammalato o il morto si presumeva fossero stati.

Un apposito bando del 28 agosto 1656 fissò le procedure da tenersi per la ripulitura della casa e degli oggetti e due istruzioni, una del 9 dicembre 1656 e l’altra senza data ma sempre emessa intorno a quei giorni, ribadirono le modalità da seguire. In un altro bando, questa volta di due mesi precedente (28 giugno 1656), era stato proibito di vendere e acquistare qualsiasi oggetto proveniente da case dove si erano verificate delle morti sospette.

La procedura prevedeva che una volta individuata, attraverso l’azione dei parroci e delle commissioni rionali, la casa dove era presente un ammalato o un morto per peste, si doveva provvedere a purgarla, dopo aver portato via il malato o il cadavere e apposto il cartello “Sanità”. I primi ad entrare nell’abitazione dovevano essere i “Purgatori brutti”, che avevano il compito di recarsi nella stanza dove risiedeva l’ammalato e lasciarvi dei piccoli fuochi accesi per purgare l’aria; in seguito, dopo aver redatto un inventario, si portavano via tutti gli oggetti presenti. Il locale andava successivamente rimbiancato con la calce e solo a conclusione di queste operazioni la stanza poteva considerarsi “netta”. Identico procedimento era previsto per tutte le stanze della casa nelle quali l’infermo era stato almeno sette giorni prima che la malattia si conclamasse. Di fatto si trattava di chiudere e ripulire quasi tutta l’abitazione.

La mobilia, gli oggetti e tutto quanto quello che era possibile trasportare andava caricato sulle carrette e portato “all’Espurgatore brutto” dove venivano bruciati il materasso, i pagliericci e gli indumenti intimi del defunto: successivamente si provvedeva a pulire tutti gli oggetti che sarebbero stati poi trasferiti “all’Espurgatore netto” per un ulteriore lavaggio e infine riportati nella casa di origine88.

Questo complesso di operazioni andava condotto sotto il controllo di due birri che si dovevano occupare di tenere lontane dalle carrette le persone sia per evitare il contagio che per impedire che venissero compiuti dei furti89. Un caso eclatante di mancato rispetto delle disposizioni è quello collegato all’arresto di Fernando di Vincenzo, facchino all’”Espurgatore brutto” di villa Sannesio, che

87 Un’immagine della macchina in G. Gastaldi, Tractatus, cit., p. 257. 88 Per i bandi e le istruzioni, ivi, pp. 371-374; 603-605; 615-619. 89 Il 1 agosto 1656 il caporale della squadra dei birri di Agone del Tribunale del Governatore riferisce di aver arrestato un uomo, durante il servizio di trasbordo degli oggetti da una casa chiusa, per non aver rispettato l’ordine di tenersi lontano dalla carretta, ASR, Trib. Crim. Gov, Relazioni dei birri, b. 115, relazione del 1 agosto 1656.

Page 51: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

51 L. Topi, Forme di controllo

venne arrestato mentre regalava dei vestiti presi da una carretta, ancora da disinfettare, ai “miserabili” che erano addetti al trasporto90.

Il timore della confisca degli oggetti, con la conseguente possibilità di perderli oppure di riaverli indietro rovinati, dovette essere molto forte nella popolazione. Nel tentativo di preservare i propri beni alcuni cittadini decisero di radunarli in una stanza che successivamente sigillarono; per avere una certificazione di questo atto chiamavano un notaio che redigeva un atto nel quale dichiarava che in quella stanza vi erano stati posti degli oggetti e che era stata successivamente sigillata in tutte le sue parti: questa soluzione consentiva di lasciare chiusa la stanza e di salvare gli oggetti91.

Altri invece tentarono di liberarsi degli oggetti pericolosi, sempre per non vedersi la casa serrata e le cose portate via, preferendo abbandonarli per strada oppure bruciandoli nonostante questi gesti costituissero una precisa violazione dei divieti della Congregazione. Il 23 e il 31 agosto 1656 i birri del Governatore arrestarono due uomini che avevano bruciato dei materassi sospetti, mentre il 3 giugno era stata fermata una persona per aver gettato in un fosso degli scaffali e altri oggetti ritenuti sospetti92.

Molto interessante è la storia di una serie di sei abiti da donna di grande valore di proprietà del marchese Sentinelli. Costui nel mese di luglio 1656, quindi ad inizio epidemia, incassò questi abiti e li affidò al marchese Monaldeschi e poi lasciò Roma. Successivamente anche il marchese Monaldeschi lasciò la città e la cassa venne affidata ad un facchino affinché la consegnasse ad un incaricato del marchese. Il facchino tenne per sé la cassa e sua moglie indossò i vestiti: la donna morì poi di peste e al ritorno del marchese a Roma l’uomo si rifiutò di consegnare i vestiti sostenendo che fossero suoi e pretendendo un controvalore in denaro93.

Il problema della “gestione” degli oggetti inquietò a lungo i sonni della Congregazione e di Gastaldi in particolare. Durante la primavera del 1657, quando la mortalità si era ormai ridotta, il timore era che il riaprire vecchie casse e il recuperare oggetti tenuti nascosti avrebbe potuto far ripartire il male. Uno di questi casi è quello, di cui ci informa Gastaldi stesso, che vede coinvolto un ebreo e suo figlio che nel giugno del 1657 contrassero il morbo dopo aver acquistato dei

90 Ibidem, relazione del 19 ottobre 1656. 91 ASR, Trenta notai capitolini, ufficio 2, vol. 202, notaio Bonanni Leonardo; nel protocollo di questo notaio, che è anche il notaio proposto dalla Congregazione, si ritrovano diversi atti di persone che avevano sigillato una stanza della propria casa; atti del 25 e 26 luglio 1656 cc. 115rv e 136rv-139r; dell’11 agosto 1656 cc. 183rv e del 18 settembre 1656 cc. 329rv. 92ASR, Trib. Crim. Gov., Relazioni dei birri, b. 115 relazioni alle date. L’editto che prescrive il divieto di bruciare oggetti è del 9 agosto 1656, Gastaldi, Tractatus, cit., p. 353. 93 ASR, Trib. Crim. Gov., Processi 1657, b. 484, cc. 1-30rv, purtroppo non si conosce l’edito della causa intentata dal marchese Sentinelli.

Page 52: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

52 L. Topi, Forme di controllo

beni provenienti da una casa dove vi era stata la peste94. Per questi motivi sin da aprile 1657 erano stati ribaditi gli editti riguardanti gli oggetti, soprattutto quello del 28 giugno 1656.

In forza di questi nel giugno del 1657 venne arrestato e condannato all’ergastolo Giuliano Albrizi da Cremona con l’accusa di aver violato gli editti sul trasporto degli oggetti: l’uomo era stata fermato di notte, in compagnia di due ragazzi, che erano fuggiti, mentre trasportavano dei vestiti di lana, degli stracci, delle camicie, un materasso, lenzuoli e una coperta. Albrizi si difese sostenendo che si stava solo trasferendo da una stanza ad un’altra ma la mancanza di certificazione sulla sanità degli oggetti unita al divieto di circolare di notte con i medesimi lo fecero condannare95.

Gli editti riguardanti gli oggetti rimasero in vigore sino ad agosto 1657 quando l’epidemia fu dichiarata terminata e tutte le disposizioni speciali cessarono.

Conclusioni

L’azione della Congregazione e di Gastaldi riuscì a limitare la diffusione del morbo e sicuramente il confronto con le altre città colpite dalla peste risultò favorevole per Roma soprattutto in termini di perdite di vite umane; per arrivare a questo risultato la Congregazione si occupò di regolamentare e controllare tutti gli aspetti del vivere, compreso il modo in cui i notai dovevano legare i propri protocolli.

Il controllo sui luoghi, sulle persone e sugli oggetti contribuì a limitare il numero di vittime contribuendo a creare una visione trionfalistica del buon governo della peste con una glorificazione della gestione amministrativa e del ruolo dello Stato e del Pontefice96.

Questa visione trionfalistica, veicolata anche dagli scrittori dell’epoca che presentarono l’azione della Congregazione come la migliore possibile, risulta stridere se lo sguardo si posa con maggiore attenzione su quanto accadde97. Innanzitutto la Congregazione non riuscì ad impedire che il morbo entrasse in città e la chiusura di una parte del rione Trastevere fu una misura tardiva, in quanto la peste si era già diffusa, inutile e anche crudele.

94 Lettera n. 14 del 23 giugno 1657, pubblicata da E. Sonnino, Cronache della peste, cit., p. 68. 95 ASR, Tribunale Criminale del Senatore, b. 239. 96 M. Boiteux, Le bouclage, cit., pp. 194-200. 97 Solo come esempio il medico Giuseppe Balestra da Loreto parla di persone che lavoravano nel Lazzaretto dell’Isola con “allegrezza” mentre sappiamo che molti tentarono la fuga da quello che era un luogo di sofferenza e morte, G. Balestra da Loreto, Gli accidenti più gravi del mal contagioso, cit., p. 16.

Page 53: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

53 L. Topi, Forme di controllo

La Congregazione, nonostante i suoi editti, non fermò la fuga in massa della popolazione da Roma che ebbe successive ripercussioni importanti sulla vita e sull’economia cittadina. Al primo diffondesi della notizia della peste una parte importante abbandonò la città; il diarista Gigli il 19 giugno 1656, quindi nei primissimi giorni dell’epidemia, scriveva “Partirno di Roma molte migliara di persone”98. Dai calcoli condotti da Eugenio Sonnino risulta che abbandonarono la città circa 10.000 persone99. Il vuoto lasciato dalla fuga degli abitanti e dai morti per peste verrà colmato solo nel 1672 quando la popolazione tornerà ai livelli pre-contagio.

Nell’operato della Congregazione vi furono luci e ombre come d’altronde è comprensibile in momento di gravità eccezionale come quello di una pestilenza: è pur vero che l’azione decisa e le pene comminate con severità e celerità contribuirono a mantenere calma la popolazione e ad impedire che si verificassero scene di caccia agli untori o disordini cittadini. D’altronde in un mondo in cui le pratiche curative erano assolutamente inefficaci l’unico modo per circoscrivere il male era dato dalla rapidità e tempestività dell’intervento politico - amministrativo e dalla capacità di reprimere qualsiasi inadempienza agli ordini che venivano emanati. La Congregazione dovette operare con la maggiore rapidità e durezza possibile e questo fu realizzabile solo grazie all’appoggio del pontefice Alessandro VII che rispondendo a chi formulava dubbi sull’eccessiva severità diceva: “ci vuole nelle materie odiose chi faccia volentieri lo sbirro”100.

98 G. Gigli, Diario, cit., p. 764. 99 E. Sonnino, R. Traina, La peste del 1656-57, cit., pp. 464-465. 100 Citato da A. Pastore, Crimine e giustizia, cit., p. 204.

Page 54: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

54 M. Militi, L’aristocrazia

L’aristocrazia di provincia e la Repubblica Romana. Tre casi di “giacobinismo nobiliare”: Francesco Canali, Camillo Mosca

e Antonio Tolotti Sempiterni (1798-1799). di Manuela Militi

Con questo scritto si intende proporre uno spunto di ricerca per lo studio delle problematiche connesse alla adesione/partecipazione da parte di esponenti del patriziato della provincia pontificia alla Repubblica romana1 e di come il loro

1 La Repubblica romana, negli ultimi anni, ha conosciuto un’importante serie di studi che hanno contribuito in maniera decisiva alla sua conoscenza: qui si segnalano alcuni studi diventati ormai dei “classici”, A. Dufourcq, Le Régime jacobin en Italie. Etude sur la République romaine (1798-1799), Paris 1900; V.E. Giuntella, La giacobina Repubblica romana (1798-1799). Aspetti e momenti, in «Archivio della Società romana di storia patria», LXXIII, 1950, fascc. I-IV, pp. 1-213; R. De Felice, Italia giacobina, Napoli 1965; Id., Il triennio giacobino in Italia (1796-1799). Note e ricerche, Roma 1990; A. Cretoni, Roma giacobina. Storia della Repubblica Romana del 1798-99, Roma 1971; M. Battaglini, Le istituzioni di Roma Giacobina, (1798-1799). Studi e appunti, Milano 1971; accanto a questi lavori si aggiungono degli studi più recenti a cui si rimanda per un completo quadro bibliografico di riferimento: M. Formica, La città e la rivoluzione. Roma 1798-1799, Roma 1999; D. Armando, M. Cattaneo, M.P. Donato, Una rivoluzione difficile. La Repubblica romana del 1798-1799, Pisa-Roma 2000; L. Fiorani, D. Rocciolo, Chiesa romana e Rivoluzione francese, 1789-1799, École Française de Rome, Roma 2004; M. Caffiero, La repubblica nella città del papa. Roma 1798, Roma 2005; si segnalano alcuni numeri monografici di riviste che si sono occupate degli anni della Repubblica: La Repubblica romana tra giacobinismo e insorgenza 1798-1799, «Archivi e Cultura», XXIII-XXIV, 1990-1991; «Deboli progressi della filosofia». Rivoluzione e religione a Roma, 1798-1799, a cura di L. Fiorani, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9, 1992; Roma tra fine Settecento e inizi Ottocento, «Roma moderna e contemporanea», II (1994), 1; Roma repubblicana. 1798-99, 1849, a cura di M. Caffiero, «Roma moderna e contemporanea», IX (2001), 1-3 e gli atti di due convegni, Roma negli anni di influenza e dominio francese 1798-1814. Rotture continuità, innovazioni tra fine Settecento e inizi Ottocento, a cura di Ph. Boutry, F. Pitocco, C.M. Travaglini, Napoli 2000 e La Rivoluzione nello Stato della Chiesa 1789-1799, a cura di L. Fiorani, Pisa-Roma 1997; per un quadro bibliografico generale sull’intero periodo si veda, A. M. Rao, M. Cattaneo, L’Italia e la rivoluzione francese 1789-1799, in Bibliografia dell’età del risorgimento 1970-2001, Firenze 2003, vol. I, pp. 136-262.

Page 55: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

55 M. Militi, L’aristocrazia

apporto di giacobini, al pari di quelli dell’Urbe, abbia contribuito a creare lo stereotipo propagandato dalla controrivoluzione2.

Se il repubblicanesimo romano ha conosciuto una fertile stagione di studi, che ne ha fatto emergere aspetti interessanti e nuovi, per quello di provincia manca una messe altrettanto fertile, nonostante qualche seme, riuscito a germogliare, riveli aspetti piuttosto interessanti3.

In questa direzione di ricerca si muove il lavoro, prendendo spunto da tre protagonisti del giacobinismo extra-Urbe: Francesco Canali, Camillo Mosca e Antonio Sempiterni Tolotti.

Si tratta di giovani nobili, originari di Rieti. Il primo proveniente da una famiglia piuttosto in vista della città; il secondo da una, meno presente nella zona, ma che aveva i suoi rami maggiori nelle Marche; il terzo la cui casata aveva ormai la sua sede privilegiata a Città Ducale, nel Regno di Napoli. Purtroppo la documentazione inerente il periodo repubblicano nel reatino non è stata adeguatamente valorizzata, mancano, inoltre, degli studi generali sia sul Dipartimento del Clitunno, sia sulla città di Rieti4. Per questo motivo, nel presente lavoro ci si avvarrà della documentazione contenuta nel fondo della Giunta di Stato che li processò nel 1800.

2 Sulla propaganda controrivoluzionaria cfr. G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974; V.E. Giuntella (a cura di), Le dolci catene: testi della controrivoluzione cattolica in Italia, Roma 1988; M. Cattaneo, Per una religione convertita. Devozioni, missioni e catechismi nella Roma del Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», X, 1998, pp. 273-310; Id., Controrivoluzione e insorgenze, in D. Armando, M. Cattaneo, M.P. Donato, Una rivoluzione difficile, cit., pp. 184-193; Id., L’opposizione popolare al «giacobinismo» a Roma e nello Stato pontificio, in A.M. Rao (a cura di), Folle controrivoluzionarie. Le insorgenze popolari nell’Italia giacobina e napoleonica, Roma 1999, pp. 255-290, specialmente pp. 255-260; Id., La sponda sbagliata del Tevere. Miti e realtà di un’identità popolare tra antico regime e rivoluzione, Napoli 2004, pp. 179-180; M. Formica, L. Lorenzetti, Il Misogallo Romano, Roma 1999. Sulla devozione del Sacro Cuore cfr. M. Rosa, “Regalità e «douceur»: il Sacro Cuore”, in Id., Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Venezia 1999, pp. 17-46; sulla politica nei riguardi di “santi” vicini al popolo cfr. M. Caffiero, La politica della santità. Nascita di un culto nell’età dei lumi, Roma-Bari 1996; sui miracoli mariani nello stato pontifico, M. Stirpe, “I ‘miracoli’ del 1796 nella diocesi di Veroli”, in G. Giammaria (a cura di), Studi in onore di Filippo Caraffa, Anagni 1986, pp. 401-434; M. Cattaneo, Gli occhi di Maria sulla Rivoluzione. “Miracoli” a Roma e nello Stato della Chiesa (1796-1797), Roma 1995; J. Bouflet, Ph. Boutry, Un segno del cielo. Le apparizioni della vergine, Genova 1999; sulla controrivoluzione in generale si veda J. Godechot, La controrivoluzione. Dottrina e azione, 1789-1804, Milano 1988; R. Dupuy, De la Révolution à la chouannerie, Paris 1988. 3 Per un quadro storiografico del repubblicanesimo di Provincia cfr. M.P. Donato, “I repubblicani”, in D. Armando, M. Cattaneo, M.P. Donato, Una rivoluzione difficile, cit., pp. 111- 177 qui pp. 161-172. 4 Su Rieti si segnala l’ormai datato volume di Sacchetti Sassetti che dedica poche pagine al periodo preso qui in esame, A. Sacchetti Sassetti. Rieti nel Risorgimento italiano 1796-1870, Rieti 1967.

Page 56: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

56 M. Militi, L’aristocrazia

La Giunta di Stato fu un tribunale speciale, istituito nel novembre del 1799, con il preciso scopo di inquisire e processare tutti coloro che avevano preso parte alla vita della Repubblica Romana, in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo5. Il tribunale rimase in carica fino all’ottobre del 1800, quando, giunto per la prima volta a Roma Pio VII6, il Segretario di Stato, cardinal Consalvi, ripristinò l’antica giustizia7.

La documentazione utilizzata per il presente lavoro consta dei Ristretti Fiscali inviati dal Tribunale di Rieti alla Giunta di Stato a Roma8. Si tratta del riassunto del Processo che solitamente si allegava al fascicolo. Nonostante quest’ultimo non sia presente nel fondo, i ristretti, nella loro completezza e

5 L’editto istitutivo della Giunta in Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR), Giunta di Stato 1799-1800 (d’ora in poi GdS), b. 16, fasc. 233, c.6rv, “Editto della Suprema Giunta di Governo” 10 novembre 1799. La Giunta di Stato era formata da monsignor Giovanni Barberi con funzione di avvocato fiscale, dagli avvocati Alessandro Tassoni, Giovanni Battista Paradisi e Francesco Maria Rufini in qualità di giudici; presidente del Tribunale era il cavalier Giacomo Giustiniani mentre come avvocato dei rei fu nominato Agostino Valle. Sull’operato della Giunta, sulle sue linee di indirizzo cfr. M.C. Buzzelli Serafini, La reazione del 1799 a Roma. I processi della Giunta di Stato, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», XCII, 1969, pp. 137-211 e M. Cattaneo, M.P. Donato, F.R. Leprotti, L. Topi, "Era feroce giacobino, uomo ateo e irreligioso". Giacobini a Roma e nei dipartimenti nei documenti della Giunta di Stato (1799-1800), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9, 1992, pp. 307-382. Il nuovo inventario del fondo archivistico nel quale sono conservate le carte del tribunale è stato redatto da L. Topi, Inventario del fondo Giunta di Stato 1799-1800, «Archivi e Cultura», XXIII-XXIV, 1990-1991, pp. 165-260; altri fascicoli della Giunta di Stato sono stati ritrovati nel fondo Tribunale Criminale del Governatore conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, cfr. Id., I rei del Papa nei processi della Giunta di Stato (1799-1800). Un recente ritrovamento nel fondo Tribunale Criminale del Governatore, «Rassegna degli Archivi di Stato», 2007, III, 2, pp. 331-350. 6 Pio VII nacque a Cesena il 4 agosto 1742, con il nome di Barnaba Nicola Maria Luigi Chiaramonti, monaco cassinese. Nel dicembre del 1782 venne nominato abate da Pio VI e il 14 febbraio 1785 venne promosso cardinale; il 14 marzo 1809 il conclave di Venezia lo elesse Papa. Morirà il 20 agosto 1823, cfr. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia 1840-1879, vol. LIII, pp. 115-172. Pio VII entrò a Roma per la porta del Popolo, passò sotto un Arco di Trionfo, attraversò via del Corso e San Pietro per poi recarsi al palazzo del Quirinale sede papale, durante il percorso venne accolto da grida di popolo, suono delle orchestre e spari dell’artiglieria. Sul solenne ingresso del nuovo Pontefice a Roma cfr. M. Caffiero, La nuova era. Miti e profezie dell’Italia in rivoluzione, Genova 1991; A. Galimberti, Memorie dell’avvocato Antonio Galimberti dell’occupazione francese in Roma dal 1798 alla fine del 1802, 2 voll. a cura di L. Topi, Roma 2004, vol. II, pp. 492-494. Una descrizione della processione in F. Cancellieri, Storia de’ solenni possessi de' sommi pontefici detti anticamente processi o processioni dopo la loro coronazione dalla Basilica Vaticana alla Lateranense dedicata alla Santita di N.S. Pio 7. P.O.M, Presso Luigi Lazzarini Stampatore della R.C.A., Roma 1802, pp. 469-478. 7 Sul periodo della I restaurazione cfr. D. Cecchi, L'amministrazione pontificia nella prima restaurazione 1800-1809, Macerata 1975. 8 I processi contro Francesco Canali e Camillo Mosca in ASR, GdS, b. 14, fascc. 190 e 192, mentre quello nei riguardi di Antonio Sempiterni Tolotti, ivi, b. 15, fasc. 218.

Page 57: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

57 M. Militi, L’aristocrazia

accuratezza, si sono rivelati una fonte preziosa. A completamento del quadro, si sono rivelate molto utili le missive inviate dalla Giunta, sia ai Governatori locali che ad altre istituzioni.

Francesco Canali e Camillo Mosca non ebbero un percorso simile negli anni della Repubblica, però li accomunò lo stereotipo del giacobino, veicolato dalla propaganda ecclesiastica, che venne loro attribuito e che emerge con forza dalle carte processuali. Antonio Sempiterni Tolotti merita un discorso a parte, perché fu un esponente di quella parte dell’aristocrazia militare che aveva aderito alle idee della Repubblica, scegliendo di combattere per la sua realizzazione e difesa.

Francesco Canali

Per quanto concerne Francesco Canali, la maggior parte delle notizie che lo riguardano si ricavano da una lettera di grande rilevanza, datata 15 gennaio 1799, rinvenuta dalla Giunta nei Palazzi del Quirinale, che il nobile fece scrivere sotto dettatura da un certo Angelo Iucci, causidico di Rieti, che si trovava nel carcere del capoluogo sabino nel suo stesso periodo di prigionia, quando il nobile era stato arrestato dai francesi9.

