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FXP FalconeXPress numero 1 anno IV Organo di stampa ufficiale dell'Istituto Superiore "Giovanni Falcone" di Asola

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editoriale5 Viva l’Italia

auguri italia7 Amor Patriae nostra lex

10 Bibliografie e recensioni14 Siamo più legati all’Italia di quanto ci piaccia immaginare

18 La mia è un’opera di verità24 Auguri Italia

27 Noi credevamo28 Superare il mito

32 Per non dimenticare33 17 Marzo 2011

36 Fratelli d’Italia?39 Le donne nel Risorgimento (Fra Patria e amori)

44 Le donne nel Risorgimento (effetto donna)46 La spedizione dei Mille

48 150 anni d’Italiasocietà

53 Gemellaggio54 Donne o semplici... femmine?

56 E se al posto di quel cane ci fosse il tuo cane?agorà

58 Riforma dell’istruzioneteatro

60 Novecentopoesie

64 La confessione; Vorrei trovare le parole; L’ideologia; Libera rinascitascienze

65 Canto di un pastore errante fra i bitmusica

68 Perché Sanremo è Sanremo!70 Il nostro genere? Pop-Punk e Punk-Rock

moda&dintorni72 Coco Chanel, una donna, tutte le donne

74 La dea dell’eleganzasicurezza

75 Molta sicurezza = pochi cavallisport

77 Old Trafford78 Magic Johnson: un campione senza tempo

l’oroscopo80 Previsioni per i mesi di marzo ed aprile

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FALCONEXPRESS

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viva l’italia unita!a cura di Antonio CIRIGLIANO (Direttore Responsabile)

Come festeggiare veramente i 150 anni di vita della

nostra Nazione, oggi che è così diffusa una crisi d’identità nazio-nale? Secondo me in un modo molto sem-plice: ricordando i tan-tissimi e grandi per-sonaggi che hanno dato lustro all’Italia nel mondo in tutti questi anni, in tutti i campi del sapere, delle arti,

delle professioni. Il no-stro pensiero va anche agli uomini dell’infor-mazione e agli uomini di stato come Giovan-ni Falcone e Paolo Bor-sellino che hanno te-stimoniato con la loro vita la lotta alle mafie. A tutti loro e a tutti i Padri della Patria che

hanno lottato per uni-re e difendere l’Italia va il nostro pensiero. Colgo inoltre l’occasio-ne, nel momento in cui riprendo la direzione di FXP, per salutare la reda-zione del giornalino, il collega Copertino, i col-leghi tutti, gli alunni e le loro famiglie, la dirigen-te scolastica, la segre-teria e gli operatori Ata. Buona lettura a tutti!!!W l’Italia unita!!!

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È compito della Re-pubblica rimuo-vere gli ostaco-

li di ordine economico e sociale, che, limitan-do di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadi-ni, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva par-tecipazione di tutti i la-voratori all’organizzazio-ne politica, economica e sociale del Paese. Artico-lo 3, Costituzione della Repubblica italianaNelle parole della Co-stituzione si scorgono l’amore e la serietà di persone che credeva-no sinceramente ad ide-ali oggigiorno smarriti. Forse un amore simile e la stessa determinazio-ne che poterono anima-re i padri fondatori della nostra patria, uomini e donne disposti a morire sul campo per la causa dell’Unità. Ricordando il Risorgimento sovvengo-no nomi di eroi mitizza-ti, i “soliti” Garibaldi, Vit-torio Emanuele, Cavour, ma spesso si dimenti-cano gli autori materia-li, i veri idealisti, giovani patrioti che credevano

e che in una certa misura sono stati usati, e con loro si perde quell’euforia, quel coinvolgimento emo-tivo che aldilà della mera speculazione utilitaristi-ca sull’Unità dovrebbe ancora oggi colpire i nostri cuori di italiani. E si parla di persone che in punto di morte gridavano “Viva l’Italia” come ultime parole. Chi morirebbe oggi per un’Italia in cui la gente ma-nifesta al grido di “10, 100, 1000 Nassiriya”? Parole impensabili, seppur sulla bocca di pochi antagoni-sti.Viviamo in uno stato incapace di evitare il frazioni-smo e con una politica che cerca di frazionare an-che la Nazione a dispetto di qualsiasi fondamento costituzionale. Se non possiamo contare sui nostri ministri (che tra l’altro giurano sulla Costituzione e quindi anche sull’articolo 5) per festeggiare l’unità, ci rivolgiamo alla televisione che, come recita un re-cente spot, è “nata per unire”, ma ancora una volta svolge il suo compito tra luci ed ombre.L’intervento di Benigni al Festival di Sanremo ri-specchia la doppia faccia di queste celebrazioni. La grandissima dote artistica ed il profondo amore del comico per la propria patria, traspaiono dalle sue parole e sarebbe bello ci fossero più persone con la stessa passione e convinzione. Quando, tuttavia, ci si sofferma sull’aspetto storico non si possono tran-sigere alcune espressioni, come “Il Risorgimento è stato un movimento di popolo”, tesi che ormai va-cilla alla luce dell’evidenza. Il problema vero è che la storia del Risorgimento come ci è stata raccontata finora, non trova corrispondenza nella realtà dei fat-ti. O meglio, troppe cose, forse scomode, vengono taciute. Laddove non è immaginabile che il popolo studi autonomamente la storia del Risorgimento, è compito degli intellettuali e sta nella loro onestà la responsabilità di divulgare ciò che viene nascosto, di permettere a chiunque di farsi un’opinione non li-mitata alla fonte da un’ideologia, intesa come nega-

Amor patriae nostra lexAlla ricerca di un’idea dimenticata, ma non perduta

a cura di Joned SARWAR (VAs - Direttore Editoriale)

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FALCONEXPRESS8marzo 2011 FALCONEXPRESSzione dell’evidenza, fermo restando il diritto di in-terpretare liberamente quelli che sono i fatti.Questo numero di FXP si propone quindi di svelare alcune delle tante, piccole storie che il velo di Maya dell’ideologia ci ha nascosto e che nemmeno nel-la scuola manca di agire. Lo scorso anno, un proget-to del Sistema Museale Provinciale si proponeva di ripercorrere le battaglie di Solferino e San Martino nel Risorgimento mantovano. Il percorso, non certo-pensato per ragazzi di 17-18 anni, si è concluso con la produzione di un video documentario, nel quale le poche note critiche espresse dagli studenti sono state tagliate, forse per esigenze di regia o forse per-chè, ancora una volta, “Far conoscere la storia del nostro paese alle nuove generazioni” significa ripe-tere incessantemente quella celebrazione di retori-ca che dimostra l’incapacità di accettare la propria origine, nel bene e nel male.L’evento del 150esimo anniversario dell’Unità d’Ita-lia deve essere l’occasione per rinnovare quel patto unitario che forse non è mai stato portato a compi-mento e per ciò vacilla in questi tempi duri. Bisogna riflettere sulla questione federalista, che se da un lato permette all’Italia di mantenere la sua straordi-naria varietà e originalità, dall’altro, nelle intenzio-ni di alcuni, vuole essere il primo passo verso la se-cessione di una parte del Paese e rischia di sfumare il già flebile senso di identità nazionale che caratte-rizza ogni nazione, che in certi casi può essere indi-

Le vicende del Risorgimento si intrecciano conla nascita della Croce Rossa. È infatti assistendo alla Battaglia di Solferino - una delle più cruenti del XIX

sec. - che Henri Dunant ha l’intuizione di crearela celebre associazione umanitaria

Battaglia di Solferino 24 giugno 1859

HenriDunant

spensabile per la sua so-pravvivenza. Rifondare il nostro Risorgimento è uno dei passi necessa-ri per permetterci di re-sistere alle spinte in di-rezione opposta e per dare finalmentela giusta dignità, basa-ta sul vero storicamente accertabile, alla nostra Nazione, troppo spesso derisa e “calpesta”, come recita il nostro inno. Ri-troviamo motivo di po-ter dire ad alta voce “Viva l’Italia”, di poter esprimere il nostro orgo-glio di essere italiani, di commuoverci al suono dell’Inno di Mameli e di ricordare la strada che il nostro popolo ha fatto e alla molta che lo aspet-ta in futuro, nel rispet-to degli altri popoli con i quali oggigiorno siamo in contatto.

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FALCONEXPRESS10marzo 2011 FALCONEXPRESS

Che bello ricordare come è nata l’Italia

di Filippo Ceccarelli, (la Repubblica, 04/12/2010)

Di norma si tendo-no a sottovalutare i guasti che derivano

dalla retorica. Allo stesso modo è difficile superare un senso di sovrabbondan-za dinanzi ai libri d’occa-sione; e il caso del 150° ne è un chiaro e ormai già sa-turo esempio. Perciò bene ha fatto Aldo Cazzullo, in questo suo Viva l’Italia!, a raccontare il Risorgimen-to da giornalista intelli-gente, e cioè come una storia soprattutto di uomi-ni e di donne: quanto ba-sta a spolverarle di dosso, con prosa rapida come una spazzola, la solenne col-tre del mito residuo e del-la noia.

bibliografia e recensioni Per uno sguardo panoramico sul Risorgimento

a cura di Davide MICHELONI (VAs)

Triste la patria che si sente minacciata dall’alluvione degli anniversari. La solu-zione sta nell’attraversare le ricorrenze con il benefi-cio della sorpresa, lascian-dosi trasportare dall’elo-quenza dei particolari che via via s’incontrano. Le fre-gole sessuali di re Vittorio, il moro di Garibaldi, l’acer-ba vitalità di Goffredo Ma-meli. E poi, con un salto, i poeti letterati della Gran-de Guerra, i crocifissi del-la Resistenza, il martirio di Cleonice di tante coraggio-sissime donne, il sadismo disperato dei torturatori fa-scisti. Tutto inutile, oggi? Tutto ancora incerto, affati-cato e anche in pericolo.

Dagli anni della Ri-voluzione france-se alla morte di Ca-

vour, Denis Mack Smith – brillante storico inglese e fra le voci più autorevoli sulla storia d’Italia – demi-stifica molti luoghi comu-ni sul Risorgimento, attra-verso la voce stessa dei protagonisti. Con l’avver-tenza che «i documenti, bi-sogna ricordare, non sono la storia, ma gli elementi che contribuiscono a fare la storia», in queste pagine vengono riportati gli scritti

e le testimonianze di Filip-po Buonarroti e Eleonora de Fonseca Pimentel, Met-ternich e Manzoni, Mazzi-ni e Garibaldi, Gioberti e Pio IX, Carlo Alberto e Car-lo Pisacane, Vittorio Ema-nuele II e Cavour, Giuseppe Massari e Carlo Cattaneo. Ogni documento è intro-dotto da acute riflessioni di Mack Smith e il risultato è una immagine viva e pal-pitante di un periodo che ha profondamente trasfor-mato la penisola italiana. (...) pagine intense il cui filo conduttore dello svolgersi degli eventi nasce da pas-sioni politiche, ambizioni personali, ideali di popoli e interessi di singoli, aspira-zioni rivoluzionarie, vitto-rie e sconfitte da cui è nata l’Unità d’Italia.

www.qlibri.it

Viva l’Italia!di Aldo Cazzullo

Il Risorgimento italianodi Mack Smith

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FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS11

Il libro di Vespa, sebbe-ne il titolo faccia riferi-mento al periodo dal

1861 al 2011 (suppongo che il riferimento ai cen-tocinquanta anni sia stato considerato d’impatto) co-pre un periodo che va, in effetti, dalle guerre di in-dipendenza e si ferma al 2010, anno della pubblica-zione. Personalmente ho trova-to la parte relativa al Risor-gimento ed all’unificazio-ne completa, accessibile e ben documentata. Sicura-mente è adatta ai ragaz-zi delle scuole superiori e delle università, ma anche a chi voglia un approfon-dimento accessibile di una parte così importante della storia nazionale. Ad esem-pio, ho trovato molto ben trattate le vicende di Gari-baldi in Brasile e Uruguay nel periodo anteriore alla spedizione dei Mille. Al-trettanto ben sviluppata mi è parsa la sezione rela-tiva all’Italia post-unitaria:

i governi liberali, il trasfor-mismo, i moti di fabbrica, l’avvento del fascismo. Ho trovato la trattazione del ventennio un po’ meno ef-ficace, ma probabilmente solo perché non si discosta troppo (anzi è molto simi-le) da recenti opere simili di divulgazione storica. Molto belli, a mio avvi-so, anche i capitoli relati-vi al referendum sulla Re-pubblica, la Costituente e la campagna elettora-le del 1948. Quanto al se-condo dopoguerra (...) non possiamo fare una colpa all’autore se non ha trova-to personaggi migliori di Andreotti ed Aldo Moro in rappresentanza dell’epoca. Infine nell’ultima parte re-lativa alla seconda repub-blica la narrazione scivola dalla storia al gossip politi-co (...) di cui, tuttavia, Bru-no Vespa è maestro. In-somma, un bel libro, molto godibile, di divulgazione storico-politica.

www.amazon.it

Il cuore e la spadadi Bruno Vespa

Terronidi Pino Aprile

Il libro “Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del

Sud diventassero meridio-nali” scritto da Pino Aprile è una descrizione corag-giosa nonché documenta-ta di quello che gli italiani fecero a se stessi, del per-ché a centocinquant’an-ni dall’Unità di Italia la dif-ferenza tra Nord e Sud si sia addirittura accentua-ta, marcando tale disugua-glianza in maniera indele-bile. Quanti hanno sempre creduto che questo dipen-desse da un fatto pura-mente geografico dovran-no ricredersi, così come dovranno ricredersi coloro che avevano l’errata con-vinzione che il Sud del no-stro paese sia da sempre la parte più povera e arretra-ta d’Italia. Chi sono stati i veri fautori di questa diver-sità? Con quanta coscienza hanno perpetrato i propri ideali traendone maggiore profitto? Chi ha reso par-te della nostra società così sottomessa e spesso timo-rosa?Un testo che analizza il cambiamento sociopoli-tico di una nazione e che non teme di svelare quelle che sono le realtà scomo-de, tanto che persino i libri di storia le hanno da sem-pre taciute.“La costruzione della mi-norità del sud con stragi e saccheggi e leggi inique è il più grande affare di sem-pre per il nord”.Un linguaggio provocato-rio e altamente professio-

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FALCONEXPRESS12marzo 2011 FALCONEXPRESSnale sviscera in maniera concreta i vari punti di for-za di questa “messa in sce-na”. I Meridionali sono stati definiti per decenni facen-ti parte di una sottospecie in diversi dibattiti e saggi pubblicati negli anni, a ri-prova di come il Sud fos-se un luogo con un alto in-dice di inferiorità. Senza fare sensazionalismo, Pino Aprile dichiara come i pie-montesi fecero al Sud ciò che i nazisti fecero a Mar-zabotto, di come nelle rap-presaglie si concesse liber-tà di stupro sulle donne meridionali e poi ancora di come si incarcerarono i meridionali senza accusa e senza condanna, di come l’Italia unificata impose tas-se aggiuntive ai meridiona-li. Queste e tante altre pro-vocazioni lancia l’autore nei confronti di quelli che, dichiarandosi fratelli, umi-liarono e soggiogarono la parte più soleggiata e viva-ce del nostro stivale.Dopo aver letto questo vo-lume nessuno potrà dire “non lo sapevo”

www. sololibri.netArianna e Selena Mannella

Altro che banditi incivi-li e incolti: i briganti che s’opposero alle truppe sa-voiarde erano patrioti ri-belli, contadini esaspe-rati dall’avidità e dallo sfruttamento dei latifon-

Il sangue del suddi Giordano Bruno Guerri L’unità  d’Italia è

stata cucita a spe-se della Chiesa. Il

processo storico di unifi-cazione dal 1848 al ‘61 si è svolto contestualmente a una vera e propria guer-ra di religione condotta nel Parlamento di Torino - dove tra i liberali siedono i massoni - contro la Chie-

disti, cittadini delusi dal-la mendace propagan-da garibaldina. E quella che venne combattuta tra 1861 e 1870 fu la pri-ma guerra civile italiana. Parola del padre dell’An-tistoria degli italiani. Lo storico più coraggioso, spirituale e anticonfor-mista del nostro secon-do Novecento, l’etrusco Giordano Bruno Guerri, celebra con la disorien-tante onestà di sempre i 150 anni dell’Unità d’Ita-lia pubblicando Il sangue del Sud. Antistoria del Ri-sorgimento e del brigan-taggio (Mondadori, 300 pp., euro 20), una lettura penetrante e lucida del-le vicende post-unitarie, vicende fondanti per de-terminare incomprensio-ni, ostilità e inimicizie tra le due metà della nazio-ne. Lo storico senese riba-disce che la repressione del “brigantaggio” fu una guerra civile, insabbiata nei libri di scuola: anche Angelo Del Boca, qualche anno fa, in Italiani, brava

gente? (Neri Pozza) già la-mentava «non un cenno alla grande alleanza poli-tica tra le classi dominan-ti del Nord e i latifondi-sti del Sud, a tutto danno delle classi subalterne». I briganti andrebbero chia-mati con un altro nome nei libri di storia: ribel-li. Tenendo presente, av-verte Guerri, che è impos-sibile stendere una vera storia documentata del brigantaggio, perché lar-ga parte dei documenti sono stati distrutti o cen-surati. Celebrare a dovere i 150 anni dell’Unità d’Ita-lia potrebbe significare impegnarsi a «rintraccia-re i documenti mancanti, forse ancora nascosti e di-menticati». Perché senza memoria e senza giustizia un popolo cresce sghem-bo. E non impara a rispet-tarsi

www.lankelot.euGianfranco Franchi

Risorgimento da riscriveredi Angela Pellicciari

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FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS13

sa cattolica. I liberali abo-liscono tutti gli ordini reli-giosi della Chiesa di Stato, spogliano di ogni avere le 57.492 persone che li compongono, sopprimo-no le 24.166 opere pie, la-sciano più di 100 diocesi

senza vescovo, impon-gono al clero l’obbligo di cantare il Te Deum per l’ordine morale raggiunto, vietano la pubblicazione delle encicliche pontifi-cie, pretendono siano loro somministrati i sacramen-ti nonostante la scomuni-ca, e, come se nulla fosse, si proclamano cattoli-ci. Perché? Perché proprio lo Stato sabaudo, che si dice costituzionale e libe-rale, alla guida del moto risorgimentale dedica ac-canite sessioni parlamen-tari per la soppressione degli ordini religiosi? Con quali motivazioni ideolo-giche, morali, politiche e

giuridiche? Sulla base di una mole impressionan-te di fonti originali, An-gela Pellicciari dimostra che colpendo il pote-re temporale della Chie-sa s’intendeva annientar-ne la portata spirituale. Dell’iconografia tradizio-nale resta un Ottocento tormentato, certo spre-giudicato, molto meno romantico, che apre a una più piena com-prensione delle difficol-tà  riscontrate fino a oggi nell’evoluzione della no-stra identità  nazionale (pp. 336)

www.ares.mi.it

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FALCONEXPRESS14marzo 2011 FALCONEXPRESS

FXP: Lei individua un filo rosso che unisce il Risorgi-

mento al sacrifico dei nostri soldati durante la prima guerra mon-diale e alla resistenza; può spiegarci meglio il senso di tale continui-tà storica?Cazzullo: Di solito noi ita-liani ci raffiguriamo la nostra storia come qual-cosa fatto da altri, che non ci riguarda: la Con-troriforma senza Riforma, il Risorgimento incom-piuto, la vittoria mutila-ta, la Resistenza tradita. Io credo invece si possa individuare anche una continuità positiva. Con il Risorgimento la nazio-ne si unisce, nella Grande Guerra si tempra (pur tra i patimenti, gli errori di-venuti crimini, le stragi), con la Resistenza rina-sce dopo la notte del fa-scismo.Il suo libro, sicuramen-te in contro tendenza rispetto alla revisione che ultimamente si sta attuando del Risorgi-mento, ha avuto mol-to successo; crede che tale successo sia il se-gnale di una rinnova-

ta, forse tardiva, presa di coscienza da parte degli italiani del valore dell’unità nazionale?In effetti siamo all’otta-va edizione e a 80 mila copie. Il che non sareb-be poi così importante in sé, se non fosse il segno che la scommessa è vin-ta: noi italiani siamo dav-vero più legati all’Italia di quanto ci piaccia imma-ginare.Secondo lei è corretto parlare di guerra civile per il periodo del bri-gantaggio?Sì, ci fu una guerra civile. Ma è scorretto e strumen-tale presentarla come una guerra del nord con-tro il sud. Le prime vitti-me dei briganti furono i veri patrioti meridionali, inquadrati nella Guardia nazionale, che si batte-vano per l’unità fatico-samente raggiunta. E dall’altra parte c’erano i briganti in senso tecni-co, i nostalgici dei Borbo-ni e i nostalgici del potere temporale del clero: non proprio un’alleanza per il progresso. Anche in quel-la guerra civile, come nel-la Resistenza, c’era una parte giusta e una parte

sbagliata.Ci sembra di capire dai suoi scritti che lei ac-cetti la versione di un processo risorgimen-tale compiuto dal po-polo. Volendo tutta-via prescindere da tale questione, tutto-ra oggetto di accese controversie, non cre-de che l’Unità, seppu-re fatta con il popolo, non è stata fatta per il popolo? A tal riguar-do ci vengono in men-te l’esiguo numero del corpo elettorale post-unitario – meno del 2% della popolazione -, la famigerata tassa sul macinato o la dura re-pressione delle riven-dicazioni sociali messa in atto dai vari gover-ni liberali all’indomani dell’Unità. In quale paese al mondo vigeva nel 1859 il suffra-gio universale? E’ ingene-roso attendersi dal Risor-gimento cose che – come la riforma agraria – sono entrate nell’immagina-rio e nel lessico solo anni dopo, o attribuire al Ri-sorgimento colpe che sto-ricamente maturano in seguito. Io non scrivo che

siamo più legati all’italia di quanto ci piaccia immaginare

Intervista ad Aldo Cazzullo, giornalista e saggistaa cura della REDAZIONE

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FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS15

il Risorgimento fu fatto dal popolo, ma che c’era anche il popolo. Nel bien-nio 1848ì-849 insorgono tutte le grandi città ita-liane, da Palermo a Bre-scia, da Messina a Vene-zia, da Genova che vuole continuare la guerra con-tro gli austriaci a Milano, dove certo non sarebbe-ro bastati i sciuri, i signo-ri, a cacciare le truppe di Radetzky.Il libro di Pino Aprile si apre paragonando l’esercito piemontese a quello nazista. Tale si-militudine non le sem-bra azzardata o quan-tomeno temeraria? In eventi oggettiva-mente simili, come ad esempio la fucilazio-ne – dopo la resa – dei soldati italiani a Cefa-lonia e di quelli borbo-nici a Civitella del Tron-to, è possibile stabilire un discrimine, magari considerando la causa per cui combattevano i diversi eserciti?No. E’ un paragone insen-sato e ingiusto. Il nome di Marzabotto è sacro e non andrebbe nominato inva-no, come fa Aprile nella prima riga del suo libro. Certo nel Sud l’esercito italiano – non piemonte-se; italiano, comandato da Cialdini che era di Mo-dena, presidente del Con-siglio Ricasoli, fiorentino – commise atrocità, come

a Casalduni e Pontelan-dolfo. Precedute da atro-cità commesse al danno dei soldati. A Marzabot-to non aveva torturato e squartato soldati tede-schi. Aprile, anziché citare cifre alla rinfusa, dovreb-be vergognarsi e chiede-re scusa anche a Boves, a Sant’Anna di Stazzema e agli altri paesi che hanno conosciuto davvero la fu-ria nazista.Non crede che l’attuale revanscismo meridio-nalista sia il frutto di meri calcoli commer-ciali, di snobbismo e anticonformismo intel-lettuale? O piuttosto si possa parlare di una sorta di nemesi stori-ca che rende giustizia di tutto il rimosso e la vacua retorica degli ul-timi centocinquant’an-ni? È una risposta a vent’anni di invettive leghiste, che hanno inasprito una fe-rita latente. Ed è una re-

azione orgogliosa e auto consolatoria, che se pren-de piede può essere pe-ricolosa. Se il riscatto del Sud non è sentito come possibile e necessario, non ci sarà mai. Se si pen-sa che tutto va bene, o che la causa di ogni male sono i bersaglieri, allo-ra non c’è bisogno di fare nulla, o non c’è nulla da fare.C’è il rischio che il revi-sionismo neoborboni-co e quello leghista va-dano paradossalmente a convergere, con con-seguenze pericolose per il futuro della na-zione?Al Nord si fa strada l’idea che il Nord non è la Ger-mania per colpa del Sud. Nel Mezzogiorno l’idea che il Sud è Sud per col-pa del Nord. La logica è esattamente la stessa: la colpa non è mai nostra; è sempre di altri italiani. Per questo nascerà presto la Lega, o forse le leghe

Con il Risorgimento la nazione si unisce, nella Grande Guerra (immagine) si tempra, con la Resi-

stenza rinasce dopo la notte del fascismo.

