il professore non torna a cena, alessio dimartino

18

Upload: giulio-perrone-editore

Post on 13-Mar-2016

218 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

Un romanzo sorprendente con un finale dove la ruvida accettazione della propria sconfitta non ha nulla da invidiare all'eroismo. "Ha ragione il Professore. La verità non giova né a chi la dice né a chi l'ascolta. Gioverà, forse, a chi nascerà dopo. Ammesso che la verità non sia solo un'interpretazione differente della grossa menzogna che ci serve come scusa per non impazzire".

TRANSCRIPT

Page 1: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino
Page 2: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

Assaggi

Page 3: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

Progetto grafico: Factory designIn copertina: Untitled 2010, fotografia di Claudia Zallawww.claudiazalla.it

© 2012 Giulio Perrone Editore S.r.l., RomaI edizione Febbraio 2012stampato presso Cimer s.n.c., Roma

ISBN 978-88-6004-227-9

www.giulioperroneditore.it

Page 4: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

Il Professore non torna a cena

Alessio Dimartino

Page 5: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino
Page 6: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

A quelli che, vedendo una scritta BAR

illuminata alle 4 del mattino, gli scappa un sorriso

Page 7: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino
Page 8: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

Gennaio

Page 9: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino
Page 10: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

9

1.

Io sono un’anomalia per la generazione cui appartengo. Iosono un mostro. Ho un contratto a tempo indeterminato. Quat-tordici mensilità. Ferie e malattie pagate. Contributi previdenzia-li regolarmente versati. Io, se diventerò vecchio, avrò un letto diproprietà nel quale pisciarmi addosso senza dovere spiegazioni achicchessia. Il letto è mio e lo piscio io. Ci potrò pure morire, inquel letto. Risparmiandomi espressioni da ciabatta bagnata di in-fermiere in menopausa precoce e sermoni di preti alcolizzati. Morire soli. Morire a casa propria. Un privilegio che il no-

vanta per cento dei cristi della generazione cui appartengo nonavrà mai.Io sono un’anomalia, per la generazione cui appartengo. E

sono un mostro. Il perché si capirà presto, non abbiate fretta. Ildottore diceva di prenderla con calma. Di non buttare giù tut-to subito. Di ragionare strappando tempo al tempo. Di assapo-rare il gusto della confessione articolata. Strappare tempo altempo. Gusto della confessione articolata. Pure lo psicologo-poeta mi doveva capitare. Ma forse tutti

gli psicologi sono un po’ poeti. Altrimenti farebbero sul serio idottori. Nel senso di medici.I laureati in psicologia della generazione cui appartengo, in-

vece, non fanno né gli psicologi, né i dottori, né i poeti. Rispon-dono al telefono in uno stanzone open-space con altri cinquan-ta disperati, sorbendosi le lamentele di qualche rincoglionito acui non funziona la tv satellitare.E l’uomo campa, si fa per dire.

Page 11: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

10

Ho percorso solo pochi metri. Dall’auto al portone d’ingres-so. Saranno manco dieci. Ed escludendo che qualcuno colto dairrefrenabile raptus defecatorio abbia cagato in ascensore, possotranquillamente concludere che sono uno sfigato senzadio. Lamerda mi arriva alle caviglie. L’odore ben più su. Come ho fat-to a non accorgermi di una tale quantità di merda in un fram-mento così misero di tragitto? Le scarpe nuove, oltretutto. Paga-te una discreta cifra. Me le sfilo insieme ai calzini sull’uscio dicasa, stando attento a toccare i residui spicchi di superficie in-tonsi. Impresa non facile. Apro la porta ed entro a piedi nudi.Il buio è graffiato dall’opacità intermittente della televisione

