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I progetti di cooperazione allo sviluppo: collaborazione tra ONG, centri di ricerca e partners locali Atti del convegno Brescia, 18 dicembre 2008 a cura di Carlo Collivignarelli CeTAmb Centro di documentazione e ricerca sulle tecnologie appropriate per la gestione dell’ambiente nei Paesi in via di sviluppo Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Brescia

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I progetti di cooperazione allo sviluppo:collaborazione tra ONG,

centri di ricerca e partners locali

Atti del convegnoBrescia, 18 dicembre 2008

a cura di Carlo Collivignarelli

CeTAmbCentro di documentazione e ricerca sulle tecnologie appropriate

per la gestione dell’ambiente nei Paesi in via di sviluppoFacoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Brescia

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Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2835–3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre 2009

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Indice

9 Premessa C. Collivignarelli 11 Solidarietà e sviluppo A. Mantovani 15 Gli “obiettivi del millennio” nella cooperazione in ambito

sanitario F. Castelli, S. De Nardi, F. Buelli Progetti di cooperazione allo sviluppo: collaborazione tra ONG-

ONLUS e centri di ricerca 27 La cooperazione tecnica e gli obiettivi del millennio nel

settore dell’acqua S. Sorlini 33 Technical cooperation and millennium development goals in

the field of solid wastes M. Vaccari 41 L’esperienza di CESVI M. Copani

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L’esperienza degli studenti nei progetti di cooperazione

55 Intervento per il miglioramento della gestione dei rifiuti solidi urbani nella città di Nairobi e nel villaggio di Sololo (Kenya)

C. Scaini, S. Tononi, V. Di Bella, M. Vaccari 61 Monitoraggio della qualità dell’acqua potabile in una piccola

rete di distribuzione in Perù F. Prandini, R. Bigoni 73 Conservazione e sviluppo in ambiente montano: gestione di

acque, rifiuti ed energia nel parco nazionale del Rwenzori (Uganda)

P. Ratto, F. Prandini

83 Acqua potabile e materiali da costruzione in Camerun N. Bettini, A. Monteverdi

93 Test di mutagenesi ambientale con Allium cepa U. Matranga, M. Peli 101 Sviluppo, volontariato, cooperazione oggi G. Mattei

Il progetto “SUDP - Somalia Urban Development Programme”

115 Somalia Urban Development Programme (SUDP): basic services infrastructures

D. Giardina

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123 Improvement of MSW management in Hargeisa City, Somaliland

V. Di Bella, H. M. Jiciir, M. Vaccari, F. Vitali 133 La prima missione in Somaliland e Puntland (novembre -

dicembre 2005) C. Roverato

Il progetto “Tecnologie per la rimozione dei fluoruri nelle acque potabili in Senegal”

141 Progetto “Sostegno alla formazione e gestione nel campo delle acque ad uso potabile nella regione di Diourbel – Senegal”

M. Chiappa 147 Il ruolo del CeTAmb nell’implementazione del progetto D. Palazzini 155 La sperimentazione e il monitoraggio di un sistema

domestico per la rimozione dei fluoruri dall’acqua potabile F. Tummolo 161 Punti critici e di successo nell’implementazione del progetto:

il punto di vista del partner locale O. Gueye

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Premessa

Il CeTAmb (Centro di documentazione e ricerca sulle tecnologie appropriate per la gestione dell'ambiente nei Paesi in via di sviluppo) opera ufficialmente dal 2000 presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia con la finalità di promuovere la ricerca di tecnologie appropriate per la gestione delle problematiche ambientali (riguardanti principalmente: acque potabili, acque reflue, rifiuti solidi, energia e pianificazione territoriale) nei Paesi in via di sviluppo (PVS). Questa attività è svolta garantendo la formazione di studenti e docenti sensibili nei confronti dei problemi dei PVS e l’elaborazione di progetti “veramente utili” e sostenibili tecnicamente, socialmente ed economicamente. Tutto questo si è tradotto nell’elaborazione di 30 tesi di laurea, numerose collaborazioni scientifiche di diversi ricercatori afferenti a varie discipline (approccio multidisciplinare), attività di ricerca nell’ambito di numerosi progetti, pubblicazioni scientifiche e l’attivazione dal 1 Luglio 2007 del Dottorato di Ricerca in “Metodologie e tecniche appropriate nella cooperazione internazionale allo sviluppo”

Sono molti e differenti i soggetti coinvolti nelle attività del CeTAmb, a livello locale ed internazionale, sia nei Paesi sviluppati che nei Paesi in via di Sviluppo. I principali sono: università, centri di ricerca pubblici e privati, scuole secondarie, volontari di ONG, associazioni no profit in generale, amministrazioni, imprese, ecc..

