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Emilia Romagna
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Come appare evidente dalla figura 1, l'Emilia-Romagna è la
regione che fa da cerniera tra l'Italia settentrionale e quella
centro meridionale. Essa, infatti, occupa la parte meridiona-
le della pianura Padano-Veneto-Romagnola, confinando a
nord con Lombardia e Veneto, ed ovest con Piemonte e Ligu-
ria, a sud con Toscana, Marche e Repubblica di San Marino,
ed a est è bagnata dal mare Adriatico. Già dal nome si capi-
sce che la regione è nata dall’unione di due diverse unità
territoriali, Emilia e Romagna, che sin dalle origini, e fino al
1859 (anno dell’annessione al Regno d’Italia) hanno avuto
percorsi storici diversi.
Già in epoca preistorica, quando i gruppi umani si stabilizza-
rono sul territorio, cominciando a praticare l’agricoltura,
nella regione convivevano due diverse civiltà: quella ad o-
vest del fiume Panaro che nell’età del bronzo darà origine
alla cosiddetta cultura delle terramare, caratterizzata da a-
bitati protetti da argini di terra, da capanne su palafitte e
dalla pratica della cremazione dei morti; la civiltà villanovia-
na, nella parte orientale, nella quale si registrò la transizione dagli insediamenti sparsi alle forme preurbane
e ai primi collegamenti territoriali complessi: il suo nome deriva da un gruppo di tombe rinvenute a Villano-
va di Castenaso, nei pressi di Bologna.
Come si può osservare in figura 3, il territorio dell'Emilia-Romagna è una regione prevalentemente pianeg-
giante, infatti le pianure (quella Padana e quella Romagnola) occupano il 47,8% del suo territorio. Le colline,
il 27,1% del territorio, e le montagne, il 25,1% del territorio, diversamente dalle altre regioni della Italia set-
tentrionale si trovano nella parte sud. Tratto caratteristico della morfologia della regione è che il trapasso
da una zona altimetrica all’altra assume raramente aspri contrasti. Il paesaggio ha quasi ovunque forme
morbide e dolci.
La struttura montuosa della regione è costituita dall’Appennino settentrionale e centrale, divisi dal passo del
Fumaiolo. Più specificamente, dell’Appennino settentrionale fanno parte: la coda del settore ligure, incunea-
ta, con alcuni massicci che superano i 1.700 metri di quota (monti Lesima, Penna, Maggiorasca), tra Lom-
bardia, Piemonte e Liguria, che termina per convenzione al passo della Cisa (1.041 m) ed il versante setten-
trionale dell’Appennino tosco-emiliano. Questa sezione appenninica non presenta una linea continua di cri-
nale, ma è costituita da tronconi di varie catene, ciascuna delle quali per breve tratto forma lo spartiacque
tra i fiumi che scendono all’Adriatico e quelli che sfociano nel mar Tirreno, separate da valli poco profonde,
secondo la cosiddetta disposizione “a quinte”. Ha cime non aspre e che solo in alcuni casi superano i 2.000
metri; la massima elevazione è rappresentata dal monte Cimone (2.165 m). Sono caratteristiche di questo
tratto dell’Appennino le molte dorsali che si diramano dalla principale linea di cresta, determinando una ti-
pica morfologia a pettine; alle dorsali montuose fa seguito una fascia di modeste alture collinari (Subap-
pennino). L’Appennino centrale, invece, è presente nella zona sud-orientale, con il settore tosco-romagnolo.
Le forme dei rilievi sono determinate soprattutto dalla natura delle rocce, che alternano formazioni tenere e
quindi facilmente soggette all’erosione ad altre molto compatte e resistenti; vi è comunque una diffusa pre-
senza di terreni argillosi friabili, che costituiscono il fattore determinante la morbidezza delle forme, ma che
sono facile preda dell’attività erosiva, soprattutto da parte delle acque di scorrimento. Si formano in questo
modo i cosiddetti calanchi (tipici soprattutto dell’Appennino romagnolo), piccoli solchi fittamente e minu-
Figura 1 Posizionamento geografico dell'Emilia Roma-
gna
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tamente
ramificati
e soggetti
a erosione
accelerata.
Frequenti
sono
ciò le fra-
ne, sia
nell’Appen
nino sia nel
Subappen-
nino.
Strutture
orografi-
che a parte
sono la
Pietra di
Bismanto-
va (figura
4) in pro-
vincia di
Reggio E-
milia, i
Sassi di Rocca Malatina (figura 5) in provincia di Modena
ed il Monte Titano (figura 2) nel territorio della Repubbli-
ca di San Marino.
