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Anno 2 Numero 4 - IV/2007 Semestrale Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 456) art. 1 comma 1 - DCB – Bologna. In caso di mancato recapito inviare al CMP di Bologna per la restituzione al mittente previo pagamento resi. “GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSI NEL MONDO DELLA FILANTROPIA Giuliana Gemelli L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN HOSPICE: L’ATTENZIONE AL PARTICOLARE Catia Franceschini VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀ Cecilia Sgherza © Copyrighy Roy Export Company Establishment A WOMAN OF PARIS I nostri incontri: una grande serata con Chaplin al Teatro Comunale

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Periodico della Fondazione Hospice Seragnoli Onlus

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“GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSINEL MONDO DELLA FILANTROPIAGiuliana Gemelli

L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN HOSPICE:L’ATTENZIONE AL PARTICOLARECatia Franceschini

VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀCecilia Sgherza

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A WOMAN OF PARISI nostri incontri: una grande serata con Chaplin

al Teatro Comunale

IL NOSTRO IMPEGNO PROSEGUE...

di Vera Negri Zamagni /pag 3

VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀ

di Cecilia Sgherza /pag. 4

AGENZIA PER LE ONLUS: INIZIA L’ “ERA ZAMAGNI”

a cura di Giancarlo Roversi /pag. 6

“GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSI NEL MONDO DELLA FILANTROPIA

di Giuliana Gemelli /pag. 8

A WOMAN OF PARIS

di Vera Negri Zamagni /pag. 9

L’ATTENZIONE AL PARTICOLARE

di Catia Franceschini /pag. 10

UNA SFIDA DA VINCERE CON IL CONTRIBUTO DI TUTTI

di Furio Zucco /pag. 12

LUNGA VITA AL 5 PER MILLE!

di Nicola Bedogni /pag. 14

a cura di Sara Simonetti /pag. 15

EDITORIALE

APPROFONDIMENTI E DIBATTITI

I NOSTRI EVENTI

NOVITÀ EDITORIALI

I NOSTRI INCONTRI: GRANDE SERATA CON CHAPLIN AL TEATRO COMUNALE

RIFLESSIONI

IL CAMMINO DELLE CURE PALLIATIVE IN ITALIA

UN INNO ALLA LIBERTÀ DI SCELTA DEI CITTADINI PER IL NON PROFIT

DICONO DI NOI

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a

HOSPESPeriodico della Fondazione HospiceMariaTeresa Chiantore Seràgnoli OnlusAnno 2 Numero 4 - IV/2007

Direttore EditorialeVera Negri Zamagni

Direttore ResponsabileGiancarlo Roversi

RedazioneFondazione HospiceMariaTeresa Chiantore Seràgnoli Onlusvia Marconi 43/45 - 40010 Bentivoglio (Bo)

Progetto graficoCarré Noir

StampatoreGrafiche Damiani S.r.l.

FotografieMauro Zaghi, Federico Sanavio.

Copertina: Roy Export Company Establishment.Concessa dall’Archivio Chaplin/Cineteca di Bolognawww.charliechaplinarchive.org

Per informazioniTel. 051 [email protected]

Autorizzazione del Tribunale di Bolognan. 7434 del 1 giugno 2004

IL NOSTRO IMPEGNO PROSEGUE ...

Carissimi lettori,

questo numero della nostra rivista rappresenta bene lo stato di effervescenza delle iniziative legate all’Hospice

MT.C. Seràgnoli, che si dipartono ormai in una pluralità di direzioni. Alla base di tutto sta il lavoro in Hospice, di cui

qui ci offre una testimonianza la nostra capo-infermieri Catia Franceschini. A sostegno di tale lavoro sta la riflessione

sul modello di Hospice, con un articolo sul nuovo Libro bianco degli Hospice e un altro sulle conferenze promosse

dall’Accademia per diffondere la cultura della cura della persona in tutte le circostanze di vita. Ma poiché nulla si

potrebbe fare senza risorse, segue una rassegna delle azioni di fund raising, così tante nel periodo trascorso che quasi

ci mancava lo spazio per darne compiutamente conto. Continua anche l’attenzione alle tematiche del ruolo della società

civile, con la seconda parte dell’intervista a Stefano Zamagni sull’Agenzia per le onlus e con l’articolo di Giuliana Gemelli

che ci presenta un numero dedicato agli Hospice della sua nuova rivista “Giving”.

È raro trovare una capacità di promuovere la realtà di un Hospice in modo così multiforme e riflessivo, ma la qualità

dell’Hospice MT.C. Seràgnoli lo richiede. Ci auguriamo di assicurarne così la sostenibilità e di diffonderne al meglio

il prezioso messaggio.