accesa. Mi affaccio in soggiorno. Mio padre dorme in poltronacon le cuffie per il sonoro ancora sulle orecchie. È calato parec-chio d’udito, ultimamente. Nella sua intermittenza opalescentelo schermo gli illumina la mano sinistra, abbandonata sul brac-ciolo come una testuggine morta. La mano di mio padre, defor-mata da quarant’anni di agenti chimici. La mano di mio padre,incallita, rugosa, gibbonata, che pare ricoperta da un carapacesghembo. La mano di mio padre che riesce a fatica a impugna-re la forchetta per portare il cibo alla bocca, e comunque anco-ra per poco. La bistecca gliela devo già tagliare io. La mano dimio padre che più che a una tartaruga somiglia a un gambero-ne gigante bombardato da piogge acide. E io che mi illudo di fa-re quello che faccio, di tornare a casa all’una e mezza di nottedopo aver sezionato due cadaveri, dopo aver frugato nella schie-na di un corpo che fu una persona, io mi illudo di farlo perquella mano anchilosata e inerte. Quella mano devastata da unavita di lavoro inutile e malpagato. La mano di mio padre.Mi rendo conto di aver lasciato la porta aperta. Torno indie-

tro. Il gatto dei vicini sta raspando via la merda dalle scarpe.Bravo piccolo. Lo osservo. Si lecca i lunghi baffi con gusto. Rea-lizzo che io faccio più schifo di lui. Lui slinguazza la merda per-

Page 12: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

11

ché gli piace, altrimenti si dedicherebbe ad altro. Non si nascon-de dietro pallide giustificazioni incartapecorite. Esistono solo ilpiacere e la voglia. Io invece sto con la testa ficcata nel cessopubblico di una stazione. Da anni, ormai. Mi ripugna, ma nonho più nemmeno la recondita ipotesi di tirare una boccatad’aria. Mi faccio pisciare e cagare in testa, fingendo di essere ob-bligato ad accettarlo. Secondo il dottore procedevo troppo spe-dito nella confessione intima, saltando alcune sfumature di co-lore fondamentali nella complessità del dipinto. Non sto micacorrendo troppo, vero? Si coglie la complessità?

Ore due e venti del mattino. Sono chiuso in macchina, sot-to i colpi di una pioggia furibonda che pare voglia stritolare lalamiera e ridurmi in poltiglia. La camera mortuaria dell’ospedale San Giovanni, vista da

fuori, sembra un castello medievale sotto assedio di una milizianemica. Ma ci sono solo io qua. Aspetto la chiamata di Stefano, il guardiano notturno. Fa ri-

dere pensare che i morti abbiano bisogno di un piantone. Fareb-be meno ridere se sapeste ciò che sto per fare.Arriva lo squillo sul cellulare. Rispondo con un altro squillo.

Aspetto che nell’imponente portone di legno massiccio si aprail consueto pertugio. – Ecco. Incastro la valigetta coi ferri del mestiere sotto l’ascella e

schizzo via dall’auto imbottito nel mio miglior giubbotto inver-nale con ampio copricapo idrorepellente. È il giubbotto cheusano i macellai americani per aggirarsi nelle celle frigorifere.L’ho comprato apposta. Fra poco capirete. La parte migliore è ilcopricapo davvero idrorepellente, anche se non credo che nellecelle frigorifere americane piova.

Page 13: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

12

Stefano si sbriga a chiudermi il pertugio alle spalle e ficcar-mi nella sua guardiola.– Scusa se t’ho fatto aspettare tanto, stasera. Ma quel cazzo

di medico legale non la finiva mai ‘sta autopsia della minchia.Un morto ammazzato. Sette colpi di pistola. Regolamento diconti fra spacciatori, pare. Son sempre rogne.– Sì, sì, va bene, non ti devi giustificare. Lo so come vanno

queste cose. Di giorno aspetto davanti all’ufficio del primario.Di notte aspetto fuori dagli obitori. Il mio lavoro è una lunga,estenuante attesa.Entro nella grande sala dove vengono stipati i feretri. Appen-

do il giubbotto dei macellai americani all’appendiabiti. Io sonoun macellaio italiano. Non so quanto costi lì da loro, ma qua èun salasso e vorrei evitare di imbrattarlo di sangue.– Senti, è il quarto da sinistra. Numero 4327. Scusa se non