Numerose sono le iniziative ad oggi realizzate allo scopo di discutere sui principali temi della cooperazione internazionale: numerose riunioni, workshops, cinque convegni internazionali e tre corsi di aggiornamento.

Questa iniziativa è la continuazione dei cinque Convegni internazionali organizzati fino ad ora, che hanno permesso di approfondire il tema della formazione umana di studenti e docenti:

• “Le tecnologie appropriate per la cooperazione e lo sviluppo sostenibile: il ruolo dell’Università”, Brescia, Maggio 2002;

• “Sostenibilità sociale delle tecnologie per l’ambiente nei paesi emergenti”, Desenzano d.G. (Brescia), Dicembre 2004;

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10 C. Collivignarelli

• “Il Ruolo delle Tecnologie Appropriate nei progetti di cooperazione allo sviluppo”, Desenzano d.G. (Brescia), Dicembre 2005;

• “L’esperienza dell’università nella cooperazione internazionale: la collaborazione con le istituzioni e le opportunità per i giovani”, Desenzano d.G. (Brescia), Dicembre 2006;

• “Ricerca e applicazione di tecniche sanitarie e ambientali appropriate nei Paesi a risorse limitate” , Brescia, Dicembre 2007.

Il convegno organizzato questo anno “I progetti di cooperazione

allo sviluppo: collaborazione tra ONG, centri di ricerca e partner locali” ha la finalità di presentare l’utilità pratica dei progetti del CeTAmb che devono essere: validi tecnicamente, sostenibili socialmente ed economicamente e giudicati positivamente dagli interlocutori locali. Questi aspetti sono in continua maturazione nell’ambito dell’attività del CeTAmb e necessitano di una discussone con i diversi soggetti interessati.

Questi temi, dopo un’introduzione in merito al ruolo delle ONG nella cooperazione allo sviluppo e agli “Obiettivi del Millennio”, sono trattati, nel corso della giornata, in diversi momenti:

• il primo, riguardante la cooperazione tra ONG-ONLUS e i centri di ricerca nei progetti di cooperazione allo sviluppo;

• il secondo, sull’esperienza degli studenti; • il terzo, dedicato all’analisi di due specifici progetti CeTAmb; • una tavola rotonda finale dal titolo “Il rapporto tra i partner

locali, le ONG e i Centri di Ricerca nei progetti di cooperazione”.

Il Direttore scientifico del CeTAmb

Prof. Carlo Collivignarelli

CeTAmb, Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio e Ambiente

(DICATA), Università di Brescia, Via Branze 43, 25123 Brescia, Italia Tel. +39.030.371.1302

E-mail: [email protected]

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Solidarietà e sviluppo

Agostino Mantovani

Presidente Fondazione Brescia Musei, Brescia. [email protected]

Se le parole hanno un significato, come devono - Don Milani in

una lettera a sua madre diceva di “vivere le parole” - il termine solida-rietà non può essere mai usato casualmente. Senza radicalismi, con mitezza e umiltà, va sottolineato questo essere solidali per poterne gioire sempre, in tempi nei quali in molti sembrano vergognarsi o te-mono di essere “troppo cristiani”. Il rischio è quello di dare per scon-tata questa gioia al punto da dimenticarla. Essere solidali significa sentirsi in pace con tutti, dove la pace è il massimo bene che si può immaginare; significa credere nella giustizia, dove la giustizia è fare del bene, significa essere misericordiosi nel senso del saper perdonare perché l’altro è nostro fratello.

Di pace si parla tanto, soprattutto di questi tempi. Di giustizia, se ne parla ma già in minor misura. E di perdono? Quasi mai. Un Santo Pontefice non cessava di ricordare: "non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono". Poche parole per un grande programma.

