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Sommario: Intervista semiseria a due maturande 2 La Bellezza fa Scuola 3 Premio Città delle Rose- “Leggere Dante oggi” 4-5 5° Concorso Artistico “Pasquale Celommi” 6 Letteratura e ricerca 7 1° Concorso “Leggi un libro”. 8-11 Post-editoriale 12 IL IL IL IL SAFFO SAFFO SAFFO SAFFO PARLANTE PARLANTE PARLANTE PARLANTE Giornalino scolastico degli studenti N. 3 maggio 2012 IN PRIMO PIANO Come si preparano gli studenti dell’ultimo anno agli esami finali? Un anno di stage, concorsi, progetti, olimpiadi, teatro, sport. L’incontro con lo scrittore Lucilio Santoni. I risultati del Concorso “Leggi un libro. L’intervista immaginaria”. La vignetta di Ludovica Nardulli

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Sommario:

Intervista semiseria a due maturande

2

La Bellezza fa Scuola 3

Premio Città delle Rose-“Leggere Dante oggi”

4-5

5° Concorso Artistico “Pasquale Celommi”

6

Letteratura e ricerca 7

1° Concorso “Leggi un libro”.

8-11

Post-editoriale 12

ILILILIL SAFFOSAFFOSAFFOSAFFO PARLANTEPARLANTEPARLANTEPARLANTE Giornalino scolastico degli studenti N. 3 maggio 2012

IN PRIMO PIANO

Come si preparano gli studenti dell’ultimo anno agli esami finali?

Un anno di stage, concorsi, progetti, olimpiadi, teatro, sport.

L’incontro con lo scrittore Lucilio Santoni.

I risultati del Concorso “Leggi un libro. L’intervista immaginaria”.

La vignetta di Ludovica Nardulli

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Gli esami prima o poi finiscono Una simpatica intervista a Lucia Santarelli e Rebecca Bucci che si preparano agli esami finali

A cura della Redazione

Niente toto-domande, niente sentimentalismi "Venditti-style". Noi del

Saffo Parlante sulla maturità ci ridiamo su!

Ad un mese dalla maturità, come ti stai preparando agli Esami di

Stato?

R: Non mi sto preparando. Naturale.

L: Devo correggerti, meno di un mese, mancano ventiquattro giorni

(oggi, giorno dell’intervista). Ecco, in realtà passo il tempo (nel quale

dovrei prepararmi) a contare i giorni che mancano.

Hai una "tecnica" per combattere l'ansia pre-esami?

R: Naa, l'ansia pre-esami non può essere combattuta.. Credo comun-

que nel potere rigenerativo di una sana e fresca birra.

L: La mia filosofia di vita è diventata: "Passerà talmente velocemente

che non me ne accorgerò neanche e tra un mese starò ridendo di tut-

to ciò."

Passiamo ai bilanci: un ricordo particolare degli anni del Liceo?

R: Un momento che non scorderò mai fu quando giocammo a nascon-

dino con la prof di greco e latino del biennio. Ci eravamo spostati in

un'aula vuota e uno di noi si finse professore e cominciò a spiegare in

piedi alla classe (che per contenere le risate stava impiegando tutte le

sue forze): la prof ci passò davanti senza riconoscerci. Bei tempi.

L: La prima (ed unica) assenza della professoressa Lemmi, che quella

mattina aveva quattro ore in classe con noi. Benedico ancora sua ni-

pote che decise di venire al mondo quel giorno.

“Sindrome di Peter Pan" o "Non vedo l'ora di.."?

R: Non vedo l'ora che finisca! Il liceo non tornerà più e indubbiamente

ha avuto una parte importante nella mia vita, ma il meglio deve anco-

ra venire.

L: Non vedo l'ora di sentirmi Peter Pan fuori dal liceo.

Se dovessi descrivere l'esperienza di questi cinque anni con una paro-

la?

R: Supercalifragilistichespiralidoso.

L: Dicotomica. (Sì! Finalmente ho potuto usare l'aggettivo forbito che

m'ero segnata durante la lezione d'italiano di qualche mese fa.)

Parliamo del futuro: il prossimo anno?

R: 2013. Li ho imparati a fare, almeno, i conti!

L: Probabilmente starò rimpiangendo "i giorni del liceo, quando stu-

diavo Kant" (cit.)

E se ti dicessi "2022": come t'immagini?

R: A fare quello che faccio tutte le sere: tentare di conquistare il mon-

do!

L: Con una divisa da cassiera del discount (se andrà bene), però quan-

do darò il resto potrò contare e salutare in greco. Vuoi mettere, poter

dire "Kalimèra" anziché "Buongiorno"?

Rimpiangeremo anche il murales dell’edificio Magistrale? Anche la montagna di libri che abbiamo dovuto leggere in questi anni?

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Venerdì 25 maggio 2012, presso la Palestra di Via Alfieri, si è svolto, dalle ore 17 alle 19, l’incontro culturale sul tema “Homo viator”, attraverso un dialogo intertestuale tra le voci di Leopar-di, tratte dal "Canto notturno di un pastore...", Pascoli, di cui sono state presentate alcune liriche (“Oriente”, “Il fringuello cieco” e “Vertigine”), interpretandone teatralmente anche il fonosimbolismo, e Van Gogh, del quale abbiamo ripercorso la vita e la sensibilità, in un'abbondante presentazione di opere, in videoproiettore. Lo scopo era portare l'attenzione del pubblico, specie quello degli alunni, sulla "Bellezza" appunto delle do-mande che hanno a che fare con il senso dell'esistere: "a che tante facelle?",.." ed io che sono?", ...le quali guidano il viaggio dell'uomo, inevitabilmente VIATOR, e si esprimono nelle forme del canto poetico o iconico, fissando eternamente l'incanto stes-so della vita. L’evento è stato un incontro incantevole per passione vissuta e trasmessa dal Prof. Roberto Filippetti. I ragazzi hanno potuto apprezzare, di sicuro, un modo diverso di fare lezione, più libe-ro, espressivo e coinvolgente; senza una vera struttura logico-argomentativa, ma volutamente giustappositiva. Molti i suggeri-menti offerti, anche per i percorsi interdisciplinari dell'Esame di Stato. Ha presenziato anche il Dirigente scolastico, Prof. D’Ambrosio, per tutta la durata dell'incontro, condividendo molti spunti con il professore stesso. Questo appuntamento vorrebbe essere il primo di una futura serie di incontri, sul tema della Bellezza appunto, chiamata a fare Scuola, nel senso Agostiniano del detto: "Nutre la mente solo ciò che la rallegra". La scelta pomeridiana conferma che non si tratta di sostituzioni o sovrapposizioni di contenuti già curricolari, ma arricchimenti e divergenze, attraverso il contri-buto di voci esterne con cui è bello poter dialogare. Siamo parti-ti dall'Arte e dalla Letteratura; sarebbe interessante proseguire con altre scienze.

