il sentiero 2011c sentiero 2011-foglio2a.pdfil cinguettio gentile di cinciallegre e fringuelli,...

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Facciamo poi una passeggiata di circa un’ora fino alla Madon- na del Piano. Nello spiazzo erboso antistante la chiesetta ci fermiamo per il nostro pic-nic, come sempre condito da buon umore e chiacchiere a ruota libera. Sulla strada del ritorno ci fermiamo a Dolcedo, qui ammiriamo il bel ponte sul torrente Prino e facciamo l’ultima foto ricordo di questo piacevole sog- giorno. Arrivederci Liguria: ara di pietra sei, tra cielo e mare levata, dove brucia la canicola aromi di selvagge erbe. {Maria Rosa C. e Gianni F.: Dal Mare ai Monti, 23-26.4.2010} Destinazione familiare per molti di noi, le Prealpi ci accolgono col sorriso del vice-sindaco (addirittura!) che ci accompagna all’imbocco della mulattiera; percorriamo i prati smeraldo tra- punti di bianchi sambuchi, di myosotis rosa-ceruleo, tra noccioli e carpini. Il cinguettio gentile di cinciallegre e fringuelli, catarsi per le nostre orecchie cittadine, alleggerisce il cuore ed il passo di ognuno. Imbocchiamo l’antica mulattiera Valbrona-Osigo, un sentiero in falso-piano tra le ombre lunghe dei faggi. Poco dopo mezzo- giorno, ecco la vetta del primo Corno, con vista mozzafiato a 360°. Sembra però di essere al casello di Melegnano al 31 agosto… e non è il caso di sostare per il meritato panino, travestiti da fenicotteri equilibristi su un piede solo. Proseguiamo verso il rifugio SEV, che pullula di bipedi allegri e colorati; qui il grosso del gruppo si ferma a godersi brezza e sole, mentre un mini-drappello di ardimentosi (al secolo, il gruppo A) supera un divertente tratto di corde metalliche e camini ed ecco la seconda cima. Non paghi, proseguiamo a rendere omaggio al fratello più picci- no, il Moregallo, tra il rosa intenso di dafne odorose ed il violetto delle globularie. L’immancabile foto di gruppo (cinque, pochi ma buoni) accanto alla Madonnina di Vetta. Intorno a noi, vista sui laghi di Lecco e di Pusiano, ai nostri piedi… cespugli di dafne e globularie, e olezzi organici caprini che cerchiamo di non calpestare. Dal rifugio SEV, gruppo A, B e C (come Cibo) tornano alla spicciolata, facendo tra l’altro il piacevole incontro di una maiali- na (in quanto cucciola) di 100 kg, nota bucolica (prima di tra- sformarsi in gastronomica, ahi lei) che chiude in bellezza la nostra domenica tra i monti di casa: “Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo…” {Adriana S.: Corni di Canzo, 23.5.2010} L’Emilius è da considerarsi senz’altro una cima importante, anche se raggiungibile senza eccessive difficoltà; ma l’escur- sione è comunque lunga, l’ambiente è austero, solitario e senza alcun segno di civiltà. Il nostro gruppo l’ha già raggiunto nel settembre del 2000, ma in condizioni completamente diver- se soprattutto per l’assenza di neve. Penso che chi vi era stato allora non si è certo annoiato a ripeterlo. Lo scorso anno, pur essendo stati in un luogo bellissimo, non eravamo riusciti a raggiungere la meta prefissata, a causa della neve che nascon- deva buona parte del sentiero. Anche nel corso dell’escursione di sette giorni fa, che prevedeva la salita al Colle di Nanaz, l’accumulo di neve in un vallone ci ha fermato poco prima della meta. La preoccupazione di essere bloccati anche questa volta era più che fondata, per cui dopo aver raggiunto il Rifugio Arbole nella giornata di sabato (con una prima salita alla Testa Nera, come allenamento), siamo andati a esplorare la prima parte del percorso, che si dispiega su pendii quasi mai