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Periodico della Fondazione Hospice Seragnoli OnlusTRANSCRIPT
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“GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSINEL MONDO DELLA FILANTROPIAGiuliana Gemelli
L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN HOSPICE:L’ATTENZIONE AL PARTICOLARECatia Franceschini
VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀCecilia Sgherza
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A WOMAN OF PARISI nostri incontri: una grande serata con Chaplin
al Teatro Comunale
IL NOSTRO IMPEGNO PROSEGUE...
di Vera Negri Zamagni /pag 3
VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀ
di Cecilia Sgherza /pag. 4
AGENZIA PER LE ONLUS: INIZIA L’ “ERA ZAMAGNI”
a cura di Giancarlo Roversi /pag. 6
“GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSI NEL MONDO DELLA FILANTROPIA
di Giuliana Gemelli /pag. 8
A WOMAN OF PARIS
di Vera Negri Zamagni /pag. 9
L’ATTENZIONE AL PARTICOLARE
di Catia Franceschini /pag. 10
UNA SFIDA DA VINCERE CON IL CONTRIBUTO DI TUTTI
di Furio Zucco /pag. 12
LUNGA VITA AL 5 PER MILLE!
di Nicola Bedogni /pag. 14
a cura di Sara Simonetti /pag. 15
EDITORIALE
APPROFONDIMENTI E DIBATTITI
I NOSTRI EVENTI
NOVITÀ EDITORIALI
I NOSTRI INCONTRI: GRANDE SERATA CON CHAPLIN AL TEATRO COMUNALE
RIFLESSIONI
IL CAMMINO DELLE CURE PALLIATIVE IN ITALIA
UN INNO ALLA LIBERTÀ DI SCELTA DEI CITTADINI PER IL NON PROFIT
DICONO DI NOI
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HOSPESPeriodico della Fondazione HospiceMariaTeresa Chiantore Seràgnoli OnlusAnno 2 Numero 4 - IV/2007
Direttore EditorialeVera Negri Zamagni
Direttore ResponsabileGiancarlo Roversi
RedazioneFondazione HospiceMariaTeresa Chiantore Seràgnoli Onlusvia Marconi 43/45 - 40010 Bentivoglio (Bo)
Progetto graficoCarré Noir
StampatoreGrafiche Damiani S.r.l.
FotografieMauro Zaghi, Federico Sanavio.
Copertina: Roy Export Company Establishment.Concessa dall’Archivio Chaplin/Cineteca di Bolognawww.charliechaplinarchive.org
Per informazioniTel. 051 [email protected]
Autorizzazione del Tribunale di Bolognan. 7434 del 1 giugno 2004
IL NOSTRO IMPEGNO PROSEGUE ...
Carissimi lettori,
questo numero della nostra rivista rappresenta bene lo stato di effervescenza delle iniziative legate all’Hospice
MT.C. Seràgnoli, che si dipartono ormai in una pluralità di direzioni. Alla base di tutto sta il lavoro in Hospice, di cui
qui ci offre una testimonianza la nostra capo-infermieri Catia Franceschini. A sostegno di tale lavoro sta la riflessione
sul modello di Hospice, con un articolo sul nuovo Libro bianco degli Hospice e un altro sulle conferenze promosse
dall’Accademia per diffondere la cultura della cura della persona in tutte le circostanze di vita. Ma poiché nulla si
potrebbe fare senza risorse, segue una rassegna delle azioni di fund raising, così tante nel periodo trascorso che quasi
ci mancava lo spazio per darne compiutamente conto. Continua anche l’attenzione alle tematiche del ruolo della società
civile, con la seconda parte dell’intervista a Stefano Zamagni sull’Agenzia per le onlus e con l’articolo di Giuliana Gemelli
che ci presenta un numero dedicato agli Hospice della sua nuova rivista “Giving”.
È raro trovare una capacità di promuovere la realtà di un Hospice in modo così multiforme e riflessivo, ma la qualità
dell’Hospice MT.C. Seràgnoli lo richiede. Ci auguriamo di assicurarne così la sostenibilità e di diffonderne al meglio
il prezioso messaggio.
Vera Negri Zamagni*
* Presidente dell’Associazione Amici dell’Hospice MT.C. Seràgnoli
(3
EDITORIALE
Il vivere non è un mestiere, o almeno non dovrebbe esserlo:
è un insieme di armonia, creatività, emozioni, estetica,
biologia… E perciò sopporta male tutto ciò che non è
armonico, naturale e positivo. D’altra parte, le sorgenti
dell’attuale commedia umana sono tutt’altro che poetiche
e ci conducono nel vortice della quotidianità con le sue
problematiche. Forse si dovrebbe vivere “come ci pare”, senza
codici né precetti o forse sarebbe sufficiente volersi un po’ più
di bene ispirandosi al sapere degli antichi. Non solo per vivere,
ma anche “per morire bene, bisogna diventare greci” afferma
Umberto Galimberti, professore all’Università Cà Foscari di
Venezia. Il noto filosofo e psicoanalista spiega come la cultura
degli antichi greci fosse caratterizzata da una “visione mortale”,
dalla consapevolezza della morte intrecciata alla vita stessa
e connaturata all’essere umano. “Anche noi – continua
Galimberti - dovremmo recuperare questa dimensione greca
del morire partendo dal presupposto che l’essenza della
malattia è una “scissione schizofrenica”: l’Io si separa dal corpo
e la sofferenza sta nel guardare e concentrarsi sul proprio corpo
e non più sul mondo circostante”. Ma accanto alla malattia c’è
il “potere”: “quello che conferiamo ai medici, nei quali
riversiamo tutte le nostre aspettative sacrali avendo fede nella
cultura organicistica e nel carattere salvifico del metodo
adottato”. A proposito di malattia, Antifonte (V secolo a.C.)