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FALCONEXPRESS16marzo 2011 FALCONEXPRESSdel Sud.Nel XIX secolo vi erano  diversi progetti unita-ri, anche non centrali-stici: da quelli federa-listi alla Cattaneo ed alla Rosmini a quello repubblicano alla Maz-zini e socialista alla Pi-sacane ed alla Ferra-ri. I problemi dell’Italia di oggi, agitati al Nord dalla Lega ed al Sud dai rinascenti movi-menti neo-borboni-ci, non sarebbero pro-babilmente all’ordine del giorno del dibatti-to politico se avesse-ro prevalso l’ipotesi fe-deralista di Cattaneo o di Rosmini. Perché tali progetti risorgimenta-li alternativi sono stati accantonati da Cavour e dai Savoia?Perché non erano realisti. Garibaldi lo capì, e fece l’Italia parallelamente ai Savoia, da cui pure fu trattato con poca genero-sità, e non contro. L’unico modo in cui era possibile fare l’Italia.Augusto Del Noce af-fermava che “il Risor-gimento è stato un capitolo della storia dell’imperialismo in-glese”. In effetti si do-vrebbe studiare a fondo il contesto in-ternazionale nel qua-le il Risorgimento ebbe luogo. In questo sen-so, posto che l’ideali-

smo a tinte fosche di un Mazzini nulla po-teva in concreto, di-venta fondamentale la domanda se, al succes-so del processo unita-rio, hanno contribuito più la spregiudicatez-za machiavellica della diplomazia di Cavour e le capacità strategi-che di un guerrigliero come Garibaldi oppure l’appoggio in funzio-ne antiaustriaca di Na-poleone III, che cerca-va di affermare anche attreverso la nascita di un regno dell’Ita-lia del Nord, l’egemo-nia francese in Euro-pa e l’aiuto finanziario e propagandistico dell’Inghilterra all’im-presa dei mille, aiuto finalizzato ad impri-mere nel mediterra-neo, a dispetto anche della Francia, l’egemo-nia navale inglese (non si dimentichi che i Bor-boni aveva tolto all’In-ghilterra l’appalto del-le miniere di sale e che quella napoletana era una marina concorren-ziale per l’inglese).Augusto Del Noce ama-va epater les bourgeois. L’Inghilterra ebbe un ruo-lo tutto sommato margi-nale. Certo non si oppose, diede una mano a Gari-baldi, ma credo che il suo ruolo sia stato enfatizza-to. La sua diplomazia e il

Aldo CAZZULLO (Alba, 17 settembre 1966) è un giornalista e saggista italiano.Entra a La Stampa come praticante, nel 1988. Nel 1998 si trasfe-risce a Roma. Nel 2003, dopo quindici anni a La Stampa, passa al Cor-riere della Sera, chia-mato da Stefano Folli, all’epoca direttore. Scri-ve tuttora per il quoti-diano milanese come inviato speciale ed edi-torialista.Ha raccontato i Giochi olimpici di Atene e di Pechino, le reazioni del mondo arabo agli at-tentati dell’11 settem-bre 2001, i fatti del G8 di Genova, gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi, le vittorie di Bush, Erdogan, Sar-kozy, Zapatero, Obama, Cameron e dell’Italia al campionato del mondo 2006. Insignito del Pre-mio Nazionale ANPI “Re-nato B. Fabrizi” 2011 per il volume “Viva l’Italia”.

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suo peso politico-econo-mico fu importante sem-mai nell’evitare che l’Ita-lia passasse dall’influenza austriaca a quella fran-cese. Com’è noto, Napo-leone III sognava un re-gno dell’Italia centrale da affidare a un suo paren-te. Per fortuna non è an-data così. Ma il sangue di Magenta e di Solferino fu francese. Sarebbe giusto riconoscerlo.Il Sud è stato indubbia-mente trattato come una colonia dall’eserci-to sabaudo. Libri come “Terroni” di Pino Apri-le o il recente “Il san-gue del sud” di Giorda-no Bruno Guerri hanno avuto il merito di por-tare all’attenzione del grande pubblico acca-dimenti fino ad oggi noti solo a ristretti cir-coli di storici specialisti o ai minoritari gruppi neo-borbonici. Le ce-lebrazioni ufficiali ten-dono invece a nascon-dere o minimizzare la tragicità di quan-to è avvenuto nel Sud dell’Italia in nome di un anti-storico “italia-ni brava gente” o della sacralità della memo-ria dei “padri della pa-tria” (Cavuor, Vittorio Emanuele II, Mazzini e Garibaldi). Non crede che in questo modo si faccia un cattivo servi-zio alla stessa identi-

tà nazionale privando-la di una lettura a 360° che comprenda anche le pagine “nere”? Non sarebbe giusto che gli italiani siano messi in grado di conoscere e valutare criticamen-te anche i cosiddetti “panni sporchi” che si vogliono lavare di na-scosto nella casa del-le celebrazioni ufficia-li? In definitiva, non è auspicabile il tentativo di rifondare il senso di appartenza alla nazio-ne sulla base di un’au-tentica memoria con-divisa?Ma, tutti questi piagnistei sul Sud “colonia” non mi commuovono. Certo sul Sud ci sono pagine odiose della classe dirigente libe-rale, non necessariamen-te piemontese. E ci furo-no inammissibili atrocità nella repressione del bri-gantaggio. Pagine nere, certo, che vanno raccon-tate, ma non strumenta-lizzate, come si fa oggi. È anche vero, più in genera-le, che al Sud uno Stato in senso moderno non esi-steva. Le tasse non piac-ciono a nessuno, nean-che oggi. Però bisogna pagarle. Come il servi-zio militare, un’altra cosa che al tempo dei Borboni non esisteva. Infatti mil-le volontari ebbero ragio-ne dell’intero esercito di Franceschiello. Quanto

alla memoria condivisa, non esiste. La memoria è sempre di parte. Semmai si può comporre le varie memorie in una memoria comune.Non le sembra singo-lare il caso dell’Italia che nasce come nazio-ne centralistica e at-tualmente, dopo 150 anni, tende ad una forma federalista? Non è concreto il ri-schio che le forti spin-te centrifughe portino il nostro paese sulla strada già intrapresa dal Belgio che, di fat-to, come nazione, non esiste più? Dipende da quale fede-ralismo si farà. Il locali-smo italiano è definito dal comune, non dalla regione. Se si danno più poteri ai sindaci, anche per la sicurezza, benis-simo. Se si appesantisce la burocrazia regionale, con più costi e quindi più tasse, sarà un male.Dott. Cazzullo, lei si sente italiano? Che si-gnificato dà a questa parola?Certo che mi sento ita-liano. Parte di una storia molto più antica di 150 anni, che nasce dalla po-esia di Dante e Petrarca, dalla bellezza degli arti-sti rinascimentali. E an-che dal sacrificio dei pa-trioti del Risorgimento e della Resistenza.

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FALCONEXPRESS18marzo 2011 FALCONEXPRESSFXP: Si ha l’im-

pressione, negli ultimi tempi, che

l’auspicio di uno dei suoi libri più celebri sia stato accolto; assistia-mo ad una riscrittura del Risorgimento.È in atto, infatti,lo sdo-ganamento di quelle ricerche, di cui lei è sta-ta una pioniera e che solo fino a ieri veniva-no liquidate come in-genue e faziose nostal-gie neoborboniche.Innanzitutto, come giudica questo nuovo orientamento all’inter-no dell’opinione pub-blica, in modo positivo o è da considerarsi una sorta di moda intellet-tuale?Pellicciari: Lo ritengo ov-viamente positivo, an-che perché si basa sui fat-ti; essendo io una storica l’importante è analizza-re i fatti, non solo le paro-le d’ordine, le varie propa-gande di tipo liberale.Pino Aprile, nel suo libro “Terroni”, de-scrivendo gli artefi-ci della piemontesiz-zazione del Suditalia,

usa spesso frasi del tipo: italiani del nord o, sarcasticamente, fra-telli d’Italia venuti dal nord.Secondo lei, non si po-trebbe invece parla-re, più che di uno scon-tro politico e  militare tra due Stati della pe-nisola, di uno scontro tra ideologie, filoso-fie e visioni del mon-do diverse? Si può dire cioè, che della rivolu-zione borghese e libe-rale italiana, chiamata Risorgimento, furono vittime anche le clas-si meno abbienti del Norditalia? In defini-

tiva, non sarebbe più corretto leggere il pro-cesso risorgimenta-le come l’offensiva di una classe sociale – e dell’ideologia che vi era dietro - sulle altre, piuttosto che di uno Stato o un territorio su un altro?Certo. Nel mio lavoro in-fatti, io non è che pren-da in esame soprattutto gli eventi che riguardano l’Italia meridionale, ma i fatti che riguardano tutta l’Italia, settentrione, cen-tro e meridione. Io indago l’avversione per noi ita-liani, ad opera di una cul-tura liberale, massonica ed elitaria che riguarda-va più o meno il 2% del-la popolazione. Tale élite ha voluto imporre al re-stante 98% della popola-zione le proprie idee e la propria visione del mon-do, questo disprezzo per gli italiani e in particola-re per la Chiesa cattolica – tenga presente che era-vamo tutti cattolici – ha prodotto una devastazio-ne in tutta Italia che ha fatto sì che noi italiani di-ventassimo per la prima

la mia è un’opera di veritàIntervista alla professoressa e storica Angela Pellicciari

a cura della REDAZIONE

LeoneXIII

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volta nella nostra storia bimillenaria un popolo di poveri, di emigranti. Ma di quest’aspetto, cioè del Risorgimento come lot-ta contro la Chiesa e per-tanto come lotta contro gli italiani, purtroppo mi sembra che nessuno parli e invece questo è l’aspet-to fondamentale, anzi è l’amima del Risorgimen-to. Dopodiché, all’interno di questa anima c’è una conquista dell’Italia me-ridionale particolarmen-te violenta, anche perché il Regno delle Due Sicile, il Regno più antico d’Italia se si esclude lo Stato pon-tificio, rivendicava e cu-stodiva la propria identi-tà cristiana.Torniamo per un atti-mo ai fatti. Le vicen-de che racconta nei suoi libri, come quel-le di altri ricercato-ri, non sono mai sta-te confutate, semmai sono state rimosse o sminuite.  Dopo i fat-ti, tuttavia, subentra-no necessariamente le interpretazioni. Alcu-ni autorevoli pensato-ri non potendo negare la violenza e la repres-sione che hanno carat-terizzato il processo unitario nel meridio-ne, lo giudicano come

uno scotto necessario, un fio da pagare alla ci-viltà e al progresso (a tali conclusioni sembra giungere anche l’ulti-mo lavoro di Giordano Bruno Guerri “Il san-gue del sud”). Cosa si sente di dire a costoro che, sulla base di una lettura manichea della storia, distinguono tra

vittime di serie A e vit-time di serie B, tra car-nefici e patrioti?Innanzitutto è una visio-ne della storia ideologica, hegeliana, basata su una visone predeterminata del progresso. Tale visio-ne non è solo degli auto-ri che lei mi ha citato. An-che Gramsci, ad esempio, che pur critica il Risorgi-mento, lo fa all’interno di una visione storicistica, che vede nella mala con-

duzione del Risorgimento comunque un progresso rispetto alla condizione precedente. A mio modo di vedere, come afferma-no le encicliche di Pio IX e Leone XIII – i papi del Ri-sorgimento – come tut-ti i fatti del Risorgimen-to dimostrano, la nostra era una nazione carica di primati, la storia d’Italia è una storia di primati, gra-zie al fatto che c’è Roma, in buona sostanza. La Chiesa eredita la gran-dezza di Roma inveran-done l’universalità, con la Roma cristiana, infatti, non ci sono più, come ri-corda San Paolo, né uo-mini né donne, né schia-vi né liberi, né barbari né greci. Quindi la Roma cat-tolica eredita questa pre-ziosa civiltà greco-roma-na e la conserva, perché durante le invasioni bar-bariche è la Chiesa, sono i monaci che conserva-no i testi di questa cultura preziosa; la Chiesa evan-gelizza e nel frattempo romanizza i barbari che arrivavano nella parte oc-cidentale dell’Impero. La nostra penisola ha subito invasioni per otto secoli e chi è che ha retto, impe-dendo alla cultura gre-co-romama e cristiana di finire se non la Chiesa?

Pio IX

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FALCONEXPRESS20marzo 2011 FALCONEXPRESSQuesto è un patrimonio enorme dal quale è nata l’Europa e anche di que-sto spesso ci scordiamo; e poi ci sono state le univer-sità, chi le ha inventate, se non la Chiesa? C’è sta-ta la difesa dell’Occiden-te dall’Islam, chi la orga-nizzata questa difesa se non la Chiesa? E poi tutta la civiltà urbana con la vi-talità dei suoi comuni, chi

l’ha difesa se non la Chie-sa? e poi l’arte, la meravi-glia delle opere sociali e assistenziali, le opere pie e le confraternite. Tutta la meraviglia di questa cul-tura è stata protetta dai pontefici, che l’hanno sal-vaguardata dall’offensi-va di una cultura altra, alternativa, più materia-lista, che badava solo al profitto. Basti pensare al colonialismo. Bisogna aspettare, infatti, l’Uni-tà d’Italia perché diven-tassimo un popolo di co-

lonialisti a nostra volta, guardi la Libia, le colonie il mito dell’Impero duran-te il fascismo. I papi dun-que difendono la nostra memoria storica e la no-stra civiltà: è dunque evi-dente, indiscutibile che la nazione italiana non na-sce 150 cinquant’anni fa. Noi cattolici, come al so-lito, siamo primi rispetto al problema della strut-

tura identitaria naziona-le, già Francesco nel Due-cento scrive in italiano, prima di Dante, Petrarca e Boccaccio. In ogni caso a partire almeno dal XIII secolo noi abbiamo una cultura, una lingua e so-prattutto un’anima, os-sia il cattolicesimo, che è capillarmente diffusa in tutto il territorio; faccia conto che il nostro pae-se possiede più del 50% dei beni artistici e cultura-li del mondo; signifecherà qualcosa e certo questo

patrimonio non è meri-to degli uomini del Risor-gimenti. A mio modo di vedere, il Risorgimento è stata una frattura violen-ta nella storia dìItalia, un tentativo di farci cambia-re anima a noi italiani; tentativo che purtroppo negli ultimi decenni è riu-scito, seppur non a opera degli uomini del Risorgi-mento. Ritengo, dunque, che noi dobbiamo riappropriarci della nostra identità, che bisogna riconoscere que-sto peccato originale che è stato compiuto contro di noi nell’Ottocento libe-rare e recuperare la lin-fa vitale da cui siamo stai alimentati da quasi due-mila anni; questo perché ci conviene, non è solo un’operazione di verità, ci resistituisce un’ossatura.Ecco, a tal riguardo, cioè in riferimento al ruolo del papato nel corso dei secoli e al suo scontro con lo Sta-to nel periodo risor-gimentale, cosa pen-sa dell’affermazione di Paolo VI che giudica-va la perdita del pote-re temporale come una manifestazione della Provvidenza.A questa osservazione di paolo VI rispondo che, in-nazitutto, il papa non ha

2o settembre 1870.Breccia di Porta Pia

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perso il potere temporale perché ha un potere tem-porale simbolico, ma ef-fettivo in uno Stato pic-colo che si chiama Città del Vaticano, e questo gli consente – come dicono Pio IX e Leone XIII – un’au-tonomia spirituale, dato che il potere temporale serve proprio a questo; è sempre stato in funzione dell’autonomia spiritua-le dei papi dall’influenza dei vari imperatori e re. I liberali certamente non volevano l’interesse del-la Chiesa e al di là dello slogan apparentemen-te innoquo e pacifico di Cavour – libera Chiesa in libero Stato – lo scopo dei liberali era precisamen-te quello di distruggere la Chiesa. Se come popolo e come Chiesa non siamo scomparsi dalla storia, lo dobbiamo all’onnipoten-za della Provvidenza divi-na che riesce a tirar fuori da male un bene maggio-re. Dunque è vero ciò che dice Paolo VI, ma alla luce delle osservazioni che le ho appena fatto.Il comune sentire cat-tolico delle popola-zioni italiane avrebbe qunque potuto servire, secondo lei, da collan-te identitario di una di-versa opzione risorgi-mentale.  Magari nella

direzione del federali-smo neoguelfo?Non c’è dubbio. Nella ver-sione neoguelfa non cre-do, perché Gioberti è un personaggio particola-re – mazziniano, rivolu-zionario, il quale ha spo-sato tutte le tesi della modernità. Sicuramen-te però nella versione ro-sminiana. Tenga presente che nell’Ottocento erano tutti d’accordo a trovare una forma di unificazio-ne, la chiamavano Lega, a cominciare dal papa. Quando poi, però, i Savo-ia hanno voluto fare da sé contro gli altri, allora è chiaro che gli altri sono stati spodestati in modo illegittimo e con la vio-lenza.Augusto Del Noce af-fermava che “il Risor-gimento è stato un capitolo della storia dell’imperialismo in-glese”. In effetti si do-vrebbe studiare a fondo il contesto in-ternazionale nel qua-le il Risorgimento ebbe luogo. In questo sen-so, posto che l’ideali-smo a tinte fosche di un Mazzini nulla po-teva in concreto, di-venta fondamentale la domanda se, al succes-so del processo unita-rio, hanno contribuito

più la spregiudicatez-za machiavellica della diplomazia di Cavour e le capacità strategi-che di un guerrigliero come Garibaldi oppure l’appoggio in funzio-ne antiaustriaca di Na-poleone III, che cerca-va di affermare anche attreverso la nascita di un regno dell’Ita-lia del Nord, l’egemo-nia francese in Euro-pa e l’aiuto finanziario e propagandistico dell’Inghilterra all’im-presa dei mille, aiuto finalizzato ad impri-mere nel mediterra-neo, a dispetto anche della Francia, l’egemo-nia navale inglese (non si dimentichi che i Bor-boni aveva tolto all’In-ghilterra l’appalto del-le miniere di sale e che quella napoletana era una marina concorren-ziale per l’inglese).Certamente, non c’è dub-bio; il Risorgimento è sta-to un’opera coloniale, non solo dell’Inghilter-ra ma anche della Fran-cia; del resto la Seconda Guerra d’Indipendenza è stata vinta con l’interven-to determinante di Na-poleone III, noi abbiamo sempre perso, sia la Prima Guerra d’Indipendenza che la Terza. Non è questo

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FALCONEXPRESS22marzo 2011 FALCONEXPRESSil punto; il Risorgimento – come riconosce lo stori-co Valdese Giorgio Spini – non è stata solo una co-lonizzazione ai danni del nostro paese, ma anche e soprattutto un’opera di accerchiamento dell’Ita-lia cattolica da parte di tutto il mondo protestan-te, una specie di crociata anticattolica che parten-do da Lutero si conclude a Roma nel 1870 con la Breccia di Porta di Pia.Esiste dunque, a suo avviso, un filo rosso che collega la riforma protestante del XVI se-colo al Risorgimento? E questo, seppure i Sa-voia si definivano cat-tolici?Ma certo. I Savoia attua-no in Italia le stesse po-litiche anticattoliche dei sovrani protestanti, con la differenza che i sovra-ni del Regno di Sardegna – consigliati e manovra-ti dai liberali – definen-dosi moralmente mi-gliori degli altri perchè costituzionali e dato che il primo articolo della Costituzione definiva la religione cattolica uni-ca religione di Stato, non potevano proclamarsi, come avevano fatto Lu-tero e Calvino, avversa-ri fierissimi del cattolice-simo, dovevano invece

definirsi i migliori culto-ri della religione cattoli-ca. Per questo la scomu-nica di Pio IX è una santa scomunica perchè sma-schera questo criptopro-testantesimo dei liberali e dei massoni che han-no orchestrato il Risorgi-mento.Non c’è il rischio che letture critiche del Ri-sorgimento, come la sua, vadano a conver-gere, diventando ad esse funzionali, con le rivendicazioni seces-sioniste di certi am-bienti politici?Non so, tutto è un ri-schio, la vita stessa è un rischio. Io credo però di aver fatto un’opera di ve-rità e la verità può esse-re anche strumentalizza-ta da destra, da sinistra, dal centro, ma resta pur sempre la verità.L’ultimissima doman-da deve essere per forza a bruciapelo: lei, professoressa, si sente italiana?Certo che mi sento ita-liana, anzi sono italiana, certamente non nel sen-so ottocentesco – mas-sonico e protestante – se lei intende questo. Sono contenta di essere italia-na, cattolica e di vivere nel luogo scelto da Dio per la sede di Pietro.