Il percorso che accomuna laici, religiosi, credenti e non credenti, riguarda i problemi operativi della pratica quotidiana: l’incontro con i poveri, nel Sud del mondo, come qui da noi. Là ci sono quelli che muoiono di fame - 24 mila persone al giorno - che non hanno accesso all’acqua potabile, medicine, ospedali, scuole e che quindi non hanno nemmeno giustizia e non si sa come facciano ancora a nutrire speran-ze. Qui ci sono i poveri di morale, di umanità, di amore. Quest’ultima povertà è trasversale, ma la si trova di più da noi, in Occidente, dove la gente sta bene economicamente, ma spesso sta male dentro e ciò si evidenzia con il disprezzo per la vita e tutto ciò che ne consegue. Suc-cede perché cresce la corsa al potere, al profitto, al consumo e al pia-cere, in modo cinico e sfrenato.

Ci accomuna la ricerca delle soluzioni, ci accomuna l’impegno di partecipare alle vicende del mondo. Ci accomuna la solidarietà che promuove l’uguaglianza tra le persone e quindi porta ad intervenire

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12 A. Mantovani

verso chi sta peggio, verso i più diseredati, gli afflitti nel corpo e nell’anima. Ci accomuna l’identità di essere fratelli perché figli di un unico Padre. Siamo convinti che sono importanti sia le risorse pubbli-che che private. Esse ci permettono di procurare cibo e medicine e di costruire scuole, pozzi e ospedali, nel così detto terzo mondo, ma tutti sappiamo che la realizzazione di un progetto non è la soluzione. Per un autentico sviluppo, insieme al progetto, deve esserci la crescita dell’uomo, del suo protagonismo, della sua interiorità. A questo pro-posito abbiamo bisogno di riqualificare il nostro entusiasmo, di com-battere il pessimismo dilagante. Dobbiamo operare perché si adotti uno stile di vita più sobrio qui da noi perché solo così è condivisione. Ciò permetterà di capire meglio i bisogni dell’altro e di dividere gioio-samente con l’altro sia il nostro superfluo, ma anche qualcosa di più.

Laicato missionario, volontariato e cooperazione internazionale possono recuperare l’entusiasmo delle origini e operare di più insieme, pur nella specificità dei ruoli e delle funzioni. La cooperazione tra le Chiese di religioni diverse è indispensabile e va sostenuta come fattore di sviluppo, convinti, come dice un antico proverbio, che il vero mira-colo non è galleggiare sull’acqua o volare nell’aria, ma è camminare sulla Terra. La religione è in grado di rimettere in moto il protagoni-smo dei popoli. È di straordinaria attualità ciò che succede negli Stati arabi dove la vera risorsa forse non è più il petrolio, ma l’Islam. Lo scontro di civiltà non è tra cristiani ed islamici, ma è semmai tra la no-stra filosofia materialista da una parte e Islam e Cristianesimo dall’altra. La cooperazione e il dialogo interreligioso sono in grado di produrre autentici miracoli, compreso quello di allontanare i conflitti.

"Siamo di fronte al Dio della storia che vede oltre noi", lo di-

ce Edith Stein, patrona dell’Europa. Abbiamo paura di confon-dere le nostre scelte con quelle della Chiesa? Abbiamo paura di essere troppo confessionali? Paura della nostra identità? In gi-ro più che laicismo c’è profanazione. Occorre solo superare la logica di considerare 1’io come un parziale diminutivo di Dio.

Nella nostra quotidianità, tutto è politica, perché è scelta, è giudi-

zio, è voto. Il voto, e quindi la scelta politica, ognuno lo realizza quando va al supermercato, alla bottega del commercio equo e solida-le, alla banca etica o quando sceglie uno spettacolo, un cinema, un li-

