il dubbio di cezanne

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 Il dubbio di Cézanne 1  Maurice Merleau-Ponty Gli ci volevano cento sedute di lavoro per una natura morta e centocinquan- ta sedute di posa per un ritratto. Quella che noi chiamiamo la sua opera, per lui era soltanto l’esperimento e l’avvio della sua pittura. Scrive nel settembre 1906, a 67 anni, un mese prima di morire: “Mi trovo in un tale stato di disordine cere- brale, in così grande agitazione, che ho temuto, a un certo momento, che la mia debole ragione non ce la facesse... Ormai mi sembra di star meglio e di pensar più giusto nell’orientamento dei miei studi. Arriverò allo scopo tanto cercato e così a lungo perseguito? Studio sempre dal vero e mi sembra di fare lenti pro- gressi”. La pittura è stata il suo mondo e la sua maniera di esistere. Lavora solo, senza allievi, senza ammirazione da parte della sua famiglia, senza incoraggia- mento di giurie. Dipinge il pomeriggio del giorno della morte di sua madre. Nel 1870, dipinge all’Estaque mentre i gendarmi lo ricercano come renitente. Eppu- re gli capita di mettere in dubbio tale vocazione. Invecchiando, si chiede se la novità della sua pittura non derivi da un disordine dei suoi occhi, e se tutta la sua vita non si sia impostata in base a un difetto del suo corpo. A questo sforzo e a questo dubbio corrispondono le incertezze o gli sciocchi pregiudizi dei con- temporanei. Pittura di bottinaio ubriaco” diceva un critico nel 1905. Ancor oggi, Mauclair trae argomento contro Cézanne dalle sue confessioni d’impotenza. Nel frattempo, i suoi quadri diventano celebri. Perché mai tanta incertezza, tanta fa- tica, tanti fallimenti, e all’improvviso il più grande successo? Zola, che era amico di Cézanne sin dall’infanzia, è stato il primo a trovarlo geniale, e il primo a parlarne come d’un “genio abortito”. Uno spettatore della vita di Cézanne, come Zola, più interessato al suo carattere che non al senso della sua pittura, poteva ben ritenerla una manifestazione morbosa. Sin dal 1852, ad Aix, al collegio Borbone dove era appena entrato, Cézanne preoccupava gli amici con le sue collere e le sue depressioni. Sette anni più tardi, deciso a diventare pittore, dubita del proprio talento e non osa chiedere al padre, cappellaio e poi banchiere, di mandarlo a Parigi. Le lettere di Zola gli rimprovera- no l’instabilità, la debolezza e l’indecisione. Viene a Parigi, ma scrive: “Non ho fat- to che cambiar posto e la noia m’ha seguito”. Non tollera la discussione, perché lo affatica e perché non sa mai dire le sue ragioni. Il fondo del suo carattere è ansioso. A quarantadue anni, pensa di morir giovane e fa testamento. A quarantasei anni, per sei mesi, è pervaso da una passione impetuosa, tormentata, opprimente, di cui si ignora la conclusione e di cui non parlerà mai. A cinquantun’anni, si ritira ad Aix, per trovarvi la natura che meglio si conviene al suo genio, ma anche per ripie- garsi sull’ambiente della sua infanzia, sua madre e sua sorella. Quando sua madre morirà, egli s’appoggerà sul figlio. “È spaventosa, la vita” diceva spesso. La religio- Cézanne e i giudizi dei contemporanei

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  • Il dubbio di Czanne1Maurice Merleau-Ponty

    Gli ci volevano cento sedute di lavoro per una natura morta e centocinquan-ta sedute di posa per un ritratto. Quella che noi chiamiamo la sua opera, per luiera soltanto lesperimento e lavvio della sua pittura. Scrive nel settembre 1906, a67 anni, un mese prima di morire: Mi trovo in un tale stato di disordine cere-brale, in cos grande agitazione, che ho temuto, a un certo momento, che la miadebole ragione non ce la facesse... Ormai mi sembra di star meglio e di pensarpi giusto nellorientamento dei miei studi. Arriver allo scopo tanto cercato ecos a lungo perseguito? Studio sempre dal vero e mi sembra di fare lenti pro-gressi. La pittura stata il suo mondo e la sua maniera di esistere. Lavora solo,senza allievi, senza ammirazione da parte della sua famiglia, senza incoraggia-mento di giurie. Dipinge il pomeriggio del giorno della morte di sua madre. Nel1870, dipinge allEstaque mentre i gendarmi lo ricercano come renitente. Eppu-re gli capita di mettere in dubbio tale vocazione. Invecchiando, si chiede se lanovit della sua pittura non derivi da un disordine dei suoi occhi, e se tutta lasua vita non si sia impostata in base a un difetto del suo corpo. A questo sforzo ea questo dubbio corrispondono le incertezze o gli sciocchi pregiudizi dei con-temporanei. Pittura di bottinaio ubriaco diceva un critico nel 1905. Ancor oggi,Mauclair trae argomento contro Czanne dalle sue confessioni dimpotenza. Nelfrattempo, i suoi quadri diventano celebri. Perch mai tanta incertezza, tanta fa-tica, tanti fallimenti, e allimprovviso il pi grande successo?