Resoconto della Prof.ssa Monica Ruggeri

“La Bellezza fa Scuola” Un incontro a scuola su Arte e letteratura

Qui sopra il professor Roberto Filippetti, in basso un’immagine di Giotto: dal ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova.

Roberto Filippetti è studioso d’arte e letteratura, insegna Lettere nelle Scuole Superiori a Dolo (VE) e Iconologia e Iconografia Cristiana presso l’Università Europea di Roma. È curatore di quattro mostre didattiche itineranti: sugli af-freschi di Giotto a Padova, su quelli della Basilica superiore di Assisi, sui capolavori di Caravaggio e su quelli di Van Gogh. È autore di una ventina di libri, fra i quali L’avvenimento secondo Giotto (tradotto in cinque lingue), riscritto per ra-gazzi col titolo Il Vangelo secondo Giotto; poi San France-sco secondo Giotto, Caravaggio l’urlo e la luce, Van Gogh un grande fuoco nel cuore. E ancora: Leopardi e Manzoni: il viaggio verso l’infinito, Educare con le fiabe, Pirandello narratore e poeta, Il per-corso e i percorsi (schede di revi-sione di Letteratura italiana ed europea, in tre volumi rispet-tivamente per la III, la IV e la V superiore).

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Premio letterario “Città delle Rose” Le impressioni degli studenti del Saffo

Gli studenti del Liceo Saffo e dell’Istituto Moretti assieme ai vincitori della sezione giovanile “Micol Cavivhia”: da sinistra a destra, Concita De Gregorio, Amedeo Balbi, Flavio Oreglio.

La cerimonia di premiazione della X edizione del Premio letterario “Città delle Rose” si è tenuta sabato 26 maggio 2012, con

inizio alle ore 18, presso la Villa Comunale di Roseto degli Abruzzi. La Giuria, presieduta da Vincenzo Cappelletti e composta da

Enio Pavone (Sindaco di Roseto), Maristella Urbini (Assessore alla Cultura) Daniele Cavicchia (Segretario organizzatore), Franco

Ferrarorri, Dante Marianacci, Walter Mauro, Renato Minore, Aldo Forbice, Franco Di Bonaventura (membro onorario), Alessio

Palmarini (utente Biblioteca Civica), ha assegnato il premio per la migliore opera italiana a Miguel Gotor, con il volume “Il me-

moriale della Repubblica”, Giulio Einaudi editore. Per la Sezione Autori Stranieri, è risultato vincitore il neurologo e psichiatra

francese Boris Cyrulnik con il libro “La vergogna”, Codice edizioni (traduzione di Cristina Fulvia Romano). Per la Sezione Temati-

che Giovanili “Micol Cavicchia”, la terna dei finalisti è composta da: l’astrofisico Amedeo Balbi con il libro “Il buio oltre le stel-

le”, Codice edizioni; la giornalista e scrittrice Concita De Gregorio con il libro “Così è la vita”, Giulio Einaudi editore; l’attore Fla-

vio Oreglio con “Storia curiosa della scienza”, Adriano Salani Editore.

Una Giuria, composta da 77 studenti delle scuole superiori (Liceo Saffo e Istituto Moretti) e da giovani utenti della Biblioteca

Civica, ha scelto sabato mattina, presso il Palazzo del Mare, il vincitore dalla terna: Concita De Gregorio.

Abbiamo chiesto ad alcuni alunni che hanno partecipato all’evento culturale delle impressioni in proposito. Il no-stro liceo da alcuni anni partecipa al Premio Città delle Rose. Quest’anno il gruppo di 25 alunni delle classi quarte è stato accompagnato dalla Prof.ssa Angela Mo-destini. Gli alunni hanno letto nelle settimane precedenti i volu-mi di Amedeo Balbi, Concita De Gregorio e Flavio Ore-glio. Poi sabato 26 maggio hanno incontrato i tre autori presso il Palazzo del Mare con i quali hanno colloquiato sui contenuti dei loro libri. Al termine dell’incontro han-no formato, assieme agli altri colleghi del Moretti e un gruppo di giovani lettori della biblioteca comunale una giuria che ha votato il vincitore. Le impressioni sono state varie e articolate: “Si è trattato

di un’esperienza utile e stimolante”, ci ha riferito uno studente, “non avevo mai partecipato ad una giuria di un premio e confesso di aver provato all’inizio un certo imbarazzo. Un conto è leggere un libro, un altro ascol-tare la viva voce del suo autore”. “Oreglio è stato divertente. Uno non se lo immagina che un comico di Zelig sappia scrivere certe cose”, dice un altro, “poi vieni a scoprire che è laureato ed ha pure insegnato nelle scuole”. “Concita De Gregorio, che conosco come giornalista e vista qualche volta in televisione, ha detto che il suo libro nasce dalle doman-de spontanee dei suoi figli sul tema della morte”, con-fessa un altro partecipante, “e forte è la sua preoccupa-zione per i videogame violenti oggi di moda”.

A cura della Redazione

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Il giorno 24 maggio 2012, gli alunni della 1^ B Liceo Classico vecchio ordinamento, che avevano partecipato il 18 aprile scorso alla settima edizione del concorso “Leggere Dante Oggi”, proposto dalla Fondazione “Corrado Gizzi”, sono stati premiati presso la sede del Museo d’Arte Contemporanea “Vittoria Colonna” di Pescara. Alla presenza del Presidente del Consiglio Regionale Abruzzese, Nicola Pagano, dell’Assessore alla Cultura della Provincia di Pescara, e dell’Assessore agli Studi del Comune di Pescara, del Presidente della Fondazione, Signora Lina Gizzi, moglie del fondatore Corrado Gizzi, i membri della giuria hanno affermato la necessità di attualizzare e contestualizzare la “Divina Commedia” nella cultura italiana odierna. Gli alunni della 1^ B classico hanno ricevuto il quarto premio e la menzione speciale della giuria per la sensi-bilità dimostrata verso la tematica dantesca e per l’ottimo commento svolto. L’edificante esperienza ha suscitato negli studenti il desiderio di poter approfondire ancora di più gli studi sulla commedia dantesca. Un rin-graziamento alla Prof.ssa Anna Silenzi.