eccessi- vamente ripidi, in un ambiente che diventa sempre più aspro e selvaggio, addolcito di tanto in tanto da limpide pozze d’acque e da qualche laghetto. A vista, fino alla zona in cui avrebbe dovuto situarsi il Lago Gelato non si vedevano tratti innevati complicati. Infatti, il giorno successivo siamo arrivati senza particolari difficoltà nei dintorni del Lac Gelè (che a onore del suo nome era quasi completamente ghiacciato); ma dopo aver superato un tratto con neve in leggere discesa, iniziava il ripido e nevoso pendio che ci avrebbe portato al Col des Trois Capucins, la cui caratteristica sagoma già avevamo avvistato e che sembrava raggiungile più facilmente. La salita è stata invece lenta sia per la pendenza sia per l’attenzione da prestare per seguire il percorso ghiacciato, sia pure già gradinato; quindi ci siamo trovati al di sopra del Colle, all’inizio dell’inerpicata finale che con 300 m di dislivello porta alla vetta; qui il terreno cambiava comple- tamente: grossi blocchi di pietra color ruggine, sassi e massi di ogni dimensione caratterizzavano l’ambiente; solo qualche tratto di neve rompeva la monotonia. Anco- ra un’ora di fatico- so cammino per raggiungere la vetta. Non è stato semplice, soprattutto per la difficoltà a individuare il percorso e per l’irregolarità del terreno (passaggi di 1° grado); ci siamo alternati alla testa del gruppo, cercando di individuare a turno i pochi ometti presenti e le tracce di chi ci aveva preceduto, guidati nella parte finale da chi già aveva raggiunto la cima. Tutti raggiungiamo l’Emilius, come anche numerosi altri gruppi che avevano pernottato nel rifugio; in vetta, nell’atmosfera rarefatta, come accade di solito, l’allegria predomina, e per alcuni momenti non si pensa alla strada del ritorno che sarà comunque lunga, faticosa e non senza qualche insidia. {Luigi C.: Monte Emilius, 3-4.7.2010} È naturale che dopo quattro giorni di "full immersion" negli stupendi scenari dolomitici, il nostro gruppo abbia familiarizzato con cenge, guglie, pinnacoli, forre e alte cime. Tuttavia l'aria tersa e limpida che ci offre questa mattina del 26 agosto sem- la discesa verso S. Ambrogio: agevole per molti, impegnativo per qualcuno, che non apprezza l'acciottolato umido-scivoloso, e non condivide l'entusiasmo dei locali che in cartelli lungo il percorso ne tessono gli elogi. Gita interessante, in simpatica compagnia, coronata alla fine dalla degustazione di ottimi panettoni, con vino bianco, e rosso, e bibite varie. {Lidia G.: Sacra di S. Michele, 21.3.2010} Durante i primi giorni della settimana, il clima mite e la luce del sole che accende il verde delle foglie appena spuntate, mi fanno pregustare la passeggiata all'Eremo di S. Giorgio. Ma... venerdì, il colonnello Giuliacci e altri suoi colleghi mena- gramo, sono lì, su tutti i canali TV, ad illustrare con una cartina una perturbazione atlantica che domenica 11 aprile interesserà tutta l'Italia del Nord! Domenica mattina vedo che le più nere previsioni dei corvacci si sono avverate. Giungiamo al paese di Caino: scendiamo dal pullman e inizia- mo a metterci gli scarponi e ad issarci gli zaini sulle spalle. Alcuni abitanti escono dal bar e ci guardano stupiti e decisa- mente scettici: un ometto, con aria leggermente canzonatoria, chiede: ma dove andate con questo tempo? Iniziamo a cammi- nare sotto una pioggia fine e intermittente, il mio proposito è di arrivare al poco distante Santuario della Madonna delle Fonta- ne e lì valutare se proseguire o tornare indietro. Ben presto, solitario e colorato, appare il Santuario: molti di noi decidono di