Nasce a Fabriano l’8 aprile 1948 ma vive a Roma da

molto tempo. Nel 1969 ha frequentato come borsis-ta la SISPE (scuola italiana

di specializzazione in polit-ica ed economia) diretta da

Claudio Napoleoni e Fran-co Rodano, poi si è laurea-ta e fino al 2008 ho inseg-

nato storia e filosofia. Negli anni settanta e nei primi

anni ottanta collabora con la RAI, quindi si è occupata dei meccanismi di identifi-cazione secondaria presso la cattedra di neuropsich-

iatria infantile a La Sapi-enza. Nel 1995 consegue un dottorato in Storia Ecclesi-astica all’Università Grego-

riana e si appassiona alla storia dell’Ottocento ital-

iano: le sue pubblicazio-ni sul Risorgimento han-

no contribuito in maniera significativa alla revisione

storiografica di quel perio-do. Collabora con Radio Ma-

ria dove il terzo lunedì del mese tiene una rubrica dal

titolo “La vera storia della chiesa”. Scrive su vari gior-

nali e riviste

Angela PELLICCIARI

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FALCONEXPRESS24marzo 2011 FALCONEXPRESSEra dunque così

che doveva con-cludersi l’epopea

risorgimentale?Con l’imbarazzante balletto del governo sull’eventualità o meno di concedere la festività?Con gli adolescenti che giudicano l’argomen-to – testuali parole – un pacco?Con un’Italia immemo-re e assolutamente pri-va d’identità, che spro-fonda proprio nel luogo in cui dovrebbe trovare fondamento?Era dunque questo il de-stino della giovine Italia che a metà dell’Ottocen-to infiammò tanti nobili cuori? Ritrovarsi, ad ap-pena un secolo e mezzo di storia, già esausta, di-sincantata e senza fede?Tirando le somme, a centocinquant’anni dal-la proclamazione, non solo non sono ancora stati fatti gli italiani, ma l’Italia stessa è in frantu-mi, se non proprio poli-ticamente – non ancora perlomeno - certamente come idea, come forza storica, come significato.I nostri studenti possie-dono vaghe cognizioni su cosa sia il Risorgimen-

to e non possono fare altro che ripetere pe-dissequamente i luoghi comuni che acquisisco-no nei vari contesti co-municativi. Ed è singolare, quasi pa-radossale, che l’unità venga messa in discus-sione proprio in quella parte del paese, in quel-le regioni che si sono av-valse maggiormente del processo unitario. Che sullo stesso hanno fon-dato la loro ricchezza, la loro forza e quel vantag-gio storico che non solo non è mai stato colmato, ma piuttosto alimentato negli anni da politiche asimmetriche e antime-ridionaliste.Era dunque così che do-veva concludersi il no-stro Risorgimento a Centocinquant’anni di distanza?Con un menestrello, ap-plaudito come il più grande maître à penser della nazione, che, dal palco di Sanremo, ripe-te la più speciosa delle retoriche, infarcita di af-fermazioni tra il banale, l’ovvio e l’assolutamen-te falso? Emblematica, a tal riguardo, l’immagine di un processo unitario

nato dal basso, condot-to dal popolo e per il po-polo o il rimando a Dan-te (si noterà, infatti, che l’élite che ha orchestra-to il Risorgimento e, per tanti versi, strumentaliz-zato le nobili aspirazione e passioni di tanti uomi-ni e di tante donne, era di un tipo antropologico – bramoso solo di pro-fitto e di potere – deci-samente disprezzato dal Sommo poeta: Che dal collo a ciascun pendea una tasca/ch’avea cer-to colore e certo segno, e quindi par che ‘l loro oc-chio si pasca.  Inferno, Canto XVII vv. 55-57).Qualche illustre com-mentatore ha anche au-spicato che i docenti italiani insegnino la sto-ria risorgimentale così come l’ha magistral-mente insegnata Beni-gni; solo in tal modo, continuava l’opinionista, i nostri ragazzi conosce-ranno davvero il Risor-gimento, potranno inte-riorizzare quell’identità e quei valori per i qua-li Mameli, come tanti al-tri, è morto sulle barri-cate della Repubblica romana.Del resto, dai vari opi-

auguri italiaRifondare su una memoria comune il senso di appartenenza alla nazione

a cura di Fabrizio COPERTINO (Filosofia e Storia)

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nionisti di turno che pontificano dai media, non ci si poteva aspet-tare altro, affetti come sono dalla sindrome del gregge che li porta ad unirsi al coro del pensie-ro unico, a belare le pa-role d’ordine del politi-camente corretto. Eppure, è proprio que-sto modo stupidamen-te, vacuamente celebra-tivo che danneggia la memoria e l’identità del-la nostra nazione, che al-lonta i nostri ragazzi dal quell’evento così vicino in termini storici ma così lontano dal loro vissuto e dai loro interessi.Chi scrive, avverte forte la necessità di un nuovo patto fondativo e uni-tario; ma tale rifonda-zione può nascere solo sulla base della verità storica e di un’autenti-ca memoria condivisa; è solo agendo sulle cause e non sui sintomi che si può sperare in un riscat-to della nazione tutta intera, con la consape-volezza che senza guar-dare nella stessa dire-zione, non c’è futuro, se non quello di tante pic-cole monadi politiche, assolutamente inermi di fronte all’incipiente glo-balizzazione e prive di qualunque sogno o pos-sibilità di riscatto.Solo la verità può puri-ficare l’anima dei nostri

ragazzi dai quei pregiu-dizi radicati, distruttivi, che li portano a consi-derarsi – da nord a sud – quasi come nemici, per la fosca soddisfazione di coloro che tali pregiudi-zi alimentano alla ricer-ca di consensi elettorali che, su ben altre e nobi-li basi, non riuscirebbe-ro ad ottenere. Far com-prendere a tutti, ma ai giovani in particolare – poiché il futuro è nelle loro mani – che l’eviden-te minorità del meridio-ne non è il frutto di una tara atavica o di natura antropologica, bensì il risultato di un processo storico, di una volontà politica, propugnato da determinate élite, con una ben precisa Weltan-schauung.Per questi motivi l’au-lica retorica – ma pur sempre retorica – di Be-nigni, volta a smuove-re nell’animo dei nostri ragazzi il sentimento e l’identità nazionale si ri-balta in una sorta di ete-rogenesi dei fini, allonta-nando ancora di più da quel presunto obiettivo, in quanto tradisce un’ar-tificiosa e speciosa pro-paganda. Suona infat-ti retorico, affermare che l’Unità è stata compiuta da uno Stato veramente italiano, quando è nota la proclamazione d’Ita-lia, recitata da Cavour,

nel suo perfetto italiano: Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait. Cosa è stato, infatti, il nostro Risorgimento – perlomeno nella sua concreta manifestazione storico-politica – se non una guerra di conquista, l’invasione illegittima di uno Stato ai danni di un altro? L’avventura colo-niale della borghesia ca-pitalistica italiana non è cominciata nella baia di Assab, ma a Casaldu-ni, Pontelandolfo e nei villaggi del meridione. Si intravede infatti, nel trattamento riservato ai soldati borbonici a Civi-

Dante Alighieri

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FALCONEXPRESS26marzo 2011 FALCONEXPRESStella, i quali, dopo esser-si arresi, furono passati per le armi – come i sol-dati italiani a Cefalonia – il volto cinico e spieta-to dell’imperialismo oc-cidentale. Non solo il Ri-sorgimento non è stato un movimento popolare – sappiamo bene degli agitatori mandati da Ca-vour in giro per le piazze della penisola e anche dei brogli elettorali – ma non è stato neanche per il popolo – che ben il 98% del nuovo popolo italiano era privato del voto.Per il meridione poi, il processo di piemonte-sizzazione, la rivoluzio-ne liberale è stata parti-colarmente drammatica. Migliaia di giovani con-tadini che non conosce-vano il servizio di leva in uno Stato, come quello borbonico, decisamen-te antimilitarista, strap-pati alle loro famiglie e mandati a combattere, per anni, in terre lonta-ne e agli ordini di ufficia-li stranieri; e a migliaia disertarono andando ad alimentare le fila del bri-gantaggio. Un’economia florida e pronta – più di altre – al grande balzo nella modernità, total-mente distrutta, ridotta al rango di mercato co-loniale. Una guerra civi-le, durata ben dieci anni, condotta con estrema

durezza, per non dire fe-rocia dall’esercito del ne-onato Regno d’Italia.Ma nessuno, soprattutto fra i grandi affabulato-ri mediatici, soprattutto tra quelli che si atteg-giano a pensatori di si-nistra, sembra aver spe-so una sola parola per quei contadini meridio-nali trucidati a miglia-ia dall’esercito regolare e dai mercenari al sol-do dei grandi latifondi-sti del sud. Quegli stessi contadini che fuggiro-no a milioni, un esodo di proporzioni bibliche; mi-lioni di famiglie abban-donarono le loro terre, andando a portare la-voro e ricchezza in altri mondi, ma togliendone al proprio. Nel vuoto la-sciato da tale emorragia si annidarono le mafie, sin dall’inizio.Poi, quando la questio-ne meridionale pote-va ancora non emergere in tutta la sua dramma-ticità, ci fu il capolavo-ro di Giolitti, la consacra-zione definitiva del sud a realtà minoritaria, tra-mite il consolidamen-to tra gli interessi della parte più attiva, illumi-nata, ma spregiudicata del settentrione e quel-la più retriva e corrot-ta del meridione, tra l’al-ta borghesia industriale e finanziaria del nord e l’aristocrazia terriera, ba-

ronale, del sud. Ed è ov-vio che il serbatoio finì per diventare una za-vorra, una palla al pie-de, come inevitabilmen-te nota l’attuale ministro delle finanze; è proprio qui che si cela il pecca-to d’origine della nostra unità, ma è proprio da qui che bisogna ripar-tire.Si festeggi quindi l’Uni-tà d’Italia, si esponga il tricolore, si canti l’In-no con la mano sul pet-to, ma lo si faccia con spirito critico e capaci-tà di discernimento; si ricerchi una memoria, se non proprio condivi-sa, perlomeno comune e tale da cogliere quel complesso fenome-no che prende il nome di Risorgimento senza tentazioni ideologiche, senza pompose formu-le retoriche. Solo così, aiutando i nostri giova-ni ad acquisire gli stru-menti della cittadinan-za attiva, liberandoli dal pensiero unico e politi-camente corretto, pos-siamo recuperare la no-stra autentica identità secolare, plasmata dalla cultura, dal genio e dal-la bellezza. E allora, non sarà più l’Italia a dover fare gli italiani, ma sa-ranno gli italiani a for-giare l’Italia.Auguri vetusta e giova-ne nazione…

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Davanti alle teste mozzate dei leg-gendari banditi Ca-

pozzoli, promotori di una rivolta repressa nel san-gue dall’esercito borboni-co, Domenico, Salvatore e Angelo, poco più che ado-lescenti, giurano di con-sacrare la propria vita alla causa della libertà e dell’in-dipendenza dell’Italia.Qualche anno più tar-di, (...) i tre giovani amici si affiliano alla Giovine Ita-lia di Giuseppe Mazzini, raggiungono Parigi, dove hanno modo di conosce-re l’affascinante principes-sa Cristina di Belgiojo-so, (...) e infine partecipano al tentativo di assassinare Re Carlo Alberto e ai moti savoiardi del 1834. Il falli-mento di entrambe le mis-sioni marca una profonda crisi nei tre giovani patrio-ti, acuendo le differenze di classe (...) Angelo e Dome-nico, di ceto nobiliare, da Salvatore, umile figlio del popolo. Mentre Domenico (...) riprende l’attività cospi-ratoria, Angelo, approdato a una visione demoniaca della rivoluzione come tea-tro di pura violenza, uccide Salvatore, accusato di esse-re diventato una spia.  Passano gli anni, passa il ’48, cade la Repubblica ro-mana. Domenico, cadu-to in un’imboscata borbo-nica, viene condannato a una lunga pena detentiva.

In carcere (...) più il tempo passa, più l’abisso che di-vide i repubblicani dai mo-narchici e gli aristocratici dai poveri si allarga: (...) e appare sempre più chiaro a Domenico che l’unità, se e quando ci sarà, non sarà di tutti gli italiani, ma solo di pochi privilegiati. (...) An-gelo, intanto, sempre più posseduto dall’ossessio-ne della violenza e del ge-sto risolutore, si reca a Lon-dra e, entrato in contatto con i circoli radicali ispira-ti dal francese Simon Ber-nard, uno dei tanti rivolu-zionari in esilio, rompe con Mazzini e si lega a Felice Orsini. Mazzini, dal canto suo, è in affanno sia perché il suo astro tra i rivoluzio-nari europei è fortemente decaduto, sia perché l’azio-ne politica in Italia è ormai definitivamente passata alla monarchia piemon-tese ispirata da Cavour. In questo clima (...) matura il piano di Orsini per atten-tare alla vita di Napoleo-ne III, a cui Angelo parteci-pa attivamente. Il bersaglio

è fallito, ma le bombe pro-vocano una strage tra la folla(...). Catturato e pro-cessato, Angelo muore sul patibolo con Orsini. Fra la folla (...) c’è Domenico, or-mai uscito di prigione.     (...) Il Risorgimento si è ri-solto, per lui, in una con-quista di pezzi d’Italia da parte dei Piemontesi, il cui atteggiamento oppressivo e colonialista nei confronti del sud amareggia i patrio-ti meridionali. (...) Dome-nico, ormai un maturo cin-quantenne, ritorna nel suo sud sconvolto dalla guerra civile per seguire Garibaldi nel tentativo di conquistare militarmente Roma in con-trasto con i voleri del neo-parlamento italiano. Qui ha modo di conoscere un gio-vane che intende parteci-pare anch’egli alla spedizio-ne, un cilentano come lui. Costui altri non è che Sa-verio, figlio di quel Salvato-re che la mano spietata di Angelo aveva spento qua-si trent’anni prima. E con grande disperazione Do-menico non potrà impe-dire, naufragata l’impresa sulle montagne dell’Aspro-monte, che il giovane Save-rio perda la vita per mano della brutale repressione piemontese. In un parla-mento di ombre, a Dome-nico non resterà che medi-tare sul perché sia nata così tragicamente la nostra Ita-lia contemporanea.

noi credevamoSinossi del film di Martone tratta dal sito del film

a cura di Paola ANTICO (VAs)

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FALCONEXPRESS28marzo 2011 FALCONEXPRESS

Noi credevamo si-gnifica continua-re a credere, con-

tinuare a dire la verità senza paura, senza na-scondere o rimuovere” (Mario Martore durante la conferenza stampa in occasione della presen-tazione di “Noi credeva-mo”).E in occasione del 150° anniversario dell’Uni-tà d’Italia è importan-te, quanto fondamen-tale, ricordare le radici del nostro Paese. Fe-steggiare. Rendere ono-re a quanti diedero la vita per costruire la no-stra Italia: ricordan-

do che tra questi non ci furono solo i grandi “miti”, ma anche miglia-ia di “anonimi” che ve-ramente credevano alla causa dell’Unità. Senza nascondere che il Risor-gimento non fu perfetto, ma anzi fu pieno di con-traddizioni. Ricordando che le speranze di molti, che avevano combattu-to per la causa italiana, furono tradite in nome di altri interessi. Fatti che Martore, in “Noi Credevamo”, è riuscito ad evidenziare dando si-gnificativo risalto ad altri protagonisti meno noti ma comunque impor-

tanti nella storia risorgi-mentale come la princi-pessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, esponen-te dei valori democratici e benefattrice degli esuli rivoluzionari, ed altri, as-solutamente sconosciu-ti, simbolicamente rap-presentati da Domenico, Angelo e Salvatore.Egli è riuscito a riporta-re lo spirito di Unità dei nostri patrioti e contem-poraneamente a met-tere in luce alcune delle contraddizioni del no-stro Risorgimento, sot-tolineando che gli errori commessi a quel tempo sono alla base dei pro-

superare il mitoRiconoscere le ragioni degli sconfitti e le contraddizioni

del Risorgimento per capire da dove veniamoa cura di Paola ANTICO (VAs)

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FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS29

blemi di oggi. Continu-ità con il presente che è evidenziata con le appa-renti, e quanto mai cri-ticate, sviste del regista quali le case in costru-zione in cemento arma-to nel Cilento. Errori di regia troppo grossola-ni per essere considera-ti tali. Sembrano esse-re piuttosto un simbolo, quasi ad indicare che il processo di unificazio-ne non è mai stato com-pletato, non del tutto al-meno.Problemi che provengo-no proprio dal compor-tamento dei Savoia che si arrogava il diritto di “liberare” il Regno delle Due Sicilie dal giogo dei Borbone. Una necessità di liberazione, per altro, non sentita dalla mag-gioranza della popola-zione meridionale, dal momento che solo una irrisoria parte di essa partecipò alla rivoluzio-ne. Atteggiamento giustifi-cato dal comportamen-to dei Savoia, i quali trat-tarono il Sud come terra di conquista: applicaro-no le leggi piemonte-si e lo statuto albertino all’intero territorio nazio-nale senza preoccupar-si degli interessi del Sud, estesero il liberalismo anche alle regioni “libe-rate” danneggiando in questo modo la nascen-

te industria meridionale, imposero la leva obbli-gatoria danneggiando così i contadini che per-devano manodopera. Oltretutto Vittorio Ema-nuele II volle sottoline-are la continuità della dinastia sabauda e con-tinuò a chiamarsi “II”, allo stesso modo il neonato Parlamento, nella dicitu-ra ufficiale, venne chia-mato “ottava” legislatura, anziché “prima”: aspet-to che sottolinea il carat-tere di conquista dell’in-vasione del regno delle Due Sicilie.Senza dimenticare le violenze compiute pri-ma e dopo l’Unità: il Ri-sorgimento non fu una un evento pacifico come ancora si vuol fare cre-dere. Pochi infatti sono coloro che parlano delle violenze compiute dalla dinastia sabauda: even-ti dimenticati quali la strage di Bronte, gli as-sedi di Civitella e di Ga-eta, l’ultimo baluardo della resistenza borbo-nica, le “deportazioni” a Fenestrelle dei soldati e dei civili che resistevano alla conquista sabauda. La popolazione del Sud non sentiva la necessi-tà di essere “liberata”, i soldati rimasero fede-li al giuramento presta-to al loro Re Francesco II. Atteggiamento che venne ancor più inaspri-

to a causa delle violen-ze compiute dall’eserci-to sabaudo.A Gaeta, infatti, l’annes-sione fu portata a ter-mine a colpi di cannoni, contro la città, contro i civili: la città venne pra-ticamente rasa al suolo. I soldati che parteciparo-no alla resistenza furono deportati a Fenestrelle o in altri luoghi, “proge-nitori” dei lager nazisti e sovietici. Qui pochissimi riuscirono a sopravvive-re, anche a causa delle condizione igieniche e del clima gelido cui non erano abituati: la loro colpa era essere rimasti fedeli a Francesco II, non aver creduto ai valori del nuovo Regno di cui non si sentivano parte. Questi luoghi sono un simbolo vergognoso del Risorgimento italia-no. Per questo sono sta-ti prudentemente cela-ti, in nome dello spirito nazionale: esigenza che crebbe durante il regime fascista per il suo spirito nazionalistico. Fatti na-scosti semplicemente perché compiuti dai vin-citori e non dai vinti.A questo va aggiunto che l’Italia che venne a formarsi non fu quella che molti, combattendo per la causa piemontese, avevano sognato. Mol-ti avevano combattu-to per un’Italia repubbli-

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FALCONEXPRESS30marzo 2011

cana, i pochi che al Sud appoggiarono la causa dell’Unità speravano che questa avrebbe portato un interessamento an-che verso i loro interes-si. Ma tutto questo non avvenne. E questo risul-ta particolarmente evi-dente nel film di Marto-re. Innanzitutto quando Domenico in carcere, si trova a discutere sul fu-turo da dare allo stato italiano: monarchica o repubblicana, piemon-tese o meridionale? E, oltretutto, lui da sempre repubblicano, è costret-to ad assistere al brindisi con il quale i patrioti re-clusi giurano fedeltà alla causa monarchica. Do-menico, rassegnato, co-mincia ad accorgersi che l’Unità, quando avverrà, sarà di pochi privilegiati.E queste sue preoccupa-zioni vengono confer-mate alla fine del film, quando Domenico, in un suo ultimo viaggio a Torino, assistette ad un discorso filo monarchico dell’ex mazziniano Fran-cesco Crispi. “Comunque la si pen-si, resta un dato di fat-to, che non possiamo più continuare a ignora-re: l’unificazione dell’Ita-lia non è stata l’allegra scampagnata a suon di fanfare e sventolio di bandiere che ci han-no dipinto per anni; né

la realizzazione tardiva di un desiderio radica-to nelle popolazioni del-la penisola. Si è tratta-to invece di un evento controverso, sanguino-so, che ha messo con-tro italiani e italiani e ha lasciato dietro di sé uno strascico irrisolto di pro-blemi, frustrazioni di cui non riusciamo tutto-ra a liberarci; come fos-se un trauma collettivo che non superiamo per-ché abbiamo rimosso il ricordo della sua cau-sa. […]Davanti a questo dato di fatto, abbiamo due pos-sibilità.Una, continuare a na-scondere la testa nel-la sabbia e bere una ri-costruzione della storia parziale, retorica e – di-ciamola tutta – oramai un ferrovecchio[…].La seconda opzione, ini-ziare a rispolverare an-che le ragioni degli sconfitti; leggere le loro testimonianze; non ne-cessariamente condivi-dere, ma quantomeno stare ad ascoltare. E cer-care finalmente di capire da dove veniamo: l’uni-ca cosa rispettabile che un popolo serio possa fare”. (prefazione a “Un viaggio da Boccadifal-co a Gaeta” di Giuseppe Buttà)“Capire da dove venia-mo” per comprendere i

problemi che ancora ca-ratterizzano il nostro Pa-ese: “questa divisione si è ripresentata in tut-te le forme che la nostra storia successiva ha co-nosciuto, passando ov-viamente attraverso fa-scismo e antifascismo e arrivando fino ai giorni nostri” afferma Martore. Ed è proprio per questo che è necessario non di-menticare né nasconde-re gli aspetti più tragici e contraddittori della No-stra storia. Non per cal-pestare il Risorgimento in quanto tale, ma piut-tosto per capire l’origine di quel divario tra Nord e Sud che mai è stato ri-solto e per ritrovare quei valori che hanno spin-to migliaia di “anonimi” a sostenere la causa italia-na. Un monito a ripren-dere in mano la storia, a riprendere il processo di unificazione in quei punti in cui non è stato completato.Perché a 150 anni dalla nascita del Regno d’Ita-lia, in un Paese in cui sempre di più si parla di “indipendenza della Pa-dania” e in cui si “baratta” la festa per la celebrazio-ne del 150° anniversa-rio dell’Unità d’Italia con una festa regionale, quei valori sembrano scom-parsi: e non è certo mi-tizzando gli eventi che possono essere ritrovati.