ti tengo compagnia ma per stanotte di cadaveri squartati ne hopiene le palle.– Figurati, tanto è roba di poco. È un dispositivo interspino-

so, L5-S1, no? Ci metto dieci minuti.Mi posiziono sul lato sinistro del numero 4327. Lo giro a

pancia sotto. Apro la valigetta coi ferri del mestiere. Scarto l’in-volucro di velina e prelevo due paia di guanti chirurgici in latti-ce. Anche se sul referto c’è scritto che è sano, cioè era sano, pre-ferisco abbondare. Li infilo uno sull’altro. Prendo il bisturi. Incido tre centimetri sopra l’osso sacro. Po-

so il bisturi. Prendo lo scollatore e lavoro di leva con decisi mo-vimenti laterali del polso, per allargare bene il taglio. Poso loscollatore. Prendo le branchie di posizione e le inserisco ai mar-gini della ferita per mantenerla aperta quanto basta perché pos-sa procedere con l’estrazione. Prendo di nuovo il bisturi per farmi spazio sino al distanzia-

tore. Lo vedo. Lo tocco con il dito medio. Poso il bisturi. Pren-

Page 14: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

13

do l’apposito cacciavite. È un attimo. Il dispositivo si sgancia.Lo tiro fuori dalla spina dorsale del numero 4327. Lo puliscosommariamente con una garza e lo sollevo di fronte agli occhi,tenendolo tra il pollice e l’indice. Non c’è niente da fare, è pro-prio un bell’oggetto. Piccolo, compatto, in materiale ultralegge-ro e ultraresistente, ovvero il PEEK (POLIETERETERKETO-NE, e non chiedetemi che cazzo di intruglio sia) di colore blu-cobalto, che è il codice-colore che indica la misura da 8 milli-metri. Somiglia a una minuscola farfalla. Infatti la ditta produt-trice l’ha chiamato BUTTERFLY. Sono americani anche loro.Anche loro macellai, pur se altamente specializzati. Macellaiipertecnologici.Ricucio i lembi di carne con un particolare filo di sutura tra-

sparente.Rigiro supino il numero 4327.Mi dirigo al grande lavabo d’acciaio in fondo alla sala. Lavo

accuratamente il Butterfly con il sapone disinfettante. Faccio lostesso con gli strumenti che ho adoperato. Tolgo i guanti e ligetto tra i rifiuti a pericolo contaminazione. Ripongo il tuttonella valigetta.Nove minuti e trentadue secondi da quando ho inciso. Mi-

glioro sempre di più.Passo in guardiola da Stefano. Getto sulla scrivania la busta

coi soldi. Lo saluto con un gesto imprecisato del mento. Inca-stro la valigetta sotto l’ascella, dentro il giubbotto per non ba-gnarla e corro alla macchina. Accendo il riscaldamento e la ra-dio. Il riscaldamento riscalda. La radio passa I treni di Tozeur diBattiato. Ok. Miglioro sempre di più. Sono un mostro. Ah, ilnumero 4327 non era nemmeno così anziano, alla fine.

Page 15: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

14

***

L’alba viene fuori dai tetti di Bologna come una crostata allimone dal forno. È raro assistere ad albe di questo tipo, per illuogo e la stagione in cui ci troviamo. Un gelido nitore che qua-si spezza il cuore. Una madre arcigna che prepara la colazione aifigli con immensa perizia e un poco di passione. Il Professore compare dietro ai vetri della finestra alle sei e

quarantacinque spaccate, come tutte le mattine. Oggi è attazza-to. La Rossa usa questo termine per indicare che regge una taz-za in mano. Perché l’orario della comparsa mattutina è semprequello, ma gli accessori variano. O meglio, si alternano. Contazza o senza tazza. Con vestaglia blu o verde. Oggi è verde. Og-gi è attazzato e verde. La Rossa ha calcolato che rimane in piedi dietro la finestra