così scriveva: “In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo
verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto”.
Partendo proprio dall’intuizione del filosofo greco, Enzo Soresi,
Primario emerito di Pneumologia presso l’Ospedale Niguarda
di Milano, riconosce l’influenza della coscienza, della memoria
e del desiderio nell’insorgere di patologie gravi, circoscrivendo
le sue ricerche nell’ambito della PNEI (psico-neuro-endocrino-
immunologica). Questa scienza spiega come il sistema
immunitario comunichi con quello nervoso centrale: una
condizione di profondo disagio psichico o di stress, ad
esempio, libera dalle cellule cerebrali particolari tipi di
interleuchine che hanno attività infiammatoria e
immunodepressiva. Una condizione invece di ottimismo o di
felicità, stimola positivamente il sistema immunitario.
La mente non risiede nella testa ma permea il nostro corpo,
e precisamente sta nel sistema neuroendocrino come Soresi
spiega ampiamente nel suo libro, Il cervello anarchico (2005).
In realtà il cervello di cui parla l’autore, proprio anarchico non
è: quando noi nasciamo, biologicamente siamo molto
armonici, per cui, se il cervello fosse realmente anarchico,
l’armonia dovrebbe rimanere invariata nel tempo. Invece, il
cervello si “modella” relazionandosi con l’ambiente esterno e lo
stress, in particolare, determina una alterazione dell’asse
endocrino e lo sviluppo di malattie psico-somatiche.
Secondo Gianluca Bocchi, Professore di Filosofia della scienza
all’Università di Bergamo, “Tutta la storia degli esseri umani ha
rilevanza cognitiva e le interazioni con l’ambiente sono decisive
per la nostra mente. È il prodotto di una rete fatta di percorsi
VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀCecilia Sgherza
(4
I NOSTRI EVENTI
Umberto Galimberti ha parlato di Malattia e potere
nel primo appuntamento del ciclo di Incontri a tema
di cultura sanitaria che si sono svolti presso il Centro
San Domenico di Bologna con il patrocinio dell’Alma
Mater, organizzati dall’Accademia delle Scienze di
Medicina Palliativa. Mentre Gianluca Bocchi ed Enzo
Soresi hanno approfondito il concetto di Cervello
anarchico. Oggi, più che mai, è necessario farsi cari-
co della medicina pensando ai valori della persona,
nel segno della cura responsabile. Questo è il tema
su cui si sono confrontati anche altri esponenti della
cultura: Remo Bodei si è soffermato su La cognizione
del dolore mentre Haim Baharier sui Fini ultimi.
Gli incontri dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa
I NOSTRI EVENTI
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materiali e chimici ma anche di reti percettive che ci legano al
mondo esterno”. Se pensiamo, quindi, alla salute e alla malattia
come emergenza di una rete, ci rendiamo conto che gli
elementi ambientali non sono alla periferia ma costitutivi.
Forse la nostra società è antibiologica? Forse esprime valori
opposti a quelli che la nostra psiche desidera? Questi i quesiti
che si pone Bocchi sottolineando l’importanza, per gli studi
attuali, di considerare gli esseri umani come tante e differenti
“storie”. Qualunque tipo di cura deve avere una componente
psichiatrica o antropologica, tuttavia si rende conto che questo
tipo di approccio non può riguardare solo il medico perché
è necessario attivare un cambiamento culturale che coinvolga
diversi “attori” (il manager, l’architetto, il politico, ecc.).
Si tratta di una sfida affascinante che da una parte Soresi e
dall’altra Galimberti hanno già avviato aprendoci un mondo
ignoto o forse solo dimenticato…DA SINISTRA
Pierluigi Celli, Umberto Galimberti e Guido Basco.
DA SINISTRA
Enzo Soresi, Gianluca Bocchi e Guido Basco.
APPROFONDIMENTI E DIBATTITI - 2
Lei è un convinto sostenitore della sinergia del non profit
italiano con le altre realtà europee e internazionali.
Può precisare meglio gli scenari che possono prefigurarsi?
Si tratta di una funzione propriamente promozionale
dell’Agenzia, quale ente facilitatore delle plurime espressioni
del non profit italiano. Aprire quest’ultimo all’Europa, e più in
generale al contesto internazionale, è il primo compito da
assolvere. Le istituzioni europee pongono da tempo particolare
attenzione a proposte e progetti relativi al “settore non
lucrativo”, importante “attore” della vita di un Paese, espressione
autentica di una matura e creativa società civile, e ciò anche in
vista degli orientamenti sociali nell’ottica di una sempre
maggiore coesione economica e sociale (Trattato di Amsterdam).