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FALCONEXPRESS32marzo 2011 FALCONEXPRESSIl Risorgimento italiano, un avvenimento di importanza fondamentale

per non dimenticarea cura di Alessandro MAGNANI (IVBs)

Non molto tempo fa, mi è capitato di vedere in tele-

visione Roberto Benigni mentre faceva una le-zione di storia Italiana in un noto programma. La cosa mi ha fatto riflette-re. Perché è così impor-tante un periodo storico chiamato “Risorgimen-to”? Quale tempesta sca-tena nella nostra mente una parola come quella?Con “Risorgimento” in-tendiamo letteralmen-te rinascita, ritorno alla vita, molto probabilmen-te dalle ceneri di un im-pero Romano decaduto secoli prima e dal gran-de guazzabuglio causa-to dalle divisioni delle di-verse province sfociate poi in terribili guerre ter-ritoriali.I fautori di questo mo-vimento culturale (di stampo molto roman-tico) sono personaggi che ancora oggi vengo-no ricordati senza però il merito che gli spetta: voglio dire che sono per-sone che per contribui-re alla nascita dello sta-to Italiano, hanno messo a repentaglio la loro vita per un ideale di unione, fratellanza e rispetto, ri-

valeggiando contro un consolidato dominio au-striaco che non lascia-va spazio a ideali come questi.Per questo motivo nac-quero moti rivoluziona-ri di un’organizzazione chiamata “carboneria”, che non senza problemi riuscì, nei vari staterelli che componevano lo sti-vale, a strappare piccole vittorie.A questa organizzazio-ne segreta poi si unì un certo Giuseppe Mazzini, che fondò la “Giovine Ita-lia”, un altro movimen-to di stampo patriottico per dar vita ad uno stato Italiano. Purtroppo ogni moto fu represso, ma or-mai la ruota stava giran-do, e non sarebbe man-cato molto al grande

avvenimento. Comincia-rono così le guerre di In-dipendenza, di cui la pri-ma persa contro lo stato austriaco, nel 1848, sca-tenata dalla rivolta delle cinque giornate di Mila-no (in cui si ottenne una vittoria non indifferente). Dopo la II guerra d’indi-pendenza il meccanismo portò alla spedizione dei Mille di Giuseppe Gari-baldi, il quale, risalendo l’Italia, tolse ai Borboni i loro possedimenti. Final-mente Vittorio Emanue-le II fu eletto non Re de-gli Italiani, ma Re d’Italia, “per grazia di Dio e vo-lontà della nazione”, era il 1861, proprio 150 anni fa, ed ecco il motivo per cui ricordare questo im-portante avvenimento, forse troppo trascura-to. Non bisogna fare al-tro che ringraziare perso-naggi come quelli citati, che potrebbero essere benissimo ragazzi del-la nostra età, che com-battendo in nome di un ideale hanno dato la loro vita affinché noi potessi-mo godere di uno stato tutto nostro, forse anco-ra troppo diviso ideolo-gicamente, ma sempre il più bello di tutti.

Mazzini e Garibaldi

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Dal 18 febbraio di quest´anno, il 17 marzo 2011 è fe-

stività nazionale.Il Consiglio dei Ministri ha ratificato la legittimi-tà della festa per i 150 anni dalla Proclamazio-ne del Regno d´Italia, avvenuta a Torino il 17 marzo 1861. Nonostante il parere favorevole di di-versi ministri e del Capo dello Stato, raggiunge-re questa decisione non è stato facile. La polemi-ca politica è scoppiata subito dopo le dichiara-zioni rilasciate il 4 feb-braio da Emma Marce-gaglia, secondo la quale l´assenza dei lavorato-ri nelle fabbriche avreb-be comportato una per-dita di 4 miliardi di euro per le già provate impre-se italiane. A fianco della  Presidente di Confindu-stria si sono poi schiera-ti il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e di-versi parlamentari del-la Lega Nord, tra i quali il governatore del Vene-to Luca Zaia. Ricordando come nel 1976 il gover-no Andreotti abbia can-cellato la Festa della Re-pubblica del 2 giugno perché “gli italiani dove-

vano lavorare”, Zaia si è detto contrario alla fe-stività del 17 marzo, per poi precisare che deve esserci la “massima liber-tà di coscienza”. Espres-samente contrario ai fe-steggiamenti anche il Presidente della provin-cia autonoma di Bolza-no Luis Durnwalder, che l´8 Febbraio ha dichiara-to:  ‘’Nulla da contesta-re ai moti Ottocenteschi ed alla figura di Garibal-di , ma per Bolzano l’an-niversario rappresenta ben altro: ricorda an-che la separazione dal-la madrepatria austriaca e perciò non prendere-mo parte alle celebra-zioni’’.  L´intervista a Dur-nwalder ha scatenato un

putiferio politico: dopo il duro monito da par-te del Presidente della Repubblica Napolitano, che ha espresso sorpre-sa e rammarico, sono arrivate le reazioni in-dignate di diversi espo-nenti dell´opposizione e anche il Ministro della Difesa La Russa è andato su tutte le furie. Dei mol-ti che si sono scagliati contro Durnwalder, alcu-ni hanno poi dichiarato di condividere il proget-to di cancellare la Festa della Repubblica del 2 giugno, sostituendola con i festeggiamenti del 17 marzo. Ritengo una simile ipotesi alquanto priva di senso: premet-tendo l´importanza del senso di appartenen-za alla propria nazione, perché dovremmo noi subordinare ad esso la fedeltà verso i valori di-fesi dalla Repubblica Ita-liana? Non sarebbe for-se meglio, se non per il sentimento d´unità na-zionale, porre fine a tut-te queste polemiche almeno in nome del ri-spetto reciproco e del-la tolleranza, entrambi difesi dalla Costituzione Repubblicana?

17 marzo 2011Quando l´unità diventa un incentivo alla divisione

a cura di Jacopo GHIDINI (VAs)

il Presidente dellaprovincia autonomadi BolzanoLuis Durnwalder

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FALCONEXPRESS36marzo 2011 FALCONEXPRESS

Piazza Cavour, cor-so Vittorio Ema-nuele II, via Gari-

baldi, via Mazzini, largo Risorgimento: non c’è città o paese in questa nostra nazione che non celebri questi personag-gi e questi avvenimen-ti. Si tratterebbe quindi di individui e fatti degni di essere ricordati e ap-prezzati da chiunque. A nessuno infatti ver-rebbe in mente di inti-tolare una via ad Adolf Hitler o una piazza alla “pulizia etnica” dei tem-pi più recenti. Da un po’ di tempo a questa par-te, però, il Risorgimento italiano con tutti i suoi eroi è stato smembra-to pezzo per pezzo, e del mito che ancora so-pravvive nei libri di sto-ria propinati agli incon-sapevoli studenti italiani dalle scuole elementari all’università, è rimasto poco di cui andare fieri, e quel poco rimanda ai nostri giorni con preoc-cupante attualità e chia-roveggenza. Sono rimaste infatti pa-gine ingloriose che rac-

contano una storia fatta di corruzione, menzo-gne e violenze. Violenze di vario genere furono commesse soprattut-to con la conquista del Sud: l’invasione del Re-gno delle due Sicilie da parte prima dei “Mille” garibaldini e poi delle truppe del Regno di Sar-degna, che si era assun-to il “compito” di unifi-care la penisola, allora divisa in stati legittima-mente governati dai propri sovrani, in un’uni-ca entità politica. Dal momento che i meridio-nali non ne vollero sape-re di appartenere al nuo-vo Regno, si reagì con

una carneficina, defini-ta dai conquistatori “re-pressione del brigantag-gio”. Fu una guerra civile, una specie di resisten-za partigiana, condotta da ex-ufficiali del Regno borbonico rimasti fedeli al loro re, e dai contadini meridionali che avevano imparato a conoscere il nuovo Stato soprattutto per tre motivi: impone-va la leva obbligatoria, sottraendo per anni for-ze giovani al lavoro dei campi, fonte della loro sussistenza; inviava gli esattori delle tasse per svuotare le tasche del-la gente e cercare così di coprire il deficit del Re-gno di Sardegna, indebi-tatosi fino all’osso per le “guerre di indipenden-za”; arrestava i sacerdoti e proibiva le processioni ferendo profondamen-te l’identità religiosa del-la popolazione meridio-nale. Si apriva così ufficial-mente la questione me-ridionale. In alcuni paesi gli insor-ti si chiamano brigan-ti, in altri patrioti. Il più

FRATELLI D’ITALIA?L’unità d’Italia: una questione ancora aperta

a cura di Michelle GALLI (VAs)

Bambini emigrantidel meridione

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delle volte non c’è diffe-renza tra i termini se alla radice dell’agire di que-ste persone c’è il deside-rio di essere protagonisti del proprio futuro. Sta di fatto che questi patrio-ti/briganti furono ster-minati con un eccezio-nale impiego di forze e di mezzi. Metà dell’eser-cito piemontese fu spe-dito al Sud e, pochi mesi dopo l’avvio delle ope-razioni militari, i risulta-ti ottenuti nel napole-tano furono strabilianti: 8968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10604 feriti; 7112 prigionie-ri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2905 famiglie perquisi-te; 12 chiese saccheg-giate; 13629 deporta-ti; 1428 comuni in stato d’assedio (dati forniti dal generale Cialdini, allora a capo delle operazioni militari; Roberto Spataro Studio Teologico Salesia-no, Gerusalemme). Cifre destinate ad aumenta-re vertiginosamente. quando la guerra civile finì la popolazione me-ridionale reagì in un al-tro modo: fuggì. Emigrò in America. Tra il 1876 e il 1914 se ne andarono ben 14 milioni di italiani. Niente male come ade-sione a quell’ideale risor-

gimentale sbandierato dai Savoia. È davvero uno strano popolo quello italiano. Senza memoria e sen-za attenzione per la pro-pria storia, senza curiosi-tà per il proprio passato. Si tratta di un qualun-quismo generalizzato che ha messo profonde radici anche nelle nuo-ve generazioni smarrite nell’idea perversa di suc-cesso. A metà Ottocento si pensava ad un’Italia uni-ta nelle sue diversità. Oggi che questo nostro giovane stato si prepa-ra, un po’ troppo enfa-ticamente, a celebra-re i centocinquant’anni dalla propria fondazio-ne, sarebbe interessan-te proporre un pensie-ro sull’importanza della “memoria” per realizzare la speranza di un futuro migliore. Riconoscerci nelle no-stre diversità, ma nello stesso tempo puntare sulla nostra unità: siamo infatti mantovani, cre-monesi, siciliani, veneti, toscani, piemontesi, sar-di, lombardi, campani e laziali, ma prima di tutto italiani. Se la celebrazio-ne dell’Unità d’Italia do-vesse veramente avere un senso e sfuggire così

alla demagogia, dovreb-be avere un progetto di approfondimento di tut-te le storie che compon-gono questo paese bel-lissimo, gettato come ponte nel Mediterraneo, in dialogo da millenni tra Oriente e Occidente. L’Italia può essere con-siderata come un’Euro-pa in miniatura per la presenza di tante cultu-re differenti dissemina-te tra le Alpi ed il Medi-terraneo con una civiltà plasmata dai valori del cristianesimo. L’unico monumento che si potrebbe innalzare all’Unità d’Italia sareb-be la realizzazione di un solido impianto federa-lista, che non si ripieghi nel piccolo egoistico na-zionalismo che viene at-tualmente proposto, ma che sia aperto, solidale, in grado di valorizzare il meglio di ogni pecu-liarità/particolarità re-gionale. Il vantaggio di un’unica appartenen-za sta infatti nel rispetto del valore dell’intercul-turalità. La speranza è che la classe politica che ci go-verna, che da tempo sta lavorando e collaboran-do al disastro sociale ed economico del nostro paese, riesca a ridare di-

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FALCONEXPRESS38marzo 2011 FALCONEXPRESSgnità ai sessanta milioni di italiani in Patria e agli altrettanti discenden-ti dei quattordici milio-ni di emigranti che tra il 1876 e il 1914 lasciarono l’Italia. La retorica celebrati-va non serve a colmare i buchi di un’azione po-litica inesistente, di una società civile distratta e di un impegno pubblico insufficiente. Non è un caso che a poco più di vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, la Germa-nia sia riuscita a “risa-

nare” gli ex territori co-munisti, mentre dopo centocinquanta anni la questione meridionale e non solo, rappresen-ti ancora per l’Italia un vicolo cieco senza via d’uscita. Gravano sulle spalle della nostra Pa-tria profonde divisioni e contrapposizioni frut-to di scelte non com-piute. Così, neanche il 17 marzo, che ricorda la proclamazione del Re-gno d’Italia sembra po-tere davvero unirci tutti almeno per un gior-no. Questo la dice lun-

ga sulle condizioni della politica italiana e sulle sue effettive capacita e possibilità di ripresa. Fare l’Italia senza fare gli italiani prima è anco-ra una questione aper-ta. Allora un invito: se ab-biamo un tricolore esponiamolo alla fine-stra delle nostre case il 17 marzo. Sarà un modo per sentirci uni-ti una volta tanto diver-so da quello che ci vede uniti solo quando vince la nazionale di calcio! Buon 17 marzo a tutti.

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La preparazione delle celebrazio-ni dei 150 anni

dell´Unità d´Italia èormai avviata, con una serie di eventi che per-correranno tutto l´anno2011, culminando il 17 marzo, data della procla-mazione ufficiale delnuovo Stato avvenuta a Torino. La ricorrenza po-trebbe esserel´occasione per ripensa-re al ruolo e alla presen-za delle donne nelpercorso storico che ha portato all´unificazione. Esse hannocontribuito in modo ri-levante e originale al Ri-sorgimento, come piùtardi alla Resistenza. Ma non ci sono nei libri di storia.Si può provare a sma-scherare la rappresenta-zione tutta maschiledell´unificazione nazio-nale?Purtroppo il contesto della restaurazione post-napoleonica contribuìinizialmente a soffocare le istanze femminili che si erano sviluppatedurante l´Illuminismo e la Rivoluzione francese, ristabilendo

un´organizzazione fami-liare di stampo patriar-cale e delegandol´educazione delle don-ne alle “oblate”, donne che dopo aver ceduto iloro beni ai monasteri, vestivano l´abito senza prendere i voti, e cheinevitabilmente per-petuavano una morale conservatrice. Le uniche donneche potevano avere una certa importanza erano quelle appartenentiall´élite politica e cultu-rale che si distingueva per gesta eroiche,nelle arti o nelle scienze, mentre le altre erano re-legate all´ambitofamiliare con un´istruzione mirata solo alla loro formazio-ne comemogli e madri. Fra le molteplici storie di don-ne, ho deciso diriportare quella di Virgi-nia Oldoini, la contessa di Castiglione.Virginia Oldoini Vera-sis nasce a Firenze il 22 marzo 1837 dallaMarchesa Isabella Lam-porecchi e dal Marche-se Filippo Oldoini di La Spezia. Appena giovi-

netta, all’età di diciasset-te anni, la bellaVirginia, che tutti chia-mano “Virginicchia” e poi semplicemente“Nicchia”, va in sposa al Conte Francesco Verasis Asinari diCostigliole d’Asti e Casti-glione Tinella, di dodici anni più anzianodi lei. La coppia si trasfe-risce in Piemonte e vive per lo più aTorino dove nasce il loro figlio Giorgio. Ma la vita coniugale non fa per lei; la Contessa, considerata da tutti una delle donne più belled’Europa, è molto più at-tratta dalla vita di corte

le donne nel risorgimentoFra Patria e amori

a cura di Sara TEBALDINI (IVAitc)

La Contessadi Castiglione

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FALCONEXPRESS40marzo 2011

e pare che perfinoRe Vittorio Emanuele la circondi di attenzio-ni. Virginia è bellissima: a Parigi la dicono alta, slanciata, con lunghi ca-pelli biondi a spire,il viso delicatamente ovale, la bocca perfetta a volte atteggiata asorrisi perlopiù tristi; la bella voce da contralto, armoniosa, lasciamolti spazi a silenzi elo-quenti che la rendono insondabilmentemisteriosa. Gli occhi de-vono essere veramente straordinari: chi lidescrive di un verde cupo e chi addirittura viola. Stupende le mani edaltrettanto la pelle bian-ca e delicata. Nessuno poté sfuggire,vedendola, ad un senti-

mento vivo ed involon-tario di ammirazione.Virginia è donna di mon-do, abile nel districarsi tra feste e impegnipolitici e di lei si ricorda Camillo Benso Conte di Cavour che, almomento di convincere l’Imperatore di Francia Napoleone III asimpatizzare per la cau-sa italiana, la invia a Pari-gi come“ambasciatrice” dell’Ita-lia. A Parigi Virginia non tradisce leaspettative e svolge alla perfezione il suo compi-to; pare infatti chesia stata proprio lei a convincere l’Imperatore di Francia ad invitareanche l’Italia al trattato di pace dopo la guerra di Crimea, trattatoin cui Cavour poté farsi ascoltare da una platea internazionale.Insomma, il Re dei fran-cesi fu travolto dallo splendore della nostraContessa, la quale com-pirà il suo lavoro di “di-plomatica particolare”.Lo testimoniano le pa-role dello stesso Cavour “Una bella contessa èstata arruolata nella di-plomazia piemontese. Io l’ho invitata acivettare, se le riesce, a sedurre l’imperatore. In caso di successo

le ho promesso che chiederò, per suo fratel-lo, l’incarico disegretario a Pietrobur-go. Ieri con discrezione ha cominciato la suamissione, al concerto delle Tuileries” . Dopo il periodo di massimosplendore arriva però anche quello della deca-denza: diversi fatti trail politico ed il monda-no, la fanno cadere in di-sgrazia. Virginia vivegli ultimi anni della sua vita tra l’Italia e Parigi. Il 28 Novembre1899, all’alba del nuovo secolo, moriva nella sua casa di Parigi.Subito dopo la sua mor-te la polizia e i servizi se-greti frugarono trale sue carte e bruciarono tutte le lettere e i docu-menti a lei inviatidalle massime persona-lità del tempo, re, politi-ci, papi e banchieri.E’ sepolta al Père Lachai-se, il cimitero monu-mentale di Parigi , comeaveva ordinato il Re Um-berto I.La figura della Contessa fu quindi di rilievo in al-cuni passi dellanostra storia militare ma fu anche molto influente per il costumedell’epoca con le sue apparizioni e con il suo protagonismo

