freak out magazine #46

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freakout independentmusicmagazine www.freakout-online.com n.47 gratis Interviste Co’Sang Edda Cluster Special Les Claypool (ex Primus) Flaming Lips News, Recensioni Album Live Report Cinema. L’irriverente rubrica Cloachetta

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interviews: Co’Sang, Edda, Cluster Special: Les Claypool (ex Primus), Flaming Lips - News - Top3 Album: Tom Waits, Fionn Regan, Blur. - Live Report: 24 Grana, Depeche Mode, Two Door Cinema Club. - Cinema: Carlo Verdone. - Cloachetta. - Reviews: Richard Hawley, Ret ribution Gospel Choir, Julian Plenti, Jimi Tenor & Tony Allen, Yeasayer, Daniel Johnston, Bloody Betroots, Kings of Convenience, MSTRKRFT, Riceboy Sleeps, Mumford & Sons, Hot Chip, The Knife.

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n.47 gratis

Interv isteCo’Sang EddaCluster

SpecialLes Claypool (ex Primus)Flaming Lips

News, Recensioni Album

Live Report

Cinema. L’ir riverente rubr ica Cloachetta

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g e n n a i o f e b b r a i o m a r z o 2 0 1 0freakout

Cade MarrazzoAvete saputo dello scandaloMarrazzo dalle sue stesse parole,verso mezzogiorno. Quando condue occhiaie pari minimo ad altridue occhi, il governatore si buttanella selva di microfoni e biascica:“è tutto falso”, ma il viso è un puzzle senza metà dei pezzi. Una smorfia inesorabiletipica di chi ha appena pestato una merda e, ignaro, si ritrova in ascensore con la piùbella del palazzo. “Tutto falso” giura, ma sorgono dubbi. Ore 17: un’agenzia ufficia-lizza l’esistenza di ricatti e video con i trans a via Gradoli, quella famosa, del seque-

stro Moro. Siamo confusi: immaginiamo ilPresidente, ex paladino tv, che fa il caschè conuna mutanda rossa in testa griffata da una stel-la a cinque punte. E scandisce il comunicaton°4: “Un gocktail d’amore gon te…” in ciocia-ro. A mezzanotte, la tremenda verità. Marrazzoguarda i trans e i trans guardano nel sole men-tre la Cristoforo Colombo sprofonda senza fret-ta.

Cadde l’onorevole MeleIn origine fu l’onorevole Mele. Remember?Cattolico dell’Udc, venne pizzicato nel luglio2007 con una squillo in un hotel di via Veneto.

Per discolparsi balbettò: “Non sapevo fosse una prostituta. Se ha preso cocaina epasticche non lo so, io dormivo!”. Un principiante. I tempi ora sono maturi perdichiarare a reti unificate: “…Era una ESCORT (che il 70% degli italiani crede sia unaFord fuori moda), l’ho invitata a casa per leggere i tarocchi a un amico in rotta conla calvizie e il commercialista. Le sconsigliai la cocaina, ché fa male, preparandole uninfuso di passiflora e fiori di zucca. Alle 10 siamo andati a dormire nel lettone, cisiamo infilati il pigiama e abbiamo fatto la guerra dei cuscini. In mattinata lei è anda-ta via lasciando un post-it sul frigo: “hai un gradevole aftershave, ci ho pisciato den-tro tutta la passiflora”. Però quest’ultima parte gioca-tevela solo se vi intervista Minoli.

Inciampa Ber tolasoC’è una foto di Bertolasoall’uscita del Salaria Village,quello dei massaggi. Guidosorride inebetito. Perché? Piùche da un’intensa prestazio-ne sessuale, come dicono i giu-dici, sembra reduce da una partita di calcetto con Denis,finita 0-0. Lui, capo della protezione civile, sempre al cellu-lare a farsi intercettare dai Ros e il Tanque argentino chesbaglia a ripetizione gol a porta vuota.

BerlusconiSignori, che altro dire?

c l o a c h e t t acloachetta

Freak Out magazine # 47

N°13 della testata giornalistica registrata al tribunale di TorreAnnunziata il 17/07/2003 n° 9

Freak Out MagazineC.P. 166, 80059 Torre del Greco (Na) ItaliaVia Giuseppe Verdi 18 - 80133, Napoli Italiawww.freakout-online.comwww.freakoutmagazine.itinfo@freakout-online.comwww.myspace.com/freakoutmagazinesu facebook.com cerca Freakout Magazine

Direttore editoriale e di redazione: Giulio Di DonnaCapo redattore: Daniele LamaSegreteria: Antonio CianoRedattore Cinema: Sandro Chettahanno collaborato: Roberto Calabrò, Fausto Turi, Francesco Raiola,Guido Gambacorta, Vittorio Lannutti, Francesco Postiglione, LuigiFerrara, Olga Campofreda, Micaela De Bernardo, Melissa Velotti,Ilaria Rebecchi, Luca Carusone.

direttore responsabile: Roberto Calabrò

Distr ibuzione Nazionale garantita da : Audioglobe, FamilyAffair, Self, Venus, Eaten by Squirrels, Goodfellas, Abraxsas, Giucar,Helidon, Edel.Roma: Brancaleone, Init, Circolo degli Artisti Milano: SupportiFonografici, Circolo Magnolia, La Casa 139, Bologna: Il Covo, DiscoD’oro, Undeground, EstragonReggio Emilia: Maffia Firenze: Tenax, Auditorium Flog, Viper,

Torino: Spazio 211, Catania: Zo, Indigena, Mercati GeneraliRimini: Velvet Faenza: Mei, Clandestino Osimo: Loop Roncade(Tv ): New Age Siena: Sonar Senigallia (AN): Keo Records BariUnderground, New record Villadose (Ro): Ass. Cult. Voci per lalibertà.Freak Out lo trovate anche a : Verona, Reggio Calabria, Mestre,Potenza, Palermo, Venezia, Perugia, Pisa, Bolzano, Modena, Genova,Bergamo, Piacenza, Massa Carrara, Prato, Latina, Trani, Lecce,Cosenza, Cagliari, Sassari.In Campania: Napol i – Doria83, Centro S. Sofia, Perditempo,Oblomova, Tattoo, Velvet, Mamamù, Fonoteca, MMB, Fnac,Concerteria, Loveri, Duelbeat, Galleria Toledo, Trip, Lanificio25,Arenile Reload, Neapolis festival, La Controra, Cellar Theory, VolverErcolano – Il Cratere - Torre del Greco – Ethnos, Jah Bless,Suonivisioni Pomigliano D’Arco – Spazio Musica Port ici – Fabric,Pompei – Pompeilab Salerno – Disclan, Mumble Rumble, IrokoAvel lino – Ananas&Bananas. Caserta – Jarmush, KingstoneAversa – Zoo Benevento – Morgana Frattamaggiore –Audiozone.

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Chiuso in redazione il 30 Gennaio 2010Tiratura 10.00 copieImpaginazione e Layout: Mario MarateaStampa: SBR Port ici

In copertina: Les Claypool, nella foto piccola Wayne Coyne deiFlaming Lips

Distribuzione gratuitaCopyleft

La piazza lo vuole. Perciò coram populoparliamo di sexygate

di Sandro Chetta

Dove c’eravamo lasciati?

Ah! Si! Al ventesimo anniversario di FreakOut Magazine. Grande serata quella di luglio2009 con i Buzzcocks, eh? Per di più adingresso gratuito… alla faccia di tutti quelliche hanno puntato il dito contro il nostroevento riproponendo, dopo oltre 30 anni,ancora la “caccia alle streghe” alla culturapunk e d.i.y.Eravamo duemila! Una grande festa per cele-brare la Cultura, quella che muoviamo dalbasso. Grazie a tutti!Oggi invece avete tra le mani il nuovo nume-ro, il #47. Leggetelo e conservatelo per bene,con ogni probabilità il prossimo avrà ancorauna volta una piccola-grande rivoluzione.Stay Tuned!Io intanto sento il bisogno di ringraziare tuttii collaboratori di redazione, su tutti quellidella versione on-line, il duel:beat, tutti idistributori del magazine e il Neapolis eKaleidoscope che resistono.Infine, ma non per ultimo, do il benvenuto aDaniel. La cosa più importante che abbia maifatto.

Giulio Di Donna

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Finalmente il nuovo album dei canadesi BrokenSocial SceneIl collettivo canadese Broken Social Scene haannunciato i dettagli del nuovo album e confer-mato che torneranno anche in tournée negliStates.Il quattro maggio la band di Toronto pubbliche-rà il suo quinto full-lenght - che non ha ancoraun titolo - presumibilmente sempre su Arts &Crafts Records, la label degli stessi leader.In effetti il collettivo, che è arrivato anche adiciannove musicisti, vive con i principali mem-bri: Brendan Canning, Kevin Drew e JustinPeroff. Ma in questo nuovo lavoro prendonoparte altri nomi illustri del panorama indie inter-nazionale: Feist, Amy Millan e Evan Cranleydegli Stars, Emily Haines e Jimmy Shaw deiMetric, Sam Prekop dei The Sea And TheCake, Spiral Stairs dei Pavement, l’ex dei DeathFrom Above 1979 Sebastien Grainger emembri dei Tortoise tra cui John McEntire, chene sarà anche il produttore.I Broken Social Scene arriveranno in Europa peruna serie di show tra i quali l’imperdibile Al lTomorrow’s Part ies fest ival del 14 Maggio.www.arts-crafts.ca/bss

Eighties Colours, Garage, beat e psichedelianell’Italia degli anni 80Siamo orgogliosi di annunicare il lavoro svoltodal nostro direttore responsabile Rober toCalabrò. Dopo un lungo lavoro verrà pubblica-to in aprile, dalla prestigiosa Coniglio Editore,“Eighties Colours - Garage, beat e psiche-de lia ne ll ’It a lia deg li anni Ott anta“.Un libro scritto da Roberto con passione e meti-colosità, profondo nell’analizzare gli aspettimeno commerciali di un periodo italiano cheartisticamente viveva una fase molto più inten-sa, aperta e profonda e non ultima attenta alpassato senza rinnegarlo.Gli anni Ottanta non sono stati solo quelli degliyuppies e della Milano da bere, di DJ Televisione del pentapartito al potere, ma hanno rappre-sentato anche un periodo di straordinaria crea-tività sotterranea. Eighties Colours raccontal’effervescente scena neo-Sixties italiana di queldecennio.Di centinaia di giovani che, stanchi dei dogmidella politica come delle atmosfere oscure deldark e della new wave, decisero di guardare aglianni Sessanta come inesauribile fonte di ispira-zione. Il libro ripercorre tutte le tappe di un movimen-to che per alcuni anni – dal 1985 al 1990 – rivi-talizzò la scena musicale alternativa in Italia eall’estero attraverso un circuito in cui si pubbli-carono decine di dischi, si pubblicarono fanzinee fogli di controinformazione, si organizzaronoconcerti e tour. Le testimonianze dirette dei pro-tagonisti di quella scena (musicisti, giornalisti,discografici, promoter e organizzatori), la descri-zione di tutti i dischi usciti in quel periodo e unimpres sionante ap pa rato fotografico rendonol’atmosfera di febbrile eccitazione, di entusia-smo, di spontaneità – anche un po’ naif – diquegli anni irripetibili.note biografiche: Roberto Calabrò (ReggioCalabria, 1971), giornalista, scrive per

«L’Espresso», «la Repubblica» e «il Venerdì».

Da oltre venti anni si occupa di tutto ciò ha ache fare con la cultura underground e il rock’n’-roll: è stato a lungo una firma del mensile«Rockerilla» e ha collaborato con molte altretestate specializzate – tra cui «Rumore», «BassaFedeltà», «Urlo», «Ruta 66», «I-94 Bar» – inItalia e all’estero. Direttore responsabile dellarivista «Freak Out», blogger e appassionato di“citizen journalism”, ha pubblicato Queens OfThe Stone Age: il suono del deserto (Arcana,2004). Per la stessa casa editrice ha curato larevisione editoriale dell’Enciclopedia Rock1954-2004.www.coniglioeditore.it/

Finalmente in tour Alan Wilder e i suoi Recoil:atteso e richiesto on stage da oltre 25 annifinalmente porterà in giro per il mondo (e perben due date in italia) la scienza elettronica deiRecoil. Coadiuvato sul palco dal suo amico ecollaboratore Paul Kendall (fonico e produtto-re della Mute records e al lavoro con band dellivello di Renegade Soundwave, Fad Gadget,Barry Adamson, Nitzer Ebb, Wire, DepecheMode, Recoil, Sonic Youth, Big Black, ButtholeSurfers, e molti altri).Alan Wilder, anima elettronica dei DepecheMode fino al 1995, è uno dei progetti elettro-nici più inovativi degli ultimi 30 anni.Il progetto Recoil nasce nel 1986 quando AlanWilder era ancora parte integrante dei DepecheMode, anzi nel periodo di maggior produttività ecreatività della celebre band composta daMartin Gore e Dave Gahan.Dopo tanti anni passati in studio a registrare eprogrammare nuovi suoni, Alan decise di rende-re “reali” tante sue idee innovative non realizza-bili con i Depeche Mode, idee fatte dell’elettro-nica più sperimentale possibile al tempo. Ilprimo lavoro, dal nome ‘1+2’, vide la luce nel1986 e presentava i primi accenni di MusicaAmbient che la scena elettronica ricordi. Alan,amante dell’elettronica minimale, con il suoesordio a nome Recoil fu visto e accolto comeun nuovo guru dei synth.In primavera Recoil pubblicherà ‘Selected’,greatest hits in uscita per Mute records.ecco i dettagli del tour: Venerdì 9 Aprile 2010Milano, Magazzini Generali, Sabato 10Apri le 2010 Roma, Circolo degli Artisti.

Gogol Bordello: nuovo album, due tappe ita-liane in attesa dei festivalI Gogol Bordello, la gipsy punk band america-na, sarà di nuovo in italia per un paio di dateprima di ritornare a luglio per festival e presen-tare il nuovo album che uscirà su major. Intantoil 24 maggio suoneranno all’Estragon diBologna e il 25 maggio all’Alcatraz di Milano.Reduci da una tournèe in Russia e Sud America,gli infaticabili Gogol hanno già in calendariouna serie di date tra Australia e Germania (tracui la partecipazione all’importante ‘Rock amRing Festival’ tedesco a giugno), anticipate daconcerti benefici in favore del popolo di Haiti edella Ong ‘Tibet House’ di New York, a cui pren-deranno parte, tra i tanti, anche Patti Smith e

Iggy Pop. Per marzo 2010 è poi atteso un nuovodisco da studio della band, prodotto dal ReMida del rock Rick Rubin, già al lavoro con RedHot Chili Peppers, System of a Down, Slayer.Fedeli alla loro tradizione, che valica ogni fron-tiera, e allo spirito gitano, divisi tra concerti ingiro per il mondo, collaborazioni e solidarietà, iGogol Bordello annunciano che nelle due dateitaliane di maggio ad aprire i concerti ci sarannoanche due nuove band newyorkesi, i Matt &Kim, ovvero la nuova sensazione del “discopunk” americano: il duo risiede a Brooklyn, inpochissimo tempo si è affermata come una dellepiù interessanti band della scena indipendentenewyorkese; e gli El Mariachi Bronx, nuovaband nata dalle ceneri del gruppo hardcorepunk di LA The Bronx. Il loro suono è una pat-chanka di melodie tra punk, armonie caraibichee “tex mex”. Questi gli appuntamenti: GOGOL BORDELLO+ Matt & K im + E l Mar iach i Bronx24-05-10 | Estragon – Bologna; 25-05-10 |Alcatraz – Milanowww.gogolbordello.com

Fun Lov in’ Criminals, dopo cinque anni unnuovo disco con ...È solo al momento che si ha la fortuna di ascol-tarli nuovamente che ci rendiamo conto diquanto siano mancati. I pluripremiati eroifunk/soul Fun Lov in’ Criminals, ritornano sul

luogo del delitto a cinque anni di distanza dallaloro ultima fatica. Classic Fantastic, questo iltitolo dell’album, si avvale delle prestigiose col-laborazioni di Roots Manuva e Paul Kaye.Huey, Fast e Frank sono stati fuori dalla scenamusicale per ben cinque anni a causa dellalunga battaglia con il loro ex manager con ilquale si sono lasciati, evidentemente male, nel2003. Il nuovo “Classic Fantastic” esce da quelperiodo buio e difficile come solo un’alba radio-sa può fare.Formatisi nel 1993, i FLC hanno rovinato la festadi un euforico Britpop con il clamoroso disco,poi diventato un classico, “Come F indYourself”. Quell’album conteneva i singoli‘Stick ‘em up punk, it’s the Fun Lovin Criminal’ esoprattutto ‘Scooby Snacks’.Così come oggi lo sono The Killers e Kings OfLeon, ai tempi del loro esordio gli stessi FunLovin’ Criminals sono stati amati sin dai primisingoli anche in Inghilterra. Durante questi cin-que anni di silenzio i tre fratelli del crimine sisono comunque dati da fare in ambito musicale,su tutti Huey che è diventato un carismaticopersonaggio televisivo e radiofonico inInghilterra. È infatti conduttore del programmaThe Huey Show sulla londinese BBC6 e dellaseria Slips su MTV.funlovincriminals.tv