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Solidarietà e sviluppo 13

bro, un programma TV. Ma se tutto è politica, oggi si sente il bisogno di una rifondazione etica della politica e ciò può avvenire solo appli-cando la solidarietà che è carità, mitezza, giustizia, amore, alla politi-ca. E’ ovvio che nessuno pensa di proporre quanto avviene negli stati islamici dove la norma religiosa viene imposta come norma civile. La nostra società non corre pericoli di questo tipo. Siamo figli dell’illuminismo e della rivoluzione francese. La norma religiosa nel nostro caso parte dall’individuo, dal basso verso l’alto attraverso le istituzioni, mentre negli stati islamici la norma religiosa viene imposta dall’alto delle istituzioni alle singole persone. Quindi niente radicali-smi o integralismi, o confusioni tra il ruolo della religione e ruolo del-la politica. Occorre però costruire un rapporto virtuoso tra politica e verità, tra impegno politico e valori, nella logica che l’impegno politi-co è il livello più alto dell’impegno della persona. Tutto ciò si esprime anche nel governo dell’economia e dovrebbe presiedere alla funzione sociale della ricchezza. Forse dalla voce del verbo "privare" viene il termine “proprietà privata” e ne rileviamo gli effetti nei rapporti tra le persone.

Che oggi la politica equivalga all’esercizio del potere applicando di volta in volta cinicamente la contrapposizione o la mediazione è un concetto che mi piacerebbe veder superato. È stato usato per il passa-to, ma per il futuro potrà essere un “si” o un “no”. Il resto è del mali-gno.

La regola è la virtù. Lo scetticismo nei confronti della politica cresce proprio perché non c’è chiarezza morale. La rifondazione etica della politica avviene applicando, con la conversione interiore, quella individuale che sfocia nella rappresentanza collettiva, democraticamente intesa. Tutte le cose hanno una propria evoluzione, una storia con tante tappe. Dalle monarchie siamo passati alle anarchie e ai nazionalismi, da questi siamo passati alle dittature e poi alla democrazia del compromesso, ai tentativi di restaurazione del passato, alle brigate rosse e all’attuale sistema “marmellata”, poco conta se di destra o di sinistra. Il futuro può essere, come spero, quello di un modo nuovo di fare politica e quindi di rappresentare, più coerente, più vero, più onesto intellettualmente. C’è l’esigenza. E a questo proposito, come fecero Martin Luther King e Nelson Mandela, anche noi potremmo cominciare dire “Ho fatto un sogno..”.

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Gli “obiettivi del millennio” nella cooperazione in ambito sanitario

Francesco Castelli, Sabrina De Nardi, Fabio Buelli

Scuola di Specializzazione in Medicina Tropicale, Brescia. [email protected]

Abstract Il concetto di salute inteso come diritto irrinunciabile ed inviolabile

di ogni individuo ha radici storiche recenti e solo con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 acquisisce un valore chiaro. Dalla Dichiarazione di Alma Ata del 1978 fino alla risoluzione 55/2 dell’ONU del 2000 la situazione sanitaria mondiale è andata aggra-vandosi ed il divario tra le nazioni ricche del Nord del mondo rispetto a quelle del Sud povero è andato sempre più ampliandosi. L’obiettivo di una salute globale per tutti gli uomini prefissato a fine anni settanta non è stato raggiunto anche a causa di politiche sanitarie che hanno preferito la logica del costo-beneficio rispetto agli investimenti per fa-vorire la ristrutturazione dei Sistemi Sanitari. Gli obiettivi del millen-nio si prefiggono importanti mete entro il 2015: a metà del cammino la strada da percorrere pare ancora molto lunga ed è necessario che tutte le autorità, incluso il mondo accademico, si adoperino con mag-giore energia per il loro raggiungimento.

Introduzione Il concetto di salute, come stato di completo benessere fisico, psi-

chico e sociale e come diritto irrinunciabile di ogni individuo, viene riconosciuto dalle comunità internazionale solamente a partire dal se-condo dopoguerra. Nel 1948 la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo sancisce il principio di salute per tutte le Nazioni senza distinzioni di regione o ricchezza: i crescenti spostamenti di massa non hanno più permesso, infatti, di distinguere una regione del mondo dall’altra in materia di salute. La salute globale diviene, quindi, un concetto prima-

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rio che non considera esclusivamente il “problema” salute, ma mira innanzitutto al raggiungimento di una maggiore equità in campo eco-nomico e sociale.