Si pensi altresì all’importante contributo fornito dal Terzo
settore alla promozione dell’occupazione (il Fondo Sociale
Europeo è destinato in parte alla “valorizzazione dei nuovi
giacimenti occupazionali, in particolare nell’economia sociale
(terzo settore)”. A questo si aggiunga la progressiva ridefinizione
dei sistemi di welfare, che aprirà nuovi e maggiori spazi di
azione alle numerose e diversificate realtà del Terzo settore.
Sotto il profilo dell’internazionalizzazione, vi sono altri
obiettivi, sicuramente impegnativi ma necessari, che si
cercherà di raggiungere con slancio: innanzitutto,
l’affermazione di un ruolo dell’Agenzia in seno alla comunità
internazionale. Penso in particolare al CESE (Comitato
Economico e Sociale Europeo), nel cui ambito l’Agenzia per le
ONLUS deve poter svolgere un ruolo da protagonista.
L’Agenzia deve poter essere coinvolta in modo più decisivo, in
virtù della sua specifica conoscenza del settore non profit, nella
attività di supporto informativo e consulenza giuridica. Inoltre
la cooperazione in materia di monitoraggio e controllo delle
organizzazioni non profit, al fine di prevenire l’impiego
strumentale delle stesse per sostenere il terrorismo
internazionale, non può non coinvolgere in maniera adeguata
questa Agenzia, proprio per le competenze specifiche che essa
è in grado di esprimere.
Durante i lavori della Commissione per la revisione del
codice civile lei si è battuto per l’inserimento di un nuovo
tipo d’impresa, quella sociale. Quali sono i nuovi orizzonti
che si potranno aprire per il terzo settore? E quale influenza
avrà nell’attività dell’Agenzia ONLUS?
La figura giuridica dell’impresa sociale, “nuovo soggetto”
introdotto nel nostro ordinamento dal recente decreto
legislativo 155 del 24 marzo 2006 (attuativo della Legge delega
228/2005) è un’altra questione cui l’Agenzia dovrà dedicare
particolare attenzione. Il dibattito è ancora aperto. Avendo
stabilito che “possono acquisire la qualifica di impresa sociale
tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al
libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e
principale un'attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale,
diretta a realizzare finalità di interesse generali”, tale decreto
viene a riconoscere soggettività economica e autonomia
organizzativa a quelle realtà che, pur essendo titolari di un
proprio patrimonio, non operano secondo la logica del
profitto. Ciò costituisce un ulteriore e importante passo avanti
verso quel modo di guardare e di considerare il terzo settore
secondo un’ottica più “civilistica” che “tributarista”.
Nell’azione che intende portare avanti come nuovo
presidente dell’Agenzia ONLUS ci sono altri obiettivi
promozionali?
Per paradossale che ciò possa apparire, è un fatto che il nostro
paese, pur vantando un Terzo Settore che, in termini relativi,
non è secondo a quello dei paesi dell’Occidente avanzato, non
possiede ancora alcun dottorato di ricerca specificamente
rivolto ad esso. E dire che nei paesi nostri “competitori” da
parecchi anni esistono, presso le più prestigiose università,
AGENZIA PER LE O.N.L.U.S.: INIZIA L’«ERA ZAMAGNI» Priorità, obiettivi e prospettive nei programmi del nuovo Presidenteintervista a cura di Giancarlo Roversi (seconda parte articolo)
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Stefano Zamagni
(7
Ph.D. specificamente dedicati ai temi delle organizzazioni non
profit, secondo approcci di studio propriamente
transdisciplinari. L’Italia possiede bensì taluni corsi di laurea e
diversi Master universitari rivolti al Terzo Settore – peraltro in
essere da appena dieci anni; per l’esattezza dal novembre 1996.
Ma ancora nessun dottorato di ricerca. Sono dell’idea che ciò
rappresenti il vincolo più serio alla piena legittimazione
culturale del Terzo Settore e, di conseguenza, alla sua
espansione e diffusione. Fino a che il mondo del non profit
non si autonomizzerà anche sotto il profilo cultural-scientifico,
mai esso potrà sperare di ricoprire il ruolo di protagonista nel
processo di sviluppo e di progresso civile del paese.
Non bastano, a tal fine, né l’autonomia organizzativa né quella
economico-finanziaria. Autonomia culturale significa che il
Terzo Settore deve essere in grado di produrre al proprio
interno quel “pensiero pensante” che vale ad orientare la sua
azione. Non può continuare a vivere di luce riflessa; deve
iniziare a produrre la sua propria luce. Dagli altri due settori, il
Terzo Settore può bensì ricavare, adattandolo opportunamente,
il “pensiero calcolante”, ma non può certo delegare ad essi il
compito di generare il proprio pensiero pensante. Sarebbe
questa la strada certa per una lenta eutanasia oppure per un
insignificante isomorfismo. Ecco perché c’è urgente bisogno di
coinvolgere in tale impresa il mondo dell’Università, che è pur
sempre il luogo privilegiato e ideale tipico per la produzione e
la diffusione del sapere. L’Agenzia per le ONLUS saprà attivarsi
in modo adeguato.