Gli studenti della Classe 1^B Classico v.o. (Jacopo Capurri, Sara Di Donato, Benedetto Libbi,

Ingrid Ranalli, Sara Lucia Di Donato, Sara Di Meo, Benedetta Montefiore, Anastasia Nespoli, Erika Peracchia,

Leggere Dante oggi Un premio per gli alunni della 1^B Classico v.o.

Castello Gizzi - Casa di Dante in Abruzzo

Costruito sulle fondamenta di un vecchio castello risalente al XII secolo, oggi si presenta come un edificio su quattro livelli adi-

biti alla trasformazione e conservazione di prodotti agricoli, alcuni per la rappresentanza ed altri per la residenza.

Da visitare il cortile ben decorato e stuccato, il portale di pietra e un interessante sarcofago del IV secolo a.C.

Il castello Gizzi, chiamato popolarmente "Castelluccio", domina, dalla sua posizione collinare, la cittadina di Torre De' Passeri.

Fu edificato nel 1719 per volontà della famiglia Mazara di Sulmona, sotto l'egida della marchesa Smeralda. La sua non fu una

vera e propria costruzione ma piuttosto una ristrutturazione, poiché sorse sulle fondamenta di una delle antiche torri di difesa

dell'Abbazia di San Clemente a Casauria, risalente al XII secolo, della quale sono ancora presenti tracce delle mura basamentali

e del muro di cinta del piazzale.

Oltre al castello, una dependance, una cantina ed un ampio parco, formano quello che risulta essere un vero e proprio com-

plesso. Sulla facciata principale del castello si apre un maestoso portale in pietra, sormontato da un imponente balcone, al di

sopra del quale è posto lo stemma della famiglia Mazara.

Al lato della stessa facciata sono ancora presenti cinque archi medievali che si affacciano sul panorama sottostante.

La struttura principale era composta da quattro livelli: i primi due, interrato e seminterrato, destinati alla lavorazione dei pro-

dotti agricoli, e quelli superiori riservati alla residenza. Nel piazzale antistante la costruzione sono presenti un sarcofago del IV

sec. a.C. e due rocchi di colonne di epoca imperiale.

Nel 1967 la proprietà del castello passò dall'ultimo erede dei Mazara alla famiglia Gizzi, per divenire sede, nel 1979, dopo esse-

re stato ristrutturato, dell'Isituto di Studi e Ricerche Casa di Dante in Abruzzo. Attualmente le sale del castello ospitano l'Isituto

di Studi e Ricerche Casa di Dante in Abruzzo. Nel castello sono inoltre presenti il museo dantesco "J. Bellonzi" e la biblioteca

"M. A. Caldora".

Il 23 dicembre 2005 nasce ufficialmente la Fondazione Casa di Dante in Abruzzo, ente morale con sede presso il Castello Gizzi,

con lo scopo di promuovere e diffondere in Italia e all'estero la cultura e l'arte con particolare riferimento alla figura ed all'ope-

ra di Dante Alighieri.

Un’immagine del Castello Gizzi di Torre dei Passeri, sede storica di mostre importanti su Dante e l’arte classica e contemporanea.

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5° Concorso Artistico Nazionale “Premio Pasquale Celommi” di Biancamaria Di Domenico

Giovedì 17 maggio, presso la Villa Comunale di Roseto, si è tenuta la cerimonia del V CONCORSO ARTISTICO NAZIONALE "Pasquale Celommi" , dedicato quest'anno al tema “Tradizioni e Racconti”. Numerose sono state le Scuole partecipanti, provenienti da tutta Italia. Alla manife-stazione sono intervenute le Autorità, Paolo Gatti Assessore all’Istruzione della Regione Abruzzo, Giuseppe Di Michele Assessore alla Cultura e all’Istruzione della Provincia di Teramo, Maristella Urbini Assessore alla Cultura del Co-mune di Roseto degli Abruzzi; i Docenti, gli Studenti Nina Di Sabatino, Valeria del Nibletto a Marina Ruggieri nonché i Componenti della Giuria, Antonio Lattanzi, Emidio Di Carlo, Sandro Melarangelo, Bruno Zenobio, Gianni Tarli e Gabriele Rosati. Ha presieduto il Dirigente Scolastico del Liceo Saffo, Prof. Viriol D’Ambrosio.

VINCITORI SEZIONE A - Arti Visive: pittura, disegno, scultura Scuola primaria 1° I.C. San Nicolò – San Nicolò a Tordino (TE) Classe IV A 2° I.C. “Falcone e Borsellino” – Basciano (TE) Fabri M elissa Misantone Manuel Celli Emanuele, Di Bernardo Damiano, Di Francesco Giorgia, Fabri Alice, Kandel Saad Samuele, Socorro Solarte Gianluca, Quintiliani Laura, Quintiliani Simona, Saputelli Andrea 3° I.C. “Falcone e Borsellino” – Basciano (TE) Celli G abriel Menzioni speciali I.C.“Falcone e Borsellino” – Basciano (TE) Quintiliani Laura I.C.“Falcone e Borsellino” – Basciano (TE) Vellei Matteo I.C.“Falcone e Borsellino” – Basciano (TE) Kandel Sara Direzione Didattica - Grottammare (AP) Marchionni Jennifer Direzione Didattica I Circolo - Formia (LT) Palmaccio Alessandro Parravano Claudia, Maggiacomo Andrea, Parasmo Walter, D’Apuzzo Giada, Simione Valeria Scuola secondaria di primo grado 1° I.C. “Gandiglio” – Fano (PU) Mazza Andrea 2° I.C. Amandola - Amandola (FM) Barbaresi Ginevra Bollici Francesca, Buratti Miriam, Magro Ludovico, Odani Alessan-dro, Testa Riccardo, Virgili Roberta, Galie’ Riccardo 3° S.M.S. “Bindi-Pagliaccetti” – Giulianova (TE) Di Stefa no Maria Vittoria, Ordinelli Mariagrazia, Artone Valentina, Di Stefano France-sco Menzioni speciali I.C. Atri – Atri (TE) Forcella Caterina Chiara I.C. Atri – Atri (TE) Francia Aurora I.C. “Gandiglio” – Fano (PU) Falcioni Alessandro I.C. “Gandiglio” – Fano (PU) Seri Elena I.C. “Gandiglio” – Fano (PU) Mallucci Anita I.C. “Gandiglio” – Fano (PU) Antonelli Miki