Dalla rivoluzione industriale agli obiettivi del millennio Con l’emanazione in Inghilterra del Public Health Act nel 1848,

nasce l’era dei sistemi di protezione della salute. Sarà solamente a par-tire dalla fine della prima metà del XX secolo, però, che, sempre in Inghilterra, si porranno le basi per l’istituzione del primo Sistema Sa-nitario Nazionale. Questo si fondava su tre principi, che costituiranno poi i pilastri di molti altri Sistemi Sanitari (incluso quello italiano nato nel 1978): (1) la universalità di accesso alle prestazioni sanitarie, (2) la fiscalità generale per la contribuzione e l’usufrutto dei servizi e (3) la gratuità dell’erogazione della prestazione.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nello stesso anno sancisce all’art. 25 che il concetto di salute non è solamente l’assenza di malattia, ma è il diritto che ciascun uomo ha a possedere un tenore di vita tale da garantire a sé stesso e a tutti i suoi familiari una vita di-gnitosa sotto ogni punto di vista.

Ma mentre nel mondo occidentale inizia a delinearsi una coscienza di concetto di salute, le condizioni dei Paesi in via di sviluppo (PVS) negli stessi anni risultano essere disastrose. E’ in questo contesto che viene adottata la politica della Primary Health Care (Cure Primarie) enunciata nella Dichiarazione della Assemblea di Alma Ata nel set-tembre 1978. Ancora una volta si ribadisce con forza che la salute de-ve essere (e deve divenire nelle regioni del mondo in cui ancora non lo è) un diritto umano fondamentale, e che non è accettabile, anche da un punto di vista economico, l’enorme disparità dello stato di salute tra i Paesi ricchi e quelli più poveri. Si afferma altresì il concetto, conside-rato rivoluzionario ancora oggi in molti Paesi del Sud del mondo, del-la responsabilità dei Governi di assicurare la salute ai propri cittadini. Dalla conferenza di Alma Ata emerge, quindi, lo slogan “Salute per tutti entro l’anno 2000”, che negli anni a seguire si rivelerà purtroppo fallimentare.

La congiuntura economica negativa che si verifica negli anni im-mediatamente successivi al 1978, infatti, porta i Paesi occidentali ad abbandonare l’appoggio politico e soprattutto economico alla politica

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delle “cure primarie” nei Paesi poveri, per dirigersi verso un sistema sanitario incentrato sul concetto del costo-beneficio.

Nasce quindi la Primary Health Care selettiva (“Selective Primary Health Care”), con l’introduzione di programmi verticali indirizzati a specifici problemi. Tale approccio, oltre a sconvolgere il concetto di cure primarie che prevedeva il rafforzamento del sistema sanitario in modo globale, si rivelerà fallimentare anche sotto il profilo economi-co.

Prima nei Paesi ricchi, ma poco dopo anche nei Paesi del Sud del Mondo, si inizia a parlare del contributo da parte dei cittadini per le prestazioni sanitarie, che viene istituzionalizzato nel 1987 con l’Iniziativa di Bamako.

Sebbene il concetto delle user fee avesse, e abbia, una certa razio-nalità da un punto di vista economico, esso ha avuto conseguenze e-stremamente negative nei Paesi poveri. A causa delle precarie condi-zioni economiche in cui molte persone versano, infatti, l’accesso alle strutture sanitarie viene ritardato di molto, con il conseguente aggra-vamento delle difficili e complesse situazioni di salute iniziali (White-head et al., 2001).

Nel 2000, nel pieno della epidemia AIDS e nello sconforto che l’obiettivo “salute per tutti” era ben lontano dall’essere raggiunto, si svolge a New York la Assemblea Generale delle Nazioni Unite. E’ in questa sede che viene adottata la risoluzione A/55/2 che impegna le nazioni firmatarie (tra le quali anche l’Italia) ad adoperarsi per il rag-giungimento di otto obiettivi entro il 2015, battezzati poi come “Mil-lennium Development Goals” (United Nation Millennium Declara-tion, 2000):

- Eliminare la fame e la povertà estrema dimezzando la percen-tuale di coloro che vivono con meno di un dollaro al giorno;

- Istruzione primaria per tutti assicurando a tutti i bambini e bambine la scolarità primaria;

- Pari opportunità tra i sessi eliminando le discriminazioni di genere nelle scuole primarie e secondarie;

- Ridurre la mortalità infantile al di sotto dei 5 anni del 66% ri-spetto ai tassi del 1990;

- Migliorare la salute materna riducendo del 75% la percentuale di donne che muoiono in età fertile;

- Ridurre la diffusione di AIDS/HIV e l’incidenza di malaria e delle altre maggiori malattie endemiche;

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18 F. Castelli, S. De Nardi, F. Buelli

- Assicurare la sostenibilità ambientale, riducendo del 50% il numero delle persone che non hanno accesso a fonti di acqua sicure;

- Sviluppare un’alleanza globale per lo sviluppo.

