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Il Medioevo Favole e miti La fonte magica Da sempre l’uomo è in cerca della vita eterna. L’acqua è la fonte di vita per eccellenza e, durante il medioevo, erano numerosissime le storie legate al ritrovamento della fonte della vita eterna. Nella leggenda di seguito riportata confluiscono tradizioni diverse (echi della classicità greca e latina, mitologia assiro- babilonese), e vi si riassume l’esigenza medievale della vita eterna e dell’eterna giovinezza. Un viaggio lontano Lemicio, imperatore di Roma, mentre un giorno tornava da una battuta di caccia, attraversando una foresta, vide sul ciglio di un piccolo sentiero, tracciato nel corso degli anni dalle cavalcature e dai contadini che andavano per legna nel bosco, un uomo, miseramente vestito, che avanzava lentamente. Il suo aspetto e i suoi abiti lasciavano pensare che fosse in viaggio da molti giorni, e sicuramente era da molto che non toccava cibo. Il re gli si fece vicino e gli chiese: «A vederti così sembra che tu venga da molto lontano. Come mai ti trovi in questa foresta? Certamente non sei un cacciatore, né sei venuto qui per raccogliere legna, poiché questa è la stagione in cui non c’è bisogno di fuoco per riscaldarsi». L’uomo, riconosciuto nella persona del cavaliere il suo re, rispose garbatamente: «Io sono un vostro suddito, maestà, e provengo da una città molto lontana da qui. Mi sono messo in viaggio per raggiungervi e per mettere a vostra disposizione i miei servigi; sebbene il mio aspetto possa ingannarvi sulla mia persona, sappiate che posso essere molto utile alla vostra maestà e farei qualsiasi cosa per la vita del mio sovrano». Fiducia mal riposta Il re, che era una persona dall’animo nobile e sensibile, fu commosso dalle parole dell’uomo e in uno slancio di generosità gli promise: «Se ti dimostrerai un uomo valido e leale, ti prometto che sarai elevato ad alti ranghi e le ricchezze certamente non ti mancheranno». Ordinò che gli si desse un cavallo, e si incamminarono alla volta della sede imperiale. Appena giunti nelle sale del palazzo imperiale, il re diede ordine che fosse preparata ogni cosa per la cerimonia di investitura di cavaliere dell’uomo incontrato nella foresta, e alla presenza degli altri nobili e cavalieri,

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Page 1: Web viewPer il pavimento furono usate tavole di cristallo e tutto il palazzo non era diviso in camere o stanze,

Il MedioevoFavole e miti

La fonte magicaDa sempre l’uomo è in cerca della vita eterna. L’acqua è la fonte di vita per eccellenza e, durante il medioevo, erano numerosissime le storie legate al ritrovamento della fonte della vita eterna.Nella leggenda di seguito riportata confluiscono tradizioni diverse (echi della classicità greca e latina, mitologia assiro-babilonese), e vi si riassume l’esigenza medievale della vita eterna e dell’eterna giovinezza.Un viaggio lontanoLemicio, imperatore di Roma, mentre un giorno tornava da una battuta di caccia, attraversando una foresta, vide sul ciglio di un piccolo sentiero, tracciato nel corso degli anni dalle cavalcature e dai contadini che andavano per legna nel bosco, un uomo, miseramente vestito, che avanzava lentamente. Il suo aspetto e i suoi abiti lasciavano pensare che fosse in viaggio da molti giorni, e sicuramente era da molto che non toccava cibo. Il re gli si fece vicino e gli chiese: «A vederti così sembra che tu venga da molto lontano. Come mai ti trovi in questa foresta? Certamente non sei un cacciatore, né sei venuto qui per raccogliere legna, poiché questa è la stagione in cui non c’è bisogno di fuoco per riscaldarsi».L’uomo, riconosciuto nella persona del cavaliere il suo re, rispose garbatamente: «Io sono un vostro suddito, maestà, e provengo da una città molto lontana da qui. Mi sono messo in viaggio per raggiungervi e per mettere a vostra disposizione i miei servigi; sebbene il mio aspetto possa ingannarvi sulla mia persona, sappiate che posso essere molto utile alla vostra maestà e farei qualsiasi cosa per la vita del mio sovrano».Fiducia mal ripostaIl re, che era una persona dall’animo nobile e sensibile, fu commosso dalle parole dell’uomo e in uno slancio di generosità gli promise: «Se ti dimostrerai un uomo valido e leale, ti prometto che sarai elevato ad alti ranghi e le ricchezze certamente non ti mancheranno».Ordinò che gli si desse un cavallo, e si incamminarono alla volta della sede imperiale. Appena giunti nelle sale del palazzo imperiale, il re diede ordine che fosse preparata ogni cosa per la cerimonia di investitura di cavaliere dell’uomo incontrato nella foresta, e alla presenza degli altri nobili e cavalieri, l’uomo fu fatto cavaliere, prestando giuramento e promettendo fedeltà all’imperatore.Il nuovo cavaliere, entrato nelle grazie del re, ben presto fu preso dall’ambizione e dal desiderio di usurpare il potere; così incominciò con le sue sottili arti persuasive a fare proseliti. Il seguito di cui disponeva era diventato ormai abbastanza numeroso quando la congiura venne sventata, grazie alle rivelazioni fatte da uno di coloro che erano stati contattati dal cavaliere.Il re indignato, sentendosi tradito, andò su tutte le furie; tuttavia decise di non condannarlo a morte, come prevedeva la legge, ma si limitò a bandirlo per sempre dal suo regno insieme a tutti gli altri cavalieri e nobili che erano passati dalla sua parte. Li privò di tutti i beni e di tutte le ricchezze che possedevano, dando loro un giorno di tempo per abbandonare il suolo del suo regno; alla scadenza di tale termine, se fossero stati trovati ancora entro i confini del suo territorio, non avrebbe mostrato più tanta clemenza e li avrebbe condannati a morte.Il cavaliere e tutti coloro che insieme a lui erano stati banditi dal regno, pur di non abbandonare le loro ricchezze e di lasciarle nelle mani di altre persone, decisero di mettere a segno la congiura e di eliminare coloro che erano fedeli al re.Il banchetto avvelenatoOrganizzarono così un banchetto, a cui furono invitati la maggior parte dei nobili e dei cavalieri fedeli al re, con il pretesto di salutarli e di spiegare che le accuse loro rivolte erano del tutto infondate e, per vendicarsi di coloro che sarebbero entrati in possesso dei toro beni e delle loro ricchezze, prepararono cibi avvelenati.