I.C. “Giovanni XXIII” Pineto – Pineto (TE) Caduceo Francesco I.O. “N. da Guardiagrele” – Guardiagrele (CH) Ricci Laura Scuola secondaria di secondo grado 1° ex aequo I.P.S.I.A. “U. Pomilio”- Chieti Scalo (CH) Di Domenico Michela ex aequo Liceo “Saffo” Roseto degli Abruzzi (TE) Pavo-ne Francesca 2° Liceo Artistico “G. Montauti” - Teramo (TE) Figlio la Gianmarco 3° Liceo Scientifico “L. Da Vinci “ - Crema (CR) Tos etti Maria Menzioni speciali I.O. “N. da Guardiagrele” – Guardiagrele (CH) Di Scia-scio Luisa Liceo Artistico “A. Valente” - Sora (FR) Abballe Mattia I.I.S. “A. Pesenti” - Cascina (PI) Huang Shengleng SEZIONE B - Produzione con tecnice artistiche integra-te: nessun premio assegnato

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“Letteratura e ricerca” Gli studenti incontrano lo scrittore Lucilio Santoni

durante l’ultima Assemblea d’Istituto

In occasione dell'ultima Assemblea d'Istituto, tenu-tasi alla vigilia delle vacanze pasquali, il Dott. Luci-lio SANTONI, poeta e traduttore sambenedettese, ha tenuto un incontro dal titolo: LETTERATURA E RICERCA. Con una formula inconsueta, intervista-to da Noemi Passamonti, iscritta alla classe 5^ C del Liceo linguistico, l'autore ha risposto alle molte ed appassionate domande, poste anche dai quindici ra-gazzi e ragazze presenti, in merito al significato del-la poesia, al valore della parola come strumento di comunicazione e trasmissione di valori ed ideali civili e politici, in una prospettiva multiculturale. Spunto di riflessione collettiva è stato il volume Let-tere a Seneca, recentemente edito dall'autore per conto della casa editrice Marte. Il clima familiare e l'interesse spontaneo e sincero hanno reso il collo-quio una possibilità di crescita e riflessione per tutti i presenti, nonché una occasione per mettere alla prova i propri interessi letterari e la propria capacità di interazione intelligente con un esponente della cultura letteraria locale.

Roberto CRICCA

Alcuni momenti dell’incontro tra lo scrittore e critico letterario Lucilio Santoni e gli studenti del liceo durante l’assemblea del 4 aprile 2012, con la presenza del Prof. Roberto Cricca, organizzatore dell’iniziativa. Sotto a destra, la copertina del libro di Santoni, “Lettere a Seneca”, Marte Edizioni.

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L’intervista impossibile I saggi degli alunni vincitori del concorso “Leggi un libro”

Al fine di stimolare la lettura negli studenti e di utilizzare il patrimonio librario della Biblioteca “Mauro Laeng”, è stato indetto un concorso dal titolo “Leggi un libro”, consistente nella produzione di una INTER-VISTA IMMAGINARIA all’autore del libro, con una breve introduzione che indichi i motivi della scelta del libro, l’occasione dell’intervista (luogo e tempo), le domande e le risposte. La Giuria ha proclamato vincitori gli alunni Agostino Santarelli e Giada Di Marco della Classe 1^B Scientifico a pari merito.

INTERVISTA IMMAGINARIA A SUSANNA TAMARO, autrice de l libro “Ogni parola è un seme” Mentre ero nella biblioteca della scuola, mi è caduta l'attenzione su di un libro dal titolo "Ogni parola è un seme". Avendo studiato quest'anno l'affascinante materia dell'Educazione Linguistica, in particolare il processo comunicativo, ho deciso di prendere questo libro nella speranza di consolidare le mie conoscenze sulla materia. Agostino: Signora Tamaro, a cosa serve la letteratura? Susanna Tamaro: La letteratura serve ad andare nel profondo dell'animo umano, cosa che purtroppo oggi, subissati da comu-nicazioni rapide e superficiali, non è più possibile. Agostino: Lei è molto sensibile verso la natura; me ne spiegherebbe il motivo? Susanna Tamaro: Il bisogno di vivere con gli animali e lo stare a contatto con la terra. Sentivo che mi mancava questo. Agostino: Dove trova l'ispirazione per i suoi libri? Susanna Tamaro: A piè di un albero; osservandolo ho capito molte cose. Agostino: Iniziamo a parlare del suo libro "Ogni parola è un seme". Le ripropongo una domanda posta da lei nel libro: "Qual è stata la prima parola detta dall' uomo?". Susanna Tamaro: Pare che la capacità di parlare sia stata promossa da una necessità di adattarsi alla caccia. Pare che -deboli e poco pelosi come eravamo in un mondo di feroci predatori - abbiamo dovuto organizzarci in gruppo per cacciare. Pare che la prima parola sia esplosa spontaneamente: Più a destra! A sinistra! Aspetta! Circonda! Prendi la clava!. Agostino: L'evoluzione, uno dei tanti temi affrontati nel suo libro. Mi può dire qualcosa in più? Susanna Tamaro: Circa trenta milioni di anni fa la linea degli ominidi si è divisa in due branche differenti: quella degli omi-nidi e quella dei pongidi. Dai pongidi sono discese le scimmie che ci somigliano e dagli ominidi siamo discesi noi. Una domanda alla quale non so ancora darmi una risposta però è: "Perché mai abbiamo abbandonato gli alberi che ci davano riparo, frescura e nutrimento?". In ogni caso, noi siamo scesi e abbiamo iniziato a camminare, anzi a correre, perché le radure all'epoca non erano affatto luoghi rassicuranti. Agostino: Il fenomeno del sogliolamento: cos'è e cosa pensa a riguardo? Susanna Tamaro: Leggendo i giornali, guardando la televisione, parlando con le persone, ho la netta impressione che anche nel nostro cosiddetto mondo civile sia in corso un processo di "sogliolamento". Il nostro sguardo ormai riesce a percepire una dimensione soltanto, quella della materia. Finalmente ce l'abbiamo fatta! Siamo una cosa, soltanto una cosa, felicemente immer-sa tra le altre cose. Potremmo paragonare gli uomini agli scimmiotti di "2001: Odissea nello spazio": danzano in circolo con le ossa in mano, ripetendo ossessivamente dei suoni che hanno imparato a modulare e che permettono loro di stare nel branco. Agostino: Che cosa sono Anima e Coscienza per lei? Susanna Tamaro: Anima e Coscienza. Le ho sempre immaginate come due signorine un po' démodé, che, a braccetto, se ne vanno a spasso sul corso, il sabato pomeriggio. Camminano e non passa istante che una non bisbigli qualcosa all'altra. L'orecchio a cui erano destinati i loro sussurri era quello dell'uomo, ma ormai quell'organo, nonostante il progredire degli apparecchi acusti-ci è diventato sordo, così parlano soltanto tra di loro, vagando sempre più incerte e smarrite alla ricerca di qualcuno che le adotti, come i cani abbandonati sull'asfalto incandescente di agosto. Agostino: A cosa ci ha portati questo "esilio" dell'anima e della coscienza? Susanna Tamaro: Questo esilio dell'anima e della coscienza ci ha trasformati in contenitori vuoti. O meglio in recipienti per cose inutili. Agostino: Un aggettivo per definire i partecipanti dei reality show? Susanna Tamaro: Abominevoli. Dopo aver seguito "Il grande fratello" ed aver ascoltato tutti quei: "Secondo me è solo uno str…bip" "Lei è proprio una gattamorta" "No, è una vera tr…bip", credo che questo sia l'aggettivo più adatto.