tra i trenta secondi e il minuto. Mai di meno, mai di più. Deveessere un uomo di una pignoleria omicida. Lei sta bene attentaa non farsi notare, nascosta dietro una colonna del portico colgiornale aperto tra le braccia. Ogni volta cambia abito, pettina-tura, postura. Posizione. Mai la stessa colonna. La pedante pi-gnoleria di lui va combattuta con un fantasioso dinamismo. Questo, almeno, è il primo passo. Ecco che esce dal portoncino di legno spingendo avanti la

bici. La ventiquattrore di pelle agganciata al manubrio. Ore set-te e venti minuti. Anche qui in perfetto orario. La Rossa slega lagraziella dal palo, monta in groppa e parte. Le tocca il turno fi-no a mezzogiorno. Prende posto nello scompartimento successivo a quello del

Page 16: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

15

Professore. Guarda dalla banchina dove si sistema lui, poi sale esi regola di conseguenza. Mai avvicinarsi troppo al soggetto. Èla prima regola. Ha comprato all’edicola della stazione una rivista di moda

femminile. Una di quelle patinate, piene di pubblicità sgargian-ti, dal formato alquanto disagevole per gli spostamenti. Per ri-sultare inosservati sono fondamentali gli accessori. Se la sistema sulle ginocchia e inizia a sfogliarla. È raccapricciante. Una maglia di cachemire costa più dello

stipendio del mio ex-marito, che fa il metronotte. Col prezzo diuna maglia di cachemire si darebbe da mangiare a un sacco digente buttata agli angoli di strada come stracci vecchi. Solo, èqui l’assurdo, se a uno qualsiasi di quegli stracci umani tu lan-ciassi una maglia di cachemire e gli dicessi: tiè, mangia, quelloti guarderebbe come una povera matta, e avrebbe ragione! Il ca-chemire non si mangia. Il cachemire non è primario. Eppure daquesta società di merda è considerato più importante del cibo.Il necessario è divenuto superfluo e del tutto subordinato ad es-so. I rapporti di necessità sono sconvolti. Poveri cristi muoionodi fame, freddo, stenti dei più vari, ma non frega un cazzo a nes-suno perché loro non hanno il cachemire, e chi non può per-mettersi il cachemire merita la fame, il freddo gli stenti più va-ri. Se compri il cachemire, allora puoi pure magiare, coprirti,avere un tetto sulla testa. Altrimenti non conti. Altrimenti nonsei umano. Questo c’è scritto sulla pagina plastificata che ho da-vanti. Anzi, peggio, questo ti comunica. Mio marito mi ha lasciata perché a lui il cachemire piace,

nonostante il suo stipendio mensile non sia sufficiente a com-prarne qualche centimetro. Mi considera una mitomane pseu-do-rivoluzionaria dei miei coglioni, parole sue. Io lo consideroun servo senza nemmeno la coscienza di esserlo. Parole mie. La Rossa alza lo sguardo sui suoi compagni di viaggio. Una

Page 17: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino

16

ragazzina di sedici anni vestita come una baldracca da marcia-piede, che ascolta la musica in cuffia e fa le bolle con la gommada masticare. Una signora obesa che non entra nel sedile ed è daquando sono partiti che tartassa il proprio interlocutore telefo-nico (il marito? Il figlio?) su cosa desidera trovare in tavola percena. Un signore piuttosto anziano col berretto del BolognaF.C. che legge con occhio vacuo la cronaca nera del Resto delCarlino. Nella carrozza ristagna un odore acidulo e penetranteche la Rossa non saprebbe definire in altro modo se non: dimorte. Ma davvero niente serve a niente? Si domanda la Rossa.E se è così, lei che ci fa là sopra? Perché non è rimasta con suomarito a chiedergli cosa vuole mangiare per cena? Perché non èrimasta a trascorrere i natali davanti a un piatto caldo di cappel-letti in brodo con sua madre ormai anziana?Per fortuna Modena è vicina, e già bisogna scendere.

Page 18: Il professore non torna a cena, Alessio Dimartino