Vera Negri Zamagni*

* Presidente dell’Associazione Amici dell’Hospice MT.C. Seràgnoli

(3

EDITORIALE

Il vivere non è un mestiere, o almeno non dovrebbe esserlo:

è un insieme di armonia, creatività, emozioni, estetica,

biologia… E perciò sopporta male tutto ciò che non è

armonico, naturale e positivo. D’altra parte, le sorgenti

dell’attuale commedia umana sono tutt’altro che poetiche

e ci conducono nel vortice della quotidianità con le sue

problematiche. Forse si dovrebbe vivere “come ci pare”, senza

codici né precetti o forse sarebbe sufficiente volersi un po’ più

di bene ispirandosi al sapere degli antichi. Non solo per vivere,

ma anche “per morire bene, bisogna diventare greci” afferma

Umberto Galimberti, professore all’Università Cà Foscari di

Venezia. Il noto filosofo e psicoanalista spiega come la cultura

degli antichi greci fosse caratterizzata da una “visione mortale”,

dalla consapevolezza della morte intrecciata alla vita stessa

e connaturata all’essere umano. “Anche noi – continua

Galimberti - dovremmo recuperare questa dimensione greca

del morire partendo dal presupposto che l’essenza della

malattia è una “scissione schizofrenica”: l’Io si separa dal corpo

e la sofferenza sta nel guardare e concentrarsi sul proprio corpo

e non più sul mondo circostante”. Ma accanto alla malattia c’è

il “potere”: “quello che conferiamo ai medici, nei quali

riversiamo tutte le nostre aspettative sacrali avendo fede nella

cultura organicistica e nel carattere salvifico del metodo

adottato”. A proposito di malattia, Antifonte (V secolo a.C.)

così scriveva: “In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo

verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto”.

Partendo proprio dall’intuizione del filosofo greco, Enzo Soresi,

Primario emerito di Pneumologia presso l’Ospedale Niguarda

di Milano, riconosce l’influenza della coscienza, della memoria

e del desiderio nell’insorgere di patologie gravi, circoscrivendo

le sue ricerche nell’ambito della PNEI (psico-neuro-endocrino-

immunologica). Questa scienza spiega come il sistema

immunitario comunichi con quello nervoso centrale: una

condizione di profondo disagio psichico o di stress, ad

esempio, libera dalle cellule cerebrali particolari tipi di

interleuchine che hanno attività infiammatoria e

immunodepressiva. Una condizione invece di ottimismo o di

felicità, stimola positivamente il sistema immunitario.

La mente non risiede nella testa ma permea il nostro corpo,

e precisamente sta nel sistema neuroendocrino come Soresi

spiega ampiamente nel suo libro, Il cervello anarchico (2005).

In realtà il cervello di cui parla l’autore, proprio anarchico non

è: quando noi nasciamo, biologicamente siamo molto

armonici, per cui, se il cervello fosse realmente anarchico,

l’armonia dovrebbe rimanere invariata nel tempo. Invece, il

cervello si “modella” relazionandosi con l’ambiente esterno e lo

stress, in particolare, determina una alterazione dell’asse

endocrino e lo sviluppo di malattie psico-somatiche.

Secondo Gianluca Bocchi, Professore di Filosofia della scienza

all’Università di Bergamo, “Tutta la storia degli esseri umani ha

rilevanza cognitiva e le interazioni con l’ambiente sono decisive

per la nostra mente. È il prodotto di una rete fatta di percorsi

VIVERE BENE TRA ARMONIA E CREATIVITÀCecilia Sgherza

(4

I NOSTRI EVENTI

Umberto Galimberti ha parlato di Malattia e potere

nel primo appuntamento del ciclo di Incontri a tema

di cultura sanitaria che si sono svolti presso il Centro

San Domenico di Bologna con il patrocinio dell’Alma

Mater, organizzati dall’Accademia delle Scienze di

Medicina Palliativa. Mentre Gianluca Bocchi ed Enzo

Soresi hanno approfondito il concetto di Cervello

anarchico. Oggi, più che mai, è necessario farsi cari-

co della medicina pensando ai valori della persona,

nel segno della cura responsabile. Questo è il tema

su cui si sono confrontati anche altri esponenti della

cultura: Remo Bodei si è soffermato su La cognizione

del dolore mentre Haim Baharier sui Fini ultimi.

Gli incontri dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa

I NOSTRI EVENTI

(5

materiali e chimici ma anche di reti percettive che ci legano al

mondo esterno”. Se pensiamo, quindi, alla salute e alla malattia

come emergenza di una rete, ci rendiamo conto che gli

elementi ambientali non sono alla periferia ma costitutivi.

Forse la nostra società è antibiologica? Forse esprime valori

opposti a quelli che la nostra psiche desidera? Questi i quesiti

che si pone Bocchi sottolineando l’importanza, per gli studi

attuali, di considerare gli esseri umani come tante e differenti

“storie”. Qualunque tipo di cura deve avere una componente

psichiatrica o antropologica, tuttavia si rende conto che questo

tipo di approccio non può riguardare solo il medico perché

è necessario attivare un cambiamento culturale che coinvolga

diversi “attori” (il manager, l’architetto, il politico, ecc.).

Si tratta di una sfida affascinante che da una parte Soresi e

dall’altra Galimberti hanno già avviato aprendoci un mondo

ignoto o forse solo dimenticato…DA SINISTRA

Pierluigi Celli, Umberto Galimberti e Guido Basco.

DA SINISTRA

Enzo Soresi, Gianluca Bocchi e Guido Basco.

APPROFONDIMENTI E DIBATTITI - 2

Lei è un convinto sostenitore della sinergia del non profit

italiano con le altre realtà europee e internazionali.

Può precisare meglio gli scenari che possono prefigurarsi?