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Agostino: "Siamo figli della luce ma lo dimentichiamo troppo spesso": cosa intendeva dire con questa citazione nel suo libro? Susanna Tamaro: Con questa citazione intendevo dire che nel mondo del "sogliolamento", le uniche luci sono quelle che si accendono e si spengono con la pressione di un dito su un interruttore, un timer o un telecomando. Nel mondo in cui il mistero non esiste la luce si trasforma in un fatto puramente pragmatico. Si sa di cosa è fatta, a cosa serve, come interagisce con la chimi-ca degli elementi, la si può riprodurre artificialmente, non c'è più zona buia che non possa venire illuminata. Agostino: Cosa ha provocato, allora, tutto ciò? Susanna Tamaro: Tutto questo ci ha messi al riparo da un sentimento estremamente scomodo e desueto almeno quanto l'abo-minio: lo sgomento. Agostino: Potremmo paragonare l'uomo ad un albero? Susanna Tamaro: Sì. Cresciamo verticalmente, come fanno gli alberi. Anche al nostro interno in qualche modo, riprendiamo la loro sagoma. A cosa mai somigliano i polmoni, con i bronchi e la trachea, se non a un albero dalla vegetazione compatta? Agostino: Possiamo definirci liberi? Susanna Tamaro: Siamo liberi. Nel ricco mondo occidentale siamo completamente liberi. Essendoci posti a misura di tutto possiamo compiere tutto ciò che questa unica realtà ci permette di raggiungere. Però questa società del cielo vuoto è una società solo apparentemente libera e forte. Agostino: Perché solo apparentemente? Susanna Tamaro: Non siamo liberi di dire una parola, quella che libera tutte le altre. Nostalgia. Sì, nostalgia dell'anima per definizione: Desiderio ardente e doloroso di persone, luoghi o cose a cui si vorrebbe tornare. Agostino: Perché questo titolo "Ogni parola è un seme"? Susanna Tamaro: Ogni parola è un seme e, come il seme quando è fecondo, contiene in sé il proprio nutrimento. Da troppo tempo le nostre parole non sanno più radicarsi. Girano stancamente senza trovare il terreno che permetta loro, nel chiacchiericcio ormai cosmico che ci avvolge, di aprirsi un varco. Uno spiraglio di senso, di verità, di fondamento. Sono tante, troppe, sempre più inutili. Ci parliamo continuamente, con i mezzi tecnologicamente più avanzati per non dirci niente. Potremmo definirle paro-le-coriandolo. Agostino: Che emozioni le ha dato scrivere questo libro? Susanna Tamaro: E' un libro che mi ha emozionata in maniera straordinaria, perché non mi sarei mai aspettata questa inten-sità, ed è stata una grande avventura interiore scriverlo. Sono veramente felice che possa condividerlo nel mondo anche se mi sento un pò più “povera” perché in qualche modo non è più con me… Anzi, già quando stavo per terminare la stesura, mi sentivo triste perché ero consapevole che non sarebbe stato più solo mio…

Agostino Santarelli

Segue nelle pagine 10 e 11

l’altra intervista di Giada Di Marco,

premiata a pari merito con Agostino Santarelli

nella prima edizione del Concorso

“Leggi un libro. L’intervista immaginaria”.

