fidaart n.12 2015 angelo morandini

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PERIODICO della FIDAart N.12 - Dicembre ANNO 2015 FIDAart

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Rivista di arte e cultura

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In copertina: Angelo Morandini, Manifesto futurista in Leoncavallo, 2012, Square, Udine 2009

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Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservatiL’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

Intervista ad un artista Angelo Demitri Morandini

News dal mondo

pag. 4

pag. 5

pag. 6-19

I Forrest Gump dell’arte

Politiche culturali

Editoriale

Merry Christmas

pag. 22-23

pag. 20-21

Arte

Mercato dell’arte? Alexander Calder

Izingqungulu Zomhlaba

FIDAartsommario12Dicembre 2015, Anno 4 - N.12

pag. 24-25L’arte dell’animazione Walt Disney - parte 2

Omaggio a ALEXANDER CALDER pag. 32Il senso del divenire, 2015

ALEXANDER CALDER

ALEXANDER CALDER

ALEXANDER CALDER

ALEXANDER CALDER

pag. 30

pag. 28

pag. 31

pag. 29

Rouge triomphant, 1959-63

Araignée rouge, 1976

Lily of force, 1945

Flamingo, 1973

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EDITORIALE

I FORREST GUMP DELL’ARTEIl noto tormentone di Forrest Gump: “Stupido è, chi lo stupido fa”, è applicabile anche al mondo dell’arte di oggi? Ogni tanto si ha questa impressione quando, osservando la produzione di quelli che sono considerati i Maestri, si incontrano delle opere che sembrano emblematiche di una crisi epocale della civiltà occidentale. Premesso che chiunque ha il diritto di proporre qualsiasi cosa, l’incredulità non riguarda tanto i contenuti o i significati, più o meno condivisibili, di certe opere di brand, e nemmeno la loro qualità estetica, sempre opinabile e assolutamente soggettiva, quanto il valore venale che il mercato mondiale attribuisce a queste “opere d’arte”. Ad esempio, gli scaraboc-chi dietro Forrest Gump sono una tipica “Lavagna” di Cy Twombly, una tela di 170x230 cm dipinta con vernice ad olio per casa e pastello a cera, venduta a novembre da Sotheby’s per 70,5 milioni di dollari. L’orinatoio al suo fianco è una replica della celeberrima “Fontaine” del 1917, il ready-made di Marcel Duchamp il quale, dopo aver buttato l’originale, negli anni 60 ha firmato, predatandoli, 16 nuovi “originali”, un dei quali venduto da Sotheby’s a 1,7 milioni di dollari. Il pavimento, invece, è una “scultura” del minimalista Carl Andre: 81 piastre di normale acciaio zincato, ciascuna di 40x40 cm e spessore 6 mm, stimato da Sotheby 1 milione di dollari. La panchina su cui è seduto Forrest Gump, infine, è una pregevole opera in acciaio zincato e legno, realizzata da... un onesto artigiano e venduta per il suo prezzo di 300 dollari. Alcuni si consolano raccontandosi che “valore del mercato” e “valore artistico” sono due cose diver-se e che, sui tempi lunghi, la Vera Arte sarà riscoperta e rivalutata; intanto, però, case d’aste, fiere, musei, gallerie, collezionisti, curatori, critici e artisti ritengono queste opere i capolavori di oggi.

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POLITICHE CULTURALI

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Intervista ad ANGELO DEMITRI MORANDINI

In basso: I Try to draw a flight, 2015, steel video Riva del Garda MAG, curated by F. Mazzonelli

and D. Isaia, der Blitz, Italy.

A sinistra: Scanning the tattoo on Baudelaire’s forehead - Genova 3, 2013, tecnica steganografica, dimensioni varibili (file)

Marcel Duchamp, in un’allocuzione del 1960 afferma: ”Tra le responsabilità (dell’artista), una delle più importanti è l’educazione dell’intelletto, anche se, professionalmente, l’intelletto non è la base per la formazione del genio artistico”. Secondo l’artista Joseph Kosuth, essendo l’arte una continua-zione della filosofia, i concetti e le idee espresse sono più importanti di un frainteso ed equivoco piacere estetico. Angelo Morandini ha abbandonato i territori sicuri dell’arte “retinica” a lungo prati-cata, per intraprendere una sperimentazione che privilegi l’intelletto e crei idee, discorsi, riflessioni, in una rappresentazione logico-simbolica che riduce, inevitabilmente, la componente emozionale. E’ intuibile che, per un artista formatosi in discipline filosofiche e informatiche, l’interesse per il pen-siero sia diventato il nucleo centrale della sua ricerca accettando il rischio che il risultato percettivo dell’opera stessa passi in secondo piano. Il suo approccio non conformistico si lega direttamente ad una concezione dell’arte come attività eminentemente mentale il cui fine non sia tanto produrre un manufatto artistico, quanto proporre nuovi modi di lettura della realtà e di ciò che (secondo lui), si intenda per arte. I mezzi espressivi utilizzati ai fini di questa comunicazione sono assolutamente liberi e variabili di volta in volta: video, elaborazioni digitali, installazioni, performance, ready made, normali oggetti straniati dal contesto per suggerire significati alternativi. Alcuni suoi lavori, partico-larmente ermetici, necessitano di una spiegazione dell’autore e possono apparire poco attrattivi per un pubblico interessato all’opera tradizionalmente intesa anche se Angelo rimane un artista sempre attento a quei valori di tipo estetico (immagini stenografiche), poetico (installazione con matite colorate, pallina da ping pong disegnata in volo), politico ((A)TenTaTo), religioso (la prova di Dio, pol-vere di sogno), sociale (la scultura Burocracy, le tele sociali), che mancano ai concettuali ortodossi.