Dopo i sold out di novembre i Wilco tornano inItalia a maggioDopo i clamorosi due sold out di novembre aMilano e Firenze tornano in Italia per due date iWilco, uno tra i gruppi più amati e influentidegli ultimi 15 anni, autori di album fondamen-

tali nella storia del rock come Yankee HotelFoxtrot, A Ghost Is Born e Sky Blue Sky, per pre-sentare il bellissimo e acclamato ultimo albumWilco (the album), uscito in Italia su WarnerMusic, oltre ai capolavori estratti dai numerosialbum precedenti.Il settimo album in studio di Jeff Tweedy e socinasce nel gennaio del 2009 praticamente intour, e viene completato nello studio della banda Chicago con l’aiuto di Jim Scott alla produ-zione.Wilco (the album) già incluso nelle liste dei

migliori album del 2009 da moltissime rivistespecializzate, riesce a combinare perfettamentel’intimità del precedente lavoro Sky Blue Sky(2007) con la sperimentazione di A Ghost IsBorn (2004) in un set che vanta solide melodiee strabilianti e spudorati arrangiamenti pop. Questi gli appuntamenti: domenica 30 maggio2010 – Roma - Auditorium Parco Della Musica(Sala Santa Cecilia) lunedì 31 maggio 2010 –Ferrara – Teatro Comunalewww.wilcoworld.net

i Bad Brains sono tornati! C’è una tappa italia-na per il reunion-tourI Bad Brains sono una seminale band del punkhardcore mondiale. Nativi di Whashigton DC sono una rartità in unmondo - quello punk e h.c - ad uso (quasi)

esclusivo di teenager e giovani/adulti bianchi: iBad Brains infatti sono tutti afroamericani.Il loro suono nasce nel contesto del più caldofunk e dell’improvvisazione jazz fusion sul finiredei ‘70s per poi virare su territori estremi, tro-vando una formula unica di hardcore visceraleultra-veloce e “black”. Allontanati da tutti i club di Washington trovanorifugio a New York dove sposano la religionerastafari e virano sonoricamente verso il reggae.Due loro dischi - quantomeno unici nel lorosound - “Rock The Light“ e “Bad Brains“sono due album dove l’hc viene esaltato dallaimmensa tecnica strumentistica della band, duedischi che sono pietre miliari del rock modernoe che hanno influenzato pesantemente musicisticome Beastie Boys, Red Hot Chili Peppers, Tool,No Doubt e Living Colour. Oggi i Bad Brains tornano per una reunionche avrà dell’indimenticabile, ecco la formazionecon cui saliranno sul palco: H.R. - voce; Dr.Know - chitarra; Darryl Jenifer - basso;

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sEar l Hudson - batteria.Unica tappa italiana per questa storica rimpa-triata è quella di venerdì 9 Luglio 2010.A breve avremo tutte le informazioni sullavenue, sul costo dei biglietti e sullo spettacolo.

The Residents a maggio in Italia con unnuovo showA maggio i The Residents saranno in Italia perben tre date per presentare il nuovo spettacolo‘The Residents’ Talking Light’.

La band degli occhi sarà a Roma il 13 Maggio2010, all’Estragon di Bologna il 14 Maggio eal Teatro Leonardo da Vinci di Milano il 15Maggio.Il nuovo show dei Residents parla di chi noncammina più tra noi, chi ha lasciato la vita comela intendiamo noi, ovvero i fantasmi. Uno spet-tacolo nuovo che segue di due anni il disco erelativo tour di ‘The Bunny Boy’. Anche stavolta ci troveremo dinanzi ad unanuova disturbante esibizione della band califor-niana, e alla messa in scena del loro follemondo in cui nulla è reale, in cui nulla è terre-stre.Questi i dettagli per assistere agli show:Giovedì 13 Maggio 2010 - RomaVenerdì 14 Maggio 2010 - Bologna,EstragonSabato 15 Magg io 2010 - Milano, TeatroLeonardo da Vinciwww.residents.com

Annunciato lo stratosferico cast del CoachellaFestival in CaliforniaIl Coachella Festival di Indio in California èuno dei maggiori appuntamenti all’aperto degli

Stati Uniti. Si svolgerà dal 16 al 18 aprile2010 ed avrà un cast eccezionale. Grandi bandrecentemente tornate in attività comePavement, Specia ls, Sly & The FamilyStone e Faith No More saranno solo unacostola dello spettacolare cast che alimenterà ilfestival. Tra questi anche side project di rockstarinternazionali come Them Crooked Vultures(di David Grohl e Josh Homme) e i DeadWeather, ma anche il set solista di Thom Yorkeche verrà sperimentato sul prestigioso stage delfestival.Tra gli altri spiccano LCD Soundsystem, GaryNuman, Vampire Weekend, MGMT, Grizzly Bear,Devo, Phoenix, Spoon e Julian Casablancas;inoltre Jay-Z - headliner della prima serata - eDamon Albarn con i Gori llaz in quali propor-ranno un set altamente tecnlogico.

Ecco il cast completo: Venerdì 16 aprile: Jay-Z, LCD Soundsystem,Them Crooked Vultures, Vampire Weekend,Deadmau5, Public Image Limited, The Specials,Grizzly Bear, Passion Pit, Echo and theBunnymen, Benny Benassi, Fever Ray, GraceJones, She & Him, Erol Alkan, The AvettBrothers, Calle 13, The Whitest Boy Alive, TheCribs, La Roux, Yeasayer, Lucero, DJ Lance Rock,The Dillinger Escape Plan, Proxy, Ra Ra Riot,Deer Tick, Wolfgang Gartner, Aeroplane, Iglu &Hartly, Sleigh Bells, P.O.S., Baroness, Hockey,Little Dragon, White Rabbits, Wale, Kate Miller-Heidke, As Tall as Lions, Jets Overhead, AlanaGrace, Pablo Hassan. Sabato 17 aprile: Muse (headliner), Faith NoMore, Tiësto, MGMT, David Guetta, The DeadWeather, Hot Chip, Devo, Coheed and Cambria,Kaskade, 2Many DJ’s, Major Lazer, DirtyProjectors, Gossip, Z-Trip, The xx, John Waters,Les Claypool, The Raveonettes, Mew, Sia,Camera Obscura, Tokyo Police Club, PorcupineTree, Old Crow Medicine Show, Aterciopalados,Bassnectar, Frightened Rabbit, Dirty South,Flying Lotus, Corinne Bailey Rae, Pretty Lights,Shooter Jennings, RX Bandits, The AlmightyDefenders, Edward Sharp and the MagneticZeros, Craze & Klever, Zoe, The Temper Trap,Portugal. The Man, Band of Skulls, Girls, BeachHouse, Steel Train, Frank Turner. Domenica 18 apr ile: Gorillaz, Pavement,Thom Yorke, Phoenix, Orbital, Spoon, Sly andthe Family Stone, De La Soul, Julian Casa -blancas, Plastikman, Gary Numan, CharlotteGainsbourg, Sunny Day Real Estate, Yo LaTengo, MUTEMATH, Deerhunter, InfectedMushroom, Club 75, Matt & Kim, The Big Pink,Gil Scott-Heron, King Khan and the Shrines,Florence and the Machine, Yann Tiersen, LittleBoots, Miike Snow, Talvin Singh, Ceu, B.o.B.,Babasonicos, Owen Pallett, The Glitch Mob,Mayer Hawthorne, Local Natives, Rusko, TheMiddle East, Hadouken!, The Soft Pack, KevinDevine, Paparazzi, Delphic, One EskimO.Chi di voi andrà?www.coachella.com

Badly Drawn Boy si appresta a registrare ilsuo settimo albumBadly Drawn Boy ha annunciato che presto

entrerà in studio per le registrazioni del suo set-timo full-lenght.Damon Gough in arte Badly Drawn Boy hapubblicato di recente ‘Is There Nothing WeCould Do?’ original soundtrack del serie tv ‘The

Fattest Man In Britain’. Gough non è nuovo aquesti lavori, basti ricordare il successo ottenu-to anni fa con la colonna sonora del film dei fra-telli Weitz “About A Boy” con Hugh Grant.Oggi per il cantautore inglese arriva una nuovasfida che lo porterà al settimo lavoro discografi-co ma, soprattutto, dovrà ripetere il buon suc-cesso del 2006 con Born In The U.K. nonchè rin-verdire i fasti del 2000 quando con ‘The Hour OfBewilderbeast’ entrò nell’olimpo del pop inter-nazionale.“Con tutta onestà - dichiara Damon - questonuovo album sarà un nuovo inizio“.“Sento che devo provare a fare cose che nellamia musica non ho ancora provato, dovrò inves-tigare dentro di me - continua Damon - provan-do a registrare cose difficili da fare“.In effetti senza il supporto della Emi, che hachiuso il contratto, le tempistiche e la metodo-logia di lavoro dovranno necessariamente cam-biare per lo strampalato cantautore.www.badlydrawnboy.co.uk

Il 2010 comincia con una notizia bomba: la reu-nion dei SoundgardenSarà la reunion dell’anno! I Soundgarden tor-nano assieme e a confermarlo è il leader Chris

Cornell sul suo twitter. Già tornano alla mentericordi sbiaditi di un gruppo che ha fatto la sto-ria del grunge. Alice in Chains (anche loro riuni-ti), Pearl Jam, Nirvana (rip), Soundgarden e tantialtri divennero LA musica degli anni novanta,Sub Pop e Geffen due delle etichette che diede-ro i fasti al movimento.“I 12 anni di break sono terminati & la scuola ètornata“, e anche sul sito è stato postato unmessaggio simile, proprio una settimana dopoche l’ex bassista di Nirvana Krist Novoselic scris-se sul blog di Seattlewekly.com che le voci sullareunion dei Soundgarden non era vera, dicendoche la notizia l’aveva avuta da una “fonte eccel-lente”. AppuntoMa a seguire i segni forse avremmo potutocapirlo. Soprattutto il “Tadgarden“ show delloscorso marzo, quando tre quarti del gruppoKim Thay il, Matt Cameron e Ben Shepherdfecero una jam con Tom Morello (con Cornellnegli Audioglobe) e Tad Doy le (leader dei Tad).Poi ci fu la dichiarazione dell’ex Audioglobe aMusicRadar nello scorso aprile, quando disseche era rimasto in ottimi rapporti col resto dellaband: “Siamo sempre stati buoni amici; vederliriuniti, ultimamente su Youtube? Ho pensatoche fosse fantastico. Mi ha dato un’ottima sen-sazione. Avrei desiderato essere lì!”.Terzo segno la reunion dei Temple of the Dog aottobre, con Chris Cornell assieme ai Pearl Jamsul palco in California per la reprise di uno dei

loro più grandi successi “Hunger Str ike“.Insomma se in generale le reunion ci lascianoun po’ di amaro in bocca, questa la aspet tiamoa braccia aperte. Grunge never died, o meglioGrunge’s coming back!www.chriscornell.com

Ennio Morricone, una data a Londra per l’AllTomorrow’s PartiesIl maestro Ennio Morricone suonerà conun’orchestra di 100 elementi il 10 Aprile in queldi Londra alla prestigiosa Royal Albert Hall inoccasione di una data one-off del festival Al lTomorrow’s Part ies sezione live Don’t LookBack series .

Il noto compositore italiano, molto apprezzatodal circuito musicale e cinematografico indipen-dente, ha collaborato di recente con QuentinTarantino per le colonne sonore dei film KillBill e Inglourious Basterds.www.enniomorricone.it - www.dontlookback-concerts.com/

Il mondo della musica in lutto: ci ha lasciato VicChesnuttLa notizia che speravamo di non dover dare èstata pubblicata ieri, 25 dicembre, sul sito dellaConstellation Records: “circondato dalla fami-glia e dai suoi amici, Vic Chesnutt è morto adAthens, Georgia, oggi pomeriggio, venerdì 25dicembre alle 14:59“. Appena ieri davamo latragica notizia del suo coma, causato - secondoalcune indiscrezioni - da un tentativo di suicidio

(leggi qui: http://www.freakout-online.com/news.aspx?idnews=3505).Nel comunicato pubblicato dall’etichetta diChesnutt si legge che “maggiori informazionisaranno rese disponibili a seconda della volon-tà dei familiari e gli amici di Vic”. Per il momen-to non possiamo che piangere uno dei più emo-zionanti songwriter degli ultimi anni.www.cstrecords.com

Pixies, finalmente in Italia. A Giugno a FerraraDopo anni di attesa arrivano finalmente in Italiai Pixies, padri dell’Indie Rock americano einventori di un nuovo linguaggio rock che hasegnato il punto di partenza per la gran partedell’alternative rock anni 90. Dalla loro originale miscela di garage-rock,

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power-pop e hardcore hanno preso le mosseband fondamentali degli anni 90 come iNirvana, per stessa ammissione di KurtCobain, oltre a numerose altre formazioni deldecennio successivo. Combinando sonoritànoise, melodie accattivanti, testi enigmatici earmonie pop, i Pixies, considerati anche i pre-cursori del grunge, sono stati in grado di creareuno stile unico e irresistibile che ancora oggi siafferma come pietra miliare del rock alternativo.Formatisi nel 1986 a Boston, Massachusetts,per mano del chitarrista Joey Santiago e delfuturo frontman Black Francis, a cui presto siaggiungono la bassista Kim Deal e il batteristaDav id Lovering, i Pixies vengono presto nota-ti da Ivo Watts-Russell, proprietario di unadelle più più prestigiose case discograficheinglesi, la 4AD, che decide di metterli immedia-tamente sotto contratto. Vede così la luce nel1987 il primo vero lavoro della band: l’EP ComeOn Pilgrim, seguito poi nel 1988 dal primo veroalbum Surfer Rosa, registrato da Steve Albini.Con questo album ha inizio il mito dei Pixies,che subito ottengono il plauso dell’interomondo musicale e riescono a catturare unaschiera di fan d’eccezione come David Bowie eU2 che riconoscono l’enorme portata innovativadi questo album.

L’anno successivo arriva il mitico Doolittle, in cuil’impatto melodico e l’impronta pop si fannopiù marcati pur se alternati all’urgenza e all’ag-gressività garage che avevano segnato SurferRosa, e che si piazza ai primi posti della classi-fica sia negli Stati Uniti che in Uk. Nel 1990 è la volta di Bossanova in cui la venapop prende il sopravvento. Oramai la fama deiPixies è enorme e nel 1991 il quartetto si esibi-sce al Festival di Reading come headliner.Nello stesso anno arriva Trompe le Monde, chenon ottiene però lo stesso appoggio dei prece-denti lavori da parte della critica musicale.Nel frattempo si consuma la rottura artistica traBlack Francis e Kim Deal, e Black Francis nel1993 durante un’intervista radiofonica annun-cia lo scioglimento della band.Nel 2004 arriva finalmente la reunion ed unaserie di date live (anche in Italia) culminate nel-l’esibizione al COACHELLA, i cui biglietti vengo-no esauriti nel giro di pochi minuti!Seguono performance da headliner nei piùimportanti festival musicali del mondo:Lollapalooza, e in seguito Leeds e Reading, peri quali la band di Boston sceglie come supportogli Weezer.Nel 2009 per il ventennale di Dolittle, BlackFrancis e soci tengono una serie di concerti inte-ramente dedicati a questo album.Nel 2010 arriva finalmente il momentodell’Italia!data unica:6 giugno 2010 – Ferrara – Piazza Castellowww.pixiesmusic.com - www.4ad.com/pixies/

Dalla migliore tradizione psichedelica di SanFrancisco, ecco il ritorno di una delle più poten-ti e travolgenti band in circolazione, i BlackRebel Motorcycle Club che presenta il nuovo

album Beat The Dev i l’s Tattoo (AbstractDragon /Cooperative Music/Self) in uscita aMarzo 2010. Il nuovo disco, Beat The Devil’sTattoo, uscirà a Marzo 2010 e nell’attesa iBRMC immettono sul mercato, prima uscita

per la loro etichetta Abst ract Dragon (distri-buita in Europa via Cooperative Music – distr.Self) il loro primo album live ufficiale intitola-to semplicemente Live. Il CD dal vivo contie-ne quattordici tracce, mentre il DVD (che èstato girato prevalentemente in bianco e nero,nello stile della band) propone un dietro lequinte dei concerti e il making of di Howl, illoro disco del 2005. Il mondo sonoro dei BRMC continua sulla sciadella psichedelica, dell’indie-rock e del punk-blues con l’influenza di band storiche comeVelvet Underground, Jesus & The Mary Chainsma anche di band più underground come i miti-ci Brian Jonestown Massacre. Influenze oscure eshoegaze che aprono ai BRMC strade diverserispetto a quelle di band che come loro esconoallo scoperto agli inizi degli anni 2000 come TheWhite Stripes e The Strokes. La band california-na è certamente una band rock’n’roll ma dicerto non assomiglia a nessuna delle band incircolazione: nelle esibizioni live esce fuori tutto

il loro mondo fatto di noise, ricerca psichedeli-ca, feedback che si fonde alla base pop e bluesdella loro musica. Il risultato è un sound poten-te che gli fa guadagnare i favori della critica edel pubblico.La formazione è composta da: Peter Hayesalla voce, chitarra, basso, armonica, tastiere,autoharp e harmonium; Robert Levon Beenalla voce, chitarra, tastiere e basso; LeahShapiro alla batteria.Queste le date del tour italiano:07 Magg io 2010 Milano - Magazzini Generali;08 Maggio 2010 Bologna – Estragon; 09Maggio 2010 Roma - Piperwww.blackrebelmotorcycleclub.com