Francesco era un discendente dei marchesi Canali di Rieti. La sua famiglia risiedette a Roma fino al 1782, anno in cui ne fu allontanata, sotto scorta dei soldati, e obbligata al ritorno a Rieti. Inoltre, con rescritto pontificio, il vescovo della città fu nominato economo del loro patrimonio.

Per la nobiltà di provincia, riuscire ad approdare a Roma era molto importante. L’ingresso nella Città Eterna dava la possibilità di poter arrivare a ricoprire importanti cariche pontificie e, comunque, garantiva un maggior lustro nell’ambito dell’aristocrazia10.

Dunque, per il giovane Francesco l’espulsione dall’Urbe fu un’onta non facilmente cancellabile, così come l’impossibilità di disporre liberamente del proprio patrimonio familiare. Infatti, non appena riuscì ad ottenere la rimozione dell’economo, fece rientro a Roma.

La missiva non consente di determinare con precisione il periodo in cui l’esiliato ebbe modo di rimettere piede in città, tuttavia ne rivela i motivi. Stando allo scritto, Canali, una volta tornato, prese contatto con alcuni dei sostenitori delle idee rivoluzionarie; tra le sue conoscenze si annoveravano personaggi quali Giovan Battista Agretti, prefetto consolare del Dipartimento del Cimino e autore del Catechismo Repubblicano, del 1798, suo contributo alla diffusione dei principi

9 La lettera è trascritta integralmente nel ristretto del processo, ASR, GdS, b. 14, fasc. 190. 10 Per un quadro del sistema di avanzamento delle carriere nella Roma moderna cfr. R. Ago, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma-Bari 1990.

Page 58: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

58 M. Militi, L’aristocrazia

democratici e repubblicani11, autore anche di una Allocuzione al Popolo Romano, redatta a seguito della rivolta di Trastevere, scoppiata il 25 febbraio 1798, che invitava alla “calma e alla tolleranza”12, in particolare verso gli ebrei, che erano stati il principale oggetto di attacco dei rivoltosi13; Narboni, Capitano della Cavalleria e Fortunato Bisiotti, Redattore del Tribunato, a casa del quale si tenevano delle riunioni repubblicane.

Con questi e altri sostenitori dei francesi, quali Guerrini, droghiere a Strada Condotti, anche lui processato dalla Giunta e frequentatore di patrioti come il conte Scotti e l’avvocato Fea14, e Spagnoletti, stavano progettando un attentato ai danni del governo pontificio, con il precipuo intento di arrestare il papa. A tale scopo, Canali aveva a sua disposizione due carrozze piene di armi15.

Naturalmente, interrogato sull’argomento dalla Giunta di Stato, il marchese negò ogni affermazione presente nella lettera, ammettendo di aver conosciuto e frequentato l’abate Bisiotti, segretario di Rota presso monsignor Altieri, ma solo per ragioni professionali, avendolo in effetti assistito nella risoluzione di alcune sue cause e liti. Attraverso il prelato, aveva avuto modo di conoscere Agretti e Narboni, con i quali si era intrattenuto qualche volta a cena. Continuò sostenendo che nessuna di queste persone ebbe mai l’intenzione di orchestrare un complotto contro il papa, ma che non mancavano di circolare per le strade di Roma voci di

11 G.B. Agretti, Catechismo repubblicano tratto dal francese... per uso de' suoi figli, Assisi, Sgariglia, 1798. Si veda R. De Felice, Italia giacobina, cit., p. 124; sui catechismi rivoluzionari cfr. L. Guerci, "Mente, cuore, coraggio, virtù repubblicane". Educare il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Torino 1992. 12 R. De Felice, Italia giacobina, cit., p. 365. 13 Sulla rivolta di Trastevere cfr. M. Cattaneo, Controrivoluzione e insorgenze, in D. Armando, M. Cattaneo, M.P. Donato, Una rivoluzione difficile, cit., pp. 179-242 qui, pp. 218-228; Id., “L’opposizione popolare al «giacobinismo» a Roma e nello Stato pontificio”, in Folle controrivoluzionarie. Le insorgenze popolari nell’Italia giacobina e napoleonica, a cura di A.M. Rao, Roma 1999, pp. 255-290, e Id., La sponda sbagliata del Tevere, cit., pp. 261-282. Sulla comunità ebraica romana negli anni del triennio rivoluzionario cfr. M. Caffiero, Tra Chiesa e Stato. Gli ebrei italiani dall’età dei Lumi agli anni della Rivoluzione, in Storia d’Italia, Annali 11, Gli ebrei in Italia, 2 voll., a cura di C. Vivanti, Torino 1996-1997, vol. II, pp. 1091-1132. Eadem, “Il mito della conversione degli ebrei, in Eadem”, La nuova era. Miti e profezie dell'Italia in Rivoluzione, Genova, Marietti, 1991, pp. 71-131 e M. Militi, Il costo della Repubblica “sorella” per gli ebrei di Roma (febbraio 1798-settembre 1799), «EuroStudim3w», n. 23, aprile-giugno 2012, pp. 69-123; Eadem, Gli ebrei “fuori dal ghetto”. Incontri e scontri con il Lazio durante la Repubblica romana (1798-1799), «Archivi e Cultura», XL, (2007), pp. 195-215, A. Milano, Il Ghetto di Roma. Illustrazioni storiche, Roma 1988, pp. 397-413 e A. Berliner, Storia degli ebrei di Roma. Dall’antichità allo smantellamento del Ghetto, Rusconi, Milano 1992, pp. 276-281. 14 Guerrini, Scotti e Fea vennero tutti processati dalla Giunta per aver continuato, dopo la caduta della Repubblica, a tenere un comportamento repubblicano, ASR, Gds, b.1, fasc.1. 15 Sui complotti orditi nella Roma degli ultimi anni del Settecento cfr. M. Formica, Sudditi ribelli. Fedeltà e infedeltà politiche nella Roma di fine Settecento, Roma 2004.

Page 59: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

59 M. Militi, L’aristocrazia

malcontento verso il governo pontificio. Anzi, aggiunse che, dalle stesse voci, si apprendeva la volontà di instaurare un governo repubblicano16.

Nel difendersi dall’accusa di un attentato contro Sua Santità, dalle carte si ricava una data più precisa del periodo in cui si svolsero i fatti. Canali affermò di trovarsi a Roma nel luglio o agosto 1792 e di aver sentito parlare apertamente di una possibile rivolta. La conoscenza con Guerrini e Spagnoletti fu confermata, ma avvenne per motivi personali. Dopo questo periodo, il Segretario regio di Spagna gli intimò di non indossare più la montura di nazione, gli fece levare il diploma dai soldati, attestò inoltre che venne privato dell’eredità De Rossi dal Vice Uditore del papa, perché era uno scialacquatore, di conseguenza l’amministrazione dei beni fu affidata al Cavaliere Ricci.

Anche sulla presenza del nobile reatino all’uccisione del generale francese, Mathieu-Léonard Duphot, avvenuta a Roma, il 27 dicembre del 1797, in prossimità di Porta Settimiana a Trastevere17, il dettato dello scritto contrasta con la deposizione. Stando alla lettera, Canali era presente agli scontri avvenuti a Trastevere, cui seguì l’uccisione del milite. Anzi, nell’occasione venne salvato da un colpo di archibugio dal fratello dell’abate Bisiotti. Di contro, nel difendersi, Canali sostenne di aver avuto notizia dell’accaduto mentre si trovava a passeggiare per il Corso. Non riuscì, tuttavia, a negare la sua conoscenza con Ceracchi18, né di aver viaggiato con lui, ma sostenne che il viaggio non aveva alcun legame con lo scultore e che invece, nelle sue peregrinazioni marchigiane, fosse giunto a Pesaro, dove fu arruolato dal generale Reuille con il grado di aiutante di campo della Repubblica Cisalpina19. Rientrato a Roma, dopo 12 giorni, aveva quindi scoperto che era stata occupata dai francesi e che il governo pontificio era stato rovesciato. Affermò di essere a conoscenza dell’innalzamento dell’albero della libertà, ma che egli non prese parte alla cerimonia20. In realtà,

16 ASR, GdS, b. 14, fasc. 190. 17 Sulla morte del generale francese F. Gerra, La morte del generale Duphot e la Repubblica romana del 1798-1799, «Quaderni del Palatino», IV, (1967), I, pp. 153-163, II, pp. 21-29 e A. Cretoni, Roma giacobina, cit., pp. 11-17. Durante la Repubblica venne stampata una versione “ufficiale” dell’accaduto, Raccolta di documenti autentici riguardanti l’orribile attentato commesso in Roma il di 28 dicembre 1797, in Roma, Presso il cittadino Tommaso Pagliarini, 1798 anno I della Repubblica. 18 Su Ceracchi cfr. R. de Felice, Italia giacobina, cit., pp. 61-130 e A.M. Rao, Esuli. L'emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli 1992, pp. 481-505. 19 Sulla Repubblica Cisalpina cfr. C. Zaghi, L’Italia Giacobina, Milano 1989. 20 Si tratta della cerimonia di costituzione della Repubblica romana che si tenne il 15 febbraio 1798 e si articolò in diversi momenti. Iniziò con un discorso del medico Nicola Corona a Campo Vaccino, l’antico Foro romano, alla presenza delle truppe francesi e del popolo romano. Dopo il discorso un grande albero della libertà, in processione, venne trasferito sul Campidoglio dove fu posizionato sopra un piedistallo precedentemente preparato. Infine davanti all’albero venne rogato l’«Atto del popolo sovrano» che certificò la nascita della Repubblica. Per una descrizione della festa cfr. A. Galimberti, Memorie dell’occupazione francese in Roma dal 1798 alla fine del 1802, 2

Page 60: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

60 M. Militi, L’aristocrazia

nella missiva, arrivò a tirare in ballo Pier Paolo Baccini, importante esponente repubblicano, membro di uno dei due circoli più attivi a Roma, perché si facesse garante del suo essere democratico21. Invito poi prontamente negato, al momento di dover dimostrare la sua estraneità con i rivoluzionari. È interessante sottolineare, ad ogni modo, che egli dovette comunque confermare di aver avuto rapporti con un simile personaggio, ovvero Baccini, il quale ebbe gran parte nella Repubblica, pur limitandosi a sminuire i contatti avuti con lui, che non andarono oltre questioni inerenti la sua causa contro il Cavalier Ricci. Più in generale, affermò di aver interagito con diverse persone nella Roma repubblicana, non sapendo se e quale ruolo avessero avuto nel nuovo governo.

All’arrivo dei napoletani a Roma, nel novembre 1798, nella lettera sottolineò come avesse deciso di condividere la sorte dei repubblicani, seguendoli prima a Perugia, quindi a Terni e, infine, a Rieti, sua città natale22. Una volta lì, si preoccupò di reclutare uomini per la causa. Effettivamente, gli spostamenti coincidono con quanto scritto. Quello che non trova riscontro è la motivazione. Davanti al Fisco sostenne, infatti, di essere partito alla volta di Perugia, seguendo altre persone che lasciavano Roma. Ugualmente, quando queste si mossero nuovamente verso la capitale, abbandonata dai napoletani, a metà dicembre del 1798, egli ne condivise la strada fino a Terni, per poi fermarsi nella sua città. Qui fu arrestato dai repubblicani, perché non si era impegnato nel reclutamento per il corpo dei Franchi Cacciatori, per diserzione, per non aver indossato la montura repubblicana, ma soprattutto per essere un aristocratico. Con quest’ultima affermazione sembra che Canali abbia voluto sottolineare il suo status di privilegiato, in un ritorno all’antico regime. Dalle carte processuali risulta, invece, che egli fu tradotto in carcere, dove rimase tra la fine del 1798 e l’inizio del 1799, per una truffa di 60 piastre e per aver disertato dal Corpo dei Franchi Cacciatori. L’accusa tese a mostrare come l’inquisito avesse tenuto un comportamento scarsamente morale, inaffidabile e delinquenziale, anche nelle vesti di “giacobino”, comportamento che per altro era ritenuto proprio di quei ribelli.

voll., a cura di L. Topi, Roma 2004, vol. I, pp. 7-8; il testo dell’”Atto del popolo sovrano” si può leggere nel Monitore di Roma, I, 21 febbraio 1798. Per una disamina dell’Atto cfr. M. Battaglini, Le istituzioni di Roma Giacobina, cit., 2-17. 21 Su Baccini cfr. V.E. Giuntella, La Religione amica della Democrazia. I cattolici democratici del Triennio rivoluzionario (1796-1799), Roma 1990. 22 Sulla prima invasione napoletana cfr. A. Cretoni, Roma giacobina, cit., pp. 275-291, L. Alonzi, Il vescovo-prefetto. La diocesi di Sora nel periodo napoleonico 1796-1818, Sora 1998, pp. 43-47; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, Edizioni Sara, Trezzano 1992, pp. 179-181: sui rapporti tra il Regno di Napoli, l’Austria, l’Inghilterra e la Francia, cfr. A. Cortese, La politica estera napoletana e la guerra del 1798, Napoli 1924; G. Castellano, Napoli e Francia alla vigilia della guerra del 1798 in una relazione del Marchese di Gallo a Ferdinando IV, «Archivi», XX, 1953, fasc. 4, pp. 237-256.

Page 61: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

61 M. Militi, L’aristocrazia

La difesa del marchese non poté che arroccarsi sull’estraneità alla stesura dell’epistola, ma il Fisco non ebbe difficoltà a dimostrare il contrario. Oltre ad avere appurato il legame tra Canali e Iucci, legame che perdurò anche durante la detenzione del nobile a Castel Sant’Angelo, come mostra una corrispondenza di quel periodo, e che venne negato solo 4 giorni prima del costituto, datato 18 maggio 1800, altri testimoni poterono avvalorare l’autenticità della firma dell’imputato, avendo, in passato, ricevuto istruzioni scritte dal medesimo. In particolare vengono citati un negoziante, un nobile, un benestante e un curiale23. Non si tratta di una superflua indicazione, ma la posizione che questi occupavano in società ne avvalorava la serietà e credibilità, rendendo così più valide le ragioni dell’accusa ed evidenziando ancor più le qualità “infamanti” dei giacobini.

Camillo Mosca

Camillo Mosca era un esponente della piccola nobiltà di Rieti, dalle carte si apprende esclusivamente la sua appartenenza all’aristocrazia, senza che mai ne venga indicato il titolo. Diversamente dal marchese Canali, non risulta un suo soggiorno romano, né contatti con personaggi influenti della capitale pontificia prima, repubblicana poi.

Le accuse che gli furono mosse non sono dissimili da quelle lanciate contro il suo conterraneo. Dai documenti risulta che fu attivo a Greccio, una delle zone rurali della città di Rieti, dopo che i francesi, nel febbraio del 1799, vi posero un campo. È plausibile sostenere che, per obbedire agli ordini del superiore, Mosca avesse compiuto una serie di requisizioni nell’area in questione. Del resto era una prassi comune quella di appropriarsi dei beni degli abitanti di un territorio per soddisfare le necessità dell’esercito e, in questa situazione, il giovane sabino non fece altro che adeguarsi ad un comune comportamento24. Vero è che, così facendo, fornì un terreno fertile al Fisco per poi muovergli l’accusa di essere un “feroce” giacobino.

Nello specifico, Camillo Mosca fu accusato, per quanto riguarda il circondario di Greccio, di aver tradotto in arresto alcuni abitanti della zona, sospetti di essere controrivoluzionari, i fratelli Angelo e Luigi Ficorilli, Giuseppe e Silvestro Fiori, padre e figlio, e Giuseppe Palmieri. Questi si erano rifugiati nel

23 ASR, GdS, b. 14, fasc. 190. 24 Durante il periodo repubblicano le lamentele delle popolazioni per le requisizioni fatte dai francesi per il mantenimento delle truppe sono continue solo come esempio si riporta il dato della città di Alatri dove per il contingente di soldati di stanza la città dovette pagare 5.169 scudi, cfr. L. Topi, «Tutto va a cambiarsi». La nascita della lotta politica ad Alatri (1798-1799), Roma 2012, pp. 66-74: sui problemi delle armate in Italia cfr. A.M, Rao (a cura di), Esercito e società nell’Italia rivoluzionaria e napoleonica, Napoli 1990.

Page 62: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

62 M. Militi, L’aristocrazia

casale del nobile Aluffi e, in particolare, Angelo Ficorilli era ritenuto responsabile di aver danneggiato il ponte di legno sul Teria, che consentiva il passaggio tra Terni e Rieti.

In una situazione instabile come quella che stava vivendo in quel momento la Repubblica romana, appena ripresasi dalla prima invasione dei napoletani, non sorprende una volontà di eliminare qualsiasi possibile nemico. Simili comportamenti consentivano alla Giunta di lasciare un margine minimo alla Difesa, tanto più che uno degli arrestati, nella fattispecie Angelo Ficorilli, era stato fucilato. Inoltre, Mosca fu accusato di una serie di saccheggi, perpetrati ai danni degli abitanti della frazione rurale. Un testimone sostenne di averlo visto ben cinque volte tornare a Rieti, con sacchi carichi di beni e “una volta visitati i sacchi li rinvenne pieni di tele, busti e vesti da donna, avendogli lo stesso Mosca confessato che era roba saccheggiata”25. Per rimarcare ancor più il comportamento reo del nobile, gli venne imputato di aver compiuto cinque “furti” di capi di bestiame a più persone, di un’appropriazione indebita si ha l’ammontare del danno, consistente in 180 scudi in moneta effettiva e 365 in cedole, pari a 4 bovi ed 1 giovenco.

Per comprendere meglio l’inizio del 1799, periodo complesso e intricato, è utile raccontare, brevemente, la storia di queste requisizioni, che si verificarono in tutti i territori delle Repubbliche.

A partire dal febbraio del 1799, Mosca, con altri patrioti, in particolare con Benedetto Fiordiponti e Luigi Olivetti, si appropriò, per conto del comandante francese del campo di Terni, di una serie di animali, per lo più bovini, da rivendere per ricavarne denaro per la truppa. Dal processo risulta che l’acquirente doveva essere un certo Caselli, il quale, prontamente negò di essere a conoscenza della provenienza illegale del bestiame, ma che, una volta scopertolo, rifiutò di comprare altre bestie da Mosca e risarcì i legittimi proprietari per quelle già acquistate.

Buoi, vacche e giovenchi appartenevano a diversi abitanti di Greccio, tra cui figurava anche un sacerdote; tutti furono pronti ad accusare i tre uomini di essere gli artefici delle ruberie, puntando il dito soprattutto contro Camillo, Mosca, indiscutibilmente ritenuto il più assiduo saccheggiatore della zona. Va rimarcato che tra gli accusatori, nonché soggetti al latrocinio, figurano Palmieri, arrestato da Mosca, e Lucia Ficorilli, madre di Angelo, fucilato dai francesi, e di Luigi anche lui arrestato con il primo. Non stupisce se l’acredine di questi si mostri, attraverso le carte, in tutta la sua asprezza. Non va neanche escluso che la famiglia Ficorilli fosse una delle benestanti di Greccio, come dimostrato dal valore del bestiame

25 ASR, GdS, b. 14, fasc. 192.

Page 63: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

63 M. Militi, L’aristocrazia

requisitogli. Pertanto, un possibile “accanimento” nei loro confronti si potrebbe spiegare con la condizione agiata che gli era propria26.

Da questo episodio emerge in modo evidente l’importanza che gli animali d’allevamento avessero per gli abitanti delle zone rurali. Infatti, le carte rivelano l’alto valore delle singole bestie: alla vedova Ficorilli vennero sottratti 2 buoi del valore di 330 scudi in cedole, 2 puledri per 70 scudi, 1 puledra per scudi 35, 1 somara con l’allevame per 110 scudi, 1 cavalla per scudi 50 e 1 maiale per 3 scudi. Anche la varietà delle requisizioni è indice della ricchezza della famiglia Ficorilli. Ad esempio, il sacerdote Francia possedeva solo bovini, nella fattispecie 4 buoi ed 1 giovenco. Di questi solo tre poterono essere venduti per un valore di 145 scudi27.

Il valore monetario fornisce indicazioni sull’importanza che il bestiame aveva per l’economia di una zona rurale. Dunque le requisizioni dei francesi, benché proprie di un periodo turbolento, contribuirono a incrementare l’odio verso i repubblicani e ad avvalorare lo stereotipo del giacobino feroce e spietato, che il Fisco non esitò ad utilizzare contro il giovane nobile. Stereotipo di cui l’accusa si avvalse anche per rimarcare il momento dell’arresto dell’imputato, il quale, pur di sfuggire all’odio delle masse, fu consegnato al generale Salomoni dalla madre. In realtà, se è vero che Mosca si consegnò spontaneamente al comandante designato da Salomoni, perché parte della popolazione voleva vendicarsi delle requisizioni cui era stata sottoposta, tale scelta fu un po’ più articolata di come viene narrata dalla parte avversa al nobile. Più semplicemente, data la situazione critica e il reale pericolo, Mosca e la famiglia ritennero più opportuno che egli si consegnasse ai napoletani, piuttosto che rischiare di essere l’oggetto della ferocia degli insorgenti, consiglio sostenuto anche dal marchese Potenziani, esponente di una delle più potenti famiglie nobili reatine. Lo stesso generale Salomoni si mostrò propenso ad accogliere le richieste dei Mosca, patrocinati dai Potenziani.

Antonio Sempiterni Tolotti

Il nobile Antonio Sempiterni Tolotti, anche lui, come i due uomini precedenti, originario di Rieti, ebbe, però, una storia diversa, sia per il suo terreno d’azione, che fu soprattutto il Regno di Napoli, sia perché incarna un’altra figura di giacobino, più legata all’ambiente militare, ma pur sempre feroce.

L’aristocratico aveva lasciato Rieti, per trasferirsi a Città Ducale, non distante dalla città natale, ma suddita della Corte borbonica. Lì costruì buona

26 Dalle carte del Camerale si ha un riscontro della condizione economica della famiglia Ficorilli, ASR, Camerale III, Comuni, b. 27 ASR, GdS, b. 14, fasc. 192.

Page 64: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

64 M. Militi, L’aristocrazia

parte della sua carriera di repubblicano. Le carte raccontano di lui a partire dal novembre del 1799, quando arrivò a Rieti con il grado di Commissario Regio per le Reclute, dell’esercito napoletano. L’accoglienza della città fu quella riservata ad un uomo importante, infatti “ricevette come addetto al servizio reale visite e congratulazioni”28. All’apparenza sembra che Sempiterni Tolotti abbia combattuto al servizio del Re di Napoli, come del resto sarebbe stato logico, vivendo in quel regno. Da una lettura delle prime carte dei documenti, infatti, risulta che il milite, mentre si trovava ancora nel capoluogo sabino, fu informato di una possibile imboscata da parte dei francesi. Ma questi sminuì tale possibilità, sostenendo che le truppe reali erano molto più numerose di quelle d’Oltralpe, quindi non era possibile una simile eventualità. Proseguendo nella lettura, si scopre invece che l’imboscata avvenne e che le truppe napoletane furono costrette a ritirarsi. Come fece lo stesso Sempiterni Tolotti rientrando a Città Ducale, dove rivelò la sua adesione alla causa repubblicana, sostenuta da un importante contributo militare che, da questo momento in poi, si profuse tutto in funzione della nascita della Repubblica Partenopea prima, e della difesa di Rieti, sua città natale, poi.