Paolo Tomio

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Meme, 2006, assemblage, 100x100x80 cm

Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte?

Il ricordo più lontano che ho dell’arte risale a quando ero bambino. Un piccolissimo ma lu-minoso studio a Pieve di Cadore dove mio zio Sergio De Bon dipingeva. Lì c’era un forte odore di colori ad olio e i quadri non solo saturarono il suo studio ma erano tal-mente tanti che doveva metterli fino fuori dalla porta e nel vecchio giroscale di legno.

Come incidono le tue formazioni di informatico e filosofo nell’approccio artistico?

La filosofia e l’informatica sono le due mani

che uso quando mi approccio ad un fare artisti-co. Uso i loro materiali perché fanno parte del mondo che conosco e che frequento, che amo ma che odio. Insomma mi appartengono, fanno parte di me.

E la terza mano che dovrebbe essere la storia dell’arte? Sì, potrebbe, ma essendo io un feticista della parola farei una distinzione tra storia e storio-grafia. Anche se al momento i due termini sono usati indistintamente, per storia si dovrebbe intendere un insieme di fatti oggettivi mentre la storiografia è soggettiva ed entra in campo una componente interpretativa. Parlerei quin-di di una terza mano intesa come storiografia artistica.

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Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato?

Quella di Egon Schiele è stata la prima mostra che sono andato a vedere e che mi ha entusia-smato.Apprezzo poi la poetica dell’arte povera, la di-sciplina formale del minimalismo e dell’astrat-tismo geometrico, l’aspetto sociale dell’arte relazionale, i colori nel dripping dell’action painting. Mi incuriosisce la “street art” e la “ur-ban guerrilla” per le soluzioni comunicative che adottano.

Burocracy, 2010, tappi penne Bic, 50x50x50 cm

Ti riconosci in qualcuna delle teorie che hai no-minato o pensi di avere raggiunto una tua via autonoma e personale?

Mi piacerebbe appartenere ad una teoria o ad una corrente ma a seconda di ciò che sento e che vivo produco, quindi, spesso mi capita di switchare da una teoria all’altra. Insomma, prendo quello che mi serve e sono dove mi pia-ce

Cosa ti interessa dell’arte contemporanea? E,

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oggi, c’è qualcosa che non ti piace?

Farei una distinzione tra arte contemporanea e arte d’attualità. Dell’arte contemporanea mi in-teressa il suo tentativo di indagare i temi eterni, vita, morte, riparo, viaggio, ecc. attraverso un linguaggio inusuale o poco inflazionato. Ciò che non mi piace è che a volte artisti e intel-lettuali vari si prendono troppo sul serio e tutto diventa pesante, ingessato e il rischio è di per-dere la spontaneità.

Hai praticato forme e tecniche di arte “tradizio-nale” come il disegno, la pittura o la scultura

Si, pittura, acrilico, tempere, poco olio. Dopo

8 anni, non avevo più niente da dire è sparita cosi, se ne è andata. Dopo un po’ mi è venuta l’esigenza di disegnare e tutt’ora disegno molto. La scultura: non sono portato. Gli assemblaggi mi piacciono. Ora sto lavorando con la serigra-fia. Non saprei dirlo con precisione, per molto tempo ho fatto delle cose come mi venivano. All’inizio lavoravo soprattutto con la pittura. Ero nella casa di mio padre e stavo del tempo con la mia musica a dipingere, a volte pensavo a cosa avrebbero detto le persone quando avrebbero visto il quadro ma mi disturbava parecchio e cercavo di scacciare quel pensiero. Le immagini nascevano cosi, dal mio inconscio credo. Erano soprattutto facce, visi, mani. Mi ricordo che mi sarebbe piaciuto fare i ritratti. Poi per un po’ di anni ho smesso e ho ripreso dopo tanto tempo. Un disastro. Non veniva neanche un quadro.

“To swear” La prova di DIO, 2009, performance. CRAM (Art Research Center), Mezzocorona, curated by D.Toamsi, Trento, Italy

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In alto: Umbrella, 2005, ombrelli, vetro, matita assemblage, 100x100 cm

(A)TenTaTo, 2009, ostia, vetro, proiettile, 40x40 cm

Non venivano più quelle forme, quelle persone, dove erano andate?Si era esaurito? Ero guarito?

Le tue opere rientrano in quella che si definisce “arte concettuale”?