fermarsi; io spingo lo sguardo avanti e vedo che la mulattiera si inoltra in un bosco rado, come piace a me e mi viene voglia di proseguire. Procediamo in fila indiana ed in silenzio, lo sguardo spazia sul sottobosco che è un'armonia di colori: l'indaco delle pervinche, il violetto delle anemoni epatiche e delle viole, il giallo delle primule e il verde sempre diverso delle prime felci, del muschio e di altre erbette anonime ma pur belle. Il sentiero tortuoso e disuguale si inerpica sempre più, la fatica si fa senti- re, la temperatura si abbassa: ad un tratto, la pioggia si tramuta in nevischio ghiacciato. Avanziamo lentamente mentre il nevi- schio si infittisce; mi guardo attorno e ammiro una vetrina di Swarovski: le pervinche, le viole, le primule, gli anemoni, tem- pestati di granuli di neve ghiacciata, hanno assunto l'aspetto fragile e trasparente del cristallo. Un vento freddo ed impetuoso fa turbinare la neve che ci avvol- ge e rende difficile proseguire. Finalmente arriviamo ad un gruppo di capanni di caccia, uno è aperto ed entriamo. È più confortevole di un resort a cinque stelle! Ci cambiamo in fretta e mangiamo le nostre provviste, poi guardiamo fuori: l'eremo è lì a meno di 10 minuti di cammino, infatti vediamo la croce. Gianangelo ed Emilia, pieni di corag- gio, partono per raggiungerlo, Erna ed io preferiamo rimanere al riparo e meditiamo sulla discesa impegnativa che ci attende. La via del ritorno che si presenta subito difficoltosa; la affrontiamo piano piano ed io non esito a superare il punto più scabroso usando la parte meno nobile del corpo, fra le risate generali. Finalmente arriviamo in vista del pullman che ci appare come un ambito e munifico premio alla nostra escursione faticosa, sì, ma insolita, bella e soddisfacente. {Anna Maria R.: Eremo di S. Giorgio, 11.4.2010} Scarsa lingua di terra che orla il mare, chiude la schiena arida dei monti: così la Liguria in una poesia di C. Sbarbaro. Ed eccoci ancora una volta in questa regione con l’intenzione di tralasciare il mare e di dedicarci ai monti. Il pomeriggio del primo giorno visitiamo Cervo, borgo medievale a picco sul mare e dominato dalla imponente chiesa barocca dei Corallini, costruita da chi armava le barche per la pesca del corallo in Sardegna. Visitiamo il museo etnografico dove utensili e attrezzi da lavoro ci parlano di un passato prossimo nel tempo ma assai remoto se confrontato agli stili di vita attuali. Sabato 24, si prevede un’escursione al Pizzo d’Evigno. Il tempo è incerto ma il gruppo è deciso e compatto, i panini sono negli zaini, gli equipaggi delle macchine sono ai loro posti e quindi via! Si risale la Val Impero e si arriva al Passo del Ginestro. Un facile sterrato ci porta al Passo San Giacomo dove inizia un sentiero che sale con pendenze alterne. Quando non si è al riparo nel bosco, il vento non ci dà tregua, però contribuisce a spazzare le nuvole. Dopo un’ultima salita arriviamo in cima al Pizzo dove i più si fermano. Gli instancabili, invece, avendo individuato una cimetta a circa 1 km di distanza si propongono di raggiungerla. A tal fine, scendono un 200 metri fino alla sella e quindi iniziano la salita al Monte Ceresa dove un cippo sormontato da un elmetto degli alpini indica l’altezza di 913 m. Domenica il tempo è bellissimo. Il programma prevede la visita a Triora e un giro ad anello per il gruppo B, mentre il gruppo A affronterà un’escursione piuttosto impegnativa nella Foresta Demaniale del Gerbonte. Triora grosso borgo medievale che domina l'alta Valle Argentina, è conosciuto come il paese delle streghe. Infatti negli anni 