Intrapreso il cammino verso Napoli, alla testa di una colonna francese, conquistò L’Aquila. Qui mostrò, a detta di alcuni testimoni dell’accusa, la sua vera natura di giacobino, operando saccheggi e massacri. È importante rilevare come fosse lo stesso Sempiterni Tolotti ad avere in carica le “carte di sicurezza”, che consentivano, a chi le possedeva, di non avere l’immobile saccheggiato. Questo potere di decidere della ricchezza della popolazione fu sfruttato dal nobile per eliminare un suo antico debito, contratto con il marchese Torres; non a caso indicò come primo palazzo da spogliare proprio quello del nobile aquilano, a cui doveva 1000 ducati.

Se, a L’Aquila, l’abuso di potere servì a Sempiterni Tolotti per “estinguere” un suo antico debito, nella sua città d’adozione si mostrò molto più determinato nel punire i nemici della Repubblica. Una volta rientrato a Città Ducale non esitò a ordinare la fucilazione di 25 insorgenti. Qui emerge con maggior forza la ferocia del giacobino, che non esita a mandare a morte chi gli si oppone. Alla prova dei fatti, si trattava di un comportamento usuale in tempo di guerra, l’eliminazione del nemico era sempre stata eseguita fin dai tempi più antichi.

Antonio Sempiterni Tolotti partecipò alla nascita della Repubblica Partenopea29, una volta conquistata Napoli fu chiamato a Roma, dove gli venne

28 Ivi, b. 15, fasc. 218. 29 Sulla Repubblica napoletana esiste un’amplissima bibliografia, mi limito qui a citare tre soli saggi, A.M. Rao, P. Villani, Napoli 1799-1815. Dalla repubblica alla monarchia amministrativa, Napoli 1994; Ead., La Repubblica Napoletana del 1799, in «Storia del Mezzogiorno», vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Roma 1986, pp. 470-539; M. Battaglini, La Repubblica napoletana. Origini,

Page 65: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

65 M. Militi, L’aristocrazia

offerto l’incarico di Organizzatore e Soprintendente Generale dell’Abruzzo come ricompensa per i suoi servizi militari. Il nobile non entrò mai in carica, perché, mentre si dirigeva verso L’Aquila, rimase bloccato a Rieti, per difenderla dagli attacchi delle truppe a massa.

Le carte terminano qui la narrazione, ma sono sufficienti per far emergere la figura del Tolotti militare, che si distacca da quella dei suoi due pari ceto. Le ultime righe del processo raccontano l’abilità dell’ufficiale nel difendere la città sabina, facendo costruire una serie di fortificazioni. Tale iniziativa non fu sufficiente, per questo si recò a Roma nella speranza di portare nuove truppe a rinforzo di Rieti. Tuttavia, la situazione ormai critica della capitale gli impedì il ritorno e dalle missive della Giunta si risale alla data dell’arresto, avvenuto il 25 ottobre 1799, nella capitale30.

*** I tre uomini sopra descritti hanno alcune caratteristiche comuni, stessa origine, erano nati a Rieti, appartenevano al ceto nobiliare e aderirono alle idee repubblicane, quello che li differenzia è il loro “modo” di essere giacobini.

I primi due, Francesco Canali e Camillo Mosca, sono accomunati dallo stereotipo del giacobino più bieco, che l’accusa attribuisce loro. Dall’analisi delle carte processuali di entrambi, emerge bene la figura del giacobino bestemmiatore, ladro, libertino e feroce assassino. Essi vengono accusati, infatti, di aver proferito bestemmie contro Dio, Gesù Cristo e la Madonna. Merita di essere riportato un episodio avvenuto in prigione, narrato da un testimone, che riguarda Mosca.

Il giovane nobile, in un eccesso d’ira, aveva gettato a terra, calpestandolo, l’abitino di Maria Santissima del Carmine. L’abitino consisteva in due pezzi di stoffa di un saio carmelitano, attaccati a due fettucce che si portavano attorno al collo. In quella stessa occasione si udirono da Mosca una serie di bestemmie ed improperi, tanto che il compagno di cella “altro bestemmiatore suo pari” chiese di essere trasferito in una segreta31. L’episodio serve ad evidenziare l’irreligiosità e l’irascibilità che si attribuivano ai repubblicani.

Un altro comportamento proprio di questi uomini, e fortemente osteggiato dalla Giunta, era quello di non rispettare il precetto di astenersi dalla carne nei periodi liturgici, in particolare il venerdì e il sabato. Questa accusa viene mossa sia a Canali che a Mosca, ma in realtà è presente, quasi costantemente, in tutti i processi istruiti dalla Giunta.

nascita, struttura, Roma 1992; D. Scafoglio, Lazzari e giacobini. Cultura popolare a Napoli nel 1799, Napoli 1999. 30 ASR, GdS, b. 17, fasc. 235, cc. 397v-398r. 31 ASR, GdS, b. 14, fasc. 192.

Page 66: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

66 M. Militi, L’aristocrazia

Il reato era ritenuto grave perché si violava “plasticamente” la religione, mostrandone apertamente e concretamente il disprezzo:

un testimone lo vide comprare il salame un giorno di venerdì e mangiarlo pubblicamente. Altro lo vide mangiare carne il venerdì e il sabato tanto che ne nacque la pubblica voce, che mangiasse carne nei dì dalla Chiesa vietati. Altro depone che il Mosca, unito ad altri patrioti suoi compagni, l’obbligassero a forza a preparare cibi da grasso nei giorni di venerdì e sabato e pubblicamente se li mangiassero. 32

Le ingiurie contro i sovrani erano un’altra tipizzazione attribuita ai rivoluzionari. Frequenti erano gli insulti verso il Re di Napoli, la sua consorte e, soprattutto, verso il pontefice, nel suo doppio ruolo di sovrano temporale e spirituale. Non mancavano, naturalmente, gli insulti rivolti anche a Dio, a Gesù, alla Madonna e ai santi.

L’espressione “puttana” era riservata alla Vergine e alla regina di Napoli, Dio e Gesù Cristo erano spesso designati come ladri, per il pontefice e il Borbone gli epiteti più ricorrenti era quelli di “cornuto” e “coglione”, al solo sovrano napoletano erano riservati le apposizioni di “broccolaro” e “bugiarone”, quest’ultima in particolare era un’espressione molto utilizzata dal popolo per indicare una particolare tendenza sessuale del re33.

Con ogni probabilità le ingiurie erano proprie di un linguaggio scurrile dell’epoca, tuttavia diventa peculiare l’uso che se ne fece in quel momento storico, la propaganda controrivoluzionaria sembrò quasi operare una risemantizzazione del contesto in cui vennero utilizzate, rendendole un appannaggio esclusivo del giacobino.

Nel 1794, il bargello di Ronciglione apostrofò il papa definendolo un “Pulcinella” e ubriacone, le conseguenze per tali offese furono nulle, eccezion fatta per l’esecrazione di chi le aveva udite34. A distanza di quattro anni, quando Canali affermò che il papa beveva dieci bottiglie di vino al giorno, questa offesa divenne uno dei suoi capi d’accusa, comparendo nel ristretto come III delitto.

Finora si è evidenziato, attraverso gli aristocratici imputati, lo stereotipo del giacobino nel suo “modo di essere”, che si manifestava soprattutto attraverso un linguaggio irriverente verso ciò che era considerato sacro, sia del mondo spirituale che del mondo temporale. Ma, oltre ad un modo di essere, il giacobino aveva anche un “modo di fare” e, analizzando le azioni dei tre nobili, si è cercato di portarlo alla luce.

32 Ibidem. 33 Su questo insulto e sul suo significato cfr. M. Cattaneo, “Vitio nefando” e inquisizione romana, in M. Formica, A. Postignola, Diversità e minoranze nel settecento, Roma 2006, pp. 55-78. 34 ASR, Tribunale Criminale del Governatore, Processi 1793-1794, b. 1951; questa notizia mi è stata data dal dottor Topi che sta conducendo uno studio sui birri pontifici.

Page 67: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

67 M. Militi, L’aristocrazia

Il giacobino si connaturava per un’indole aggressiva e intransigente, suoi erano i costumi libertini e una propensione alla truffa, al furto e al saccheggio.

Francesco Canali ben incarna questo stereotipo, soprattutto per la sua predilezione alla truffa, allo sperpero e ai liberi costumi. Già durante il governo pontificio subì un processo per stupro dal Tribunale del Vicario nel 1795, ma si può ipotizzare che, grazie alle conoscenze della famiglia e al suo status, nel 1797 riuscì a far ricorso al Tribunale dell’Auditor Camere, che non portò avanti la causa. Il giovane nobile, ancor prima dell’arrivo dei francesi, aveva reso manifesta la sua natura libertina. Inoltre, “in quanto scialacquatore fosse privato del possesso dei beni dell’eredità De Rossi e data l’amministrazione al signor Cavaliere Ricci”35, propese non solo per il libertinaggio e lo sperpero, ma anche per la truffa. Infatti, sul finire del 1798, venne arrestato dagli stessi francesi per una frode di 60 piastre. Tuttavia, non esitò a palesare la sua adesione alle nuove idee repubblicane, facendosi promotore dell’innalzamento dell’Albero della Libertà in Piazza del Leone a Rieti. Si trattava di un’azione importante, perché forse, più di qualunque altra, racchiudeva in sé, tanto il “modo di essere”, che di “fare” del giacobino, un’idea si concretizzava attraverso un gesto36.

Ma Canali, rispetto agli altri due, è il più contraddittorio; da una parte si mostrò a favore del nuovo mondo arrivato da Oltralpe, di contro non riuscì mai a staccarsi del tutto dalla sua condizione di privilegiato, avvalendosene durante il periodo repubblicano, quando pensava potesse tornargli utile, non comprendendo appieno che i francesi si erano fatti portatori di una realtà veramente “altra” rispetto al passato.

Camillo Mosca, stando alla Giunta, agì da giacobino attraverso i ladrocini e saccheggi e, non da ultimo, rendendosi artefice dell’uccisione di un uomo fedele al governo pontificio. Le carte lo dipingono come un sostenitore dei francesi, pronto a tutto per soddisfare i suoi comandanti. Senza il minimo scrupolo, armi alla mano, fece arrestare cinque uomini, e con la stessa violenza si appropriò dei beni degli abitanti di Greccio e del loro bestiame. Non un’esitazione, non un rimorso trapelano dai documenti, agì a sangue freddo, senza la minima incertezza, da vero giacobino. Le uniche sue frasi riportate nel ristretto fiscale

35 ASR, GdS, b. 14, fasc. 190. 36 Sugli alberi della libertà in Francia, M. Vovelle, La scoperta della politica. Geopolitica della Rivoluzione francese, Bari 1995, pp. 43-55; sulle origini del movimento della piantagione degli alberi della libertà cfr. M. Ozouf, Du mai de la Liberté à l’arbre de la Liberté, «Etnologie française», 1975 e L. Hunt, La Rivoluzione Francese. Politica, cultura, classi sociali, Bologna 1989, pp. 62-64; J. Boutier, Jacqueries en pays croquant: Les Révoltes paysanne en Aquitaine, décembre 1789-mars 1790, «Annales ESC» XXXIV, 4, 1979, pp. 760-786, in particolare p. 764: per quel che concerne l’Italia cfr. P. Alatri, Dall’Albero di Cuccagna all’Albero della Libertà, in Le radici dell’albero della Libertà, Roma 1990, pp. 11-19.

Page 68: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

68 M. Militi, L’aristocrazia

sono “aprimi che se no ti brucio e sarà arrivata l’ora tua” e “questa è roba nostra, è roba che fa per noi”37.

Personaggi come Francesco Canali e Camillo Mosca si prestavano ad incarnare lo stereotipo del giacobino veicolato dalla Chiesa e dalla nobiltà più fedele al pontefice e che tanta presa ebbe sulla maggior parte della popolazione. Per Antonio Sempiterni Tolotti risultò più complicato fargli vestire i panni del “feroce giacobino”, ma la Giunta riuscì ugualmente a fargli indossare quell’abito, avvalendosi della suggestione che i nemici dei governi d’Antico Regime suscitarono nel popolo.

L’unica azione a cui la Giunta poté aggrapparsi, compiuta dal militare, fu l’aver fatto fucilare 25 nemici della Repubblica a Città Ducale e rimarcare la diceria secondo la quale avesse fatto sterminare i religiosi del convento, detto del Bernardino, a L’Aquila, perché altro non era possibile imputare al nobile, il quale aveva avuto un comportamento da perfetto ufficiale. E, dovendo dar maggior vigore alla sua colpevolezza, il Fisco cercò anche di attribuirgli un’azione di vigliaccheria, gravissima per un soldato, cioè quella di non essere rientrato a Rieti dopo essere andato a Roma per cercare rinforzi e di aver abbandonato i patrioti alla speranza38. Eccezion fatta che per questi forzati comportamenti, null’altro c’era su Sempiterni Tolotti. Si trattò, dunque, per il Tribunale provvisorio, di una pratica di non facile soluzione, tanto più che per questo imputato si presentava il problema dell’applicazione della Capitolazione39. Inoltre, avendo Sempiterni commesso la maggior parte dei reati nel Regno di Napoli, la Giunta sperò di passare il processo ai Regi Tribunali partenopei40, per evitare di dover emettere una difficile sentenza.

Il giacobino, o meglio, lo stereotipo costruito su esso, servì alla controrivoluzione per veicolare il sentimento della paura negli anni del Triennio repubblicano (1796-1799). Tuttavia, tale costruzione culturale si è rivelata un utile strumento anche nei decenni successivi, fino ad arrivare ai giorni nostri. La semantica del termine si è più volte modificata nel tempo, ma il significato che più si associa al giacobino è quello di “frazione del popolo, la più turbolenta e la

37 ASR, GdS, b. 14, fasc. 192. 38 Ivi, b. 15, fasc. 218. 39 La Capitolazione prevedeva, la possibilità per i repubblicani romani di seguire le truppe francesi oppure la possibilità di rimanere in città e nel qual caso non si sarebbero potuti incriminare per le loro passate opinioni o per le loro attività al servizio della Repubblica; sulla Capitolazione e sui problemi legati alla sua applicazione cfr. M.C. Buzzelli Serafini, La reazione del 1799 a Roma, cit. Il testo integrale della Capitolazione in ASR, Miscellanea di carte politiche e riservate, b. 27, fasc. 921. 40 Lettera della Giunta di Stato al Consultore Frammarino del 28 marzo 1800, ASR, GdS, b. 17, fasc. 235, cc. 397v-398r.

Page 69: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

69 M. Militi, L’aristocrazia

più folle, che si arroga il diritto di parlare e di agire a nome di tutti”41. Così è comparso nei discorsi della politica italiana degli ultimi vent’anni. Ma la forza di tale continuità semantica trova una vasta eco in un popolarissimo gioco, i cui fruitori sono milioni di persone nel mondo, ambientato nella Parigi rivoluzionaria. Un esempio su tutti, è l’aver attribuito a Saint-Just la volontà di farsi confezionare un cappotto con pelle umana.

Alla luce di questa continuità, che si coglie nell’uso del termine giacobino, sarebbe utile riaprire il dossier sul giacobinismo italiano, non limitandosi ai pensatori, ma concedendo più spazio a figure come quelle dei tre nobili reatini, che tanto hanno contribuito al repubblicanesimo di allora e tanto hanno da offrire oggi per meglio comprenderlo.

41 L. Canfora, Demagogia, Palermo 1993, p. 31.

Page 70: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

70

NEL 150MO ANNIVERSARIO DEL CONGRESSO DELLA LEGA

INTERNAZIONALE DELLA PACE E DELLA LIBERTÁ. GINEVRA 1867

I contributi che seguono sono stati scritti in occasione della Celebrazione del 150mo anniversario del Congresso Internazionale della Pace e della Libertà, e per gli Stati Uniti d’Europa, tenutosi a Ginevra, dal 9 al 12 settembre 1867. Tale celebrazione ha avuto luogo a Bruxelles, presso il Parlamento europeo, il 21 novembre 2017, come illustrato nel programma dettagliato dell’iniziativa, pubblicato, in italiano, inglese e francese, di seguito ai due saggi.

Page 71: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

71 D. Armellino, Le dimenticanze

Le dimenticanze del 1867: l’anno dei pacifisti di Daniele Armellino

Surtout que peut-on, que doit-on

faire, pour que cette espérance du plus grand bien que puisse souhaiter

l’Europe cesse d’être un rêve? Telles sont les questions qu’on se propose.

(Charles Lemonnier, Les États-Unis d’Europe)

Il 1867 è ricordato su molti manuali di storia come l’anno dell’Ausgleich, il compromesso che metteva il Regno Apostolico d’Ungheria sullo stesso piano1 istituzionale dell’Impero d’Austria, come l’anno dell’invenzione della dinamite da parte di Alfred Nobel, o ancora, da ultimo, come l’anno della Battaglia di Mentana, che vide contrapporsi le truppe volontarie comandate da Garibaldi a quelle franco-papali per il possesso di Roma.

È estremamente difficile immaginare di non trovare su qualunque manuale di storia contemporanea notizie, anche vaghe o appena accennate, riguardo quegli accadimenti.

Infatti, almeno due dei tre avvenimenti citati sono ricollegabili in maniera determinante al clima politico, culturale, sociale che si viveva e si respirava nell’Ottocento: il secolo del risveglio dei nazionalismi, il secolo del romanticismo e del positivismo, il secolo della lotta di classe, il secolo dell’unificazione degli ultimi stati-nazione dell’Europa occidentale, il Regno d’Italia e l’Impero tedesco.

Occorre ribadire con forza l’importanza di queste spinte politico-culturali per la storia successiva dell’Europa e del mondo. Dall’internazionalismo operaio, alle varie forme di patriottismo che presero forma sia a ovest, sia a est,

1 Cfr. A.M. Banti, L’età contemporanea, dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, Bari 2010.

Page 72: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

72 D. Armellino, Le dimenticanze

continuando con il pensiero liberal-democratico, tutto ciò ha costituito e costituisce ancora oggi un bagaglio importante nella storia dei Paesi europei e del continente nel suo insieme. Non ci fu però solo quello!

Il movimento pacifista e i congressi per la pace

Il movimento pacifista organizzato si sviluppò negli Stati Uniti d'America. A New York fu costituita nel 1815 la prima società pacifista, la Peace Society, che già nel 1816 aveva sezioni in Ohio e Massachussetts. Nel giugno 1816, poi, nasceva a Londra la Society for the promotion of permanent and universal peace, che allargò dopo poco il suo campo d’azione a Galles, Scozia e Irlanda.

L'ispirazione di questi gruppi era per lo più religiosa e molti aderenti a queste associazioni discutevano anche sulla liceità della guerra difensiva, citando con convinzione alcuni passi biblici. Alcuni di loro, come per esempio Elihu Burritt, facevano parte di fratellanze quacchere. Questa confessione ha un peso importante nel nostro discorso, in quanto religione di appartenenza tra gli altri, anche di William Penn, fondatore della Pennsylvania e autore di An Essay Towards the Present and Future Peace of Europe2, nel quale per primo teorizzò la creazione di un parlamento europeo eletto dai cittadini che mettesse d’accordo i principi, favorisse gli scambi commerciali e la prosperità, evitasse le guerre e mantenesse la pace.

Nel mondo anglosassone queste associazioni erano spesso collegate a quelle contro lo schiavismo e contro la pena di morte. Non ebbero però altrettanta fortuna nell'Europa continentale perché la loro posizione pacifista ad ogni costo le portava a condividere le posizioni della Santa Alleanza. In una Europa continentale in cui le questioni nazionali e il principio di nazionalità erano al centro del dibattito politico si provavano forti riserve per un pensiero che legittimava lo status quo in nome della pace. In realtà, anche in quei decenni di conformismo post-napoleonico una componente pacifista risultava presente nel Vecchio Continente:

1. A Parigi, la Società della morale cristiana istituì nel 1841 un comitato per la diffusione dei vantaggi della pace;

2. Fu però la scuola di Saint Simon a diffondere un pacifismo che si differenziava da quello di derivazione cristiana e religiosa per una maggiore attenzione alle questioni sociali e a quelle istituzionali. Il pacifismo di Saint Simon era infatti fondamentalmente repubblicano e socialista;

2 Cfr. D. Archibugi, F. Voltaggio (a cura di), Filosofi per la pace, Roma 1999.

Page 73: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

73 D. Armellino, Le dimenticanze

3. Abbiamo poi il pacifismo degli economisti liberoscambisti che avevano il loro capofila in Richard Cobden3, il quale teorizzò la necessità della creazione di una rete di relazioni internazionali per il successo della dottrina del libero scambio, condividendo tali idee con un gruppo di intellettuali francesi che vedevano il loro leader in Frédéric Bastiat4. Era necessario che gli Stati rinunciassero ad una porzione della loro sovranità mettendola in comune, risolvendo le loro dispute attraverso il ricorso all’arbitrato e a sanzioni di natura economica. Ma si trattava sostanzialmente, almeno per ora, di teorie, non di un cospicuo movimento di opinione.

La situazione comincia a modificarsi intorno alla metà dell'Ottocento: già nel 1843 si svolge in Gran Bretagna, precisamente a Londra, un primo congresso pacifista cui partecipano inglesi, e tanti americani, ma anche francesi.

In questa prima riunione fu proposto che in tutti i trattati internazionali fosse inserita la clausola per la quale ogni eventuale dissenso fra i contraenti dovesse essere soggetto all'arbitrato di Potenze neutrali e/o amiche. Questa proposta fu tra l’altro depositata alla Camera dei Comuni da Richard Cobden, che presentò una mozione la quale non ottenne quasi nessun sostegno da parte dei Comuni, ma era riuscita invece a coagulare attorno a sé il consenso di oltre duecentomila cittadini britannici.

Dopo questa prima esperienza di scambio, conoscenza reciproca e confronto, venne celebrato nel 1848 a Bruxelles il primo Congrés des amis de la paix universelle, organizzato per iniziativa di Bastiat e Cobden, attraverso la Société des Amis de la Paix.

Come scrive Anna Maria Isastia, nel Congresso di Bruxelles: La componente religiosa delle origini si avviava a convivere con le nuove idealità e i nuovi principi della borghesia europea che sentiva il carattere universale delle proprie aspirazioni. Le società pacifiste americane e inglesi cercarono di creare un movimento di opinione pubblica approfittando del grande fermento politico dell'Europa continentale. […] Il congresso, nelle sue deliberazioni, affermò l'iniquità, l'inumanità, l'assurdità della guerra come mezzo di soluzione dei contrasti fra le nazioni; la necessità che in ogni trattato fosse da tutti i governi inserita la clausola preventiva del ricorso all'arbitrato in caso di dissensi che avrebbero potuto portare a guerre; l'invito ai governi a valutare i vantaggi del disarmo; l'augurio di una prossima convocazione di un congresso delle nazioni incaricato di redigere un codice destinato a regolare i rapporti internazionali. 5

3 A proposito di Cobden, cfr.: https://www.britannica.com/biography/Richard-Cobden. 4 A proposito di Bastiat, cfr.: https://www.britannica.com/biography/Frederic-Bastiat. 5Cfr. Anna Maria Isastia sui congressi della pace dell’Ottocento in Eurit: http://www.eurit.it/Eurplace/italy/cultura2k/isastia/congressi_pace_800.html.