All’inizio di questo nuovo cammino cosa la preoccupa di più?
Più che l’utopia temo la distopia ossia l’atteggiamento tipico
del cinico, di chi ritiene che non ci sia molto da fare, perché
nulla potrà mai essere mutato in meglio. La distopia è la
malattia che prende chi è dominato da quelle che Spinoza
chiamava “le passioni tristi” – non però la tristezza del pianto o
della fatica, ma quella della delusione o della frammentazione.
Il Terzo Settore del nostro paese non può dare spazio – perché
non lo merita davvero – a disposizioni d’animo distopiche.
APPROFONDIMENTI E DIBATTITI - 2
Negli ultimi anni la filantropia è emersa come una modalità
dell’agire sociale condivisa da diversi tipi di istituzioni
pubbliche e private, individuali e collettive. Il modus operandi
che caratterizzava in passato la realtà filantropica sta entrando
in una fase di trasformazione profonda. Da forma di lenimento
caritatevole dei mali che affliggono le società, l’agire altruistico
sta recuperando la dimensione di un’imprenditorialità volta a
generare innovazione sociale. Il numero dei corsi di formazione
per gli esperti e gli operatori del settore é cresciuto in modo
esponenziale negli Stati Uniti ed in Europa, nell’ambito di
autorevoli università. Il progetto cui abbiamo pensato era
quello di creare una rivista, in italiano ed in inglese, con una
forte caratterizzazione accademica. Una rivista con l’ambizione
di rivolgersi ad un pubblico di ampie dimensioni -
comprendente esperti del settore, opinionisti, manager delle
organizzazioni non- profit e delle Fondazioni e, non da ultimo,
imprenditori e business leader - centrata su temi che sono
oggetto di approfondimenti di ricerca. Il progetto nasce
dall’esperienza di lungo periodo di un Master Internazionale
sulla Filantropia e l’Imprenditorialità Socialmente Responsabile
(MISP) dell’Università di Bologna, in collaborazione col
Center on Philanthropy dell’Università di Indiana e con altri
partner europei, africani e nord americani. Alla sua base sta
l’esigenza di capitalizzare le risorse create dalla circolazione -
nell’ambito dell’attività del Master - di studiosi, esperti e
protagonisti di un agire filantropico ad alto potenziale di
impegno, in quanto animato da una visione imprenditoriale
focalizzata sull’investimento come leva dell’innovazione e del
cambiamento sociale. Il primo numero della rivista -
disponibile in libreria ed acquistabile on line
www.buponline.com, link Giving - è dedicato al tema della
“Responsabilità sociale della ricchezza”. Il secondo fascicolo in
uscita a fine anno, affronterà il tema degli Hospice come
risorse olistica per la persona.
A fare da supporto sono i risultati di uno studio condotto dal
MISP che ha esplorato i diversi modelli di hospice nel contesto
internazionale con la finalità di avviare una ricerca-azione volta
a promuovere un approccio strategico che integri aspetti
economici, medico assistenziali ed antropologici. Il tutto
esaminato nella prospettiva di evoluzione di queste organizzazioni
che hanno al centro non più il “paziente” ma la persona, non
più la “cura” ma il “prendersi cura”, nel passaggio da una
visione puramente bio-medica ad un approccio che abbiamo
definito di “medicina sostenibile”. L’intento di questo nuovo
veicolo di ricerca e di comunicazione è anche quello di
mostrare come l’automatica applicazione dei modelli scaturiti
dall’esperienza occidentale ad altre realtà nel contesto
internazionale corre un rischio: quello di non considerare
adeguatamente il fatto che in altre culture la malattia è
considerata attraverso categorie concettuali ed approcci
antropologici diversi da quelli della medicina occidentale.
In tal senso, gli Hospice rappresentano uno spazio di
potenziamento dei valori universali della tolleranza, del rispetto
e dell’integrazione di culture diverse.
“GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSI NEL MONDO DELLA FILANTROPIAGiuliana Gemelli*
(8
NOVITÀ EDITORIALI
* Direttore del Master International Studies in Philanthropy,Università degli Studi di Bologna e Indiana University
Incontrarsi a Teatro è sempre una bella occasione. Ma lo scorso
28 settembre lo è stata ancora di più perché il teatro era
gremito di gente che, oltre a partecipare ad un evento artistico,
testimoniava un comune impegno a rendere la nostra società
migliore e veramente più umana attraverso il loro sostegno
all’Hospice MT. C. Seràgnoli. La Cineteca di Bologna ci ha
fatto il grande regalo di inserirci nella loro programmazione
delle “Chapliniane” per la visione di un lavoro poco noto di
Chaplin che si è rivelato assai godibile nel suo dipanarsi in
quadri finemente caratterizzati, dal ritmo incalzante e con un
finale del tutto sorprendente in sintonia con la serata.