La pianura miliano magnola, come l’intero complesso Padano-Veneto-Romagnolo, è di origine alluvionale. Diversamente dalla parte occupata dalle altre regioni settentrionali, però, qui non troviamo una discriminazione netta tra l’alta e la bassa pianura, l’intero territorio è fertilissimo, fatta
Figura 3 Carta fisica dell'Emilia Romagna
Figura 2 Il Monte Titano
Figura 4 I Sassi di Rocca Malatina
Figura 5 La Pietra di Bismantova
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eccezione per la sezione settentrionale della fascia costiera, dove i terreni no salmastri e paludosi. In particolare, la pianura Padana è composta dagli affluenti di destra del Po, provenienti dall’Appennino settentrionale, mentre la sezione Romagnola è for-mata da fiumi che scorro-no direttamente al mare, provenienti dall’Appennino bolognese e tosco-romagnolo. Il litorale adriatico, tipica-mente basso e non adatto
ai porti, presenta due zone ben diverse. A nord, tra il
tratto emiliano del delta del Po (in provincia di Ferrara) e la foce del fiume Reno, si susseguono una serie di aree depresse, con lagune, isolotti fangosi e terreni paludosi: è una zona instabile, soggetta alternativamente alle alluvioni fluviali e alle ingressioni del mare. La più vasta depressio-ne corrisponde alle cosiddette Valli di Comacchio (il nome “valle” deriva dall’argine, vallum in lati-no, eretto a difesa dei terreni); già all’inizio del XX secolo si estendeva per circa 500 km², quasi un quinto del territorio della provincia di Ferrara, ma è stata poi quasi interamente prosciugata e bonificata per renderla adatta all’agricoltura, ormai fiorente. Dalla foce del Reno sino al confi-ne con le Marche il litorale è uniforme e sabbio-so; la pianura retrostante ha terreni compatti e fertili. Il Reno, con i suoi 211Km. di lunghezza ed un ba-cino idrografico di 4.626Km2, è il fiume più lungo
della regione. Ha le sue sorgenti nel monte mone e sfocia nell’Adriatico poco a sud delle Val-
li di Comacchio. Il Po segna il confine con la Lombardia (tranne che in corrispondenza con la provincia di Mantova) ed il Veneto, e riceve tutti i corsi d’acqua emiliani a nord del Reno, tra cui i principali sono: il Taro, che nasce sul Monte Penna, nell’Appennino Ligure; il Secchia ed il Panaro, entrambi provenienti dall’Appennino tosco-emiliano. Nella pianura Romagnola, invece, scorrono fiumi relativamente brevi, quasi tutti provenienti dal Casentino1,
in particolare dalla zona compresa tra il Monte Fumaiolo ed il Monte Falterona. Zona da cui nascono anche
il Tevere e l’Arno.
1 Il Casentino è una regione geografica compresa tra le province di Forlì-Cesena (Emilia Romagna) ed Arezzo (Toscana),
protendendosi anche nelle regioni vicine (Umbria e Marche).
Figura 6 Scorcio del Delta del Po
Figura 7 Le Valli di Comacchio
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Attività economiche in Emilia RomagnaAgricoltura, silvicoltura epesca
Industria "convenzionale"
Costruzioni
Commercio, riparazioni,alberghi e ristoranti,trasporti ecomunicazioni
Intermediazionemonetaria e finanziaria;attività immobiliari edimprenditoriali
Altre attività di servizi
Oltre che per il gran numero di fiumi che vi nasce, il Casentino è famoso anche per la presenza di quella che
viene da più parti indicata come la più antica foresta d’Europa, la seconda per estensione. Foresta che è
compresa nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, una delle tante riserve protette della regione.
Economia
L'Emilia-Romagna è conside-
rata una delle regioni più ric-
che d'Europa, con tassi d'oc-
cupazione che superano il
70% (80% a Modena e Reggio
Emilia); il tasso di disoccupa-
zione della regione (2,9%)
corrisponde ad un regime di
piena occupazione, e il reddi-
to pro-capite è tra i più alti a
livello europeo. Questo ha fa-
vorito negli ultimi anni un e-
norme arrivo di immigrati nel-
le città, solo per fare un e-
sempio Modena e Reggio
Emilia sono al vertice come
percentuali di immigrati resi-
denti.
Con una statistica di giugno 2007 condotta da Unioncamera, Bologna e Modena sono risultate rispettiva-
mente la terza e la quarta città più ricche d'Italia, dietro solo a Milano e Biella. La regione, secondo un'altra
Figura 8 Il bacino del fiume Reno
Tabella 1
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indagine svolta da Eurostat nel 2002, è risultata la 23° regione europea per quanto riguarda il PIL pro capi-
te, terza italiana dopo la provincia autonoma di Bolzano e la Lombardia.