    Zola, che era amico di Czanne sin dallinfanzia, stato il primo a trovarlogeniale, e il primo a parlarne come dun genio abortito. Uno spettatore dellavita di Czanne, come Zola, pi interessato al suo carattere che non al sensodella sua pittura, poteva ben ritenerla una manifestazione morbosa.

    Sin dal 1852, ad Aix, al collegio Borbone dove era appena entrato, Czannepreoccupava gli amici con le sue collere e le sue depressioni. Sette anni pi tardi,deciso a diventare pittore, dubita del proprio talento e non osa chiedere al padre,cappellaio e poi banchiere, di mandarlo a Parigi. Le lettere di Zola gli rimprovera-no linstabilit, la debolezza e lindecisione. Viene a Parigi, ma scrive: Non ho fat-to che cambiar posto e la noia mha seguito. Non tollera la discussione, perch loaffatica e perch non sa mai dire le sue ragioni. Il fondo del suo carattere ansioso.A quarantadue anni, pensa di morir giovane e fa testamento. A quarantasei anni,per sei mesi, pervaso da una passione impetuosa, tormentata, opprimente, di cuisi ignora la conclusione e di cui non parler mai. A cinquantunanni, si ritira adAix, per trovarvi la natura che meglio si conviene al suo genio, ma anche per ripie-garsi sullambiente della sua infanzia, sua madre e sua sorella. Quando sua madremorir, egli sappogger sul figlio. spaventosa, la vita diceva spesso. La religio-

    Czanne e i giudizi deicontemporanei

  • ne, che si mette allora a praticare, comincia per lui con la paura della vita e la pau-ra della morte. la paura spiega a un amico, mi sento ancora per quattro gior-ni sulla terra; e poi? Credo che non sopravviver e non voglio rischiare di arrostirein aeternum. Per quanto si sia pi tardi approfondita, il motivo iniziale della suareligione stato il bisogno di fissare la sua vita e di dimettersene. Diventa semprepi timido, diffidente e suscettibile. Viene talvolta a Parigi, ma, quando incontra a-mici, fa loro segno da lontano di non avvicinarlo. Nel 1903, quando i suoi quadricominciano a vendersi a Parigi due volte pi cari di quelli di Monet, quando gio-vani come Joachim Gasquet ed mile Bernard vengono a trovarlo e a interrogarlo,si distende un po. Ma le collere persistono. Un bambino dAix laveva una voltacolpito passandogli vicino; da allora non poteva pi sopportare un contatto. Ungiorno della sua vecchiaia, siccome barcollava, mile Bernard lo sostenne con lamano. Czanne and in gran collera. Lo si sentiva camminare in su e in gi nel suostudio gridando che non si sarebbe lasciato mettere le zampe addosso. Proprio acausa delle zampe escludeva dal suo studio le donne che avrebbero potuto ser-virgli da modelle, dalla sua vita i preti che diceva attaccaticci, e dal suo spirito leteorie di mile Bernard quando si facevano troppo insistenti.

    La perdita dei contatti tranquilli con gli uomini, limpotenza a padroneggia-re le situazioni nuove, la fuga nelle abitudini, in un ambiente che non pongaproblemi, la rigida opposizione fra teoria e pratica, fra zampe e libert solita-ria tutti questi sintomi consentono di parlare di una costituzione morbosa e,per esempio, come si fatto per El Greco, di uno schizoide. Lidea di una pittu-ra dal vero verrebbe a Czanne dalla stessa debolezza. La sua estrema atten-zione alla natura, al colore, il carattere disumano della sua pittura (diceva cheun viso va dipinto come un oggetto), la sua devozione al mondo visibile non sa-rebbero che una fuga dal mondo umano, lalienazione della sua umanit.

    Tali congetture non danno il senso positivo dellopera, onde non se ne puconcludere senzaltro che la sua pittura sia un fenomeno di decadenza e, comeafferma Nietzsche, di vita impoverita, e nemmeno che essa non abbia nienteda insegnare alluomo completo. Probabilmente Zola ed mile Bernard hannocreduto a uno scacco appunto per aver lasciato troppo posto alla psicologia ealla loro conoscenza personale di Czanne. Resta possibile che, in occasionedelle sue debolezze nervose, Czanne abbia concepito una forma di arte validaper tutti. Lasciato a se stesso, ha potuto guardare la natura come solo un uomosa fare. Il senso della sua opera non pu essere determinato dalla sua vita.