Page 74: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

74 D. Armellino, Le dimenticanze

Peccato che, come per il 1867, il 1848 continui ovviamente ad essere ricordato da gran parte della storiografia come anno di profondi rivolgimenti politico-rivoluzionari in tutta Europa, da Parigi a Vienna a Milano, tralasciando, non del tutto a ragione evidentemente, il contributo dei pacifisti riuniti a Bruxelles in congresso.

I delegati giunsero nella città belga da oltreoceano, da alcuni Paesi europei, anche se non da quelli impegnati in attività belliche, come Germania, Ungheria o Italia. Certo però che quello era un anno davvero difficile, un Quarantotto per intendersi. Cionondimeno, secondo quanto scrive ancora Anna Maria Isastia: Nel 1848, nel pieno delle rivoluzioni e nel contesto di una vivacissima teorizzazione politica, giornali, riviste e libri cominciano anche ad affrontare il tema di una ipotetica Confederazione di Stati Europei, in seno alla quale i conflitti sarebbero regolati da un tribunale di arbitraggio. Ne scrivono Carlo Cattaneo in Italia, Mac Kay in Inghilterra, Emile de Girardin in Francia. Costoro, già nel 1848, adottano la formula Stati Uniti d'Europa. Si tratta però di un concetto ancora astratto e privo di una forma giuridica. 6

Si avvertiva dunque l’esigenza di creare un “sentire comune” europeo, che andava dalla necessità sansimoniana di “organiser l’Europe par le travail” a quella di creare appunto istituzioni comuni e legittimate democraticamente, inserendo in questo discorso il bisogno di risolvere anche i problemi delle singole nazionalità ancora irredente, per garantire davvero un futuro di collaborazione e integrazione tra tutti i Paesi del continente7.

Appena la situazione politica lo consentì, venne organizzato un secondo congresso che questa volta si riuscì finalmente a tenere a Parigi, proprio nel 1849. Altri se ne celebrarono poi a Francoforte sul Meno e a Londra nei due anni seguenti.

Sembrava che la galassia pacifista si stesse rafforzando, trasformandosi sempre di più in un movimento solido, quando ogni sua attività all’improvviso cessò. I motivi di questo stop improvviso sono imputabili alla nuova situazione venutasi a creare in Europa con il colpo di stato che portò Luigi Napoleone a diventare Napoleone III, imperatore dei francesi, normalizzando e raffreddando definitivamente quel clima politico-culturale che, fino a qualche anno prima, “aveva coniugato il concetto universale di pace con i «valori» altrettanto universali”8 del ’48.

6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Ibidem.

Page 75: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

75 D. Armellino, Le dimenticanze

Il 1867: Ginevra e la rinascita pacifista

Le Congrès de Genève a pour but de déterminer les conditions politique et économique de la paix entre les peuples, et en particulier de l'établissement des États-Unis d'Europe. Il aspire à être les assises de la démocratie européenne, indiquant par ses voix les plus autorisées les éléments de cette grande solution et donnant, au nom de l'immortelle formule de la révolution française, le signal du réveil de la conscience. Il est temps, pour la démocratie, de se montrer vivante et debout. 9

Così recita il programma redatto dal Comitato organizzatore del Congrès international de la paix che si tenne a Ginevra nel settembre 1867. Perché, in effetti, passato il periodo delle disillusioni, sembrava che il mondo potesse aprirsi nuovamente alla speranza.

La fase storica che stava vivendo l’Europa in questo periodo, neanche a dirlo, era grandemente complessa, ma anche incoraggiante. Basti citare le fondazioni della Croce Rossa Internazionale e della Prima Internazionale entrambe nel 1864; la crescita esponenziale delle costruzioni di ferrovie, strade e linee telegrafiche; l’aumento degli scambi commerciali. Eventi che sembravano suggerire un avvicinamento economico ma anche politico dei Paesi europei nel breve termine, in un mondo apparentemente sempre più piccolo e sempre più connesso.

In realtà, sempre nel ’67, per l’Europa si respira ancora aria di guerra e proprio per questo i pacifisti decidono di rimettersi in movimento. In particolare, è Charles Lemonnier, giurista, pubblicista e seguace indefesso della filosofia sansimoniana10, a muoversi e a creare una nuova rete di contatti per la convocazione di un’assemblea che appunto aspiri a “être les assises de la démocratie européenne” come sopra riportato.

Sarebbe stato impossibile, infatti, che gli Stati europei decidessero di convocare un’assise di tal fatta, visto anche che la maggior parte di essi era costituita da stati autoritari o da monarchie costituzionali con parlamenti ancora deboli. Spettava allora ad associazioni di cittadini tentare la strada di una sorta di autodeterminazione al contrario: non esigere il passaggio dal generale (un impero!) al particolare (una nazione), bensì da tante nazioni a una confederazione/federazione di stati che garantisse, attraverso il diritto (riferimento costante nel discorso di Lemonnier, viste anche le sue origini sansimoniane), la pace, la libertà e la democrazia.

I punti che furono discussi durante i quattro giorni nei quali si tennero le sessioni congressuali furono:

9 Annales du Congrés de Genève, prefazione di Jules Barni, Vérésoff e Garrigues, Ginevra 1868, pp. 6-7. 10 Cfr. A. Anteghini, Pace e federalismo. Charles Lemonnier, una vita per l’Europa, Torino 2005.

Page 76: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

76 D. Armellino, Le dimenticanze

Première Question - Le règne de la paix, auquel aspire l'humanité, comme au dernier terme de la civilisation, est-il compatible avec ces grandes monarchies militaires qui dépouillent les peuples de leurs libertés les plus vitales, entretiennent des armées formidables et tendent à supprimer les petits Etats au profit de centralisations despotiques? Ou bien la condition essentielle d'une paix perpétuelle entre les nations n'est-elle pas, pour chaque peuple, la liberté, et, dans leurs relations internationales, l'établissement d'une confédération de libres démocraties constituant les Etats-Unis d'Europe? Deuxième Question - Quels sont les moyen de préparer et de hâter l'avènement de cette confédération des peuples libres? Retour aux grands principes de la révolution, devenant enfin des vérités; revendication de toutes les libertés, individuelles et politiques; appel à toutes les énergies morales, réveil de la conscience; diffusion de l'instruction populaire; destruction des préjugés de race, de nationalité, de secte, d'esprit militaire, etc.; abolition des armées permanentes; harmonie des intérêts économiques par la liberté; accord de la politique et de la morale. Troisième Question - Quels seraient les meilleurs moyens de rendre permanente et efficace l'action du Congrès international de la Paix? Organisation d'une association durable des amis de la démocratie et de la liberté. La principale tache du Congrès de Genève devra être d'arrêter le plan et de jeter les premières bases de cette association. 11

Il dibattito che si sviluppò, molto acceso e variegato, vide la partecipazione di oltre seimila congressisti, tra i quali oltre cinquecento massoni. Presero parte ai lavori figure importanti di allora come Giuseppe Garibaldi, che tenne il controverso discorso d’apertura dei lavori12, Victor Hugo, Benedetto Cairoli13, John Stuart Mill o Louis Blanc. Per motivi di salute e vecchiaia non vi partecipò Carlo Cattaneo, mentre Marx e Mazzini, anche se per motivi differenti, scelsero di non prendervi parte. Ugualmente, però, a Ginevra furono presenti rappresentanti dei repubblicani mazziniani e rappresentanti dell’Associazione Internazionale dei lavoratori (A.I.L.).

Tra gli invitati di riguardo, figura anche Michail Aleksandrovič Bakunin14, il quale affermò che “bisognava eliminare gli stati centralizzati lasciando la più ampia autonomia alle amministrazioni locali. Solo partendo da qui si potranno costruire gli Stati Uniti d'Europa”15.

Ultimo punto da sottolineare necessariamente in questo breve resoconto è la presenza di donne tra i partecipanti, con l’intervento davanti alla plenaria di alcune di loro; un elemento di parità tra i sessi di chiara derivazione sansimoniana.

11 C. Lemonnier, La vérité sur le Congrès de Genève, Berna e Ginevra 1867, p. 10. 12 A. Scirocco, Garibaldi, Roma 2010, p. 359. 13 Ibidem. 14 Bakunin verrà eletto dall’assemblea vicepresidente del Comitato direttivo del Congresso. Cfr. C. Lemonnier, op. cit., p. 16. 15 A.M. Isastia, op. cit.

Page 77: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

77 D. Armellino, Le dimenticanze

A conclusione dei lavori, a metà settembre del 1867, due furono i risultati tangibili che furono conseguiti:

1. La fondazione della Ligue Internationale de la paix et de la liberté16, segno tangibile della nascita di un movimento pacifista e della volontà di continuare su questa strada di elaborazione politica e culturale volta a spingere verso un’Europa federale, o comunque molto più integrata;

2. La fondazione del periodico Les Etats-Unis d'Europe - Die Vereinigten Staaten von Europa, testata fondata nel novembre 1867, pubblicata per la prima volta il 5 gennaio 186817 ed edita sempre nella doppia lingua franco-tedesca, quasi a suggellare ancora una volta la volontà di trovare punti d’incontro, di mettere pace lì dove sembrava stesse per scoppiare, e in seguito scoppierà, un conflitto che sarà foriero di altre tragiche nuove negli anni a venire: la Guerra franco-prussiana.

Conclusioni

Chi legge si starà chiedendo perché si sia deciso di provare a raccontare tutto questo nelle precedenti poche pagine. È presto detto: l’interesse destato in chi scrive da questi eventi non ha trovato grande riscontro nella ricerca di materiale bibliografico a commento e spiegazione delle poche fonti dirette degli avvenimenti dei quali si è scritto.

Si parla e si è parlato forse poco di tutto ciò, ma sarebbe bene forse ricominciare a parlarne. Difficilmente è pensabile oggi che in manuali di storia universitari non siano citati minimamente i congressi della pace, nemmeno il congresso internazionale del 1867, oppure personaggi come Charles Lemonnier, la cui unica biografia rintracciabile sembra essere quella scritta qualche anno fa dalla prof.ssa Anteghini, in italiano. In Francia pare nessuno si ricordi di lui, se non per un testo di diritto navale, sconosciuto però ai non addetti ai lavori.

Tralasciando la figura di Lemonnier, magari considerabile, a torto secondo chi scrive, di secondaria importanza nel panorama europeo dell’epoca, prendiamo in considerazione quella a noi molto più vicina di Giuseppe Garibaldi: l’Eroe dei due mondi viene solitamente descritto a ragione come l’artefice del congiungimento tra nord e sud Italia, come il capo di quei Mille sbarcati a Marsala nel 1860 e che arrivarono ad assediare Gaeta dopo qualche mese. Eppure Garibaldi era in primo luogo un democratico e un pacifista. Infatti, cosa quasi del tutto assente in molti manuali o biografie consultati dal sottoscritto, fu

16 Cfr. C. Lemonnier, op. cit. 17 http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k115388h

Page 78: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

78 D. Armellino, Le dimenticanze

l’estensore del Memorandum alle Potenze d’Europa dell’ottobre 1860, dopo la vittoria nella battaglia del Volturno, nel quale egli si domandava: Perché questo stato agitato e violento dell'Europa? Tutti parlano di civiltà e di progresso … A me sembra invece che, eccettuandone il lusso, noi non differiamo molto dai tempi primitivi, quando gli uomini si sbranavano fra loro per strapparsi una preda. Noi passiamo la nostra vita a minacciarci continuamente e reciprocamente, mentre che in Europa la grande maggioranza, non solo delle intelligenze, ma degli uomini di buon senso, comprende perfettamente che potremmo pur passare la povera nostra vita senza questo perpetuo stato di minaccia e di ostilità degli uni contro gli altri […]. Per esempio, supponiamo una cosa: Supponiamo che l'Europa formasse un solo Stato. Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua? Chi mai si avviserebbe, io ve lo domando, turbare il riposo di questa sovrana del mondo?

È un problema il fatto che tutto ciò non figuri quasi mai nei manuali di storia o nelle biografie di Garibaldi, per esempio. Ne viene fuori, almeno a parere di chi scrive, una lettura falsata o comunque molto incompleta della storia del XIX secolo, nel quale sono riscontrabili invece esempi concreti di quanto fossero importanti e lungimiranti queste idee: dalla Croce Rossa, all’Unione Postale Universale, passando per l’istituzione dei Premi Nobel, concludendo con tutti i tribunali e corti internazionali di giustizia nati nella seconda metà del XX secolo e che, di certo, si richiamavano a quelle proposte formulate dai filosofi pacifisti prima e dal movimento pacifista poi, nel corso dei secoli.

Una storia così importante da potersi definire in qualche modo profetica, se pensiamo all’evolversi del progetto europeo d’integrazione in atto ormai da quasi settant’anni nel Vecchio Continente, e quindi da studiare con maggiore attenzione se è vero che, per dirla con Teilhard de Chardin, “non posso capire una cosa se non ne conosco la storia”.

Al termine di questo breve e sicuramente incompleto lavoro il lettore troverà una bibliografia con tutti i testi consultati per la redazione dell’articolo e con tutti i testi che, consultati, hanno spinto chi scrive a muovere i rilievi di cui sopra.

Chiaramente, sarà bene sottolinearlo con forza, nessuno ha il benché minimo desiderio di fornire un giudizio negativo sulle opere che verranno elencate più avanti; semplicemente questa vorrebbe essere soltanto una piccola provocazione volta a porre l’accento su un atteggiamento nei confronti dell’Europa non appartenente soltanto agli storici, ma in generale alla società, fortemente improntato a un nazionalismo metodologico che non ci permette di guardare la realtà con le lenti adatte.

Errori di valutazione che forse oggi non ci possiamo più permettere.

Page 79: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

79 D. Armellino, Le dimenticanze

Bibliografia

Testi consultati per la redazione dell’articolo: Anteghini A., Pace e federalismo. Charles Lemonnier, una vita per l’Europa, Torino 2005. Archibugi D., Voltaggio F. (a cura di), Filosofi per la pace, Roma 1999. Banti A. M., L’età contemporanea, dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, Bari 2010. Isastia A.M., per i congressi della pace: http://www.eurit.it/Eurplace/italy/cultura2k/isastia/congressi_pace_800.html Isastia A.M., per il congresso di Ginevra: http://www.eurit.it/Eurplace/italy/cultura2k/isastia/1867.html Lemonnier C., Les États-Unis d’Europe, Parigi 2011. Lemonnier C., La vérité sur le Congrès de Genève, Berna e Ginevra 1867 Scirocco A., Garibaldi, Roma 2010. Annales du Congrès de Genève, prefazione di Jules Barni, Vérésoff e Garrigues, Ginevra, 1868. (https://www.icrc.org/fre/resources/documents/misc/5fzh4t.htm). Manuali e biografie consultati: AA.VV, Storia contemporanea, Roma 1997. AA.VV, Cambridge University Press, Storia del mondo moderno, Vol. X Il culmine della potenza europea 1830-1870, Milano 1988. AA.VV, La biblioteca di Repubblica, Vol. X Risorgimento e rivoluzioni nazionali, Roma 2004. Banti A.M., L’età contemporanea, dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, Bari 2010. Sabatucci G., Vidotto V., Il mondo contemporaneo, dal 1848 a oggi, Bari 2010. Villari R., Storia dell’Europa contemporanea, Bari 1971. Viola P., Storia moderna e contemporanea, Vol. III, Torino 2000. Su Garibaldi: Mack Smith D., Garibaldi, Milano 1999. Montanelli I., Nozza M., Garibaldi, Milano 2002. Su Mazzini: Sarti R., Mazzini, Roma 2010.

Page 80: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

80 F. Gui, Charles Lemonnier

Charles Lemonnier e Les Etats-Unis d'Europe di Francesco Gui

Ricorrendo quest’anno il 150.mo anniversario del Congresso della Pace e della Libertà, tenutosi a Ginevra i primi giorni di settembre del 1867, vale sicuramente la pena di riportare alla memoria eventi, concezioni, progettualità, persone che ne furono protagonisti. Benché alquanto annegato sotto il torrente delle vicende euro-mondiali successive, quel mirabile apporto alla nostra storia collettiva – un contributo solo apparentemente marginale, ovvero colpevolmente obliato nei manuali scolastici!1 – merita che se ne diventi tutti nuovamente consapevoli, oltre che intimamente riconoscenti nei confronti dei suoi promotori.

Con tale intenzione è stato difatti promosso il convegno commemorativo dell’evento ottocentesco che si terrà a Bruxelles il 21 novembre prossimo venturo, con sede sia nel Parlamento europeo e sia presso gli uffici recentemente inaugurati da Sapienza Università di Roma nella capitale belga. In proposito si rimanda al programma riprodotto in questo numero della rivista.

Come si può constatare dalle non numerose fonti storiografiche (salvo attingere alle specialistiche o alla documentazione d’epoca di Gallica, sito informatico della Biblioteca di Francia) il ricordato Congresso ginevrino sollevò espressamente la questione – e qui sta il punto – della realizzazione degli Stati Uniti d’Europa2. Gli USE come obiettivo non solo idealmente, bensì

1 Si rimanda in proposito al contributo di Daniele Armellino, sempre all’interno di questo numero della rivista. 2 http://gallica.bnf.fr/accueil/?mode=desktop, alla voce “Charles Lemonnier”, tra le pubblicazioni del quale è indispensabile consultare La verité sur le Congrés de Genève, Vérésoff et Garrigues, Berne et Genève 1867. Si vedano anche Annales du Congrès de Genève, presso lo stesso editore, Ginevra 1868, reperibili in tutta Europa, nonché, ormai classico, Michele Sarfatti, La nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès International de la Paix di Ginevra nel 1867. Con un'appendice di scritti garibaldini relativi al congresso di Ginevra, Edizioni Comune di Milano, Milano 1982; ma anche Pinelli, Emanuele Charles Lemonnier dall'ordine cosmico all'ordine europeo. Bollettino

Page 81: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

81 F. Gui, Charles Lemonnier

concretamente, politicamente perseguito. Gli USE ritenuti indispensabili per assicurare ai popoli europei una pace duratura e irreversibile, purché fondata appunto sulla libertà, ovvero su istituzioni pienamente democratiche preventivamente introdotte in tutti gli stati del continente.

Ora, soffermarsi in dettaglio sullo svolgimento dell’evento del ‘67, su chi vi partecipò e chi si tirò indietro, sugli alti e bassi della corposa, nonché agitata assemblea, attentamente tenuta sotto controllo dagli agenti dei vari governanti europei, ovvero sulla risonanza mediatica e culturale allora suscitata, sarebbe intrapresa troppo esigente. Si trattò in effetti di un bel colpo di scena di notorietà continentale, messo a segno in un contesto che non risultava certo dei più tranquilli. Lasciando da parte le stizzite reazioni degli stessi ospiti svizzeri su cui più avanti, sulle migliaia di convenuti raccolti nel Bâtiment Electoral (poi sede dell’assemblea della Società delle Nazioni) aleggiavano le minacciose dinamiche in corso fra potenze imperiali, tutte in stato di non poca eccitazione, tra arroganza franco-napoleonica aspirante all’acquisizione del Lussemburgo e Germania bismarckiana prossima al gran colpo di teatro, ivi compresa la conquista di Alsazia e Lorena. Per non dire dei postumi politico-psicologici del conflitto italo-tedesco contro l’Austria, o terza guerra d’indipendenza, appena conclusa. O magari anche della civil war americana del ’61-‘65, non così incoraggiante in merito agli effetti pacificanti del federalismo.

Ciò detto, non si potrà comunque omettere di ricordare l’invito a presiedere in via onoraria rivolto ad un acclamatissimo Giuseppe Garibaldi, il campione dell’indipendenza italiana. Un Garibaldi amichevole, non borioso, peraltro ritiratosi sollecito dal convegno paneuropeo per correre rovinosamente verso Mentana inseguito dagli improperi della popolazione cantonale cattolica, indignata per i suoi siluri al papa3. Né risulta possibile soprassedere sulla citazione di personalità presenti in assemblea con ruolo dirigente, quali il filosofo francese Jules Barni, oppositore di Napoleone III, il membro del governo di Berna Pierre Jolissaint, cattolico-cristiano svizzero di tendenza radicale, il repubblicano tedesco Amand Goegg, lo storico antibonapartista Edgard Quinet (sui quali anche più avanti) e gli stessi Michail Bakunin e Fëdor Dostoevskij. In più va sottolineata l’adesione di individui del calibro di Victor Hugo, di John Stuart Mill

telematico di filosofia politica, ISSN 1591-4305, per l’interessante apporto sul tema del personalismo e dei rapporti con C. Renouvier. 3 C. Lemonnier, nel suo testo su Ginevra qui sopra citato, offre una vivace descrizione di tutta la vicenda, tra cui la scena di Garibaldi che, dopo aver invocato la fine del papato, chiede alla folla: “Pensate che abbia detto un’impertinenza?” (p. 14). Reazioni divertite del pubblico, ma la popolazione cattolica la prese molto, molto male. Sul Congresso cfr. anche il contributo di Anna Maria Isastia ad un convegno sul tema promosso in aprile 2002 in Sapienza Università di Roma, http://www.eurit.it/Eurplace/italy/cultura2k/isastia/1867.html.

Page 82: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

82 F. Gui, Charles Lemonnier

e di Carlo Cattaneo, rimasto assente per motivi di salute. Da ricordare infine che Karl Marx e Giuseppe Mazzini, benché invitati, si rifiutarono di partecipare ognuno con proprie significanti motivazioni4.

Dopodiché, sia permesso a chi scrive soffermarsi principalmente sulla figura, e ancor più sul libro intitolato appunto Les Etats-Unis d’Europe, del più attivo promotore dell’evento ginevrino. Vale a dire il già citato in nota Charles Lemonnier, giurista e filosofo di scuola saint-simoniana, in merito al quale la storiografia, francese compresa, non si è mai esercitata più di tanto. Colpa decisamente grave, cui fortunatamente ha posto rimedio l’eccellente, solitaria biografia di Alessandra Anteghini, che merita un sincero ringraziamento5.

Suggestiva davvero la vicenda del filosofo-giurista-pubblicista-femminista-agitatore-politico nato nel 1806 e formatosi prima a Parigi per passare assai precocemente, come ventunenne docente di filosofia, all’elitario collegio occitanico di Sorèze, poi divenuto seguace saint-simoniano, ma di lì a poco anche avvocato, nonché marito di Elisa, promotrice dell’educazione delle giovani donne. Massone? forse, ma agli atti non risulta. Esperto operatore di finanza e ferrovie, oltre che autore di due autorevoli volumi sulle politiche di assicurazione marittima dell’epoca? Decisamente. Anche co-editore della Revue religieuse et philosophique, presto soppressa dal Secondo Impero, nonché animatore ad oltranza della rivista in più lingue «Les Etats-Unis d’Europe», pubblicata per decenni? Certo6.