Si tratta di una funzione propriamente promozionale

dell’Agenzia, quale ente facilitatore delle plurime espressioni

del non profit italiano. Aprire quest’ultimo all’Europa, e più in

generale al contesto internazionale, è il primo compito da

assolvere. Le istituzioni europee pongono da tempo particolare

attenzione a proposte e progetti relativi al “settore non

lucrativo”, importante “attore” della vita di un Paese, espressione

autentica di una matura e creativa società civile, e ciò anche in

vista degli orientamenti sociali nell’ottica di una sempre

maggiore coesione economica e sociale (Trattato di Amsterdam).

Si pensi altresì all’importante contributo fornito dal Terzo

settore alla promozione dell’occupazione (il Fondo Sociale

Europeo è destinato in parte alla “valorizzazione dei nuovi

giacimenti occupazionali, in particolare nell’economia sociale

(terzo settore)”. A questo si aggiunga la progressiva ridefinizione

dei sistemi di welfare, che aprirà nuovi e maggiori spazi di

azione alle numerose e diversificate realtà del Terzo settore.

Sotto il profilo dell’internazionalizzazione, vi sono altri

obiettivi, sicuramente impegnativi ma necessari, che si

cercherà di raggiungere con slancio: innanzitutto,

l’affermazione di un ruolo dell’Agenzia in seno alla comunità

internazionale. Penso in particolare al CESE (Comitato

Economico e Sociale Europeo), nel cui ambito l’Agenzia per le

ONLUS deve poter svolgere un ruolo da protagonista.

L’Agenzia deve poter essere coinvolta in modo più decisivo, in

virtù della sua specifica conoscenza del settore non profit, nella

attività di supporto informativo e consulenza giuridica. Inoltre

la cooperazione in materia di monitoraggio e controllo delle

organizzazioni non profit, al fine di prevenire l’impiego

strumentale delle stesse per sostenere il terrorismo

internazionale, non può non coinvolgere in maniera adeguata

questa Agenzia, proprio per le competenze specifiche che essa

è in grado di esprimere.

Durante i lavori della Commissione per la revisione del

codice civile lei si è battuto per l’inserimento di un nuovo

tipo d’impresa, quella sociale. Quali sono i nuovi orizzonti

che si potranno aprire per il terzo settore? E quale influenza

avrà nell’attività dell’Agenzia ONLUS?

La figura giuridica dell’impresa sociale, “nuovo soggetto”

introdotto nel nostro ordinamento dal recente decreto

legislativo 155 del 24 marzo 2006 (attuativo della Legge delega

228/2005) è un’altra questione cui l’Agenzia dovrà dedicare

particolare attenzione. Il dibattito è ancora aperto. Avendo

stabilito che “possono acquisire la qualifica di impresa sociale

tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al

libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e

principale un'attività economica organizzata al fine della

produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale,

diretta a realizzare finalità di interesse generali”, tale decreto

viene a riconoscere soggettività economica e autonomia

organizzativa a quelle realtà che, pur essendo titolari di un

proprio patrimonio, non operano secondo la logica del

profitto. Ciò costituisce un ulteriore e importante passo avanti

verso quel modo di guardare e di considerare il terzo settore

secondo un’ottica più “civilistica” che “tributarista”.

Nell’azione che intende portare avanti come nuovo

presidente dell’Agenzia ONLUS ci sono altri obiettivi

promozionali?

Per paradossale che ciò possa apparire, è un fatto che il nostro

paese, pur vantando un Terzo Settore che, in termini relativi,

non è secondo a quello dei paesi dell’Occidente avanzato, non

possiede ancora alcun dottorato di ricerca specificamente

rivolto ad esso. E dire che nei paesi nostri “competitori” da

parecchi anni esistono, presso le più prestigiose università,

AGENZIA PER LE O.N.L.U.S.: INIZIA L’«ERA ZAMAGNI» Priorità, obiettivi e prospettive nei programmi del nuovo Presidenteintervista a cura di Giancarlo Roversi (seconda parte articolo)

(6

Stefano Zamagni

(7

Ph.D. specificamente dedicati ai temi delle organizzazioni non

profit, secondo approcci di studio propriamente

transdisciplinari. L’Italia possiede bensì taluni corsi di laurea e

diversi Master universitari rivolti al Terzo Settore – peraltro in

essere da appena dieci anni; per l’esattezza dal novembre 1996.

Ma ancora nessun dottorato di ricerca. Sono dell’idea che ciò

rappresenti il vincolo più serio alla piena legittimazione

culturale del Terzo Settore e, di conseguenza, alla sua

espansione e diffusione. Fino a che il mondo del non profit

non si autonomizzerà anche sotto il profilo cultural-scientifico,

mai esso potrà sperare di ricoprire il ruolo di protagonista nel

processo di sviluppo e di progresso civile del paese.

Non bastano, a tal fine, né l’autonomia organizzativa né quella

economico-finanziaria. Autonomia culturale significa che il

Terzo Settore deve essere in grado di produrre al proprio

interno quel “pensiero pensante” che vale ad orientare la sua

azione. Non può continuare a vivere di luce riflessa; deve

iniziare a produrre la sua propria luce. Dagli altri due settori, il

Terzo Settore può bensì ricavare, adattandolo opportunamente,

il “pensiero calcolante”, ma non può certo delegare ad essi il

compito di generare il proprio pensiero pensante. Sarebbe

questa la strada certa per una lenta eutanasia oppure per un

insignificante isomorfismo. Ecco perché c’è urgente bisogno di

coinvolgere in tale impresa il mondo dell’Università, che è pur

sempre il luogo privilegiato e ideale tipico per la produzione e

la diffusione del sapere. L’Agenzia per le ONLUS saprà attivarsi

in modo adeguato.