    N lo si pu conoscere meglio in base alla storia dellarte, cio riferendosi al-le influenze (degli italiani e di Tintoretto, di Delacroix, di Courbet e degli im-pressionisti), ai procedimenti di Czanne, o magari alla testimonianza che eglistesso forn sulla sua pittura.

    I suoi primi quadri, fin verso al 1870, sono sogni dipinti, un Rapimento, unAssassinio. Nascono dai sentimenti e vogliono in primo luogo provocare senti-menti. Sono dunque quasi tutti dipinti a grandi linee e offrono la fisionomia mo-rale dei gesti pi che il loro aspetto visibile. Agli impressionisti, in particolare aPissarro, Czanne deve di aver inteso poi la pittura non come lincarnazione discene immaginate o la proiezione esterna dei sogni, ma come lo studio precisodelle apparenze, non tanto come un lavoro di studio quanto come un lavoro a-perto alla natura, e di aver lasciato la fattura barocca, che cerca anzitutto di ren-dere il movimento, per i piccoli tocchi giustapposti e i tratteggi pazienti.

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    La devozioneal visibile

    come fuga dal mondo?

    Czanne e limpressionismo

  • Ma s presto separato dagli impressionisti. Limpressionismo voleva renderenella pittura la maniera medesima in cui gli oggetti ci colpiscono la vista e ag-grediscono i nostri sensi. Li rappresentava nellatmosfera in cui li d la perce-zione istantanea, senza contorni assoluti, collegati tra loro dalla luce e dallaria.Per rendere questo involucro luminoso, bisognava escludere i terra, gli ocra e ineri, e utilizzare soltanto i sette colori del prisma. Per rappresentare il coloredegli oggetti, non bastava riportarne sulla tela la tonalit locale, ossia il coloreche assumono quando li si isola da quanto li circonda, bisognava tener contodei fenomeni di contrasto che nella natura modificano i colori locali. Per di pi,ogni colore che vediamo in natura provoca, per una specie di contraccolpo, lavisione del colore completamentare, e tali complentari si esaltano. Per otteneresul quadro, che sar visto nella debole luce degli appartamenti, lo stesso aspettodei colori sotto il sole, bisogna dunque farvi figurare non solo il verde, se si trat-ta derba, ma anche il rosso complementare che lo far vibrare. Infine, anche latonalit locale viene decomposta negli impressionisti. Si pu in generale ottene-re ogni colore giustapponendo, anzich mescolarli, i colori componenti, perrenderli pi vibranti. Risultava da questi procedimenti che la tela non era piparagonabile alla natura punto per punto, ma restituiva, grazie allazione reci-proca delle parti fra loro, una verit generale dellimpressione. Ma la pitturadellatmosfera e la divisione dei toni annegavano in pari tempo loggetto e nedissolvevano la pesantezza sua propria. La composizione della tavolozza di C-zanne fa presumere che egli si dia un altro scopo: ci sono non i sette colori delprisma, ma diciotto colori, sei rossi, cinque gialli, tre blu, tre verdi, un nero.Luso dei colori caldi e del nero mostra che Czanne vuole rappresentare log-getto, ritrovarlo dietro latmosfera. Cos pure egli rinuncia alla divisione del to-no e la sostituisce con mescolanze graduate, con un succedersi di sfumaturecromatiche sulloggetto, con una modulazione colorata che segue la forma e laluce ricevuta. La soppressione dei contorni precisi in taluni casi e la priorit delcolore sul disegno non avranno evidentemente lo stesso senso in Czanne e nel-limpressionismo. Loggetto non pi coperto di riflessi n perduto nei suoirapporti con laria e con gli altri oggetti, ma come illuminato sordamente dal-linterno, la luce emana da lui, onde ne risulta unimpressione di solidit e dimaterialit. Czanne non rinuncia daltronde a far vibrare i colori caldi e ottienequesta sensazione colorante con limpiego del turchino.