Se vogliamo classificare, sì. Ma non tutta nel mio lavoro, ho usato spesso oggetti collegati alla scrittura. Matite, penne, tappi. Sono oggetti che sento magici, potenti. Sono come bacchet-te magiche. Strumenti che lasciano un segno. Un segno voluto dal nostro intelletto. Lasciano qualcosa di sé sulla carta. Lasciano delle trac-ce di sé. Alla fine della loro esistenza, si sono consumate in mille parole, disegni segni, errori. Il loro inchiostro, la loro linfa ora non c’è più. Assomigliano per certi versi all’uomo. L’uomo come una matita traccia sul foglio bianco dell’e-sistenza tracce del suo passaggio. Quindi defini-rei la mia arte come una sorta di lapide del mio essere stato. Troppo noir?

Ritieni che l’arte concettuale sia il linguaggio più idoneo a comunicare le tue idee?

Non credo, a volte faccio delle cose che pos-sono essere etichettate come arte concettua-le. Penso che siamo d’accordo sul fatto che il termine “arte” sia un meta-concetto o concetto contenitore. Il contenuto, i lavori degli artisti, conferiscono la dignità ontologica al meta-con-cetto “Arte”. Diciamo che l’arte è un barattolo di vetro e la marmellata è il prodotto dell’artista. Personalmente faccio tanti tipi di marmellate ;-)

Alcune tue opere sono piuttosto ermetiche o prive di una connotazione “artistica” tradizio-nale. Qual è il giusto atteggiamento di chi le trovasse poco comprensibili?

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In basso: No work today, 2001, penne Bic fascia industriale, 30x30 cm

Lasciarsi guidare dall’intuito o dall’istinto in al-cuni casi, in altri leggere la didascalia.

Come si inserisce nel tua attività quella che de-finisci “arte relazionale”?

Ecco, questa è un tipo di marmellata che faccio. Quando ho cominciato il nuovo lavoro di edu-catore è nato anche il progetto delle tele sociali che poi ho scoperte essere un tipo di arte re-lazionale. Volevo vedere le persone interagire con l’esecuzione stessa dei miei lavori. Le tele sociali sono il risultato di molteplici interventi

Polvere di sogno, 2009, stampa su dibond, 25x25 cm

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realizzati da persone diverse. Ogni persona è invitata a disegnare una parte della tela, contribuendo a formare una compo-sizione basata sulla concatenazione di forme triangolari, uno schema astratto che si svilup-pa in modo imprevedibile. Accade che in uno stesso spazio possano convivere tracce di vite diverse, ideologie contrastanti, pensieri incom-patibili. Il lavoro è semplicemente un invito alla possibilità.

Qual è la ragione per cui si definisce “arte” e non un gioco di società o da un test psico-atti-tudinale?

Non ci sono le crocette.

Come affronti i problemi classici del fare arte: la forma, il colore, la composizione dell’opera?

Con le classiche soluzioni: per la forma, utilizzo meno materia possibile (“Se la forma scompare la sua radice è eterna”, 1982, Mario Merz); per il colore ricordo sempre cosa dice lo zio Picasso: “Quando non sai cosa mettere usa il nero”; nel-la composizione cerco il ritmo.

Ritieni di rappresentare nelle tue opere concetti o emozioni?

Manifesto futurista in Futuristi, Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boc-

cioni, Gino Severini, 2009, tecnica steganografica, dimensioni varibili (file)

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Le grandi idee, 2008, gabbia per uccellinibandierina stuzzichini, 40x25x30 cm

Non lo so ma non mi interessa tanto. Il mio intento è cercare negli oggetti delle qualità inespresse, non ancora evidenti. Imparare lo schema per decostruirlo, non c’è niente da in-ventare.

Sei interessato ad un “messaggio” nell’opera?

No, il messaggio non mi interessa, il mio lavo-ro è il frutto di una ricerca: ne presento l’esito nudo e crudo.

Eppure, sembra di intravedere in certi tuoi temi un forte interesse per lo “spirituale” come mes-saggio ?

Si ma non confonderei l’interesse con il mes-saggio e farei una distinzione tra messaggio ed esito di una ricerca. Se fossi interessato ad un messaggio spirituale starei facendo proseliti-smo o catechesi e questo non rientra nei miei interessi.

Come ti sembra il panorama dei giovani artisti trentini d’oggi?

Indubbiamente il migliore sulla piazza.

Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno? Gioco di squadra. Mi sembra di capire che il mondo dell’arte è una struttura molto comples-sa in cui l’artista e i suoi lavori sono un tassello di un sistema più esteso.

Segui la politica culturale trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore artistico?

Comodino immaginifico, 2010, legno, rame, filo elettrico, lampadina, 100x100x80 cm

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tra artisti locali e il circuito del contemporaneo in generale. Mancano indubbiamente spazi decorosi e at-trezzati per le arti visuali che non siano esclusivi di pochi.“Art 4 cash”, un gruppo di artisti, sta facendo un buon lavoro. Anche la comunità di San Mar-tino è sempre sul territorio con iniziative legate all’arte. Caldonazzo, il paese dove vivo è un pic-colo e silente centro di iniziative. Non capisco perché i giornali o i quotidiani documentino cosi poco questi eventi e si impigriscano invece sempre sulle stesse cose.