4 La lunga e ispirata missiva di Giuseppe Mazzini, inviata il 6 settembre ’67 ai membri del Congresso, condivideva molte delle posizioni della Lega ed anche delle argomentazioni politico-filosofiche che si ritrovano nel volume di C. Lemonnier oggetto del presente articolo. Se ne percepisce una comunanza culturale assai salda e strutturata. Ciò che Mazzini non condivideva assolutamente era il propugnare la pace prima di aver ottenuto le condizioni di “libertà” e “giustizia” ai popoli europei. E l’unico modo per ottenerle era la lotta, era l’ultima “guerra santa” prima della pacificazione irreversibile. Concludeva invitando il Congresso a “stendere sull’Europa l’ALLEANZA REPUBBLICANA UNIVERSALE, il cui nucleo esiste già negli Stati Uniti d’America” (p. 14). Da leggere per curiosità anche i brani della lettera riguardanti l’Inghilterra: malgrado le belle prediche, la parola d’ordine britannica restava sempre: “ciascuno nei propri confini, ciascuno per sé” (p. 11). Cfr. l’Unità Italiana, 11 settembre 1867. 5 Cfr. Charles Lemonnier, Les Etats-Unis d’Europe, Edition Manucius, Parigi 2011, riedizione del libro edito nel ’72, presentata e corredata di note da Pierre Musso, con elencazione completa delle pubblicazioni dell’autore; Alessandra Anteghini, Pace e federalismo. Charles Lemonnier, una vita per l’Europa, Giappichelli, Torino 2005. Per tutti i personaggi e relative vicende citati nel presente testo si rimanda alle informazioni contenute nel libro della Anteghini. Da consultare anche Marta Petricioli, Donatella Cherubini e Alessandra Anteghini (éds), Les Etats-Unis d'Europe: un projet pacifiste, Lang, Berna 2004. 6 A. Anteghini, Pace e federalismo…, cit., passim. Per i riferimenti bio e bibliografici su Elisa Grimailh, nata nel 1805 e divenuta Lemonnier, a Sorèze, nel ’31, si confrontino proprio le pagine iniziali del volume della Anteghini. E lo stesso vale per lo scritto in comune dei due coniugi in tema di Avenir de la femme, non meno che per il Collegio di Sorèze, fondato dai benedettini

Page 83: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

83 F. Gui, Charles Lemonnier

Altrettanto di sicuro si può aggiungere che il giovanile adepto (sempre a Sorèze) alla chiesa o religione saint-simoniana non aveva però una concezione così pacifista da sperare di convincere con le belle parole i vari Napoleoni e Kaiser germanici a rabbonirsi una volta per tutte. E non credeva nemmeno che essi si finissero per abbracciarsi irreversibilmente nel nome della convivenza fra i popoli, del libero mercato economico-finanziario e delle frontiere aperte agli stantuffi di locomotive a vapore in gara sferraglianti, come si sognava in quei tempi di positivismo, di entusiasmo per la scienza e di fiducia nel progresso dell’umanità, a forza di Internazionali varie sempre più vaste.

Quella lì era semmai la concezione buonista-ottimista dell’amico e concorrente del nostro, dicesi il futuro premio Nobel Frédéric Passy, fondatore della “Lega internazionale e permanente della pace”, sostenuta da finanzieri e imprenditori con cognomi del tipo Arlès-Dufour, Cartier-Bresson, o Dollfus7. Una Ligue certo influente, da non confondere però in alcun modo con la “Lega internazionale per la pace e la libertà”, avviata proprio nell’anno di Ginevra con il contributo determinante di Lemonnier, che ne sarebbe divenuto presidente dal ’71 al ’91, data della sua scomparsa.

Ad avviso infatti del pugnace Charles, se gli stati non la facevano finita con gli eserciti permanenti (altra cosa le milizie nazionali) e non si sbarazzavano delle monarchie, vale a dire, in sintesi: se non si passava al regime repubblicano fondato sul suffragio universale, donne comprese, e su una concezione fondata sostanzialmente sulla responsabilità del singolo individuo; se non si faceva tutto questo, insomma, non era possibile immaginare una società europea fondata sulla pace perpetua. Perché poi, solo laddove tutte le nazioni avessero adottato tale modello (con Immanuel Kant, importante!, nel retroterra filosofico) solo allora sarebbe stato possibile costruire i veri Stati Uniti d’Europa, su imitazione dell’esperienza americana e svizzera.

Poco da fare, esattamente quella e soltanto quella appariva a Lemonnier la soluzione efficace per assicurare al Vecchio Mondo una pace tanto irreversibile quanto feconda di benessere e di progresso per l’umanità (senza illudersi peraltro nel prossimo Eden universale). Un obiettivo davvero ambizioso, per agguantare il quale non sarebbero di certo bastati – il nostro ne era convinto - i vari arbitrati internazionali, benché innovativi e degnissimi, che i congressi e i movimenti

addirittura sotto Pipino il Breve, divenuto scuola militare sotto Luigi XVI e successivamente laicizzato. 7 Per una ricostruzione offerta da F. Passy stesso, anche nei suoi rapporti con Lemonnier, cfr. in Gallica, Historique du Mouvement de la Paix, V. Giarde et E. Brière, Parigi 1904, p. 10 e segg. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k54825h/f4.image. Passy, uno dei due premi Nobel per la Pace del 1901, anno dell’entrata in vigore del premio, presiedeva la Società francese per l’arbitrato fra le nazioni.

Page 84: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

84 F. Gui, Charles Lemonnier

della pace propugnarono instancabilmente per tutto l’Ottocento, non senza indiscutibili, ma pur sempre instabili successi. Si pensi in proposito alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja (o prodromo della Corte internazionale di giustizia), avviata a fine secolo per sollecitazione, sì, russa, e perfezionata poi nel 1907. E si tenga anche conto dei Nobel per la Pace (a partire dal 1901), della Croce Rossa internazionale, nata nel ’64 con sede significativamente a Ginevra, la patria del promotore Jean-Henri Dunant, e con G. H. Dufour come primo presidente, ed altro ancora.

Stati Uniti d’Europa dunque, e nulla meno di USE. Da perseguire con ragguardevole lucidità se è vero come è vero che nelle pagine apparentemente utopistiche di Lemonnier – e tali erano, ma non inconsapevolmente - risulta di fatto prefigurarsi proprio quanto segue. Vale a dire l’odierna condizione dei nostri stati europei, libera da frontiere e ampiamente pacifica (salvo ripensamenti, e con la federazione ancora da completare) una volta venuti a capo delle “inutili” stragi, più dittature varie novecentesche. Precisamente una visione di nazionalità emancipate dall’oppressione degli imperi; di democrazia ovunque instaurata sulla base del suffragio universale e del riconoscimento dei diritti individuali; di libero scambio e libera circolazione; di scienza, produzione e sviluppo in continuo progresso. Il tutto, va da sé, già magistralmente prefigurato nei vaticini del veggente Victor Hugo, il profeta del “un jour viendra” pronunciato sin dal congresso della pace di Parigi del 1849. In quel suo “jour” l’amico e sostenitore del nostro Lemonnier intravedeva lo stringersi fraterno delle mani tra Unione europea finalmente realizzata, Stati Uniti ed anche Russia8.

Lucidità di lungo periodo davvero mirabile! La quale, da una parte, ci sollecita a rammentarsi che per una quota non trascurabile degli stati facenti parte dell’attuale Unione, in specie quelli all’epoca sottoposti agli imperi austro-prusso-moscoviti, l’obiettivo per così dire hugoliano è stato raggiunto solo assai recentemente. E questo spiega forse certi odierni atteggiamenti. Dall’altra, la medesima chiaroveggenza potrebbe suscitare in noi qualche considerazione sul Risorgimento italiano, ivi compreso il modo con cui esso è stato sovente riproposto allo studente. Vale a dire che raffigurare un Garibaldi soltanto quale energetico antipapista in camicia rossa combattente per l’unità d’Italia finisce per nasconderne l’aspirazione ancor più generosa a far sì che tutte le nazioni d’Europa diventassero “sorelle” e dunque pronte all’assetto unitario continentale. Ma difatti, quanti ricordano il suo Memorandum ai monarchi d’Europa qualche giorno prima del gesto di Teano9? Certo, ci sarebbero volute

8 Cfr. Victor Hugo, Ecrits politiques, Librairie Générale Française, 2001, tra le altre pagine profetiche, p. 232 e segg. in tema de L’Avenir, risalenti al maggio 1867. 9 Giuseppe Garibaldi, Alle potenze d'Europa. Memorandum, Reggia di Caserta, 20 ottobre 1860; Discorso al Congresso della Pace, Ginevra, 9 settembre 1867, Marsala, Centro Internazionale studi

Page 85: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

85 F. Gui, Charles Lemonnier

due guerre mondiali, e non solo, perché il sogno prendesse consistenza, il che può anche giustificare certe reticenze di quei tempi…

Tuttavia l’ideale in sé resta suggestivo ed universale, al punto da stimolare qualche considerazione anche per il presente. Tanto per dire, un paese come il nostro, con tali esempi nel retroterra, e non senza esperienze di rovinosa dittatura, potrebbe indursi a considerare il processo di unificazione europea come il completamento del Risorgimento. E forse potrebbe metterci un po’ di più di decisione, di responsabilità, di voglia di migliorarsi ed anche di protagonismo per perseguire il traguardo, invece di valutarlo soltanto in termini di flessibilità per i propri conti pericolanti. Tra l’altro, risulta suggestivo che persino il papato romano propenda oggi per il lascito unitario garibaldino-hugoliano.

Dopodiché sia consentito a questo punto addentrarsi più dettagliatamente fra le pagine del libretto di Lemonnier, dato alle stampe nel 1872 ad opera della “Bibliothèque démocratique” parigina, diretta da Victor Poupin, autore e politico di ispirazione socialista e repubblicana. Nell’introduzione al testo, quest’ultimo definiva l’amico Charles quale “infaticabile” redattore dell’organo della Lega internazionale della pace e della libertà. Vale a dire il foglio intitolato anch’esso, per non sbagliarsi, «Les Etats-Unis d’Europe», più sopra ricordato. Sempre Poupin aveva organizzato nel ‘70 una “Union démocratique anticléricale”, di conserva con Garibaldi, Hugo e Louis Blanc, per poi dar vita, ad un decennio di distanza, al primo Congresso anticlericale del Grande Oriente di Francia.

Per parte sua, Lemonnier non parrebbe tuttavia porsi così mordace, lo si vedrà, nei confronti della tiara apostolica, o forse soltanto del cristianesimo. Di certo l’intesa napoleonico-papalina (e con episodi come Mentana in cronaca) il discepolo saint-simoniano Charles, peraltro ampiamente ricambiato, non l’amava affatto. Non a caso si orientava a posizionarsi su Ginevra. Però quella religione dell’umanità ereditata dal maestro, e cara anche a Garibaldi, gli restava nel cuore. A cui è bene aggiungere un’altra considerazione, a carattere metodologico-filosofico. In un’epoca di imperante scientismo in sostituzione delle certezze della fides nel sovrannaturale, il nostro autore non si sentiva congeniale al ragionare materialistico-scientifico, e tanto meno all’etnico-razziale. Viceversa, la sua era una fiducia illuministico-kantiana, con le usuali venature saint-simoniane, in una legge del progresso naturale riguardante in primis il bipede umano, ovvero tutti i popoli. Tale aspettativa, in qualche modo

risorgimentali garibaldini, 2007. Cfr. anche Anna Maria Isastia, “Giuseppe Garibaldi per la pace e gli Stati Uniti d’Europa”, http://www.eurit.it/Eurplace/italy/cultura2k/isastia/garibaldi.html. Nel Memorandum l’Eroe dei due mondi auspicava “un solo Stato” per l’Europa, mostrandosi più incline di Mazzini ad accordi confederali anche precedenti la liberazione di tutte le nazionalità, mentre la dizione “tutte le nazioni sono sorelle” appartiene al discorso di Ginevra. Teano, ovvero quella che può dirsi la cessione ai Savoia, avvenne il 26 dello stesso mese.

Page 86: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

86 F. Gui, Charles Lemonnier

provvidenziale, ovvero affine alla sensibilità cristiana, lo rendeva sicuro che la pace e la libertà costituissero un traguardo non solo attingibile, bensì, prima o poi, malgrado gli alti e bassi, inevitabilmente attinto. Con il che, alla consapevolezza che nel bel mezzo del percorso, ahinoi, sarebbe probabilmente scoppiato quale conflitto fratricida non doveva però far riscontro in alcun modo l’abbandono dell’obiettivo finale. Ossia la pace perpetua, almeno fra gli europei.

Venendo pertanto ai contenuti dello scritto, fa bene la presentazione di Pierre Musso a sottolineare come il rigore di Lemonnier lo portasse ad esercitare in esordio una critica a due progetti di unificazione europea ereditati dal passato: quello dell’Abbé de Saint-Pierre, elaborato a conclusione della guerra di successione spagnola (ci sarebbe anche il Grand Dessein di Enrico IV, ma soprassediamo10) e quello del pur venerato Saint-Simon. Il riferimento, ovviamente, è al celebre Della riorganizzazione della società europea, ovvero della necessità e dei mezzi per unire i popoli europei in un sol corpo politico conservando le rispettive indipendenze nazionali. Dicesi cioè al gran sogno reso pubblico dal conte Claude-Henri al termine di una nuova sanguinosa vicissitudine, la napoleonica.

Prima però di procedere ai come e perché della critica ai due celebri pacifisti francesi, va sottolineato che Lemonnier inserisce in mezzo alla coppia, anche per ragioni cronologiche, null’altro che l’apoteosi del celeberrimo Progetto di pace perpetua di Immanuel Kant, il sommo filosofo notoriamente prussiano, sia pure stanziale nell’anseatica Koenigsberg, un tempo sede dell’ordine teutonico ed oggi Kaliningrad. Con un minimo presumibile di astuzia il nostro autore (che era nato invece a Beauvais) ne sottolinea il pensiero sostanzialmente illuministico e la sua comprensione della rivoluzione dell’89 come “nascita del mondo moderno”11. Non che qui si possa indulgere a ripercorrere la finezza delle argomentazioni in merito allo stile volutamente diplomatico, e a suo avviso non privo di ironie, dello Esquisse del grande filosofo. Di certo Lemonnier quel Progetto lo conosceva bene, tanto che nel 1880 ne avrebbe curato, con prefazione, l’edizione in francese12. Ciò che maggiormente interessa in questa sede è il rilievo

10 Significativo, al di là dei dettagli, il pensiero di Lemonnier in proposito: “Né Enrico, né Sully, al pari dei loro contemporanei, avevano alcuna nozione del progresso umano”. Il progetto non considerava “la forza evolutiva della società umana”. I sessanta membri del Consiglio generale erano solo emissari dei principi, senza autonomia di decisione. E poi all’epoca i popoli erano solo greggi, mentre il Grand Dessein era “in fondo una cospirazione di principi contro la monarchia universale sognata dall’Austria”, Les Etats-Unis…, cit. pp. 43-44. Per l’introduzione di P. Musso in tema di progetti di pace permanente europea, ivi, pp. 22-23. 11 Ivi, p. 52. 12 Edito a Parigi da G. Fischbacher Librarie-Editeur, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k75749w?rk=236052;4. Ed è particolare significativo che la prima traduzione di Per la pace perpetua dal tedesco all’italiano, uscita nel 1883 a cura di A. Massoni, Sonzogno, Milano, riproducesse in esordio la presentazione fattane da Lemonnier nella

Page 87: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

87 F. Gui, Charles Lemonnier

dato al fatto che Kant avesse preso la penna proprio in coincidenza con la pace del 1795 di Basilea, sottoscritta tra Prussia e Francia rivoluzionario-termidoriana. In tal modo la République metteva fine alla guerra “qui avait victorieusement soutenue contre la coalition européenne”13. E qui si può percepire l’ulteriore sapiente finesse dell’ex docente di Sorèze. Grazie al tedesco Kant, che “voleva fare del diritto internazionale l’applicazione delle regole della giustizia” e della “Morale” (scritto maiuscolo), il re di Prussia, “ridotto a firmare la pace”, avrebbe dovuto capire che era suo dovere smettere per sempre di pensare alla guerra.

Purtroppo, però, le cose della Révolution erano andate nel modo che si sapeva, tra Direttorio, Impero e Restaurazione, più Santa Alleanza, incitando così la Prussia, che aveva rischiato di “sparire”, a preparare il fatale ’71. In pratica, anche per colpa della Francia, ne era sortito il trionfo del cinismo, della corruzione e della violenza in tutta Europa. E “voilà où nous en sommes, Allemands; Français, Anglais, Italiens, Espagnols!"14. In effetti Lemonnier percepiva nettamente i pericoli del nazionalismo senza regole e tutele. Perciò solo Kant, il prussiano, poteva metterci rimedio. A tal fine il nostro offriva una sintesi assolutamente elogiativa del Projet sulla pace perpetua, per la quale in questa sede si rimanda in nota15.

Tornando ora al duo dei Saint- connazionali seccamente criticati, intendi Pierre e Simon, il rimprovero rivolto all’abate proto-settecentesco dal Lemonnier saldamente innamorato dell’89 era di aver voluto salvaguardare l’assetto

sua edizione dell’80. Il nostro veniva definito come l’apostolo più operoso nei nostri tempi delle idee di fratellanza e di umanità” (p. 9), cfr. http://archiviomarini.sp.unipi.it/207/1/pace_83.pdf. Nelle successive citazioni del testo di Kant si farà riferimento a tale edizione della traduzione. In proposito cfr. anche Daniele Archibugi e Franco Voltaggio, Filosofi per la pace, Roma 1991. 13 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 52. 14 Ivi, p. 54. 15 Lemonnier sottolinea la necessità per i popoli, indicata da Kant, di uscire dallo stato di natura per darsi uno status giuridico anche in campo internazionale. A suo avviso, ma si potrebbe obiettare qualcosa, il filosofo non si basava sull’esperienza della storia, dato che non conosceva probabilmente nemmeno la costituzione americana, bensì sulla morale, sulla coscienza. Conseguentemente, sempre per l’autore, Kant esige la repubblica, nazionale e federale, fondata sulle leggi e sul rispetto delle stesse da parte di tutti i cittadini, i quali devono essere un fine e non un mezzo. In pratica, la traduzione in forma giuridica di égalitè, liberté, fraternité. In più sono i popoli a dover decidere sulla guerra, non i principi o imperatori. In tema di cosmopolitismo, che a chi scrive pareva essere orientato soprattutto a fustigare il colonialismo britannico, Lemonnier sottolinea che ciò significa diritto per uno straniero di essere accolti da amico, ma non di diventare cittadini del paese ospite, al fine di salvaguardare la patria, il patriottismo, che Kant certo non nega. Solo in una federazione di cittadini di popoli divenuti di fatto uguali, con lo stesso grado di civilizzazione, si può ammettere una cittadinanza comune. Cioè la repubblica federativa europea, anche se il termine, dice Lemonnier, in Kant non compare; ma non certo la repubblica universale. In ogni caso Kant è presentato come il fautore della Costituzione federale dei popoli d’Europa. Ivi, pp. 51-59.

Page 88: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

88 F. Gui, Charles Lemonnier

continentale fondato sulla società feudal-principesca. In aggiunta lo accusava di prospettare un ordine europeo privo non soltanto di un reale disarmo, ma anche di un vero governo dotato di adeguati poteri in campo militare e finanziario16. Per cui, in breve, si aveva a che fare con pagine non più utilizzabili, sempre che mai lo fossero state.

A “disonorare” invece il progetto saint-simoniano (espressione forte ma evidentemente sincera per chi era stato fedele dell’église) concorrevano almeno due punti inseriti dal comte Claude-Henri: vale a dire in primo luogo il requisito di censo per gli aventi diritto al voto europeo; e in secondo la prospettiva di una royauté continentale addirittura ereditaria, sia pure escogitata per rabbonire diplomatici e ceti tradizionali. Del resto, per Lemonnier il comte sarebbe stato soprattutto un “politico”, teorico dell’utile piuttosto che dell’etica, quale era invece Kant. Talché in lui “l’oracolo era la storia”, mentre in Immanuel (che Saint-Simon viene rimproverato di non conoscere) era “la coscienza” 17.

Niente da fare insomma: per l’ex giovane docente di Sorèze e per i membri della sua Lega internazionale pacifico-liberataria (LIPL in sigla), il suffragio doveva essere universale, perché solo così si esprimeva la libera volontà della nazione, il pieno esercizio della sua autonomia. In aggiunta ci vuol poco a capire quanto risultassero odiosi imperatori o monarchi e relative dinastie. Oltretutto il semplice assetto repubblicano non bastava a detta del kantiano intellettuale gallico, benché sul punto il teutonico maestro si fosse mostrato più tollerante, se non altro nei confronti del sovrano di Prussia18. Perché, in definitiva, la République fédérative européenne (sic!) per durare nel tempo non poteva che fondarsi sul principio della giustizia, ovvero della morale e della giustizia, la quale – come evidenzia Musso nell’introduzione – veniva definita “l’application du principe

16 Letteralmente: “La formazione di un governo superiore, che abbia lui solo la decisione sulle finanze e sull’esercito della fédération”; in più serviva il disarmo effettivo di ogni membro della confédération (che parrebbe la stessa cosa della fédération), ivi, p. 44. 17 Ivi, p. 60 e segg.; su Saint-Simon che non conosce Kant, p. 61; sulla sua convinzione che la respublica christiana è finita con Westfalia e pertanto serve un’organizzazione politica européenne, in cui “il governo generale deve essere indipendente dai governi nazionali”, p. 62; in merito alla forma parlamentare, considerata ottimale per l’Europa, nonché al governo del re e al bicameralismo, con camera dei deputati (savants etc) e camera dei pari (scelti dal re), p. 63; sul disonore del fatto che ogni deputato dovesse avere 25 mila franchi di rendita agraria e ogni pari 500 mila franchi di rendita agraria, nonché sugli emolumenti garantiti dal governo e considerati corruzione da Lemonnier, p. 64; sul re ereditario, in merito al quale il Saint-Simon rimandava a un successivo testo e sulle ulteriori critiche già in parte ricordate, pp. 65-67. 18 In Kant, la premessa della forma repubblicana dello Stato non esclude la presenza di un sovrano purché Staatsgenosse, cioè operante secondo il consenso dei cittadini e non quale “proprietario” dello Stato.-Nota è la sua indulgenza, per così dire, verso Federico II, che soleva dirsi “primo servitore dello Stato”. I. Kant, Per la pace perpetua…, cit., “Primo articolo definitivo per la pace perpetua”, pp. 32 e 34.

Page 89: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

89 F. Gui, Charles Lemonnier

de l’autonomie de la personne”19. Sicché soltanto sulla base di un libero pronunciamento dei popoli, significativamente composti da “persone”, si sarebbe giunti ad una superiore federazione pienamente legittima e duratura. Altro che privilegi di censo o residui principesco-ereditari!

E qui si arriva però ad un nodo, o snodo strategico. Ad avviso di Musso, noto studioso di reseaux produttivi non meno che di Saint-Simon, il nostro animatore del congresso ginevrino puntava presumibilmente ad un assetto confederale, e non federale, della repubblica europea. E questo sia perché usava indifferentemente le due dizioni e sia ancora perché si ispirava a Kant (ma sul punto si può discutere20), per non dire che si sarebbe mantenuto alquanto nebuloso in materia strettamente istituzionale.