    Bisognerebbe quindi dire che egli ha voluto ritornare alloggetto senza ab-bandonare lestetica impressionista, che prende modello dalla natura. mileBernard gli ricordava che un quadro, per i classici, esige circoscrizioni mediantei contorni, composizione e distribuzione delle luci. Czanne risponde: Loro fa-cevano il quadro e noi tentiamo un pezzo di natura. Egli ha detto dei maestriche essi sostituiscono la realt con limmaginazione e con lastrazione che li ac-compagna, e della natura che bisogna sottomettersi a questopera perfetta.Tutto ci proviene da essa, per essa noi esistiamo; dimentichiamo tutto il resto.Dichiara di aver voluto rendere limpressionismo qualcosa di solido come lar-te dei musei. La sua pittura sarebbe un paradosso: ricerca della realt senzaabbandono della sensazione, senza altra guida che la natura nellimpressioneimmediata, senza precisare i contorni, senza circoscrivere il colore nel disegno,senza comporre la prospettiva n il quadro. Ecco appunto quel che Bernardchiama il suicidio di Czanne: egli ha di mira la realt e si vieta gli strumenti per

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    La composizionedella tavolozzadi Czanne

    La luce come proprietdelloggetto

  • raggiungerla. In ci consisterebbe la ragione delle sue difficolt e anche delledeformazioni riscontrabili in lui soprattutto tra il 1870 e il 1890. I piatti o le taz-ze collocati di profilo su un tavolo dovrebbero essere ellissi, ma i due verticidellellisse sono ingrossati e dilatati. Il tavolo di lavoro, nel ritratto di GustaveGeffroy, disposto nella parte bassa del quadro, contro le leggi della prospetti-va. Lasciando il disegno, Czanne si sarebbe abbandonato al caos delle sensa-zioni. Orbene, le sensazioni farebbero vacillare gli oggetti e suggerirebbero co-stantemente delle illusioni, come fanno talvolta per esempio lillusione di unmovimento degli oggetti quando muoviamo la testa , se il giudizio non correg-gesse di continuo le apparenze. Czanne avrebbe, dice Bernard, sprofondatola pittura nellignoranza e il suo spirito nelle tenebre.

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    Fig. 8. Paul Czanne, Ritratto di Gustave Geffroy, 1895-1896, olio su tela, 116 x 89 cm, Parigi, Mu-se dOrsay.

  • In realt, si pu giudicare cos la sua pittura solo non tenendo conto dellamet di quel che ha detto e chiudendo gli occhi dinanzi a quel che ha dipinto.

    Nei suoi dialoghi con mile Bernard, chiaro che Czanne cerca sempre disfuggire alle alternative gi belle fatte che gli si propongono fra sensi e intelli-genza, fra pittore che vede e pittore che pensa, fra natura e composizione, fraprimitivismo e tradizione. Bisogna farsi unottica dice, ma per ottica intendouna visione logica, cio senza niente dassurdo. Si tratta della nostra natura?chiede Bernard. Czanne risponde: Si tratta di entrambe. La natura e lartenon sono forse differenti? Vorrei unirle. Larte unappercezione personale. Iopongo tale appercezione nella sensazione e domando allintelligenza di organiz-zarla in opera. Ma anche queste formule si valgono troppo delle nozioni abi-tuali di sensibilit o sensazione e di intelligenza, ed ecco perch Czannenon poteva persuadere e preferiva dipingere. Anzich applicare alla sua operadicotomie, che daltronde appartengono pi alle tradizioni di scuola che ai fon-datori filosofi o pittori di tali tradizioni, sarebbe meglio essere docili al sen-so peculiare della propria pittura, che di rimetterle in questione. Czanne nonha creduto di dover scegliere tra sensazione e pensiero come tra caos e ordine.Non vuole separare le cose fisse che appaiono sotto il nostro sguardo e la lorolabile maniera di apparire, vuole dipingere la materia che si sta dando una for-ma, lordine nascente attraverso unorganizzazione spontanea. Non introduce lafrattura tra i sensi e lintelligenza, ma tra lordine spontaneo delle cose per-cepite e lordine umano delle idee e delle scienze. Noi percepiamo le cose, ci in-tendiamo su di esse, siamo ancorati a esse e solo su queste fondamenta di na-tura costruiamo delle scienze. Czanne ha voluto dipingere questo mondo pri-mordiale, ed ecco perch i suoi quadri danno limpressione della natura alla suaorigine, mentre le fotografie dei medesimi paesaggi suggeriscono i lavori degliuomini, le loro comodit e la loro presenza imminente. Czanne non ha mai vo-luto dipingere come un bruto, ma rimettere lintelligenza, le idee, le scienze,la prospettiva e la tradizione a contatto con il mondo naturale che esse sono de-stinate a comprendere, e confrontare con la natura, come egli afferma, le scien-ze che ne sono scaturite.