“NO-MADE ROOM”,2012, Installation site specific & relational aesthetics, matite, filo di lino, Lo spazio

delle idee, Trento, by F. Quadrelli & Layla Betty,

Penso che sia importante sostenere le forme artistiche orientate alla ricerca e alla sperimen-tazione che non sono consumabili come ham-burger da McDonald’s ma contribuiscano alla crescita e allo sviluppo della società e alla sua emancipazione.In questo senso sono stati importanti il ciclo di workshop formativi organizzati dalla Galleria Ci-vica del 2011 che hanno formato tanti giovani artisti e curatori. E’ importante il lavoro fatto da “ADAC”, l’Archi-vio degli artisti contemporanei trentini. L’ADAC tiene traccia delle vite degli artisti locali, ne do-cumenta l’attività e si fa promotore di progetti. Manca forse un meccanismo che favorisca in modo trasparente la formazione e lo scambio

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Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Dimenticare sé stessi. E’ indipendente da altri valori.

Chi è l’artista?

Uno che gioca con le sue ossessioni, i propri li-miti e la sua follia.

E, per finire, cosa è per te l’arte?

Domandona! Arte è un profumo che ti entra nel cervello. A volte passa per lo stomaco, altre nel cuore. Arte è un ricordo tatuato nella men-te. Arte è una parola oscena cantata talmente bene che sembra quasi cristallina. L’arte è tossi-ca, virale, malata. Arte è shoccare, arte è stare in silenzio. Arte è un‘intercapedine tra la fede e la follia.

Mart, workshop “Tele sociali”, 2013, tecnica mista su tela, acrilico, penne, 200x200 cm

Senza sbarre c’è piu amore love love love, 2013,computer graphica, dimensioni variabili

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ANGELO DEMITRI MORANDININasce a Trento nel 1975. Frequenta il corso di laurea magistrale in logica, filosofia e storia della scienza. Attualmente lavora in più campi e molto diversi tra loro:come sistemista informatico presso la pubblica amministrazione di Trento, collabora con una cooperativa sociale come educatore curando la parte creativa; progetta laboratori artistici assieme alla didattica del Mart di Rovereto. Parallelamente agli studi filosofici e a quelli scientifici realizza disegni, installazioni, foto e video programmi, intrecciando lo studio con la ricerca artistica, che si sviluppa intorno alle possibilità del linguaggio. Frutto di tali ricerche sono Omaggio a John Searle un generatore di frasi casuali esposto nel 2005 presso la KunStart di Bolzano, Matrici affini, video software presentato nel 2008 durante Manifesta7 alla Galleria Civica di Trento e Dialogo tra vertici, video software del 2010 proiettato presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento.Ha inoltre realizzato Catena binaria, un video programma dalla grammatica binaria (struttura formata da punti e linee simili a un codice morse in movimento) che si presenta sotto forma di dialogo visuale il cui unico fine è quello di “funzionare”. Gradualmente Morandini comincia una riflessione sul tema della convivenza sviluppando una metodologia attenta al processo e alla relazione, di cui fanno parte le Tele Sociali. Tele di grande formato realizzate con tramutare di triangoli disegnati a china che seguono il flusso dell’accumulo e dell’ossessione, divenendo vere e proprie “ragnatele emozionali” che possono essere disegnate direttamente dagli spettatori in una performance che vuole essere

una sorta di “opera d’arte allargata” in cui i diversi schemi di pensiero dei partecipanti e l’elemento della casualità diventano protagonisti. A partire dai numerosi appunti grafici, i suoi lavori si articolano con modalità ed esiti differenti che lo conducono all’installazione. In bilico tra immobilità e flessibilità, tra fissità ed equilibrio precario, Morandini assembla insieme elementi naturali e artificiali, usando con ampio interesse l’informatica ed il suo linguaggio matematico in un ambito che coinvolge sensibilmente il rapporto tra arte, natura e scienza. Workshop Cesare Pietroiusti . Arte relazionale e immateriale, outside art, underground art. Trentoship/Trento.link Fondazione Galleria Civica. Alberto Garutti. Arte nello spazio pubblico / arte pubblica. Trentoship/Trento.link Fondazione Galleria Civica. The Otolith Group . A Long Time Between Suns. Trentoship/Trento.link Fondazione Galleria Civica.Solo show 2015 “I Try to draw a fly”, video installation, Location: Riva del Garda MAG, cura F. Mazzonelli and D. Isaia, der Blitz, Italy.2013 “Scanning the tattoo on Baudelaire’s forehead”, Mixed media, Genova, cura by M. Vallebona, Italy.2012 “NO-MADE ROOM” Installation site specific & relational aesthetics. Lo spazio delle idee, Trento, cura F. Quadrelli & Layla Betty, Italy. 2012 “OOO: Out Of Office” Mixed media. Andromeda Art gallery, Trento, cura L. Penasa, Itlay.2012 “Le parole che non ti ho detto”, Upload Art Project, Trento, cura F. Mazzonelli, Itlay.2010 “Dialogo d’identità”, School of Arts University of Bahia , Bahia, cura Alice Mosanghini, Brazil.2010 “Binary chain” Location : AISC2010 – Seventh annual meeting of the Italian Society of Cognitive Sciences. University of Trento, Faculty of Sociology, cura Marco Cruciani, Italy.2010 “Tu non esisti” Location : UfoFabrik Art Gallery, Moena, curat Alice Mosanghini, Itlay. Group show 2012 “T he limits of control in the dynamism of labyrinthine pattern formation” Sculpture, drawing., ABOUTNESS Contemporary Art Gallery , Genova, cura M. Vallebona, Italy .2012 “Open Project” Il Germogliatore, relational aesthetics. Corte P. Stelzer, Pergine, Trento, cura