1587 –89, 12 donne e un uomo furono accusati di stregoneria. Il Gruppo B si dedica ad un’accurata visita del paese soffermandosi alla Cabotina, luogo dove la leggenda dice che le streghe ballavano con il diavolo! Qui le donne del gruppo si fanno fotografare tutte insieme, mentre gridano Tremate, tremate le streghe son tornate! Il Gruppo A, raggiunge in auto l’abitato di Creppo, m 806. Intorno al paese si vedono fasce ormai abbandonate: terreno ricavato a fatica sui pendii per poter coltivare qualche patata. Non erano grandi raccolti ma servivano almeno a togliere un poco la fame, come ci dice un abitante del posto. Da Creppo, dopo circa un’ora, si arriva nella foresta del Gerbonte e si prosegue su un sentiero sempre ben segnato anche se un po’ monotono. Comunque, camminare tra faggi secolari, toccare i loro vecchi tronchi, poter scorgere anche qualche scoiattolo, sentire il profumo delle erbe selvatiche e vedere i fiorellini che spuntano miracolosamente dalla roccia, è veramente un piacere. Arrivati alla zona denomi- nata “La Porta” a 1300 m la mulattiera si snoda tra rocce caver- nose ed a strapiombo. Il gruppo compatto prosegue su un largo sentiero che salendo diventa sempre più innevato. Dopo circa 3 ore, come per incanto nel bosco, si apre una radura con una caserma della forestale tutta circondata da neve. Qui il gruppo si ferma per il meritato pranzo al sacco con vista sul Monte Gerbonte che sembra un panettone di piante e rocce. Gli in- stancabili arriveranno fino alla cima per godere del panorama a 360° (la giusta ricompensa per chi fatica di più!). Ed eccoci all’ultimo giorno, lunedì 26 aprile. Tutti insieme partia- mo per Valloria, un piccolo borgo antico a 15 km da Imperia. E’ un posto speciale: ci addentriamo nel labirinto dei suoi caruggi per ammirare le porte di stalle, magazzini e cantine, dipinte da veri artisti.

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Facciamo poi una passeggiata di circa un’ora fino alla Madon-na del Piano. Nello spiazzo erboso antistante la chiesetta ci fermiamo per il nostro pic-nic, come sempre condito da buon umore e chiacchiere a ruota libera. Sulla strada del ritorno ci fermiamo a Dolcedo, qui ammiriamo il bel ponte sul torrente Prino e facciamo l’ultima foto ricordo di questo piacevole sog-giorno. Arrivederci Liguria: ara di pietra sei, tra cielo e mare levata, dove brucia la canicola aromi di selvagge erbe. {Maria Rosa C. e Gianni F.: Dal Mare ai Monti, 23-26.4.2010} Destinazione familiare per molti di noi, le Prealpi ci accolgono col sorriso del vice-sindaco (addirittura!) che ci accompagna all’imbocco della mulattiera; percorriamo i prati smeraldo tra-punti di bianchi sambuchi, di myosotis rosa-ceruleo, tra noccioli e carpini. Il cinguettio gentile di cinciallegre e fringuelli, catarsi per le nostre orecchie cittadine, alleggerisce il cuore ed il passo di ognuno. Imbocchiamo l’antica mulattiera Valbrona-Osigo, un sentiero in falso-piano tra le ombre lunghe dei faggi. Poco dopo mezzo-giorno, ecco la vetta del primo Corno, con vista mozzafiato a 360°. Sembra però di essere al casello di Melegnano al 31 agosto… e non è il caso di sostare per il meritato panino, travestiti da fenicotteri equilibristi su un piede solo. Proseguiamo verso il rifugio SEV, che pullula di bipedi allegri e colorati; qui il grosso del gruppo si ferma a godersi brezza e sole, mentre un mini-drappello di ardimentosi (al secolo, il gruppo A) supera un divertente tratto di corde metalliche e camini ed ecco la seconda cima. Non paghi, proseguiamo a rendere omaggio al fratello più picci-no, il Moregallo, tra