    Le ricerche di Czanne nella prospettiva scoprono, in virt della loro fedeltai fenomeni, quanto la psicologia recente doveva formulare. La prospettiva vis-suta, quella della nostra percezione, non la prospettiva geometrica o fotografi-ca: nella percezione, gli oggetti vicini sembrano pi piccoli, e gli oggetti lontanipi grandi, di quanto non lo sembrino su una fotografia, come si pu osservareal cinema quando un treno savvicina e ingrandisce molto pi rapidamente diun treno reale nelle medesime condizioni. Dire che un cerchio visto obliqua-mente visto come unellisse, significa sostituire alla percezione effettiva loschema di quel che dovremmo vedere se fossimo macchine fotografiche: inrealt vediamo una forma che oscilla intorno allellisse senza essere unellisse. Inun ritratto della signora Czanne, il fregio della tappezzeria, ai due lati del cor-po, non costituisce una linea retta: ma noto che se una linea passa sotto unalarga striscia di carta, i due tronconi visibili sembrano dislocati. Il tavolo di Gu-stave Geffroy disposto nella parte bassa del quadro, ma quando il nostro oc-chio percorre una larga superficie, le immagini che ottiene volta a volta sonoprese da differenti punti di vista e la superficie totale incurvata. vero che, ri-portando sulla tela queste deformazioni, le fisso e arresto il movimento sponta-

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    Dipingere lamateria nel suofarsi forma

    Le deformazio-ni prospettiche

  • neo per cui si ammassano le une sulle altre nella percezione e tendono verso laprospettiva geometrica. quanto succede anche a proposito dei colori. Una ro-sa su un foglio di carta grigio colora di verde lo sfondo. La pittura di scuola di-pinge lo sfondo di grigio, contando sul fatto che il quadro, come loggetto reale,produrr leffetto di contrasto. La pittura impressionista mette del verde sullosfondo, per ottenere un contrasto tanto vivo quanto quello degli oggetti allaria

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    Fig. 9. Paul Czanne, Ritratto di Madame Czanne nella poltrona gialla, 1888-1890, olio su tela,81 x 65 cm, Chicago, The Art Institute.

  • aperta. Non falsa forse, in tal modo, il rapporto fra i toni? Lo falserebbe se si li-mitasse a questo. Ma proprio del pittore far s che tutti gli altri colori del qua-dro, convenientemente modificati, tolgano al verde posto sullo sfondo il carat-tere di colore reale. Analogamente, il genio di Czanne fa s che le deformazioniprospettiche, in virt dellimpianto complessivo del quadro, cessino di esserevisibili per se stesse quando lo si guarda globalmente, e contribuiscano soltanto,come fanno nella visione naturale, a dare limpressione di un ordine nascente,di un oggetto che sta comparendo, che sta coagulandosi sotto i nostri occhi. Al-lo stesso modo il contorno degli oggetti, concepito come una linea che li recin-ga, non appartiene al mondo visibile ma alla geometria.

    Se si segna con una linea il contorno duna mela, lo si rende una cosa, men-tre esso il limite ideale verso cui i lati della mela fuggono in profondit. Nonsegnare nessun contorno significherebbe togliere agli oggetti la loro identit.Segnarne uno solo significherebbe sacrificare la profondit ossia la dimensioneche ci d la cosa, non come esibita davanti a noi, ma come piena di riserve e co-me realt inesauribile. Ecco perch Czanne seguir in una modulazione colo-rata il rigonfiamento delloggetto e segner a tratti turchini parecchi contorni(tav. V). Lo sguardo, rinviato dalluno allaltro, avverte un contorno nascente traloro tutti come fa nella percezione. Non c niente di meno arbitrario di quellecelebri deformazioni, che daltronde Czanne abbandoner nel suo ultimo pe-riodo, a partire dal 1890, quando non riempir pi la tela di colori e abbando-ner lesecuzione serrata delle nature morte.

    Il disegno deve dunque risultare dal colore, se si vuole che il mondo sia resonella sua densit, poich esso una massa senza lacune, un organismo di colori,attraverso i quali la fuga della prospettiva, i contorni, le rette e le curve si di-spongono come linee di forza, e la dimensione spaziale si costituisce vibrando.Il disegno e il colore non sono pi distinti; nella misura in cui si dipinge, si di-segna; pi il colore si armonizza e pi il disegno si precisa... Quando il coloreraggiunge la sua ricchezza, la forma alla sua pienezza. Czanne non cerca disuggerire con il colore le sensazioni tattili che darebbero la forma e la profon-dit. Nella percezione, primordiale, tali distinzioni fra il tatto e la vista sono i-gnote. la scienza del corpo umano che ci insegna poi a distinguere i nostrisensi. La cosa vissuta non ritrovata o costruita in base ai dati dei sensi, ma sioffre di primo acchito come il centro donde essi si irradiano. Noi vediamo laprofondit, il vellutato, la morbidezza, la durezza degli oggetti Czanne diceperfino: il loro odore. Se il pittore vuole esprimere il mondo, bisogna che la di-sposizione dei colori rechi in s questo Tutto indivisibile; altrimenti la sua pittu-ra sar unallusione alle cose e non le offrir nellunit imperiosa, nella presenzae nella pienezza insuperabile che per noi tutti la definizione del reale. que-sto il motivo per cui ogni pennellata deve soddisfare a uninfinit di condizioni,e per cui Czanne meditava talvolta per unora prima di darla; essa deve, comedice Bernard, contenere laria, la luce, loggetto, il piano, il carattere, il disegnoe lo stile. Lespressione di quel che esiste un compito infinito.