Come nel resto d'Italia, vi sono numerose piccole aziende a conduzione familiare, con produzioni di vario ti-
po. Inoltre sono molto diffuse le cooperative, soprattutto nelle zone di Reggio Emilia e Modena e nella Ro-
magna. In campo economico, però, persiste il dualismo storico tra le due anime della regione. Se in Emilia il
settore trainante è l’industria, per la Romagna i settori economici principali sono l’agricoltura ed il turismo.
L’unico fattore comune è la scarsa incidenza del settore pubblico sul PIL regionale. In effetti, l’analisi dei dati
dei singoli macro settori economici, mostra un’economia basata in quasi egual misura sui 3 settori di base.
Agricoltura e settori correlati
Nel settore primario, il più importante d'Italia per esportazioni, la regione può contare su un forte sviluppo
su tutta la Pianura Padana e in Romagna. Sono molti i prodotti DOP e IGP coltivati in regione, ed è diffuso
l'allevamento di bovini e suini.
L' Emilia-Romagna, condividendo il territorio della Pianura Padana è regione fertilissima (il rapporto tra rac-
colto e seminato è tra i più alti d'Italia); questo è il frutto di lavori di bonifica cominciati in epoche anche re-
mote; la rete d'irrigazione e canalizzazione è efficiente e non per caso alcune delle più grandi aziende di
macchinari agricoli hanno sede qui. Le colture tipiche sono cerealicole (grano e mais soprattutto), vinicole
anche fino a 800 metri in collina ed ortofrutticole (pesche e nettarine, albicocche, fragole, cachi, pere, pata-
te, angurie, asparagi, zucche, meloni, aglio, legumi (fagioli e fave), kiwi (con alcune specie di origine locale),
ciliegie, etc…); da ricordare il primato nazionale nella produzione di barbabietola da zucchero. Le maggiori
aziende alimentari hanno sede nei distretti di Parma e Modena in Emilia e di Cesena e Ravenna in Romagna.
(Parma è stata scelta come sede della istituzione europea nel controllo del settore, l'EFSA). Anche il settore
dell'allevamento è molto sviluppato in particolare quelli suino, bovino ed avicolo.
Il ministero delle Politiche agricole e alimentari, in collaborazione con la regione Emilia-Romagna, ha ricono-
sciuto 184 prodotti emiliani e romagnoli come "tradizionali".
Un’attività particolare, di entità non trascurabile, è l’allevamento delle anguille nelle Valli di Comacchio.
Industria
Anche il settore secondario è molto sviluppato: oltre alle già citate industrie alimentari e quella meccanica
ad esse connessa (selezione , lavorazione e confezione ortofrutta) possiamo trovare Aziende di informatica
(Rimini, Forlì-Cesena e Bologna), elettronica (Bologna) e meccanica di precisione (Forlì-Cesena, Ravenna e
Bologna), industrie tessili (Forlì-Cesena, Ravenna e Modena) e calzaturiere (distretto di San Mauro Pascoli e
Savignano sul Rubicone), fabbriche di auto e moto dai marchi famosi in tutto il mondo (Bologna e Modena),
aziende chimiche e farmaceutiche (Forlì-Cesena, Ravenna e Bologna), mobilifici, industria e artigianato della
ceramica (Ravenna e Modena) e della plastica (Forlì-Cesena) ed imprese di costruzioni di rilevanza mondia-
le. Molte industrie sono di piccole dimensioni, e sono a conduzione familiare oppure organizzate in coopera-
tive.
La regione è seconda in Italia per lavorazione e creazione di prodotti artigianali.
Nel ravennate è molto sviluppata l'industria petrolchimica, ed è presente uno dei più importanti porti
dell’Adriatico, il maggiore a gestione privata.
Terziario
La stessa posizione geografica della regione ha favorito da tempo lo sviluppo di molti settori del terziario, a
cominciare dagli scambi commerciali. La presenza sul suo territorio di imprese di carattere internazionale e
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lo sviluppo del turismo, hanno favorito la nascita di tre importanti poli fieristici (Parma, Bologna e Rimini) e
lo sviluppo di una fittissima rete di collegamenti stradali, ferroviari, aerei e navali.