Ineguaglianze sanitarie e accesso alle cure Obiettivo 1 – Ridurre del 50% le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, cifra che costituisce la soglia della povertà assolu-ta.

L’ultimo rapporto UNICEF del 2007 stima che il 41% della popo-

lazione dei Paesi in via di sviluppo vive con meno di un dollaro al giorno (in termini assoluti si parla di circa un miliardo di persone). E’ da sottolineare che il 40 % della totalità della popolazione mondiale (2,5 miliardi di persone) vive con meno di 2 dollari al giorno. Inoltre, il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri è quadruplicato negli ultimi cinquanta anni. Obiettivi 2 e 3 – Assicurare a tutti i bambini e bambine la scolarità primaria, senza discriminazioni di genere.

Anche se il rapporto 2007 UNICEF afferma che l’88% dei bambini

e bambine completi il ciclo primario nei PVS, va sottolineato che esi-stono notevoli diversità sia regionali che di genere. In Africa la per-centuale raggiunta è del 70%, se si considera solo le bambine il valore precipita al 59%.

Obiettivo 4 – Ridurre dei 2/3 la mortalità tra i bambini al di sotto dei cinque anni.

Il tasso di mortalità rimane ancora molto elevato in diverse aree del

mondo, soprattutto nei Paesi più poveri. In Africa il tasso stimato è di 166/1.000. Si è, quindi, ancora ben lontani dalla riduzione del 66% che costituisce il target da raggiungere entro il 2015. Le cifre sono spaventose: quasi 10 milioni di bambini muoiono ogni anno al di sotto dei cinque anni, 27.000 ogni giorno! Il fatto ancora più sconcertante è che questa cifra è per lo più dovuta alla mancata applicazione di sem-plicissime procedure sanitarie. Il dato della mortalità di per sé già drammatico, non è sufficiente a farci comprendere la tragicità della

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Gli “obiettivi del millennio” nella cooperazione in ambito sanitario 19

situazione: milioni e milioni di bambini, infatti, nonostante siano so-pravvissuti a malaria cerebrale o altre parassitosi, porteranno con loro deficit fisici e psichici che limiteranno la realizzazione di una vita pie-na (UNICEF, 2007).

Obiettivo 5 – Ridurre del 75% la percentuale di donne che muoiono in età fertile.

Sono 580.000 le donne che ogni anno perdono la vita per cause di-

rettamente o indirettamente correlate al parto. Anche in questo caso le disparità tra Paesi ricchi e poveri sono notevoli: a fronte di un tasso di mortalità materna di 39/100.000 in Europa, in Africa sub-sahariana si raggiunge il 900/100.000; in larga misura questo si deve alla carenza di strutture e risorse professionali sanitarie: in alcune aree rurali solo un parto su dieci riceve una qualche forma di assistenza sanitaria.

Obiettivo 6 – Ridurre la diffusione di HIV /AIDS e l’incidenza della tubercolosi e della malaria.

Grazie alla terapia antiretrovirale (TARV), l’infezione da HIV ha

assunto in occidente un andamento di tipo cronico e ciò ha consentito un significativo aumento della speranza di vita delle persone affette. Purtroppo la strada da percorrere è ancora molto lunga nei Paesi in via di Sviluppo (PVS) dove vive più del 90% dei pazienti affetti. Malgra-do i costi della TARV nei PVS siano nettamente inferiori rispetto ai Paesi industrializzati (200 $ rispetto a 10.000-12.000 $), la spesa sani-taria pro-capite di quei Paesi che è dell’ordine di 10-20 $, rende diffi-cile accedere alla TARV.

Il numero di morti ogni anno per AIDS supera i 2 milioni, quasi to-talmente nei Paesi poveri. Se ciò non bastasse, l’epidemia di HIV ha fatto innalzare notevolmente l’incidenza della infezione tubercolare, introducendo anche le gravissime problematiche di farmaco-resistenza che spaventano molto anche l’Occidente. Anche la malaria causa ogni anno più di 2 milioni di morti, per di più in bambini al di sotto dei 5 anni.