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I convitati, non sospettando nulla, morirono avvelenati. Il cavaliere e gli altri nobili, lasciarono in tutta fretta la città, convinti di aver portato a termine il loro piano.Il giorno dopo, quando fu riferito al re l’accaduto, questi non seppe darsene pace ritenendosi responsabile di tutto quello che era successo. «Sono stato io ad ucciderli. Se non avessi condotto qui quell’uomo incontrato nella foresta, tutto ciò non sarebbe accaduto e i miei cavalieri sarebbero ancora vivi».La fonte dalle magiche virtùIl re aveva un figlio molto giovane, il quale vedendo il padre in un tale stato di frustrazione e di dolore gli si fece vicino e disse: «Padre, non disperate, io so come riportare in vita i vostri amati cavalieri. Non lontano da qui c’è un piccolo regno, abitato da bellissime fanciulle, le quali hanno un giardino in cui esiste ogni sorta di meraviglia. Tra le tante cose meravigliose di quel giardino c’è una fonte dalle magiche virtù. Infatti, se la sua acqua viene aspersa sul corpo delle persone morte, queste vengono riportate immediatamente in vita. Perciò vi chiedo il permesso di andare alla ricerca di questa fonte e di portare qui per voi l’acqua che potrà ridare la vita ai vostri fedeli sudditi».Il re pur di riportare in vita coloro che erano morti per colpa sua, concesse al figlio di partire. Il giovane si mise subito in viaggio, da solo, per la terra delle bellissime fanciulle, custodi della suddetta fonte, pensando lungo il tragitto a come fare per riuscire a convincerle delle sue buone intenzioni.Giunto, infine, nei pressi del loro regno, gli si fecero incontro alcune bellissime fanciulle, vestite di candidi abiti che lasciavano intravedere le loro sinuose e perfette forme. Il giovane rimase estasiato da tali bellezze; mai aveva visto donne talmente belle.Fattosi coraggio, il giovane spiegò il motivo della sua venuta e del dolore del padre per la perdita dei suoi uomini più fedeli a causa di un uomo malvagio che era stato condotto a corte dallo stesso re, ed elevato a grandi onori e colmato di benefici.La fonte della vitaLe fanciulle ascoltarono con attenzione ciò che il figlio del re raccontò loro, infine dissero sorridenti: «Sappiamo che tu dici il vero; un animo candido e innocente come il tuo non potrebbe mai mentire, per questo potrai avere accesso alla nostra fonte. Solo agli animi puri ed esenti da peccato è consentito avvicinarsi e prendere l’acqua che restituisce la vita tolta a tradimento o ingiustamente».Detto ciò, lo accompagnarono nel meraviglioso giardino, dove il giovane poté vedere tante meraviglie, che nessuno può descriverle a parole, e qui raccolse in un vaso dell’acqua che sgorgava da questa fonte, situata al centro del giardino, all’ombra dei rami di un ampio albero e attorniata da uccelli che con il loro canto creavano un suono quasi celestiale.Pace e tranquillità regnavano in quel luogo, e fu non senza pochi rimpianti che il giovane prese commiato dalle fanciulle e da quel luogo. Ritornato di corsa al palazzo, si recò nel luogo dove giacevano i corpi esanimi e li asperse con l’acqua che aveva portato con sé.In poco tempo, uno per volta, essi si ripresero e si alzarono come da un profondo sonno, ignari di tutto ciò che era successo. Quando tutti si furono riavuti dal sonno mortale, furono condotti alla presenza del re, che spiegò loro come fossero stati avvelenati e riportati in vita dall’acqua della fonte magica, trovata grazie a suo figlio.Grande fu la gioia del re quel giorno; ai suoi fedeli sudditi riportati in vita vennero dati tutti i beni del cavaliere e dei traditori, e suo figlio fu incoronato re al suo posto”.

Fiabe norvegesiAmmirare i dipinti di un’artista è come scrutarne l’anima, ogni pittore nelle sue opere imprime una parte del suo mondo e lo dona nello scorrere delle pennellate. Questo è ciò che fa l’artista Fantasy Luna Forte, imprigionando in ogni sua tela le perle di un piccolo scrigno che contiene un magico universo, quello del Fantastico, dove potete ritrovare la bellezza eterna socchiusa

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nella possente magnificenza degli Elfi, nel volo incontrastato dei Draghi, nel rincorrersi di Fate sotto i tiepidi raggi di Luna, nelle gocce di sole spruzzate da guizzi di Sirene.Se anche voi siete stregati dall’eterno mondo del Fantasy sarete i benvenuti nel Regno degli Elfi dove potrete ammirare i meravigliosi dipinti conservati nel Palazzo Elfico dell’Arte.Essi raffigurano miti, leggende e divinità legate ad antiche e magiche culture che con le loro storie vi trasporteranno nel loro mondo incantato.Giuramento EternoSi narra che, molti millenni or sono, su una delle Montagne Norvegesi, venne alla luce la nuovogenita degli Dei della Foresta Sempreverde.La fanciulla era di una bellezza meravigliosa e ciò che amava di più era danzare ininterrottamente in prossimità delle sue amatissime cascate nelle quali, molto spesso, si nascondeva se avvertiva la presenza di esseri umani nelle vicinanze.Ma un giorno, da lontano, cominciò ad udire lo scalpiccio di un cavallo e lentamente vide avvicinarsi un bianco destriero con la criniera argentata, condotto da un cavaliere alto e fiero dai lunghi capelli color del tramonto.La creatura fatata si innamorò perdutamente di lui e si narra che condusse il suo amato nel suo regno rendendolo immortale ed eterno come lei...Si narra che è ancora possibile vederli, nelle notti di Luna piena, in prossimità della cascata mentre si giurano amore eterno.Notti di Luna NuovaNelle notti di Luna Nuova si racconta che i Grandi Elfi di Luce lottino contro i Grandi Elfi Oscuri sulle cime dei monti islandesi.Mai bisogna essere presenti o nelle vicinanze quando essi combattono, pena la morte.Si narra che queste creature Soprannaturali siano di Infinita Bellezza e le loro armi lucenti come le stelle o scure e fredde come l’oscurità.Mai bisogna guardare le loro spade o i loro occhi, pena l’essere rinchiusi per sempre in uno specchio.La Nobile RennaMolto, moltissimo tempo fa, in un lontano paese della Norvegia, viveva un pastore che, imprudentemente, un giorno si avventurò nella tormenta di neve per ritrovare una delle sue amate renne. Purtroppo il povero, anziano uomo perse la strada e, a mano a mano che avanzava nella tempesta nevosa il freddo penetrava sempre di più nelle sue vesti, facendolo assopire lentamente. Nel giro di poche ore il pastore cadde nella fredda neve, addormentato.Dopo poco, si risvegliò su di un caldo prato di fiori profumati ma, mentre intorno a lui la tempesta continuava, il suo corpo era caldo e riparato da una forte luce che era di fronte a lui... L’uomo alzò lo sguardo e vide due Esseri meravigliosi, due Elfi alti e regali, vestiti di bianco e dai lunghissimi capelli argentati.Erano sicuramente un Re e una Regina, visti i loro indumenti meravigliosamente elaborati e le corone di cristallo sui loro capi. Cosa stupefacente fu che, accanto alla splendida Regina vi era la sua amata renna, agghindata con mantelli color verde e argento e superbe briglie ingioiellate.L’uomo, dopo aver ammirato questa scena soprannaturale si addormentò, risvegliandosi il giorno seguente nella sua umile casetta ma con accanto a se la sua nobile renna, vestita come una Regina.