Turismo
Il settore è sviluppatissimo soprattutto in Romagna; la riviera romagnola è centro d'attrazione turistica sia
d'estate per la ricca ed organizzatissima ricettivi-
tà (più di 5000 alberghi) che negli altri periodi
dell'anno per i numerosi locali d'intrattenimento
giovanile e parchi a tema; si stima che durante
un anno siano circa 10 milioni i turisti che la po-
polano; italiani e moltissimi stranieri soprattutto
dalla Germania e dall'Olanda. Discreto anche il
turismo invernale sulle località sciistiche dell'Ap-
pennino, fra cui ricordiamo Sestola e le altre lo-
calità alle pendici del Monte Cimone, e il Corno
alle Scale, nel bolognese. Molto sviluppato il tu-
rismo culturale nelle città d'arte (noti in tutto il
mondo sono i mosaici di Ravenna), specialmente
dall'estero.
Altrettanto importante è il turismo d’affari (con
tre importanti poli fieristici: Parma, Bologna e
Rimini), quello di Bologna è secondo in Italia solo
a quello di Milano.
Anche le località termali (Riolo Terme, Brisighella, Castrocaro Terme, Bagno di Romagna, Salsomaggiore)
hanno saputo attivare strategie di promozione turistica che le ha fatte conoscere a livello non solo naziona-
le, organizzando importanti eventi culturali come: il Festival delle voci nuove di Castrocaro, il concorso di
Miss Italia a Salsomaggiore e le Settimane Medioevali a Brisighella.
Anche a livello sportivo in
regione vengono orga-
nizzati numerosi eventi
legati tra gli altri
all’automobilismo, al ci-
clismo, al motociclismo
ed alla vela.
In regione, infine, sono
state create diverse ri-
serve naturali, tra cui ec-
cellono: il già citato Par-
co Nazionale delle Fore-
ste Casentinesi, la Riser-
va di Stato del Bosco del-
la Mesola, il Parco (Re-
gionale) del Gigante, il
Parco (Regionale) dei
Cento laghi ed il Parco Regionale del Delta del Po.
Figura 9 Uno stabilimento balneare sulla spiaggia di Rimini
Figura 10 Mappa delle riserve naturali in Emilia Romagna
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Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi
Si tratta di una grande area protetta
nell'appennino tosco-romagnolo,
comprendente boschi e foreste tra i
più estesi e meglio conservati d'Italia,
custode di un elevato patrimonio flori-
stico e di una fauna di grande interes-
se che annota il lupo e l'aquila reale
tra i grandi predatori e diverse specie
di ungulati. Le foreste e i numerosi
ambienti naturali fanno da cornice ai
segni di millenaria presenza dell'uo-
mo: borghi, mulattiere e soprattutto
due santuari di assoluto fascino come
Camaldoli e La Verna.
L’Ente Parco è stato istituito nel 1993.
In Romagna ne fanno parte la porzio-
ne montana delle valli del Montone, del Rabbi, del Bidente e del Tramazzo.
Il territorio romagnolo è caratterizzato
da vallate strette e incassate, con ver-
santi a tratti rocciosi e a tratti fitta-
mente boscosi, mentre quello toscano
comprende, oltre ad una piccola por-
zione del Mugello, il Casentino, cioè il
territorio che abbraccia l'alta Valle
dell'Arno, le cui sorgenti sono situate
sulle pendici meridionali del Monte
Falterona (1654 m.).
Il Versante Toscano molto più dolce, è
solcato dalle valli dei torrenti Staggia,
Fiumicello e Archiano, affluenti di sini-
stra dell'Arno che, nella parte iniziale,
scorre quasi parallelo al crinale princi-
pale. Sempre nel versante Toscano
verso est l'area protetta si prolunga fino al suggestivo rilievo calcareo di Monte Penna, con il celebre santu-
ario francescano della Verna.
Cuore del parco è la Riserva Integrale2 di Sasso Fratino, che si estende per 764ha sul crinale appenninico
compreso tra il Passo della Calla e Prato alla Penna, proprio al confine tra le province di Forlì-Cesena ed A-
rezzo. È la prima riserva integrale istituita in Italia secondo la classificazione dell'U.I.C.N. (Unione Interna-
2 Una riserva Integrale è una porzione di territorio ove non sono svolte attività proprie dell'uomo, ad eccezione della
ricerca scientifica. Non vi sono quindi interventi di alcun genere, non attività di utilizzazione delle risorse, non inter-
venti di sistemazione o di tutela di versanti e pendici. Una scelta del genere, per essere del tutto consapevole, deve
avere motivazioni ben precise. Quindi di fronte a Sasso Fratino, ancora prima di ammirare la suggestiva foresta, biso-
gna interrogasi sul significato dell'aggettivo "Integrale". Questo aggettivo evoca un che di compiuto, di integro, di
completo e quindi ben si presta a descrivere l'ambiente e a rendere chiari i motivi della conservazione.
Figura 11 Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: Cascata degli Scalandrini
Figura 12 Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: Autunno in foresta
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zionale Conservazione della Natura).