Arcade Fire, in arrivo il terzo album e poi tanticoncerti in estateSecondo voci USA gli Arcade Fire pubbliche-ranno il nuovo album il prossimo maggio.La band canadese arriva così al fatidico terzo

lavoro dopo glisplendidi “Funeral”del 2004 e “NeonBible” del 2007.Dopo la ‘benedizio-ne’ di David Bowiela band di Montreal

è diventata un culto, con un sound per palatifini, artisti affascinanti e aristocratici.Capitanati dalla coppia - anche nella vita - WinButler e Régine Chassagne gli Arcade Firehanno pubblicato dopo Natale il primo singolo,mentre l’album, prodotto nuovamente daMarkus Dravs, già al banco mixer per ‘NeonBible’, uscirà prima dell’estate per permette allaband di fare un buon tour estivo negli migliorifestival d’America ed Europa.www.arcadefire.com

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Ese la musica fosse una grande presa per i fondelli?Provatelo a chiedere a Les Claypool, uno dei bas-sisti più influenti e carismatici in circolazione, per la

sua vena artistica, per la sua tecnica, per la sua follia, peri suoi testi ironici, per il suo canto sguaiato. Per il suoessere unico. Negli anni novanta coi Primus ha rivolu-zionato la musica alternativa americana. Nel successivodecennio ha dato vita a svariati progetti di difficile cata-logazione, come i Frog Brigade, gli Oysterhead e iC2B3. Numerose sono le sue collaborazioni: da TomWaits (“Bone Machine”, “Mule Variation” e “RealGone”) ai Gov’t Mule, da Buckethead alla sua sco-perta Gabby La La, passando per Jer ry Cantrell degliAlice In Chains, Adrian Belew, Jack Irons e iMetall ica (nell’album “Garage Inc.”, suona il banjonella cover dei Lynyrd Skynyrd “Tuesday’s Gone”). E poiil cinema, la scrittura, l’arte e la sua etichetta discografi-ca, la Prawn Song, che prende spunto nel nome dallastorica Swan Song dei Led Zeppelin. E se non bastasseha pure un fan club che è tutto un programma: ClubBastardo (www.clubbastardo.com). Influenzato tantoda Stanley Clarke e Larry Graham, quanto da Geddy Leedei Rush, annovera tra i suoi miti-amici il compianto bas-sista dei Morphine, Mark Sandman. Ma Calypool ama

anche travestirsi durante gli show con maschere, abitistravaganti, cappelli e buffe acconciature. Un personag-gio a dir poco eccentrico che, in un quarto di secolo dicarriera - divisa tra Primus e svariati side-project - haprodotto grande musica senza mai cedere alle leggi delmercato. Considerato un autentico guru per un’intera generazio-ne, Les Claypool è un virtuoso del basso elettrico. Ilsuono che esce dal suo Carl Thompson è inconfondibile.Ti accorgi subito che è lui a suonarlo. Slap, finger-tap-ping, riff velocissimi e ossessivi, uso sapiente di effetti euno stile ultrapersonale lo hanno reso un punto di riferi-mento, un artista straordinario che, oltre alla musica si èdedicatola all’arte a 360 gradi: cinema, letteratura, scul-tura, pittura, scrittura. E metteteci pure la sua grandepassione per la pesca, che se vogliamo è una grandearte. Un audace sperimentatore che fa vivere la musica eche non vive di sola musica. Nato a Richomond(California) poco meno di mezzo secolo fa, ma cresciutoa El Sobrante in una famiglia di operai, a chi gli chiedese è stanco di fare il musicista dopo tutti questi annirisponde: è molto meglio del mio vecchio lavoro da car-pentiere! Fin dalla scuola inizia la sua complicità colbasso elettrico (suo compagno di classe è stato KirkHammett dei Metallica) cimentandosi col rock di Hendrixe dei Led Zeppelin. Proprio i Metall ica nel 1986, dopola morte di Cliff Burton, pensano a lui come sostituto, mapoi ripiegano sul più modesto Jason Newsted perché Lesè considerato troppo funky. Sul finire degli anni ottantaè alla guida dei Blind Illusion, una trash metal band dellaBay Area guidata da Marc Biedermann. In seguito, con ilchitarrista Larry LaLonde (allievo di Steve Vai e fanati-co di Frank Zappa) e il poderoso batterista Tim “Herb”Alexander, crea i Primus (inizialmente conosciuticome Primate con Todd Huth alla chitarra e Jay Lane allabatteria). Per un decennio (tra il 1990 e il 2000) il trio diSan Francisco è di gran lunga il gruppo più cool dellascena indie. Un’autentica cult band che, partendo dalla

strumentazione base del rock(chitarra, basso e batteria), hasaputo inventarsi un suonoparticolarmente originale. Unmarchio di fabbrica, subitoriconoscibile. Un crossover che fondele influenze più dispa-rate: funk,metal,fusion, rock e progres-sive.L’esordio discograficoavviene con un albumlive “Suck On This”(1989) seguito dal primolavoro in studio “ FrizzaleFry” (1990). Brani come“John The Fisherman”,“Too Many Puppies” e “Mr.Knowitall” segnano l’iniziodella Primus-Era, al grido diPrimus Sucks! Con “SailingThe Sea Of Cheese” - pubblicato nel1991 dalla Interscope - la band californianasi impone definitivamente all’attenzionegenerale, superando le cinquecentomila copievendute. Il brano “Tommy The Cat” vede lapartecipazione di Tom Waits. Questa è solo laprima di una serie di collaborazione tra Waits eClaypool nel corso degli anni. Tra le altre compo-sizioni del disco, impossibile non citare “JerryWas a Race Car Driver” (che diviene colonnasonora del primo episodio del videogame TonyHawk’s Pro Skater), “Those Damned Blue-CollarTweekers”, “American Life”, “Here Come TheBastards” e l’ipnotica “Fish On”. Nel 1992 pubbli-cano “Miscellaneous Debris”, una raccolta conrivisitazioni di brani di Peter Gabriel, Pink Floyd, Xtc,Residents. L’anno successivo è la volta di “Pork

Soda”, un lavoro strabiliante e fuori dalle mode che sipiazza a sorpresa al settimo posto della classifica deidischi dell’anno, stilata dal settimanale Billboard. Ilprimo singolo estratto “My Name Is Mud”, invece,entra nella top 10 del “Modern Rock Tracks” (una rac-colta delle quaranta canzoni più ascoltate sulle radiorock statunitensi). Il grottesco nonsense di “Welcome ToThis World“ e “The Ol’ Diamondback Sturgeon” , lastrumentale “Hamburger Train“, la fulminante “DMV”,il lancinante grido di dolore “Bob” e la psicotica “Mr.Krinkle” sono alcune delle tracce audaci che il disco delmaiale tra le bollicine regala. Il successo crescente liporta a suonare come headliner a Lollapalooza nel 1993e nei principali festival europei. Partecipano alla riedizio-ne di Woodstock nel ‘94 dove suonano “My Name IsMud” (il mio nome è Fango) in una situazione surreale:Claypool è costretto a fermarsi per chiedere di smetteredi tirare fango sui diffusori. Inoltre, alla fine dello show ilpubblico li acclama per un bis, che visto l’elevato nume-ro di band coinvolte nel festival, non era previsto. MaLes, ritornato sul palco, esegue una versione funamboli-ca di “Master Of Puppets” dei Metallica in un minuto emezzo. La definitiva consacrazione arriva con la pubbli-cazione del quarto album in studio “Tales f rom the

Il geniale bassista/cantante leader dei Primus presenta in tre concert i italiani

il suo secondo album da solista “Of Fungi and Foe”

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Punchbowl”, datato 1995 e subito discod’oro. Il tormentone “Wynona’s BigBrown Beaver” impazza in radio e suMtv. Brani come “SouthboundPachyderm” e “Professor Nutbutter’sHouse Of Treats” mostrano ancora unavolta l’enorme talento della band. Maiscontati, mai uguali a se stessi, col basso diClaypool sempre in primo piano.Realizzano inoltre la sigla di “South Park”(gli autori Trey Parker e Matt Stone sonograndissimi fan dei Primus) e partecipanoalla compilation Chef Aid, legata sempre aSouth Park, col brano “Mephisto andKevin”. Con l’uscita di Tim Alexander dallaband e l’arrivo di Bryan “Brain” Mantia(ex Goldfish e attuale batterista dei GunsN’ Roses, o meglio del gruppo di Axl Rose)lo stile del combo di San Francisco viraverso un crossover più vintage e orecchia-bile. Non a caso il “Brown Album” (1997)è interamente registrato in analogico alRancho Relaxo, lo studio di registrazione- ma anche dimora - di Claypool. “Shake

Hands With Beef “e “Over the Falls” sono i due singoliestratti. Se i Beatles hanno pubblicato il “WhiteAlbum” e i Metallica il “Black Album”, noi allorapubblichiamo il “Brown Album”! Un anno dopoeccoli tornare con l’Ep “Rhinoplasty”, una raccolta checomprende cover, esecuzioni dal vivo e il remix di “TooMany Puppies“. Nel disco compare anche una versionedi “The Thing That Should Not Be” dei Metallica (ecco,ci risiamo…). Tra me e i Metallica c’è solo sesso,dichiarò Claypool in occasione della conferenza stampatenuta prima del concerto al Neapolis Festival nel lugliodel 1998. Antipop (1999), album dal titolo più che maiesplicito, è l’ultimo vero lavoro in studio del trio. “È unarisposta a quella che è stata la radio degli ultimianni: zuccherosa, f laccida e noiosa“. Numerosi gliospiti presenti nel disco: Tom Morello (Rage AgainstThe Machine), Fred Durst (Limp Bizkit), StewartCopeland (Police) e soprattutto Tom Waits che suona ilmellotron nella conclusiva “Coattai ls of a DeadMan”. Con l’arrivo del nuovo millennio, gli orizzontimusicali di Claypool si allargano ulteriormente.L’avventura dei Primus viene momentaneamente sospe-sa e iniziano a nascere svariati progetti, tutti diversissimitra loro. Come già accaduto in passato con “RiddlesAre Abound Ton ight” dei Sausage (1994) e“Highball w ith the Devil” dei Les Calypool & TheHoly Makarel (1996) arrivano nuovi lavori dalle impre-vedibili, quanto ironiche, composizioni. Stavolta è ilturno dei Les Claypool’s Frog Br igade. Tre i dischiall’attivo: nel 2001 “Live Frog Set 1” e “Live FrogSet 2” (la riproduzione live dell’album Animals deiPink Floyd) e nel 2002 “Purp le Onion”.Contemporaneamente forma con Stewart Copeland eTrey Anastasio (Phish) gli Oy ste rhead, uneccezionale trio che pubblica per la Elkekra Recordsl’abum “The Grand Pecking Order”. Nel 2003 iPrimus si riuniscono con la formazione originale, per untour e per registrare l’EP/DVD “Animals Should Not

Try to Act Like People”: cinque inediti più tutti ivideoclip e alcune rarità. Un lavoro che lo stessoClaypool definisce come il primo DVD con musica inaggiunta. Il tour reunion dei Primus riscuote un grandesuccesso e fa segnare svariati sold out. Pubblicano cosìil Dvd “Hallucino Genetic”: il concerto integrale tenu-to all’Aragon Ballroom di Chicago. Durante quello show(in piena contestazione all’amministrazione Bush)Claypool invita gli spettatori a uscire dal teatro perandare al cinema a vedere “Fahrenheit 11/9” di MichaelMoore. Nel 2005, mentre i Primus si esibiscono alLollapalooza e al Vegoose, Les trova il tempo di creareun nuovo side-project chiamato Les Claypool & HisFancy Band. Un anno prima era stata la volta deiC2B3, ovvero i Colonel Claypool’s Bucket of BernieBrains. Un quartetto che comprendeva Buckethead allachitarra, Bryan Mantia alla batteria e Bernie Warell(Parliament/ Funkadelic) alle tastiere e che ha pubblica-to il disco “The Big Eyeball in the Sky”. Nel 2006

l’esordio come scrittore, pubblicando “South of thePumphouse” per Akashic Books. Il libro - torbida edesilarante storia nera che narra le vicende di due fratelliagli antipodi - è stato pubblicato anche in Italia (tradot-to da Fabio Genovesi) col titolo: “A sud del capanno”.Ma la sua verve creativa si estende anche ala scultura ea varie forme di arte. Di recente ha realizzato anche unfilm come attore e regista dal titolo “Electr ic Apricot”:una parodia della scena delle jam band, nella tradizionedei finti documentari di Spinal Tap. “Electric Apricot” èanche un cd, con Les che suona la batteria e canta indiversi brani. Nel film “Pig Hunt” di James Isaac, inve-ce, veste i panni di un sacerdote, oltre a curarne partedella colonna sonora. Il suo ultimo album – il secondo da solista - s’intitola“Of Fungi And Foe” e segue di tre anni il precedente“Of Whales And Woe”. 12 brani, tra strampalerievarie, voci da cartoon, archi deformati, testi ironici e unpizzico di follia psichedelica, che rendono difficilmentedecifrabile le sue coordinate. Ritmi ossessivi, rumori, jin-gle per videogame, riff sincopati e atmosfere dilatatecreano un crossover estremo che lascia poco spazio allaforma canzone. Tra gli ospiti, Eugene Hutz dei Gogol Bordello che canta e suona lachitarra in “Bite Out Of Life”. A marzo di quest’anno, Claypool torna in Europa (dopooltre dieci anni di assenza) per un tour che partiràdall’Inghilterra - l’8 al Koko di Londra, già sold out - etoccherà la Germania, l’Olanda, la Svizzera e l’Austria,per poi concludersi il 25 al Barby Venue di Tel Aviv.Dall’11 al 13 marzo sarà anche in Italia, rispettivamenteall’Alcatraz di Milano, all’Estragon di Bo logna e alNew Age di Roncade (Treviso ), con gruppo spalla gliHot Head Show (la band di Jordan Copeland, figlio delsuo amico Stewart). Tre concerti-evento imperdibili, chesegnano il ritorno dell’uomo che ha “navigato i mari diformaggio”, senza mai affondare!

www.lesclaypool.comUmberto D i Micco

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Duemilaeuno. Sala Stampa del Festival diBenicàssim (ben prima che quest’ultimo diven-tasse un evento per teenagers inglesi ingordi di

sangria e brit-rock). Wayne Coyne, leader indiscussodei Flaming Lips, si presenta in conferenza stampapoche ore dopo un concerto che ha lasciato migliaia dipersone - compreso il sottoscritto - a bocca spalancata.Ad una domanda di una giornalista riguardo i prossimiprogetti della sua band, Wayne risponde - serio -“L’unica cosa che m’interessa, al momento, è realizza-re un film natalizio ambientato su Marte”. Prevedibilirisate generali. Duemilaotto, sede napoletana di una famosa catena dinegozi di dischi & altro. Mi ritrovo tra le mani il DVD“Christmas On Mars”, e non posso fare a meno chericordare quella conferenza, ridendo sotto i baffi.“L’hanno fatto sul serio”, ho pensato. Ebbene si: iFlaming Lips sono una delle poche band al mondocapaci di realizzare i propri sogni, o semplicemente ren-dere sotto forma d’opera d’arte tutte le proprie alluci-nazioni, conservando quello spirito “freak” che li con-traddistingue fin dagli esordi. Ovviamente potete obiettare che, scavando (neanchetroppo) nell’underground, ci sono in giro centinaia diband che fanno musica al di fuori degli schemi, fregan-dosene di tutto e di tutti. Certo. Ma qui parliamo di ungruppo che incide da ormai dieci anni per una major (laWarner), e che attira migliaia di persone ai propri con-certi. Una cosa ben diversa da un fenomeno per “pochiiniziati”, insomma. Una band - fondata da Coyne nellontano 1983 dopo aver rubato degli strumenti musica-li in una chiesa (!) - semplicemente “unica”, dalla bio-grafia travagliata (ad alto tasso di sostanze stupefacen-ti) e piena di bizzarrie, che ha subìto traumatici cambi diformazione, che è passata dalle auto-produzioni dalsapore garage (le prime pubblicazioni sono raccolte nel-l’ottimo doppio “Finally The Punk Rockers AreTaking Acid” del 2002) alla firma di un contratto peruna multinazionale; che avuto il coraggio di pubblicare