La leggenda dei sette dormientiLa leggenda dei sette dormienti fa parte di quel gruppo di leggende che non hanno una localizzazione specifica, ma si ritrovano simili o con caratteristiche diverse presso varie culture e popoli.Ai tempi di Diocleziano, quando le persecuzioni avevano raggiunto il loro apice, l’Impero Romano aveva cominciato lentamente a sgretolarsi e molti popoli avevano cominciato a diventare indipendenti. Tra questi il popolo degli Unni, di cui era re un tale Floro.

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La stirpe di FlorioQuesti aveva sposato una bellissima fanciulla, di nome Brichilde, figlia del re dei Sassoni, e dalla quale ebbe tre figli: il primogenito Floro, padre del beato Martino di Tours, il secondo Ilgrino e un terzo di nome Amnaro. Il secondo figlio di Floro, giunto in età adulta e sposatosi, generò quattro figli: Clemente, Primo, Leto e Teodoro; Amnaro altri tre: Gaudenzio, Quiriaco e Innocenzio.Il beato Martino, quando fu eletto vescovo, convertì al cristianesimo e battezzò sia i suoi due zii, Ilgrino e Amnaro, che i loro sette figli. I genitori di questi sette giovani non avevano diviso l’eredità come gli altri fratelli, ma come se fossero nati da un solo parto, vivevano in una sola casa, in un solo fondo, e avevano in comune tutte le cose con i figli e le mogli.Donare tutto ai poveriNello stesso anno in cui furono battezzati, i sette figli vendettero tutti i loro beni, e donarono il ricavato ai poveri, rendendo i loro servi uomini liberi. Loro stessi si ritirarono in un luogo deserto, poiché erano completamente all’oscuro di orazioni e di salmi, e tennero con sé soltanto due giovinetti che di tanto in tanto adempissero all’officio della consolazione.Vivevano riuniti in un cenacolo senza alcuna lamentela, graditi sia a Dio che agli uomini, senza né mogli né figli, ma preoccupandosi di continuare a condurre l’esistenza in celibato. Inoltre da qualsiasi parte ricevessero del cibo, essi provvedevano a ridistribuirlo ai poveri, e chiunque fosse affetto da qualsiasi malattia, subito veniva da loro guarito. Perciò, veniva gente, dapprima solo dalla provincia adiacente, e in seguito da ogni regione, ed essi erano venerati quasi come i profeti di Dio.Fra quelli che si recarono presso di loro, molti furono convertiti al cristianesimo grazie alla loro predicazione e cominciarono a imitarli. Spogliando gli uomini delle loro vecchie credenze, li rivestivano di una nuova fede e venivano inoltre venerati con ossequio e molti donitivi.Tra gli altri, anche i principi, i tribuni e i soldati cristiani, giudei e gentili venivano a rendere loro omaggio, li riverivano e li adoravano. Questi servi di Dio, però, temendo di cadere preda delle ambizioni e della vanagloria di questo mondo, cercando un rifugio che li mettesse al riparo da tutti questi rischi, decisero di abbandonare la loro patria, seguendo l’esempio di tanti santi uomini e in particolar modo del beato Martino.In pellegrinaggio a GerusalemmeVenuti a conoscenza della fama e della santità del suo nome, e saputo che si trovava nella città di Tours, dopo essersi consigliati tra di loro e radunate pochissime cose, i sette giovani stabilirono di andare da lui e di vivere secondo il suo consiglio.Giunti così a Tours, trovarono il beato Martino nel suo vescovado che, come era suo costume, il giorno di domenica, stava celebrando la messa. Gli chiesero la benedizione che si era soliti dare ai pellegrini. Dopo aver adempiuto al solenne rito, il beato Martino riconobbe i suoi consanguinei, pianse per ognuno di loro e li baciò affettuosamente uno per uno. Quindi, li condusse con sé al di là del fiume, dove c’era ad aspettarlo una moltitudine di frati, e li invitò a pranzo con i suoi confratelli.Il giorno seguente i giovani illustrarono al beato Martino il loro desiderio di recarsi in pellegrinaggio: secondo i loro piani, sarebbero andati prima a visitare la dimora di Pietro e Paolo, quindi si sarebbero diretti a Gerusalemme per visitare il santo Sepolcro e adorare la croce di nostro Signore; infine sarebbero ritornati da lui.Il viaggio dei setteCosì, ottenuta la benedizione da parte di Martino, i sette giovaniviaggiarono per cinque anni a piedi scalzi, vestiti con abiti di lana grezza, nutrendosi solo di pane, acqua, radici ed erbe. Compiuto il loro pellegrinaggio, ritornarono sani e salvi dal beato Martino, portando con sé molte reliquie del sepolcro del Signore e del legno della Santa Croce, del sepolcro della vergine Maria, madre di nostro Signore, e pezzi dei suoi vestiti, alcune reliquie degli apostoli Pietro e Paolo e di molti altri.Tutte furono date a Martino e da questi religiosamente deposte e conservate nell’abside della chiesa maggiore. I sette giovani si affidarono poi a Martino e ai suoi frati e non volevano più