Obiettivo 7 – Assicurare la sostenibilità ambientale, riducendo del 50% il numero delle persone che non hanno accesso a fonti di acqua sicure.

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20 F. Castelli, S. De Nardi, F. Buelli

Nei Paesi a risorse limitate solamente il 51% della popolazione ha accesso ad acqua pulita e sicura e questo si traduce in conseguenze gravi anche da un punto di vista sanitario.

Obiettivo 8 – Sviluppare un alleanza globale per lo sviluppo.

Questo obiettivo è ancora molto lontano dall’essere raggiunto:

molti Stati ricchi del Nord del mondo sono ancora restii alla cancella-zione o anche solo alla riduzione dei crediti nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, e l’accesso ai farmaci è limitato dalle politiche delle case farmaceutiche, interessate più al profitto che alla salute globale.

La speranza di vita in Sierra Leone è di 34 anni mentre in Giappo-

ne è di 82: ciò non è però dovuto a fattori biologici, ma alle disugua-glianze socio-economiche! A questo si deve sommare il persistente stato di tensione, con guerre e lotte etniche, presenti in numerosi Stati del sud del mondo, spesso concausa della povertà (OISG, 2006).

Salute e mobilità umana Il panorama appena descritto conferma che le iniquità sanitarie

contribuiscono alle profonde differenze di sviluppo tra Nord e Sud del mondo. Anche l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), indicatore norma-lizzato che prende in considerazione speranza di vita, tasso di alfabe-tizzazione e PIL pro-capite, risente di queste differenze. Nella gradua-toria 2007 dell’HDI il primo posto è occupato da Islanda e Norvegia (HDI=0.968) mentre agli ultimi due posti troviamo Burkina Faso (176° posto: 0.370) e Sierra Leone (177° posto: 0.336).

Il 3% della popolazione mondiale oggi vive al di fuori del proprio

Paese di origine. Sono tre i fattori principali che inducono al fenome-no migratorio:

- tra i fattori di espulsione il principale è l’inadeguato sviluppo umano, ma anche l’aumento demografico, l’urbanizzazione, molto più rilevanti nei PVS dove si registrano tassi di fertilità 6-7 volte superiori rispetto ai Paesi industrializzati. Infine, anche le guerre, le catastrofi naturali, e tutte le situazioni che possono risultare sfavorevoli per una economia già basata sulla sussistenza, sono fattori importanti che in-ducono una persona ad emigrare.

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Gli “obiettivi del millennio” nella cooperazione in ambito sanitario 21

- Tra i fattori di attrazione recita il ruolo principale la diffusio-ne del modello occidentale di benessere e felicità (spesso una visione distorta rispetto alla vera realtà), ma anche la richiesta di manodopera associata ad una attrazione economica.

- Infine, i fattori di elezione come quelli di tipo affettivo che possono indirizzare nella scelta del Paese.

In Italia la popolazione immigrata rappresenta circa il 6-7% della totalità, con una rappresentanza di tutti i Paesi del mondo. La migra-zione ha portato anche ad alcune conseguenze sanitarie: nonostante non si sia verificato il temuto ingresso di malattie di origine tropicale in Italia (anche grazie all’assenza dei vettori specifici di tali patolo-gie), il fenomeno del ricongiungimento familiare ha fatto riemergere problematiche di natura ginecologica ed ostetrica ed in alcuni casi an-che affezioni croniche tipiche della popolazione anziana.

Quello che oggi deve essere considerato uno dei maggiori flagelli dei PVS è la cosiddetta “fuga di cervelli”: l’emigrazione di figure pro-fessionali. Questo fenomeno, molto diffuso in tutti i settori lavorativi, è maggiore per quanto riguarda le professioni sanitarie. Nei Paesi po-veri il numero dei medici è molto basso e ogni singolo soggetto divie-ne fondamentale. Basti pensare che il numero di medici iscritti all’Albo dei Medici Chirurghi della provincia di Brescia supera il nu-mero complessivo dei medici operanti in Angola, Tanzania, Mozam-bico, Etiopia e Uganda. (WHO, 2008).