Cavour

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FALCONEXPRESS44marzo 2011 FALCONEXPRESSVogliano le donne

felici ed onorate dei tempi avveni-

re rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qual-che gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, fe-licità!Celebre frase di Cristi-na di Belgioioso, donna che in epoca risorgimen-tale si ribella ai principi e ai doveri su cui la società milanese si fonda; infat-ti è la prima donna che rifiuta l’uomo scelto dal padre in matrimonio per ragioni politico-dinasti-che scappando così dal-la propria città natale.Dopo aver viaggiato in diversi paesi, colpita dal-la povertà e dall’igno-ranza della gente, si im-provvisa riformatrice sociale prima per fini-re in seguito alla testa di 200 rivoluzionari coin-volti nello sciopero del tabacco.Possiamo ricollegare questa figura di don-na moderna all’evento che nel 1908 ha dato poi

origine all’attuale “festa della donna”. Un gruppo di opera-ie di un industria tessi-le di New York scioperò per rivendicare le terribi-li condizioni in cui erano costrette a lavorare.Fu proprio l’8 marzo del medesimo anno che la proprietà dell’azien-da bloccò le uscite dalla fabbrica impedendo alle operaie di uscire. Un in-cendio ferisce mortal-mente 129 operaie tra cui italiane ed immigra-te.Questa data vuole ricor-dare le oppressioni subi-te nel corso dei secoli da parte di tutte la donne e il punto di partenza per il riscatto della propria

dignità.Ma come viene festeg-giata questa ricorren-za dalle donne di oggi? Probabilmente il con-testo politico e sociale in cui viviamo non aiu-ta nel mantenere vivi il valore ed il profondo si-gnificato del sacrificio di queste donne. Tutto si riduce all’oppor-tunità per donne sposa-te o single di ritagliare lo spazio di una sera per mangiare una pizza in compagnia e finire poi in adorazione davanti al triste spettacolo di un giovane maschio super-dotato che si spoglia da-vanti a loro.Nei decenni passati i movimenti femministi manifestavano e lotta-vano per la parità tra i sessi e per l’indipenden-za della donna! ma era questo quello che chie-devano quelle donne in piazza? Era questa la li-bertà in cui speravano? . Nel nostro tempo sem-bra un dato di fatto che la donna sia ormai pari-ficata in tutto e per tut-to all’uomo, pur essendo manifestamente palese che nella realtà è ancora soggetta a continue di-

le donne nel risorgimentoEffetto DONNA

a cura di Giulia ANELLI, Francesca GROSSI, Benedetta RAVAGNA (IIIAs)

Cristina di Belgioioso

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scriminazioni in ambito lavorativo e sociale. Grazie anche all’azione dirompente dei media, del cinema, e di trasmis-sioni demenziali, anco-ra troppo spesso la don-na viene usata ed esibita per la sua fisicità come fosse un bell’involucro da mostrare senza che a nessuno interessi il con-tenuto. D’ altro canto una nuo-va generazione di gio-vani arriviste disposte a tutto (o quasi) in cambio di una carriera veloce senza gavetta o di soldi facili, non fa nient’altro

che facilitare ed incre-mentare questo disgu-stoso mercato. Fortunatamente la donne italiane che si identificano in que-sti modelli sono solo una piccola minoranza, mentre nell’anonimato della vita di tutti i gior-ni sta nascendo nella coscienza di milioni di italiane, la consapevo-lezza che la donna sta diventando sempre più la cellula indispensa-bile e fondamentale di una società che deside-ra riscattarsi da uno sta-to di decadimento e di

degrado che ci sta to-gliendo qualsiasi etica morale.A questo proposito abbiamo accolto con simpatia e profondo coinvolgimento la ma-nifestazione “se non ora quando?”del 13 febbra-io, pensata ed organiz-zata da sole donne in-tellettuali, del mondo dello spettacolo e del-la politica al quale han-no risposto centinaia di migliaia di donne di di-versa età e astrazione sociale nell’intento di far sentire la loro voce all’unisono.

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FALCONEXPRESS46marzo 2011 FALCONEXPRESSSi celebra quest’an-

no il 150° anniver-sario dell’Unità

d’Italia, di cui Garibal-di è certamente la figu-ra più popolare; è, infat-ti, riuscito a conquistare tutto il Mezzogiorno ita-liano, governato all’epo-ca dai Borbone, guidan-do la spedizione dei Mille.La figura di Garibaldi è stata per molti aspet-ti mitizzata ed è sicu-

ramente considerato l’eroe del Risorgimen-to. Ma ci si limita molto spesso a questa visione, non si analizza la situa-zione in modo più ap-profondito. Come è possibile che Garibaldi con solo 1000 volontari, quindi non soldati di professione, riesca a neutralizzare in così poco tempo il più grande regno presen-te in Italia? Un’impresa

epocale e per certi ver-si da far invidia a Chuck Norris.Per fare chiarezza su come realmente sono andate gli avvenimen-ti è opportuno consulta-

la spedizione dei milleTra mito e realtà

a cura di Sara MORBINI (VBss)

Battaglia di Calatafimi(15 maggio 1860)

Le truppe borboniche erano ben piazzate sul-le alture del colle, in po-sizione favorevole, ot-timamente armate e supportate da due mo-derni pezzi di artiglieria da campagna ed un re-parto di cavalleria. All’op-posto, i Garibaldini si tro-vavano nelle posizioni sottostanti, senza l’ap-poggio di cavalleria e do-tati di armamenti su-perati e fatiscenti. Ma quando le soverchian-ti forze borboniche era-no sul punto di vincere, il generale Landi, inaspet-tatamente ordinò la riti-rata, cogliendo di sorpre-sa persino l’eroe dei due mondi.Il generale ricevette, l’an-no successivo, la pensio-ne dal governo italiano, mentre i suoi figli - già ufficiali dell’esercito bor-bonico, venivano arruola-ti nell’esercito del neona-to Stato italiano

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re diverse fonti, alcune delle quali scritte da per-sone coinvolte in prima persona nella vicenda.È il caso, ad esempio, di don Giuseppe But-tà, cappellano militare nell’esercito di France-sco II, autore de Il viag-gio da Boccadifalco a Gaeta – memorie del-la rivoluzione dal 1860 al 1861.L’autore con quest’ope-ra intende dimostrare come la caduta dei Bor-bone non avvenne per il valore delle armi ga-ribaldine o piemonte-si ma unicamente per l’incompetenza e il tra-dimento di alcuni co-mandanti militari. Don Giuseppe Buttà fu te-stimone oculare degli eventi più importanti del periodo e ne forni-sce una ricostruzione oggettiva.L’autore sottolinea la su-periorità numerica e mi-litare dell’esercito bor-bonico, comandato, però, da generali corrot-ti e favorevoli alla causa piemontese, che, in mo-menti in cui la vittoria borbonica sembrava or-mai certa, ordinarono la ritirata ai propri soldati.Un esempio, tra i tan-ti proposti da Buttà, di questo atteggiamento anti-borbonico, è quel-lo dello sbarco a Marsala dei garibaldini. Il re ave-

va, a questo proposito, incaricato il comandante della flotta napoletana, Caracciolo, di impedire lo sbarco. Ma la mattina stessa egli abbandonò di proposito le proprie posizioni sul porto e, solo a sbarco avvenuto, cominciò a intervenire.Il cammino di Garibal-di da Marsala a Gaeta fu spianato, inoltre, da un altro generale borboni-co, Landi, che in diverse battaglie ordinò la ritira-ta ai suoi, proprio quan-do avevano in pugno la vittoria. Atteggiamen-to, questo, che suscitò molta rabbia e angoscia in Francesco II, impo-tente di fronte allo svi-luppo delle vicende. A Landi succedettero al-tri generali, Lanza e Ri-tucci per citarne solo al-cuni, ma tutti o inerti o traditori. Un altro im-portante ruolo fu quel-lo giocato dalla Camor-ra, quando Garibaldi era ormai riuscito a entrare in Campania. Gli uomini di spicco del potere pie-montese si servirono, in-fatti, dell’indispensabile apporto fornito loro dal-la “setta dei camorristi”. Essi, divisi per quartie-re e per bande, assaliva-no i commissariati della vecchia polizia borboni-ca (quella rimasta fede-le al re) e fungevano da vero e proprio braccio

armato del Governo pie-montese.L’epilogo della vicenda è perciò ovvio, il 26 Ot-tobre1860 a Teano Gari-baldi incontra Vittorio Emanuele II. L’impre-sa era riuscita, e non im-portava come, perché ciò che era veramen-te importante era che l’Unità d’Italia era stata raggiunta, con le succes-sive conseguenze che questo comportò.

... opportunismo e spregiudi-catezza cancellano ogni for-

ma di pudore e di decenza, tanto da bollarlo per sempre

come il più classico dei vol-tagabbana. Eppure, l’uomo

possedeva doti notevoli, che lo facevano naturalmente

emergere nello squallido pa-norama dei ministri e dei bu-

rocrati napoletani.

Pier Giusto Jaeger Francesco II di Borbone,

l’ultimo re di napoli

Liborio Romano

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FALCONEXPRESS48marzo 2011 FALCONEXPRESS

DECIMA POSIZIONE: Goffredo Mameli. Morto molto prima del 1861, è famosissimo per il Canto degli Italia-ni, scritto nel 1847, diventato poi nostro inno naziona-le. Con il suo canto, musicato da Michele Novaro, molti italiani si sono uniti, commossi, emozionati. Insomma, si sono sentiti una nazione.NONA POSIZIONE: i cantautori. De André, Guccini, Battisti, De Gregori, Gaber, Gaetano, Vecchioni,… cantanti, o meglio poeti, che con le loro canzoni espri-mono, o hanno espresso, il lato più vero dell’Italia, quello di tutti i giorni. Hanno lanciato idee, inventato mode e hanno cambiato la vita di molte persone. Mol-ti di loro se ne sono andati da tempo, ma le loro can-zoni rimarranno per sempre!OTTAVA POSIZIONE: Gabriele D’Annunzio. Nato a Pescara nel 1863, è stato uno scrittore straordinario, in grado di diffondere delle emozioni. Ma lui è un eroe per le sue imprese pazzesche. Rifiutata nel 1915 la cat-tedra di letteratura italiana che prima era stata di Pa-scoli, si arruolò volontario per partecipare a cinquan-tadue anni alla Prima Guerra Mondiale. Nel febbraio 1918 partecipò alla beffa di Buccari, nell’agosto dello stesso anno volò su Vienna lanciando dei volantini in-neggianti la libertà e l’anno dopo, alla guida di mol-tissimi soldati, occupò Fiume, annettendola al Regno d’Italia. Morì nel 1938 e, per il grande impegno nei confronti dell’Italia, Mussolini organizzò i funerali di stato per il Vate.SETTIMA POSIZIONE: i presentatori tv. Mike Bon-giorno, Raimondo Vianello, Corrado, Pippo Bau-do (anche se è ancora in vita) … indimenticabili. Que-sti sono i maestri della televisione italiana, in grado di portare istruzione e allegria nella case degli italia-ni con i quiz, con la Corrida, con la musica, e molti altri programmi. Ora abbiamo Gerry Scotti, Flavio Insinna,

150 anni d’ItaliaLa mia classifica in 10 punti delle grandi personalità italiane

a cura di Angelo BADINELLI (ex studente)

Nella storia e tradi-zione di ogni pa-ese, da sempre,

sono presenti personag-gi che hanno rappresen-tato un vero e proprio esempio o guida.

In centocinquanta anni l’Italia ha visto dei veri e propri eroi che hanno fatto grande il nostro Pa-ese. Quando Fabrizio Co-pertino mi ha chiesto di scrivere un articolo sull’ an-

niversario dell’unità d’Ita-lia, ho pensato di stilare una top 10, nella quale sono elen-cate persone, o gruppi di persone, che, secondo me, hanno fatto grande il no-stro paese. Quindi partiamo.

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Paolo Bonolis, Carlo Conti: alunni che quasi quasi stan-no per superare i maestri.SESTA POSIZIONE: i premi Nobel. Attualmente sono diciannove e dal 1906, con il premio a Giosuè Carducci per la letteratura e a Camillo Golgi per la medicina, an-che se non tutti gli anni, portano in trionfo l’Italia. Vale la pena ricordarli: Giosuè Carducci, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale e Dario Fo per la letteratura; Camillo Gol-gi, Daniel Bovet, Salvador Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini per la medicina; Ernesto Teo-doro Moneta per la Pace; Guglielmo Marconi, Enri-co Fermi, Emilio Gino Segrè, Carlo Rubbia, Riccar-do Giacconi per la Fisica; Giulio Natta per la chimica; Franco Modigliani per l’economia. QUINTA POSIZIONE: Giorgio Perlasca. Funzionario e commerciante italiano, non è un eroe per le sue fun-zioni lavorative. Aderì fin da subito al Partito Fascista, ma quando avvenne l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati l’8 settembre 1943, si trovava a Budapest per motivi di lavoro e non aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Ri-cercato dai tedeschi, chiese aiuto all’ambasciata spa-gnola. Quando il console spagnolo se ne andò da Bu-dapest, Perlasca si finse tale e fu immerso nel traffico degli ebrei. Con timbri e passaporti falsi, Giorgio Per-lasca riuscì a salvare da morte certa più di cinque mila ebrei. Ma quando i sovietici invasero l’Ungheria, Per-lasca scappò dalla città perché era perseguitato. Solo negli anni ’80 è venuta a galla la sua storia. Dal 23 set-tembre 1989 per Israele è “GIUSTO TRA LE NAZIONI”. Morì a Padova nel 1992. Nel 2002 Luca Zingaretti ha interpretato Giorgio Perlasca in “Perlasca. Un eroe ita-liano”, in occasione della giornata della memoria.QUARTA POSIZIONE: Salvo D’Acquisto. Napoletano, muore da eroe a quasi (e soli) 23 anni, il 23 settembre 1943. Si arruola volontario nell’Arma dei Carabinieri e quando l’Italia entra in guerra parte sempre volontario per l’Africa settentrionale. Nonostante la divisa, Salvo era di animo calmo e gentile e negli suoi ultimi mesi di vita aveva fatto progetti per il futuro: aveva conosciu-to una ragazza con la quale sognava di costruire una famiglia, ma il destino e soprattutto il suo coraggio lo portarono ad altro. Poco dopo l’armistizio un reparto di SS si installò a Torrimpietra, un piccolo borgo dove lavorava Salvo. Un giorno, mentre i tedeschi stava-no rovistando in una casa abbandonata, esplose una bomba a mano accidentalmente, uccidendo un sol-dato tedesco. Come vendetta, il comandante nazista imprigionò ventidue uomini con l’obiettivo di fucilar-

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FALCONEXPRESS50marzo 2011

li il giorno dopo. Ma in questa occasione Salvo mostrò il suo lato eroico. Disse, infatti, al comandante di esse-re il colpevole e si offrì al posto dei ventidue prigionie-ri. Il 23 settembre venne fucilato e per tutti divenne un eroe. Svanirono i suoi sogni, ma la sua azione è rimasta per sempre. È stato proclamato “Servo di Dio” per il suo coraggio e la sua umanità.TERZA POSIZIONE: Giovanni Falcone e Paolo Bor-sellino. “Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre.” Diceva così Paolo Borselino dopo la morte del suo più caro amico Giovanni Falco-ne e in attesa di raggiungerlo nell’aldilà. Giovanni era lo scudo di Paolo, Paolo poi divenne il bersaglio per la mafia. Questi due eroi si sono sacrificati battendo-si fino all’ultimo, dando filo da torcere a Cosa Nostra. Palermitani doc, amici da una vita, hanno sempre vis-suto con una compagna: la paura per la morte. Quella morte che a poco a poco ha colpito tutti i loro colleghi. Cosa Nostra li ha uccisi entrambi nel 1992. Loro sono morti, sono morti per noi: abbiamo un grande debi-to verso di loro. Dobbiamo lottare, come loro, contro la mafia.SECONDA POSIZIONE: Noi i ragazzi dell’82. Come scordare la finalissima del Mundial di Spagna 1982. No-nostante l’inizio incerto, la nostra nazionale, guidata da Enzo Bearzot, vinse il terzo mondiale strapazzando la Germania per 3 a 1, con i gol di Rossi, Tardelli e Al-tobelli. La formazione vedeva Zoff, Gentile, Collovati, Scirea, Cabrini, Conti, Oriali, Bergomi, Tardelli, Ros-si e Graziani. Con questa vittoria l’intero paese fu uni-to: quelli di destra e di sinistra, Nord e Sud, Est e Ovest. Uniti anche grazie all’indimenticabile Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica che, con la sua gioia di ragazzino, fu il primo ad esultare durante e alla fine della partita. PRIMA POSIZIONE: il Milite Ignoto. Sul gradino più alto del podio vanno tutti quei militari, volontari e non, che dal 1861 (e anche prima!) hanno dato la vita per il nostro paese, durante tutte le guerre e missioni di pace. Uomini (ora anche donne) che partono da sem-plici soldati, ma ritornano da eroi perché si sono sacri-ficati per una giusta causa, per la pace e per la liber-tà di un paese. Onore ai nostri soldati, onore ai caduti. Onore anche a quei poliziotti, carabinieri e tutte le for-ze dell’ordine che tutti i giorni sono sulle strade per il lavoro e, come diceva Giorgio Faletti, molte volte sono derisi da un umorismo di barzellette, nonostante il co-raggio che mettono sul lavoro, sbattendosi per un’Ita-lia più vera e più libera.

Penso che sia naturale il fatto che non tutti pos-

sano essere d’accordo con questa classifica per-

ché l’Italia ha visto tan-tissimi altri eroi, magari meno conosciuti. Infatti

sono eroi tutti gli italiani che all’inizio del Novecen-

to sono partiti verso terre sconosciute in cerca di un lavoro e di una nuova vita; sono eroi gli italiani che si

svegliano al mattino, sa-lutano i familiari, ma alla

sera non ritornano per-ché muoiono sul lavoro; sono eroi gli italiani che onorano gli impegni fa-

miliari o dedicano la vita al prossimo come tutti i

missionari (religiosi o lai-ci); sono eroi gli italiani

che si battono per ideali che non vengono seguiti.Infine, sono eroi tutti gli italiani che hanno fatto

l’Italia, nel bene e nel male.

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Cerchiamo famiglie disposte ad ospi-tare ragazzi dei

comuni gemellati con Asola, Lésigny ( Francia) e Leingarten (Germania) durante il Torneo di calcio di Pentecoste ( 11/12/13 Giugno 2011)Nei giorni 11/12/13 GIUGNO 2011 il Comune di Asola ospiterà i giova-ni delle classi ‘95/’96 e ‘94/’95 provenienti dalle due città gemellate, Lé-signy e Leingarten, per disputare un torneo di calcio presso il Campo Sportivo locale.L’ evento sportivo, avrà luogo Domenica 12 Giu-gno e occuperà l’intera giornata (mattino e po-meriggio). L’arrivo dei ra-gazzi e dei loro accom-pagnatori è previsto per la giornata di sabato 11 Giugno mentre la par-tenza per le rispettive destinazioni è prevista per Lunedì 13 Giugno.Il “Torneo di Penteco-ste” sarà anche un mo-mento aggregativo e di scambio culturale con le delegazioni francese e tedesca che verranno ospitate presso le fami-glie locali.

A tal proposito, conside-rando il numero eleva-to di giovani che giun-geranno ad Asola per partecipare all’incontro di calcio, si chiede la di-sponibilità delle famiglie di Asola, ad accoglie-re uno o più ragazzi e/o adulti accompagnato-ri presso le proprie case nelle notti di Sabato 11 e Domenica 12 Giugno, garantendo due colazio-ni (Domenica e Lunedì mattina) e una cena (Sa-bato sera). Il Comitato per i Gemel-laggi, in collaborazione con le associazioni loca-li, si occuperà della ge-

stione dell’intera giorna-ta di domenica (pranzo e cena).PER DARE LA PROPRIA DISPONIBILITA’ CON-TATTARE LO SPORTEL-LO INFORMAGIOVANI ENTRO E NON OLTRE IL 14/05/2011 AL NUME-RO 0376/720160 O VIA MAIL ALL’[email protected]

GEMELLAGGIOFAMIGLIE OSPITANTI CERCASI !!!!

a cura dell’INFORMA GIOVANI di Asola

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FALCONEXPRESS54marzo 2011 FALCONEXPRESS

Questa data ha as-sunto importan-za tale da essere

celebrata annualmente con l’obiettivo principale di ricordare e valorizza-re la lotta che la donna si è impegnata a soste-nere per ottenere i pro-pri diritti.A questo proposito si presume che l’8 marzo 1908, nei pressi di una industria tessile di New York, morissero centina-ia di operaie coinvolte in un rogo scoppiato pro-prio all’interno della fab-brica.Esse venivano conside-rate una categoria infe-riore della specie umana adibita al lavoro dome-stico ed al mantenimen-

to del nucleo familiare.Queste donne, però, consapevoli della loro capacità di poter svolge-re al meglio entrambi i compiti, si sono battute per ottenere la loro par-tecipazione dapprima nella vita politica, ossia la possibilità di ottene-re il suffragio universa-le, poi per la manifesta-zione di tutte le risorse appartenenti ad esse poiché intrinseche nella loro natura.Negli anni la donna si è impegnata sempre mag-giormente per mettere in evidenza le migliorie che la sua intraprenden-za può applicare alla so-cietà e l’esempio più adeguato si può incar-

nare nella limpidezza della santa Madre Teresa di Calcutta.Essa si impegnò con tut-te le sue forze a porta-re a compimento l’obiet-tivo con cui era partita, la volontà di prendere i voti, ovvero la sua mis-sione di soccorso alle anime meno fortunate.Essa, accompagnata dal-la sensibilità e dal corag-gio della sua anima di donna, riuscì sempre a portare un sorriso dove ormai regnava la miseria e ad ottenere i mezzi ne-cessari per l’assistenza e la carità e questo le at-tribuì il merito di riceve-re il Premio Nobel per la Pace nel 1979.Nonostante questi esempi che sottolineano la dinamicità della figura femminile, Angelo Sco-la recita una frase di no-tevole impressione: “Che le donne si sottraessero a un’oppressione mille-naria è stato giusto. Ma il prezzo ingiusto è stata la perdita della loro identi-tà profonda. Quel talen-to che Giovanni Paolo II chiamava genio femmi-nile: il fatto di saper te-nere il posto dell’”altro”. Che non è un posto di seconda fila, attenzione.