La Camst ha poi offerto il tocco finale con un buffet come al
solito di qualità, occasione per incontri e commenti. Si
respirava l’atmosfera che si vorrebbe predominasse nella nostra
società: la serata si sostanziava in un evento artistico ed era
dedicata ad un nobile obiettivo – sostenere l’Hospice di
Bentivoglio e il suo eccezionale messaggio di umanità – con il
concorso generale dei partecipanti ad offrire il proprio
contributo. In particolare, desidero ricordare le consigliere che
hanno realizzato la parte più faticosa del lavoro, Veronica,
Francesca, Idina, Elisa, Paola, e tutto lo staff organizzativo
dell’Associazione Amici dell’Hospice; i giovani che si sono
prodigati con tanta grazia nell’assistenza agli ospiti; Banca
Esperia e gli altri sponsor (Umberto Cesari, Romanò, Grafiche
Damiani, Francesca Barbara Studio, Accadrà) per avere
compreso con grande sensibilità quanto importante sia
l’Hospice di Bentivoglio, non solo come realtà in sé, ma come
modello da proporre alla nostra società. È il secondo anno che
realizziamo un felice connubio con la Cineteca: un grazie
caloroso va al suo direttore Farinelli, per la disponibilità e la
creatività con cui progetta con noi l’evento. Questa volta,
anche il Teatro Comunale è stato coinvolto e di questa speciale
occasione siamo veramente orgogliosi; grazie dunque anche a
tutti coloro che nel Teatro e per il Teatro hanno operato.
Ma è al pubblico che ha affollato tutti gli ordini di posti che va
il nostro ringraziamento speciale: si è potuto toccare con mano
che la realtà dell’Hospice MT.C. Seràgnoli è ormai stata
adottata dalla cittadinanza bolognese. Questa consapevolezza
ci rafforza nel continuare a perseguire sempre meglio le finalità
che l’apertura dell’Hospice qualche anno fa aveva prefigurato:
la cura della dignità della persona umana al di là della speranza
della sua guarigione. Lo staff dell’Hospice di Bentivoglio
gestisce ora anche un altro Hospice al Bellaria, con la stessa
professionalità e la stessa autorevolezza; ad essi va la nostra
gratitudine. Inoltre, è funzionante a pieno ritmo il Master in
Organizzazione, Gestione e Assistenza in Hospice ed è stata
avviata l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa.
Bologna si avvia a diventare un polo all’avanguardia in questo
settore e ciò non può che tornare a vantaggio della nostra
comunità.
(9
I NOSTRI INCONTRI: UNA GRANDE SERATA CON CHAPLIN AL TEATRO COMUNALE
A WOMAN OF PARISVera Negri Zamagni
Nelle cure palliative il concetto di assistenza infermieristica
racchiude in sé il “prendersi cura della persona nel rispetto
della vita, della salute e della libertà dell’individuo anche
quando non è più possibile guarire”.
È essenziale quindi il principio secondo il quale in Hospice
l’infermiere fornisce alla persona e alla famiglia un’assistenza
qualificata superando il concetto di assistenza e cura alla
malattia e sostituendolo con l’assistenza e cura alla persona.
L’infermiere in hospice deve essere preparato a:
prendersi cura della persona: significa avere come soggetto
della propria azione la persona, in una dimensione non solo
biologica, ma anche spirituale, relazionale, psicologica. Questo
prendersi cura accetta la vulnerabilità, ma si propone di
mobilitare le risorse e le capacità di risposta del paziente, senza
sostituirsi a lui, aiutandolo a esprimere le proprie emozioni
e ad apprendere nuove capacità per affrontare i problemi;
ascoltare la persona: la capacità di ascoltare è una competenza
complessa ma importantissima perché consente di instaurare
un rapporto costruttivo con la persona, che si sentirà capita e
aiutata nella sua sofferenza e malattia. In questo contesto,
l’ascolto è anche uno strumento di cambiamento che aiuta il
paziente a percepirsi non come malato ma come persona, con
un proprio valore intrinseco;
ispirare fiducia: l’infermiere deve favorire un atteggiamento
di fiducia da parte del paziente con la propria correttezza,
trasparenza e coerenza;
utilizzare ritmi lenti: il tempo è una variabile essenziale per
poter instaurare una relazione umana significativa. Anche ogni
relazione d’aiuto ha bisogno di tempo affinché possa attuarsi.
Bisogna considerare che, per poter entrare in contatto con gli
altri in modo autentico ed efficace, è indispensabile dedicare
del tempo. Questo non significa necessariamente utilizzare
“frequenti e lunghi periodi di intensa conversazione”, bensì fare
anche brevi chiacchierate e fornire informazioni che lascino il
paziente con la sensazione di essere considerato e rassicurato;
informare ed educare: l’infermiere deve tenere in considerazione
quelli che sono i bisogni di conoscenza del malato e deve saper
dare le risposte nel momento e nel modo più adeguato.
Fondamentale è confrontarsi continuamente con la complessità
di ogni situazione da gestire: complessità che riguarda sia il
mondo del paziente che quello dell’operatore.