All’inizio di questo nuovo cammino cosa la preoccupa di più?

Più che l’utopia temo la distopia ossia l’atteggiamento tipico

del cinico, di chi ritiene che non ci sia molto da fare, perché

nulla potrà mai essere mutato in meglio. La distopia è la

malattia che prende chi è dominato da quelle che Spinoza

chiamava “le passioni tristi” – non però la tristezza del pianto o

della fatica, ma quella della delusione o della frammentazione.

Il Terzo Settore del nostro paese non può dare spazio – perché

non lo merita davvero – a disposizioni d’animo distopiche.

APPROFONDIMENTI E DIBATTITI - 2

Negli ultimi anni la filantropia è emersa come una modalità

dell’agire sociale condivisa da diversi tipi di istituzioni

pubbliche e private, individuali e collettive. Il modus operandi

che caratterizzava in passato la realtà filantropica sta entrando

in una fase di trasformazione profonda. Da forma di lenimento

caritatevole dei mali che affliggono le società, l’agire altruistico

sta recuperando la dimensione di un’imprenditorialità volta a

generare innovazione sociale. Il numero dei corsi di formazione

per gli esperti e gli operatori del settore é cresciuto in modo

esponenziale negli Stati Uniti ed in Europa, nell’ambito di

autorevoli università. Il progetto cui abbiamo pensato era

quello di creare una rivista, in italiano ed in inglese, con una

forte caratterizzazione accademica. Una rivista con l’ambizione

di rivolgersi ad un pubblico di ampie dimensioni -

comprendente esperti del settore, opinionisti, manager delle

organizzazioni non- profit e delle Fondazioni e, non da ultimo,

imprenditori e business leader - centrata su temi che sono

oggetto di approfondimenti di ricerca. Il progetto nasce

dall’esperienza di lungo periodo di un Master Internazionale

sulla Filantropia e l’Imprenditorialità Socialmente Responsabile

(MISP) dell’Università di Bologna, in collaborazione col

Center on Philanthropy dell’Università di Indiana e con altri

partner europei, africani e nord americani. Alla sua base sta

l’esigenza di capitalizzare le risorse create dalla circolazione -

nell’ambito dell’attività del Master - di studiosi, esperti e

protagonisti di un agire filantropico ad alto potenziale di

impegno, in quanto animato da una visione imprenditoriale

focalizzata sull’investimento come leva dell’innovazione e del

cambiamento sociale. Il primo numero della rivista -

disponibile in libreria ed acquistabile on line

www.buponline.com, link Giving - è dedicato al tema della

“Responsabilità sociale della ricchezza”. Il secondo fascicolo in

uscita a fine anno, affronterà il tema degli Hospice come

risorse olistica per la persona.

A fare da supporto sono i risultati di uno studio condotto dal

MISP che ha esplorato i diversi modelli di hospice nel contesto

internazionale con la finalità di avviare una ricerca-azione volta

a promuovere un approccio strategico che integri aspetti

economici, medico assistenziali ed antropologici. Il tutto

esaminato nella prospettiva di evoluzione di queste organizzazioni

che hanno al centro non più il “paziente” ma la persona, non

più la “cura” ma il “prendersi cura”, nel passaggio da una

visione puramente bio-medica ad un approccio che abbiamo

definito di “medicina sostenibile”. L’intento di questo nuovo

veicolo di ricerca e di comunicazione è anche quello di

mostrare come l’automatica applicazione dei modelli scaturiti

dall’esperienza occidentale ad altre realtà nel contesto

internazionale corre un rischio: quello di non considerare

adeguatamente il fatto che in altre culture la malattia è

considerata attraverso categorie concettuali ed approcci

antropologici diversi da quelli della medicina occidentale.

In tal senso, gli Hospice rappresentano uno spazio di

potenziamento dei valori universali della tolleranza, del rispetto

e dell’integrazione di culture diverse.

“GIVING”: UNA BUSSOLA PER ADDENTRARSI NEL MONDO DELLA FILANTROPIAGiuliana Gemelli*

(8

NOVITÀ EDITORIALI

* Direttore del Master International Studies in Philanthropy,Università degli Studi di Bologna e Indiana University

Incontrarsi a Teatro è sempre una bella occasione. Ma lo scorso

28 settembre lo è stata ancora di più perché il teatro era

gremito di gente che, oltre a partecipare ad un evento artistico,

testimoniava un comune impegno a rendere la nostra società

migliore e veramente più umana attraverso il loro sostegno

all’Hospice MT. C. Seràgnoli. La Cineteca di Bologna ci ha

fatto il grande regalo di inserirci nella loro programmazione

delle “Chapliniane” per la visione di un lavoro poco noto di

Chaplin che si è rivelato assai godibile nel suo dipanarsi in

quadri finemente caratterizzati, dal ritmo incalzante e con un

finale del tutto sorprendente in sintonia con la serata.