(era il ’97) un’assurdità come “Zaireeka”, quadruploCD concepito per essere ascoltato in contemporanea daquattro lettori CD diversi (stavate pensando aiRadiohead quando si parlava di gruppi major capaci disperimentare? non scherziamo!), che dal vivo si presen-ta contornata di decine di comparse mascherate (alieni,babbi natale, stramberie d’ogni genere) e un cantanteche spesso e volentieri si lancia sul pubblico avvolto inun’enorme pallone di gomma trasparente (vedere videosu youtube per credere). Una band che è capace di ren-dere commovente un brano di Kylie Minogue (la coverdi “Can ‘t Get You Out Of My Head”), di scrivere balladtra le più belle che le vostre orecchie potranno maiascoltare (“Do you realize“) e di farsi citare in giudi-zio per plagio da Cat Stevens. Una band che per realiz-zare un videoclip fa appello ai propri fan che abbianovoglia di farsi riprendere mentre girano in bici comple-tamente nudi (!), che è capace di regalarci uno dei piùgrandi dischi pop degli ultimi tempi (“The SoftBullet in”), per poi finire in classifica, nella top 10 divendite in America - per la prima volta in 26 anni di car-riera - con un disco lungo e ostico come “Embryonic”,il suo ultimo LP (senza considerare il rifacimento perintero di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd,realizzato avvalendosi della collaborazione di HenryRollins, Peaches e i Stardeath and White Dwarfs , chedi punto in bianco è spuntatoqualche settimana fa in ven-dita su iTunes).Un (capo)lavoro in cui inostri eroi decidono di ri-tuf-farsi a capofitto nella psiche-delia più acida e deviata,facendo in un sol colpo sva-nire i dubbi su di un presun-to calo d’ispirazione (l’ultimo“vero” disco della band, “AtWar With The Mystics”,del 2006, non sarà senz’al-

tro ricordato come uno dei migliori della sua lungadiscografia) e dimostrando che gli ex-ragazzi diOklahoma City possono mangiarsi in un sol bocconele nuove generazioni di musicisti neo-psichedelici (dagliAnimal Collective in giù). “Embryonic” è un lungo viag-gio lisergico, in cui i suoni sono saturati, riverberati,distorti fino al parossismo: un fiume di magma roventein cui gli strumenti si fondono fino a perdere le proprieconnotazioni timbriche. Un concentrato di rock acidissi-mo, lasciato libero di fluire, sporcato di pesanti influssikraut, eppure mai “vittima” di spinte auto-referenziali odi sperimentazioni fini a se stesse: la band, incredibil-mente ispirata, non perde mai di vista il fattore emoti-vo, pur celando il proprio peculiare spirito pop sotto una“scorza” ispida e d apparentemente impenetrabile.L’inizio del disco lascia senza fiato: “Convinced of theHex” si muove su un ipnotico groove iper-distorto, conuna fitta trama delirante di chitarre e suoni di impreci-sata provenienza sullo sfondo a graffiarci le casse; “TheSpar row Looks Up At The Machine” immerge unamelodia dolcissima in una lenta spirale di rumori, effet-ti, feedback, disturbi; “Ev il”, semplicemente struggen-te (“I wish I could go back / Go back in time / But noone ever really can / Go back in time”), combina un’ani-ma quasi soul, cori angelici e un tappeto sonoro fatto dipoche, evanescenti note in loop. Il disco riserva sorpre-se ad ogni angolo: “Powerless” è un lentissimo dubinfernale con un lancinante assolo di chitarra tremolan-te, “Silver Trembling Hands” è puro pop à la FlamingLips, con dei suoni liquidi che ricordano i primi Tortoise,“The Impulse” è un trip in assenza di gravità, con lavoce di Wayne che riesce ad essere emozionante anchese filtrata dal vocoder. La sensazione di trovarsi in un’at-mosfera spaziale è ricorrente (e sappiamo quanto lafantascienza e l’immaginario sci-fi in generale sianotemi cari alla band), a tal punto da far pensare quasi adun concept album (ascoltate “Virgo Self-EsteemBroadcast”, ad esempio, o la placida “GeminiSyringes”, con la voce del matematico ThorstenWörmann), “I can be a f rog” dà invece libero sfogoalla vena surreale della band (“She said I can be a frog/ I can be a bat / I can be a bear / Or I can be a cat”),che ospita Karen O degli Yeah Yeah Yeahs, impegnata

(dal telefono di casa sua) a far versi di ani-mali. Chi pensava che con la “maturità” iFlaming Lips avessero finito per “normaliz-zarsi”, adagiandosi sul proprio statusormai consolidato di abilissimi autori dipop adulto e ricercato, resterà a boccaaperta. “Embryonic” è il capolavoro chenon t’aspetti. Pura gioia per le nostre orec-chie stanche di tanto appiattimento creati-vo. Tra i capitoli più entusiasmanti di unastoria semplicemente surreale. Come unNatale da festeggiare su Marte.

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Marco Messina

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un sogno psichedelicolungo (quasi) trent’anni

di Daniele Lama

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Depeche Mode - Parigi Bercy 20.01.2010A un certo punto del concerto, eravamo sullenote di Policy of truth, con i palloncini cheinvadevano i lead alle spalle del gruppo e quel-li veri nelle prime file... ho pensato che gli ’80non li ho vissuti coscientemente (musicalmen-te si intende!), ma probabilmente sarebberostati anche un po’ così... elettronici. Pensareche fino a qualche anno fa, per me tutto chitar-ra, basso, batteria un pensiero del generesarebbe stato non solo impossibile, ma da con-dannare assolutamente. Sarà che Gore, Gahane soci nonostante l’età, i soliti “ultimi albumche non sono come i primi” etc... danno un belpo’ di punti ai gruppi che tanto ci piacciono,ma che live lasciano non poco a desiderare. Ilconcerto di Parigi, a Bercy presso le PalaisOmnisports, a dispetto di un ultimo albumnon proprio indimenticabile è stato assoluta-mente piacevole. Due date andate complete,megapalco, lead con bei visual e audio ottimohanno aiutato una performance che ha mesco-lato momenti di energia pura ad altri da pelled’oca. Non siamo nella bolgia che preme sulpalco, ma le gradinate tornano una visualecompleta, che fa godere apieno anche dello spettaco-lo della scenografia esoprattutto dei fan, unospettacolo nello spettacolo.Il concerto ovviamente pre-vede pezzi dell’ultimoalbum come il singoloneWrong, ma anche Hole tofeed, ma è stato soprattut-to un best of, un percorsoattraverso la loro carrieramusicale, con tutte le lorocanzoni più famose (e anchequi i fan hanno storto ilnaso: chiedevano più b-side!): Walking in my shoes,It’s not good e A question oftime. Con Precious tornia-mo nei 2000 (2005 per la precisione, l’albumera Playing the Angel), ma è un attimo, datoche arriva subito World in my eyes e con leiI have learned so much una poesia diDaniel Ladinsky che accompagna i DM sullead. Se fino a quel momento protagonistaassoluto del palco era stato Gahan che sidibatteva sul palco senza fermarsi e con itatuaggi ben in vista, con Free Love e Homeil palco è quasi tutto per Gore che rimane solocon la chitarra e le tastiere di Fletcher moltonascoste sul palco. Da pelle d’oca... Si ripren-de, un attimo di fiato e Across the Universetorna protagonista con Come back alla qualefa subito da contraltare coi suoi pallonciniPol icy Of the truth, quasi a voler rimarcareche questo è un best of tour.In your room e I feel you precedono gli astro-nauti che accompagnano Enjoy the silence e lemani che si muovono al ritmo di Never LetMe Down Again chiudono lo show... fino ai

20 minuti di bis! ConDressed in Black si ria-prono le danze poiStripped e Behind thewheel fino alla chiusura,che non poteva che essereaffidata a... PersonalJesus, ovviamente. La stes-sa Personal Jesus, blusissi-ma!, che la sera prima erastata anticipata da qualchenota di I just can’t get

enough, grande assentedella serata. I Depeche escono, poi rientrano,tocca ai saluti e ai ringraziamenti un paio diminuti a beccarsi applausi e... ciao ciao.www.depechemode.com/

Francesco Raiola

Two Door Cinema Club - Roma, Akab02.02.2010Si era parlato di un band che secondo il fiuto dimolti (NME compreso) avrebbe avuto tutte lecarte in regola per essere la rivelazione del2010. Sia dato il caso, che proprio tale bandsarebbe passata per Roma in toccateffuga,all’Akab. Il fatto è che da un po’ di tempo- midico- quello che pensa NME bisogna conside-rarlo come un OGM: la maggior parte dei feno-meni che ci hanno propinato negli ultimi dueanni almeno altro non erano che adolescentiobbligati al digiuno, purificati dall’acne conmetodi chimici altamente corrosivi, infine infi-lati in un involucro d’alta moda stretto a pun-tino (da cui si può dedurre sia derivato l’effet-to “voce bianca”).Dopo uno sguardo veloce al myspace, senzaavere tempo di ascoltare i brani, accanto

all’immancabile occhiale amontatura spessa da nerddel bassista, alla pettina-tura da secchione e ilbello stile degli altri mem-bri, mi scappa di leggereche i Two Door CinemaClub sono irlandesi diBelfast. Questa cosa mitormenterà per tutto il tra-gitto verso Testaccio,come pure i loro dati ana-grafici: il più grande delgruppo ha 23 anni.Ventitrè. Al che vi sotto-pongo un piccolo momen-to di brain training: seall’alba del 2010 questi

ragazzi hanno vent’anni(venti!) e hanno firmato con l’etichetta france-se Kitsune (almeno) nel 2009, anno che li havisti già calcare il palco del Glastonbury e deglistudi della BBC, possiamo considerare (alme-no) due anni di lavoro che sottratti aventi…fanno 18. Insomma. Per farla breve all’ingresso dell’Akab alle 10 emezza tre ragazzi tentavano di entrare al loca-le e l’addetto all’apertura insisteva che il loca-le era ancora chiuso, che avrebbe aperto dopole undici, e neanche. Scambio due parole conloro una volta dentro, risolto ogni dubbio iden-titario: i Two door cinema club non si sonoancora montati la testa, mi raccontano dei loroconcerti, che si succedono irrefrenabili da circadue anni, mi raccontano di quando erano ascuola, alla grammar school di Belfast e diquando hanno semidistrutto il locale di un con-certo a Vienna promosso da FM4, uno dei loroprimi eventi importanti. Ci andiamo a bere una

birra in attesa che si faccia ora della perfor-mance e allora ho l’occasione di constatare chegli occhiali del bassista sono veri occhiali davista, che evidentemente alla grammar schools’è chinato troppo su quel vocabolario, che ilpomeriggio ci ha perso tempo, magari, con glispartiti e le corde. Un po’ sorrido sollevata, loammetto. Un segno stupido, da cui, magariesagerando, ho estrapolato un senso di auten-ticità che ho sommato alle radici irlandesi, allapassione per l’elettronica e ai loro (nostri?)vent’anni chiusi insieme agli anni zero. A que-sto insieme di cose corrisponde esattamente illoro modo di fare musica: fresca, articolata,veloce, melodica ma mai al punto del già visto-già sentito. All’attacco delle prime note diCome back home, la seconda traccia diTourist History , in uscita a Marzo, ogni sin-gola porzione dell’Akab è occupata, allaseconda canzone, Unde rcove r Mart yn,primo singolo di lancio, molti iniziano a ballarecome nei migliori dj set dei weekend romani. Enon smettono più, accompagnati dalla chitarrache sparava note come da una mitragliatrice,senza sosta, con una concentrazione da cesel-latore. Difficile dire se i Two door cinema clubsiano o meno animali da palcoscenico, ristretticom’erano sul piccolo stage dell’Akab, ma lamusica la sanno fare e non hanno bisogno diesibirsi in altro modo. Fanno esibire il pubblico.I quaranta minuti che hanno visto i Two doorcinema club suonare sul palco sono stati un’in-tensa lezione di aerobica, la sensazione chetutto è durato forse troppo poco ha lasciato unpo’ di amaro, quanto basta per tornare a ria-scoltarli a casa, dal myspace, in attesa che escal’album.www.myspace.com/twodoorcinemaclub

Olga Campofreda

24 Grana + Libera Velo – Napoli, duel:beat09.01.10Un Duel:Beat stracolmo, una fila di personelunga svariate decine di metri, incurante dellapioggia e del freddo, che congiungeva l’ingres-so del piccolo club napoletano al centro del-l’enorme parcheggio del locale, hanno accoltocome si deve uno degli esponenti più impor-tanti della musica campana. Francesco DiBella, leader dei 24 Grana, sui palchi da più didieci anni, è tornato a dare spettacolo in occa-sione di iSabato, rassegna di musica indiepen-dente curata da Freak Out. Dopo la sua ultimaesibizione, sempre al Duelbeat di qualche set-timana prima ma con un’altra formazione,sabato 9 gennaio Di Bella è stato giustamentepremiato da un bagno di folla come pochi cheha saturato ogni spazio possibile all’interno dellocale. Non sono state poche le persone che,vista la capacità del club, sono dovute rimane-re fuori.Alle 23:30 il concerto è stato aperto da LiberaVelo. Assolutamente nulla da eccepire nellasua esibizione, d’altronde il collaudato binomioLibera – 24 Grana non è una novità: da anniormai i due artisti hanno condiviso il palco innumerosissime occasioni con risultati davverodegni di nota. Libera offre al pubblico mezzadozzina di brani, per poco più di mezzora dishow, riuscendo però a costruire in questobreve lasso di tempo un magnifico rapportocon il pubblico. Quest’ultimo, ad eccezionedelle prime file, non canta. Ma ciò, in questocaso, non vuol significare nulla: il groove c’è edè evidente. La folla, infatti, reagisce quantomaipositivamente, lasciandosi andare ad ognioccasione anche a semplici “la, la, la” pur di

accompagnare l’artista. Un’ottima vocalità,affiancata da scelte stilistiche originali ed ina-spettate (non capita proprio di vedere tutte lesere suonare un kazoo) hanno reso l’esibizionedi Libera Velo tra le migliori della rassegna perquanto riguarda i gruppi d’apertura. Bellaanche l’idea di distribuire i testi di una “balla-ta anarchica”: Il Galeone, poesia dell’anar-chico carrarese Belgrado Pedrini, scritta nel1967 dalla galera di Fossombrone e musicatain seguito da Paola Nicolazzi. Il pubblicoapprezza e stavolta, non avendo alcuna scusa,canta con piacere. Libera chiude con VaginalTr ips, senza prima dimenticare un breve maincisivo tributo a I’m wait ing for the mandei Velvet Underground.Il tempo dei saluti al pubblico, un rapido cam-bio di strumenti accompagnato da una bellaselezione musicale, e poco dopo le 00:20 sal-gono sul palco gli headliners. I 24 Granahanno offerto un vero e proprio viaggio a ritro-so nel tempo, aprendo con pezzi diGhostwriter, l’ultimo lavoro quasi cantautoria-le di Di Bella fino a Loop, uscito ben 13 anni fa.Una scaletta che ha lasciato senza fiato sia inuovi ascoltatori che gli aficionados, da L’albafino a Lu Cardillo, passando per l’immancabi-le Accireme (tra le più acclamate della serata)a Perso into ‘o cavero, dando la possibilità aipresenti di usufruire quasi di una sorta di dop-pio spettacolo, riuscendo a soddisfare sia chi èrimasto incantato dalla capacità compositivadimostrata nell’ultimo album sia chi si senteancora legato strettamente alle sognanti sono-rità dub talvolta allegre e talvolta rabbiose, deiprimi, storici, lavori: tra la voglia di cantare equella di interfacciarsi quasi fisicamente con leonde sonore provenienti dalle casse. Uno spet-tacolo che colpisce bene e a fondo, miglioratoancor di più dal modo di porsi di Francesco che,dal palco, non delude mai: i suoi “Grazieuagliù” e le piccole confusioni riguardanti gliattacchi ed i testi sono dettagli che non fannonient’altro che renderlo ancora più amato dallafolla. Il pubblico non fa che aspettare l’occasio-ne per ringraziarlo con scroscianti applausi ecori da stadio, bypassando il semplicistico rap-

porto artista-spettatore, fino ad urlare perqualche minuto “Francesco, uno di noi!”. Trauna Kanzone su un detenuto polit ico eCarcere, si arriva alla fine del concerto che siconclude, senza la canonica uscita e rientrodegli artisti sul palco “per farvi risparmiaretempo ed applausi” con un valzer da ballareassieme a Libera Velo: Sbaglio e parol’.Così, in un’atmosfera rilassata, dopo oltreun’ora e mezza di pogo, a volte anche un po’forzato, la serata si è chiusa in bellezza, ricon-fermando la capacità artistica, compositiva e dipresa sul pubblico, di quello che è diventatopiù che meritatamente uno dei gruppi storici diNapoli. Di Bella sbaglierà le parole, non sapràse ha avuto la costanza, vestirà sempre ugualema, questo è certo, è incapace di deludere.www.24grana.it