La protezione della natura è quindi
concepita nella sua totalità: specie
vegetali e animali, rocce, suolo, ac-
que, atmosfera locale. Il 23 settembre
1985 la riserva di Sasso Fratino è sta-
ta insignita del Diploma Europeo. Ta-
le riconoscimento, secondo il vigente
regolamento che ne stabilisce la vali-
dità per cinque anni, è stato già rin-
novato tre volte. Ogni anno l'Ufficio
di Pratovecchio invia al Consiglio
d'Europa un rapporto sullo stato della
Riserva Integrale, corredato di notizie
anche sulle altre Riserve Biogeneti-
che, in cui si evidenziano le azioni di
tutela ambientale e ricerca che ven-
gono intraprese, anche in relazione
con le raccomandazioni e le priorità
evidenziate dal collegio di esperti
nominato dal Consiglio d'Europa.
Nel 1914, insieme al nucleo centrale
del complesso delle Foreste Casenti-
nesi, il territorio dell'attuale Riserva di
Sasso Fratino entra a far parte del
Demanio Forestale dello Stato. Nel
1959 il primo nucleo di circa 110 etta-
ri viene precluso al libero accesso e ad
ogni forma di intervento. Questa de-
cisione, assunta con un atto interno dell'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, segna il primo atto con-
creto di una politica di protezione della natura che allora muoveva i primi timidi passi e che in seguito assu-
merà una consapevolezza sempre maggiore ed otterrà una attenzione crescente da parte di strati sempre
più ampi dell'opinione pubblica. Tanto che nel 1971 l'atto istitutivo è stato ratificato con decreto ministeria-
le (D.M. 26 luglio 1971). In seguito, vari decreti hanno ampliato l'estensione della Riserva Naturale Integrale
di Sasso Fratino fino agli attuali 764 ettari.
La riserva si trova in un recesso quasi impenetrabile delle Foreste Casentinesi, e lo è di fatto quando abbon-
dano ghiaccio e neve nel lungo inverno dell'Appennino tosco-romagnolo. Si estende sul ripido versante Nord
Est, dal crinale appenninico dominato da Poggio Scali fino alla strada forestale che dalla Lama conduce a
Ponte alla Sega, e al Fosso delle Macine.
La tormentata morfologia del territorio, ricco di fossi e torrenti profondamente incisi, attraversato da affilati
crinali secondari e da numerosi affioramenti rocciosi di matrice arenacea, ha da sempre limitato i tradizio-
nali usi del passato: raccolta di legna e legname, pascolo di bestiame domestico, dissodamento del suolo.
La Riserva di Sasso Fratino condivide con le altre 4 riserve naturali limitrofe delle Foreste Casentinesi una
delle faune forestali più ricche e meglio conservate dell'intera penisola. Il regime di protezione garantito da
decenni nella zona ha consentito non solo il mantenimento di gran parte di quelle componenti faunistiche
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altrove decimate dal progressivo sviluppo delle attività umane ma anche il ritorno di animali che fino a
pochi anni fa erano scomparsi come ad e-
sempio il lupo ormai nuovamente presente
nel comprensorio da dove era sparito. Il cer-
vo è il mammifero di maggiori dimensioni
presente nella riserva. Probabilmente quan-
do il Granduca Leopoldo II nel 1838 lo rein-
trodusse, con capi provenienti dalla Boemia,
questo ungulato era già estinto in Casentino.