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FIDAart copertina del N.12 2015

Periodico di arte e cultura della FIDAart

Curatore e responsabile

Paolo Tomio

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Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015

della rivista FIDAart

sono scaricabili da:

www.fida-trento.com/books.html

Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015

della rivista FIDAart

sono sfogliabili su:

http://issuu.com/tomio2013

FIDAart

C. E. Tommasini, Italy. Selection Committee : C. Pietrantonio, D. Sommadossi, F. Nardelli, C. Gelmi, F. Piersanti , C. E. Tommasini.2012 “SQUARE project” Manifesto futurista in Leoncavallo, digital art. Location: Teatro San Giorgio, Udine, cura F. Agostinelli, Selection Committee: F. Agostinelli, F. Giromini, V. Vella, Italy.2012 “MART-UP” Tecno ragni, object design laboratory. Location: MART, ROVERETO, cura A. Casagranda, Italy.2011 “Terapia d’arte“ Tele sociali, relational aesthetics. Coredo, cura G. Lorenzoni, Politiche Giovanili, Italy.2011 “Altre menti” Tele sociali, relational aesthetics . Location: Fondo, cura coop. Kaleidoscopio, Italy.2011 “La ricerca dell’assoluto” (A) - TenTaTo, sculpure. S.Agnese Curch, Denno, cura P. Weber, Italy.2011 “AQUAE” Titanic: Uno sguardo sull’acqua dei precari, drawings. Molino Ruatti, cura D.A. Angeli, Italy.2011 “Codex vitae” Matrici affini, Mani binarie, video software, drawings. University of Cognitive Sciences, Rovereto, cura M. Tomasi & F. Bacci, Italy.2010 “ Intersection ” (A) - TenTaTo, sculpture, Location: Intersection, KunstArt, Il Pontecontemporanea Art Gallery, Bolzano , cura D. Tomasi, Italy.2011 “Sebben che siamo Donne” Catena binaria, Penelope chiama Ulisse, video software, installazion, Location: Palazzo Libera, Villa Lagarina, Trento, cura di A. Madesani, A. Cossu, Italy.2010 “The bar” Videosoftware. Location: EASST, Practicing science and technology, performing the social University of Trento, Faculty of Sociology, cura F. Quadrelli, Italy.2009 “Oltre il muro” “1|2” , Sculpture. Location: Palazzo Assessorile, Cles, cura G.Lorenzoni, Italy2009 “To swear” La prova di DIO, Sculpture. Location : CRAM (Art Research Center), Mezzocorona, cura D.Toamsi, Trento, Italy.2008 Manifesta7 “Matrici Affini”, Digital-Art. Location : Contemporary Art Gallery, Trento, cura F.Cavallucci, Italy.2008 KunstArt “Omaggio a Searle”, Digital-Art. Location: Modern Contemporary Art review, KunstArt, Bolzano, Itlay. Collabora con: ABOUTNESS Contemporary Art | Vico dei Garibaldi 12r, Genova, Italy e con Resonance gallery | Bulgaria, Plovdiv 4000 |14 Parchevich str.

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MERCATO DELL’ARTE ?

ALEXANDER CALDER (1898-1976), POISSON VOLANT, 1957, ‘mobile’ appeso, lamiera verni-ciata, asta, filo di ferro, 61x 226x102 cm, vendu-to da Christie’s New York, 2014 a $ 25.925.000 (€ 18.900.000). Vedi fig.in bassoAlexander Calder, una delle figure più influen-ti della scultura del 20° secolo, nasce nel 1898 in Pennsylvania in una famiglia di artisti in cui, fin da bambino, dimostra una grande creatività. Nel 1919 si laurea in ingegneria meccanica ma già nel 23 decide di dedicarsi completamente all’arte: studia pittura e disegno a New York e nel 26 si trasferisce a Parigi, nel quartiere di Montparnasse, dove rimane per otto anni co-noscendo i maggiori artisti internazionali. Sono i tempi in cui realizza figure fatte solo con il filo di ferro, sagome molto dinamiche che ricorda-no un disegno nello spazio, e costruisce ‘Le Cir-que Calder’, un circo in miniatura composto da persone, cose e animali mossi da meccanismi ingegnosi, con cui si esibisce in spettacoli.Nel 1930, dopo lo ‘schock’ (parole sue) ricevuto dall’incontro con Mondrian, la sua improvvisa conversione all’astrazione geometrica: entra nel gruppo ‘Abstraction-Creation’ e l’anno seguen-te presenta le prime sculture cinetiche astratte. Inizialmente realizza piccoli oggetti motorizzati o da mettere in movimento mediante cinemati-smi manuali, poi è la scultura stessa che modifi-