A. Alf redo Capuano

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recensio

niT

OP3

Se qualcuno vi dicesse che“The Shadow of an

Empire“, ultimo brano chedà il titolo a quest’album èuna traccia inedita di BobDylan periodo “Blood on theTracks”, voi ovviamente

direste che non è vero, però sareste obbligati a rifletteresul fatto che una tale maturità compositiva è alquantostrabiliante in certo cantautorato moderno, visto quelloche gira. Quindi, se siete un pò tirchi nei confronti dicerte scene e se solo un altro bravo figliolo come JensLekman negli ultimi anni ha portato un raggio di sole nelvostro oscuro cuoricino, allora mostrerete un atteggia-mento serio e rispettoso nei confronti di quest’artista edi quest’album che segue ‘The End of the History’ del2007, allora disco dell’anno in Irlanda, nonchè nomina-tion al Mercury Prize (stesso anno in cui partecipava AmyWinehouse ma vinsero i Klaxons). Prendiamo ad esempio‘Violent Demeneaour‘: è la ‘Suzanne’ di LeonardCohen ricantata da Devendra Banhart. Bella suggestione,vero? Questa la caratteristica di Fionn Regan: ‘impitoc-carvi’ con delle sbiadite istantanee folk-rock americane1974 o giù di lì ma con un mood assolutamente moder-no (altrimenti mica ci mettevano la sua ‘Be Good or BeGone‘ dall’album precedente in Grey’s Anatomy?). Se‘Protection Racket‘ potrebbe essere praticamente rias-sunta come “Dylan meets Bolan” o una qualsiasi altrakiller song di Alex Chilton, non ne sentirete minimamen-te il peso di tanta ‘storia’. Non c’è un solo episodio chesia scartabile in quest’album, e se “Lines Writ ten inWinter“ potrebbe essere la traccia più debole con il suointimo carico di allegria, speranza e buonumore inverna-li (mi si è aperto anche un popup pubblicitario per SanValentino su questo brano..), trovate dieci altri albums‘tutti’ deboli così e segnalatelo. Le ispiratissime “CoatHook”,”House Detective“ e “Genocidee Matinee“con i loro ritmi ‘mezzo stomp’ sono tutto un fremito GunClub/Grant Lee Buffalo (ancora America, sì, ma all’inter-no di una compostezza formale tipicamente albionica).Questo è uno di quegli album che bisogna davvero ascol-tare: per molti potrebbe essere disco dell’anno già aFebbraio.www.myspace.com/fionnregan

A.Giul io Magliulo

Il ventunesimo secolo haaperto le porte dell’Europa e

ha moltiplicato le capitali chefanno tendenza. Vent’anni fa,però, Londra deteneva il pri-mato indiscutibile restatogliaddosso dai tempi dei caschet-

ti dei Beatles. L’english style si è diffuso a macchia d’olio tra i desideridei più giovani che in quegli anni si tenevano ben stret-ta la loro musica, un sound nuovo, non preso in prestitodai genitori: il britpop era figlio delle loro passioni e deiloro idoli che portavano il nome di Oasis e Blur. E per iprimi dieci anni di vita le due band si sono rincorse asuon di successi mondiali, giungendo al nuovo millenniocon qualche titubanza.Ai fratelli Gallagher piace litigare e annunciare sciogli-menti del gruppo, i Blur – invece – si sono sciolti sulserio. Erano anni che non li vedevamo insieme, poi in uncaldo 2 luglio a Londra un mare di gente è stata prota-gonista della loro reunion sul palco di Hyde Park (per-ché le cose vanno fatte per bene!); il tutto è stato repli-cato il giorno successivo. Le serate sono ora su due doppidischi intitolati “All The People” e con scaletta identi-ca, una sorta di ringraziamento a chi c’era e ai nuovi arri-vati. Un regalo natalizio che Damon Albarn e sociincartano per i fans, mettendoli anche in copertina elasciandoli trepidare per l’uscita del documentario sullaloro storia “No Distance Left To Run”, in Inghilterrada questo gennaio.È una festa che si apre con “She So High” e ripercorrela lunga storia d’amore attraverso “Out of Time”,“Tender”, “Chemical World”, “End of a Century”,

“Song2” e sichiude con lamagia di “TheUniversal”. Una scatola sen -za fondo dallaquale ognunotira fuori ciò chetrova: i ricordi,l’eleganza musi-cale, i video, lecolonne sonore,le vacanze, l’a -more lontano, ilritorno a casa, lamoda inglese. Siamo lontanidagli sterili best-of, siamo invece

molto vicini alla commozione per il tempo che passa eche ci ripropone le note degli attimi passati. Onde evita-re sdolcinerie, però, festeggiamo bevendoci su… comegli inglesi ci insegnano!

www.blur.co.ukMicaela De Berardo

BlurAll The People - Live at Hyde Park(EMI)

Tom WaitsGlitter And Doom(Anti)

Fionn ReganThe Shadow Of An Empire(Heavenly)

Cosa si può dire di un perso-naggio e un musicista di cui

è stato già detto tutto? Beh,forse che questo Glitter andDoom, nonostante la più chetrentennale carriera dell’ormaisessantenne Tom Waits, è sol-tanto il secondo album ufficiale

dal vivo della sua carriera, a vent’anni e più da Big Time del1988.Ma non pensate di aspettarvi un greatest hits dal vivo dei suoimigliori pezzi: nel senso che in queste 17 canzoni eseguite indieci diverse serate del suo ultimo tour del 2008 la selezioneè precisa e forse anche un po’ drastica (ed è curata da Tom inpersona): niente di pescato dagli album degli anni ’70 (nem-meno da Blue Valentine), niente da Heartattack andVine, niente da Swordfishtrombones o Franks WildYears (gli album più noti e belli degli anni ’80), insommaniente di vecchio né tantomeno di classico. Tutta la scaletta ètratta dagli ultimi lavori, da Singapore che proviene da RainDogs del 1985, fino a pescare molto da Bone Machine del1992 con Dir t in the Ground, Such a Scream, e Goin’out West o The Black Rider con I’l l Shoot the Moon oLucky Day, con molto spazio ovviamente agli ultimi, BloodMoney, Alice, Real Gone e Orphans: Brawlers, Bawlersand Bastards, tutti degli anni 2000.Quasi una testimonianza testarda del fatto che il talento nonsi è spento come capita ai più, insieme forse alla provocazio-ne di uscire fuori dai soliti clichè del tour preconfezionato conuna lista di successi che tutti cantano a squarciagola. No, TomWaits va ascoltato, gustato, celebrato e “bevuto” fuori daiclamori, e i bassifondi e i personaggi improbabili strambi estralunati che ha sempre cantato non si prestano ai cori dastadio.La selezione comunque risponde bene al criterio della varietà:dai blues dinamici di Lucinda / Ain’t Goin Down (Birmingham- 03/07/08) e Singapore (Edimburgo - 28/07/08) alle ballatemalinconiche come Fannin Street (Knoxville - 29/06/08) eFalling Down (Paris - 25/07/08), dai foschi quadretti suburba-ni di Dirt In The Ground e Such A Scream (entrambe prese daiconcerti di luglio a Milano) ai toni più visionari e onirici di ThePart You Throw Away (Edimburgo - 28/07/08) e TrampledRose (Dublino - 01/08/08), e il lavoro e l’originalità del piùassurdo dei cantastorie musicanti dei nostri tempi ne escepremiato e rinvigorito. Aggiungeteci ben quaranta minuti di Tom Tales, ovvero sto-rielle da lui raccontate a metà fra musica e teatro durante iltour, fra bizzarri racconti su ratti ragni e avvoltoi fino a ironiesui cinesi e autoironia su se stesso), e il quadretto è comple-to. L’album non ha certo l’ambizione di far conoscere comple-tamente Waits a chi vi si accosta per la prima volta, ma difarlo amare a tutti, neofiti e non, certamente sì. Del resto,come non si può non amare (musicalmente e in generale) unuomo che ha creato un genere e lo ha poi percorso pratica-mente da solo senza emulazioni per trent’anni suonati? Comesi può non amare un’autentica leggenda dei giorni nostri, unafigura che si stenta a pensare musicista al piano durante glianni ’80 del trionfo dell’elettropop?Amatelo e godetelo quindi, come storyteller, incantatore,indagatore dolce inquieto e sofferente degli abissi della cittàe del proprio ego.

www.tomwaits.comFrancesco Postiglione

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24 Grananuovo album nel 2011

Atarinuovo singolo in freedownload

il 30 aprile, nuovo album

a settembre 2010

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inte

rvis

ta

Bando alle mezze misure, al politi-cally correct e al volemose bene.Luchè, insomma, non le manda a

dire, perché in poche righe metà Co’Sang (l’altra è ‘Nto), ci spiega perchél’hip hop, e il rap in particolare, in Italia,a differenza che in Francia, per esempio,non attecchisce: perché il “90 percentodei rapper italiani sono scarsi” e perchéle case discografiche non ci credono poitanto. Ma non finisce qui, ovviamente ildiscorso non poteva non cadere anche suMumento d’onestà, la canzone che li hamessi nell’occhio del ciclone per il loropensiero su “chi ha sfruttato il fenomenogomorra, vendendo alla povera genteun’utopia (quella di poter cambiare lecose con delle canzoni, brutte tra l’altro)con il solo scopo di darsi visibilità” e sulgiornalismo italiano. Vita Bona – il loronuovo album - è anche altro, è un cam-biamento nel sound del gruppo, una vira-ta verso la Francia, appunto, che sfocia indue collaborazioni interessanti, una conun colosso del movimento d’oltralpe(Akhenaton) e l’altro con una giovanesperanza (Monsi du VI), oltre a quellacon Raiz e con Marracash dei ClubDogo e El Koyote ed è un atto diRiconoscenza alla loro città.Chi more pe’ mme è del 2005, VitaBona del 2009. Cosa è successo inquesti 4 anni?Beh sono successe tante cose, in primisabbiamo fatto un bel tour di 45 date cheper un gruppo hip hop proveniente dal-l’underground non è affatto male, in piùsi è allargata la nostra fan base che cipermette di far girare la nostra musicasempre di più. Se i testi raccontano per la maggiorparte i vostri luoghi e la società incui v ivete, come succedeva, in qual-che modo anche in Chi more pe’

mme, i l suono si è modif icato. Sietemolto vicini alla Francia, dove l ’hiphop è una cultura ben radicata...Si, il primo disco ha un sound molto piùunderground di questo, ma il tutto è frut-to del fatto che “Chi more pe mme” èstato realizzato più di 3 anni fa, in quan-to la sua concezione è durata almeno 2anni. In tutto questo tempo il sound del-l’hip hop è cambiato e noi siamo semprestati degli attenti osservatori. La Franciaha sempre avuto una scena hip hop for-tissima, infatti nutriamo un granderispetto per i francesi che sono riusciti afondare un proprio movimento forte.In Italia rap fa r ima con polemiche.È abbastanza evidente a chi vi rife-r ite quando parlate di gente che siè fatta i so ldi sulla scia di Gomorra.Dall’esterno sembra che quasi siaf isiologico, che ce ne sia bisogno...non c’è il rischio di parlare solo apochi?Ma il rischio di parlare solo a pochi cel’hanno un po tutti gli artisti non-com-merciali.Il brano-polemica di cui tu parli è“Mumento d’onesta”, ma è solo uno su13 tracce, non è che noi facciamo pole-mica ogni volta che scriviamo un testo.Diciamo che in questo momento ci anda-va di chiarire il nostro punto di vista sucosa sta succedendo tra gli artisti diNapoli, nell’era post gomorra.Monsi du Six e Akhenaton sonorapper f rancesi, ma con un legamecon Napoli. Cosa vi lega oltre aquesto? Con Monsi ci lega un’amicizia che durada diversi anni, visto che ha vissuto aNapoli per un bel po’, con Akhenaton cilega una rispettiva ammirazione (titolodel brano che li vede assieme ndr) per iposti da cui proveniamo e dalla musica

che facciamo.Non volete essere etichet tati comei rapper contro la camorra. Capiscoquello che vo lete d ire ma nonrischiate un fraintend imento?Di un fraintendimento non ce ne può fre-gar di meno. Essere etichettati come taliè semplicemente riduttivo e a dir pocopesante. Noi non predichiamo, non cisentiamo in grado di poter dire cos’è giu-sto e cos’è sbagliato. Mettiamo solo lanostra vita in musica per far sì che lagente si rispecchi.Veniamo a una polemica che v i haco lp ito. Non posso non notarecome parlate ad esempio anche d imagistrat i oltre a cantant i “chevog liono sf ru t tare la scena”,insomma sembra un attacco a tuttoquello che c’è stato dopo Gomorra.Il gomorrismo ha diverse facce, manon si rischia d i gettare tut to nellostesso calderone?La parte dei magistrati è stato un erroredi qualche giornalista che invece diandarsi a leggere il testo tradotto si èvalutato capace di intendere il nostrodialetto, causando la diffusione errata diuna delle nostre rime. Nto nella primastrofa del pezzo, dice “cantanti-magi-strati sfruttano la scia di un marchio regi-strato”, ecco, cantanti-magistrati , nonsolo magistrati, intendendo questi can-tanti che assumono un ruolo quasi damagistrato, riducendo la loro musica aduna utopica battaglia contro la criminali-tà. Non vogliamo fare di tutta l’erba unfascio, abbiamo fatto solo un pezzo dovepuntiamo chi ha sfruttato il fenomenogomorra, vendendo alla povera genteun’utopia (quella di poter cambiare lecose con delle canzoni, brutte tra l’altro)con il solo scopo di darsi visibilità.“Voi fate i nomi do sistema e non

chil l’ do stat ’”, ma prima non sifacevano manco quelli ...Questo è vero, adesso almeno si fanno inomi, perchè qualcuno ha capito quantisoldi si possono guadagnare sulle disgra-zie di un popolo, ma se non ci sarà maiun intervento preciso e veramente effica-ce (da parte dello stato), questo farenomi non farà altro che dipingerci persempre come un popolo di criminali. Farenomi non cambia la condizione dellanostra vita. La gente ha sempre piùpaura di venire qui, siamo visti come lafogna d’Italia. Intanto qui la fame èancora cosi forte che non c’è davvero piùsperanza per il futuro. Perché non parlia-mo dei problemi che la gente normaledeve affrontare tutti i giorni? E’ cosi faci-le condannare un peccatore. Un crimina-le o va in galera o muore da criminale,ma in tutto questo, chi gli ha permesso divivere da criminale?Da che parte stanno i Co’ Sang?Siamo dalla parte nostra. Ci siamo fatti ilculo per arrivare ad avere quel poco cheabbiamo. Ci sono le nostre vite di cuiprendersi cura, ed il nostro lavoro si chia-ma musica, non magistratura o polizia.Veniamo pagati per fare concerti edintrattenere la gente, siamo sinceri versoil pubblico. Nei nostri pezzi c’è la nostravita, fatta di sbagli e di scelte dolorose,poi sta al pubblico capire il senso dellenostre rime. Nessuno ci paga per combattere controqualcosa nè siamo nati con il dono divi-no di poter cambiare il mondo. Solo inItalia si può pretendere da un gruppomusicale di schierarsi contro qualcosaper poi attaccarlo se non si dice ciò chesi vuol sentirsi dire. www.cosang.com

di Francesco Raiola

la Vita Bona di due rappernapoletani

Co’Sang

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“Io loro e Lara”, l’ultimo film di CarloVerdone fa ridere grandi e piccini esbanca il botteghino. Stimola addirittura il

dibattito (Claudio Magris versus Carlo: sei statotroppo nichilista). Ma ai fan, quelli veri, chi cipensa? Chiedete, per cambiare campo, agli ultràdei Prodigy. L’ultimo, pecoreccio, “Invaders mustdie” entra nell’ipod di tutti i discotecari ma ilgroove di “Music for the Jilted Generation“ èinarrivabile e fa scorrere qualche lacrimuccia.Voglio un bene dell’anima a Carlo Verdone. Nonci credete? Vi cito un paio di battute a impronta,su due piedi, e neanche dai film più famosi.“…Ma come avvocà (rivolto a Sordi), la milza èn’organo superfluo? Ma che er padreterno semetteva affà gli organi superflui. Era da ricoveral-lo, era…”. Ancora: “…Ma come se fa a sta’ (par-

lando con la Muti) con uno che un giorno c’ha icapelli verdi, un altro cell’ha arancioni. Ma comec’usciva sto figlio? De martedì grasso ce usciva”. “Compagni di scuola” è un bel film “serio”, rifles-sivo, visto che è stato speso anche questo agget-tivo per definire “Io loro e Lara”, ultimo lavorodel regista romano. “Stasera a casa di Alice” è unbel film. Lo è anche “Perdiamoci di vista” con laLaura Chiatti di allora, Asia Argento. “Sono pazzodi Iris Blond” è un bel film. “Io e mia sorella” è unbel film. “Al lupo al lupo” è un bel film. “Io loro eLara” non lo è. Perché affastella troppe idee, siaffida a generici senza sugo, rivernicia stereotipi:il prete in crisi (ullalà), i giovani che si drogano indiscoteca (porcomondo), la ventenne precaria(oggi non ce n’è uno che non sia precario) che per

tirare la carretta fa la webcam girl (il Marrazzo-gate è anni luce avanti). Verdone non infila una battuta che sia una. Siride? Eccome. Ma non per situazioni o trovatebrillanti. E’ lo “strappo” comico che estorce unsorriso, ma così, per inerzia, come può esserlo unafaccia smorfiosa o un tono di voce alterato. Non sigusta quasi mai divertissment di sostanza e spes-so la battuta è didascalia (in sala si rideva, perdirne una, quando il fratello cocainomane tira sucon la narice. Tutto qua). Anche le scene si ricicla-no in carta carbone, come in alcuni cartoonDisney. La sfuriata contro la psicologa(Finocchiaro) ricorda da vicinissimo quella con-tro la psicolabile Camilla-Buy di “Maledetto ilgiorno che ti ho incontrato”. L’arrivo inatteso inun momento topico di “allegre” donne di colore

poi chiuse a chiave in bagno fa il paio con lascena dell’amichetta africana che si fionda in casadi Manuel Fantoni in “Borotalco” (1983).Fortunatamente siamo lontani dall’abisso del“Mio miglior nemico”, la più grande toppata delnostro. Ma la risacca cominciata con “C’era uncinese in coma” (1998), ancora non cessa. Tuttoquesto tempo in standby, senza smalto: fatecicaso, non ricordate neanche un film degli ultimidieci anni. E se lo ricordate fate una faccia un po’così (“Ma che colpa abbiamo noi”, “Grande gros-so e Verdone”, “L’amore è eterno finchè dura”,ecc.). Un vuoto confermato da quest’ultimo, purgeneroso, tentativo, tra l’altro dai grandissiminumeri al botteghino. Ma una cosa sono gli incas-si - euforizzanti, ma li fa anche Pieraccioni - un’al-

tra è un discorso franco sulla qualità dell’opera. Lavena, non solo comica, ahimè, s’è implacabilmen-te isterilita. Ricorda per certi versi il brancolaredegli ultimi 5 anni di Salvatores. E credo cheVerdone, in fondo, lo sappia. Ah, quanto ci/glimanca il sostegno in sceneggiatura di angelicome Leo Benvenuti, Piero De Bernard i,Enrico Oldoini. Ma tenaci e fiduciosi, noialtriper-sempre-riconoscenti fan, lo aspetteremoancora. Anche perchè senza di lui al cinema, inItalia, nun se ride più (Ficarra e Picone? Naaaaaa.Checco Zalone? Bravo in tv. Salemme?Buonanotte. De Sica? Sotto le parolacce il nulla.Luciana Littizzetto? Al cinema è incolore. AldoGiovani e Giacomo? Ma per favore).www.carloverdone.com

di Alessandro Chetta

Sbanca il botteghinoma i veri fans piangono: Carlo dove sei? L’emorragia comico-creativa anni 2000 non si arresta neanche con l’ultimo “Io loro e Lara”

Verdone quo vadis?