DONNE O SEMPLICI... FEMMINE?8 marzo: ogni donna desidera ricevere gli auguri?

a cura di Azra Hasani (IVAitc)

Madre Teresadi Calcutta

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FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS55

Tenere il posto dell’al-tro vuol dire essere il se-gnavia di quell’ Altro per eccellenza che è Dio. Un compito grandioso”.Con questa espressione non è difficile constatare che, bensì la logica del tempo avrebbe dovuto assicurare il progresso, questo non si è verifica-to nel campo della di-gnità femminile.È all’ordine del giorno la situazione che coinvol-ge un gran numero di giovani donne, che do-vrebbero rappresenta-re il futuro della nazione all’interno della socie-tà di cui fanno parte, ma

che attribuiscono una maggiore importanza al presente, all’effimero.Affermo ciò in conse-guenza al fatto che oggi da molte giovani donne viene dedicata la massi-ma cura all’aspetto del-la fisicità e dell’apparen-za e, nella maggioranza dei casi, questo porta a trascurare i principi di ri-spettabilità che dovreb-bero costituire l’amor proprio della donna.In questo modo vengo-no sminuite le capaci-tà del genere femminile, ossia qualsiasi posizio-ne che una donna possa raggiungere attraverso

la sua intelligenza, que-sta potrà essere sempre sminuita dal pensiero ormai diffuso della don-na vista come oggetto.Nonostante questo però vi sono figure di caratte-re imponente a tal pun-to da trovare ancora il coraggio e la motivazio-ne valida per scendere in campo con l’obietti-vo di ottenere il rispetto che loro compete atti-vandosi in manifesta-zioni tenutesi in tutte le piazze principali italia-ne il 13 febbraio 2011, con il motto se non ora quando?, al quale mi as-socio.

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FALCONEXPRESS56marzo 2011

Ogni anno miglia-ia di cani innocen-ti trovano la morte

nei canili lager spagnoli, le perreras.Ciò, per quanto possa apparire insensato e ver-gognoso poiché in con-trasto con le normative europee di tutela de-gli animali, fa parte del-la normale quotidiani-tà. In Italia, così come in numerosi altri Paesi, la soppressione nei canili è vietata ormai da anni; in Spagna (esclusa la regio-ne della Catalogna), NO! Ecco cosa accade ad un qualunque cane in una perreras: se viene acca-lappiato, ha tempo 15 giorni per essere adot-tato; se viene portato là dai propri padroni (che evidentemente voglio-no disfarsene), ha tem-po 10 giorni. In seguito a ciò viene SOPPRESSO;una volta entrato in li-sta, gli vengono nega-ti cibo e acqua. Molti di loro nemmeno arrivano al giorno della soppres-sione, muoiono prima di stenti; quando viene prelevato

per essere soppresso, il cane scodinzola, speran-do di esser portato via da quell’inferno. Quan-do si avvicina alla soglia della stanza della MOR-TE, sentendone l’odo-re, si ferma, piange, non vuole entrare. La mag-gior parte delle volte le soppressioni non av-vengono tramite vete-rinario, è direttamente il gestore della perreras a pensarci, spesso nei modi più cruenti (bru-ciandoli vivi, rinchiuden-doli nelle camere a gas, mediante iniezioni, sen-za anestesia, di veleni o paralizzanti neuromu-scolari - quindi morte lenta e dolorosa -, attra-verso cibo avvelenato);altri, peggio ancora,

sono destinati ai cen-tri di sperimentazione e vivisezione, i quali, pur prolungandone la vita, ne prolungano anche le sofferenze;i più fortunati, purtrop-po davvero pochi, ven-gono adottati.Tutta Europa (e non solo) sta raccogliendo firme da far pervenire al Governo Spagnolo, in segno di protesta. Dai anche tu il tuo con-tributo a favore di que-ste povere bestiole, colpevoli solo di esse-re nate in un paese così crudele, dove per il pro-fitto di uomini senza scrupoli e a causa di leg-gi immorali e complici, sono destinate ad un’or-ribile fine. Per firmare la petizione rivolgetevi in 3^B I.T.C., muniti di Carta d’Iden-tità, entro il 20 Aprile. Possono aderire alla rac-colta firme solo i mag-giorenni; per i 16 e 17enni occorre la con-tro-firma di uno dei ge-nitori.Grazie in anticipo a tutti coloro che aderiranno.

E se al posto di QUEL cane ci fosse il TUO cane?

Petizione contro i canili lager spagnolia cura di Bianca CAZAMIR (IIIBitc)

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FALCONEXPRESS58marzo 2011 FALCONEXPRESSNegli ultimi due

anni a infiamma-re l’animo di mol-

ti studenti italiani è stata sicuramente la riforma scolastica attuata pro-gressivamente dal Mini-stro dell’istruzione en-trato in carica nel 2008, Maria Stella Gelmini.All’epoca del cambio di governo il “popolo” tra le altre cose che si aspettava dal Gover-no neonato, attende-va una riforma delle isti-tuzioni scolastiche dalla scuola primaria all’uni-versità al fine di miglio-rare la disperata situa-zione, soprattutto dal punto di vista economi-co e organizzativo, del-la maggior parte degli istituti pubblici. L’obiet-tivo di buona parte delle normative era quello di bilanciare alcuni cambi di orario, avvenuti ne-gli anni per adeguarsi ai mezzi di trasporto, e di ridurre il numero di per-sonale sia nelle scuole primarie che nelle scuo-le secondarie; tuttavia questi cambiamenti non sono stati effettuati in parallelo con la riorga-nizzazione delle com-

pagnie di mezzi pubbli-ci e questo, come molti ricordano, comportò nei primi mesi dell’an-no scolastico 2010/2011 un caos totale fra gli ora-ri di ritorno dei mezzi di trasporto nelle aree pro-vinciali con gli orari del termine degli istituti e dei licei che, non aven-do più ore di 50 minuti, terminano ora più tardi rispetto a prima: citiamo il caso del nostro istituto G. Falcone che ha pas-sato il mese di settem-bre con orari provvisori e sbilanciati per permet-tere agli studenti di non perdere il trasporto al termine della mattinata.Degni di nota furono an-che i tagli che ridusse-ro nelle scuole primarie

gli insegnanti per classe da tre ad uno, toglien-do di fatto il posto di la-voro a quegli insegnati che ancora non avevano il posto fisso e che sca-tenarono varie manife-stazioni da parte dei sin-dacati.Ma oltre a questi cam-biamenti, due fattori im-portanti hanno causato nel 2010 innumerevoli manifestazioni e sciope-ri in tutta Italia da parte di studenti delle scuo-le superiori, studenti universitari e i sindaca-ti rappresentanti dei do-centi (CGIL). Per quanto riguarda le scuole su-periori, vi era negli anni passati un sistema che garantiva che il debito dello Stato nei confron-ti della scuola restasse aperto e di anno in anno lo Stato si sarebbe impe-gnato a versare oltre alla somma minima neces-saria per far funzionare le strutture scolastiche, una somma aggiuntiva per saldarlo col tempo e con disponibilità di fon-di. Nel 2009 dopo l’ap-provazione delle leggi 133/2008 e 169/2008 si è ridotto ulteriormente

riforma dell’istruzionenecessità o speculazione?

a cura di Michele ROMANI (IVAs - Caporedattore)

Il Ministro dell’IstruzioneMaria Stella GELMINI

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il budget dedicato alle scuole pubbliche. Invece a creare lo scan-dalo maggiore è stata la neo-approvata leg-ge n. 240/10 del 30 di-cembre 2010 ed entra-ta in vigore il 29 gennaio 2011: riforma totalmen-te il sistema universita-rio italiano. Riguardan-do questa legge tutti gli universitari e gli stu-denti che da qui a pochi anni conseguiranno il diploma, nell’autunno e nell’inverno 2010 centi-naia di migliaia di ragaz-zi e docenti in tutta Ita-lia si sono riversati nelle piazze italiane e anche di fronte al Parlamento a protestare; sono state bloccate le vie principa-li di città come Milano e Roma e mandate mol-te richieste al Presiden-te della Repubblica per dichiarare l’incostituzio-nalità di questa legge. All’apice della rabbia, ci sono state anche esplo-sioni di violenza da par-te di alcuni studenti che hanno ferito altri loro compagni o vigili urba-ni assegnati al conte-nimento del la folla (ad esempio il 14 dicembre 2010 a Roma un ragaz-zo fu ferito con un ca-sco tiratogli in testa) e il Ministro dell’Istruzione ha lanciato un appello, che è parso più che altro

una offesa, affermando che gli studenti “bravi” sarebbero stati a casa a studiare invece che ma-nifestare. La legge fu in-fine approvata il 30 di-cembre. Ma cosa prevede que-sta legge? Riassumendo viene ridotto il numero di indirizzi e riorganizza-to il sistema degli orga-ni scolastici. Viene con-cessa la direzione degli atenei alle “fondazioni” e ridotto il potere del-la componente studen-tesca. Sebbene ci siano stati molti professori a favore della riorganiz-zazione, di fatto non si può fare a meno di no-tare che così all’universi-tà viene dato un input di privatizzazione iniziale.Secondo una stima del-la CGIL relativa al com-parto Università, nel 2013 si avrà un taglio netto del 12,95%, rispet-to al 2008, taglio pari a circa 960 milioni di euro. Questi tagli, sempre se-condo questa stima, di-mezzeranno le risorse destinati ai servizi rivolti agli studenti, in partico-lare, le risorse per Cen-tri Universitari Sportivi, Diritto allo studio e re-sidenze studentesche. Questi tagli non riguar-dano le scuole private che invece riceveranno sussidi maggiori rispetto

a prima.E’ questo il valore che viene dato ai giovani studenti italiani? E’ leci-to che ci si lamenti della fuga di cervelli quando nel nostro Paese lo stu-dio, la ricerca e i meriti scolastici non vengono valorizzati?La cosa che più mi colpi-sce e la totale apatia di buona parte dei giova-ni nei confronti persino di ciò che riguarda diret-tamente loro. Il mio sco-po scrivendo questo ar-ticolo è stato quello di riassumere brevemen-te le vicissitudini legate a questa controversa ri-forma per informare co-loro che la televisione la accendono per guar-dare programmi inuti-li e che internet lo usano per chattare soltanto coi propri amici. Certa gen-te decide per il nostro futuro e noi nemmeno sappiamo cosa succede; se ci fosse stato un inte-ressamento più profon-do probabilmente non centinaia di migliaia di studenti, ma milioni sa-rebbero scesi nelle piaz-ze a protestare contro questo progressivo de-grado di un nostro dirit-to. D’altronde lo dice an-che il nostro presidente del consiglio: la scuola pubblica, ormai, non in-segna più niente.

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FALCONEXPRESS60marzo 2011 FALCONEXPRESS

La Compagnia Te-atri Possibili, è attualmente una

tra le più attive compa-gnie di prosa italiane, nasce nel 1996 per vo-lontà dell’attore e regi-sta Corrado D’EliaFin dall’inizio della sua attività, la produzione della Compagnia si di-stingue per originalità e per la capacità di attrar-re l’attenzione di pub-blico e critica con un in-novativo approccio alle opere teatrali. Dalla sua fondazione e passando per fortunatissime pro-duzioni quali, “Le noz-ze dei piccolo borghesi”, “Cirano”, “Otello”, “Caligo-la”, “Amleto”, “Novecen-to”, “Vero West” e tan-te altre, Teatri Possibili è oggi tra le Compagnie teatrali più attive ed ap-prezzate. Il gruppo di ar-tisti che la costituisce, pur rinnovatosi, è carat-terizzato da un nucleo stabile che lavora insie-me continuativamen-te intorno alla figura di Corrado d’Elia. Il fine del lavoro e dell’investimen-to comune è la promo-zione e la diffusione del

teatro attraverso la pro-duzione di spettacoli (di nuova drammaturgia o di grande teatro) e la formazione di un nuovo pubblico, nonché lo svi-luppo di linguaggi capa-ci di dialogare col pre-sente.“Suonavamo perché l’Oceano è grande, e fa paura, suonavamo per-ché la gente non sentisse passare il tempo, e si di-menticasse dov’era e chi era. Suonavamo per far-li ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il Rag-time, perché è la musica su cui Dio balla quando nessuno lo vede”.“Novecento” è il pri-mo monologo teatra-le scritto da Alessandro Baricco e pubblicato

nel 1994. Si configura in poche pagine come un racconto coinvol-gente dalla narrazione scorrevole e fluida; rac-chiude dentro di sé mol-to più della descrizione del viaggio dal vecchio al nuovo mondo. La vi-cenda è semplice: la vita del pianista Novecento. Una vita banale e ripe-titiva, da un certo pun-to di vista, ma che sarà il perno per una rifles-sione riguardo le scelte che determinano il no-stro futuro, quelle che ci fanno sempre un po’ penare per il peso che hanno. La scelta di No-vecento esposta da Ba-ricco è singolare, quel-la di intraprendere un viaggio ignoto anche se già effettuato molte vol-te. La dinamica di que-sto viaggio si forma nel-la nostra mente come un dolce dondolio, simi-le all’imperterrito oscil-lare di una barca in mez-zo al mare, e che rimane per tutto il tempo della lettura un’amara e surre-ale favola. Questo libro non ha mai finito di dire quello che vuole espri-

novecentoL’opera di Baricco nella riduzione teatrale

della Compagnia Teatri Possibilia cura di Francesca SAVIOLA (IVAs)

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mere, come diceva Ita-lo Calvino, e ti fa rivivere molte di quelle emozio-ni che rimangono sepol-te dentro di noi ma che quando scaturiscono hanno il potere di creare sensazioni meravigliose.Da questo libro è trat-to lo spettacolo di Cor-rado D’Elia, che è stato rappresentato anche ad Asola al Teatro San Car-lo il 3 Febbraio 2011. Proponiamo quindi una piccola riflessione sul contenuto e sull’im-postazione registica di questo spettacolo, con alcuni cenni riguardanti la trama e un’intervista all’attore correlata.“Non si è fregato vera-mente finché hai da parte una buona storia, e qual-cuno a cui raccontarla.”Questa è la definizione di Baricco, Novecento è una storia, un racconto che aiuta a trovare la no-stra storia. È ambienta-ta in un tempo passato: quello dei i meravigliosi Anni Venti, a cavallo tra le due guerre, è l’età del jazz, quando ogni cosa sembrava muoversi se-guendo quel ritmo irre-sistibile. Il ritmo è grade-volmente denso, quello che si viene a creare quando parole e musica si incontrano in accordo e si scambiano i ruoli, le parole diventano musica e le note racconto indi-

spensabile, fino a com-porre una partitura ori-ginale, unica. Il luogo, è una nave, il Virginian, dal nome che sa di lontano, che fa la spola dall’Euro-pa alla sognata Ameri-ca e che racchiude in sé tutte le storie del mon-do. Si apre una dimensione surreale davanti a noi, di una vita dura, quella del pianista sull’oceano.“Andavo di fantasia, e di ricordi, è quello che ti ri-mane da fare, alle volte, per salvarti, non c’è più nient’altro. Un trucco da poveri, ma funziona sem-pre”.La dimensione è quel-la del ricordo, quei ricor-di raccontati dalle voci di chi ormai, dopo aver vissuto per troppo tem-po, proprio in quei ri-cordi è tornato a vive-re, quel ricordo intenso, come quello delle gran-di storie che parlano di un tempo andato. Nove-cento è sicuramente una buona storia da condivi-dere, forse una delle mi-gliori. Avere sempre una storia da raccontare significa vivere giorno per giorno cercando un’esperien-za di vita da raccontare e quest’esperienza mo-tiva l’esistenza stessa di ogni individuo. La storia, incredibile, fantastica, quasi irreale di Danny

Boodmann T.D. Lemon Novecento, un pianista, anzi il più grande piani-sta del mondo, nato su una nave e lì vissuto per tutta la vita, senza mai scendere. L’uomo che sapeva suonare la musi-ca indefinibile. Suona al ritmo del jazz, di quella musica origi-nale e irresistibile che invoglia al ballo chiun-que la senta ed è bra-vo, tremendamente bra-vo, tanto che si dice che quella musica possa uscire solo dal suo pia-noforte.La compagnia Tea-tri Possibili sotto la re-gia di Corrado d’Elia ha una storia da raccon-tarci. Penserete di sicu-ro che la scelta di Cor-rado d’Elia è quella di scontrarsi contro un mo-stro, di perfezione, e con un’introspezione psico-logica a dir poco inavvi-cinabile. Invece Novecento è una figura geniale per quan-to possa essere com-plessa. Ma al contem-po è un personaggio impacciato, dato che la sua esperienza si esauri-sce al di fuori dei corri-doi della nave e la nave sa di un luogo lontano, vago, disperso che rac-chiude in se tutte le sto-rie del mondo. Per tutto questo Novecento non è un monologo, ma un

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FALCONEXPRESS62marzo 2011 FALCONEXPRESSincarnato di perfezione, una favola struggente e bellissima da racconta-re con la stessa malinco-nia voluta che lui usava quando accarezzava le curve di un ragtime. Uno spettacolo teatra-le riuscito e applaudito dalla critica a discapito della difficoltà a cui po-teva andare in contro. Con capacità da acro-bata e intensità poeti-ca, quelle caratteristi-che a cui ci ha abituati con i suoi personaggi e le sue indimenticabili in-terpretazioni, Corrado d’Elia racconta Novecen-to, con la leggerezza di un sogno, suonando con magia una partitura di fini emozioni. Al termine della rappre-sentazione teatrale, ab-biamo avuto l’occasione di avere un’intervista si-gnificativa con Corrado d’Elia.Per iniziare abbiamo avuto una piccola con-versazione riguardo la sua carriera preceden-te. Corrado d’Elia è un allievo diplomato del-la rinomata Milano Tea-tro Scuola Paolo Gras-si: unica accademia in Italia, che offre percorsi di formazione per tutte le principali figure pro-fessionali nel campo del teatro e dello spettaco-lo dal vivo. Il sogno di intraprendere la carrie-

ra attoriale, presente sin dall’infanzia nei suoi de-sideri, non ha fatto altro che incrementarsi du-rante tutto il suo percor-so al punto tale da pro-clamalo il mestiere più bello del mondo. Diplo-mato all’Accademia vuo-le fondare un gruppo di laboratorio per con-tinuare a lavorare con i suoi compagni di corso. Pertanto dopo lunghe ricerche difficoltose nel-la città milanese sono ri-usciti a trovare un luo-go adatto dove esibirsi e dove trascorrere le lun-ghe ore di prova. Gra-zie a questo impegno e al duro lavoro è nato un progetto molto com-plesso che è il circuito “teatri possibili” per cer-care insieme una nuova idea di teatro e una nuo-va idea di circuitazione delle produzioni.Dopo questa breve in-troduzione biografica, siamo passati a doman-de più specifiche riguar-danti lo spettacolo.C’è un collegamento con la giornata della memoria? È stato impo-stato un taglio specifico allo spettacolo per ren-dere questo aspetto?La giornata della memo-ria ha un compito fonda-mentale che è quello di non dimenticare. Di non dimenticare qualcosa di preciso: noi non dimen-

tichiamo che in passato ci sono state delle atroci-tà, dei campi di concen-tramento. Questa giorna-ta è stata costituita per questo. Da qui poi parto-no una serie di considera-zioni, per esempio questo spettacolo è all’interno di un periodo di guerra, ma questa viene vissuta in maniera tangenziale, non è il tema.Quindi potremmo pren-dere in considerazione l’aspetto riguardante il tema del ricordo, inten-so come volontà di ri-cordare atrocità avve-nute nella storia?Il tema del ricordo è un tema fondamentale. Da una parte si dice che l’uo-mo siccome dimenti-ca, è fortunato e riesce a salvarsi. Dall’altra è uno sforzo che noi dobbiamo fare, quindi un compito, come quello di rispettare la società civile. Abbiamo un compito preciso ,come dire “facciamo la polvere” la stessa cosa è ricorda-re queste atrocità perché non avvengano più e riu-scire a costruire un mon-do migliore ogni giorno, affinché i nostri figli e le future generazioni possa-no avere qualcosa di mi-gliore rispetto a quello che abbiamo avuto noi. Credo sia questo il senso profondo della giornata del ricordo. Aldilà del suo valore storico che noi tut-

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ti riconosciamo e che non dobbiamo dimenticare. Lo spettacolo è stato interpretato come una metafora della vita... con tutte le scelte che Novecento non com-pie, o che in un certo senso compie, restan-do sulla nave, perché questa interpretazio-ne? La metafora della vita in Novecento.La vita già di per sé è una metafora.Novecento decide di non scendere. Perché? In real-tà lui non lo spiega; è pro-prio questa la cosa buffa. E quindi sta a noi e alla nostra parte sensibile cer-care di capire.Ognuno di noi è una per-sona diversa che perce-

pisce in modo diverso la vita. Esiste qualcosa di magico in noi, che nasce con noi, e fa sì che noi sia-mo noi stessi con le no-stre pulsioni. Novecento decide di andare fino in fondo e di non tradire se stesso. Credo sia questa la grande metafora, nel ri-conoscersi, nel sapere chi si è, e nell’andare fino in fondo. È come dire vive-re su una nave, coltivare se stessi fino in fondo, che non vuol dire isolarsi, non deve essere presa come un “non voglio vede-re nessuno” o un “faccio l’eremita” non è questo. La bellezza è fare ciò che ci si sente, in rapporto e in rispetto con gli altri. Io l’ho presa così e mi sem-

bra una buona strada. È una strada che lascia aperti tanti altri pensieri e tanti altri modi di inter-pretarlo. Non credo esi-stano delle vie uniche nel-la vita. Per me maestro è chi lascia aperte le porte, no? Le chiese o i teatri de-vono avere le porte aper-te per chi vuole entrarci: nessuno deve obbliga-re nessun’altro a prende-re una strada che non è la propria strada.

“Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto”Voglio rivedere Novecento negli occhi del pubblico. Questo era l’intento di Cor-rado d’Elia. Intento perfet-tamente riuscito con una platea commossa e tocca-ta da uno spettacolo parti-colare ed avvolgente.

AlessandroBARICCO

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FALCONEXPRESS64marzo 2011 FALCONEXPRESSLa confessione

Tu che vai solo verso l’altareIo dietro ho la vitaChe hai battezzato,un viaggio di sola andata,per il ritorno c’è tempo per pensare.Pensare a te in tutti questi anniCon nostalgica presenzaDelle riflessioni e passioniChe accompagnano gli anniBui di piombo e delle lotteMai finite.Non so perché non riescoA dirti che convivo ad unCuore straziante cheStrazia da mane a seraE’ come una preghieraChe invoco e non smette maiNon so perché il mio tormentoNon esce e mi confesso a teSottopelle; vorrei guardartiNegli anni, di comeSono andate effettivamente le cose, di come le lagrime hanno sgorgatoil viso stanco, di quanti sorrisi,a volte spenti, resistevano al pianto notturnoe alla consolazione della notte.

Rosalba Le FaviModena, Giugno 2006

L’Ideologia

La fiamma della candelarischiara la stanza buiaattirando una falena insicuraRepentinamente divampaavvolge e avvampaBrucia le sue aliBrucia la sua pauraBrucia ardentemente l’anima confusaDopo il delittoin fretta si scioglie la cerache cola spegnendo le fiammerimane il fumo di una passione esanguee tenebra oscura.

Ermanno Andrea Rosa

Vorrei trovare le parole

Vorrei trovare le paroleappese sugli alberi,ogni mattina cogliernedelle nuove.

Rosalba Le FaviCasalromano, 25 febbraio 2010

Libera Rinascita

Legatemi pure l’animacon pesanti catene forgiate dagli dei,finché essa dimorerà nel corpoesso la porterà a spasso dove vorrà.E se mi imprigionerete il corpoallora reciderò con la forza di un neonatole sacre catene,simili a cordoni ombelicaliche a lungo mi nutrironoa scapito della libertà.Gocce di sangue zampillerannotestimoniando una dolorosa evasionelavata da esultanti lacrimee gridi di felicità silenziosi.Ciò che si imprime nell’animasi ripercuote sul corpo marchiandolo,rimarrà il segno di un ombelicoa simboleggiare il trionfodella rinascita.

Ermanno Andrea Rosa

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Un’economia in crisi è sintomo di un sistema che

ristagna, che produce troppo per un merca-to che non ha abbastan-za soldi per acquista-re, consumare, generare guadagni. Un’economia tanto vecchia e inges-sata da accanirsi nello sfruttare le solite risica-te risorse, destinate a fi-nire senz’altra speranza che di accelerare il rit-mo del proprio esauri-mento. Sembra tanto un cane che si morde la coda nella speranza che - cibandosene - questa ricresca. Stupido, no? Quanto a me, da qual-che tempo sto pensan-

do a qualcosa che per gli ingegneri energeti-ci è un’eresia: ovvero che esista una risorsa non solo inesauribile, ma au-to-rigenerante e il cui sfruttamento intensivo potrebbe risultare soste-nibile da parte del Pia-neta Blu. Dettaglio non trascurabile. Ma questo mondo si sa, i dettagli sono roba da visionari. E i visionari sono gente che, attorno al 20° anno di vita (come ad es. voi, S.Francesco, Mameli, Zuckerberg) pensa che certi dettagli abbiano il peso di una Rivoluzio-ne. La risorsa a cui penso sta vivendo una crescita vertiginosa e questo – di sicuro – il PIL non riesce a descriverlo. Qualco-sa che quotidianamen-te aumenta in volume e ridondanza, riempie i nostri iPad, giornali, di-scorsi, ospedali, gior-ni, navigatori. Eccone la storia.Un giorno Galileo ci die-de un consiglio: “il mon-

do è scritto in linguag-gio matematico, chi vuole ne faccia tesoro!”. Pur dopo qualche seco-lo, siamo certi che Bill Gates accolse la dritta (chi meglio di lui ne fece tesoro!), creando un pa-radiso di tecnologia in cui un linguaggio per la descrizione del mondo –matematicamente fon-dato – potesse diffon-dersi ed essere usato da tutti. L’elettronica per-mise di corredare il tut-to con memorie capien-ti, crescenti potenze di calcolo e trasmissione planetaria velocissima. L’informatica (INFORMa-zione autoMATICA, ndr) cominciò a vivere i fasti dell’Era digitale: l’epoca colonizzata da un per-vasivo ed infestante es-serino, il bit. È apparen-temente innocuo, vista la banalità di un desti-no che lo obbliga ad es-sere 0 o 1, vero o fal-so, si o no. Ma in realtà il bit racchiude nel pro-prio dualismo una gran-

Canto di un pastoreerrante fra i bit

alla fonte della risorsa eternaa cura di Andrea TURCATO (ex studente)

Sarelliti in orbita intorno alla Terra

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FALCONEXPRESS66marzo 2011 FALCONEXPRESSdiosa possibilità. Non a caso “tradurre qualcosa in bit” si dice digitalizza-re, cioè trasformare quel qualcosa in numero. Un assist provvidenziale a chi, pensandola come Galileo, vede le condi-zioni perfette affinché intervenga la matema-tica, con un universo di formidabili strumenti.Digitalizzare ha signi-ficato dare ad alcune complesse realtà una struttura matematica appetibile, per cui altri-menti sarebbe stato ar-duo divenire abbordabili e risolvibili con poten-tissimi strumenti logici e statistici. Qui è inizia-ta la grande avventura dei ricercatori scientifi-ci (e non) dinanzi a cui si è dispiegato un mondo finalmente condivisibi-le, facilmente elaborabi-le, arricchibile a volontà. Si è così avverata la pro-fezia contenuta nella pa-rola in-formare: se prima c’erano fenomeni, tutt’al più osservabili… ora a questi viene data una forma tanto comoda da renderli misurabili ed ef-ficacemente descrivibili. Se voci conservatrici la-mentano che “il mondo è cambiato” rispondete: falso! È drasticamente cambiata la forma del-

la sua descrizione. Que-sto fatto ha reso alcune leggi Universali – cioè, già esistenti – fruibi-li, facilmente accessibi-li da tutti. Se vogliamo un’eresia… più univer-sali di prima. La risorsa in crescita esponenziale è quindi l’informazione: dati, rilevazioni, misure, fatti, fenomeni e relazio-ni ben codificati e rac-colti con tecniche certa-mente perfettibili, ma in modo rigoroso e in quel formato digitale che ne rende velocissima la dif-fusione ai quattro angoli del pianeta.Tre fenomeni testimo-niano il sorprendente

sviluppo di questa risor-sa, assieme alle possibi-lità d’indagine, di sfrut-tamento e di scoperta: penso al TomTom, al DNA e a Facebook. Che avranno in comune?Partiamo dai satelliti ar-tificiali, ovvero digitaliz-zare il visibile. Quattro orbitanti bastano per sa-pere dove sei sulla Ter-ra; se corredati di fotoca-mera trasformano ogni metro di Globo in un ro-mantico album fotogra-fico. Da cui navigato-ri per le auto, antifurto, Google maps & Earth, abusi edilizi svelati, pro-fili di deserti e ghiacciai monitorati, frane in av-vio e balene spiaggia-te segnalate. In secundis il DNA, ovvero “il finito grande”. La scoperta che il DNA fosse organizzato in lettere (ACGT=2 bit), parole, poemi, lanciò la corsa al suo sequenzia-mento. 10 anni e 1000 computer ci hanno resti-tuito “il testo completo” (725 Mbytes) in cui cer-chiamo variazioni, rime, ritornelli e il loro signi-ficato tra malattie rare e geni prodigiosi. Infine i social network, ovve-ro digitalizzare l’invisibi-le. Geniale l’idea di dare uno status informatico all’identità e all’amici-

DNA

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zia, formalizzando così il concetto di “Tizio è in re-lazione con Caio”. Ogni nostro click diventa un dato registrato e ali-menta una rete di asso-ciazioni che cresce a di-smisura. L’informazione è preziosa per chi vuo-le sapere gusti, amicizie, abitudini, luoghi e ten-denze dei principali “tipi” di utenti. Mostruoso è il numero di ricerche so-ciologiche e psicologi-che in atto, sommerse e segrete sono le mosse di

marketing. Ecco come questi co-lossi tecnologici river-sano sul Pianeta miliar-di di miliardi di Terabit di informazione: una ri-sorsa nuova e nemme-no troppo inquinante. C’è spazio e possibilità per chi, dall’informazio-ne, volesse estrarre co-noscenza. Innumerevoli sono gli strumenti in via di sviluppo, tutti appar-tenenti al grande conte-nitore dell’intelligenza artificiale. Chi sviluppa

tecnologie per estrar-re conoscenza dalle in-formazioni sa di portare avanti – seppure nel suo piccolo – la gigantesca impresa dell’Umanità di comprendere il mondo in cui vive.Cari benefattori che vi siete arricchiti con le ri-sorse del Vecchio Mon-do, prima della Fine vi andrebbe di finanzia-re i progetti degli operai dell’informazione? Che non sia per caso questa la risorsa più preziosa?

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FALCONEXPRESS68marzo 2011 FALCONEXPRESS

Il 61° festival della canzone italiana si è concluso da più o

meno un mese riservan-do delle belle sorprese. Seconda la critica, que-sta edizione è stata una delle più belle della sto-ria sanremese, forse gra-zie allo spirito di unità nazionale che per cin-que giorni ha unito gli italiani. E grazie ad un Gianni Morandi eccezio-nale, aiutato dalle due muse Elisabetta Cana-lis e Belen Rodriguez e dai simpaticoni Luca e Paolo. Berlusconiani, bersa-niani, finiani, vendolia-ni (e chi più ne ha più ne metta), insomma un’Ita-lia casini…sta, sono sta-ti unanimi a scegliere le canzoni da celebra-re, votando non la po-sizione politica dei can-tanti ma votando quelle canzoni con un conte-nuto poetico fantastico. Sul podio, infatti, oltre ai “Modà e Emma” gio-vani promesse del futu-ro, sono saliti sul primo e sul terzo gradino due quasi “sessantottini”:

Roberto Vecchioni con “Chiamami ancora amo-re” e il vecchio leone Al-bano Carrisi (si dice che si sia offeso quando Mo-randi lo ha definito così) con “Amanda è libera”.Nati entrambi nel 1943, sono stati protagonisti della musica italiana per decenni con brani indi-menticabili. Poi, però, sono stati un po’ in silen-zio. Ma quando il quasi coetaneo Morandi (nato nel ’44) li ha chiama-ti per partecipare a San-remo61 loro non hanno resistito e hanno accet-tato subito, proponen-do due pezzi degni di podio. Il Vecchio Leone si è pre-sentato con un brano che parlava di una storia molto delicata, vissuta da tante ragazze immi-grate che accettano tut-

to per di sopravvivere.Il Professore (Vecchio-ni è laureato in Lettere antiche alla Cattolica di Milano ed è stato inse-gnate universitario e in vari licei) si è presenta-to con una poesia vera e propria nella quale era espresso il vero amore, quell’amore che resiste a tutto e a tutti. Gli italiani non hanno re-sistito al fascino poetico di Vecchioni, scegliendo-lo così come il vincitore. Il risultato, comunque, è più che giusto: in que-sto modo il Prof. ha vin-to il suo primo festival, aggiudicandosi anche il premio della critica “Mia Martini” celebrando la sua infinita carriera ini-ziata nel 1966 e porta-ta all’apice del successo con la sigla dei “Barba-papà” (cartoni animati) e nel 1977 con il brano “Samarcanda”. Il festival ha visto anche altri grandi artisti.Primo tra tutti Davide Van De Sfroos che con il suo folk rock ha por-tato per la prima volta (ed era ora!) un dialet-

Sanremo 61: il Sanremo dei quasi “68”perché sanremo è sanremo!

a cura di Angelo BADINELLI (ex studente)

RobertoVecchioni

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to diverso dal parteno-peo e dal sardo (dialetti comunque molto belli): con il bellissimo dialetto laghèe ha cantato “Ya-nez”. Molti non capiva-no questo dialetto, però tantissime altre persone non capivano quello che veniva cantato da Anna Oxa e da Patty Pravo con “Il mio animo d’uomo” per la prima e “Il vento e le rose” per la seconda.Poi viene Tricarico che con “Tre colori” ha fat-to emozionare il pubbli-co del teatro Ariston. La canzone parlava del no-stro Tricolore, di come

è nato e di tutti i sacri-fici fatti per la libertà dell’Italia.Ci sono state, infine, canzoni molto apprez-zate dal pubblico e che tutt’ora sono proposte in tutte le radio nazio-nali: “Io confesso” dei La Crus; “Fino in fondo” di Luca Barbarossa e Ra-quel del Rosario; “Vivo sospesa” di Nathalie; “Il mio secondo di tempo” (nonostante l’eliminazio-ne) del “Peter Pan” Max Pezzali; “L’alieno” di Luca Madonia e Franco Bat-tiato. Tra i big vanno ricordate

anche le già citate Anna Oxa e Patty Pravo, Giusy Ferreri e Anna Tatangelo che purtroppo non han-no fatto delle apparizio-ni degne di memoria.Sanremo61 sarà ricor-dato per le canzoni che dopo qualche anno si sono veramente guada-gnate gli applausi, per i vecchi leoni che con il loro ruggito si sono sba-razzati degli altri concor-renti più giovani e per l’identità nazionale che è emersa e che per cin-que giorni ha fatto vive-re gli italiani da veri ita-liani.

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FALCONEXPRESS70marzo 2011 FALCONEXPRESSIntervista ai DOPS 23, promettente band del panorama locale

Il nostro genere?pop-punk e punk-rock.

Per prima cosa, ci spiegate il signi-ficato del vostro

nome? È per caso un acronimo?Sì. sono le iniziali dei no-stri nomi: Davide, Omar, Pietro, Paolo e Seba. Mentre il 23 si riferisce alle ultime cifre dei nostri anni di nascita: 1992 e 1993.Bene, proseguiamo. Che cosa vi ha spinto a formare una band,

quali sono le tappe fondamentali per la vostra formazione? Tutto è nato da una prova per caso, nel 2008, quan-do Bolo (Batterista) e Paolo(Chitarrista) hanno voluto provare una can-zone dei Blink182. Da lì è nata la voglia e la curio-sità di provare una nuova esperienza e pian piano si sono aggiunti gli altri componenti: Seba (Can-tante), Omar (Bassista) e

Pietro (Tastierista/Secon-da Chitarra). La prima esibizione è av-venuta nell’estate dello stesso anno a una mani-festazione nel nostro pae-se (Canneto sull’Oglio).Anima rock. Come ave-te capito che era il vo-stro genere?Il nostro genere è pop-punk, punk-rock. Artisti preferiti: Sum41, Blink182, Relient K, Sim-ple Plan, Good Charlot-te. E’ un genere che ab-biamo sempre ascoltato e volevamo approfondirlo da un punto di vista più coinvolgente!Componete musica vo-stra? Finora abbiamo compo-sto due canzoni, che sono state utilizzate come co-lonna sonora del film “Ti Mando Un Messaggio”, Addio e Cuore Nero. Per scrivere una canzo-ne, da dove incomin-ciate?Prima la musica poi un testo che si adatti.

a cura di Nicola RIZZIERI, Bruno TRATTA e Carlo NEVIANI (VAs e VBs)

Come annunciato nello scorso numero di FXP, iniziamo un viaggio tra le band emrgenti del nostro territorio, convinti che ce ne siano molte di promettenti, ma che stentino ad avere visibilità. FXP, nel suo piccolo, vuole contribuire alla crescita di questi giovani artisti. Seguiteci!

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Convivenza nella band, cos’è una Band? Fate delle prove? Dove? Come vi prepa-rate?Una band è un gruppo di amici che suonano musi-ca insieme per condivide-re il proprio talento, per divertirsi e migliorarsi.Proviamo nel garage del nostro chitarrista, e le prove sono indispensabi-li per la buona riuscita del concerto, e anche per le-gare di più. Dimmi cosa pensi del: Chitarrista...fa il pirla col volume, tie-ne la chitarra altezza ascelle… ma è un bravo ragazzo!Cantante... non supera il metro e 65, ma vabè dicono che nel-la botte piccola c’è il vino buono e a noi va bene così.Batterista... vive nel suo piccolo mon-do fatato, pieno di batte-rie immaginarie.Bassista... è ancora più pirla del chi-tarrista, in tutti i sensi!Tastierista... ha i capelli bianchi ma non lo vuole ammettere, dice che son biondi…po-verino è da compatire!Che emozione si pro-va a salire sul palco e a suonare davanti ad un pubblico indiavolato o zombie? Cosa fate in questi casi?

Salire su un palco è sem-pre una grande emozio-ne, tutti gli sguardi e le aspettative su di te, so-prattutto ad inizio con-certo… ma bisogna esse-re sicuri di se e far sentire la propria musica! In ogni caso comunque il pubbli-co deve essere incitato e reso partecipe, per farlo divertire ancora di più.Senza pubblico non ci sarebbe concerto live… serve coinvolge-re il pubblico?Dipende dalle situazio-ni: dai luoghi, dal pubbli-co. Suonare in un loca-le significa a volte “creare atmosfera”, senza che il pubblico sia direttamente coinvolto. In grandi even-ti invece devi rendere par-tecipe il pubblico, che è lì per divertirsi.Conoscete delle band come voi? C’è rivalità tra voi ed alcune band? Avete mai suonato in-sieme?Certo, e suonare con al-tre band è sempre un pia-cere perché ti permet-te anche di confrontarti con altri che hanno la tua stessa passione e voglio-no condividerla con altri. Siamo in ottimi rappor-ti con alcune band, come i Tram92, gli Strawdaze e i Kimera, un gruppo for-matosi recentemente. È vero che il nostro ter-ritorio offre le giuste possibilità per emerge-

re e farsi conoscere? Ci sono abbastanza loca-li e spazi dedicati alle band emergenti?Sì, un esempio è l’espe-rienza offertaci da “Ti Mando Un Messaggio”, un concorso per band emergenti i cui pezzi avrebbero poi formato la colonna sonora del film stesso, prodotto e lancia-to dall’ASL di Mantova. Per quanto riguarda i lo-cali, ce ne sono abbastan-za che cercano band per esibizioni, soprattutto del nostro genere. Però molte volte non fanno pubblici-tà ed è necessario cercarsi da sè le opportunità!C’è attenzione al mon-do della musica nel no-stro territorio?L’attenzione al mon-do della musica giovani-le è sempre costante ma non elevata, a bassi livel-li. Si dovrebbe investire di più in questo mondo per-ché i giovani devono ave-re l’opportunità di espri-mere le proprie abilità da non sottovalutare. Tutte le grandi band hanno co-minciato dal basso, in lo-cali dove hanno potuto “testare” la loro musica.Cosa dite ai nostri let-tori?Buttatevi senza paura nel mondo della musica, im-parate ad esprimere voi stessi senza timore di es-ser giudicati!Ciao ragazzi! STAY ROCK!