In realtà, salvo smentite, nei rilievi dell’introducteur Musso (oltre che estroso analista del Sarkoberlusconisme) sembrerebbe palesarsi una nota riluttanza francofona nei confronti della “federazione” europea. La stessa che ha fatto sì, dettaglio davvero curioso, che non risultino biografie di Lemonnier tratteggiate al di là dell’alpe21. Ora, è difficile negare che nel testo del nostalgico marito di Elisa (purtroppo la fondatrice delle scuole professionalizzanti femminili gli era morta sette anni prima) ma anche in altre prese di posizione della LIPL emerga più volte il termine “indipendenza” dei singoli stati auspicabilmente federati22. Abbastanza cioè per allarmare ogni federalista osservante della dottrina; laddove qualche perplessità può sollevarla il persistere della dizione “i popoli” d’Europa al posto di un “we the people” da raccogliere attorno alla fanciulla aggrappata al toro.

19 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 24. 20 Nel “Secondo articolo definitivo per la pace perpetua” di Kant si sconsiglia notoriamente l’idea di uno Stato unico in cui raccogliere le nazioni, pur utilizzando il termine “federazione”, dal momento che una finirebbe per dominare su tutte le altre, considerate (vale la pena di sottolinearlo) come “individui”, ciascuna con il proprio Stato. Forse il filosofo temeva una prevalenza francese sul tipo dell’erigendo impero napoleonico o qualcosa sul modello romano, magari imputabile ad un’Inghilterra imperiale. Per cui si acconciava all’idea di un Foedus pacificum, o “Lega della pace” (termine istruttivo in questa sede, al pari di “ragione” e “diritto”). Tuttavia l’autore non escludeva un futuro “Stato di popoli”, o repubblica universale, o Civitas gentium, come soluzione ottimale (Per la pace perpetua…, cit., p. 36 e segg.). 21 Emanuele Pinelli, nel pregevole articolo “Charles Lemonnier dall’ordine cosmico all’ordine europeo”, scrive alla nota n. 6 di aver consultato, oltre alla Anteghini, due articoli biografici su Lemonnier comparsi nel 1892 e nel 1924 su “Les Etats-Unis d’Europe”, fondata dal nostro. Dopodiché, appunto… Cfr. “Bollettino telematico di filosofia politica”, 26 aprile 2016, https://btfp.sp.unipi.it/it/2016/04/charles-lemonnier/. 22 Cfr. P. Musso, Introduction…, cit., pp. 24-25 e nota 17. Quanto al riferimento di maggiore attualità di cui più sopra nel presente testo, si rimanda a P. Musso, Sarkoberlusconisme, Editions de l'Aube, 2008, dedicato all’ipertrofia del “je” e al “telepopulismo”.

Page 90: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

90 F. Gui, Charles Lemonnier

In definitiva, almeno stando a Musso, l’autore del volumetto sarebbe più interessato alla garanzia della libertà di decisione dei popoli che non alla forma istituzionale strettamente federale. Tuttavia, malgrado le possibili reticenze o ambiguità, forse strumentali o forse kantiane, le pagine chiave di Lemonnier risultano obiettivamente limpide sul punto strategico. Caso mai va tenuto in conto che il percorso prescelto, e lui lo sapeva, non poteva che presentarsi molto esteso nel tempo. Tant’è che gli stati dovevano ancora raggiungere, per dire, il suffragio universale, per non parlare di quelli cui andava persino assicurata l’indipendenza. Di conseguenza nel testo vengono ipotizzati degli stadi intermedi; ma sul punto si potrà ritornare più avanti. Il che non toglie, come accennato, che la meta da raggiungere appaia nitida fin dall’inizio.

Innanzitutto i modelli di riferimento, più volte ripetuti, risultano USA e Confoederatio helvetica, la quale ultima, a dispetto della dizione latina, era ormai una federazione dal ’48, non più confederazione. Cosa che può anche spiegare certe intercambiabilità terminologiche. Ma al di là di questo, andando a percorrere l’ottavo capitoletto, precisamente intitolato, come il libro intero, “Les Etats-Unis d’Europe”, si ritrovano affermazioni difficilmente equivocabili. A suscitare l’entusiasmo dell’autore, infatti, e per ben più di una pagina, è l’assetto istituzionale degli Stati Uniti d’America.

Gli stessi USA, cioè, presso i quali uno dei fondatori della Lega internazionale per la pace e la libertà, il già ricordato Amand Goegg, stava proprio allora operando per attirare l’attenzione delle élite in merito alla penosa situazione dell’Europa e per ottenere appoggi alla LIPL. Imbarcatosi sul prestigioso vapore Abyssinia (oh, il progresso!) e muovendosi, una volta approdato, tra New York, Philadelphia, Washington, Boston e oltre, il marito di Maria Pouchoulin, rinomata suffragetta e femminista svizzera, stava raccogliendo notevoli consensi23. Ad ulteriore dimostrazione, cioè, e vale la pena di sottolinearlo, dei legami assai stretti (e duraturi) fra pacifismo-federalismo delle due sponde dell’Atlantico.

In sintesi, nella magnificazione di Lemonnier, gli stati, le nations d’oltreoceano, benché in numero di 36, formavano un solo popolo, “le peuple des Etats-Unis d’Amerique”24. Un vero modello da imitare! E via così puntualizzando a proposito di parlamento bicamerale, di esecutivo presidenziale, di corte federale e di costituzione, la quale non soltanto aveva il

23 Goegg, su cui anche più avanti, era Vicepresidente del comitato centrale della LIPL. In merito a sua moglie si segnala Berta Rahm, Marie Goegg (geboren Pouchoulin), ALA-Verlag, Schaffhausen 1993. Svizzera di Ginevra, fu cofondatrice della Lega internazionale per la pace e la libertà, nonché fondatrice della Lega internazionale femminile (1868), poi rinominata Solidarité, e del Journal des femmes. 24 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 94.

Page 91: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

91 F. Gui, Charles Lemonnier

merito di essere modificabile, ma aveva raggiunto il punto di svolta, neanche a dirlo, con la Convenzione del 1787: quella appunto che viene tutt’oggi celebrata come il capolavoro federalista. Tale era dunque l’obiettivo ottimale da perseguire, magari con l’adozione di specificità svizzere, ad opera degli stati europei. E tale restava intatto, pur nella consapevolezza delle oggettive differenze, delle trasformazioni costituzionali interne da realizzare preventivamente e pertanto della tempistica alquanto prolungata di cui si è detto.

Per esempio, asseriva l’autore, c’era da sperare che fosse un gruppo iniziale di pochi paesi, tutti con regime rappresentativo, a decidere di mettersi, sia concesso, en marche! Magari cioè l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, la Svizzera e il Belgio, per esempio, si fossero decise a dar vita alla federazione, “analoga a quella americana” e vocata a sopprimere la guerra in eterno25!

Ma davvero si doveva tornare ancora una volta ad assistere a scene mostruose, in cui i popoli finivano per diventare tanto sanguinari quanto i re? Il riferimento angosciato, emerso fin dall’introduzione, riguardava in primo luogo il recente conflitto, che diremmo epocale, intervenuto tra Francia soccombente e Germania imperante. Fra le due nations, cioè, “dont l’accord devrait fonder la paix et la liberté de l’Europe”26. Una formula, in effetti, che non suona nuova…

Illudersi però sulla praticabilità di una sollecita federazione trans-renana, stanti le ragioni di rivalità accumulate, superava un po’ troppo le pur ardenti aspirazioni dell’autore al cambiamento del mondo. O meglio dell’Europa, almeno per ora, giacché alla république universelle, fondata su una sorta di carità cristiana globale, il kantiano Lemonnier non riusciva a credere. Al quale kantiano va dato comunque atto che i suoi empiti pacifisti non risultano aver tratto furbesca origine dalla recente umiliazione gallica ad opera dello stivale teutonico. Tutt’al più Sedan poteva aver suscitato in lui un’intensificazione in chiave patriottica dell’innata vocazione irenistica. Il suo federalismo aveva infatti già assunto un ruolo da protagonista, lo si è detto, in occasione del Congresso di Ginevra, tenutosi tre anni prima del conflitto, in una situazione in cui l’odioso Napoleone III, imbevuto di césarisme, si era illuso di poter prevalere sul rivale sovrano berlinese, con cancelliere annesso.

Già allora, cioè, i promotori della Lega, sostenitori di un’azione politica militante per esigere la pace vera, avevano maturato la convinzione che la filosofia, o la predicazione della morale, o l’economia politica liberista dei vari Cobden e Stuart Mill, per quanto impeccabili, non bastassero più a far tacere i cannoni. Per non dire della religione, ritenuta contraddittoria semence de guerre27.

25 Ivi, p. 100. 26 Ivi, p. 37. 27 Ibidem.

Page 92: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

92 F. Gui, Charles Lemonnier

La religione infatti, scriveva Lemonnier, un giorno benediceva e un giorno condannava, anche a voler dimenticare certe trentennali esperienze seicentesche.

Il che peraltro non toglie che la dolorosa controversia sull’Alsazia-Lorena, conseguenza della bruciante sconfitta, avesse rinnovato ancora di più nel nostro e negli altri pacifisti le certezze repubblicano-democratiche: in primis la rivendicazione del libero suffragio come diritto dei popoli. Agli alsaziano-lorenesi doveva essere consentito almeno di votare se accettare o no il passaggio al Reich28. In aggiunta, il fatto che una figura addirittura imperiale, nemmeno soltanto monarchica, invece di scomparire dalla scena, avesse accresciuto il proprio potere e i propri possessi territoriali risultava assolutamente insostenibile per qualunque progetto di pace “vera”. Vera, non “tregua”, ché tale restava “la pace armata”.

A tal fine, però, come si è detto, non ci si poteva accontentare dei pur condivisibili arbitrati internazionali fra le potenze, in quanto soluzione inadeguata e soltanto transitoria29. Non a caso Lemonnier ricorreva ancora una volta al modello d’Oltreatlantico come esempio da imitare. Pur consapevole di quanto crudelmente accadutovi nella prima metà degli anni Sessanta, egli non esitava a lodare le soluzioni adottate da Washington alla fine di tanto spargimento di sangue. Mentre gli europei continuavano a tenere cinque o sei milioni di uomini in armi e a spendere somme sterminate per cannoni et similia, gli USA invece, terminati i combattimenti:

…hanno venduto le loro corazzate, fatti rientrare gli armamenti negli arsenali, congedato

le armate, rimandati alle fabbriche, al bancone, all’aratro, alle navi i milioni di uomini che erano stati armati per la guerra di secessione e ci danno di nuovo l’esempio di un grande popolo che non ha altra armata delle milizie impiegate come polizia in ciascuno stato e che impegna a pagare i propri debiti le forze intellettuali, fisiche e morali che il nostro vecchio mondo continua a dissipare nelle follie guerriere. 30

Così bisognava operare! Prendere decisioni risolutive per superare la disastrosa condizione di un Vecchio Mondo dilapidatore di sterminate risorse umane ed economiche (comprese le riparazioni imposte dalla Prussia alla

28 La rivendicazione del diritto dei popoli di Alsazia Lorena a decidere sul proprio destino sarebbe stata perpetuata a lungo dal pacifismo francese, come conferma fra gli altri Sandi E. Cooper, Pacifism in France (1889-1914): International Pacifism as Human Right, «French Historical Studies», XVII/2 (1991), p. 374 e altrove. 29 In tema di arbitrato anche Lemonnier avrebbe comunque presentato proposte. Cfr Formule d'un traité d'arbitrage entre nations : mémoire présenté à la Ligue internationale de la paix et de la liberté par Ch. Lemonnier, Parigi 1878, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k54873486?rk=150215;2, ma già era intervenuto più volte sul tema: Idem, De l'arbitrage international et de sa procédure, Genève, Imprimerie coopérative, 1873; Idem, Formule d'un traité d'arbitrage entre nations, Genève, Imprimerie coopérative, 1874. 30 C. Lemonnier, Les Etats-Unis d’Europe…, cit., pp. 38-9.

Page 93: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

93 F. Gui, Charles Lemonnier

Francia…) che venivano sistematicamente sottratte allo sviluppo scientifico e sociale. E precisamente questo era l’impegno della Lega nata a Ginevra, ben più determinata dei cosiddetti pacifisti e basta.

Certo, nessuno poteva negare, proseguiva l’autore, i meriti di quei fautori della pace messisi all’opera non appena superata la stagione napoleonica e a dispetto delle “catene” della cosiddetta Santa Alleanza, che trattava i popoli come fossero troupeaux. In particolare la Società della pace, nata in Inghilterra e fondata “esclusivamente sul sentimento religioso cristiano”, aveva organizzato i celebri congressi della prima metà del secolo, da Londra a Parigi, da Edimburgo a Bruxelles31. Però, a ben vedere, non ne era uscito altro che la condanna della guerra e dei suoi crimini, senza risultati concreti, malgrado gli stretti contatti intrattenuti con le numerose società della pace statunitensi. Idem per i vani tentativi compiuti al fine di sventare la guerra di Crimea del ’55, mentre nel ’67, anno in cui, quasi in parallelo con Ginevra, si tenne la celeberrima Esposizione universale di Parigi, la Società della pace non era stata nemmeno ammessa nella capitale francese. Eppure, detto qui en passant, quello parigino fu evento all’insegna del progresso che sembrò effettivamente aprire una nuova epoca per il mondo intero.

E d’accordo che a quel punto, ammetteva il nostro, la Peace Society avrebbe assunto una fisionomia più politica, sostenendo l’elezione di propri membri come parlamentari in Gran Bretagna, ovvero promovendo la Workmen’s peace Association, per coinvolgere gli operai e avversare fattivamente la guerra. Tuttavia i risultati erano quelli che erano.

Ma cosa dire invece della Lega chiamiamola rivale della LIPL, ossia la Lega internazionale e permanente della pace? La sua nascita risaliva anch’essa al 1867, che per Lemonnier era stato caratterizzato, malgrado i minacciosi travagli, dalla fervida aspirazione alla pace delle popolazioni32. Ci sarebbero voluti purtroppo altri tre anni, si legge nel suo testo, perché i governi caricassero le genti di ardori bellici. Per l’intanto operai tedeschi e francesi si scambiavano messaggi di solidarietà fraterna ed anche gli ambienti borghesi non schiumavano di rabbia.

Di qui appunto la nascita delle due Ligue: a) il 3 maggio quella di Passy, che intendeva tenersi alla larga da qualunque azione politica, ed anche, particolare significante, dalla “questione sociale”, volendo limitarsi esclusivamente al “terreno della rivendicazione assoluta della pace”; b) tra maggio e il fatidico 9 settembre, giorno di apertura del Congresso ginevrino, la Lega internazionale per la pace e la libertà, frutto delle meditazioni di un nucleo di intellettuali francesi, fra cui ovviamente il nostro Charles ed anche l’agitatore antinapoleonico

31 Ivi, p. 68 e segg. 32 Ivi, p. 73 e segg.

Page 94: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

94 F. Gui, Charles Lemonnier

Evariste Mangin. Il nucleo era solito manifestarsi sul Phare de la Loire, il principale quotidiano di Nantes, per qualche anno ancora di proprietà del caporedattore Mangin medesimo e famiglia33.

Fra le inadeguatezze della pur attivissima Lega del Passy, annotava Lemonnier, ci stava il fatto che la sua “neutralità politica” la rendeva gradita essenzialmente alla classe borghese. Non solo, ma accetta soprattutto alla bourgeoisie di potenze minori, come l’Olanda o il Belgio, “ancora dominate dallo spirito monarchico”. La Lega aveva annunciato proprio allora di trasformarsi in Società degli amici della pace, rinnovando il proprio impegno a battersi per l’arbitrato internazionale fra nazioni indipendenti, come soluzione al posto della guerra, secondo il principio del reciproco rispetto e della giustizia34.

Altra cosa invece, stando sempre al presidente della Ligue pacifista-libertaria, il gruppetto di attivisti francesi, ivi compreso Emile Acollas, giurista, arrestato dopo il Congresso per cospirazione contro Napoleone III. Costoro si collegarono ben presto con amici svizzeri come colui che fu presidente effettivo a Ginevra, il già menzionato Pierre Jolissaint, membro del Consiglio dei cantoni svizzeri, o Jules Barni, traduttore delle opere di Kant e vicepresidente del Congresso (estromesso però dalla Lega nel ’71). Da non dimenticare nemmeno, citazione suggestiva, il “bravo e buon generale Bossak-Hawke”, alias il polacco Jozef Bossak-Hauké, tra i protagonisti della sollevazione patriottico-nobiliare antirussa del ’63, poi riparato in Svizzera per cadere in battaglia nel ’71 al comando di una brigata garibaldina accorsa a difendere la Francia. In aggiunta ovviamente il ricordato Amand Goegg, personaggio eminente della rivoluzione repubblicana del Baden del 1848-’49, emigrato anch’egli in Svizzera e ben oltre (come in parte si è già visto) per operare da imprenditore, intellettuale e al tempo stesso promotore della condizione operaia. Con in più una tenace dedizione alla pace del tipo Lemonnier, ça va sans dire. Allo stato dei fatti, ad aderire alla Ligue, dichiaratasi “cosmopolita”, figurarono subito personalità del calibro di Victor Hugo, in primis, ma anche il già ricordato “quarantottino” antinapoleonico Edgar Quinet e un gruppo di italiani, da Mauro Macchi, uno dei vicepresidenti del Congresso, al napoletano Carlo Gambuzzi, anarchico legato a Bakunin (e a Garibaldi), fondatore dell’associazione “Libertà e Giustizia”, a Giuseppe Ceneri, massone, futuro senatore del Regno, che assunsero incarichi importanti.

Ebbene, come si è già promesso, e come asserisce anche il giurista-filosofo federalista, “il n’est point dans notre plan… de faire l’histoire de ce prémier Congrès”, quello di Ginevra per intendersi. Certo, sul piano coreografico, le espressioni dell’autore a proposito del général Garibaldi, “venu du fond d’Italie”

33 Cfr. su E. Mangin anche A. Anteghini, Pace e federalismo…, cit., pp. 50-53 e altrove. 34 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 76.

Page 95: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

95 F. Gui, Charles Lemonnier

e ricevuto da benedicenti acclamazioni della popolazione, un po’ di incanto te lo lasciano. Il prestigio della sua gloria, niente da fare, conferiva fama all’evento. In verità, come accennato in precedenza, le reazioni festose si sarebbero presto tramutate in manifestazioni e urla di sdegno, mentre il congresso stesso avrebbe conosciuto incomprensioni e contrasti non trascurabili con gli svizzeri ospitanti35. Basterebbe al riguardo scorrere i resoconti inviati a Parigi dai servizi investigativi, su cui si tornerà in altra sede.

Sia come sia, stando a Gli Stati Uniti d’Europa del nostro, “jamais assemblée internationale ne fut ni plus nombreuse, ni plus universellement composée”36. Le adesioni furono infatti, a suo dire, ben più di 10 mila, mentre sessantamila persone (sic) avrebbero assistito a vario titolo all’evento. In ogni caso, malgrado gli accennati alti e bassi, oltre a dar vita alla Lega, a Ginevra venne approvata una serie di risoluzioni confermanti gli obiettivi ormai noti, con relative motivazioni forti. Tra di esse spicca decisamente e ripetutamente la rivendicazione della “liberté” politica e del “bien-être” per tutte le classi, ma “principalmente per la classe operaia”. Si trattava in effetti di un obiettivo strategico che tutti i paesi avrebbero dovuto mettere all’ordine del giorno, affinché il benessere generale e individuale, diffuso finalmente nelle categorie “laboriose e diseredate”, contribuisse a consolidare il regime di libertà politica dei cittadini.

Obiettivamente, in affermazioni così formulate, per quanto marcato risulti l’impegno dei congressisti a mettersi dalla parte di chi lavorava (e produceva), non è difficile cogliere la sostanziale diversità fra le posizioni della Ligue internationale nata a Ginevra e la crescente tensione anticapitalistica dell’Internazionale socialista, costituitasi nel ‘64. Non per nulla, il principale ispiratore di quest’ultima, Karl Marx, ebbe a dissociare la propria organizzazione dall’appuntamento ginevrino, prescrivendo ai suoi di non parteciparvi in via ufficiale37. Si trattava a suo avviso di piccola borghesia in agitazione e null’altro, mentre la Prima Internazionale, che già aveva tenuto un congresso a Ginevra nel ’66 e ne tenne uno praticamente in contemporanea con la LIPL a Losanna, aveva ormai aderito - salvo critiche alla Proudhon o alla Bakunin, espulso nel ’72 - alle

35 L’antipapismo di Garibaldi e la presenza di parecchi “estremisti” in campo sociale finirono non solo per aizzare le popolazioni cattoliche bensì per irritare profondamente il principale ospite ginevrino, James Fazy, fondatore del partito radicale, ispiratore della costituzione ginevrina del ’47, che si attendeva si fosse parlato solo di pace, non di religione o di lotta sociale. Il timore era di attirarsi molte ostilità dalle potenze europee. Cfr., oltre al resoconto del congresso nel libro di Lemonnier ad esso dedicato, Lucien Lathion, Garibaldi en Valais et à Genève en 1867, in «Annales Valaisiannes», X/1-2 (1958), p. 292 e segg. 36 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., pp. 78-79, anche per l’arrivo di Garibaldi. 37 Per il riferimento alla risoluzione di Marx, http://www.mlwerke.de/me/me_iaa67.htm. Sui rapporti fra Lemonnier e la Prima internazionale, cfr. A. Anteghini, Pace e federalismo…, cit., pp. 248-250 e altrove.

Page 96: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

96 F. Gui, Charles Lemonnier

posizioni del pensatore tedesco, fautore dell’impegno per la dittatura collettivistica del proletariato.

Si potrà allora presumere che l’iniziativa di Lemonnier e compagnia nascesse anche in concorrenza, se non contrapposizione, con quella del padre nobile del comunismo? In effetti, la notazione non appare infondata. Si consiglia di leggere al riguardo ciò che venne approvato nel successivo congresso del 1871, tenutosi sempre in settembre a Losanna. Fra i diritti umani inviolabili a tutela dell’autonomia della persona veniva confermato quello della proprietà individuale e della facoltà di “capitalisation”. Sicché la “rivoluzione sociale”, stante che il socialismo democratico (o capitalismo socializzato) apparteneva in effetti alle rivendicazioni della Ligue, doveva consistere nel conferimento ad ogni cittadino di tali diritti. Ma in che modo? In primo luogo mediante l’impegno dei comuni, degli stati e dell’erigenda federazione ad assicurare al singolo individuo “un sistema completo di educazione e istruzione laica e gratuita”, nonché obbligatoria a livello primario, da finanziare con adeguata imposta sui redditi38. Che dire? Non la Rivoluzione d’ottobre, di sicuro, eppure qualcosa come lo stato sociale in anteprima. Ancora: non una concezione di classe, decisamente respinta, ma l’individuo e i suoi diritti. Problematica davvero suggestiva.

Ad ogni buon conto, l’assetto di autogoverno che la Lega conferiva a se stessa ne rivelava un’aspirazione fortemente militante. Il Congresso decise infatti l’istituzione di un “Comitato centrale permanente”, oltre a dare il via alla rivista bilingue dal nome ormai noto: «Die Vereinigten Staaten von Europa», nell’idioma del cancelliere Otto.