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Richard HawleyTruelove’s Gutter(Virgin)

Richard Hawley si èdato da fare in campomusicale. Qualcuno lo

ricorda agli inizi degli anni Novanta con iLongpigs, qualcuno a fine decennio con iPulp, gruppo che ebbe decisamente migliorsorte rispetto al primo. I più curiosi, invece,hanno letto il suo nome nelle collaborazionicon gli addetti ai lavori del pop internazionaleo nelle più recenti avventure con Elbow eArctic Monkeys. Ha messo lo zampino persi-no nella fantasiosa colonna sonora del film“Romeo + Juliet” di Baz Luhrmann, giustoper precisare chi è questo romantico tenebro-so britannico.“Truelove’s Gutter” è il suo nuovo conceptalbum, il sesto lavoro da solista. Otto lunghetracce che presentano un Hawley a luce spen-ta, in una versione decisamente più acusticarispetto ai precedenti episodi. Otto ballate cheprobabilmente non vi entusiasmeranno alprimo ascolto, ma che vi torneranno utili allaprima cena a lume di candele. Un bell’ascoltoche pecca nel non scavare troppo a fondo conuna voce che potrebbe graffiare molto di più elasciare dunque un segno indelebile. Al qua-rantaquattrenne Hawley resta comunque ilpiglio dei cantautori d’oltreoceano che esplodecome nel brano d’apertura “As the DawnBreaks” o in “Don’t Get hung Up in YourSoul”. Una serata romantica che si chiudecon “Don’t You Cry”, ma che – come tuttele serate romantiche – ricomincerà dallaprima traccia.www.richardhawley.co.uk

Micaela De Bernardo

YeasayerOdd Blood (Secretly Canadian)

“Odd Blood”: cosìintitolato l’album dellagiovane band prove-

niente da NYC Yeasayer, potrebbe ricordareai molti appassionati una serie di videogiochiprodotti nel 1994 intitolata “Oddworld”, chenarra le vicende degli abitanti alieni dell’omo-nimo pianeta grande dieci volte la terra,minacciato da una sadica società industriale. Gli alieni e il sound fantascientifico possonoessere interpretati come i fattori chiave di que-sto nuovo lavoro degli Yeasayer. L’album, pro-dotto dalla Secretly Canadian, si apre con unintro, “The Children”, degno di tale definizio-ne, che ci trasporta in una dimensione psiche-delica che si collega perfettamente agli happe-ning multicolore che caratterizzano gli showdella band. L’album prosegue seguendo un’ottica psico-elettronica che attraversa varie fasi della speri-mentazione di un nuovo ed originale sound.“Ambling”, traccia numero due, gioca in chia-ve ironica sul netto contrasto tra la voce‘umana’ del cantante Anand Wilder e il ritmofrenetico del background musicale che riempi-rebbe qualsiasi dancefloor di sudore gratuito eballetti isterici. I falsetti in “Madder Red” ricor-dano indubbiamente “Winter Wonder Land”degli Animal Collective, ma sia chiaro agliesperti: è proprio con questo brano che l’al-bum prende una piega folk-elettronica chesuccessivamente si dipana in due orizzonti cul-turali: quello scandinavo, richiamato nel brano

“I Remember”, nel quale la voce di Wilderricorda pienamente i dolci acuti di JónsiBirgisson leader dei Sigur Ros, e quello esoticodi “O.N.E”, dove tamburi tribali e sintetizzato-ri ricordano il tormentone estivo dei FriendlyFires “Kiss Of Life”. L’album prosegue con un ritmo a volte lento avolte incalzante che esalta i suoni e contrasti eche permette di esperire diversi universi musi-cali. Così scivolano perfettamente “Love MeGirl”, ”Rome” e “Strange Reunions”, braniche non fanno altro che arricchire la vena spa-smodica del ritmo dettato dalla band. Acuti nelfinale con i due brani in chiusura, nettamentein contrasto l’uno con l’altro. In “Mondegreen”ritroviamo un rock psichedelico nel quale rie-cheggiano chitarra e fiati su uno sfondo fattodi suoni distorti che rimanda a vecchie perledell’elettro indie come “Space and Woods” deiLate Of The Pier. “Grizelda” ci conduce fuoridall’astronave aliena sulla quale siamo staticatapultati attraverso una rivisitazione del mixdi sounds affrontati in questo viaggio spaziale.Ancora una volta i falsetti ci ricordano gliAnimal Collective. L’astronave atterra e noisiamo sopravvissuti a questo splendido viaggiosperimentale.www.yeasayer.net

Melissa Velott i

Jul ian PlentiIs… Skyscraper(Matador)

Con gli Interpol l’abi-tudine è quella diammirarlo algido e

deliziosamente profondo, elegantissimo difasciato in nero, con l’immancabile sigaretta ela fedele chitarra, malinconico e raffinato comefosse la reincarnazione di Ian Curtis.Lui è il loro leader, Paul Banks, che se con gliInterpol sta per finire il quarto album della car-riera, da solista ha recentemente vestito ipanni di Julian Plenti, suo alter-ego artistico,perfezionista ed impeccabile, che dalla suaGrande Mela riesce, più spigliato e sorridente,con Julian Plenti Is… Skyscraper a colle-zionare una serie delicatissima e impeccabiledi canzoni strappa-cuori, ballate contempora-nee attraverso le quali Paul/Julian esaspera ilromanticismo errante della sua band, speri-mentando nuovi universi sonori.C’è lo stampo di album Turn On The BrightLights e Our Love To Admire nel singoloprescelto per presentare al mondo l’albumstesso, “Games For Days”, e la consueta rive-rente subordinazione alla new wave di stampodark e mitigata dal pop ma ricca di fascinazio-ni moderne e metropolitane, e vincente inquella voce baritonale da manuale.Ma l’album non si limita a questo, perché con“Only If You Run”, si affacciano melodie vaga-bonde e convincenti, con “No ChanceSurvival” l’atmosfera di fa calda e tetra, peruna lullaby sofferente, con “On TheEsplanade” l’artista si mette a nudo sintetiz-zando una passione travolgente per la matricecantautorale e soffice nell’apparente minimali-smo di una chitarra classica (sospesa però traviolini e intermezzi vocali sintetici, mentre con“Fly As You Might” si fa spazio un post-rockazzardato e compiaciuto di dilatazioni sconvol-genti, il ritornello ipnotico di “Fun That WeHave” inquieta e l’amarezza strumentale di“Skyscraper” trionfa per dolcezza agrodolce diamori incompiuti.Oscuro nell’anima e nella propensione artisti-

ca, Paul Banks risulta ottimo anche senza lasua già storica band, tra glaciali influssi miste-riosi e malinconie geniali.E’ lui il nuovo Ian?julianplenti.comIlaria Rebecchi

Ret r ibution GospelChoir2(Sub Pop)

Passano alla Sub Popdopo l’esordio omoni-

mo per la microscopica etichetta Caldo Verde,gli americani Retr ibution Gospel Choir, edecco il loro secondo disco intitolato laconica-mente 2, e la band, formata da AlanSparhawk (chitarra, voce), S t eve Gar -rington (basso) ed Eric Pollard (batteria evoce), può aspirare, ora, ad un salto di scaladistributivo. Alan Sparhawk e Steve Garrington sono ineffetti componenti anche dei quieti, intellettua-li e morbidamente psichedelici Low, ma neiRGC si dedicano ad un hard blues psichedelicofatto di strappi improvvisi di ritmo e anche divolume; dunque passaggi da toni indie rocksoffusi, anche acustici, con voci filtrate in lon-tananza, fino a grandiosi riff proto stoner, condinamiche che ricordano i Procol Harum (tipi-camente in ‘Workin’ Hard’), i Grateful Dead,Johnny Winter, ma anche i compagni d’etichet-ta Blitzen Trapper (in ‘Hide it Away’, adesempio), e poi contemporanei più rocciosicome Wolfmother (‘White Wolf ’) e Year LongDisaster. E non si tratta soltanto di un divertimentoparallelo ai Low, per i protagonisti, ma di unprogetto serio, poiché il trio si impegna da dueanni in lunghi tour - sono stati l’estate scorsaanche in Europa: al Primavera Sound inSpagna, e all’All Tomorrow’s Parties nel RegnoUnito - ed è ora ripartito per promuoverequest‘album, e a marzo 2010 visiterà nuova-mente l’Europa, malgrado per adesso nonsiano previste date italiane.‘Poor Man’s Daughter’ e ‘Your Bird’ sono ibrani che soprattutto impressionano, in questodisco: definiscono infatti, in maniera esempla-re, l’impatto hard del terzetto, e le visioni bluespiù suggestive; ma anche il retro rock‘Something’s Going on’, col drumming possen-te e marziale, pinkfloydiano, di Eric Pollard, aportare il brano sulle spalle. Notevole confer-ma per una band lanciata direttamente tra igrandi nomi del rock.retributiongospelchoir.com

Fausto Turi

Daniel JohnstonIs and always was(Eternal Yip Eye)

Daniel voleva essere iBeatles. Per il suonuovo disco si è ritro-

vato a collaborare con un produttore, JasonFalkner, che ha lavorato (tra gli altri) con PaulMc Cartney. Non è proprio la stessa cosa, manon è neanche un dettaglio di poco conto, seconsideriamo che per anni il Nostro ha realiz-zato dischi utilizzando un registratore da duesoldi e poco altro. Il tentativo di “normalizza-re” (perlomeno sul piano della qualità di regi-strazione) l’arte di Johnston, operazione por-tata avanti, con diversi co-protagonisti e diver-si risultati dall’inizio degli anni ’90, è una fac-

cenda piuttosto delicata: ogni orpello, ogniminima “levigatura” del suo stile così sponta-neo, naïve e viscerale corre il rischio di snatu-rare l’essenza della sua musica. Falkner, cheoltre a produrre il disco ha suonato quasi tuttigli strumenti (tranne la batteria, suonata daJoey Waronke r, già con REM, Beck,Smashing Pumpkins), ha avuto l’accortenza dipreservare l’anima delle canzoni di Johnston,senza che gli arrangiamenti e la registrazioneprofessionale potessero risultare “posticci” opeggio ancora “scollegati” dal mood generaledei brani. Il risultato: undici canzoni, per tren-tacinque minuti circa, con una serie di episodidavvero memorabili, ed altri meno entusia-smanti. Un lavoro assolutamente godibile,apprezzabile anche da chi non hai mai ascolta-to Johnston neanche una volta. Il talento melo-dico di Daniel esplode in pop song semplice-mente commoventi come “High Horse”, la suaanima rock si rivela nella divertente “Fakerecords of rock rock and roll”, mentre la titletrack è infarcita di psichedelia agro dolce.Daniel, come sempre, alterna temi e stati d’ani-mo: un attimo prima lo trovi a rimpiangere lasua cagnolina scomparsa (la splendida“Queenie the doggie”), e poco dopo a scher-zare (?) sulla propria malattia mentale (“I hadlost my mind”). Tra le più gradite sorprese del-l’anno appena passato.www.hihowareyou.com/

Daniele Lama

Jimi Tenor & Tony AllenInspiration information(Strut)

Un po’ come “In thefishtank” dell’olandese

Konkurrent per gli appassionati di indie-rock esonorità affini, la serie “Inspiration informa-tion” della Strut ambisce a diventare un appun-tamento classico per gli amanti della musicablack (intesa in senso ampissimo: jazz, reggae,soul e commistioni varie…), con la stessa inten-zione di sollecitare incontri artistici e documen-tare poi su disco i frutti partoriti da tali ineditisodalizi. Dopo il clamoroso album firmato daMulatu Astatke con gli Helio centrics, tra l’altroforiero pure di un tour internazionale che hariscosso ovunque un incredibile successo (il loroconcerto fiorentino in aprile è al momentoquanto di meglio ho potuto vedere dal vivo que-st’anno!), il nuovo episodio della collana si posi-ziona appena un gradino al di sotto, ma sempresu altissimi livelli. A fianco dello storico batteri-sta nigeriano Tony Allen si schiera il finlandeseJimi Tenor, già frequentatore di territori afro-beat con i lavori “Joystone” e “4th dimension”realizzati rispettivamente nel 2007 e nel 2009insieme ai Kabu Kabu (non a caso presentianche qui, a dar man forte ai due attori prota-gonisti). Nato da una sessione berlinese delloscorso novembre e poi perfezionato in due suc-cessive sedute in Finlandia e a Parigi, l’eccitantemateriale di “Inspiration information 4” racco-glie danze afrobeat (“Sinuhe”, “Got myEgusi“), flauti svolazzanti (“Mama Englad”),momenti avant-soul alla Daniel Givens ma conpropulsione free-jazz (“Path to wisdom”), lampidub immortalati dall’intervento dei fiati (la sua-dente “Selfish gene”), ipnotici rituali percussivi(“Cella’s walk”, “Three continents”) e colatelaviche di grooves (“Against the wall”, “Darkerside of night”).www.jimitenor.com

Guido Gambacorta

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Bloody BetrootsRomborama(Dim Mak/Universal)

The Bloody Betrootsè, oramai, il fenomenoitaliano per eccellenza.