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distaccarsi da loro. Martino li accolse ben volentieri e subito li vestì dell’abito monacale, impartendo loro la sua benedizione, e li collocò sul fianco di una montagna, in una spelonca.Qui fece costruire per loro, nella stessa rupe, un oratorio e benedisse l’altare, dove custodì anche alcune reliquie che essi stessi avevano portato dal loro pellegrinaggio. Ordinò, inoltre, Clemente e Primo presbiteri, Leto e Teodoro diaconi, Gaudenzio, Quiriaco e Innocenzio sottodiaconi. Rimasero quindi in quella cella, dove trascorrevano il tempo in digiuni, in preghiere, in silenzio e dedicandosi alla lettura.Martino appare in sognoDopo che il beato Martino morì, molto spesso, fino al giorno della loro morte,apparve loro in sognoconsolandoli e fortificandoli. In quel luogo vissero per quindici anni, quando Martino era in vita, e altri venticinque dopo la sua morte. Una notte apparve loro in sogno Martino,annunciando la loro morte, con queste parole: «Domattina, appena sorgerà il sole convocate qui l’abate Aicardo e raccontategli tutta la vostra vita, i vostri atti, e confessategli tutti i vostri peccati.Dopodiché prenderete la comunione singolarmente e, terminata la messa, vi inginocchierete in preghiera, e lì lascerete questo mondo; non sentirete dolore, e sarete alieni dalla corruzione della carne. Quindi sarete condotti dagli angeli alla mia presenza, finché non sarete presentati dinanzi al tribunale di Dio».La mattina dopo tutto fu fatto come era stato ordinato da Martino, e dopo aver ricevuto la comunione, essi abbandonarono questo mondo come era stato loro predetto, senza soffrire e rimanendo incorrotti.Il miracolo dei sette dormientiLa cella dove giacevano i loro corpi si riempì di un tale profumo, come se tutti gli aromi di questa terra fossero stati sparsi in quel luogo. Lo stesso abateAicardo pensava che non fossero morti, ma che fossero semplicemente sprofondati in un lungo sonno, poiché il loro volto era rimasto di color rosa e la loro carne era bianca come la neve. Per questo motivo li disposero su dei seggi, così come erano soliti sedere nella loro cella, e li sistemarono in maniera tale che potessero essere scorti da tutti e godessero della luce necessaria e fossero difesi dall’ingiuria delle intemperie.Tutti coloro che venivano a visitarli potevano vedere i loro volti rosei che davano realmente la sensazione che stessero dormendo. Verso quel luogo, con qualsiasi tempo, si dirigevano torme di persone, e tutti coloro che erano ammalati, ritornavano guariti: lebbrosi, sordi, muti, e zoppi, tutti furono guariti dai loro mali.Dopo molto tempo furono seppelliti nella stessa cella o oratorio, con gli stessi abiti che indossavano, e per preservarli da qualsiasi attacco, o profanazione, vennero messe all’ingresso delle sbarre.Si narra (quest’episodio è riferito da Paolo Diacono, «Historia Langobardorum», libro 1, cap. IV) che siano rimasti in quel luogo per moltissimo tempo, immersi in un lungo sonno: integri non solo nei corpi, ma anche nelle vesti, diventando oggetto di venerazione. Ora, una volta che un tale spinto da cupidigia volle spogliarne uno, gli si seccarono le braccia: castigo che spaventò a sufficienza anche gli altri, tanto da scoraggiarli dal compiere ulteriori profanazioni.

L’ondina sicilianaNel 1162 Goffredo di Auxerre, abate di Chiaravelle, raccoglie questa testimonianza da un suo amico prete, una storia piena di mistero che racconta di una fata demone.Chioma di donnaUn giovane alquanto forte ed esperto nel nuoto, verso il crepuscolo, si trovava con i suoi amici in riva al mare per fare il bagno, mentre una luna lucente illuminava la chiara notte. Egli si esercitava nel nuoto con i suoi coetanei, come era solito fare.Sentendo, proprio nelle sue vicinanze, il rumore di un corpo che sguazzava nei flutti, credette che uno dei suoi compagni volesse attaccarlo e tirarlo sott’acqua, come facevano spesso, per scherzare, quando andavano a nuotare.

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Robusto e pronto, il giovane decise di prevenirlo nello scherzo, ma invece della testa dell’assalitore egli afferrò lachioma di una donna. Tenendo stretto allora ciò che credeva una donna, la trascinò secondo i suoi desideri nei flutti, fino a trarla a riva, dove la donna lo seguì spontaneamente.La misteriosa fata silenziosaIl giovane le parlò a lungo e chiese chi fosse mai, ma non riuscì ad estorcerle una sola parola. Nonostante tutto, la coprì con il suo mantello e la condusse a casa, dove, affidatala alla madre, la fece vestire con bellissime vesti.Abbastanza grata e cortese, lei sedeva in silenzio tra di loro. Molte persone la interrogavano e lei rispondeva per segni, in maniera soddisfacente a tutte le sue domande, ma non fornì mai indicazioni sulla sua famiglia, sulla sua patria e sulla ragione della sua venuta.Stava con loro a mangiare e bere, e si comportava in maniera così socievole in tutte le cose, quasi come se fosse venuta tra concittadini, tra consanguinei e persone conosciute. Quando le chiesero se credesse in Dio e se fosse cristiana, annuì con molta energia.Infine, quando le chiesero se fosse intenzionata a sposare il giovane, che naturalmente provava per lei una passione smisurata, subito chinò il in segno di assenso e gli diede la mano.Il matrimonio ed il figlioSolo dopo pochi giorni, la madre accondiscese al desiderio del figlio, e dopo che furono persuasi tutti gli amici, fu fatto venire un sacerdote, per contrarre ilmatrimonio con la parola dello sposo e il cenno del capo della sposa, anche se questa non portava con sé alcuna dote nuziale.Di lì si diressero alla chiesa dove, secondo il rito, furono celebrate con grande sfarzo le nozze. L’amore cresceva di giorno in giorno, e sembrava che i due giovani fossero sempre più contenti della loro unione.La donna concepì e partorì un figlio; lo curava con tanto amore che non permetteva mai che fosse allontanato dal proprio seno o dal proprio grembo, salvo per l’allattamento, per lavarlo e per fasciarlo.Trascorsero i giorni e si poteva vedere l’amore maternoaumentare nei confronti del fanciullo che cresceva.Un essere stregatoAccadde, però, che un giorno il giovane camminava con un suo amico e i due parlavano tra di loro come erano soliti fare. L’amico, parlando del suo matrimonio, sosteneva che la sua sposa era un essere stregato, più che una donna.Anche il vescovo, già prima che i suoi amici esprimessero questi dubbi, li aveva interpellati diligentemente e aveva dichiarato, per quanto era nelle sue possibilità, che quell’improvviso matrimonio era infausto.Ma ora l’animo del giovane cominciò ad essere scosso più del solito dalle parole degli amici, e a dubitare di quella unione. Finalmente concordarono che il giovane rientrato a casa, nel segreto della sua camera, avrebbe minacciato la moglie e il figlio con la spada sguainata, e con parole e con sguardi terribili avrebbe obbligato la moglie a confessare immediatamente chi fosse, pronto a uccidere il figlio se lei si fosse rifiutata.La fata demone fugge e rapisce il figlioRitornato a casa, egli subito mise in atto ciò che aveva progettato dietro suggerimento dell’amico. La donna indietreggiò per la paura, vedendo la spada che veniva brandita sul capo del figlio ed eruppe senza indugio in queste parole: «Oh misero!Costringendomi a parlare perdi una sposa preziosa. Sarei rimasta con te e avrei continuato a farti del bene se solo mi avessi permesso di osservare il silenzio che mi è stato imposto. Ecco, ora ti parlo perché mi costringi, ma dopo avermi udita non mi vedrai più». Dette queste parole, sparì.Il fanciullo intanto cresceva e viveva come tutti gli altri. Tuttavia cominciò ad andare molto spesso sulla riva del mare, dove un tempo era stata rinvenuta la madre, fino al giorno in cui, davanti a numerosi testimoni, la donna stregata rapì, affermano, il figlio che faceva il bagno in quelle stesse acque, e da quel giorno né l’uno né l’altra furono mai più visti.