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INTERVISTA IMMAGINARIA AD ITALO CALVINO, autore del libro “Il sentiero dei nidi di ragno”. Non c’è una motivazione specifica sulla scelta del mio libro. Quando la professoressa mi ha detto che potevo e dovevo parteci-pare a questo concorso, inizialmente mi sono entusiasmata molto. L’ostacolo però è arrivato presto: mentre leggevo il catalogo dei libri nella biblioteca della scuola, era come se fossi in mezzo all’oceano sperduto con un isolotto a pochi passi da me. E’ molto difficile scegliere un libro leggendo solo i titoli, in mezzo a tanti, sapendo che poi dovrà piacerti e che se non ti piacesse, dovrai leggerlo comunque. E non c’è educazione letteraria che tenga: se il libro non fa per te è difficilissimo immedesimarti e cogliere te stesso tra le righe, e finisci per odiarlo. E così sono passati parecchi giorni perché io mi decidessi. Poi però sceglie-re un libro scritto da Calvino è stato immediato. Infatti avevo già letto alcuni suoi libri che mi avevano affascinato, così sono andata sul sicuro. Per quanto riguarda il titolo, “il Sentiero dei nidi di ragno”, mi è parso strano e misterioso: volevo assoluta-mente capire cosa nascondesse Calvino e sapendo che questo era il suo primo romanzo, ho immaginato che fosse un’esplosione di energia, di voglia di vivere, di animazione, di libertà. Seguendo questo sentiero, sono qui, oggi, 1965, di fronte ad Italo Calvino. Ho deciso di incontrarlo nella natura, visto che ani-ma sempre i suoi racconti. Gli scrittori mi hanno sempre affascinato perché hanno un mondo tutto loro ed hanno una sensibilità speciale capace di vedere la vita con altri occhi, nel suo più profondo ed intimo mistero. Poi sono generosi perché scrivono quello che sentono e ci regalano libri meravigliosi che a volte mi spaventano, perché riflettono me stessa. G.: Credo di non essere all’altezza di farle un’intervista Italo, sono molto emozionata e per scaricare un po’ la tensione: posso darle del tu? I.: Certo, siamo così vicini; perché mai dovremmo sembrare distanti? Tutti possiamo diventare scrittori, sai, basta solo non avere paura di affrontare il proprio essere, e le verità , e lasciarsi guidare dai pensieri. G.: Ho letto che regnava un clima particolare, quando hai deciso di scrivere questo libro che ha in un certo senso, influenzato il tuo modo di raccontare. In che senso? I.: La verità è che c’era un altro tipo di letteratura. Ciò che mi affascinava maggiormente era la consapevolezza che gli scrittori della mia generazione si trovavano in una condizione analoga a quella degli antichi aedi all’origine dell’epica classica. Alle sto-rie che avevamo vissuto di persona, o di cui eravamo stati spettatori, s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate tramite raccon-ti, con una voce, un’espressione mimica. Alcune pagine di questo romanzo hanno all’origine questa tradizione orale appena nata, nei fatti e nel linguaggio. Questa consapevolezza della nuova tradizione, di cui bisognava valorizzare la portata, mi solleci-tò a dare largo spazio ai discorsi diretti dei personaggi, a giocare creativamente col parlato e i dialetti e a fare del protagonista un erede dei cantastorie. Per esprimere, poi, il senso collettivo dell’ esperienza resistenziale pensai che dovevo saldare in una struttura romanzesca materiali diversi, costituiti dai personaggi e dalle situazioni presenti nei racconti della gente, nelle canzoni, in cui far rientrare anche le mie esperienze personali. La letteratura che ci interessava era quella che portava un senso di umanità ribollente, di spietatezza e di natura. G.: E da dove è nata precisamente quest’idea di scriverci un libro? I.: L’idea, secondo me, è nata dal desiderio di esprimere me stesso, il sapore aspro della vita che avevamo appreso fino ad allo-ra, ciò che pensavo di sapere e di essere. L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, come ho detto prima, prima che un fatto d’arte, un fatto collettivo, esistenziale. Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo appena fatto in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti ma vincitori, spinti dalla carica della battaglia appena conclusa, deposi-tari esclusivi della sua eredità. G.: Eri ed eravate molto ottimisti? I.: No, non era ottimismo, era pura euforia, ci sentivamo depositari di un senso della vita, come qualcosa che può ricominciare da zero. I Gap di Milano avevano avuto subito il loro romanzo, con “Uomini o no” di Vittorini; noi che eravamo stati partigiani di montagna avremmo voluto avere il nostro di romanzo, con il nostro diverso ritmo… G.: Sentivi di avere già delle responsabilità da scrittore? I.: Non proprio Responsabilità con la R maiuscola. La pazzia, l’euforia rendevano vivi i nostri pensieri e nasceva in me, in noi, l’esigenza di esprimere, di esprimerci. Non bisognava rifletterci, era un sintomo spontaneo. G.: Esprimere che cosa? I.: Noi stessi, il sapore aspro della vita che come ho detto avevamo appreso allora: personaggi, paesaggi, spari, didascalie politi-che, voci gergali, parolacce, armi. Eravamo impazienti di gridare al mondo ciò che sapevamo ed eravamo, di scrivere una storia dedicata a noi, a me e ai miei compagni. Volevamo però una storia diversa: sapevo bene che tanti grandi avvenimenti storici sono passati senza ispirare nessun grande romanzo, e questo anche durante il secolo del romanzo per eccellenza. Sapevo che il grande romanzo del Risorgimento non è mai stato scritto. E’ difficile da spiegare: non mi sentivo responsabile da scrittore ma credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica ci si senta presi da… una “responsabilità” un po’ spe-ciale… Capisci? Sentivo l’urgenza, il dovere di farmi interprete di questo eccezionale momento storico, condividendo con le varie voci che davano vita al neorealismo il progetto di una letteratura rinnovata nei temi e nel linguaggio, aderente alla vita popolare, ca-pace di rendere il dramma della gente con uno stile adeguato alla realtà rappresentata e un linguaggio vicino al parlato. G.: E quindi avevi già un’idea precisa sul come impostare il tuo libro?