    N si pu dire che Czanne abbia meno curato la fisionomia degli oggetti edei volti, che egli voleva solo cogliere quando essa emerge dal colore. Dipinge-re un volto come un oggetto non vuol dire privarlo del suo pensiero. In-tendo che il pittore lo interpreta dice Czanne, il pittore non un imbecil-le. Ma questa interpretazione non deve essere un pensiero separato dalla vi-

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    Il contorno degli oggetti

    La percezionecome un tuttoindivisibile

  • sione. Se dipingo tutte le sfumature di azzurro e di marrone che ci vogliono,lo faccio guardare come guarda... Certo loro non sospettano come, sposandoun verde sfumato a un rosso, si rattristi una bocca o si faccia sorridere unaguancia. Lo spirito si vede e si legge negli sguardi, che sono peraltro soltantoinsieme colorati. Gli altri spiriti ci si offrono solo incarnati e aderenti a un vol-to e a gesti. Non serve a nulla contrapporre qui le distinzioni fra anima e cor-po, o fra pensiero e visione, poich Czanne ritorna appunto allesperienza pri-mordiale donde tali nozioni sono tratte e che ce le presenta inseparabili. Il pit-tore che pensa e che cerca in primo luogo lespressione, si lascia sfuggire il mi-stero, rinnovato ogni volta che guardiamo qualcuno, della sua comparsa nellanatura. Balzac descrive nella Pelle di Zigrino una tovaglia bianca come unostrato di neve caduta di fresco e sulla quale si elevavano simmetricamente leposate coronate di panini biondi. Per tutta la mia giovinezza diceva Czan-ne, ho voluto dipingere questo, quella tovaglia di neve fresca... Ormai so chebisogna limitarsi a voler dipingere il selevavano simmetricamente le posate, eil di panini biondi. Se dipingo coronate, sono fregato, capite? E se davveroequilibro e sfumo le posate e i panini come dal vero, siate sicuri che ci sarannole corone, la neve e un sacco di altre cose.

    Viviamo in un ambiente di oggetti costruiti dagli uomini, tra utensili, in case,strade, citt, e il pi delle volte non li vediamo se non attraverso le azioni uma-ne di cui possono essere i punti di applicazione. Ci abituiamo a pensare che tut-to ci esiste necessariamente ed incrollabile. La pittura di Czanne mette insospeso queste abitudini e rivela la base di natura disumana su cui luomo sicolloca. Ecco perch i suoi personaggi sono strani e come visti da un essere diunaltra specie. Anche la natura spogliata degli attributi che la preparano percomunioni animiste: il paesaggio senza vento, lacqua del lago di Annercy sen-za movimento, gli oggetti gelati esitanti come allorigine della terra. un mon-do senza familiarit, in cui non ci si trova bene, che vieta ogni effusione umana.Se si vanno a vedere altri pittori lasciando i quadri di Czanne, si prova disten-sione, come dopo un corteo funebre il riprendere delle conversazioni mascheraquella novit assoluta e restituisce ai viventi la loro solidit. Ma solo un uomo,per lappunto, capace di questa visione che va sino alle radici, al di qua dellu-manit costituita. Tutto fa credere che gli animali non siano capaci di guardare,di immergersi nelle cose senza altro motivo che di coglierne la verit. Dicendoche il pittore della realt una scimmia, mile Bernard dice quindi esattamenteil contrario di quel che vero, e si capisce come Czanne potesse riprendere ladefinizione classica dellarte: luomo aggiunto alla natura.