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Henno e la fata del boscoIl mondo delle fate ha sempre affascinato l’immaginario dell’uomo, e nel medioevo diverse erano le storie legate alla comparsa delle leggiadre creature in diversi luoghi ma affini tra di loro. Una delle leggende più diffuse riguarda la storia di Henno e la fata del bosco.La fata ammaliatriceHenno dai grandi denti, così chiamato per la lunghezza appunto dei suoi denti, un giorno verso mezzodì trovò una ragazza molto bella in una foresta ombrosa, sulle rive del mare della Normandia.Se ne stava seduta tutta sola, avvolta in sete regali, e piangeva silenziosamente: era la cosa più bella che lui avesse mai visto, e la sua bellezza era ancora più accentuata dalle lacrime che le solcavano il viso.Il giovane uomo sentì subito ardere in petto il fuoco della passione.  Si meravigliò che un tesoro così prezioso fosse rimasto incustodito e, come una stella caduta dal cielo, stesse piangente sulla terra.Si guardò intorno, temendo qualche trappola nascosta, ma non vedendo alcuno, si inginocchiò di fronte a lei umilmente e le rivolse la parola con rispetto: «O ornamento, il più dolce e il più luminoso di tutto il mondo, sia che questo bagliore del vostro volto appartenga al genere umano, sia che qualche divinità abbia voluto mostrarsi ai suoi adoratori sulla terra, io me ne rallegro, e anche voi potete rallegrarvi per essere capitata qui, sotto la mia protezione. Cosa devo fare, dal momento che sono stato scelto per essere al vostro servizio?».Il seducente flagelloLa donna rispose con unavoce così dolce e simile a quella di una colomba, che si sarebbe potuto credere che stesse parlando un angelo:«O nobile cavaliere, non fu per mia volontà che mi trovo qui, ma vi giunsi per un caso fortuito. Una nave spinta dalla violenza della tempesta mi portò su questa spiaggia, contro il mio volere, assieme a mio padre, per essere data in matrimonio al re di Francia. Quando sbarcai, in compagnia soltanto di questa fanciulla che vedete qui (ed ecco che una fanciulla apparve al suo fianco), un colpo di vento allontanò la nave, e vani furono gli sforzi dei marinai per ricondurla a riva. Comunque, per paura che i lupi o uomini malvagi possano divorarmi o assalirmi, desidererei nel frattempo restare con voi, se mi darete la vostra parola e quella dei vostri uomini che non mi farete alcun male, poiché sarebbe più sicuro e più conveniente per me fidarmi di voi fino a quando non ritornerà la nave».Henno, che aveva ascoltato tutto con la massima attenzione, vedeva il suo desiderio realizzarsi, e subito promise ciò che gli era stato chiesto; condusse a casa con grande gioia il tesoro trovato, mostrando ad entrambe le donne tutta la gentilezza possibile.La introdusse nel suo castello, l’affidò alla custodia della madre, si unì quindi in matrimonio con questo seducente flagello, e da loro nacque una bellissima progenie.Sua madre era un’assidua frequentatrice della chiesa, e sua moglie faceva lo stesso; la madre era piena di bontà verso gli orfani e le vedove, altrettanto lei.La condotta della donna appariva, agli occhi di tutti, degna dei più grandi elogi, salvo su un punto: evitava l’aspersione dell’acqua benedetta e fuggiva via prima della comunione, prendendo a pretesto la folla o un affare da sbrigare.La donna dragoLa madre di Henno aveva notato questa sua strana condotta e, mossa da giusto sospetto, temendo che potesse accadere il peggio, dedicò tutte le sue cure a spiare la nuora per cercare di scoprire il motivo di questo suo atteggiamento.Aveva notato che la donna entrava in chiesa tutte le domeniche dopo l’aspersione e andava via prima della consacrazione dell’ostia, e per comprendente il motivo, fece un piccolo buco nella parete, attraverso il quale poté spiare la nuora.Una domenica mattina, in cui Henno si era recato in chiesa, la madre vide attraverso il foro la bellissima donna entrare in una vasca per il bagno e trasformarsi in un drago: dopo un po’ di

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tempo la vide balzare fuori dalla vasca, avvolta in un nuovo mantello che la serva le aveva porto e farlo a pezzettini con i denti, quindi riassumere le sue sembianze originali.La madre raccontò al figlio tutto quello che aveva visto. Il figlio mandò a chiamare un prete, insieme si recarono dalle due donne ignare e le aspersero con acqua benedetta.Allora quelle balzarono via attraverso il tetto e, lanciando grandi urla, abbandonarono la dimora, dove si erano a lungo rifugiate.I discendenti di Henno e della sua sposa vivono in gran numero ancora oggi.