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G.: Una cosa mi ha lasciato perplessa. Come mai non hai raccontato in prima persona le tue esperienze? I.: Per mesi, dopo la fine della guerra, avevo provato a raccontare l’esperienza partigiana in prima persona. Scrissi qualche rac-conto ma mi muovevo nel disagio, veniva sempre fuori qualche stonatura, la mia storia personale mi pareva umile, meschina. Quando incominciai a scrivere storie in cui non entravo io, tutto prese a funzionare: il linguaggio, il ritmo. E più lo facevo anoni-mo, oggettivo, più mi dava soddisfazione. Cominciai quindi a capire che un racconto, tanto più era oggettivo e anonimo, tanto più era mio. Ogni storia si muoveva con tutta sicurezza in un mondo che conoscevo bene: era questa la mia esperienza, moltipli-cata per le esperienze degli altri. Ed il senso storico, il sentimento, erano presenti proprio perché li lasciavo impliciti, nascosti. G.: Da dove è saltato fuori il protagonista della storia, Pin, che poi ha animato l’intera vicenda sullo sfondo della resistenza? I.: Cominciai a sviluppare un racconto sul personaggio d’un ragazzetto partigiano che avevo conosciuto nelle bande. Non pen-savo però che m’avrebbe preso più spazio degli altri. È un personaggio molto allegro, che con spavalderia affronta le difficoltà di un mondo ostile e tende a trasformare la realtà in gioco, con quella serietà terribile propria dei ragazzi quando giocano. Pin ha dato un tocco quasi fiabesco-avventuroso al mio libro. Un bambino che non cambia , che non esce dal suo egocentrismo, che per difendersi dalla paura della morte, tende a trasporre tutto ciò che accade su un piano diverso: quello del gioco e del favoloso. G.: E perché si trasformò in un romanzo? I.: Perché compresi, solamente alla fine, l’ identificazione tra me e il protagonista. Il rapporto tra il personaggio Pin e la guerra partigiana corrispondeva al rapporto che con la guerra partigiana m’ero trovato ad avere io. L’inferiorità di Pin come bambino di fronte all’incomprensibile mondo dei grandi corrispondeva a quella che nella stessa situazione provavo, come borghese. G.: Quindi la storia, in cui il tuo punto di vista personale era bandito, torna ad essere la tua storia? I.: E già… la mia storia era quella dell’adolescenza durata troppo a lungo per il giovane che aveva preso la guerra come un ali-bi. Nel giro di pochi anni l’alibi era diventato un qui e un ora. Troppo presto per me; o troppo tardi. Prima la guerra, ora nella pace con il fervore delle nuove energie che animava tutte le relazioni, una carica armoniosa elettrizzava l’aria, illuminava gli occhi delle ragazze che la guerra e la pace ci avevano restituito e fatto più vicino, divenute ora davvero coetanee e compagne. Però di fronte ad ogni possibilità che s’apriva io non riuscivo ad essere quello che avevo sognato fino ad allora: ero stato l’ultimo dei partigiani, ero un innamorato incerto ed insoddisfatto. Carico di volontà e di tensioni giovanili, m’era negata la spontanea grazia della giovinezza. Il maturare impetuoso dei tempi non aveva fatto altro che accentuare la mia immaturità. G.: Adesso ho capito… ecco il perché nella nostalgia di Pin di tornare a giocare… I.: Si, proprio per questo il protagonista simbolico del mio libro è stata un’immagine di regressione:un bambino. Allo sguardo infantile e geloso di Pin, armi e donne ritornavano lontane e incomprensibili. G.: E per quanto riguarda il linguaggio? I.: Scrivendo, il mio bisogno stilistico era tenermi più in basso dei fatti, l’italiano che mi piaceva era quello di chi non parla ita-liano in casa. Cercavo di scrivere come avrebbe scritto un ipotetico me stesso autodidatta. G.: E gli ambienti? I.: Avrai notato che sono di scorcio e raramente abbracciano l’orizzonte, sempre per definire una condizione umana faticosa. G.: Ho notato, poi, che all’inizio del tuo libro c’è una dedica: a Kim e a tutti gli altri. Chi erano? I.: Durante la Resistenza, con un mio amico e coetaneo, che ora fa il medico, e allora era studente come me, passavamo le sere a discutere. Per entrambi la Resistenza era stata l’esperienza fondamentale; per lui in maniera più impegnativa perché a poco più di vent’anni era stato commissario d’una divisione partigiana, quella di cui io pure avevo fatto parte ma come garibaldino. Il mio amico era un argomentatore analitico, freddo, sarcastico verso ogni cosa che non fosse un fatto; l’unico personaggio intellettuale, Kim, voleva essere un suo ritratto. G.: Che cosa rappresenta per te il sentiero dei nidi di ragno? I.: Il sentiero dei nidi di ragno è in un certo senso la strada verso una vita più adatta a Pin, un luogo segreto che solo lui sa , dove riesce a sentirsi se stesso, a non percepire il grave peso di una guerra insostenibile per un bambino. Rispecchia un po’ il mio comportamento, quando la felicità mi pesa come un macigno sull’anima. Pin, in fondo, ha creato da sé questo posto, e vorrebbe qualcuno accanto a sé con cui condividerlo; ma gli adulti sono accecati dal potere e dalla violenza. La verità è che i bambini han-no un grande dono: la sincerità. Loro sperano che gli adulti si ricordino di quella sincerità che un giorno brillava anche nei loro occhi. Ma i grandi non sanno più fare niente, non hanno più nessuna forza, non sono più capaci di cogliere messaggi d’aiuto sinceri. I loro occhi non vedono e i loro pensieri non vivono. E finisce sempre così: sono i più piccini a sentirsi alieni e cercano il più possibile di essere come loro. La forza del pensiero non tradisce mai, la fantasia riesce a trasportarli nel loro mondo ideale, unico, dove hanno la possibilità di tornare nella loro vita. I ragni sono diventati amici per Pin, anche se a volte si sfoga con loro, perché sono le uniche bestie che sente più vicine, che sa che non lo abbandoneranno mai, perché hanno lì il loro nido, la loro casa.. Infatti il posto dei nidi di ragno è il luogo dove è iniziata la vicenda e dove è finita, dove ha incontrato finalmente un vero amico, una “madre” capace di dargli calore e farlo sentire protetto e amato. Cugino è l’uomo che sa accostarsi all’immaginario di Pin, si propone come il possibile intermediario con il mondo degli adulti e quindi della storia. G.: Questo è il primo libro che hai scritto. Che effetto ti fa a riprenderlo in mano adesso? I.: …Mi guardo indietro, tutto è lontano e nebbioso. Più che un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario in cui la generazione si riconosceva dopo la fine della guer-ra. Voglio dire una cosa ai giovani scrittori, a te, se un giorno deciderai di esserlo.. il primo libro diventa subito un diaframma tra te e l’esperienza, taglia i fili che ti legano ai fatti; quello sarebbe diventato un tesoro se avessi avuto la pazienza di custodirlo, se non avessi avuto tanta fretta di spenderlo. La memoria non si riavrà più e il poeta si ritrova ad essere il più povero di tutti. G.: Sembri molto triste per quello che hai detto. Ma, voi scrittori siete un caso a parte? I.: Forse siamo proprio un caso a parte… chi lo sa!?

Giada Di Marco

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La Redazione de “Il Saffo parlante”

Siamo su

Internet:

ilsaffoparlante@

gmail.com

In redazione: Benedetta Alcini, Lucia Santarelli, Rebecca Bucci, Florean Andrei, Tania Savini, Mar-

tina Fiorà, Ludovica Nardulli

Ha collaborato: Biancamaria Di Domenico

Coordinamento editoriale: Prof. Vincenzo Di Marco

Direzione: Prof. Viriol D’Ambrosio

Si ringraziano: i docenti del Saffo, il Comune di Roseto, il Personale ATA e la Segreteria per il sup-

porto tecnico.