    La sua pittura non nega n la scienza n la tradizione. A Parigi, Czanne sirecava ogni giorno al Louvre. Pensava che a dipingere si impara, e che lo stu-dio geometrico dei piani e delle forme sia necessario. Si informava sulla strut-tura geologica dei paesaggi. Tali relazioni astratte dovevano operare nellattodel pittore, ma regolate sul mondo visibile. Lanatomia e il disegno sono pre-senti, quando d una pennellata, come le regole del gioco in una partita di ten-nis. Non pu mai essere la prospettiva da sola o la geometria, n le leggi delladecomposizione dei colori n qualunque altra cognizione a motivare i gesti delpittore. Per tutti i gesti che pian piano danno luogo a un quadro, non c cheun solo motivo, il paesaggio nella sua totalit e nella sua pienezza assoluta, cheper lappunto Czanne chiamava motivo. Cominciava con lo scoprire gli

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    Il motivo delpaesaggio

    Linseparabilittra pensiero

    e visione

  • strati geologici. Poi non si muoveva pi e guardava, dilatando gli occhi, dicevala signora Czanne. Germinava con il paesaggio. Si trattava, dopo aver di-menticato tutte le scienze, di riafferrare, valendosi di tali scienze, la costituzio-ne del paesaggio come organismo nascente. Occorreva saldare le une alle altrele visioni di tutti i punti di vista particolari che lo sguardo assumeva, riunirequel che viene disperso dalla versatilit degli occhi, congiungere le mani er-ranti della natura dice Gasquet. C un minuto del mondo che passa, biso-gna dipingerlo nella sua realt. La meditazione terminava a un tratto. Di-spongo del motivo diceva Czanne, e spiegava che il paesaggio deve esserecinturato n troppo in alto n troppo in basso, o anche ricondotto vivo in unarete che non lasci passare niente. Allora: aggrediva il quadro da tutti i lati allavolta, e contornava di macchie colorate le prime linee al carboncino, lo schele-tro geologico. Limmagine si saturava, si amalgamava, si disegnava, si equilibra-va e maturava tutta in una volta. Il paesaggio diceva si pensa in me e io nesono la coscienza. Nulla pi lontano dal naturalismo di questa scienza intui-tiva. Larte non n unimitazione, n peraltro una costruzione che segua i det-tami dellistinto o del buon gusto. E unoperazione di espressione. Come la pa-rola chiama, cio coglie nella sua natura e al suo posto dinanzi a noi in qualitdi oggetto riconoscibile quel che appariva confusamente, il pittore, dice Ga-squet, oggettiva, progetta, fissa. Come la parola non assomiglia a quelche designa, la pittura non unillusione; Czanne, secondo le sue proprie pa-role, scrive da pittore quel che non ancora dipinto e lo rende pittura assolu-tamente. Dimentichiamo le apparenze viscose ed equivoche, per andare, tra-mite loro, dritti alle cose che rappresentano. Il pittore riprende e converte ap-punto in oggetto visibile ci che senza di lui resta rinchiuso nella vita separatada ogni coscienza: la vibrazione delle apparenze che la genesi delle cose. Perquel pittore, una sola emozione possibile, il sentimento di estraneit, e un so-lo lirismo, quello dellesistenza sempre ricominciata.

    Leonardo da Vinci aveva adottato come divisa il rigore ostinato, e tutte leArti poetiche classiche dicono che lopera difficile. Le difficolt di Czanne come quelle di Balzac o di Mallarm non sono della stessa natura. Balzac im-magina, senza dubbio sulla scorta delle indicazioni di Delacroix, un pittore chevuole esprimere la vita medesima con i soli colori e che tiene nascosto il suo ca-polavoro. Quando Frenhofer muore, gli amici non trovano che un caos di colo-ri e di linee inafferrabili, una muraglia di pittura. Czanne fu commosso fino al-le lacrime leggendo il Capolavoro sconosciuto e dichiar di essere lui Frenhofer.Lo sforzo di Balzac, anche egli ossessionato dalla realizzazione, fa capirequello di Czanne. Egli parla, in Pelle di Zigrino, di un pensiero da esprime-re, di un sistema da costruire, di una scienza da spiegare. Fa dire a LouisLambert, uno dei geni mancati della Commedia Umana: Cammino verso certescoperte... ma che nome dare al potere che mi lega le mani, mi chiude la boccae mi trascina in senso contrario alla mia vocazione?. Non basta dire che Balzacsi sia proposto di capire la societ del suo tempo. Descrivere il tipo del com-messo viaggiatore, fare una anatomia dei corpi insegnanti o magari fondare u-na sociologia non era un compito sovrumano. Una volta nominate le forze visi-bili, come il denaro e le passioni, e una volta descritto il funzionamento manife-sto, Balzac si chiede come mai tutto ci, quale ne sia la ragion dessere, che co-sa voglia dire per esempio questEuropa i cui sforzi tendono tutti a non so qua-

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    Il paesaggiocome organismo nascente

    La vibrazionedelle apparenze

  • le mistero di civilt, il che regge dallinterno il mondo, e fa pullulare le formevisibili. Per Frenhofer, il senso della pittura il medesimo: Una mano non solo attaccata al corpo, ma esprime e continua un pensiero che va colto e re-so La vera lotta questa! Molti pittori trionfano istintivamente ignorandoquesto tema dellarte. Voi disegnate una donna, ma non la vedete. Lartista colui che fissa e che rende accessibile ai pi umani fra gli uomini lo spettaco-lo di cui fanno parte senza vederlo.