La Camst ha poi offerto il tocco finale con un buffet come al

solito di qualità, occasione per incontri e commenti. Si

respirava l’atmosfera che si vorrebbe predominasse nella nostra

società: la serata si sostanziava in un evento artistico ed era

dedicata ad un nobile obiettivo – sostenere l’Hospice di

Bentivoglio e il suo eccezionale messaggio di umanità – con il

concorso generale dei partecipanti ad offrire il proprio

contributo. In particolare, desidero ricordare le consigliere che

hanno realizzato la parte più faticosa del lavoro, Veronica,

Francesca, Idina, Elisa, Paola, e tutto lo staff organizzativo

dell’Associazione Amici dell’Hospice; i giovani che si sono

prodigati con tanta grazia nell’assistenza agli ospiti; Banca

Esperia e gli altri sponsor (Umberto Cesari, Romanò, Grafiche

Damiani, Francesca Barbara Studio, Accadrà) per avere

compreso con grande sensibilità quanto importante sia

l’Hospice di Bentivoglio, non solo come realtà in sé, ma come

modello da proporre alla nostra società. È il secondo anno che

realizziamo un felice connubio con la Cineteca: un grazie

caloroso va al suo direttore Farinelli, per la disponibilità e la

creatività con cui progetta con noi l’evento. Questa volta,

anche il Teatro Comunale è stato coinvolto e di questa speciale

occasione siamo veramente orgogliosi; grazie dunque anche a

tutti coloro che nel Teatro e per il Teatro hanno operato.

Ma è al pubblico che ha affollato tutti gli ordini di posti che va

il nostro ringraziamento speciale: si è potuto toccare con mano

che la realtà dell’Hospice MT.C. Seràgnoli è ormai stata

adottata dalla cittadinanza bolognese. Questa consapevolezza

ci rafforza nel continuare a perseguire sempre meglio le finalità

che l’apertura dell’Hospice qualche anno fa aveva prefigurato:

la cura della dignità della persona umana al di là della speranza

della sua guarigione. Lo staff dell’Hospice di Bentivoglio

gestisce ora anche un altro Hospice al Bellaria, con la stessa

professionalità e la stessa autorevolezza; ad essi va la nostra

gratitudine. Inoltre, è funzionante a pieno ritmo il Master in

Organizzazione, Gestione e Assistenza in Hospice ed è stata

avviata l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa.

Bologna si avvia a diventare un polo all’avanguardia in questo

settore e ciò non può che tornare a vantaggio della nostra

comunità.

(9

I NOSTRI INCONTRI: UNA GRANDE SERATA CON CHAPLIN AL TEATRO COMUNALE

A WOMAN OF PARISVera Negri Zamagni

Nelle cure palliative il concetto di assistenza infermieristica

racchiude in sé il “prendersi cura della persona nel rispetto

della vita, della salute e della libertà dell’individuo anche

quando non è più possibile guarire”.

È essenziale quindi il principio secondo il quale in Hospice

l’infermiere fornisce alla persona e alla famiglia un’assistenza

qualificata superando il concetto di assistenza e cura alla

malattia e sostituendolo con l’assistenza e cura alla persona.

L’infermiere in hospice deve essere preparato a:

prendersi cura della persona: significa avere come soggetto

della propria azione la persona, in una dimensione non solo

biologica, ma anche spirituale, relazionale, psicologica. Questo

prendersi cura accetta la vulnerabilità, ma si propone di

mobilitare le risorse e le capacità di risposta del paziente, senza

sostituirsi a lui, aiutandolo a esprimere le proprie emozioni

e ad apprendere nuove capacità per affrontare i problemi;

ascoltare la persona: la capacità di ascoltare è una competenza

complessa ma importantissima perché consente di instaurare

un rapporto costruttivo con la persona, che si sentirà capita e

aiutata nella sua sofferenza e malattia. In questo contesto,

l’ascolto è anche uno strumento di cambiamento che aiuta il

paziente a percepirsi non come malato ma come persona, con

un proprio valore intrinseco;

ispirare fiducia: l’infermiere deve favorire un atteggiamento

di fiducia da parte del paziente con la propria correttezza,

trasparenza e coerenza;

utilizzare ritmi lenti: il tempo è una variabile essenziale per

poter instaurare una relazione umana significativa. Anche ogni

relazione d’aiuto ha bisogno di tempo affinché possa attuarsi.

Bisogna considerare che, per poter entrare in contatto con gli

altri in modo autentico ed efficace, è indispensabile dedicare

del tempo. Questo non significa necessariamente utilizzare

“frequenti e lunghi periodi di intensa conversazione”, bensì fare

anche brevi chiacchierate e fornire informazioni che lascino il

paziente con la sensazione di essere considerato e rassicurato;

informare ed educare: l’infermiere deve tenere in considerazione

quelli che sono i bisogni di conoscenza del malato e deve saper

dare le risposte nel momento e nel modo più adeguato.

Fondamentale è confrontarsi continuamente con la complessità

di ogni situazione da gestire: complessità che riguarda sia il

mondo del paziente che quello dell’operatore.