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FALCONEXPRESS72marzo 2011 FALCONEXPRESS

Il mito di Madmoisel-le Chanel iniziò nel 1912 quando nel-

la sua botique in Rue Cambon 21 passò dal-la creazione di cappel-li a capi d’abbigliamento che segnarono una vera e propria rivoluzione nel mondo della moda e non solo …Le prime creazioni furo-no abiti semplici ed es-senziali prevalentemen-te bianchi e neri, infatti la stilista sosteneva che nel nero e nel bianco ci fosse tutto; un accordo perfetto!La vera rivoluzione nello stile Chanel fu l’ispirazio-ne alla vita della gente comune, come quando al porto di Deuville, ve-dendo dei marinai, rein-terpretò la loro divisa realizzando dei maglio-ni col medesimo scollo. Coco, così, oltrepassò i tipici canoni della moda dell’epoca caratterizzata da corsetti, bustini e im-palcature per capelli che

“bloccava” la donna sia fisicamente che social-mente. Infatti questo sti-le, chiamato Belle Epo-que, era riservato alle classi sociali più abbienti ed elevate, le cui donne per infilarsi un “sempli-ce” abito avevano biso-gno dell’aiuto della go-vernante. Karen Karbo dichiarò che Chanel «non attin-se il suo stile dalle clas-si più povere, ma dal genere umano». Infat-ti seppe sfruttare le pro-blematiche sociali in-contrate con lo scoppio

della Grande Guerra, un periodo nel quale le donne furono costret-te a diventare indipen-denti poiché lasciate al loro destino dai mariti partiti per il fronte. Que-ste, dovendo lavorare per la loro sopravviven-za e quella dei loro figli, quindi avevano bisogno di abiti comodi e pra-tici da utilizzare quoti-dianamente, senza però dover mai rinunciare all’eleganza e alla raffi-natezza. Al termine della guerra nasce il prototipo della garçonne, ovvero di una donna che rive-ste ruoli anche maschi-li. E’ da questo momen-to che Chanel diventa un punto di riferimento per la nuova generazio-ne di donne che si stava pian piano affermando. Basti pensare che negli anni ’20 lanciò la moda del capello corto, frutto di una fatalità: essendo-si bruciata una ciocca di capelli su un fornello, ta-

coco chaneluna donna, tutte le donne

“Coco Chanel ha creato la nuova uniformedella donna moderna” (Vogue 1926)

a cura di Sara MORENI e Martina RAMPONI

tailleur injersey biancocon profili neri

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gliò anche il resto. Dopo poco tempo le giovani donne alla moda imita-rono il suo taglio. Anche il capello corto divenne simbolo della donna ri-voluzionaria, fino ad al-lora un taglio esclusiva-mente maschile. Il 1926 fu l’anno del de-butto del famoso abi-tino nero, le petite robe noir, che la rivista americana Vogue elo-giò paragonandolo ad un’automobile. Questo ricordava il tipico abito portato dalle commesse.Per l’utilizzo di mate-riali umili e per l’ispira-zione che traeva dal-le figure legate alla vita lavorativa, Chanel ven-ne rinominata la regina del genre pauvre, una “povertà di lusso” molto moderna e snob.Tra i materiali utilizza-ti dalla stilista vi sono il jersey, materiale che ve-niva solitamente usato per la biancheria intima, molto aderente e che esaltava la figura femmi-nile; inoltre vi è il tweed scozzese, che iniziò ad utilizzare dalla frequen-tazione con il duca di Westminister, Hugh Ri-chard Arthur Grosvenor, detto Bendor. Il tessuto venne addolcito da ma-xibottoni di perle e cate-

ne dorate che divennero segni distintivi dei suoi celebri tailleur. Il primo tailleur risale al 1885 realizzato dallo sti-lista John Redfern, ven-ne poi reinventato nel 1935 da Madmoisel-le Coco. Il primo tailleur Chanel era costituito da una giacca maschile e una gonna, il tutto ri-gorosamente in jersey. Successivamente nel 1954 sostituisce al jersey il tweed. Al posto della gonna Coco proponeva anche il pantalone da donna femminile, idea che le venne dopo aver prova-to a cavallo i calzoni del suo scudiero. Questa fu una delle tante inven-zioni ispirate al mondo maschile. Per esempio, anche per creare la sua famosa borsetta 2.55, si ispirò alle giacche de-gli stallieri che indossa-vano all’ippodromo. La borsetta, detta anche matelassè (ovvero tra-puntata), presentava l’aggiunta di una tracol-la, che consisteva in una catenella di metallo in-trecciata al cuoio.« Mi sono stancata di dover portare la mia borsa in mano[…] quin-di ho aggiunto sottili cinturini, cosicché possa

essere usata come una

borsa a tracolla. » (Coco Chanel)La sua ossessio-ne nel prendere spun-to dalla moda maschile vuol porre la donna sul-lo stesso piano dell’uo-mo rivendicandone di-ritti, ponendo fine allo stereotipo di donna ca-salinga, ed è per que-sto che le invenzioni di Coco sono considera-te “ uniforme della don-na moderna “Proprio per questo le sue creazioni, nate negli anni ’20 del ‘900, rimango un must anche per la donna del XX secolo, che pretende di essere alla moda, ma con comodità !

tailleurcollezione

2010-2011

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FALCONEXPRESS74marzo 2011 FALCONEXPRESSLA DEA DELL’ELEGANZA

Orgogliosa, talentuosa e come si definisce lei: diversa.Di Francesca Pasquali e Francesca Ghio (IV Bs)

Gabrielle Bonheur Chanel nasce a Saumur il 19 ago-

sto del 1883 da Henri-Albert Chanel e Jean-ne DeVolle, una famiglia di venditori ambulanti. A causa della perdita di entrambi i genitori pas-sa la sua infanzia in un orfanotrofio. Riesce a su-perare i segni di un pas-sato difficile grazie alle sue ambizioni e la sua creatività. Apprende le sue prime nozioni di cu-cito dalle suore di No-tre Dame e a 18 anni vie-ne assunta nel negozio di biancheria e maglie-ria Maison Grampayre. Contemporaneamente lavora come cantante e ballerina in un cafè-bar. È proprio qui che un gio-

vane soldato le diede il soprannome “Coco” sen-tendola cantare Qui qu’a vu Coco? Il nome le pia-ce talmente tanto che da quel giorno decide di accostarlo al cogno-me e inserirlo poi nel ce-lebre simbolo del suo marchio. Nonostante le difficoltà economiche e sociali all’età di 31 anni apre il suo primo nego-zio a Parigi. Qui inizia a creare i suoi celebri tail-leur in jersey, le gonne ampie e corte, le giac-che a cardigan e dritte, rigorosa-mente senza col-lo. Tutto questo impreziosito da gioielli Art Deco, che abbinati agli abiti innovati-vi riassumono lo stile Chanel.

Una delle sue più celebri e innovative creazioni è il profumo “Chanel N°5” realizzato con moleco-le sintetiche, che si di-scosta dalle tradiziona-li fragranze « perché una donna deve odorare di donna e non di rosa».Credeva di non essere bella, ma aveva il fasci-no della diversità, quel-la diversità che la portò all’apice del successo di-ventando così la stilista più apprezzata del se-colo.

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Molta sicurezza = Pochi cavalliQuesta, secondo il Ministero, l’equazione perfetta. Ma non è così

a cura di Enrico TONINELLI (IVAs)

I morti per inciden-ti stradali superano i 4000 l’anno. Un quar-

to delle vittime ha età inferiore ai 30 anni. Per questo motivo una nuova legge uscita il 9 febbra-io obbliga i neopatentati a condurre veicoli che ab-biano un rapporto tra po-

tenza (espressa in kw, che si ottiene moltiplicando il numero di cv per 0.735) e peso (si intende la tara, quindi il dato del libretto più 75kg) non superiore a 55 kilowatt per tonnel-lata, ma sempre con un limite massimo di 70kw (95cv). La legge, già in-trodotta nel 2007, venne successivamente modi-ficata numerose volte in quanto il testo originale, in pratica, lasciava ai ne-opatentati la possibilità di guidare grossi SUV, ma non piccole utilitarie. L’ul-

tima modifica del 13 ago-sto 2010 è quella defini-tiva entrata in vigore il 9 febbraio 2011.Secondo i nostri politici la causa principale degli in-cidenti stradali causati dai giovani è la “cavalleria” a disposizione del neopa-tentato. Nulla di più sba-gliato. La colpa di un in-cidente ad alta velocità

non è certo la macchina che, essendo troppo

potente, va troppo veloce. Il problema sta nel conducen-te. Le auto che ri-spettano questi rap-porti inoltre hanno una velocità mas-

sima che arriva tranquil-lamente oltre i 150km/h, quindi gli incidenti causa-ti dall’alta velocità non di-minuiranno affatto. Que-sto limite di potenza è valido solo per un anno, quindi dopo un anno di pratica il neopatentato può tranquillamente con-durre una qualsiasi vet-tura, ma non è affatto au-tomatico che un ragazzo dopo solo un anno non possa più commettere er-rori alla guida.Un altro problema non da poco è la difficoltà che

questa nuova legge im-pone a molte famiglie. Se per esempio una famiglia possiede un’autovettura familiare, il cui rapporto potenza peso sia superio-re a 55, il figlio che pren-de la patente, si ritrova a casa un’auto che non può guidare. A questo pun-to ha due possibilità: o ri-nuncia a guidare per un anno, perdendo così la possibilità di fare pratica fresco dalle varie lezioni di guida o compra un’au-to che soddisfi le norme di legge. In questo perio-do di crisi un’ auto nuova non è una spesa da poco, considerando anche bol-lo, assicurazione e altri costi extra, oppure per risparmiare si acquista un’auto usata, più vecchia e meno sicura.La gamma di auto nuove che un neopatentato può

Dacia Sandero 3 stelle euroncap (rispetta il rap-porto di 55kw/t)

Audi A1 5 stelleeuroncap(non rispetta il rapporto di

55kw/t)

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FALCONEXPRESS76marzo 2011 FALCONEXPRESSguidare è pari al 10% cir-ca delle vetture presen-ti sul mercato. Questa re-strizione colpisce anche alcune importanti mar-che che hanno un’impor-tante parte del loro mer-cato dedicato ai giovani automobilisti come Mini (che di modelli che rispet-tano i limiti imposti ne ha solo 3) Audi (che propone solo la A3, un solo motore e la scelta tra 3 o 5 porte) Lancia (che propone solo la Ypsilon con un motore diesel e uno benzina) Alfa Romeo (stessa situazione dell’Audi, ma solo in ver-sione 3 porte per la MiTo)

e molte altre. Fortuna-tamente alcune marche come Fiat o Renault pro-pongono diverse auto. Il paradosso è che molte vetture sicure sono esclu-se mentre le auto che nei crash test hanno ricevu-to una valutazione molto bassa (tra le quali molte auto cinesi, rumene o in-diane, non certo costruite secondo i severi standard europei) rispettano il fa-moso rapporto. Ma allora come fare? Come ridurre il numero di incidenti stradali?È molto semplice. Se il problema consta nel-

la velocità basta inseri-re nell’auto un limitato-re elettronico che viene tolto dal concessionario non dopo uno, ma dopo tre anni dall’acquisto del-la vettura. Un limitatore elettronico non danneg-gia le parti meccaniche dell’auto e non si tratte-rebbe di una modifica co-stosa. Se il problema in-vece riguarda la guida in stato di ebbrezza la so-luzione più semplice è l’installazione di un eti-lometro che consente l’accensione della mac-china solo se il risultato del test è negativo.

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Fu Bobby Charl-ton, stella del Man-chester United dal

1954 al 1963, ad attribu-ire a questo stadio il so-prannome di “Theatre of dreams”.Lo stadio venne iniziato nel 1909 ed inau-gurato l’anno dopo. Il co-sto totale fu di 60.000 sterline, immensa cifra che fece valere ai diavoli rossi l’appellativo di “Mo-ney bags united”. La par-tita inaugurale, del 19 Febbraio 1910, non fu fa-vorevole alla squadra di casa in quanto essa perse 4 a 3 contro il Liverpool. Esso è situato nel quartie-re di Trafford della Grea-ter Manchester, ad 800 m dall’Old Trafford Cricket Ground e dalla Metrolink di Manchester.Appena superato dal nuovo sta-dio di Wembley(trattato nello scorso articolo), è il secondo stadio in Inghil-terra per capienza con i suoi 76.216 posti a sede-re raggiunti dopo l’espan-sione dello stadio. Lo

stadio presenta una co-pertura di 58.5 m che è la più grande d’Europa e in seguito alle ristruttura-zioni degli anni novanta e degli anni duemila sono state aggiunte le gradi-nate della North, West e East Stands,che hanno contribuito ad incremen-tare la capacità dello sta-dio. La West Stand è co-nosciuta anche come la parte dello stadio in cui si concentra il tifo più caldo del Manchester United, famosa anche come Stra-tford End. Fu bombardato durante la seconda guer-ra mondiale e per que-sto motivo restò inagibile dal 1941 al 1949. Duran-te questo periodo i “Red Devil” furono costretti a condividere lo stadio con il Manchester City,altra squadra della città. Il “Te-atro dei Sogni”, mentre lo stadio di Wembley veni-va ristrutturato, ha ospi-tato numerose partite di FA cup, e anche della na-zionale inglese, compre-se quelle del campionato del mondo del 1966 vin-to dall’ Inghilterra stessa e l’europeo del 1996. Ospi-terà inoltre alcune parti-te dell’Olimpiade di Lon-dra 2012. E’ inutile parlare dell’ importanza di que-

sto stadio e dei grandi giocatori che lo hanno calcato. Si va da campio-ni del calibro di Bobby Charlton a George Best, da Ryan Giggs a Cristia-no Ronaldo, scusando-ci con le numerose altre leggende che non abbia-mo menzionato. E ora let-tori, lasciateci ricordare una grande notte per il calcio italiano( e mostra-re pure la nostra fede mi-lanista…anche se uno scrittore dovrebbe esse-re imparziale!!!!). All’Old Trafford infatti si dispu-tò la finale di Champions League del 2003 che vide affrontarsi le squadre ita-liane del Milan e della Ju-ventus decisa ai calci di rigore. In quella fantasti-ca notte infatti proprio lì, al “Teatro dei sogni”, Shevchenko con quell’ul-timo rigore permise a tut-ti i milanisti del mondo di realizzare il proprio so-gno, diventare campioni d’Europa e a Paolo Mal-dini di alzare per il Mi-lan la sesta coppa “dalle grandi orecchie” che di lì a pochi anni avrebbe al-zato nuovamente. Ecco ora abbiamo veramente terminato,a presto e mi raccomando… continua-te a seguirci!

old traffordContinua il nostro viaggio nelle Cattedrali del calcio internazionale

a cura di Giovanni GERVASIO e Michele CHIARI (IVBs)

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FALCONEXPRESS78marzo 2011 FALCONEXPRESSEarvin Jo-

hnson jr., noto

come Ma-gic John-son, sta-tunitense, considerato uno dei più grandi gio-catori della storia di questo sport. Il sopran-nome Ma-gic deriva dalla sua bravura sul campo di gioco: lo conquistò ai tempi del liceo, dove cominciò ad affermare il suo stile di gioco spettacolare.Come gran parte dei giocatori dell’Nba, Ma-gic prima di approdare fra i professionisti giocò nell’NCAA, la lega statu-nitense del basket uni-versitario. Qua cominciò a conquistarsi la fama di campione, e divenne in breve tempo il leader in-discusso della squadra degli Spartans, cioè Mi-chigan State, portandola nel 1979 alla vittoria nella finale del campionato Na-tional Collegiate Athletic Association (NCAA) con-tro i Sycamores della In-diana State University,

guidati da un’altra futura stella, Larry Bird. Ancora oggi la finale del 1979 tra Mi- chigan e

Indiana rima-ne la parti-ta di colle-ge più vista

della storia del campionato. L’anno seguente

passò alla Na-tional Ba-sketball As-sociation (NBA) come prima scel-

ta assolu-ta del  Draft

NBA, atteso come pochi giocatori universitari pri-ma e dopo di lui.Molti temevano che Ma-gic potesse in un certo senso “sgonfiarsi” all’im-patto con la lega profes-sionistica (che avvene nel 1980), fatto che accadeva (e accade tuttora) a mol-ti promettenti giocato-ri universitari. Al contra-rio, però, Johnson sfruttò

l’occasione per fare il de-finitivo salto di qualità, affermandosi già al suo primo anno come un ele-mento di grande spicco, riuscendo ad inserirsi in un team ricco di storia e stelle e molto competi-tivo. Riuscì al suo primo anno tra i professioni-sti a guadagnarsi un po-sto da titolare nella squa-dra dell’Ovest dell’Nba All Star Game dove, giocan-do con i migliori giocatori dell’epoca, riuscì a vince-re anche il premio di MVP (Most Valuable Player) della partita. Vinse inoltre il campionato di quell’an-no e il premio MVP delle finali, il premio per il mi-glior giocatore delle fi-nali, quando addirittura giocò la sesta gara di fi-nale contro i Philadelphia 76ers ricoprendo il ruolo di centro al posto dell’in-fortunato capitano Kare-em Abdul-Jabbar. La sua prestazione fu memora-bile, specie considerando che si trattava del suo pri-mo anno in NBA: totaliz-zò 42 punti, 15 rimbalzi, 7 assist e 3 palle rubate. Nessun altro giocatore è mai stato MVP delle finali nell’anno di debutto. Con Magic, i Lakers vinco-no in totale cinque cam-pionati 1980, 1982, 1985,

magic johnson:un campione senza tempoStoria di uno dei più grandi campioni della pallacanestro mondiale

a cura di Sebastiano CORRADINI e Matteo FERRO

I Red Hot Chili Peppers, rock band losangelina,

gli dedicano una canzone dell’album Mother’s Milk

(1989) intitolandolaproprio Magic Johnson.

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1987 e 1988. Per tre anni, Magic vince l’NBA MVP Award (il premio per il giocatore dell’an-no della National Ba-sketball Association), nel 1989 e 1990. Sono gli anni d’oro del cosiddetto “Show Time”: ogni parti-ta a Los Angeles registra-va il tutto esaurito, con la folla che si combatteva la possibilità di veder Magic giocare. Si confermò in questi anni un giocatore rivoluzionario e comple-to, pronto per essere uti-lizzato in ogni ruolo, an-che se è come playmaker che ha lasciato un segno indelebile nella storia del-la NBA e della pallacane-stro mondiale.Il 7 novembre 1991 il mondo del basket e del-lo sport mondiale è scos-so da una notizia tre-menda: Magic Johnson annuncia inaspettata-mente il suo ritiro, dopo essere risultato positi-vo al test HIV.Dopo le sue battaglie sul campo da gioco, Magic continua a lottare anche fuori, parte-cipando attivamente alla lotta contro il virus che aveva prematuramente messo fine alla sua carrie-ra, impegnandosi in rac-colte di fondi con la “Ma-gic Johnson Foundation”, per la ricerca scientifica, e conducendo campa-gne di sensibilizzazione, che ebbero un forte effet-to grazie alla notorietà ed alla stima di cui godeva l’ex-campione NBA.

La carriera di Magic, però, non termina così. Qual-che mese dopo il suo an-nuncio, torna in cam-po a grande richiesta per l’All Star Game dove vie-ne eletto MVP dopo una grande partita condita da 25 punti e il solito gioco spettacolare. Viene inol-tre selezionato per pren-der parte a quello che di-venterà famoso come il leggendario Dream Team originale, vincendo l’oro olimpico ai Giochi della XXIII Olimpiade, Barcel-lona 1992, insieme a due altre leggende della pal-lacanestro, gli amici Mi-chael Jordan e Larry Bird. Dopo le Olimpiadi, Magic scatenò la gioia dei suoi ammiratori annunciando la sua intenzione di tor-nare a giocare, firman-do un nuovo contratto nel settembre del 1992, sempre con i Los Ange-les Lakers: non giocò però mai, anche perché alcuni giocatori, spaventati dalla possibilità di ferite e infe-zioni, manifestarono pre-occupazione nel dover giocare con un giocatore sieropositivo.Nel 1994 allenò per un breve periodo i “suoi” Los Angeles Lakers, non riu-scendo però a evitare l’eli-minazione dai playoffs. Il bilancio complessivo fu di solo 5 vittorie contro 16 sconfitte.Nel Gennaio del 1996 tor-nò davvero in campo, ov-viamente sempre con i Lakers, giocando tut-

to il finale di stagione e i playoffs nel ruolo di  ala grande, dimostrando di esser capace, come un tempo, di ricoprire anco-ra tutti i ruoli nonostante i quasi 37 anni. Il definiti-vo ritiro arrivò dopo l’eli-minazione al primo turno dei Playoffs 1996, alimen-tato anche da dissidi in-terni con alcuni giocato-ri (tra cui Nick Van Exel, su cui la società aveva deci-so di investire come play-maker).Le sue statistiche parla-no da sole: 6559 rimbalzi, 10141 assist, 17707 pun-ti (media di 19.5 punti per partita). Per tre volte fu il miglior marcatore dei La-kers, 1987, 1989, 1990, e due volte il miglior rim-balzista, nel 1982 e 1983. Il suo stile rispecchia-va la sua personalità al-truista, creando un gio-co spettacolare e ricco di passaggi “no-look” (sen-za guardare il giocatore cui si passa la palla) e fan-tasiosi.Nel corso della stagione 1995-96 i Lakers hanno ri-tirato, in segno di ricono-scenza e di gratitudine, il suo numero di maglia, il 32, che non indosserà più nessuno. Dopo il suo riti-ro, Johnson è stato inse-rito nella prestigiosa Ba-sketball Hall of Fame, il “tempio” del basket, a memoria di questo cam-pione senza tempo, che tanto aveva fatto sognare la gente di Los Angeles e di tutto il mondo.

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FALCONEXPRESS80marzo 2011 FALCONEXPRESSprevisioni per i mesi di marzo ed aprile

a cura di Rachele VILLANI (VBs)

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FALCONEXPRESSFALCONEXPRESS81

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Direttore responsabileAntonio CIRIGLIANO

VicedirettoreFabrizio COPERTINO

Direttore editorialeJoned SARWAR

Direttore marketingFrancesco PASINI

CaporedattoreMichele ROMANI

RedazioneAntonio CIRIGLIANOFabrizio COPERTINOJoned SARWARFrancesco PASINIMichele ROMANIEnrico TONINELLIAlessandro SPANO

Rapportocon il territorioe con le IstituzioniFrancesca ZALTIERI

GraficaLetizia DOSSENAPaolo MONEGATTIDavide SORESINA

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Correzione bozzeDipartimento di Lettere

FirmeCristina AGAZZIGiulia ANELLIPaola ANTICOVeronica ARBOSCELLIAngelo BADINELLILaura BAROZZICinzia BERTOLETTIMichele BERTOLETTIDavide CAGNATABianca CAZAMIRBlerta CELISLAMIMichele CHIARIAntonio CIRIGLIANOFabrizio COPERTINOSebastiano CORRADINIRuth DECARLIEliana FASANISimona FEDERZONIMatteo FERROMichelle GALLIElisa GERMINIASIGiovanni GERVASIOJacopo GHIDINIFrancesca GHIOFrancesca GROSSIAzra HASANICorinne INGLESERosalba LE FAVIAlessandro MAGNANIDavide MICHELONIAlessio MONTEVERDISara MORBINISara MORENICarlo NEVIANIManisha PARMARFrancesca PASQUALIFrancesco PASINIFrancesca PASQUALI

Martina RAMPONIBenedetta RAVAGNANicola RIZZIERIMichele ROMANIErmanno Andrea ROSAMicol ROSAJoned SARWARFrancesca SAVIOLAFederica SODASara TEBALDINIEnrico TONINELLISilvia TONINIGiulia TOZZOMassimo TOZZOBruno TRATTABenedetta TURCATOAlessandra VARONERachele VILLANI

Hanno contribuito alla realizzazione e alla pro-mozione di FXPDirigenzaSegreteriaPersonale ATA

Responsabile delladistribuzioneMarco HAJDARI

StampeArti Grafiche Chiribella SASBozzolo (Mn)

FXP - Falcone expressanno IV - numero 1 - marzo 2011Organo di stampa ufficialedell’Istituto “Giovanni FALCONE”via Saccole Pignole, 346041 Asola (Mn)tel. 0376.710423 - 710318fax 0376.710425e-mail [email protected]. Trib: di Mantova n. 2292/07 del 17/05/2007Dirigente scolastico: Gianna DI RE

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