La personalizzazione dell’assistenza, punto focale per
l’infermiere nelle cure palliative, non può prescindere dalla
capacità dell’operatore di rispondere con empatia e con una
comunicazione attiva alle complesse domande che il malato e la
famiglia quotidianamente pongono.
Affinché si riesca a realizzare questo “progetto”, il mondo del
paziente e quello dell’operatore devono incontrarsi sia nella
dimensione della relazione professionale sia in quella della
dimensione umana. È questa duplicità di relazione che
comporta la gestione di un mondo complesso in cui gli attori
sono molteplici ed interagiscono su più livelli, come ben
delineato in questo diagramma.
Il mondo dell’operatore deve avvicinarsi a quello del paziente
sia dal punto di vista professionale che umano e per farlo è
necessaria una seria preparazione, ma anche e soprattutto un
sistema organizzativo, di supporto e di formazione interna
all’hospice che includa, come nel caso dell’Hospice Seràgnoli,
periodiche riunioni d’équipe, supporto psicologico agli
operatori e formazione specialistica.
La complessità di questa relazione può essere schematizzata
nell’avvicinare il mondo del paziente che include varie
dimensioni quali:
- la persona-paziente con i suoi bisogni, capacità, sogni;
- il paziente e la propria consapevolezza, i propri momenti di
crisi e la ricerca di un senso a tutto quello che sta accadendo;
- la malattia;
- la famiglia come anima e luogo dei principali affetti del
passato, del presente e del futuro;
(10
RIFLESSIONI
L’ATTENZIONE AL PARTICOLAREL’assistenza infermieristica in HospiceCatia Franceschini*
(11
RIFLESSIONI
- l’ambiente inteso sia come spazio, tempo e nuovo ruolo
e identità del paziente in questo percorso temporale;
- la società in cui tutto il processo si svolge;
con il mondo dell’operatore che, a sua volta, è composto
da una molteplicità di altre dimensioni:
- la persona-operatore con tutte le sue valenze affettive;
- il professionista come persona che si traduce in pensieri,
sentimenti, affetti e qualità;
- l’operatore come sintesi più o meno armonica di persona e
professionalità
- l’équipe come famiglia e corpo curante;
- l’Hospice come ambiente che rimanda alla propria casa ma
anche al mondo degli affetti;
- e la società in cui questo processo ha luogo.
Gestire la complessità significa pertanto riuscire ad essere
consapevoli di questa molteplicità di variabili, facendo
attenzione ad ognuna – e perciò ad ogni particolare –
mantenendo una visione d’insieme che porti l’infermiere a
fornire un’ assistenza globale, fondata su competenze tecniche
ed umane tali da poter coniugare gli obiettivi assistenziali
all’interesse ed al rispetto per la persona nella sua unicità e
totalità.
*Direttore Infermieristico Hospice Maria Teresa Chiantore Seràgnoli
Il master in “Organizzazione, Gestione e Assistenza in Hospice” è arrivato al secondo semestre con un bilancio molto incoraggiante.
Gli iscritti hanno seguito tutte le lezioni e sostenuto con esito positivo gli esami. Sono state aperte convenzioni con altri Hospice
in modo da garantire la possibilità di seguire periodi di specializzazione anche al di fuori dell’Hospice di Bentivoglio, che rimane
comunque la sede principale delle attività formative sul campo.
Uno degli aspetti più incoraggianti è stato il notevole livello di soddisfazione sia dei docenti e dei discenti con particolare riguardo
all’elevato taglio scientifico delle lezioni, svolte spesso in forma di seminario, pienamente in linea con l’intento di offrire una
formazione all’altezza di una professione di indubbia delicatezza come quella svolta all’interno degli Hospice.
Un master ricco di stimoliGuido Biasco
Tra l’altro si è prodotta una armonia molto forte tra gli allievi, un
clima quasi da college, che ha contribuito a stabilire legami di
solidarietà e amicizia, creando le migliori premesse per il
prossimo ciclo di lezioni.
Nel nuovo master sono previste poche variazioni rispetto a quello
in corso. La principale sarà l’inserimento di moduli di
insegnamento a distanza. Questa operazione, svolta in
collaborazione con la Fondazione Alma Web, viene incontro alle
esigenze degli allievi, quasi tutti impegnati in attività lavorative,
spesso in sedi lontane da Bentivoglio e ha lo scopo di rendere il
master più competitivo e stimolante.
(12
IL CAMMINO DELLE CURE PALLIATIVE IN ITALIA - 2
Come sottolineavo nel numero scorso di Hospes, al termine
della prima parte di questo mio intervento, un momento
fondamentale nello sviluppo delle cure palliative italiane è stata
la fondazione della Società Italiana di Cure Palliative (SICP)
avvenuta a Milano, nel 1986, grazie alla felice intuizione di
Vittorio Ventafridda, che l’ha presieduta sino al 1994. Si tratta
infatti dell’unica Società Scientifica Italiana che ha come
obiettivo statutario principale quello di promuovere la
conoscenza, il progresso e la diffusione delle cure palliative in
campo scientifico, clinico e sociale.