La personalizzazione dell’assistenza, punto focale per

l’infermiere nelle cure palliative, non può prescindere dalla

capacità dell’operatore di rispondere con empatia e con una

comunicazione attiva alle complesse domande che il malato e la

famiglia quotidianamente pongono.

Affinché si riesca a realizzare questo “progetto”, il mondo del

paziente e quello dell’operatore devono incontrarsi sia nella

dimensione della relazione professionale sia in quella della

dimensione umana. È questa duplicità di relazione che

comporta la gestione di un mondo complesso in cui gli attori

sono molteplici ed interagiscono su più livelli, come ben

delineato in questo diagramma.

Il mondo dell’operatore deve avvicinarsi a quello del paziente

sia dal punto di vista professionale che umano e per farlo è

necessaria una seria preparazione, ma anche e soprattutto un

sistema organizzativo, di supporto e di formazione interna

all’hospice che includa, come nel caso dell’Hospice Seràgnoli,

periodiche riunioni d’équipe, supporto psicologico agli

operatori e formazione specialistica.

La complessità di questa relazione può essere schematizzata

nell’avvicinare il mondo del paziente che include varie

dimensioni quali:

- la persona-paziente con i suoi bisogni, capacità, sogni;

- il paziente e la propria consapevolezza, i propri momenti di

crisi e la ricerca di un senso a tutto quello che sta accadendo;

- la malattia;

- la famiglia come anima e luogo dei principali affetti del

passato, del presente e del futuro;

(10

RIFLESSIONI

L’ATTENZIONE AL PARTICOLAREL’assistenza infermieristica in HospiceCatia Franceschini*

(11

RIFLESSIONI

- l’ambiente inteso sia come spazio, tempo e nuovo ruolo

e identità del paziente in questo percorso temporale;

- la società in cui tutto il processo si svolge;

con il mondo dell’operatore che, a sua volta, è composto

da una molteplicità di altre dimensioni:

- la persona-operatore con tutte le sue valenze affettive;

- il professionista come persona che si traduce in pensieri,

sentimenti, affetti e qualità;

- l’operatore come sintesi più o meno armonica di persona e

professionalità

- l’équipe come famiglia e corpo curante;

- l’Hospice come ambiente che rimanda alla propria casa ma

anche al mondo degli affetti;

- e la società in cui questo processo ha luogo.

Gestire la complessità significa pertanto riuscire ad essere

consapevoli di questa molteplicità di variabili, facendo

attenzione ad ognuna – e perciò ad ogni particolare –

mantenendo una visione d’insieme che porti l’infermiere a

fornire un’ assistenza globale, fondata su competenze tecniche

ed umane tali da poter coniugare gli obiettivi assistenziali

all’interesse ed al rispetto per la persona nella sua unicità e

totalità.

*Direttore Infermieristico Hospice Maria Teresa Chiantore Seràgnoli

Il master in “Organizzazione, Gestione e Assistenza in Hospice” è arrivato al secondo semestre con un bilancio molto incoraggiante.

Gli iscritti hanno seguito tutte le lezioni e sostenuto con esito positivo gli esami. Sono state aperte convenzioni con altri Hospice

in modo da garantire la possibilità di seguire periodi di specializzazione anche al di fuori dell’Hospice di Bentivoglio, che rimane

comunque la sede principale delle attività formative sul campo.

Uno degli aspetti più incoraggianti è stato il notevole livello di soddisfazione sia dei docenti e dei discenti con particolare riguardo

all’elevato taglio scientifico delle lezioni, svolte spesso in forma di seminario, pienamente in linea con l’intento di offrire una

formazione all’altezza di una professione di indubbia delicatezza come quella svolta all’interno degli Hospice.

Un master ricco di stimoliGuido Biasco

Tra l’altro si è prodotta una armonia molto forte tra gli allievi, un

clima quasi da college, che ha contribuito a stabilire legami di

solidarietà e amicizia, creando le migliori premesse per il

prossimo ciclo di lezioni.

Nel nuovo master sono previste poche variazioni rispetto a quello

in corso. La principale sarà l’inserimento di moduli di

insegnamento a distanza. Questa operazione, svolta in

collaborazione con la Fondazione Alma Web, viene incontro alle

esigenze degli allievi, quasi tutti impegnati in attività lavorative,

spesso in sedi lontane da Bentivoglio e ha lo scopo di rendere il

master più competitivo e stimolante.

(12

IL CAMMINO DELLE CURE PALLIATIVE IN ITALIA - 2

Come sottolineavo nel numero scorso di Hospes, al termine

della prima parte di questo mio intervento, un momento

fondamentale nello sviluppo delle cure palliative italiane è stata

la fondazione della Società Italiana di Cure Palliative (SICP)

avvenuta a Milano, nel 1986, grazie alla felice intuizione di

Vittorio Ventafridda, che l’ha presieduta sino al 1994. Si tratta

infatti dell’unica Società Scientifica Italiana che ha come

obiettivo statutario principale quello di promuovere la

conoscenza, il progresso e la diffusione delle cure palliative in

campo scientifico, clinico e sociale.

È ospitata a Milano presso la Fondazione Floriani (via Bonnet 2)

e ad essa fanno riferimento 18 sedi regionali, ciascuna con un

proprio Consiglio direttivo e un coordinatore.

La SICP è multidisciplinare, aperta quindi all’iscrizione di tutte

le professionalità sanitarie e non, e conta attualmente 2.125

iscritti.