Gli abbattimenti avvenuti durante le guerre
mondiali portarono nuovamente quasi alla
scomparsa della specie fino a quando, tra il
1950 e il 1960 il Corpo forestale dello Stato
operò successive reintroduzioni grazie alle
quali ormai in Casentino risiede una vitale
popolazione stimata in qualche centinaio di
capi. Alle reintroduzioni si deve anche la presenza di una fiorente popolazione di capriolo. Il daino, specie al-
loctona ovvero introdotto dall'uomo in
territori al di fuori del suo areale natu-
rale, fa la sua comparsa occasionale
nella riserva, prediligendo general-
mente quote più basse. La specie fu in
principio introdotta nel comprensorio
dal Granduca Leopoldo II nel 1835 a
scopi venatori. Il cinghiale invece pro-
viene dalle reintroduzioni operate a
scopo venatorio. Tra i carnivori oltre al
lupo sono presenti il tasso, la martora,
la puzzola, la donnola e il gatto selva-
tico. L'avifauna comprende natural-
mente specie prettamente di habitat
forestale. Tra i rapaci diurni più signifi-
cativi che nidificano nell'area sono da
menzionare l' Accipiter gentilis (Astore) e il Pernis apivorus (Falco pecchiaiolo) mentre l'Aquila chrysaetos
(Aquila reale), che si riproduce non lontano, sorvola frequentemente i crinali a monte della riserva. Tra i ra-
paci notturni è presente il Bubo bubo (Gufo reale) e il Asio otus (Gufo comune). Tra le altre specie interes-
santi residenti nella riserva si annoverano il Cinclus cinclus (Merlo acquaiolo), il Turdus torquatus (Merlo dal
collare), il Phylloscopus bonelli (Lluì bianco), il Phylloscopus sibilatrix( Luì verde), il Regulus regulus(Regolo),
la Ficedula albicollis (Balia dal collare) e il Pyrrhula pyrrhula (Ciuffolotto). Quantitativamente significativa è
la presenza del tordo Turdus philomelos (Bottaccio). Recenti ricerche sono state orientate allo studio degli
anfibi della riserva dove sono state rinvenute, tra le altre, specie interessanti scomparse ormai da gran parte
del loro areale originario come la Salamandra salamandra (Salamandra pezzata), la Salamandrina terdigi-
tata (Salamandrina dagli occhiali) e il Speleomantis italicus (Geotritone italico). La ricchezza faunistica
maggiore delle foreste casentinesi è però quella più nascosta e sottovalutata relativa agli animali inverte-
brati. Le ricerche scientifiche condotte intensamente nell'area in questi ultimi anni continuano a fornire dati
Figura 13 Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: Il Lupo
Figura 14 Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: La Salamandra pezzata
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sulla presenza di specie di insetti, ragni, crostacei e molluschi che per la loro rarità hanno una valenza natu-
ralistica eccezionale. Basti citare a tale
proposito la popolazione del raro e
protetto Austropotamobius pallipes
(Gambero di fiume) o l'eccezionale
versità di insetti xilofagi. Questi
mali costituiscono componenti
ziali per il funzionamento
stema delle foreste il cui livello di
complessità è per noi tuttora scono-
sciuto e per il quale le foreste
nesi sono ancora uno dei laboratori
più proficui.
Il difficile accesso alla zona ha consen-
tito la vita di una foresta che per molti
versi possiamo chiamare "primigenia",
o molto prossima ad un bosco natura-
le, la cui evoluzione ha subito influssi esterni limitati. Non mancano tuttavia segni della presenza dell'uomo,
che, seppur di rado, ha raccolto i frutti di questa poderosa foresta. A tratti si notano lembi di bosco puro di
Abete bianco, artificialmente diffuso; ai bordi di antichi sentieri affiorano a volte reconditi muri a secco, ve-
stigia delle vie di pietra; in alcune zone si trovano ancora oggi le tracce di vecchie aie carbonili, spiazzi co-
struiti con duro lavoro di zappa per cuocere la legna fino ad ottenerne carbone. La straordinaria ricchezza
biologica che si osserva negli ecosistemi della foresta di Sasso Fratino indica la perfetta conservazione di
quest'area. Il colpo d'occhio sulla volta delle chiome offre una visione chiara della complessità dei rapporti
fra alberi e fra gruppi di alberi e tra questi e la compagine degli strati erbacei ed arbustivi. La complessa rete
delle relazioni fra gruppi di piante, comunità animali, ed ambiente fisico, costituisce l'elemento fondamenta-
le della biodiversità. Lo stabilirsi di complessi equilibri e stati dinamici è reso possibile dalla lunga e indistur-
bata coevoluzione. Anche la diversità di ambienti gioca un ruolo fondamentale. La presenza di crinali secon-
dari, di scoscesi versanti che terminano in veloci corsi d'acqua o in fertili conche, costituiscono un insieme di
habitat diversi. Camminando a Sasso Fratino si è colpiti dalla solennità di un bosco con grandi alberi. Accan-
to a fusti colonnari, si trovano tronchi colonizzati da funghi lignicoli, ricovero per la fauna alata invertebrata
e per un numero incredibile di microrganismi. Alberi atterrati offrono il legno ai vitali processi della degra-
dazione organica e dell'evoluzione del suolo. Il naturale cadere di un grande albero apre una radura presto