È ospitata a Milano presso la Fondazione Floriani (via Bonnet 2)
e ad essa fanno riferimento 18 sedi regionali, ciascuna con un
proprio Consiglio direttivo e un coordinatore.
La SICP è multidisciplinare, aperta quindi all’iscrizione di tutte
le professionalità sanitarie e non, e conta attualmente 2.125
iscritti.
Sono al lavoro sei Commissioni permanenti (Infermieristica,
Formazione, Ricerca, Hospice, Pediatrica) e alcuni Gruppi di
Studio-GdS finalizzati all’approfondimento di tematiche
specifiche e all’elaborazione di documenti ufficiali e linee
guida. La SICP opera in stretta cooperazione con la
Federazione Cure Palliative specialmente nell’ambito della
partecipazione a organismi istituzionali a livello nazionale e
regionale, nei quali i rispettivi rappresentanti esprimono, da
anni, una linea comune.
A fronte dei risultati di straordinaria rilevanza già conseguiti la
SICP si prepara a nuove sfide per il futuro?
Innanzitutto la crescita numerica delle Strutture di cure
palliative: si contano ormai 360 Centri di cure palliative, di
differente complessità, modello organizzativo e gestione; ciò
rappresenta sì un fatto positivo, ma nello stesso tempo una
preoccupazione sulla possibilità di mantenimento dei livelli di
qualità necessari per un settore così delicato.
In assenza di un modello quanto meno omogeneo, ogni
Regione sta sviluppando un proprio modello di rete di cure
palliative con definizioni, standard, criteri gestionali, tariffe,
investimenti che, di fatto, rappresentano una Babele “dialettale”.
L’assenza di un modello di riferimento ha quale conseguenza
l’assenza di standard organizzativi comuni: ciò significa, ad
esempio, che ogni servizio domiciliare e ogni hospice hanno
numeri differenti di medici, infermieri, operatori socio-sanitari,
fisioterapisti, psicologi, ecc. in rapporto ai malati in assistenza.
UNA SFIDA DA VINCERE CON IL CONTRIBUTO DI TUTTIFurio Zucco*
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Significa inoltre che, in assenza di dotazioni comuni, variano
inevitabilmente i costi dell’assistenza e, quindi, anche la sua
qualità. Certo, la qualità assistenziale non dipende solamente
dal numero di medici e infermieri presenti in rapporto al
numero di malati assistiti, ma il non garantire neppure
standard minimi impedisce il raggiungimento della qualità
assistenziale necessaria.
Un’altra criticità già prevista da anni ma ormai “al calor
bianco” è rappresentata dall’assenza di un iter formativo
specifico in cure palliative per ciascuna figura professionale e di
una precisa definizione dei ruoli e delle carriere: non sono rari
gli esempi di Hospice o di servizi di assistenza domiciliare in
cure palliative nei quali, in modo disinvolto e pur di inaugurare
al più presto l’attività, sono stati inseriti operatori non solo
senza alcuna esperienza ma anche senza alcun percorso
formativo e senza alcuna valutazione di attitudine/motivazione.
Non si improvvisano e non si inventano le competenze
necessarie per assistere i malati inguaribili e morenti e le loro
famiglie! Non si tratta di capacità di poco conto: si pensi
all’essere capaci di lavorare in équipe, al vivere costantemente
l’esperienza della morte, del morire e della sofferenza degli altri,
al dover affrontare decisioni cariche di significati etici e di forti
valenze emotive, alla necessità di possedere e imparare a
manifestare costantemente l’empatia comunicazionale anche
nel caso di essere chiamati a dare notizie e informazioni
negative, al dover acquisire e al saper mettere in pratica precise
competenze tecniche multidisciplinari.
Un altro settore fondamentale nel quale è necessario un “colpo
d’ala” è quello della ricerca: negli scorsi anni solo limitate
risorse sono state messe a disposizione della ricerca clinica in
cure palliative e sulle tematiche della fine della vita.
Globalmente, si può stimare che, negli ultimi 5 anni,
le Istituzioni pubbliche nazionali deputate al finanziamento
di Progetti finalizzati (ad es. Ministero della Università e della
Ricerca, Ministero della Salute) non abbiano messo a
disposizione più di 1 milione di Euro per la ricerca clinica in
questo settore. È evidente la necessità che fosse riconosciuta
l’importanza di destinare fondi adeguati al settore della ricerca
clinica in un’area che ogni anno, purtroppo, riguarda almeno
il 45% dei malati oncologici, con oltre 160.000 decessi.
L’assenza di finanziamenti pubblici determina un fenomeno
ormai ineluttabile: senza il supporto dell’Industria
Farmaceutica la ricerca nel settore delle cure palliative e della
terapia del dolore sarebbe pressoché inesistente.
Un’altra tematica essenziale per lo sviluppo futuro delle cure
palliative è quella relativa al ruolo futuro delle Organizzazioni
Non Profit (ONP).