ca ‘autonomamente’ la propria forma.Alexander Calder è l’artista che ha rivoluziona-to l’idea di scultura convenzionalmente inte-sa come forma plastica solida, chiusa, finita e appoggiata stabilmente al terreno. Egli ribalta completamente questa concezione liberandola dai vincoli storici del peso, della gravità e della staticità: le sue sculture diventano infinitamen-te leggere, in continuo movimento nell’aria poiché dotate di un equilibrio precario grazie al quale la loro forma e posizione variano nel tem-po e nello spazio. L’amico dadaista Marcel Du-champ le battezza “mobiles”, un gioco di parole francese che significa sia ‘ciò che si muove’ sia ‘movente’. Nascono così, le sagome dalle forme astratte in lamiera colorata che ricordano le im-magini surrealiste, bilanciate tra di loro tramite sottili astine di filo di ferro e appese al soffitto con un cavetto intorno al quale poter ruotare così da rendere il tutto sensibile ai minimi spo-stamenti d’aria. (vedi pag. 21 e 28) L’artista-ingegnere interpreta lo spazio come forza vitale ed energia dentro cui si muovono i ‘mobiles’, i quali, regolati da semplici principi fisici di ten-sione ed equilibrio, riassumono in sé le carat-teristiche proprie della modernità: sono mobili, informali, dinamici, leggeri, casuali, variabili nel tempo e vicini all’idea stessa di natura, però, senza alcun intento mimetico. Oltre ai ‘mobiles’

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ALEXANDER CALDER

cinetici sospesi al soffitto, che realizza perso-nalmente con cesoie, pinze e martello, Calder inventa anche sculture per interni ed esterni, definiti ‘mobiles permanenti’, costituite da basi appoggiate a terra che portano aste di acciaio dotate di movimenti vari (vedi a pag.31). Contestualmente, l’artista prosegue la sua rivo-luzione progettando delle sculture astratte fisse e autoportanti, complicati oggetti tridimensio-nali soprannominati ‘stabiles’ da Arp: una via di mezzo tra macchine fantascientifiche e mostri preistorici, costruite con lamiere di acciaio sa-gomate, assemblate con bulloni a vista e verni-ciate in tinte vivaci. Le realizza via via sempre più complesse e monumentali, connotate da pochi appoggi puntiformi a terra e da curve slancia-te nel cielo che le rendono del tutto particolari nel panorama dell’’arte pubblica urbana’ (vedi a pag.29 e 30). Gli ‘stabiles’ non possiedono un prospetto principale, un fronte o un retro perché la loro visione cambia continuamente a seconda dei punti di vista rendendone difficile la comprensione. Inoltre, poiché a causa delle grandi dimensioni è possibile penetrare dentro

Due ‘mobiles’: “Untitled” (rosso), 1957, venduto da Christie’s 2012 a $ 6.354.000 e “Snow Flurry”, 1950,

(bianco) venduto da Christie’s 2012 a $ 10.386.000

e sotto la struttura, i grandi ‘stabiles’ sono una innovativa sintesi tra scultura e architettura. Nelle opere di Calder si avverte intuitivamen-te una vena gioiosa e giocosa che si esprime attraverso la costante ricerca della bellezza compositiva delle forme organiche e dei colori. Infatti, è piuttosto evidente che lo scultore si ri-ferisce ampiamente al mondo della natura per trarre l’ispirazione sia delle sculture mobili che di quelle stabili, nelle quali gli spettatori ama-no riconoscere le forme biomorfe di vegetali o animali stilizzati. Però, egli è qualcosa di più di uno scultore: è un poeta della levità che si esprime attraverso il movimento in quanto ma-nifestazione della vita; mentre il gioco casuale delle superfici sospese e delle relative ombre proiettate sul muro, associate al suono del con-tatto tra le strutture metalliche, è quanto di più vicino ad uno stato di meditazione Zen. Giustamente, Alexander Calder è stato definito l’unico artista nella storia ad aver inventato e poi praticato una forma d’arte tutta sua.

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ARTE

“Izingqungulu Zomhlaba” che, nella lingua Zulu sudafricana, significa “Madre terra”, è un gruppo composto da giovani artisti provenienti da diversi stati africani, i quali hanno rifiutato il naturalismo figurativo troppo connotato et-nicamente che caratterizza la maggior parte della produzione artistica del loro continente, scegliendo di esprimersi con il linguaggio del-la modernità. Da qui la scelta di lavorare a un progetto che cerchi di sviluppare un punto di vista originale sulla questione africana e una ridefinizione degli strumenti critici di approc-cio e analisi della storia dell’Africa, per liberarsi dall’egemonia artistica e culturale Occidentale ed eurocentrica nei confronti del mondo “sot-tosviluppato”, dai suoi pregiudizi, stereotipi e dall’ignoranza con cui decide ciò che è mo-derno da quello che è tradizionale, ciò che ha il diritto di far parte della storia da quello che invece deve essere relegato al di fuori di essa, isolato e cristallizzato in un presente atempo-rale. Il tema portante della loro prima mostra itinerante “Izingqungulu Zomhlaba”, affronta un problema particolarmente cruciale: il futu-ro della ‘Terra’ intesa sia come il pianeta che ci ospita, sia la ‘terra’, l’elemento su cui cresce e vive tutto ciò che è fonte di sostentamento e mantiene in vita tutti i suoi abitanti. Un proble-ma centrale in un continente immenso come l’Africa, sempre più soggetto a drammatici cam-biamenti climatici che sconvolgono intere aree geografiche e costringono le popolazioni locali, o a una conversione forzata all’agricoltura se-dentaria oppure a migrazioni epocali. Il Gruppo intende denunciare questa situazio-ne tramite gli specifici strumenti dell’arte ma anche ripensare il proprio futuro mettendo in discussione un ruolo da sempre subalterno nel tentativo di riappropriarsi criticamente del pro-