Il prete GianniDurante il medioevo si favoleggiava molto su chi e che cosa ci fosse al di là della Terra Santa.Questa leggenda narra di un regno meraviglioso, il regno del "Presbyter Johannes" situato tra le Torri di Babele e le Indie.Un regno favoloso che affascina ed ossessiona studiosi, scienziati, letterati, filosofi e regnanti per secoli. La descrizione è molto particolareggiata ed invitante: un vero e proprio paradiso terrestre.Il sogno del ReNei territori delle tre Indie, viveva un potente re di nome Quasidio, il quale una notte, mentre dormiva, fece uno strano sogno. Infatti, sentì una voce che gli ingiungeva di edificare un palazzo per il figlio che stava per nascere, il quale sarebbe stato re di tutti i re della terra.A questo palazzo, per volere di Dio, sarebbe stata attribuita una virtù: in quel luogo nessuno avrebbe mai sofferto la fame né alcuna malattia, nessuno che fosse al suo interno poteva morire il giorno in cui vi era entrato, e se qualcuno fosse stato sul punto di morire di fame e fosse entrato nel palazzo, se ne sarebbe andato sazio come se avesse mangiato una infinità di portate e sano come se in vita sua non fosse mai stato ammalato.Sempre nel sogno si parlava di una fonte gustosa e odorosa, che sarebbe sgorgata all’interno del palazzo. Essa sarebbe nata in un angolo e, scorrendo per tutto il palazzo, sarebbe giunta all’angolo opposto dove sarebbe scomparsa sotto terra.La fonte dei miracoliColoro che l’avessero bevuta avrebbero trovato il suo sapore simile a quello che avrebbero desiderato mangiare o bere. Bevuta a digiuno tre volte al giorno, per tre anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore, quest’acqua avrebbe permesso di vivere trecento anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore, sempre nel pieno della gioventù, senza invecchiare.Trascorso questo periodo di tempo, chi avesse bevuto l’acqua, avrebbe radunato i consanguinei e gli amici ed avrebbe detto: «Amici miei, parenti miei, ecco che sto per morire. Vi chiedo di chiudere il sepolcro sopra di me e di pregare per me».Dette queste parole, subito sarebbe entrato nel sepolcro e si sarebbe steso per dormire affinché si compisse la profezia, la quale dice: «giunta ormai la sua ora renderà l’anima al Creatore».Il mattino seguente, Quasidio, atterrito da questa visione, si alzò e mentre rifletteva su ciò che aveva visto, molto turbato, udì una voce che veniva dall’alto, ma né lui né coloro che gli erano accanto poterono scorgervi qualcuno: «Quasidio, fa’ ciò che ti è stato ordinato e non indugiare oltre, poiché tutto sarà come li è stato predetto».Il palazzo delle meraviglieIn seguito a questo secondo avvertimento, il re si tranquillizzò del tutto e cominciò a disporre ogni cosa per edificare questo palazzo. Il materiale impiegato per la sua costruzione era di notevole pregio; infatti furono usate solo pietre preziose e oro puro fuso, che venne usato al posto della pietra grezza.La volta del palazzo fu fatta costruire con zaffiri luminosissimi e topazi furono inseriti qua e là, di modo che tutta la volta avesse l’aspetto di un cielo molto sereno punteggiato di stelle. Per il pavimento furono usate tavole di cristallo e tutto il palazzo non era diviso in camere o stanze, ma semplicemente diviso dacolonne di oro purissimo modellate a forma di pinnacoli e disposte al suo interno lungo le pareti.

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Su ognuna di queste colonne c’era un carbonchio della grandezza di un’anfora e il palazzo ne era illuminato allo stesso modo che se fosse stato illuminato dal sole. Nel palazzo c’era una porta di cristallo purissimo incorniciata di oro massiccio, la quale, al passaggio del re, si apriva senza essere toccata, mentre, quando entravano le altre persone, c’erano delle persone preposte alla sua apertura e alla sua chiusura.Quando la costruzione del palazzo fu portata a termine, il re entrava lì dentro ogni giorno, per bere alla fonte. Quando poi si recava da qualche altra parte, faceva portare al suo seguito un po’ d’acqua di quella fonte e ogni giorno ne beveva tre volte a digiuno, così come era stato stabilito nella visione.L'arrivo del nuovo ReQuando, secondo quanto detto nella visione, Quasidio ebbe un figlio, a questi fu imposto il nome diGianni. Giunto in età adulta e preso il comando di quelle terre, Prete Gianni, come egli stesso amava definirsi, scrisse una lettera a tutti i potenti della terra per metterli a conoscenza del suo regno e delle meraviglie che ivi si trovavano e per invitarli a rendergli visita. Prete Gianni, uomo cristiano e protettore e sostenitore dei cristiani poveri del suo regno, aveva settantadue re che gli pagavano i tributi, ed era considerato superiore a tutti i re della terra. Di queste settantadue province, solo poche erano di religione cristiana.Nei suoi domini c’erano animali e uomini di ogni specie e razza: elefanti, dromedari, pantere, onagri, leoni bianchi e rossi, merli bianchi, cicale mute, grifoni, tigri, sciacalli, iene, sagittari, uomini selvatici, uomini cornuti, fauni, satiri e donne della stessa specie, pigmei, cinocefali, giganti, monocoli, ciclopi, un uccello chiamato fenice e tutti gli animali che vivono sotto la volta celeste.Un crogiuolo di popolazioniTra le popolazioni che abitavano il suo regno, ve ne erano alcune che si cibavano solo di carne, sia di quella degli uomini sia di quella degli animali e dei feti, e che non temevano la morte.Quando qualcuno di loro moriva, i consanguinei e gli estranei lo divoravano con grande avidità, sostenendo che era cosa santamangiare la carne umana.Tra queste genti c’erano anche Gog e Magog, che insieme alla loro progenie furono rinchiuse tra monti altissimi dal giovane Alessandro Magno, il re dei Macedoni.Queste popolazioni venivano impiegate contro i nemici, affinché li divorassero, dopodiché li riportavano nelle loro regioni altrimenti avrebbero divorato completamente tutti gli uomini e gli animali che avrebbero trovato sul loro cammino.Queste genti avrebbero dovuto uscire dai quattro angoli della terra prima della fine del mondo, ai tempi dell’Anticristo, accerchiando tutte le fortezze dei santi e la città di Roma.Tale era il loro numero che nessun popolo avrebbe potuto opporre loro resistenza.Terra di miele, latte e serpentiLa descrizione di Prete Gianni continua con le meraviglie della sua terra, stillante miele e ricolma dilatte. In alcune parti del suo regno non esistevano né veleno né serpenti; gli animali velenosi non poteva no abitarvi né far del male ad alcuno.Cosa ancora più meravigliosa era il fiume Indo che scorreva attraverso tutto il suo regno, sgorgante direttamente dal Paradiso, i suoi affluenti si diramavano per l’intera provincia; nelle sue acque si trovavano pietre naturali, smeraldi, zaffiri, carbonchi, topazi, ametiste e molte altre pietre preziose. In questo fiume nasceva un’erba capace di tenere lontano gli spiriti maligni.In un’altra regione c’era un bosco, coperto ovunque di serpenti. Quando il pepe era maturo, gli abitanti che abitavano in quella zona portavano con sé della paglia, stoppie e legna molto secca, con cui circondavano il bosco da ogni parte e appiccavano il fuoco all’interno e all’esterno del bosco, quando il vento soffiava con forza, in modo tale che nessun serpente potesse uscirne. In questo modo tutti i serpenti morivano nel fuoco, e dopo che il fuoco si era spento, gli abitanti impugnando dei forconi gettavano fuori dal bosco i serpenti arrostiti, facendone dei mucchi compatti.