il rosa intenso di dafne odorose ed il violetto delle globularie. L’immancabile foto di gruppo (cinque, pochi ma buoni) accanto alla Madonnina di Vetta. Intorno a noi, vista sui laghi di Lecco e di Pusiano, ai nostri piedi… cespugli di dafne e globularie, e olezzi organici caprini che cerchiamo di non calpestare. Dal rifugio SEV, gruppo A, B e C (come Cibo) tornano alla spicciolata, facendo tra l’altro il piacevole incontro di una maiali-na (in quanto cucciola) di 100 kg, nota bucolica (prima di tra-sformarsi in gastronomica, ahi lei) che chiude in bellezza la nostra domenica tra i monti di casa: “Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo…” {Adriana S.: Corni di Canzo, 23.5.2010} L’Emilius è da considerarsi senz’altro una cima importante, anche se raggiungibile senza eccessive difficoltà; ma l’escur-sione è comunque lunga, l’ambiente è austero, solitario e senza alcun segno di civiltà. Il nostro gruppo l’ha già raggiunto nel settembre del 2000, ma in condizioni completamente diver-se soprattutto per l’assenza di neve. Penso che chi vi era stato

allora non si è certo annoiato a ripeterlo. Lo scorso anno, pur essendo stati in un luogo bellissimo, non eravamo riusciti a raggiungere la meta prefissata, a causa della neve che nascon-deva buona parte del sentiero. Anche nel corso dell’escursione di sette giorni fa, che prevedeva la salita al Colle di Nanaz, l’accumulo di neve in un vallone ci ha fermato poco prima della meta. La preoccupazione di essere bloccati anche questa volta era più che fondata, per cui dopo aver raggiunto il Rifugio Arbole nella giornata di sabato (con una prima salita alla Testa Nera, come allenamento), siamo andati a esplorare la prima parte del percorso, che si dispiega su pendii quasi mai eccessi-vamente ripidi, in un ambiente che diventa sempre più aspro e selvaggio, addolcito di tanto in tanto da limpide pozze d’acque e da qualche laghetto. A vista, fino alla zona in cui avrebbe dovuto situarsi il Lago Gelato non si vedevano tratti innevati complicati. Infatti, il giorno successivo siamo arrivati senza particolari difficoltà nei dintorni del Lac Gelè (che a onore del suo nome era quasi completamente ghiacciato); ma dopo aver superato un tratto con neve in leggere discesa, iniziava il ripido e nevoso pendio che ci avrebbe portato al Col des Trois Capucins, la cui caratteristica sagoma già avevamo avvistato e che sembrava raggiungile più facilmente. La salita è stata invece lenta sia per la pendenza sia per l’attenzione da prestare per seguire il percorso ghiacciato, sia pure già gradinato; quindi ci siamo trovati al di sopra del Colle, all’inizio dell’inerpicata finale che

con 300 m di dislivello porta alla vetta; qui il terreno cambiava comple-tamente: grossi blocchi di pietra color ruggine, sassi e massi di ogni dimensione caratterizzavano l’ambiente; solo qualche tratto di neve rompeva la monotonia. Anco-ra un’ora di fatico-so cammino per raggiungere la vetta. Non è stato

semplice, soprattutto per la difficoltà a individuare il percorso e per l’irregolarità del terreno (passaggi di 1° grado); ci siamo alternati alla testa del gruppo, cercando di individuare a turno i pochi ometti presenti e le tracce di chi ci aveva preceduto, guidati nella parte finale da chi già aveva raggiunto la cima. Tutti raggiungiamo l’Emilius, come anche numerosi altri gruppi che avevano pernottato nel rifugio; in vetta, nell’atmosfera rarefatta, come accade di solito, l’allegria predomina, e per alcuni momenti non si pensa alla strada del ritorno che sarà comunque lunga, faticosa e non senza qualche insidia. {Luigi C.: Monte Emilius, 3-4.7.2010} È naturale che dopo quattro giorni di "full immersion" negli stupendi scenari dolomitici, il nostro gruppo abbia familiarizzato con cenge, guglie, pinnacoli, forre e alte cime. Tuttavia l'aria tersa e limpida che ci offre questa mattina del 26 agosto sem-