Prima di procedere oltre, merita ancora una volta di sottolineare l’insistenza della Lega per la soppressione degli eserciti permanenti, o miles perpetuus kantiano, e il passaggio alle “milizie nazionali”39. Cosa si intendesse con questo il testo non lo spiega in modo adeguato, mentre qualche interrogativo finisce per sorgere su un’eventuale inconciliabilità fra sistema di milizie nazionali e controllo esclusivo delle forze armate da attribuirsi al governo degli edificandi Stati Uniti d’Europa. Al quale riguardo può forse aiutare quel che Lemonnier diceva sugli USA, nei quali l’esercito venne subito smobilitato una volta finito il fratricidio civile (perché in effetti fu gran fratricidio) conservando solo le milizie degli stati. Ma anche così qualche dubbio potrebbe persistere, alla luce di affermazioni riscontrabili in altri passi che suonano più favorevoli a ricondurre la risorsa militare sotto il governo federale.

Il prosieguo del prezioso libretto passava ad illustrare le istanze avanzate nei successivi congressi della Lega, promossi uno per ogni anno fino al ’71,

38 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 86. 39 Cfr. Immanuel Kant, Per la pace perpetua…, cit., “Articolo III della Parte Prima”.

Page 97: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

97 F. Gui, Charles Lemonnier

sempre con sede nelle città dei cantoni. Ne erano uscite prese di posizione in favore del riconoscimento alle donne di “tutti i diritti umani: economici, civili, sociali e politici”, senza omettere l’impegno per l’individuazione degli strumenti necessari ad assicurarne il pieno esercizio. E ne era sortita anche la rivendicazione di una “separazione assoluta”, alla Aristide Briand potrebbe dirsi, fra Chiesa e Stato”40.

Quanto al congresso di Losanna del settembre ’69, esso si era tenuto con la presidenza onoraria dell’oracolo Victor (il quale di lì a non molto, sia concesso, avrebbe preso però a subordinare gli USE alla restituzione dell’Alsace-Lorraine). Durante i lavori venne messo a punto il percorso logico e di conseguenza giuridico istituzionale per raggiungere la pace permanente. In breve, serviva: 1) un tribunale internazionale “liberamente e direttamente eletto e istituito dalla volontà dei popoli” per emettere decisioni fondate sulle: 2) regole del diritto internazionale altrettanto liberamente votate dai medesimi popoli; ma perché ciò fosse possibile doveva sussistere: 3) un potere coercitivo in grado di imporle, e dunque un governo, che a sua volta non poteva essere legittimato se non dalla volontà dei popoli.

In pratica, neanche a ripeterlo, urgevano gli Stati Uniti d’Europa41, con le specificità istituzionali già accennate a proposito del modello americano e svizzero, e sia pure – pensando al tribunale internazionale - con una concezione della Confédération più legalitario-garantista che socio-economicamente interventista; ma non è detto42. Al qual fine si richiedevano però alcuni presupposti indispensabili. E qui riemergeva il carattere di fatto eversivo, di portata paneuropea, della Lega nei confronti degli imperi europei e non solo. Ovverossia che tutti i popoli disponessero preventivamente di piena sovranità in campo fiscale, commerciale, della politica estera e di difesa, potendo al tempo stesso perfezionare le proprie costituzioni - al pari, come già accennato, della futura costituzione federale - in omaggio alla concezione del progresso umano come dato ormai acquisito.

Bazzecole, appunto. Ovvero un messaggio di trasformazione radicale – sia pure meno intransigente rispetto a Mazzini - del quadro politico-istituzionale dell’Europa e dei singoli stati che avrebbe dimostrato la lungimiranza dei suoi ideatori solo dopo due guerre mondiali. Per non dire dell’esaurimento del

40 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, p. 83. Abbastanza emblematico di una certa tradizione il Briand socialista presto moderatosi, distintosi come relatore nella commissione parlamentare francese che condusse alla separazione fra Chiesa e Stato, poi premio Nobel per la pace e autore del celebre Piano Briand del 1930 per un’Europa federale, presentato alla Società delle Nazioni. 41 Ivi, p. 84. 42 Ivi, p. 101, il documento della Lega valorizzava la necessità di una federazione per tutelare il tribunale, però Lemonnier a p. 101 mostra tutti gli aspetti economici dell’assetto federale Usa.

Page 98: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

98 F. Gui, Charles Lemonnier

progetto di redenzione dittatoriale del proletariato avviato da Marx. E previo intervento dei federalisti dal di là dell’Atlantico.

Per certo i pacifisti-libertari confermavano in tal modo, come avrebbero fatto nel ’71 a Losanna, la loro diversità culturale rispetto ai pacifisti buonisti, ispiratori anglo-americani compresi. Da una parte la pura carità, ovvero il nobile sentimento della fraternità cristiana; dall’altra, non meno puro e forte, “le Droit fondé sur la justice”43. Ma andiamo passo per passo (del nostro autore). In quel congresso di Losanna, il più recente prima della stesura del libro, erano state approvate alcune risoluzioni sulla base del rapporto presentato da Ludwig Simon, di Treviri, scomparso di lì a poco. L’altresì appellato Simon von Trier era stato partecipe della Dieta di Francoforte e dell’insurrezione del Baden. Bene, la Lega ribadiva pertanto, in tema di Droit politique, che il “primo dovere del cittadino era l’osservanza dei verdetti del suffragio universale”, sperando, aggiungiamo noi, che tale suffragio non prendesse strade fuori di senno. Vi si riaffermava inoltre “l’ubiquità della vita politica”, dal livello federale ai “gruppi collettivi naturali di un paese”, come condizione essenziale per “lo sviluppo sano e duraturo” di ogni paese.

Quanto al Droit International: “Il diritto delle popolazioni a disporre di se stesse è superiore alla loro nazionalità”44. Un’asserzione davvero ardita. Ed ancora, sempre in tema di diritto internazionale, aspre reprimende contro la doppia morale, quella riservata ai principi e quella applicata ai comuni mortali, fino alla condanna, prevedibile, della “pura e semplice conquista” dell’Alsazia-Lorena, attuata sotto il pretesto di una difesa da pericoli futuri (Napoleone, in effetti, aveva lasciato qualche incubo anche in Germania).

Erano queste le ragioni - proseguiva Lemonnier prendendo il volo dalle risoluzioni congressuali ed ascendendo ancor più verso l’alto – le ragioni per cui erano sorti i movimenti pacifisti. Fra costoro la Ligue era l’unica, senza presunzioni di dogmatismo, ad essere “arditamente e largamente assisa su una base scientifica”45. Tant’è, neanche a dirlo, che si richiamava alla “rivoluzione europea” (sic) del 1789 ed era figlia di Kant, non meno che della filosofia settecentesca. E non che essa si accontentasse di ripetere al Vecchio Mondo che il solo modo concreto per assicurare la pace era di fondare una federazione analoga a quella americana o svizzera. No, non solo questo. Per durare la federazione europea doveva divenire l’espressione stessa del “diritto moderno”, come risultato di un grande impegno scientifico e politico46.

43 Ivi, p. 89. 44 Ivi, p. 87. 45 Ivi, p. 89. 46 Ibidem.

Page 99: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

99 F. Gui, Charles Lemonnier

In più, per quanto lontana dall’essere sovversiva, come taluni insinuavano, l’associazione nata a Ginevra – proseguiva Lemonnier - proclamava la giustizia essere il principio regolativo della questione politica, di quella sociale e di quella morale, laddove la giustizia doveva essere definita come “l’applicazione del principio dell’autonomia della persona”, a sua volta “principio del diritto moderno”47. In definitiva, l’obiettivo era di rendere davvero operante il liberté, égalité, fraternité dell’89 in tutta Europa, e non certo per negare la patria, bensì per consolidarla nella pace. La pace della federazione. La quale federazione non si identificava affatto con la “repubblica universale”, giacché “chi dice federazione dice diritto individuale”, ovvero “diritto nazionale”, ossia il “mantenimento dell’autonomia e dell’unità propria e personale di ciascuno degli associati”. Un bel nodo concettuale, in effetti, non facile da districare.

Con il che, pur a tener conto di un certo nombrilisme di sapore gallico (ma non necessariamente tutto luteziocentrico), sarà pur onesto da parte di chi scrive dare atto ancora una volta di una visione che prefigurava la libertà di tutte le nazioni europee, a loro volta regolate nei reciproci rapporti dalla giustizia e dalla volontà generale all’interno degli assetti istituzionali dello stato federale. Non solo questo. Stando allo scritto del ’72, i modelli federali di riferimento meritavano di essere progressivamente perfezionati ai fini della realizzazione di quella “rivoluzione sociale” destinata a realizzare un ulteriore passo avanti nel progresso dell’umanità, di cui l’Europa era chiamata a farsi protagonista. Il che, a dire il vero, risulta obiettivamente suggestivo, tenendo conto che uno fra i meriti maggiori degli europei sarebbe stato appunto, nel volgere del tempo, lo stato sociale.

Per certo Lemonnier prometteva un futuro radioso alla grande fratellanza, foss’anche a costo di contraddirsi un poco rispetto a certe puntualizzazioni in tema di unità e diversità più sopra accennate. Ma forse peccava soltanto di omissione di ancor maggiori dettagli. E dunque l’Europa doveva darsi “una sola organizzazione militare”, ovvero dotarsi di una forza armata “toute puissante composée seulement de milices constituées sur le plan des milices suisses”48. E che risparmio se ne sarebbe tratto! E che pace! E che crescita della moralità pubblica e privata se ne sarebbe tratta! Le nazioni federate “ne formeraient plus qu’un peuple" e tutti i contenziosi internazionali "seraient vidés juridiquement" ad opera della Corte suprema federale.

Quanto bastava per consentire al non proprio giovanissimo autore (66 anni per l’esattezza) di passare ad un’entusiastica, hugoliana descrizione di qualche

47 Ivi, p. 90. 48 Ivi, pp. 100-101.

Page 100: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

100 F. Gui, Charles Lemonnier

cosa che a poco più di cent’anni di distanza avrebbe potuto chiamarsi “piano Delors”:

Mai più dogane; libero scambio, libertà commerciale assoluta fra le nazioni federate;

unione economica e sociale non meno che politica; federalizzazione dei problemi; equilibrio fra condizioni di lavoro e capitalizzazione; campo più aperto all’offerta e alla domanda; economia, sicurezza, facilità di esecuzione e di utilizzazione dei lavori pubblici49.

Davvero profetico. Cui va aggiunto, con qualche maggiore titubanza da parte nostra, che “il livello morale e intellettuale delle nazioni federate si sarebbe elevato insieme al loro benessere e alla loro ricchezza”. Una previsione fornita da chi in età giovanile – sarà il caso di precisare anche questo - aveva esaltato la Réligion saint-simoniennne quale promotrice dell’arricchimento dei poveri senza impoverimento dei ricchi50. Purché però la federazione, come già detto, nascesse non solo per volontà dei governi, bensì per “l’assenso esplicito” della “grande maggioranza” dei cittadini delle nazioni contraenti, a partire da una forte omogeneità - considerazione notevole - fra le costituzioni di ognuna di esse51. E purché ancora, altro requisito indispensabile, come previsto nella carta degli Stati Uniti d’America, impostata sulla “separazione delle sfere di azione”, venissero garantiti “tout ensemble l’indépendance des États et la prépondérance du gouvernement fédéral”52.

Interessante che Lemonnier si mostrasse inoltre informato della celebre proposta di Europa federale, a tutt’oggi puntualmente citata dagli studiosi, sortita l’anno precedente dalla penna di sir John Robert Seeley53. Da essa traeva soprattutto una conferma: e cioè che il legame federale doveva essere “estremamente forte”, come dimostrato dal fatto che gli USA, aveva asserito Seeley, erano rimasti deboli finché non avevano adottato la costituzione dell’87. Che era quella presa in esame e sintetizzata, parole sue, da Lemonnier stesso. Tutte argomentazioni puntualmente ribadite anche ai nostri giorni, e che non dovrebbero far dubitare sulle intenzioni sinceramente federaliste dell’autore-agitatore promotore della Ligue54.

Non risulti inoltre disutile rimarcare ancora una volta che il nostro esigeva la “perfettibilità” delle carte costituzionali, sulla scorta di Usa e Svizzera. Ma

49 Ivi, p. 101. 50 Così alla p. 3, C. Lemonnier, Réligion saint-simonienne, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k85544t/f3.item. 51 Idem, Les Etats-Unis…, cit., pp. 102-03; a p. 104 il riferimento alla Prussia. 52 Ivi, p. 105. 53 Cfr.: The Federal Idea, vol. I, ed. A. Bosco, Lothian Foundation Press, London New York, 1991, pp. 108-10; www.thefederalist.eu/site/index.php?option=com_content&view=article&id=425&lang=it; 54 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 105.

Page 101: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

101 F. Gui, Charles Lemonnier

forse la ragione era più positivista, comtiana, oltre che saint-simoniana: si doveva tener conto del progresso dell’umanità, perché i popoli erano “esseri viventi”, mentre “le progrès est la condition de toute vie”. Difatti le generazioni ricevevano la tradizione e la perpetuavano, modificandola e sviluppandola. Pertanto “l’elasticità delle istituzioni politiche e sociali” era una “necessità assoluta”, oltre che garanzia di pace55. Non si poteva accettare insomma che una generazione potesse condizionare quella successiva, altrimenti si sarebbe violata l’autonomia della persona.

Peccato però, sempre a detta dell’ardente innovatore, che a tanto progresso continuassero ad opporsi quattro ostacoli: l’interesse dinastico, il clericale, l’ignoranza popolare, l’orgoglio nazionale. Tutto ciarpame d’altri tempi, da spedire al macero, tipo il diritto antico, o “divino” dei re di comandare i popoli, mentre il nuovo affermava che ogni uomo o ogni donna appartenevano soltanto a se stessi e che il loro unico sovrano era la loro coscienza56. E via così vibrando colpi sui quattro feticci da relegare nel passato, con motivazioni che sarà bene per il lettore riscontrare direttamente sul testo originale, in quanto assai attrattive. Tra le altre vi figura la critica alle monarchie parlamentari quali fasi di passaggio fra il vecchio e il nuovo, in sé magari anche accettabili (specie l’inglese, meno l’olandese) purché ci si rendesse soprattutto conto dell’insostenibilità del diritto ereditario e dinastico57.

Per i sovrani il regime politico era questione di famiglia, da difendere alla fin dei conti con le armate permanenti, magari per conquistarsi onori e gloria a forza di guerre di conquista, laddove il popolo forniva la carne da cannone. E quando mai, a riprova, i re più bellicosi erano spirati se non nel proprio augusto letto?58 Poco da fare, la ragione non poteva che condurre verso la forma repubblicana, ma ci voleva l’ostinazione dei popoli. “Question de lumières et de propagande”59. Perché ormai la luce comunque era giunta e: “on ira vers elle”60.

55 Ibidem. 56 Ivi, p. 107. 57 Da valutare le argomentazioni in merito all’Inghilterra. Talune eredità del passato potevano anche essere tollerate, al pari di quanto era accaduto in Svizzera con i casi di Friburgo in mano ai gesuiti e Ginevra, magari le infiltrazioni ultramontane, patria del libero pensiero. Sicché anche l’Inghilterra tradizionalista (e con diritto ereditario, ma con scarsi poteri reali in campo militare, finanziario e commerciale) avrebbe forse potuto aderire ad una federazione se alcuni stati repubblicani avessero cominciato a formarla. Considerazioni non da poco insomma sui tormenti inglesi in merito sia al federalismo (con l’Europa o con le colonie?) e sia alla stessa Unione europea, oggetto di referendum vuoi per entrare e vuoi per poi fare Brexit. In aggiunta era possibile che, una volta avviata la federazione, delle monarchie si legassero ad essa in alleanze difensive portatrici di pacificazione (pp. 112-113). 58 Ivi, p. 110. 59 Ivi, p. 111. 60 Ivi, p. 114.

Page 102: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

102 F. Gui, Charles Lemonnier

Quanto al pericolo clericale, era da considerarsi meno grave. La separazione fra Chiesa e Stato, come accaduto in Svizzera e negli Usa, nel salvaguardare la libertà religiosa, “sans ruiner tout d’abord l’intérêt clérical”, affermava al tempo stesso il nuovo indiscutibile diritto, chiamato moderno. Spettava a quel punto al clero salvare la propria influenza sugli spiriti, senza pretendere di dominarli con il dogma o con il culto imposto. Altrimenti si aveva a che fare con i nemici della società moderna, trincerati dietro le encicliche e… (citato espressamente) il Sillabo: quello di Pio IX, ovviamente, emanato a dicembre del ’64. Ché poi, a ben vedere, proprio l’alto clero sostenitore delle dinastie e guidato da più di un secolo dai gesuiti, nel giorno in cui le monarchie fossero decadute, ci avrebbe messo ben poco ad adattarsi alle repubbliche, cercando di avvantaggiarsene il più possibile grazie al nuovo regime di libertà61. Previsione anch’essa non priva di suggestioni. Cui Lemonnier aggiungeva che i preti sinceri avrebbero addirittura favorito il nuovo regime, rompendo con l’ultramontanisme e aiutando a fronteggiare i religiosi “politici”, definiti “increduli e corrotti”. Purché però non si dubitasse sulla separazione assoluta “des Eglises et de l’Etat”, ed anche, beninteso, “de l’Eglise et de l’Ecole”62.

Passando a quello che taluno chiama “popolo bue”, l’autore denunciava l’ignoranza pressoché completa in cui venivano lasciate le persone comuni in Francia, Spagna, Italia, Austria, Russia e Irlanda. Non solo, ma fustigava del pari l’insegnamento falso, ossia “portatore di disposizione intellettuale e morale viziata”, quale veniva a suo dire praticato tanto nei paesi cattolici che nei protestanti. Tutto dovuto alla “teoria del soprannaturale e del miracoloso”, che falsava lo spirito umano invece di formarlo allo “studio dei fatti interiori ed esteriori” per “cercare i mezzi e gli oggetti della conoscenza”63. Insomma, a scuola vigeva ancora un’educazione da Medioevo, ed anche nelle famiglie le cose non andavano molto diversamente.

Davvero raffinato e realistico il pensiero del delibante tanto in fatto di diritto navale che di “ésprit philosophique”. Stando all’esperienza della sua epoca, lamentava, il contrasto fra pensiero “libero” e pensiero “asservito” si era ormai fatto così aspro che certe sensibilità avevano malauguratamente finito per atrofizzarsi. La legittima avversione per la superstizione aveva portato a soffocare il sentimento religioso (presumibilmente la religione dell’umanità) di cui si osava a malapena pronunciare il nome e ricordare l’esistenza, con effetti di inaridimento degli spiriti, di scetticismo delle coscienze. Il regno della ragione stentava ancora a farsi strada sulle “brutali e ridicole sanzioni del

61 Ivi, pp. 114-115. 62 Ivi, p. 116. 63 Ivi, p. 117.

Page 103: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

103 F. Gui, Charles Lemonnier

sovrannaturale”. Che transizione terribile, commentava l’autore, e tuttavia inevitabile64.

L’unica soluzione possibile veniva ancora una volta dall’istruzione di massa, sull’esempio, tanto per cambiare, di Svizzera e Stati Uniti, la cui educazione politica, dimostratasi in grado di realizzare lo stato federale, nasceva proprio dallo sviluppo “immenso” dell’istruzione pubblica. Ed ecco perché le parole d’ordine della Lega si condensavano in: “Pace grazie alla libertà” e “Libertà grazie all’istruzione”. Solamente la diffusione sistematica dell’istruzione pubblica “e privata” poteva avviare i popoli all’emancipazione dalla violenza e dall’ignoranza, rappresentando l’inizio della “sagesse”. Con gli Stati Uniti d’Europa sullo sfondo...65.

Da leggere infine la vibrata reprimenda contro “l’orgoglio nazionale”, argomentata proprio da colui che aveva invitato l’Eroe dei Due Mondi a presiedere il congresso ginevrino. Si trattava del pericolo maggiore per l’erigenda federazione dei popoli. Altro che patriottismo! Quell’orgoglio cieco, di cui ognuno era “infatuato”, comportava in realtà il trasferimento dell’individuo dalla soggezione al sovrano a quella verso lo Stato, verso la Repubblica. Tutta una “scuola politica” – presumibilmente giacobina, statalista, comunarda? e forse comunista - spingeva in tale direzione, decisamente non emancipata dal “pregiudizio teologico e feudale”. E dove sarebbe finita allora l’autonomia della persona? Neanche il Popolo, neanche il plurale assolutizzato poteva imperare sul singolo.

Al riguardo, la perorazione di Lemonnier si inoltrava su un terreno davvero impegnativo, decisamente scivoloso da percorrere. A suo avviso, volendo riflettere fino in fondo, nemmeno il dogma della sovranità del popolo, “così come molti lo intendono”, era conforme alla giustizia, al pari della sovranità regale. Anzi, “à proprement parler, il n’y a pas de souverain”. Il numero, la maggioranza non potevano diventare forza coattiva, perché ciò che invece doveva prevalere era il diritto e, come insegnava “la “Morale”, l’autonomia della persona, la quale era chiamata obbedire alla propria coscienza, rischiarata dalla ragione” 66.

Materia immensamente ardua. Per fortuna l’autore la affrontava da una prospettiva a lui particolarmente cara e congeniale, quella del dovere per un popolo di difendersi sì, certamente, da attacchi esterni, ma guai, vietato, se fosse passato a imprese di conquista, oltretutto obbligando il singolo individuo a parteciparvi in armi. “Défence oui; conquête non!”67. Ora, non che risulti facile riuscire a distinguere quando il singolo abbia titolo a rifiutarsi di combattere e

64 Ivi, p. 118. 65 Ivi, p. 119-120. 66 Ivi, p. 121. 67 Ivi, p. 123.

Page 104: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

104 F. Gui, Charles Lemonnier

quando no. Ovvero quando la decisione della maggioranza risulti atto di forza e non esercizio del diritto. Tuttavia ciò che qui interessa è la portata politica dell’argomentazione di Lemonnier, decisamente attinente alle controversie dei suoi tempi.

In breve, a suo avviso, la vicenda del conflitto tra Francia e Germania aveva in una prima fase mostrato Napoleone III dichiarare guerra ai fratelli teutonici. Nel qual caso, con buona pace del patriottismo francese, non si poteva negare che il diritto stesse tutto intero dalla parte dei tedeschi. Salvo poi il prodursi del contrario. E lì la pretesa guglielmina di tenersi l’Alsazia e la Lorena dopo il conflitto del ’70-‘71 - con la proclamazione del Reich fra gli specchi di Versailles, aggiungiamo noi - non poteva trovare giustificazione alcuna nel patriottismo alemanno. A quel punto, alla Repubblica francese, sostituitasi all’impero napoleonico, spettava non solo il diritto, ma anche “il dovere” di liberare dalla prigionia le due regioni cadute sotto il giogo prussiano. Perché tale era “il nuovo diritto”, a dispetto dell’orgoglio nazionale che rivendicava per il popolo le stesse brutali massime dei re: “Dieu et mon épée!”68. Il primo conflitto mondiale era praticamente già in embrione persino fra i pacifisti, ma libertari, della LIPL.