Sono al lavoro sei Commissioni permanenti (Infermieristica,

Formazione, Ricerca, Hospice, Pediatrica) e alcuni Gruppi di

Studio-GdS finalizzati all’approfondimento di tematiche

specifiche e all’elaborazione di documenti ufficiali e linee

guida. La SICP opera in stretta cooperazione con la

Federazione Cure Palliative specialmente nell’ambito della

partecipazione a organismi istituzionali a livello nazionale e

regionale, nei quali i rispettivi rappresentanti esprimono, da

anni, una linea comune.

A fronte dei risultati di straordinaria rilevanza già conseguiti la

SICP si prepara a nuove sfide per il futuro?

Innanzitutto la crescita numerica delle Strutture di cure

palliative: si contano ormai 360 Centri di cure palliative, di

differente complessità, modello organizzativo e gestione; ciò

rappresenta sì un fatto positivo, ma nello stesso tempo una

preoccupazione sulla possibilità di mantenimento dei livelli di

qualità necessari per un settore così delicato.

In assenza di un modello quanto meno omogeneo, ogni

Regione sta sviluppando un proprio modello di rete di cure

palliative con definizioni, standard, criteri gestionali, tariffe,

investimenti che, di fatto, rappresentano una Babele “dialettale”.

L’assenza di un modello di riferimento ha quale conseguenza

l’assenza di standard organizzativi comuni: ciò significa, ad

esempio, che ogni servizio domiciliare e ogni hospice hanno

numeri differenti di medici, infermieri, operatori socio-sanitari,

fisioterapisti, psicologi, ecc. in rapporto ai malati in assistenza.

UNA SFIDA DA VINCERE CON IL CONTRIBUTO DI TUTTIFurio Zucco*

(13

Significa inoltre che, in assenza di dotazioni comuni, variano

inevitabilmente i costi dell’assistenza e, quindi, anche la sua

qualità. Certo, la qualità assistenziale non dipende solamente

dal numero di medici e infermieri presenti in rapporto al

numero di malati assistiti, ma il non garantire neppure

standard minimi impedisce il raggiungimento della qualità

assistenziale necessaria.

Un’altra criticità già prevista da anni ma ormai “al calor

bianco” è rappresentata dall’assenza di un iter formativo

specifico in cure palliative per ciascuna figura professionale e di

una precisa definizione dei ruoli e delle carriere: non sono rari

gli esempi di Hospice o di servizi di assistenza domiciliare in

cure palliative nei quali, in modo disinvolto e pur di inaugurare

al più presto l’attività, sono stati inseriti operatori non solo

senza alcuna esperienza ma anche senza alcun percorso

formativo e senza alcuna valutazione di attitudine/motivazione.

Non si improvvisano e non si inventano le competenze

necessarie per assistere i malati inguaribili e morenti e le loro

famiglie! Non si tratta di capacità di poco conto: si pensi

all’essere capaci di lavorare in équipe, al vivere costantemente

l’esperienza della morte, del morire e della sofferenza degli altri,

al dover affrontare decisioni cariche di significati etici e di forti

valenze emotive, alla necessità di possedere e imparare a

manifestare costantemente l’empatia comunicazionale anche

nel caso di essere chiamati a dare notizie e informazioni

negative, al dover acquisire e al saper mettere in pratica precise

competenze tecniche multidisciplinari.

Un altro settore fondamentale nel quale è necessario un “colpo

d’ala” è quello della ricerca: negli scorsi anni solo limitate

risorse sono state messe a disposizione della ricerca clinica in

cure palliative e sulle tematiche della fine della vita.

Globalmente, si può stimare che, negli ultimi 5 anni,

le Istituzioni pubbliche nazionali deputate al finanziamento

di Progetti finalizzati (ad es. Ministero della Università e della

Ricerca, Ministero della Salute) non abbiano messo a

disposizione più di 1 milione di Euro per la ricerca clinica in

questo settore. È evidente la necessità che fosse riconosciuta

l’importanza di destinare fondi adeguati al settore della ricerca

clinica in un’area che ogni anno, purtroppo, riguarda almeno

il 45% dei malati oncologici, con oltre 160.000 decessi.

L’assenza di finanziamenti pubblici determina un fenomeno

ormai ineluttabile: senza il supporto dell’Industria

Farmaceutica la ricerca nel settore delle cure palliative e della

terapia del dolore sarebbe pressoché inesistente.

Un’altra tematica essenziale per lo sviluppo futuro delle cure

palliative è quella relativa al ruolo futuro delle Organizzazioni

Non Profit (ONP).

In particolare FCP/SICP ritengono che le ONP che decidono

di erogare attività diretta in hospice o nell’assistenza

domiciliare non debbano assolutamente essere strumentalizzati

quali soggetti erogatori “a minor costo”. Ciò nuocerebbe

innanzitutto alla possibilità di garantire adeguati livelli

assistenziali, soprattutto da un punto di vista qualitativo.

Senza un miglioramento del livello informativo generale, la

crescita culturale sul diritto a non soffrire inutilmente tarderà a

svilupparsi nonostante gli sforzi profusi.