colonizzata da plantule e semenzali appartenenti ad un gran numero di specie. E' la fase giovanile in cui tan-
te piccole piante si contendono lo spazio a disposizione finché il prevalere di alcuni individui, condurrà la fo-
resta a ricolmare la copertura. La foresta di Sasso Fratino è dominata dal bosco misto di Abete bianco e
Faggio. Quest'ultimo più consistente, con l'eccezione di quei lembi di bosco in cui l'Abete è stato diffuso arti-
ficialmente. Vi è inoltre un gran numero di specie arboree, grandi latifoglie come gli Aceri, i Tigli, il Frassino
maggiore, l'Olmo montano, il Ciliegio, o altre specie come l'Agrifoglio e il Tasso. Gruppi di alberi di dimen-
sioni diverse si intrecciano nella quotidiana ricerca della luce. Il comportamento ecologico delle singole spe-
cie, la maggiore o minore adattabilità e le diversi risposte nei confronti delle altre specie e dei fattori ecolo-
gici cesellano nel tempo l'aspetto fisionomico del bosco e ne condizionano l'apparire nelle diverse stagioni. A
questo concetto di "naturalità" attribuiamo oggi un valore naturalistico in sé, in termini assoluti. A ciò dob-
biamo aggiungere che nell'Europa occidentale, area da sempre intensamente abitata e profondamente an-
tropizzata, altri esempi di boschi prossimi a condizioni di naturalità mancano del tutto. Il compito di una ri-
Figura 15 Il Ciuffolotto
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serva integrale è quello di offrire spunti unici ed irripetibili alla ricerca. In una foresta indisturbata è possibile
osservare i complessi fenomeni della dinamica naturale nella loro totalità ed integrità. Le preziose
ni che ne derivano sono la base di partenza per operare consapevolmente nella gestione dei boschi. L'inse-
gnamento che ne potremo trarre dipende da noi, dai nostri mezzi e metodi di indagine; l'utilità di quello che
impareremo dipende dalla nostra buona volontà e perspicacia nel fare tesoro dei suggerimenti che la natura
ci offre e dalla nostra tenacia nel metterli in pratica nel lavoro nei boschi di tutti i giorni. Capire ciò che
viene in natura è oggi la consapevole base di partenza per ricucire il rapporto dell'uomo con l'ambiente, per
continuare nel mutamento che è forse la ultima e più importante sfida: abbandonare il ruolo di sfruttatori
per assumere quello di utilizzatori.
Parco del Gigante
Il Parco Regionale dell'Alto Appennino Reggiano, o Parco del Gigante, secondo la denominazione in uso, è
uno dei più estesi fra quelli emiliani e racchiude al suo interno una grande varietà di luoghi e ambienti di e-
levato valore naturalistico e paesaggistico. Ne fanno parte alcune fra le cime più alte della catena appenni-
nica settentrionale, dalle quali si godono vasti panorami su valli impervie, estesi boschi e ampie praterie
sommitali.
I caratteri geologici e geomorfologici fanno del Parco uno dei territori di maggiore interesse scientifico di
tutto l'Appennino: arenarie oligoceniche e mioceniche costituiscono i rilievi maggiori, sui quali sono visibili
deformazioni tettoniche (esemplare è la piega rovesciata sul Monte Cusna) e morfologie glaciali; lembi ofio-
litici si incontrano nella valle del Dolo e presso il Monte Bagioletto; infine lungo il torrente Ozola e sul fondo-
valle del Secchia, appena al di fuori del perimetro del Parco, affiorano gessi triassici, le rocce più antiche
dell'Appennino emiliano.
La vegetazione è diversificata in relazione alla varietà di ambiente: nardeti, brachipodieti e brughiere a mir-
tillo nell'alto crinale, in cui sporadicamente compaiono specie tipicamente alpine come il Mirtillo rosso, I'Eri-
ca baccifera e il Rododendro ferrugineo; la vegetazione degli affioramento rocciosi, con le coperture a cusci-
netto della silene e le rosette crassulente delle sassifraghe e dei semprevivi; le formazioni a Salix herbacea
nelle vallette nivali; la vegetazione delle torbiere dal delicato equilibrio ecologico, con la drosera ed alcune
rare orchidee; le faggete, nel cui ambito è presente anche un nucleo di Abete bianco di significato relittuale.
Molte delle specie presenti in questi ambiente sono vere e proprie rarità botaniche.
Il Parco è ricco di specie animali di grande interesse, legate soprattutto agli ecosistemi di alta quota. Tra i
Mammiferi è significativa la presenza del Lupo, della Martora e dell'Arvicola delle nevi, specie relitta dell'ul-
tima glaciazione. L'avifauna è numerosa e diversificata; di particolare interesse è la presenza dello Stiaccino,
dell'Aquila reale, dell'Astore e della Beccaccia, che nel Parco ha uno dei pochi siti riproduttivi italiani. Tra gli
Anfibi, si segnalano altre specie relitte dell'epoca glaciale, come la Rana temporaria e il Tritone alpestre.
Nel Parco sono visibili numerose forme di architettura montana, soprattutto costituite da case in pietra. Da
segnalare presso Case Catalini alcuni edifici di servizio in pietra, un tempo con un caratteristi con tetto in
paglia, chiamate nel reggiano "tegge".