La ‘tendenza’ che ha proiettato l’Italia nelgotha dell’electro mondiale (senza dimenticaregli stimati Crookers, Congorock e pochi altri). Lipotremmo definire come importatori dellaparte più violenta del “french-touch” masarebbe limitativo: il progetto, sebbene affondile radici nella cultura-electro, così come intesadai pionieri Daft Punk, finisce poi per distaccar-sene quando ad avere la meglio è la “scostu-matezza” e l’attitudine sovversiva del duo,insomma è attitudine punk.Romborama è il loro primo album e riescebene a mostrare cosa sono stati e cosa sono iBloody Betroots. Un lavoro di 20 tracce (gli ine-diti sono la maggioranza, ma non mancanovecchie glorie come “Cornelius” e “I loveBloody Betroots”). Un album tosto pubblicatodalla statunitense Dim Mak e riproposto inItalia dalla major Universal. Senza esitare lodefiniamo un album punk, per la durezza deibeat e le continue esplosioni di suoni, affianca-ta ad un immaginario ed un senso di caos edanarchia trasmessi dalle grafiche di Bob Rifoe Tommy Tea. Tuttavia se a mostrare il loro darkside ci pensano tracce come “Storm”, che sem-bra davvero trasportarci nel bel mezzo di unatempesta con tanto di nuvoloni, pioggia, tuonie fulmini, è con ”It’s Better Dj on 2 Turntables”o “Thelonius” che si ‘addolciscono’ le note;come anche in “Mother” (stessa carica emoti-va di “Valentine” dei Justice) o in “Housen°84” (che ci ricorda “Veridis quo” dei DaftPunk). Numerose le collaborazioni, dai tonibarocchi dell’italiano Cecile in “Have merci onus”, all’incontro/rissa con l’amico Steve Aokiin “Warp 7.7”, mentre è notevole anche l’introcon gli All Leather.Discutibile invece la collaborazione con il rap-per italico Marracash in “Come la Cina”, sin-golo tarato per il mercato italiano, quello menodance, quasi superfluo per i palati fini masoprattutto avulso dalle dinamiche musicali deldisco.www.myspace.com/thebloodybeetroots

Luca Carusone

Mumford & SonsSigh No More(Island)

Lo ammetto, ascoltarequest’album in unaParigi autunnale e pio-

vosa, camminando in un luogo che senti tuosolo in parte, ti mette, in certi casi, in uno statod’animo malinconico dal quale non vorrestiuscire più. Quest’album d’esordio diMumford&Sons è uscito in un periodo per-fetto, diciamoci la verità. Sappiamo bene quan-to valga un buon packaging per vendere unprodotto e sappiamo bene anche quanto siaimportante azzeccare il periodo di uscita di unalbum per renderlo – rimanendo nel campo delmarketing - appetibile. Ecco! La Spin-go ci hapreso in pieno. Autunno, con momenti chericordano l’estate e altri che ti avvisano chel’inverno sta arrivando.Ma limitarsi alle temperature e al meteo sareb-be non dare merito a un album che suonaveramente bene, ascrivendosi a pieno nel filo-ne ormai non più di nicchia del nu folk britan-

nico (Noah and the whale), strizzando l’oc-chio a grandi gruppi folk americani comeCrosby Still Nash, come suggerisce la cartel-lina stampa.I colori caldi del folk e il freddo della malinco-nia che in certi punti ti assale e ti si appiccicaaddosso come una coperta calda, fanno diquesto album Sigh no More un vero gioielli-no, uscito dalle mani di Marcus Mumford,Winston Marshall , Ben Lovet t, TedDwane e del produttore Markus Dravs(Arcade Fire, Bjork, The Maccabee’s).“Sigh no more”, la title track comincia con unun coro e si sviluppa chitarra e banjo in un cre-scendo continuo che fa ben sperare e le pro-messe vengono mantenute alla perfezione da“The Cave”; “Winter Winds” e “Roll awayyour stone” sono molto americane in stileCalexico, canzoni ad ampio respiro, che ripren-dono nella seconda parte di “White blankPage” e fanno da contraltare alla più intimista“I Gave you all” che comincia rilassato conbanjo e chitarra acustica per ravvivarsi (ritmica-mente) nel finale. “Little Lion man”, singolodell’album, ha, invece, più accentuate varianticountry (ricordano i nostri Gentlemen’sAgreement in alcuni punti), continuando, poi,col folk più melanconico con “Timshel” e“Thistle & Weeds”, ancora più cupa della pre-cedente sebbene il testo, anch’esso abbastan-za cupo, si chiuda con una speranza e un con-siglio. L’album si chiude con la perfetta (anchenel titolo) “After the storm”. La melodia delgruppo continua a farla da padrona, anchegrazie alla bella voce di Mumford. Un soundche spazia nelle diverse sfumature del folk,senza mai perdere un colpo. Riprende e mesco-la, ridando anima agli stilemi del folk-che-ci-gira-intorno. Veramente un gran bell’album!www.mumfordandsons.com/

Francesco Raiola

Riceboy Sleepss/t(Parlophone)

Il polivalente Jon Thor(Jónsi) Birgisson,conosciuto magari solo

come leader dei Sigur Ros, espone in realtàda anni con lo pseudonimo di RiceboySleeps le sue opere grafiche. Quest’album,edito per la Parlophone e distribuito da Emi, èil commento a quelle opere, e nasce da unpezzo, Happiness, commento musicale di unadi queste opere, scritto per una compilation,che ha dato poi il via agli altri. Come tutti gli album solisti (anche se qui c’èanche il contributo di Alex Somers, il suocompagno) dei leader di una band importante,la domanda è la solita: perché? Perché un pro-getto solitario se poi le sonorità, le strumenta-zioni, l’ispirazione di fondo sono le stesse cheaccompagnano i lavori ufficiali della band(accade a Jonsi come a moltissimi altri)? Qui larisposta si può trovare forse nel fatto che inove percorsi musicali di questo esperimentosono più strumentali ed essenziali di quantoJonsi ci ha abituato con i Sigur Ros. Sono piùsfumati, onirici, evanescenti, più di quantoforse le esigenze commerciali per un albumtargato Sigur avrebbero consentito. Anche seproprio per i Sigur Ros parlare di esigenze dimercato è difficile: Jonsi e gli altri ci hanno giàabituato a scelte estreme e lontane dalle esi-genze di vendita. E allora, perché? Meglio nonchiederselo, e godere di queste melodie puris-sime, ispirate agli elementi, acqua, (“Atlas

Song”, “Boy 1904”), vento (“IndianSummer”, “Howl”) e aria (“Happiness”,“Daniell in the Sea”, “Sleeping Giant”) soprat-tutto, protagonisti nei richiami del violino odella tastiera, suggestivi e come sempre ange-lici, quasi provenienti da un’altra dimensione.L’unico difetto sarà forse che i nove pezzi sidissolvono l’uno nell’altro senza soluzione dicontinuità, e nella loro essenzialità sembranoessere sfumature diverse di un’unica ispirazio-ne, un’unica scia melodica di fondo su cui siinnestano a tratti rumori di natura, linee dipiano e di archi, e impalpabili cori. I Sigur Ros ridotti all’essenza, insomma, il cheè quanto dire: questo forse il concetto portan-te di un esperimento riuscito, anche se, proba-bilmente, non necessario. Suonato esclusiva-mente con strumenti acustici in Islanda (con lapartecipazione delle solite Amiina, insieme alcoro di Kopavogsdaetur), poi rivoltati alcomputer, Riceboy Sleeps ha decisamenteun “tocco organico”; i suoi sibili che sembranoonde e flutti della marea, pulsazioni e distor-sioni, e in Howl, versi di animali, grugniti, sbuf-fi e fusa. Ed è comunque profondo e con aspi-razioni spirituali. Un disco fuori dal tempo edello spazio, come e più di quanto i Sigur Rosci hanno già regalato.www.jonsiandalex.com

Francesco Postigl ione

Kings of ConvenienceDeclaration of Dependance(Emi)

La notizia era di quelleghiotte: la seconda

parte del 2009 avrebbe consegnato al merca-to musicale il nuovo, terzo album dei Kings ofConvenience, giunti al successo planetariocon Riot on an Empty Street, un successo forseinaspettato per i cavalieri di un genere di nic-chia come il folk indipendente, tanto da averfatto vacillare la compattezza del gruppo. Eperciò, ci voleva forse una lunga pausa.Rieccoli adesso, Er lend Øy e e Eir ikGlambek Bøe, norvegesi doc ma alfieri di ungenere tanto americano nella sua tradizione,che i due rinnovano con sfumature venate dimalinconia post-moderna, e evoluzioni chitar-ristiche molto indie. Dec laration ofDependance ha una produzione che simuove fra Città del Messico e Puerto Vallartain Messico, gli appartamenti privati di Erlend inNorvegia, e anche un po’ di casa nostra, preci-samente all’Esagono Studio di Rubiera, in pro-vincia di Reggio Emilia, città del loro produtto-re artistico Dav ide Bertolini.Un motivo in più per ascoltare con attenzionequesto disco, che si presenta sin dalle primebattute più scarno, più essenziale, incentratosolo sulle due chitarre e le due voci.I due si divertono a sperimentare tutte le pos-sibili opzioni della classica situazione di duoacustico (ispirati, anche in questo, a Simon &Garfunkel di cui, si può ormai dire senza dub-bio, sono gli eredi definitivi): “24-25” è neb-biosa e dark come i pezzi più ispirati del lorocollega Josh Tillmann, “Mrs Cold” è una sor-prendente bossanova in chiave norvegese, ilsingolo “Boat Behind” è un pezzo pop nellaversione meno pop possibile (solo pochi archisupportano qui l’acustica integrale del pezzo),“Rule My World” un pezzo divertito e solare,“My Ship isn’t pretty” una ballata difficile equasi da menestrello.Erlend Øye ha dichiarato di aver fatto “il disco

pop più ritmico che sia mai stato fatto senzapercussioni né batteria”, e ciò rivela la lorointenzione più profonda: colpire e stupire conl’assoluta integrità di due chitarre cercando diricavare da esse ritmo e atmosfere poppeg-gianti e solari, ma senza rinunciare agli episo-di più profondi e di chiara ispirazione nordica,che sono alla fine ciò che del disco rimaneforse più nel cuore (si pensi alla waitsiana“Renegade”, o all’autocitazione di Riot on anEmpty Street, o ancora all’intimista “Power ofNot Knowing”). Il disco è bellissimo, e consacra il duo metten-dolo fuori pericolo dalla deriva commerciale incui rischiavano di precipitare dopo il tropposuccesso di pezzi come Misread. E anche seindie lo sono ormai poco visto che l’etichetta èla Source, di proprietà EMI, bisogna dire che idue ragazzotti norvegesi hanno mantenutoalte le aspettative e anzi hanno composto unalbum più difficile e meno immediato del pre-cedente, ma forse proprio per questo più bello.Divieto assoluto di ascoltarlo in cuffia mentresi è in metro o per strada nel traffico.Prendetevi la vostra ora di pace e di ispirazio-ne a casa sul divano con lo stereo ad alto volu-me. E la Dichiarazione di Dipendenza (dallabuona musica, evidentemente) sarete pronti asottoscriverla anche voi.www.kingsofconvenience.org

Francesco Postigl ione

MSTRKRFTFist Of God(Downtown)

Fist o f God è il sec-ondo disco in studiodei MSTRKRFT. Da

quando la techno è stata sdoganata inambienti fino a pochi anni fa impensabili eparadossalmente nell’era della crisi dell’al-bum a favore d’improbabili playlist, ancheDj/producers oggi possono vantarsi di unavera discografia ed essere di conseguenzariconosciuti con lo status di “star”. Forse ildifetto di questo duo è proprio che il suc-cesso, aldilà dei numerosi remix, è arrivatoprematuramente e i tentativi di estraneità altrend, per adesso restano solo chiacchieric-cio da intervista. Nel frattempo Je sse F.Kee ler e Al-P, nonostante un passato euna concezione di estrazione punk, hannofacce, linguaggio e sound che sono ricondu-cibili a una scena electro-dance, nel frat-tempo battezzata anche Nu-Rave, trasversa-le alla nazionalità e assorbita in un soundglobale e seriale, che poco si differenziaall’interno di una lungo elenco di nomi cheindossano lo stesso modello di occhiali dasole, righe di lato e baffetti che involonta-riamente ricordano Moroder, anche se ilfriulano Giorgio è diventato affascinantesolo in vecchiaia. La critica più aspra è daintendersi nel sound. “Fist of God” è un beldisco a tutti gli effetti, sebbene in qualchecaso un po’ disordinato e ridondante. Seperò un buontempone volesse fare unoscherzo e sostituire sulla copertina il nomeMSTRKRFT con qualcun altro, non so inquanti individuerebbero la paternità deibrani. Vi sono molti ospiti presenti in “Fistof God”, soprattutto per riempire i vuotimelodici di rigide e spigolose strutture disynth compatti o acidi e colmati dalle voci diJohn Legend, N.O.R.E., E-40, Ghost faceK i l lah tra gli altri, all’insegna di un meltin’-pot hip-hop house/techno. Molto bello il

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singolo “1000 Cigarettes” dall’aria vaga-mente “Mega loman”, fa molto sigla serieTV di supereroi giapponesi.www.mstrkrft.com/

Luig i Fer rara

Hot ChipOne life stand(Parlophone records)

Il nuovo attesissimodisco degli Hot Chipconferma Alexis Tay -

lor e compagni come una delle band più crea-tive dei nostri tempi, e non soltanto nell’imma-ginario nerd digitilazzitato, di cui sono vere eproprie icone, ormai. Uscito per la Parlophonerecords, già costola della Emi, l’album ribadi-sce in chiave R&B e soul due caratteristichedistintive che il gruppo londinese non ha maicelato: cupezza compositiva e vocazione cate-goricamente dance– pop. ‘One life stand’ esce fuori da un cappello vitto-riano e non è una sorpresa, piuttosto indice diuna continuità che la band non trascura ma alcontrario persegue in maniera coraggiosa eimpertinente. Di sicuro gli Hot Chip si fannonotare dalla EMI perché testimoniano di essereassolutamente padroni di un suono brit popproprio, innovatore e sperimentale. JamesMurphy, già frontman degli Lcd Soundsytem etimoniere dell’etichetta indipendente americanadi genere più in picchiata degli ultimi anni (laDFA records) lo sa bene. In tempi non sospetti liha individuati come affini collaboratori. Al quar-to album in studio, gli Hot Chip proseguono ilprogetto professionale che hanno intrapreso, siconfermano abili manipolatori pick’nd mix eriescono ad imprimere ai suoni un mood quasipost – apocalittico.

Squisitamente occidentali per l’impostazionenew age dei testi e terribilmente anglosassoniper le partiture elettroniche, i brani del disco rie-scono ad essere cupi in maniera scanzonata,ballabili e allegri ma allo stesso tempo intrisi dipercettibili sfumature grigie. ‘Thieves in the night’ stabilisce in apertura lesonorità di tutto il disco: un assemblaggio dibeat sintetici che si intrecciano in un crescendoa tratti psichedelico e disegnano piumaggiondulari su una curva dark andante. ‘Hand medown your love’ ha un incipit martellante cheripete incessante la strofa del titolo, sullo sfon-do di una tastiera trasparente ed una batteriasound check style. ‘Slush’ è una ninna nannagospel semplicemente incantevole. ‘I feel better’ conferma lo stato di grazia, ‘Wehave love’ e ‘Brothers’ strillano ululati e innid’ amore e fratellanza, rassegnati vocalizzi, pre-diche postgenerazionali che si sforzano di grida-re alla fine del decennio l’intensa sensibilità, laprecaria vivacità, l’eccessiva creatività, lo smisu-rato individualismo che lo hanno caratterizzato.Quasi a voler ribadire valori ancestrali in bilico,principi esistenziali sospesi tra l’incertezza delfuturo e la ferma convinzione di vivere il presen-te. Suoni sperimentali e melodici, testi concisi esignificativi. Un bel disco davvero, in attesa che ilprossimo sia preventivato con l’unica promessadi giocare l’ennesima scommessa su loro stessi!hotchip.co.uk

Antonio Ciano

The KnifeTomorrow, in a Year(Rabid Records)

Detto tra noi questodoppio “Tomorrow, ina Year” dei The Knife

non è in assoluto un album pionieristico, tantomeno un esempio rappresentativo della musi-ca sperimentale e d’avanguardia. Comunque ilgesto è esemplare e quindi merita un momen-to di approfondimento. L’opera è stata com-missionata dal gruppo teatrale danese HotelPro Forma, si tratta di musicare “L’originedelle Specie” di Charles Darwin e vede la par-tecipazione di Mt. Sims con il compositore dimusica da camera Planningrock e sarà por-tata presto sui palchi in giro per l’Europa.Innanzitutto sarebbe interessante scoprire lascheda tecnica. Ci sono di mezzo essenzial-mente synth analogici trattati in maniera radi-cale che hanno egemonia gerarchica e rubanola scena a tutto; li senti ruggire come dei vec-chi leoni soprattutto se gli oscillatori non sonoin sync, lasciati liberi di schizzare ovunquecome quando si schiaccia un uovo con le mani.Chi ha lavorato al missaggio è stato magistra-le, l’output è piuttosto “decompresso” e si rie-scono a riconoscere separatamente tutti glistrumenti. La voce di Karin fa breccia nelsuono, traccia una linea melodica fiammeg-giante, ma è costretta a coabitare coi synthonnipresenti e suonati in maniera piuttostocosmica, non disdegnando qualche drone opad tirato all’infinito, almeno fino a quando ilfonico non se ne accorge e disincantandosi siricorda di abbassare il volume. Se non c’è lui,se ne occupa Olof Drei jer che gioca intima-mente con le intonazioni, le fa salire e scende-re come un ascensore in un palazzo d’inizionovecento, perlomeno quando non è impegna-to con le sue dispotiche modulazioni a farvibrare le tracks in un unico tremolo.“Tomorrow, in a Year” è teatrale, la voce dellaAndersson svetta sempre di più verso i pianialti e gli archi tracciano la linea dell’orizzonte,il resto è impressionismo puro. Se vi viene mal

di testa, non v’intimorite, forse è perché lastate usando, altrimenti inserite il secondodisco, nel quale i fratelli Dreijer riprendono unpo’ di confidenza con il pop e, anche se l’ariaè meno densa, non si differenzia estremamen-te da quella della prima parte. Qui i The Knifeprima si trasformano letteralmente in Peter,Bjorn and John, poi a un certo punto entranodei tom quasi tribali che annunciano cattivenotizie dalla divina provvidenza e…un po’ dimaltempo, ma quando subentra Karin in esta-si elettronica, i pitch di Olof, gli archi e il resto,tutto allora, come previsto implode. Ad ognimodo il pubblico li ha aspettati con fermenta-ta impazienza considerata anche l’ottimaprova solista di Fever Ray e avendo il duo dasempre avuto un’ottima intuizione nel riuscirea far parlare di se, inoltre in squadra c’è quel-la fuoriclasse di Karin Dreijer An dersson,nonché star ispirata e raccomandata diretta-mente da Odino, con ottime idee artistiche esempre maggior sorprendente personalità.Cari sperimentatori e affini, potete finalmenteuscire dalle vostre caverne underground, cisono per voi due nuovi profeti che, una voltatanto, hanno avvicendato il vecchio caro amicopop stuprato, sventrato e abbandonato allamercé di tutti. Questa convincente irruzionedei The Knife non potrà lasciare indifferente ilmercato dell’indie. Magari a sonorità un tan-tino più inusuali e ricercate si converte anchequalche nuova specie “darwiniana” di Homus“ciuffetto-cravatt ina-magl ia-a-str isce-Converse-anche-sulla-neve”, amante oltreche della propria immagine costruita, anchedel solito riff di chitarra abusato, accompa-gnato da ritornello melodico che sa di zazze-ra profumata!http://www.theknife.net/

Luig i Ferrara

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onestà musicale... il r itorno dell’ex Ritmo Tribale

di Francesco Raiola

Edda. Stefano “Edda” Rampoldiè stato, assieme ai Ritmo Tr ibale,uno dei protagonisti del rock ita-

liano di inizio anni 90, uno bravo erispettato. Ma un po’ di timore mi assa-le, derivato dal gran parlare del suoritorno sulle scene e per tutta la storia diquesto ragazzo quasi 50enne. Il rischio di fermarsi troppo sulla vita,quella vita che da quel lontano ‘96 lo havisto prima scomparire per abbracciarela droga come nuova dea e poi in comu-nità fino a poco tempo fa, e troppo pocosulla musica. Un timore dovuto ancheda una forte empatia provata verso lasua musica, i suoi testi, la sua voce chespazza via tutto: roca, sbilenca, assolu-tamente affascinante. “Semper b iot” è uno di quei dischiche forse ha bisogno di qualche ascoltoin più per essere capito a pieno, per abi-tuarsi a quel cantato a volte un po’ stra-scinato, a testi che a volte procedonoper suggestioni: “quando faccio itesti e mi viene una melodia, aproun l ibro a caso e cerco delle parolepoi compongo un testo”.