In particolare FCP/SICP ritengono che le ONP che decidono
di erogare attività diretta in hospice o nell’assistenza
domiciliare non debbano assolutamente essere strumentalizzati
quali soggetti erogatori “a minor costo”. Ciò nuocerebbe
innanzitutto alla possibilità di garantire adeguati livelli
assistenziali, soprattutto da un punto di vista qualitativo.
Senza un miglioramento del livello informativo generale, la
crescita culturale sul diritto a non soffrire inutilmente tarderà a
svilupparsi nonostante gli sforzi profusi.
Soprattutto tarderà ad essere compresa la potenzialità
dell’offerta delle cure palliative, che non deve essere rivolta solo
ai malati oncologici ma anche agli oltre 100.000 malati che,
ogni anno, attraversano la fase terminale di malattie quali le
cardiomiopatie intrattabili, l’insufficienza respiratoria, patologie
neuro-motorie, la sclerosi multipla, l’insufficienza renale, le
alterazioni metaboliche, il diabete, ecc.
Come si può notare, grandi sono le sfide per il futuro, tutte
volte a far sì che, in modo equilibrato, allo sviluppo
quantitativo sia connesso uno sviluppo qualitativo.
Perciò chiunque sia interessato allo sviluppo del movimento
delle cure palliative è invitato ad iscriversi alla SICP.
IL CAMMINO DELLE CURE PALLIATIVE IN ITALIA - 2
* Past President Società Italiana Cure Palliative
SICP Società Italiana Cure Palliative
www.sicp.it - [email protected]
FEDCP Federazione Cure Palliative
www.fedcp.org - [email protected]
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Ancora una volta lo strumento del 5 per mille a sostegno del
mondo non profit si dimostra il più apprezzato dai cittadini.
Nel 2006, il 60% dei contribuenti ha deciso di destinare il 5
per mille a questo settore, dando vita al suo meritato riscatto,
e per il 2007 il dato non solo è confermato ma aumenta fino a
raggiungere quota 70%.
Il solo fatto che ben 2 italiani su 3 abbiano preso parte alla
destinazione del 5 per mille è di per sè eccezionale, ma risulta
ancora più clamoroso se paragonato all’8 per mille, il quale,
nonostante la facilitazione della sola firma, senza codici fiscali
da riportare con precisione, si assesta intorno al 40%.
Il 5 per mille è diventato così, nel giro di soli 2 anni, una
inconfutabile dimostrazione di cittadinanza attiva, un ottimo
esempio di democrazia reale, non solo per avere dato ampio
spazio alla libertà dei contribuenti nella destinazione di una
piccola parte delle proprie tasse, ma per averli resi
contemporaneamente capaci di una destinazione estremamente
mirata. È forse per queste ragioni che La Repubblica lo ha
recentemente definito un “inno alla libertà di scelta”. Ma c’è di
più, ci sono le organizzazioni non profit che si trovano a
bilancio una voce nuova e indispensabile nella realizzazione
di progetti specifici, il cui primo motore dovrebbe essere non il
marketing sociale, ma la possibilità meritocratica di farsi
premiare da chi quella realtà la conosce direttamente, non
tramite l’interfaccia di un invito a donare cartaceo, televisivo
o via mail, ma per esperienza personale, per averne usufruito,
visto e apprezzato le attività.
È questo forse l’aspetto più importante del 5 per mille.
La possibilità di indicare in piena coscienza come destinare una
piccola parte dei propri contributi, scegliendo appositamente
una realtà in cui ci si identifica o della quale si riconosce la
pubblica utilità, trasforma infatti il 5 per mille in uno
strumento che trascende il semplice atto di donazione, per
divenire una modalità pubblica con cui esprimere e sostenere i
propri valori.
Lunga vita quindi al 5 per mille, con l’augurio che da semplice
iniziativa precaria si trasformi presto in una norma ordinaria
della fiscalità.
LUNGA VITA AL 5 PER MILLE!Nicola Bedogni
Un inno alla libertà di scelta dei cittadini per il non profit
A. Carbotti, Taranto
Un senso di pace e di carità
…Sono trascorsi tre anni...un’amica cara, come poche, non c’è più. È incredibile come i ricordi non siano sfumati per niente. Meritodi questa giovane e amabile donna, sicuramente. Ma forse anche un po’ merito della struttura che l’ha ospitata durante l’ultimo mesedella malattia, l’Hospice di Bentivoglio.Sono partita da casa […] poche ore dopo aver ricevuto la notizia, con il cuore a pezzi, un senso di vuoto e di angoscia […]. Ma èbastato arrivare a Bentivoglio e varcare la soglia dell’Hospice, perchè l’angoscia venisse alleviata. Certo, nessuno poteva sottrarci aldolore […]. Ma il senso di pace e di carità che si respira nella struttura, lo spessore umano e professionale degli operatori, hanno resosicuramente meno angustiante la sua incolmabile perdita […] .Un grazie, quindi, a chi ha fatto propria una visione della cura olistica e conforme alla natura umana, l’impegno per il miglioramentodella qualità della vita, assicurando ai malati e alle loro famiglie un’assistenza completa sotto ogni aspetto: medico, assistenziale,psicologico, spirituale…
a cura di Sara Simonetti
DICONO DI NOI
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