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Liberatisi in questo modo dei serpenti, potevano infine raccogliere il pepe seccato, staccato dai ramoscelli bruciati, e cotto. Il bosco suddetto, si trovava ai piedi dell’Olimpo, monte dal quale sgorgava una fonte in cui si trovavano delle pietre dette midriosi, grazie alle quali i giovani recuperavano la vista.La manna dal cieloNelle regioni verso mezzogiorno, c’era un’isola grande, nella quale, per tutto l’anno, due volte la settimana, Dio faceva cadere in quantità abbondante la manna che le popolazioni circostantiraccoglievano e mangiavano, infatti non coltivavano la terra né praticavano alcun tipo di economia, ma si nutrivano solo di quella.Queste popolazioni erano esenti dall’invidia, dall’odio e dalle guerre, non possedevano capi, ma solo l’inviato di Prete Gianni che andava a riscuotere i tributi, consistenti in cinquanta elefanti e altrettanti ippopotami, carichi di pietre preziose e di oro. Costoro che si nutrivano della manna celeste, vivevano circa cinquecento anni; giunti all’età di cento, bevevano un’acqua che sgorgava da una fonte e riacquistavano la loro giovinezza, questo fino al compimento dei cinquecento anni, dopodiché morivano.Essi non erano seppelliti, ma venivano trasportati sull’isola all’ombra degli alberi, dove la loro carne non imputridiva, ma restava fresca, colorita e incorrotta fino al tempo dell’Anticristo, giorno in cui la terra si sarebbe aperta e li avrebbe inghiottiti. Dopo averli inghiottiti, la terra si sarebbe richiusa e la loro carne sarebbe ridiventata terra e di lì sarebbero risorti per presentarsi davanti al Signore il giorno del Giudizio.La caverna dei draghiUna delle cose più stupende esistente nei domini di Prete Gianni eraun mare di sabbia senz’acqua. La sabbia si muoveva e si gonfiava in onde come qualsiasi altro mare quando è agitato.Quel mare non poteva essere attraversato né in barca né in nessun altro modo, per cui loro stessi non sapevano come fosse la regione di fronte alla loro. Sebbene l’acqua mancasse del tutto, vicino alla riva che giungeva presso la loro regione, si trovavano diverse specie di pesci dal sapore gustoso e assai saporito.A tre giorni di distanza da quel luogo era situato un monte dal quale scendeva un fiume di pietre, anch’esso senz’acqua, che scorreva attraverso i loro domini fino al mare di sabbia.Questo fiume scorreva per tre giorni alla settimana portando con sé pietre d’ogni genere e trascinando tronchi di legno fino al mare di sabbia; quando il fiume si congiungeva al mare, le pietre e i tronchi scomparivano alla vista e non si vedevano più.Mentre il fiume scorreva nessuno poteva attraversarlo, ma negli altri quattro giorni la traversata era possibile.La pietra miracolosaIn una pianura esisteva una pietra dalle meravigliose virtù; essa possedeva il potere di uno straordinario medicamento: curava tutti i cristiani e coloro che intendevano abbracciare questa religione, da qualunque infermità fossero afflitti.Questa pietra era cava come una conchiglia e conteneva l’acqua che era sempre alta circa quattro dita; era sorvegliata da due persone anziane. Quando qualcuno era ammalato e si avvicinava, per prima cosa gli veniva chiesto se era cristiano o se volesse diventarlo; dopo aver risposto, costui si liberava dei vestiti ed entrava nella conchiglia, e se aveva affermato il vero, l’acqua iniziava a salire fino a ricoprirlo completamente. Quindi, a poco a poco, l’acqua decresceva e tornava ai suo solito livello; coloro che erano entrati nell’acqua ne riemergevano guariti dalla lebbra o da qualsiasi altra malattia.In un’altra provincia abbondavano dei vermi chiamatisalamandre, che vivevano solo nel fuoco e si circondavano di una sorta di pellicola, come gli altri vermi che procuravano la seta. Questa pellicola veniva lavorata con cura dalle donne del palazzo ove viveva Prete Gianni e ne ricavavano vesti e panni per le loro necessità. Questi abiti si lavavano solo in un fuoco che ardesse violentemente.

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Oro e pietre contro la pioggiaIl regno di Prete Gianni abbondava d’oro, argento e pietre preziose, ed era disposto ad accogliere qualsiasi ospite che venisse da fuori e tutti i pellegrini.In questo regno non vi eranessuno che fosse povero, né esistevano ladri e predoni. Tutto era in comune e non esisteva divisione di proprietà, essendo i suoi sudditi ricolmi di ogni ricchezza. Avevano a loro disposizione delle pietre il cui potere era tale da incidere sugli eventi atmosferici, ma fra queste alcune erano davvero eccezionali.Una aveva il potere di trasformare l’acqua in latte, l’altral’acqua in vino. Un’altra ancora se veniva gettata nell’acqua dove non c’erano pesci, questi, non appena vi era immersa, in qualunque parte si trovassero, si dirigevano rapidamente verso quel luogo e non potevano allontanarsi fino a quando la pietra non veniva tolta.Presso di loro c’erano dei pesci dal cui sangue si produceva la porpora. Un’altra pietra era consacrata, così che se un cacciatore, inoltrandosi nella foresta, la trascinava dietro di sé legata con viscere di drago, tutti gli animali della foresta si sentivano come attratti da una forza irresistibile e lo seguivano.Quando la pietra veniva tolta di lì, liberata dalle viscere del drago e nascosta in una grotta, le bestie si disperdevano di nuovo.Guerra santa a BabiloniaQuando le truppe di Prete Gianni muovevano guerra contro i loro nemici, al posto dei vessilli facevano avanzare tredici crocigrandi e molto alte, lavorate in oro e pietre preziose, ciascuna issata su un carro: ognuna di esse era seguita da centomila cavalieri e da centomila fanti armati.A loro disposizione avevano molti mezzi di difesa, popoli fortissimi e dalle forme più varie, tra cui le fortissime Amazzoni. Ogni anno Prete Gianni con tutta la sua corte rendeva visita con un grande esercito al corpo dei Profeta Daniele, nella deserta Babilonia, e tutti erano armati a causa dei serpenti velenosi e di altri serpenti che erano chiamati “spaventosi”.Tra di loro non esistevano mentitori e se qualcuno cominciava a mentire, moriva all’istante, cioè era ritenuto morto dagli altri e non avrebbe ricevuto più onori. Tutti perseguivano la verità e si amavano l’un l’altro, senza che vi fosse adulterio e alcun altro vizio. La loro corte mangiava una volta al giorno e ogni giorno alla loro mensa si nutrivano circa trentamila uomini, oltre agli ospiti occasionali.Tutti ricevevano ogni giorno i doni necessari, tanto in cavalli quanto in altre regalie. Ogni mese alla loro mensaservivano sette re, ognuno secondo il suo grado, settantadue duchi e trecentosessantacinque conti, oltre a coloro ai quali erano affidate altre incombenze. Alla loro mensa mangiavano ogni giorno dodici arcivescovi e venti vescovi, oltre al patriarca di San Tommaso, al protopapate di Samarcanda e all’arciprotopapate di Susa.Ognuno di loro tornava ogni mese nella sua sede, secondo un turno prestabilito. Gli altri restavano sempre alla corte di Prete Gianni, e gli abati, ciascuno per ogni giorno dell’anno, servivano nella sua cappella, e ogni mese se ne tornavano poi nella loro, mentre altrettanti tornavano presso questa corte per prestare quello stesso servizio.Le stelle del cielo e la sabbia del mareNella corte vi erano molti ministeriali i quali erano insigniti di un nome e di una funzione più alti, per quanto riguarda la dignità ecclesiastica, e superiore a qualsiasi officio divino, il loro scalco era, infatti, primate e re, il coppiere arcivescovo e re, il ciambellano vescovo e re, il maniscalco re e archimandrita e il capocuoco re e abate.Per questo motivo Prete Gianni non aveva voluto accettare di essere designato con questi nomi o di essere insignito con gli stessi ordini dei quali la corte era piena, e perciò per umiltà aveva scelto di essere denominato con un nomemeno nobile e con un grado inferiore: quello di prete.La lettera di Prete Gianni così concludeva: “Ora non possiamo parlarti quanto dovremmo della nostra gloria e della nostra potenza. Ma quando verrai presso di noi dirai che in verità siamo signori dei signori di tutta quanta la terra. Per il momento sappi solo che i nostri domini si estendono da un lato, in larghezza, per circa quattro mesi di viaggio, mentre in verità nessuno