Come sei ar rivato a realizzare“Semper Biot”?Nasce che ho conosciuto Walter Somàche è coautore dei pezzi, poi ho cono-sciuto Andrea Rabuffet ti che è ilmusicista con cui ho suonato e con cuisto suonando in concerto, mi sono tro-vato in tasca quelle canzoni di Walterche a me piacevano molto, ci ho messosopra un po’ anche io le mani e... Nonme l’aspettavo, non era nei miei pro-grammi fare undisco, non avevoassolutamentepreso in consi-d e r a z i o n el’idea, alla finenon è che èstato meditato,però nel giro didue tre anni afuria di suonarliquesti pezziabbiamo detto‘ma sì provia-moci!’ e poi lecose un po’

sono venute da soleQuando e in quanto tempo sonostate scr itte queste canzoni?Beh ormai sono un po’ vecchiotte, didue tre anni fa, insomma. Ti ho v isto molto timido dallaBignardi (era ospite dell’Era Glaciale suRai Due, ndd), sebbene, paradossal-mente, al centro dell’album ci siatu (nei test i) e la tua voce mentregli arrang iament i sono, appunto,molto nudi!Sai non me l’aspettavo della Bignardi.Beh i testi non è che parlino propria-mente di me, diciamo che poi mi ci trovoavendoli scritti, ma gli arrangiamenti liha fatti Takedo (Gohara, che ha curatola produzione artistica ndr). Io non sape-vo che disco fare, sapevo che non vole-vo una band, anche perché non ce l’ave-vo, ma non ce l’avevo anche perché nonmi andava di suonare quasi con nessu-no.Infatt i leggevo che ai tempi deiRitmo Tribale por tavi così le canzo-ni e gl i alt ri le arrangiavano...Esatto, esatto... adesso non lo rifarei piùun disco così, semmai dovessi fare unaltro disco non sarebbe più così...In che senso... cioé hai idea difarne un altro? Come sarebbe allo -ra? E come suonerebbe?Il pensiero c’è, perché i testi che nonsono entrati in questo disco ci sono epotrebbero andare su un altro, ora nonso se lo faremo se ci sarà la possibilità,però appunto già pensando al fatto di,eventualmente, farne un altro, vorrei chenon suonasse come questo... Sul come

suonerebbe, non lo so, ci sto pensando. Che effet to ti ha fat to tornaredavanti a un pubblico?Beh guarda il discorso è che per viverefaccio ponteggi, e quando sono lì chesto lavorando e ho un concerto la serami dico: ‘mamma mia, devo andare asuonare, che palle!, non ha senso, vorreitornare a casa, guardare la televisione’,però al tempo stesso mi viene vogliadi... beh arrivati a un certo punto nascequasi l’esigenza. Prima suonare era unlavoro, ora è quasi un’esigenza, comedire: ‘lo faccio perché lo sento veramen-te’. Io sono una persona abbastanzaemotiva e sensibile, quindi il trovarmi difronte alla gente mi fa un po’ paura,però avendo nuovi stimoli riesco anchead affrontarla. Hai det to che per un periodo non

hai ascoltato musica... comel’hai trovata al tuo “ritor-no”?Guarda, non ascoltavo musica eadesso che la riascolto ascoltocose vecchie, non riesco a esseremolto aggiornato anche perchénon ho tempo di ascoltarla; vivodi rendita, di quelli che sonostati i miei ascolti; in pratica hoascoltato musica per quasi 30anni e adesso sono quasi 15anni che non è che ne ascoltoquanto ne ascoltavo prima. Houn bagaglio di melodie che par-tono dall’infanzia e arrivano fino

ai 30 anni. Adesso non saprei neanchedirti, forse Moltheni, anche se non è pro-prio una nuova leva. Ti è cap itato di pensare alla musi-ca e di scrivere durante quegli annidi buio?L’inutil ità e i l pessimismo che avolte macchiano l’album sembranoar rivare direttamente da lì...No in quel periodo buio musica niente,anzi dopo che ne sono uscito pensavo diaver perso del tempo a suonare. Ho pas-sato 15 anni a suonare e mi dicevo cheavevo buttato via il mio tempo, adesso,invece, che è uscito il disco posso direche... è una vita un po’ strana quelladell’artista, ammesso che tu lo sia e ionon credo di esserlo. Diciamo che inquel periodo era l’ultimo dei miei pen-sieri; oltre a non farla non mi interessa-va manco ascoltarla.Ti dà fast idio il fat to che sembrache non si possa slegare i l par laredella tua vita dal l’album? Cioè t idà fast idio questa “cur ios ità”quasi morbosa a volte?Più che altro la capisco, magari a qual-cuno interessa capire che è successo.Fastidio no, anche perché io non hosegreti, quello che faccio lo dico, anchese non sono cose belle... non mi dà fasti-dio, diciamo che forse la ripetizione...Non mi imbarazza quello che è succes-so, certo non ne vado fiero, ma alcunecose vanno dette, raccontate!myspace.com/stefanoeddarampoldi

Edda

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Innanzitutto bisogna ricordare che DieterMoebius e Joachim Roedel ius suonanoinsieme da quarant’anni, le registrazioni per

“Klopfzeichen”, primo album dei radicaliKluster con il violoncellista C. Shnitzler, sonodatate 1969. Oggi, dopo una carriera straordi-naria e unica, esce “Qua”, edito dallaKlangbad di Faust Hans-Joachim Irmler e conTim Story nelle vesti di produttore che haapprezzato ancora una volta la grande capaci-tà compositiva dello storico duo. “Qua” è unbell’album di semplice musica elettronica,merce di questi tempi piuttosto rara se esclu-diamo le imponenti releases techno-oriented,indiscusse padrone della scena. C’è poco dameravigliarsi però, i Cluster hanno sempreavuto un approccio reale e concreto con la“contemporaneità”, Roedelius e Moebius sisono lasciati appena coinvolgere dal digitale,nel senso che diciassette pezzi sono abbastan-za rispetto a quanto proposto nelle preceden-ti uscite della coppia. Si cade in errore fareparagoni con l’indissolubile passato, il disco inoggetto fila dritto fino alla fine, complice l’ot-tima scelta del percorso eufonico dei brani. La

ricchezza non ridondante di sonorità usate conla sapienza dei maestri minimalisti, non rendeprolisse le esecuzioni e le atmosfere, questavolta non lunari, possono sembrare altresì not-turne, intense e anche misteriose come in“Gissander” con melodie eteree eseguite dafauni. I beats sono fluidi e quindi la meccanici-tà di un tempo è lievemente tralasciata, e inalcune vicende pare di trovarsi davanti ad unalbum della Raster-Noton. Tutte queste consi-derazioni fanno sì che “Qua” in ogni momen-to può prendere direzioni non apparentemen-te in programma, del resto i Cluster hannosempre avuto un forte senso compositivomolto più “fisico” che “elettronico”, tradottosempre in una certa flessibilità e imprevedibi-lità. Scendono sulla terra quindi e ricreanoambienti sonori idealizzabili in un museo diarte contemporanea. L’ipotetico incontro con ilpassato, a metà strada tra “Zuckerzeit” e“Sowiesoso”, avviene in “Albtrec Com”sospesa tra un motivetto da castello dellaDisney in attesa di Cenerentola e una vignettadi “Peanuts”, in questo caso i Cluster dimo-strano ancora una volta di conoscere alla per-fezione il suono e quindi una precisa consape-volezza e “responsabilità” di ciò che stannofacendo, in ogni istante del disco, fermorestando un forte distinguo tra le personalitàartistiche dei due. Il 19 dicembre 2009 iCluster si sono per la prima volta esibiti aNapoli, al Kaleidoscope Festival. Un live che sa

di confronto, ma non di sfida,con le nuove generazioni anzi,va apprezzato il coraggio diporsi sempre in discussione. Tral’altro Moebius e Roedeliushanno deciso di suonare livesolamente il disco descrittopoc’anzi. Appena entrati nelclub, Moebius confessa:-“Spero che non sia troppogrande per noi”. Fa un certoeffetto sentir dire certe cose daun così rilevante esponente di unmo(vi)mento che ha creato cultura. I dischi e lenotizie sui Cluster sono arrivate sempre colcontagocce e con una limitata attendibilità, unpo’ come per l’Iliade e l’Odissea che sonostate tramandate oralmente per secoli e chehanno visto Omero in veste di notaio dellegesta di Ettore, Achille, Ulisse e associati. Illocale, in effetti, sarà piuttosto spazioso. Restail prestigio di aver ospitato e intervistato unadelle più grandi band di tutti i tempi e che sultempo stesso ha concentrato la sua sfida.Interessante quanto afferma Julian Cope nel

suo Krautrocksampler a proposito di “MusikVon Harmonia”: “Non sembra prodotto damusicisti contemporanei, esiste in un’epocache non è la nostra”.F. O.: Ho ascoltato “Qua”, il vostronuovo album. E’ un bel disco di musicaelettronica e siete tornati a comporredopo parecchio tempo. Cosa ci poteteraccontare di questa nuova esperienza?Moebius: “E’ stato molto bello lavorare final-mente in studio di nuovo, con un ingegneredel suono e altri strumenti elettronici, possibi-lità nuove.Roedelis: “Non c’è niente di veramente nuovo,seguiamo il nostro percorso cominciato aBerlino nel 1969 e finirà in un luogo qualsiasidell’universo e finché saremo qui sulla Terra,suoneremo in studio o dal vivo nello stile della“scuola dell’improvvisazione” che stabilimmoa suo tempo.F. O.: Generalmente avete usato stru-mentazione acustica. Per reg ist rare“Qua” avete usato tecnologia digitale enuovi sintetizzatori, apprezzate questomodo di suonare, che differenze ci sonoconsiderando il vostro modo “fisico” d icomporre musica?Roedelius: “Non uso solo strumenti acusticinei miei lavori solisti, suono tutto ciò che è uti-lizzabile e ragionevole a essere usato a uncerto punto della creatività / produzione.“Qua” è stato fatto da due di noi solo con

apparecchiature digitali, assestate e arricchiteda Tim Story che ha completato le tracce con isuoi studio-tools e plug-in.F. O.: Suonate ancora “free” o sessioniimprovvisate?Moebius: “Si, improvvisiamo sempre la mag-gior parte delle volte”.Roedelius: “Ovviamente, pressoché tutte levolte, eccetto quando sono in tour con la miacollega Alessandra Celletti o quando suonosolista recitando le mie poesie.F. O.: Esattamente quarant’anni fa, i l 21dicembre 1969, ave te regist rato

“Klopfzeichen” in un’unica sessione, aquei tempi pensavate di arr ivare f ino aoggi con una carr iera r icca di soddisfa-zioni?Moebius: “No, nessuno sulla terra è capace diguardare avanti nel futuro di quarant’anni.”F. O.: Ci potete raccontare della vostraesperienza a Forst e del le registrazionidi “Musik Von Harmonia” e “Deluxe”?Moebius: “Ci furono due modi diversi di regi-strare, la prima armonia fu improntata moltosimil-Cluster. La seconda, Deluxe, fu molto piùcostruita, molto più elaborata”.Roedelius: “Specialmente “Musik von Har -monia” fu composto nella maggior parte deicasi nel modo in cui i Cluster avevano suona-to dal vivo e in studio, improvvisando. Ci sonoalcune live-tracks da diversi concerti in“Deluxe”, ma è in qualche modo un disco ela-borato, basato sull’abilità compositiva diMicheal Rother, ma con l’approccio alla musi-ca dei Cluster come si sente dal background omeglio ancora nei brani stessi.F. O.: Nei mesi scorsi è uscito “Tracksand Traces re-released”, cosa pensateoggi di quelle sessioni con Brian Eno?Ha mai avuto modo di manifestare i lr ispetto che prova per voi?Roedelius: “Brian venne nella nostra localitàrurale e fu felicissimo di far parte della nostracomunità. Il nostro rapporto non è stato tuttoconcentrato sulla musica / registrazioni, maper il puro piacere di stare insieme e condivi-dere la propria presenza l’uno con gli altri. Cisiamo divertiti molto insieme e questo lo sipuò sentire dalle tracce dei dischi. Leggete lanuova biografia di Brian Eno “On SomeFaraway Beach” scritta da David Sheppard. Inquest’occasione Brian parla della sua collabo-razione con I Cluster e gli Harmonia con gran-de rispetto”.F. O.: Molta gente oggi non conosce i lnome di Connie Plank. Un ricordo perquesto grande tecnico/musicista?Moebius: “E’ stato meraviglioso e un grandeaiuto per molti gruppi a quei tempi.”

Roedelius:http://en.wikipedia.org/wiki/Conny_Plankhttp://images.google.com/images?hl=de&client=safari&rls=de-de&um=1&q=conny+plank&sa=N&start=200&ndsp=20But please google yourself, troverete moltissi-me informazioni su Connie. E’ stato un ottimoamico e ci ha sostenuti al massimo. E’ stato unmembro silenzioso del gruppo fintanto cheproducevamo nel suo studio. Ha aiutato iCluster con i suoi consigli sul come usare lostudio come uno strumento.F. O.: Potete spiegarci la grande esplo-sione culturale avvenuta in Germaniaall’inizio dei seventies?Roedelius: “Non c’è molto da spiegare. Nelmondo c’era tanta sofferenza a causa dellaSeconda Guerra Mondiale, fascismo e comuni-smo. Così era il momento adatto a un cambia-mento dopo quella guerra, la quale è essastessa un evidente processo culturale che sfo-cia in tali catastrofi anche a causa dell’immi-nente cambiamento del millennio con tutte lesue turbolenze. Soprattutto il fatto che stava-

mo entrando inun nuovo millen-nio fu la base pertutti i cambia-menti positivi nelcontesto socia-le.”Moebius: “Neglianni sessanta enei settanta nonesisteva una pro-pria identitàmusicale. C’erasolo Shagler ec h i a r a m e n t emusica classica,oppure band chevolevano farerock imitando quelle inglesi o americane. Cosìabbiamo preferito “sfuggire” e fare qualcosadi veramente nuovo.”F. O.: Ogg i è un buon momento per laKosmische Musik. Molte r iviste specia-lizzate hanno r iscoperto il fenomeno ele r istampe oggi escono fuori dal nulla.Inoltre c’è una buona att iv ità di musicalive e qualche nuovo disco. Vi capita diincontrare musicist i di quel momento?Moebius: “Si, a volte incontriamo qualcuno aifestival, ma molti di loro fanno la stessa cosadi vent’anni fa!”Roedelius: “Non siamo mai stati parte delKosmische Movement, non ci siamo mairispecchiati in quella categoria e abbiamolavorato sempre separatamente da quellascena etichettata come Krautrock. Abbiamocreato la musica dei Cluster come un’etichettaspeciale all’interno del campo della musicaelettronica e contemporanea. Ma spesso liincontriamo coloro che sono stati parte digruppi identificati nella Kosmische, anche senon suoniamo insieme. Molti di loro comeKlaus Schulze, Florian Schneider-Esleben,Manuel Goettsching ed altri sono nostri amici!

Luigi Ferrara

Cluster I nonni dell’elettronica moderna

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