la discesa verso S. Ambrogio: agevole per molti, impegnativo per qualcuno, che non apprezza l'acciottolato umido-scivoloso, e non condivide l'entusiasmo dei locali che in cartelli lungo il percorso ne tessono gli elogi. Gita interessante, in simpatica compagnia, coronata alla fine dalla degustazione di ottimi panettoni, con vino bianco, e rosso, e bibite varie. {Lidia G.: Sacra di S. Michele, 21.3.2010} Durante i primi giorni della settimana, il clima mite e la luce del sole che accende il verde delle foglie appena spuntate, mi fanno pregustare la passeggiata all'Eremo di S. Giorgio. Ma... venerdì, il colonnello Giuliacci e altri suoi colleghi mena-gramo, sono lì, su tutti i canali TV, ad illustrare con una cartina una perturbazione atlantica che domenica 11 aprile interesserà tutta l'Italia del Nord! Domenica mattina vedo che le più nere previsioni dei corvacci si sono avverate. Giungiamo al paese di Caino: scendiamo dal pullman e inizia-mo a metterci gli scarponi e ad issarci gli zaini sulle spalle. Alcuni abitanti escono dal bar e ci guardano stupiti e decisa-mente scettici: un ometto, con aria leggermente canzonatoria, chiede: ma dove andate con questo tempo? Iniziamo a cammi-nare sotto una pioggia fine e intermittente, il mio proposito è di arrivare al poco distante Santuario della Madonna delle Fonta-ne e lì valutare se proseguire o tornare indietro. Ben presto, solitario e colorato, appare il Santuario: molti di noi decidono di fermarsi; io spingo lo sguardo avanti e vedo che la mulattiera si inoltra in un bosco rado, come piace a me e mi viene voglia di proseguire. Procediamo in fila indiana ed in silenzio, lo sguardo spazia sul sottobosco che è un'armonia di colori: l'indaco delle pervinche, il violetto delle anemoni epatiche e delle viole, il giallo delle primule e il verde sempre diverso delle prime felci, del muschio e di altre erbette anonime ma pur belle. Il sentiero tortuoso e disuguale si inerpica sempre più, la fatica si fa senti-re, la temperatura si abbassa: ad un tratto, la pioggia si tramuta in nevischio ghiacciato. Avanziamo lentamente mentre il nevi-schio si infittisce; mi guardo attorno e ammiro una vetrina di Swarovski: le pervinche, le viole, le primule, gli anemoni, tem-pestati di granuli di neve ghiacciata, hanno assunto l'aspetto fragile e trasparente del cristallo. Un vento freddo ed impetuoso fa turbinare la neve che ci avvol-ge e rende difficile proseguire. Finalmente arriviamo ad un gruppo di capanni di caccia, uno è aperto ed entriamo. È più confortevole di un resort a cinque stelle! Ci cambiamo in fretta e mangiamo le nostre provviste, poi guardiamo fuori: l'eremo è lì a meno di 10 minuti di cammino, infatti vediamo la croce. Gianangelo ed Emilia, pieni di corag-gio, partono per raggiungerlo, Erna ed io preferiamo rimanere al riparo e meditiamo sulla discesa impegnativa che ci attende. La via del ritorno che si presenta subito difficoltosa; la affrontiamo piano piano ed io non esito a superare il punto più scabroso usando la parte meno nobile del corpo, fra le risate generali. Finalmente arriviamo in vista del pullman che ci appare come un ambito e munifico premio alla nostra escursione faticosa, sì, ma insolita, bella e soddisfacente. {Anna Maria R.: Eremo di S. Giorgio, 11.4.2010}