Vi aspettiamo il prossimo anno con il giornalino degli studenti. Vi aspettiamo il prossimo anno con il giornalino degli studenti. Vi aspettiamo il prossimo anno con il giornalino degli studenti. Vi aspettiamo il prossimo anno con il giornalino degli studenti. Un grazie a tutti coloro che hanno collaborato con la redazione.Un grazie a tutti coloro che hanno collaborato con la redazione.Un grazie a tutti coloro che hanno collaborato con la redazione.Un grazie a tutti coloro che hanno collaborato con la redazione.

Per una conclusione… che sa di inizio!

Possiamo dircelo con tutta franchezza: l’anno scolastico che

sta per chiudersi è stato davvero “speciale”, in tutti i sensi.

Ne abbiamo viste di tutti i colori, a partire dalla grande nevi-

cata di febbraio, dalle polemiche sui giornali che ci vedeva-

no un giorno sì e l’altro pure sul banco degli imputati per

colpe inesistenti e, in ultimo, dal protagonismo di un grup-

po di studenti che “protesta” in pratica su tutto. E chi più ne

ha, più ne metta.

Certo, non dobbiamo nascondere i problemi annosi della

nostra scuola facendo finta di niente. Nessuno ha mai nega-

to che i problemi strutturali del Polo Liceale “Saffo” sono

risolti: a Via Milli non si può parlare di situazione ottimale e

le decisioni assunte dalla scuola in materia di “contributo

scolastico” sono rivedibili come ogni altra questione. Chi

può smentire con coscienza questa premessa? Assieme si

decide e assieme si deve cambiare la situazione.

Quello che ha dato realmente fastidio, e non si riesce anco-

ra a digerire, è il polverone alzato ad arte da più parti per

mostrare in prima evidenza i guai della scuola e, così facen-

do, nascondere il buono e il giusto prodotti quotidiana-

mente da studenti, docenti e collaboratori tecnici. Vedere

ignorata la propria fatica, l’impegno degli studenti nello

studio, nei progetti pomeridiani, nei concorsi, nelle attività

sportive; vedere deriso il senso di responsabilità e la serietà

dell’insegnamento; vedere offuscati i risultati raggiunti dai

ragazzi meritevoli, non è un bene per la nostra scuola. La

sensazione che si è avuta in questi mesi è proprio questa: si

vuole che si “parli male” del Liceo Saffo. E in parte i nostri

denigratori hanno raggiunto questo obiettivo.

C’è voluta un bel po’ di fatica per spiegare all’opinione pub-

blica che qui si fa sul serio e che non si inseguono vessilli

immaginari per conto di questo o di quest’altro; altrettanta

ne è servita per discutere nel merito con gli studenti al solo

scopo di aiutarli a crescere nelle assemblee, nelle aule, nelle

visite guidate, nella lettura dei giornali, pur sapendo che

una parte minoritaria preferiva al metodo collaborativo

della scuola un impegno basato sul puro rivendicazionismo

politico; così come quella impiegata dallo staff di presidenza

per dialogare con docenti e studenti e venire incontro alle

esigenze di tutti, anche quando queste ultime non sembra-

vano avere inizialmente i requisiti necessari di legittimità e

pertinenza. Questo è stato: sintesi ingrata ma doverosa.

Mi sembra che sia mancato, e manchi tuttora, il vero motore

trainante di una scuola degna di questo nome. Parlo

dell’abnegazione al lavoro, la puntualità negli impegni scolasti-

ci, la franchezza nelle relazioni.

Per farmi capire vorrei presentare un pensiero di Hegel, che

chiarisce un punto fondamentale. Quello che per noi insegnanti

sembra una espropriazione di conquiste ottenute, un mancato

riconoscimento dei nostri meriti, una condizione di apparente

sconfitta in cui sembriamo precipitati, un venir meno delle sicu-

rezze che ogni giorno vediamo diminuire anche per colpa di

un’opinione pubblica che è interessata solo a ciò “che non va”

nelle aule scolastiche, potrebbe essere al contrario

un’occasione di riscossa. Hegel esamina la condizione “servile”

e fa diventare virtù quello che solitamente consideriamo bruta-

le schiavitù: “Nel lavoro, dunque, in cui essa [la coscienza

servile] sembrava essere solo un senso estraneo, la coscienza

ritrova sé mediante se stessa e diviene senso proprio…. Senza la

disciplina del servizio e dell’obbedienza, la paura resta solo

formale e non si riversa sull’esistenza reale consapevole. Senza

l’attività formatrice, la paura resta interiore e muta, e la co-

scienza non diviene per se stessa”.

Mi accingo a visionare questo ultimo numero realizzato dalla

redazione de “Il Saffo parlante”. Ragazzi e ragazze che hanno

lavorato in silenzio, cercando di far bene e di capire cosa stesse

accadendo all’interno della nostra scuola. Non so se siano riu-

sciti a fornire un ritratto saliente degli umori e degli obiettivi

dei loro coetanei. Hanno agito un po’ per gioco e sicuramente

per interesse culturale. Si poteva fare molto di più e forse non

è stato affrontato tutto quello che si voleva all’inizio.

Il lavoro di questi ragazzi è una buona metafora anche per noi

adulti. Quelli che apparentemente sembrano sforzi vani e non

produttivi, a lungo andare possono acquisire un’altra valenza.

Si dice spesso che la fatica compiuta rimane, si sedimenta, di-

venta esperienza e appartiene di diritto al proprio bagaglio di

conoscenze. Questo percorso comprende gli errori compiuti, i

successi, ma anche le incomprensioni e i risentimenti personali.

Però insegna molto a chi vi vuole trovare utili consigli.

Il mio ringraziamento va a tutti i ragazzi, alcuni di loro più gio-

vani che spero vogliano proseguire anche in futuro, altri oramai

vicini agli esami finali. In particolare a questi ultimi va il mio

augurio che possano trovare in altre occasioni di studio, di

svago culturale e poi nella professione, lo stesso entusiasmo (e

competenza) con cui hanno onorato questo loro impegno.

Vincenzo Di Marco