CANAVALIA ENSIFORMIS, Mali, 23x10x37 cm

ERIBROMA OBLONGUM, Camerun, 34x13x35 cm

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prio passato per ritrovare le vere “radici”. L’impegno degli artisti è rivolto a risvegliare le coscienze sia dei giovani africani indicando loro un obbiettivo alternativo alla cultura dominan-te, sia delle generazioni più anziane testimoni silenziosi della perdita della loro storia travolta da un presente incomprensibile. L’Africa è an-cora in tempo per rifiutare i modelli importati e imposti da forze economiche esogene e basa-ti sullo sviluppo di un’agricoltura intensiva e la diffusione di colture che utilizzano ibridi o semi geneticamente modificati, in contrasto con tut-te la tradizioni dei suoi popoli. Solo proteggen-do il patrimonio delle varietà vegetali, i prodotti alimentari e le tradizioni gastronomiche che mantengano l’attuale biodiversità, sarà possi-bile garantire a tutti uno sviluppo equilibrato e democratico. Il percorso che Izingqungulu Zomhlaba propone per affrontare una catastrofe ecologica rovino-sa per le terre della fascia equatoriale, è quella di recuperare le antiche cosmogonie degli in-digeni, tutt’altro che infondate, e riproporre la sapienzialità dei vecchi per ritrovare il legame con la terra attraverso il grande mito universale della Terra Madre. Un ritorno a una concezione in cui il rapporto è diretto tra l’Uomo e la Natu-ra, la Grande Madre che lo nutre e gli permette di vivere e crescere in armonia con il Tutto. Per promuovere questi valori, ognuno degli artisti espone numerose teche in vetro che contengo-no le principali varietà autoctone dei loro terri-tori, simboli evidenti a tutti di una storia e di un mondo che rischia di scomparire. Astratte dal loro contesto quotidiano ed elevate a oggetto artistico simbolo di una bellezza eterna, le pian-te, simili a sculture moderne dalle forme e dai colori magici, assumono così una valenza forte-mente suggestiva.

AFZELIA AFRICAINE, Camerun, 33x18x56 cm

THEOBROMA CACAO, Madagascar, 38x18x51 cm

IZINGQUNGULU ZOMHLABA

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L’ARTE DELL’ANIMAZIONE

Nel periodo 1942-49 gli Walt Disney Studios realizzano sei lungometraggi piuttosto mode-sti ma, subito dopo, inizia una nuova stagione d’oro. “Cenerentola”, nel 1950, l’adattamento di una fiaba di Charles Perrault in cui una bel-lissima ragazza, orfana dal carattere solare, amica di due simpatici topini (Giac e Gas Gas), angariata dalla Matrigna, dalle due sorellastre sciocche e sgraziate, Genoveffa e Anastasia, e anche dal gatto Lucifero, incontra e sposa il Principe Azzurro (vedi in alto). Nel 1951, “Alice nel Paese delle meraviglie”, omaggio al capola-voro di Lewis Carroll, racconta le surreali e vi-sionarie avventure di Alice e i suoi incontri con personaggi assolutamente bizzarri e demen-ziali. Pellicola tuttora modernissima per la rap-

presentazione di un mondo naturale onirico e incantato abitato da uno Stregatto psichedelico ante litteram e governato dalla follia allucinata della Regina di Cuori (vedi immagine in basso).Poi, nel 53: “Le avventure di Peter Pan”, un gran-de classico basato sull’opera teatrale dei primi del ‘900. Tre fratellini guidati da un giovane elfo volano nel cielo sopra Londra, arrivando nel Pa-ese che non c’è e, in una sola notte, vivono mille avventure affrontando pirati ferocissimi e ogni tipo di pericolo. Impossibile dimenticare le esi-laranti scene di Capitan Uncino, il fido Spugna e il coccodrillo. (vedi pag.25). Nel 1955, segue “Lilli e il Vagabondo”, il primo lungometraggio d’animazione realizzato in Ci-nemaScope. Alla sua prima uscita è un incredi-bile successo: pur essendo una semplice storia di cani, incassa una cifra superiore a qualsiasi altro Classico Disney, dopo Biancaneve. La cena romantica di Lilli e Biagio culminante in un ba-cio fortuito mentre i due ingoiano lo stesso spaghetto, è considerata una scena iconica nel cinema americano (vedi pag.25 in basso).Quando si dice Disney, in realtà, dietro ad ogni sua storia esistono anni di lavoro di un’equipe di disegnatori, animatori e registi che sono i veri responsabili del film. Tra questi, i cosiddet-ti “Disney Nine Old Men” (i Nove Vecchi), oggi tutti scomparsi, ai quali è riconosciuta la pater-nità artistica della creazione di quei personaggi amati dal grande pubblico. Ad esempio, Marc Davis, dopo aver iniziato con Biancaneve, ha sviluppato/animato i personaggi di Bambi e Tip-pete (in Bambi), Malefica, Aurora e il corvo (in La bella addormentata), Crudelia De Mon (ne La carica dei cento e uno). I lavori di Frank Tho-mas, unitosi a Disney nel 1934, comprendono la Matrigna (in Cenerentola), la Regina di Cuori (in Alice nel paese delle meraviglie) e Capitan