Eppure, a dispetto di tanto fanatismo, proseguiva il testo, le sorelle Francia e Alemagna erano sembrate pronte a unirsi, ad abbracciarsi sei anni prima, prima cioè che prendesse a girare il vortice bellicista. L’autore forniva in proposito una descrizione commovente dei messaggi di pace scambiatisi all’epoca fra le due rive del Reno. Ma certo, perché ormai le premesse c’erano, perché ormai era ora di far accedere anche la politica internazionale a quello spazio di giustizia, affidato ai tribunali, con cui da sempre in Europa si risolvevano le vertenze fra singoli individui! E allora, cosa mai ci sarebbe stato di meglio di una federazione in cui ogni nazione fosse eguale all’altra? In cui ognuna, sul prerequisito del disarmo universale, comunicasse alle altre i propri lumi e la propria scienza (la Francia forse in testa…) in proporzione alle sue capacità?

Perché poi l’anelito pacifista di Lemonnier serbava in seno anche un’altra ragione per opporsi alla guerra. Ancora una volta, cioè, accanto allo spettro del nazionalismo si profilava alla sua mente, e alla sua penna, quello della rivoluzione internazional-proletaria. Cosa da farlo passare, almeno in certi ambienti, c’è da presumere, per reazionario filo-padronale. A ben vedere, scriveva, l’Europa non si trovava minacciata soltanto dal rombo dei cannoni, con tutte le spese, i carnage e le distruzioni di massa. Sotto sotto c’era anche la guerra sociale, la lotta fra capitalisti e lavoratori, fra chi possedeva gli strumenti del lavoro e chi veniva al mondo in “debito” di istruzione e formazione. Un conflitto

68 Ivi, p. 124.

Page 105: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

105 F. Gui, Charles Lemonnier

destabilizzante che poteva essere scongiurato soltanto da “una vasta generalizzazione degli interessi”69.

Superfluo sintetizzare qui l’ormai nota efficacia con cui il giurista-filosofo-femminista, tutt’altro che inconsapevole del messaggio di Cobden o di Stuart Mill (i due avevano ispirato il Congresso di Ginevra…), tratteggiava le mirabilie del futuro mercato unico europeo. Con la federazione i popoli avrebbero creato anche un tribunale speciale dove sciogliere le questioni di ordine economico. “Une Chambre Syndicale européenne? Les Prud-hommes d’Europe?”. Ma certo! E come fare poi a trovare i soldi della “dette” che i padroni erano tenuti a pagare per assicurare l’istruzione dei lavoratori? Niente paura. Il Congresso di Losanna della Lega internazionale per la pace e la libertà del 1871 aveva calcolato che sopprimere gli eserciti avrebbe fatto risparmiare all’Europa ben sei miliardi (di franchi, si può immaginare). E dunque valeva proprio la pena di passarli, quei miliardi, dal “département de la guerre” a quello della pubblica istruzione70. Volendo stringere, la paura del socialismo rivoluzionario incuteva in Lemonnier una paura analoga a quella delle armate guglielmine di Prussia. Qualcosa cioè che fino a qualche tempo fa, anche nell’Italia post-bellica, avrebbe suscitato lo scherno se non la sdegnosa riprovazione di molti dotti. Ad oggi presumibilmente assai meno…

Ciò che tuttavia meriterebbe maggiore approfondimento, fra i tanti aspetti, è il modo con cui Lemonnier e la sua Ligue si rapportarono alla frenetica e tragica vicenda della Comune di Parigi, nella primavera del ’71, dopo la resa ai prussiani. Di sicuro i rapporti con il governo Thiers, una volta sopraffatta nel sangue la rivolta, non furono affatto buoni, tant’è vero che il settimanale «Gli Stati Uniti d’Europa», edito in Svizzera, veniva regolarmente bloccato alla frontiera francese. Lemonnier stesso rischiò qualche disavventura giudiziaria71. Tuttavia non è agevole comprendere in che cosa il suo pensiero coincidesse in campo sociale con le istanze egualitarie dei comunardi (per esempio in tema di istruzione diffusa e gratuita) restando al tempo stesso fondato sulle sue basi autonome. Per certo, come si è visto, il ribellismo proletario non lo gradiva affatto. Ma quale fu comunque l’effetto indotto in lui da tali eventi, fra Congresso di Ginevra ed fatica maieutica del ’72? Indubbiamente la stagione della Commune non poteva averlo lasciato indifferente e dunque il tema, non così facile da percepire fra le righe dello scritto, né fatto oggetto di molta indagine, suscita curiosità e domande.

Semplicemente commovente, praticamente di attualità e, per l’epoca, magistralmente utopistico: a conclusione del prezioso volumetto, l’autore

69 Ivi, p. 126. 70 Ivi, p. 128. 71 Cfr. A Anteghini, Pace e federalismo…, cit., pp. 64-65.

Page 106: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

106 F. Gui, Charles Lemonnier

affermava che non si sarebbe mai fornita una buona educazione ai propri figli e ai propri scolari senza insegnar loro “implicitement” gli Stati Uniti d’Europa. Il modo era ovviamente di istruirli sui principi etici e giuridici più volte citati. Del pari, non si sarebbe stati “giusti” con imprenditori e operai se non ci si fosse applicati a far “germer” i medesimi USE. Nel concreto si dovevano applicare i principi della rivoluzione “europea” del 1789-91, perché gli USE erano come se fossero il portato, come se stessero a cavallo di quella rivoluzione. Con tutti i risultati di é-l-f (per esser brevi) che ne sarebbero derivati, compreso “l’affranchissement de la femme et de l’enfant”72.

Tanto, poco da fare, gli SUE andavano avanti - e nel lungo periodo non si potrà negarne la preveggenza - grazie anche a chi li combatteva. Orsù dunque! Se in un paese non c’era ancora il suffragio universale, valeva la pena di darsi da fare per ottenerlo. Se invece in un altro già c’era, lo sforzo doveva rivolgersi a nominare nelle istituzioni rappresentanti onesti. E via dicendo, sull’immancabile esempio degli svizzeri (unici in Europa ad esserci arrivati) e dei nordamericani. Ed anche con il contributo - Lemonnier certo ci sperava - dell’appena sorta, per quanto malamente, repubblica di Francia. Perché insegnare la repubblica era semplicemente insegnare la pace, e viceversa. Perché gli Stati Uniti d’Europa, istituiti fra stati repubblicani, erano semplicemente sinonimo di progresso.

D’accordo, il traguardo era lontano e non prevedibile esattamente. Però andava perseguito giorno per giorno e senza stancarsi di lavorarci sopra. Con il che, giunto in chiusura estrema, il preveggente marito di Elisa mostrava di capire tutto e di sognare un po’ troppo al contempo. In fondo, osservava, i progetti di pace erano emersi ogni volta dopo il concludersi di una guerra. Sicché, visto che l’ultima era stata davvero crudele, sanguinosa, inumana, c’era da credere di essere giunti più vicini che mai alla meta. No M. Charles, niente affatto. Prima si è dovuti andare da Sarajevo a Hiroshima, poi di nuovo a Sarajevo (e Kosovo) passando per Mosca, Budapest, Praga e il ponte di Mostar. Dopodiché gli Stati Uniti d’Europa si sono fatti parecchio più vicini. Ma a portata di mano ancora non è detto.

72 C. Lemonnier, Les Etats-Unis…, cit., p. 130.

Page 107: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

107 aProgramm

Sotto l'Alto patrocinio del Parlamento europeo, della Presidenza del Consiglio,

del Ministero dei Beni Culturali e della Rappresentanza Commissione europea in Italia Celebrazione del 150mo anniversario del Congresso Internazionale della

Pace, della Libertà e per gli Stati Uniti d'Europa (Ginevra 1867) Bruxelles, Parlamento Europeo, sala P1-C047

martedì 21 novembre 2017, ore 18-20

Saluti e Presentazione: David Sassoli, Vice Presidente del Parlamento Europeo

Moderatore: Mario Telò, Université Libre de Bruxelles, Luiss

Interventi Jean-Yves Frétigné, Université de Rouen Corrado Malandrino, Università del Piemonte Orientale, Alessandria

Carlo Moos, Università di Zurigo Sylvain Schirmann, Università di Strasburgo

Interventi di parlamentari europei Jo Leinen, Co-Presidente del MEP-Spinelli Group; Silvia Costa, Commissione Cultura e Istruzione (CULT) Conclusioni: D. Sassoli, M. Telò e Annita Garibaldi Jallet, “Appuntamento a Ginevra”

*** Il convegno sarà preceduto da un seminario dedicato alla rivista Les Etats-Unis d'Europe, al suo direttore Charles Lemonnier, al federalismo di V. Hugo, G. Mazzini, A. Goegg, G. Garibaldi e al contributo femminile, che si terrà presso la sede di Bruxelles di Sapienza Università di Roma (rue du Trône, 98 -ore 14,30-17,30) Presiede e introduce: Philippe Regnier, CNRS, Università di Lione Relazione: Alessandra Anteghini, biografa di Ch. Lemonnier Interventi: Giuseppe Monsagrati, Istituto Storico del Risorgimento, Paola Ferruta, Centre Roland Mousnier (Parigi), Patrick Pasture, KU Leuven, Francesca Russo, Univ. di Napoli, Lara Piccardo, Univ. di Genova, Angelica Radicchi, Univ. di Pavia, Giulio Ercolessi, Federazione Umanista Europea Conclusioni: Francesco Gui, Sapienza Univ. Roma, rete accademica l’Università per l’Europa

L'evento, in lingua francese e inglese, sarà diffuso in video nelle scuole e università Aderiscono all’iniziativa: Union of European Federalists; Istituto di studi federalisti A. Spinelli; Fondazione di studi storici Filippo Turati; A Soul for Europe; Fundación Academia Europea de Yuste

Page 108: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

108 Programme

under the patronage of the European Parliament, Presidenza del Consiglio, Ministero dei Beni Culturali, European Commission Representation in Italy

Celebration of the 150th anniversary of the International Congress of Peace, Freedom and for the United States of Europe (Geneva 1867)

Brussels, European Parliament, room P1-C047 Tuesday, 21st of November 2017, h.18-20

Welcome and Introduction: David Sassoli, Vice President of the European Parliament Moderator: Mario Telò, Université Libre de Bruxelles, Luiss Panel: Jean-Yves Frétigné, Université de Rouen

Corrado Malandrino, Università del Piemonte Orientale, Alessandria Carlo Moos, Universität Zürich Sylvain Schirmann, Université de Strasbourg

MEPs contributions Jo Leinen, Co-Chair of the MEP-Spinelli Group Silvia Costa, EP Committee on Culture and Education (CULT)

Conclusions: D. Sassoli, M. Telò and Annita Garibaldi Jallet “Rendez-vous in Geneva”

*** This conference will be preceded by a seminar dedicated to the review Les Etats-Unis d'Europe, to its editor Charles Lemonnier, to the federalism of V. Hugo, G. Mazzini, A. Goegg, G. Garibaldi and to women's contribution. It will take place at Sapienza Università di Roma, Brussels siege (rue du Trône, 98 - at 14,30-17,30) Chair's introduction: Philippe Regnier, CNRS, Université de Lyon

Keynote speech: Alessandra Anteghini, biographer of Charles Lemonnier

Contributions: Giuseppe Monsagrati, Istituto Storico del Risorgimento, Paola Ferruta, Centre Roland Mousnier (Parigi), Patrick Pasture, KU Leuven, Francesca Russo, Univ. di Napoli, Lara Piccardo, Univ. di Genova, Angelica Radicchi, Univ. di Pavia, Giulio Ercolessi, Federazione Umanista Europea

Conclusions: Francesco Gui, Sapienza Univ. Roma, university network l’Università per l’Europa

Working languages: French, English

Seminar video recording will be disseminated in schools and universities Partners: Union of European Federalists; European Movement International (tbc);

Istituto di Studi Federalisti A. Spinelli; Fondazione di Studi Storici Filippo Turati; A Soul for Europe; Fundación Academia Europea de Yuste

Page 109: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

109 Programme

Patronage: Parlement Européen, Presidenza del Consiglio, Ministero dei Beni Culturali, Rappresentanza Commissione europea in Italia

Célébration du 150ème anniversaire du Congrès International de la Paix et la Liberté et pour les États-Unis d'Europe (Genève 1867)

Bruxelles, Parlement Européen, salle P1-C047 mardi 21 novembre 2017, h. 18-20

Salutations: Antonio Tajani, Président du Parlement Européen (à déf.) Présentation: David Sassoli, Vice-Président du Parlement Européen Modérateur: Mario Telò, Université Libre de Bruxelles, Luiss

Interventions:

Jean-Yves Frétigné, Université de Rouen Corrado Malandrino, Università del Piemonte Orientale,

Alessandria Carlo Moos, Universität Zürich Sylvain Schirmann, Université de Strasbourg

Interventions des parlementaires européens Jo Leinen, S&D, Co-Président du MEP-Spinelli Group Silvia Costa, PE, Commissione Cultura (CULT) Conclusions: D. Sassoli, M. Telò et Annita Garibaldi Jallet, “Rendez-vous à

Genève” ***

La convention sera précédée par un séminaire, dédié à la revue Les Etats-Unis d'Europe, à son éditeur Charles Lemonnier, au fédéralisme de V. Hugo, G. Mazzini, A. Goegg, G. Garibaldi et à la contribution féminine, qui aura lieu au siège de Sapienza Università di Roma à Bruxelles (rue du Trône, 98 - 14,30-17,30 heures)

Préside et introduit: Philippe Regnier, CNRS, Université de Lyon Intervention: Alessandra Anteghini, biographe de Charles Lemonnier Contributions: Giuseppe Monsagrati, Istituto Storico del Risorgimento, Paola Ferruta, Centre Roland Mousnier (Paris), Patrick Pasture, KU Leuven, Francesca Russo, Univ. di Napoli, Lara Piccardo, Univ. di Genova, Angelica Radicchi, Univ. di Pavia, Giulio Ercolessi, Federazione Umanista Europea Conclusions: Francesco Gui, Sapienza Univ. Roma, réseau académique l’Università per l’Europa

L'événement en français et anglais sera diffusé en vidéo pour les lycées et les universités Adhésion à l'initiative: Union of European Federalists; Istituto di Studi Federalisti A. Spinelli; Fondazione di Studi Storici Filippo Turati; A Soul for Europe; Fundación Academia Europea de Yuste

Page 110: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

110 D. Vignati, Recensione

Christopher Sanford, Union Jack: John F. Kennedy’s Special Relationship with Great Britain, Lebanon, NH, ForeEdge, an imprint of

University Press of New England, 2017

Uno dei capitoli più nutriti della vasta e multiforme letteratura sulla presidenza di John F. Kennedy è quello relativo al rapporto di fiducia, amicizia e cooperazione che instaurò con il primo ministro britannico Harold MacMillan; allo stesso modo, nella altrettanto corposa storiografia che indaga l’evoluzione di quel peculiare tratto delle relazioni internazionali che si suole indicare con la formula di Special Relationship un posto centrale è riservato alla ricostruzione delle caratteristiche che essa assunse negli anni in cui la Casa Bianca era occupata da Kennedy e il numero 10 di Downing Street da MacMillan. Tale e tanto solido fu il sodalizio costruito dal giovane presidente democratico e dall’anziano primo ministro conservatore che, accanto alla collaborazione tra Roosevelt e Churchill nel corso della seconda guerra mondiale e al pari della convergenza registrata tra i governi di Reagan e Thatcher nella fase conclusiva della guerra fredda, i primi anni Sessanta costituiscono una sorta di età dell’oro nella storia della Special Relationship. Ampiamente noti e attentamente documentati sono i momenti e gli episodi che costellarono i rapporti tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna tra il 1961 e il 1963, e le manifestazioni tangibili dell’amicizia che legò i due paesi e cementò la loro alleanza negli anni difficili in cui la Gran Bretagna – alla ricerca di un ruolo dopo aver perso un impero, secondo la celebre osservazione di Dean Acheson – si apprestava ad avviare una epocale transizione da potenza di prima grandezza a media potenza.

Al ricco e articolato dibattito relativo a questi temi poco di rilevante aggiunge il volume recentemente pubblicato da Christopher Sanford, Union Jack. John F. Kennedy’s Special Relationship with Great Britain. Basato principalmente su fonti secondarie e su una selezione che della cospicua mole documentaria oggi disponibile privilegia in maniera quasi esclusiva la corrispondenza privata di Kennedy e le testimonianze di amici, collaboratori e interlocutori, il volume non è evidentemente stato concepito dal suo autore con l’ambizione di modificare sensibilmente il bilancio storiografico sul tema. Non che in esso manchino del tutto spunti interessanti e potenzialmente suscettibili di arricchire il dibattito: è il caso ad esempio dei riferimenti allo sforzo di concertare una politica comune nei confronti della Guiana britannica, al fine di impedire che il governo all’epoca guidato da Cheddi Jagan, leader dalle note simpatie filocomuniste, avvicinasse il

Page 111: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

111 D. Vignati, Recensione

Paese a Cuba e provocasse così un nuovo sconquasso negli equilibri dell’area a pochi anni di distanza dall’avvento al potere di Castro; ancora, è il caso della risposta formulata rispetto alla crisi in cui versava il Congo del post Lumumba, nei confronti del quale il governo statunitense si allineò alle posizioni assunte da Londra; addirittura, Sanford prospetta una chiave di lettura inedita laddove sottolinea un nesso tra la conclusione dell’accordo di Nassau con cui nel dicembre 1962 Kennedy si impegnò – nonostante l’avviso contrario dei vertici del Dipartimento di Stato – a fornire alla GB missili Polaris, e a dare pertanto concretezza al progetto di deterrenza atomica tenacemente perseguito dal governo MacMillan, e il rinnovato interesse manifestato da Chruščëv nella primavera successiva rispetto alla prospettiva di un accordo a tre sulla limitazione degli esperimenti nucleari. Le ipotesi interpretative che simili considerazioni suggeriscono non vengono però adeguatamente sviluppate né ulteriormente approfondite nell’ambito di un lavoro che – come osservato – chiaramente non intendere rappresentare un contributo originale al dibattito storiografico sulla Special Relationship. Se come tale lo si intende, il volume rivela peraltro seri limiti sotto il profilo dell’esaustività oltre che sotto quello dell’originalità: significativo a questo proposito che la questione della candidatura britannica alla CEE – notoriamente appoggiata, se non apertamente incoraggiata dall’amministrazione Kennedy – è frettolosamente liquidata in pochi paragrafi e che la sintesi della posizione da questa assunta in merito alla costruzione europeista e alla partecipazione britannica al processo di integrazione è affidata alla citazione di una dichiarazione del leader laburista Ed Miliband, il quale nelle fasi iniziali del confronto sulla Brexit osservò che “il presidente Kennedy si sarebbe orgogliosamente schierato a favore della permanenza della Gran Bretagna” nell’Unione Europea.

Sarebbe però riduttivo e fuorviante valutare Union Jack come ennesimo – non necessariamente nuovo – saggio sulla Special Relationship al suo apogeo. Il respiro e la funzione che Sanford assegna alla sua ricostruzione sono evidentemente altri, e altrove risiede l’interesse che il volume suscita. Union Jack va infatti letto e considerato come una biografia – anche in questo caso una delle molte – di Kennedy, affrontata attraverso un taglio che dell’intero lavoro costituisce l’aspetto più originale e convincente. L’intento dell’autore è infatti quello di inquadrare la politica nei confronti del Regno Unito sviluppato da Kennedy presidente non tanto nella cornice di una tradizionale amicizia fondata sulla collaborazione in due guerre mondiali e corroborata dall’alleanza creata al termine degli anni quaranta al fine di contenere la minaccia sovietica, quanto piuttosto alla luce della conoscenza di quel Paese, della sua cultura e della sua storia, nonché della familiarità con una parte considerevole della sua classe dirigente che Kennedy sviluppò in gioventù. Ricostruendo le origini della Special

Page 112: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

112 D. Vignati, Recensione

Relationship di Kennedy con la Gran Bretagna, Union Jack offre una prospettiva non del tutto inedita sul piano dei contenuti ma affrontata per la prima volta in maniera organica e sistematica sul modo in cui l’esperienza della realtà britannica concorse a consolidare in Kennedy visioni e convinzioni che avrebbero informato la sua azione politica dopo l’elezione alla presidenza. Sotto questo profilo, il volume diviene quasi una sorta di “romanzo di formazione” che rintraccia nella personale Special Relationship di Kennedy non solo le radici del rapporto privilegiato con il governo di MacMillan, ma anche le origini di scelte di più ampia portata. Con particolare incisività e nitidezza emerge nel volume l’influenza esercitata sull’allora studente di Harvard dalla politica estera britannica degli anni Trenta, o meglio da quella che si potrebbe definire “la lezione dell’Appeasement”. I frequenti soggiorni a Londra, prima da rampollo di una facoltosa famiglia dell’élite statunitense e poi da figlio dell’ambasciatore scelto da Roosevelt per rappresentare gli Stati Uniti presso il governo britannico, gli consentirono di assistere da un osservatorio privilegiato alle tappe culminanti di quella politica di compromesso con il regime hitleriano comunemente identificata con il governo di Neville Chamberlain. Ne trasse una durevole impressione che, elaborata e adeguatamente argomentata, trasfuse nelle conclusioni della tesi grazie alla quale nel 1940 conseguì la laurea e che quello stesso anno pubblicò – grazie alle entrature e alle disponibilità finanziarie paterne – con il titolo Why England Slept. Il Regno Unito aveva dovuto necessariamente adeguarsi – questo il cuore della tesi – a una linea di conciliazione con la Germania hitleriana essenzialmente in ragione dell’impreparazione militare cui la politica di difesa impostata all’indomani della prima guerra mondiale, improntata sul contenimento delle spese e sulla promozione del disarmo internazionale, l’aveva costretta. Dall’analisi dell’Appeasement britannico il giovane Kennedy, oltre a maturare una profonda ammirazione nei confronti di Churchill e a intraprendere un percorso di emancipazione intellettuale e personale dall’influenza del padre – convinto isolazionista – trasse la convinzione che un adeguato arsenale militare fosse condizione indispensabile per garantire la possibilità di una politica estera efficace e incisiva. Trasposta nella realtà degli anni Sessanta, questa ferma convinzione fu alla base della scelta di abbandonare la cauta politica attuata dall’amministrazione Eisenhower per avviare quella che è stata definita la più massiccia corsa agli armamenti mai registrata – fino ad allora – nella storia dell’umanità. Nel pieno solco di Churchill, di cui Kennedy era solito citare il motto “We arm to parley”, l’audace politica muscolare adottata nei primi mesi dall’insediamento alla Casa Bianca costituiva inoltre la premessa irrinunciabile per rendere percorribile la strada del dialogo con Mosca nel campo del disarmo nucleare, che si concretizzò infine con la firma del trattato sulla limitazione parziale degli esperimenti nucleari nel luglio del 1963. In quest’ottica,

Page 113: Indice della rivista - Il Progetto EuroStudium · 2018-11-26 · Indice della rivista luglio - settembre 201 7 , n. 4 4 MONOGRAFIE Trasformazioni sociali e istituzionali in una città

Eurostudium3w luglio-settembre 2017

113 D. Vignati, Recensione

la svolta nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica che precorse la Distensione, oltre che frutto della traumatica esperienza della crisi dei missili – secondo l’interpretazione prevalente nella storiografia – si presta ad essere letta anche alla luce dell’influenza che la Special Relationship di Kennedy con il mondo britannico esercitò sulla sua formazione e sulla sua azione politica.