    Non esiste dunque arte dilettevole. Si possono fabbricare oggetti che pro-ducono piacere collegando altrimenti idee gi pronte e presentando formegi viste. Questa pittura o questa parola seconda quanto si intende di solitoper cultura. Lartista secondo Balzac o secondo Czanne non si contentadessere un animale colto, ma assume la cultura dal suo principio e la fondadi nuovo, parla come il primo uomo ha parlato e dipinge come se non si fos-se mai dipinto. Lespressione non pu essere allora la traduzione di un pen-siero gi chiaro, perch i pensieri chiari sono quelli che sono gi stati detti innoi stessi o da altri. La concezione non pu precedere lesecuzione. Pri-ma dellespressione, non c nientaltro che una febbre vaga e solo loperafatta e compresa prover che vi si doveva trovare qualcosa piuttosto che nien-te. Poich ritornato, per prenderne coscienza, al fondamento di esperienzamuta e solitaria sul quale sono edificate la cultura e lo scambio delle idee,lartista lancia la sua opera come un uomo ha lanciato la prima parola, senzasapere se essa sar qualcosa daltro che un grido, se potr distaccarsi dal flus-so di vita individuale in cui nasce e presentare, sia a questa medesima vita nelsuo avvenire, sia alle monadi che coesistono con essa, sia alla comunit aper-ta delle monadi future, lesistenza indipendente di un senso identificabile. Ilsenso di quanto lartista sta per dire non c in nessun luogo, n nelle cose,che non sono ancora senso, n in lui stesso, nella sua vita informulata. Essochiama dalla ragione gi costituita, e in cui si rinchiudono gli uomini colti,a una ragione che abbraccerebbe le proprie origini. Volendo Bernard ricon-durlo allintelligenza umana, Czanne risponde: io mi volgo verso lintelli-genza del Pater Omnipotens. Egli si volge in ogni caso verso lidea o il pro-getto di un Logos infinito. Lincertezza e la solitudine di Czanne non sispiegano, per lessenziale, con la sua costituzione nervosa, ma con lintenzio-ne della sua opera. Leredit aveva potuto dargli sensazioni ricche, emozionisorprendenti, un vago sentimento dangoscia o di mistero che disorganizza-vano la sua vita volontaria escludendolo dagli uomini; ma queste qualit fan-no unopera solo grazie allatto di espressione e non costituiscono affatto ledifficolt n le virt di questo atto. Le difficolt di Czanne sono quelle del-la prima parola. Egli s creduto impotente perch non era onnipotente, per-ch non essendo Dio voleva tuttavia dipingere il mondo, convertirlo tutto in-tero in spettacolo e farlo vedere come esso ci concerne. Una teoria fisica nuo-va pu provare se stessa perch lidea o il senso sono in essa legati al calcoloe alle misure che appartengono a un dominio gi comune a tutti gli uomini.Un pittore come Czanne, un artista o un filosofo, devono non solo creare edesprimere unidea, ma anche ridestare le esperienze che la radicheranno nel-le altre coscienze. Se lopera riuscita, ha lo strano potere di insegnarsi das. Seguendo le indicazioni del quadro o del libro, stabilendo confronti, ur-tando da un lato e dallaltro, guidati dalla chiarezza confusa di uno stile, il

    72 MAURICE MERLEAU-PONTY

    La costruzione

    del senso

    Verso la pri-ma parola

  • lettore o lo spettatore finiscono per ritrovare quel che si voluto comunicareloro. Il pittore ha potuto solo costruire unimmagine. Bisogna attendere chequestimmagine si animi per gli altri. Allora lopera darte avr unito le vieseparate, e non esister pi semplicemente in una di loro come un sogno te-nace o un delirio persistente, o nello spazio come una tela colorata, ma abi-ter indivisa in parecchi spiriti, presuntivamente in ogni spirito possibile, co-me unacquisizione per sempre.

    1 Da Maurice Merleau-Ponty, Senso e non senso (1948), Milano, il Saggiatore, 1962, pp. 27-44. Tra-duzione di Paolo Caruso.

    IL DUBBIO DI CZANNE 73