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L’ARTE DELL’ANIMAZIONE - - parte 2

Uncino (in Peter Pan). Ward Kimball è respon-sabile di molti personaggi fondamentali: il Gril-lo Parlante di Pinocchio), il gatto Lucifero, Giac e Gas Gas (in Cenerentola), il Cappellaio Matto e lo Stregatto (Alice nel paese delle meraviglie).Oppure Milt Kahl, autore sia di Pinocchio che di un ricco repertorio di ‘cattivi’ tra cui lo Sce-riffo di Nottingham (in Robin Hood) e Madame Medusa (in Bianca e Bernie). Wolfgang Reither-man, animatore e regista ha ideato la fuga del principe Filippo dal castello di Malefica con la battaglia finale contro il drago sputa fuoco (La bella addormentata), la spaventosa balena di Pinocchio), il Coccodrillo con la sveglia nello sto-maco (in Peter Pan), e il perfido Ratto (in Lilli e il vagabondo). Dopo la morte di Walt nel 1966, ha prodotto tutti i film d’animazione Disney. “Le avventure di Peter Pan” è l’ultimo film Disney in cui tutti i Nine Old Men hanno lavorato insieme come direttori dell’animazione.Una peculiarità dei cartoni animati della Di-sney è che anche i comprimari o i personaggi di secondo piano, sono sempre caratterizzati e interpretano dei ruoli efficaci nell’economia della storia. Come, Sir Hiss (il serpente in Robin Hood), Edgar il maggiordomo (in Gli Aristogat-ti), i gatti siamesi combinaguai di Lilli, fino ai sette nani che tutti conoscono per nome.Nel 1959, La bella addormentata nel bosco chiude un ciclo e, dopo di allora, per i successivi tre decenni la Disney non realizzerà altri car-toni tratti da fiabe antiche. Tra i meriti di Walt Disney, infatti, c’è la capacità recuperare e rivi-sitare (spesso, reinventare) con un linguaggio moderno e affascinante, molte favole classiche oramai dimenticate dalla cultura popolare.Si tratta di capolavori che hanno più di sessan-ta anni e tuttora mantengono una freschezza e piacevolezza che incanta grandi e piccini. E’ lo

“stile Disney” che si ritrova in tutte le sue pel-licole, per certi versi uno “standard” collaudato e codificato ma, sicuramente, di altissima qua-lità con delle punte di vera genialità. Da allora, chiunque si sia cimentato nel cartone animato ha dovuto fare i conti con lo stile dello ‘zio Walt’ prima di riuscire a sviluppare dei linguaggi au-tonomi altrettanto apprezzati dal pubblico. Non a caso, tra il 1932 e il 1969, la Disney ha vinto ben 22 Oscar, tra cui tre Premi Speciali: uno per la creazione di Topolino, uno accompagnato da sette piccoli Oscar per Biancaneve e i sette nani, e l’altro per il suo contributo musicale nel campo dell’animazione. Nessun altro si è mai lontanamente avvicinato a un simile record. - Continua -

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News dal mondo

ALEXANDER CALDER

ALEXANDER CALDER

ALEXANDER CALDER

ALEXANDER CALDER

Omaggio a ALEXANDER CALDER

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Rouge triomphant, 1959-63

Il senso del divenire, 2015

Araignée rouge, 1976

Lily of force, 1945

Flamingo, 1973

Dicembre 2015, Anno 4 - N.12

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ALEXANDER CALDER, ROUGE TRIOMPHANT, 1959-63“mobile” appeso, lamiera verniciata, asta e filo di ferro 279x584x457 cm, Christie’s Londra 2012: $ 9.680.150

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ALEXANDER CALDER, FLAMINGO, 1973

Federal Plaza Chicago, “stabile” in acciaio verniciato

altezza mt. 19.30 e peso 50 tonnellate

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ALEXANDER CALDER, ARAIGNÉE ROUGE, 1976esplanade de La Défense Parigi, in acciaio verniciato

altezza mt. 15.00 e peso 75 tonnellate

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ALEXANDER CALDER, LILY OF FORCE, 1945, “mobile” permanente, lamiera verniciata, asta e filo di ferro 233x206x226 cm,Christie’s New York 2012: $ 18.562.500

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PAOLO TOMIO, Omaggio a ALEXANDER CALDER“Il senso del divenire”, 2015 digital art su Dibond, 270x180 cm

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