Il crescente flusso di mobilità conduce alla globalizzazione del pa-norama sanitario ed il medico moderno deve essere pronto ad affronta-re patologie che fino a poco tempo fa dava per scomparse nei propri continenti. Anche il rapido incremento della velocità negli spostamen-ti ha facilitato l’introduzione di patologie il cui periodo di incubazione è superiore al viaggio di trasferimento da un continente all’altro (e-sempio tipico ne è la malaria).

Malattie infettive emergenti sono da considerarsi non solamente nuove entità nosologiche, come lo sono state nel più o meno recente passato l’AIDS, la SARS o l’influenza aviaria, ma anche la comparsa di patologie un tempo confinate in un preciso ambito geografico: pen-siamo per esempio alle recenti epidemie di West Nile Fever negli Stati Uniti d’America o di Chikungunya in Emilia Romagna nel 2007 (Rez-za et al., 2007).

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22 F. Castelli, S. De Nardi, F. Buelli

Il ruolo delle università In accordo con il pensiero di Nicolas Sewankambo, Preside della

Facoltà di Medicina della Università Makerere di Kampala in Uganda (Sewanbamko, 2004), il mondo accademico occidentale dovrebbe po-ter contribuire:

- alla ideazione e realizzazione di attività di ricerca orientata ai problemi di salute globale;

- alla messa a disposizione dei decisori pubblici dei risultati di tali ricerche;

- alla formazione di una classe medica attenta alle problemati-che della salute globale;

- a crescere la intersettorialità della ricerca e della formazione. Ancora oggi la ricerca rimane confinata a patologie rare oppure a

malattie che interessano il mondo ricco occidentale con il chiaro inten-to di essere ripagati economicamente per gli sforzi fatti. Restano nell’ombra i milioni di morti che si verificano ogni anno a causa delle neglected diseases (schistosomiasi, filariasi, malaria, trypanosomiasi, ecc.) che non sono oggetto di ricerca perché oggettivamente non fonte di profitto commerciale.

Anche il mondo accademico deve svolgere la propria parte: l’Università degli Studi di Brescia è attiva protagonista nell’interpretazione e nella attuazione dei consigli del prof. Sewan-kambo: l’attivazione di un Dottorato di Ricerca in Metodologie e Tec-niche Appropriate nella Cooperazione Internazionale allo Sviluppo in ambito sanitario e tecnologico e, già da molti anni, i progetti di coope-razione sanitaria che coinvolgono anche medici specializzandi di varie Scuole di Specializzazione (Malattie Infettive, Pediatria e Medicina Tropicale) ne sono esempi concreti. Altre iniziative analoghe sono at-tivate da parte delle altre facoltà dell’Università di Brescia in specifici settori disciplinari come quello tecnico promosso dal CeTAmb, centro di ricerca sulle tecnologie appropriate per la gestione dell’ambiente nei Paesi in via di sviluppo.

Bibliografia

Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Macroeconomia e salute: investire in salute per lo sviluppo umano. In Quaderni di Sanità Pubblica, XXV, ottobre 2002.

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Gli “obiettivi del millennio” nella cooperazione in ambito sanitario 23

Osservatorio Italiano sulla Salute Globale.(2006). A caro prezzo. Le disuguaglianze nella salute. Edizioni ETS, Pisa, 2006.

Rezza G, Nicoletti L, Angelici R, et al. (2007). Infection with chicungunya virus in Italy: an outbreak in a temperate region. CHIKV study group. Lancet, 370: 1840-6.

Sewanbamko N.. Academic medicine and global health responsibi-lities. BMJ 2004; 329: 752-3.

UNICEF. (2007). La condizione dell’infanzia nel mondo. Accessi-bile al sito web: http://www.unicef.it/f1ex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2878.

United Nations General Assembly. Resolution A/55/2. United Na-tions Millennium Declaration. Accessibile al sito web: http://www.un.org/millennium/declaration/ares552e.pdf.

Whitehead M, Dahlgren G, Evans T.(2001). Equity and health sec-tor reforms: can low-income countries escape the medical poverty trap?. Lancet. 358: 833-6.

World Health Organization (2008). World Health Statistics. Ge-neva, Switzerland.

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