Scarsa lingua di terra che orla il mare, chiude la schiena arida dei monti: così la Liguria in una poesia di C. Sbarbaro. Ed eccoci ancora una volta in questa regione con l’intenzione di tralasciare il mare e di dedicarci ai monti. Il pomeriggio del primo giorno visitiamo Cervo, borgo medievale a picco sul mare e dominato dalla imponente chiesa barocca dei Corallini, costruita da chi armava le barche per la pesca del corallo in Sardegna. Visitiamo il museo etnografico dove utensili e attrezzi da lavoro ci parlano di un passato prossimo nel tempo ma assai remoto se confrontato agli stili di vita attuali. Sabato 24, si prevede un’escursione al Pizzo d’Evigno. Il tempo è incerto ma il gruppo è deciso e compatto, i panini sono negli zaini, gli equipaggi delle macchine sono ai loro posti e quindi via! Si risale la Val Impero e si arriva al Passo del Ginestro. Un facile sterrato ci porta al Passo San Giacomo dove inizia un sentiero che sale con pendenze alterne. Quando non si è al riparo nel bosco, il vento non ci dà tregua, però contribuisce a spazzare le nuvole. Dopo un’ultima salita arriviamo in cima al Pizzo dove i più si fermano. Gli instancabili, invece, avendo individuato una cimetta a circa 1 km di distanza si propongono di raggiungerla. A tal fine, scendono un 200 metri fino alla sella e quindi iniziano la salita al Monte Ceresa dove un cippo sormontato da un elmetto degli alpini indica l’altezza di 913 m. Domenica il tempo è bellissimo. Il programma prevede la visita a Triora e un giro ad anello per il gruppo B, mentre il gruppo A affronterà un’escursione piuttosto impegnativa nella Foresta Demaniale del Gerbonte. Triora grosso borgo medievale che domina l'alta Valle Argentina, è conosciuto come il paese delle streghe. Infatti negli anni 1587 –89, 12 donne e un uomo furono accusati di stregoneria. Il Gruppo B si dedica ad un’accurata visita del paese soffermandosi alla Cabotina, luogo dove la leggenda dice che le streghe ballavano con il diavolo! Qui le donne del gruppo si fanno fotografare tutte insieme, mentre gridano Tremate, tremate le streghe son tornate! Il Gruppo A, raggiunge in auto l’abitato di Creppo, m 806. Intorno al paese si vedono fasce ormai abbandonate: terreno ricavato a fatica sui pendii per poter coltivare qualche patata. Non erano grandi raccolti ma servivano almeno a togliere un poco la fame, come ci dice un abitante del posto. Da Creppo, dopo circa un’ora, si arriva nella foresta del Gerbonte e si prosegue su un sentiero sempre ben segnato anche se un po’ monotono. Comunque, camminare tra faggi secolari, toccare i loro vecchi tronchi, poter scorgere anche qualche scoiattolo, sentire il profumo delle erbe selvatiche e vedere i fiorellini che spuntano miracolosamente dalla roccia, è veramente un piacere. Arrivati alla zona denomi-nata “La Porta” a 1300 m la mulattiera si snoda tra rocce caver-nose ed a strapiombo. Il gruppo compatto prosegue su un largo sentiero che salendo diventa sempre più innevato. Dopo circa 3 ore, come per incanto nel bosco, si apre una radura con una caserma della forestale tutta circondata da neve. Qui il gruppo si ferma per il meritato pranzo al sacco con vista sul Monte Gerbonte che sembra un panettone di piante e rocce. Gli in-stancabili arriveranno fino alla cima per godere del panorama a 360° (la giusta ricompensa per chi fatica di più!). Ed eccoci all’ultimo giorno, lunedì 26 aprile. Tutti insieme partia-mo per Valloria, un piccolo borgo antico a 15 km da Imperia. E’ un posto speciale: ci addentriamo nel labirinto dei suoi caruggi per ammirare le porte di stalle, magazzini e cantine, dipinte da veri artisti.