Soprattutto tarderà ad essere compresa la potenzialità

dell’offerta delle cure palliative, che non deve essere rivolta solo

ai malati oncologici ma anche agli oltre 100.000 malati che,

ogni anno, attraversano la fase terminale di malattie quali le

cardiomiopatie intrattabili, l’insufficienza respiratoria, patologie

neuro-motorie, la sclerosi multipla, l’insufficienza renale, le

alterazioni metaboliche, il diabete, ecc.

Come si può notare, grandi sono le sfide per il futuro, tutte

volte a far sì che, in modo equilibrato, allo sviluppo

quantitativo sia connesso uno sviluppo qualitativo.

Perciò chiunque sia interessato allo sviluppo del movimento

delle cure palliative è invitato ad iscriversi alla SICP.

IL CAMMINO DELLE CURE PALLIATIVE IN ITALIA - 2

* Past President Società Italiana Cure Palliative

SICP Società Italiana Cure Palliative

www.sicp.it - [email protected]

FEDCP Federazione Cure Palliative

www.fedcp.org - [email protected]

(14

Ancora una volta lo strumento del 5 per mille a sostegno del

mondo non profit si dimostra il più apprezzato dai cittadini.

Nel 2006, il 60% dei contribuenti ha deciso di destinare il 5

per mille a questo settore, dando vita al suo meritato riscatto,

e per il 2007 il dato non solo è confermato ma aumenta fino a

raggiungere quota 70%.

Il solo fatto che ben 2 italiani su 3 abbiano preso parte alla

destinazione del 5 per mille è di per sè eccezionale, ma risulta

ancora più clamoroso se paragonato all’8 per mille, il quale,

nonostante la facilitazione della sola firma, senza codici fiscali

da riportare con precisione, si assesta intorno al 40%.

Il 5 per mille è diventato così, nel giro di soli 2 anni, una

inconfutabile dimostrazione di cittadinanza attiva, un ottimo

esempio di democrazia reale, non solo per avere dato ampio

spazio alla libertà dei contribuenti nella destinazione di una

piccola parte delle proprie tasse, ma per averli resi

contemporaneamente capaci di una destinazione estremamente

mirata. È forse per queste ragioni che La Repubblica lo ha

recentemente definito un “inno alla libertà di scelta”. Ma c’è di

più, ci sono le organizzazioni non profit che si trovano a

bilancio una voce nuova e indispensabile nella realizzazione

di progetti specifici, il cui primo motore dovrebbe essere non il

marketing sociale, ma la possibilità meritocratica di farsi

premiare da chi quella realtà la conosce direttamente, non

tramite l’interfaccia di un invito a donare cartaceo, televisivo

o via mail, ma per esperienza personale, per averne usufruito,

visto e apprezzato le attività.

È questo forse l’aspetto più importante del 5 per mille.

La possibilità di indicare in piena coscienza come destinare una

piccola parte dei propri contributi, scegliendo appositamente

una realtà in cui ci si identifica o della quale si riconosce la

pubblica utilità, trasforma infatti il 5 per mille in uno

strumento che trascende il semplice atto di donazione, per

divenire una modalità pubblica con cui esprimere e sostenere i

propri valori.

Lunga vita quindi al 5 per mille, con l’augurio che da semplice

iniziativa precaria si trasformi presto in una norma ordinaria

della fiscalità.

LUNGA VITA AL 5 PER MILLE!Nicola Bedogni

Un inno alla libertà di scelta dei cittadini per il non profit

A. Carbotti, Taranto

Un senso di pace e di carità

…Sono trascorsi tre anni...un’amica cara, come poche, non c’è più. È incredibile come i ricordi non siano sfumati per niente. Meritodi questa giovane e amabile donna, sicuramente. Ma forse anche un po’ merito della struttura che l’ha ospitata durante l’ultimo mesedella malattia, l’Hospice di Bentivoglio.Sono partita da casa […] poche ore dopo aver ricevuto la notizia, con il cuore a pezzi, un senso di vuoto e di angoscia […]. Ma èbastato arrivare a Bentivoglio e varcare la soglia dell’Hospice, perchè l’angoscia venisse alleviata. Certo, nessuno poteva sottrarci aldolore […]. Ma il senso di pace e di carità che si respira nella struttura, lo spessore umano e professionale degli operatori, hanno resosicuramente meno angustiante la sua incolmabile perdita […] .Un grazie, quindi, a chi ha fatto propria una visione della cura olistica e conforme alla natura umana, l’impegno per il miglioramentodella qualità della vita, assicurando ai malati e alle loro famiglie un’assistenza completa sotto ogni aspetto: medico, assistenziale,psicologico, spirituale…

a cura di Sara Simonetti

DICONO DI NOI

(15

Per sostenere la Fondazione Hospice MT.C. Seràgnoli Onlusi versamenti possono essere effettuati tramite:

- c/c postale n° 29216199 intestato a Fondazione Hospice MT.C.Seràgnoli Onlus, via Marconi 43/45 - 40010 Bentivoglio (Bologna).

- Bonifico bancario presso:UNICREDIT Banca Impresa (Filiale di Cento) c/c 000003481967 – CIN Q – ABI 3226 – CAB 23400intestato a: Fondazione Hospice MT.C. Seràgnoli Onlus,via Marconi 43/45 - 40010 Bentivoglio (Bologna).

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