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può sapere sin dove si spingano in lunghezza. Se tu potessi contare le stelle del cielo e la sabbia del mare, allora potresti misurare i nostri domini e la nostra potenza”.

Le AmazzoniLe amazzoni ricorrono spesso nella storia dell’umanità come figure di guerriere che non hanno bisogno di uomininelle loro comunità (ne abbiamo già degli esempi nella letteratura classica, uno su tutti, Erodoto).Queste figure leggendarie hanno popolato l’immaginazione delle genti di tutte le epoche e, durante il medioevo, si vagheggiava di un loro regno meraviglioso ad est, proprio come successe con la storia del Prete Gianni. Ma il loro fascino continua ancora oggi nei racconti e nelle storie fantasy, nei fumetti e nel cinema, a testimonianza del fascino che ancora suscitano.Donne guerriereLe Amazzoni erano donne che avevano una loro regina; la loro dimora era un’isola che si estendeva per mille miglia nelle quattro direzioni della terra, circondata da ogni parte daun fiume che non aveva né inizio né fine. In questo fiume si trovavano dei pesci delicatissimi da mangiare e facilissimi da catturare.Vi si trovavano anche altripesci dalla forma di grandi cavalli, con quattro piedi assai ben disposti, un collo abbastanza lungo, una testa piccola e orecchie appuntite.Quando le Amazzoni lo desideravano li cavalcavano per tutto il giorno e di notte li lasciavano tornare nell’acqua. Ve ne erano anche altri che avevano la forma di cavalli bellissimi o di muli oppure di buoi e di asini, con cui le Amazzoni aravano, seminavano, trascinavano legna, pietre e qualunque cosa desiderassero.Ve ne erano anche altri che avevano la forma di cani piccoli e grandi, così veloci nella corsa e così abili nella caccia che nessuna bestia poteva fuggire davanti a loro o nascondersi senza che subito fosse catturata. Di questi si servivano per procacciarsi da mangiare.Queste donne non vivevano con i loro uomini, né questi ultimi osavano andare dove esse dimoravano, a meno che non volessero morire all’istante. Essi abitavano sull’altra sponda del fiume di cui si è detto.Uomini? No, grazie!Era infatti stabilito chequalsiasi uomo mettesse piede sulla loro isola morisse all’istante. Le Amazzoni si recavano di tanto in tanto dai loro uomini e restavano con essi una settimana o quindici giorni, dopodiché ritornavano nella loro isola.Quando nascevano ibambini li allevavano fino all’età di sette anni e poi li restituivano ai loro padri. Quando invece nascevano dellebambine le trattenevano presso di loro.Queste Amazzoni erano abilissime in guerra, soprattutto con l’arco e con le aste. Le loro armi erano d’argento, perché non possedevano altra lega né altro metallo all’infuori dell’argento, e con questo fabbricavano aratri, zappe, asce e altri arnesi. Possedevano anche cavalli mortali fortissimi e velocissimi sui quali combattevano, e dai quali abilmente uccidevano i loro nemici, colpendoli da tutti i lati.Sul cavallo avevano la capacità di ruotare più velocemente della ruota di un vasaio. Anche nella corsa erano moltoabili, e se cominciavano a correre nello stesso momento in cui veniva scoccata una freccia dall’arco, prima che essa cadesse a terra la afferravano con una velocissima corsa.Si narra che fossero anche al servizio di Prete Gianni, e quando venivano reclutate per qualche combattimento, il loro numero superava il milione di unità.La morte delle AmazzoniSpesso, durante i combattimenti, i loro maritile seguivano, non per combattere, però, ma per onorarle quando tornavano vittoriose dalle battaglie.Non si sa con precisione come siano scomparse; una delle tante leggende circa la loro morte vuole che la loro fine sia legata all’impresa di un tale Lamissione.

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Costui, figlio di una meretrice che aveva messo al mondo sette figli in un solo parto, era stato gettato in un fiume insieme ai suoi sette fratelli, e riuscì a salvarsi solo grazie all’aiuto e alla carità di un re longobardo, re Agilmondo.Divenuto un giovane coraggioso e un ardente guerriero, alla morte del re meritò la guida del regno. Un giorno mentre i Longobardi, nel corso di una loro migrazione, si trovarono il passaggio di un fiume impedito dalle Amazzoni, Lamissione si inoltrò nella corrente a combattere a nuoto con la più forte di loro, la loro regina, e la uccise procurando a sé gloria e lodi, e ai Longobardi il passaggio.Tra le due schiere si era stabilito in precedenza questo patto: se l’Amazzone avesse vinto Lamissione, i Longobardi si sarebbero allontanati dal fiume; ma se essa fosse stata vinta, i Longobardi avrebbero potuto attraversarlo.