Bosco della Mesola
La Riserva Naturale dello Stato -"Bosco della Mesola - in provincia di Ferra-
ra, è il più esteso residuo di bosco planiziale dell'area del Delta del Po. Nel
bosco sono presenti diversi ambienti tra cui alcuni habitat di importanza
prioritaria (ai sensi della direttiva "Habitat - 92/43/CEE -): lembi di foreste
dunari di Pinus pinea e stagni temporanei mediterranei, oltre ad alcune
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specie faunistiche comprese negli allegati della stessa Direttiva.
Il Bosco della Mesola è caratterizzato dalla presenza del leccio, quercia sempreverde mediterranea che ve-
geta sugli aridi cordoni di antiche dune sabbiose, in alternanza con specie
arboree come farnia, carpino, frassino e pioppo, presenti nelle depressio-
ni.
Il sito è inserito in un contesto territoriale comprendente diverse tipologie
di habitat. Gli interventi previsti dal progetto contribuiscono alla conser-
vazione della rete "Natura 2000" in quanto il Bosco della Mesola confina
con altri ambienti come la "Sacca di Goro, Po di Goro, Valle Dindona, Foce
del Po di Volano" (IT 4060005), "Bosco di Volano" 8IT 4060007) e "Valle
Bertuzzi, Valle Porticino - Canneviè" (IT 4060004) facenti parte della me-
desima rete "Natura 2000".
Nelle zone più basse, tra le dune, la falda freatica può affiorare,
creando habitat caratteristici idonei alla sopavvivenza di una rara
fauna, come la Testuggine palustre Emiys orbicularis e diverse
specie d'anfibio che qui si riproducono. La popolazione del Cervo
della Mesola, circa 90 capi, è unica in Italia in quanto considerata
l'ultima testimonianza di quelli che furono i cervi della pianura
Padana. Vissuti per secoli in isolamento nella fitta macchia di lec-
cio, hanno dimensioni limitate ed il palco dei maschi è molto ri-
dotto, anche a causa delle scarse risorse nutritive dell'ambiente litoraneo. I daini, numerosissimi nella Riser-
va, introdotti in passato a fini venatori, creano oggi con il pascolo notevoli problemi di gestione, essendo re-
sponsabili di danni alle giovani piante arboree.La testuggine di Herman - presente nella Riserva Naturale
con una densità di circa un esemplare per ettaro - è una delle specie prioritarie interessate dalle azioni del
progetto Life.
Parco dei Cento laghi
ll Parco dei Cento Laghi (Parco Regionale delle Valli del Cedra e del Parma) occupa un’area di 9238 ettari
(Parco e Preparco) nell’estrema periferia sudorientale della provincia di Parma ed è situato interamente in
area montana (dagli 800 ai 1850 mt. s.l.m) nei Comuni di Monchio delle Corti e Corniglio.
Istituita nell’Aprile del 1995, l’Area protetta ha occupato fino al 2001 la zona all’incirca compresa tra il Pas-
so della Cisa e il Passo del Lagastrello; successivamente, essa ha ceduto parte del suo territorio originario
al Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-emiliano. Oggi il Parco regionale comprende l’alta valle del torren-
te Cedra e del torrente Bratica e un tratto dell’alta Val Parma.
Salvaguardia della natura e valorizzazione dell’identità storico culturale del territorio di appartenenza sono i
principali obiettivi che si propone l’Ente Parco, che opera attivamente anche per promuovere forme di
sviluppo socio-economico rispettose dell’ambiente. Il Parco deve il proprio nome ad una delle caratteristiche
più interessanti del territorio, ossia la presenza di numerosi laghi che punteggiano il comprensorio. Questi,
insieme a numerose pozze temporanee e diverse torbiere sono gli inconfondibili segni dell’impronta lasciata
in queste vallate dagli antichi ghiacciai.
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Il territorio offre una serie di ambienti naturali come castagneti, foreste di abete e faggio, brughiere, vacci-
nieti, idonei ad ospitare molte specie animali. Tra i mammiferi il Lupo è sicuramente la presenza di maggior
interesse, mentre è possibile assistere ai maestosi voli di un altro importante inquilino del crinale: l’Aquila
Reale, la cui presenza stabile risulta ormai certa entro i confini del Parco.
Numerosissime sono anche le varietà di fiori, tra i quali spicca per rarità ed importanza la Primula appenni-
na, un’esclusiva del crinale parmense e reggiano, e sulle rocce più assolate i capolini azzurri di Globularia in-
canescens, un ende-
mismo apuano.
Il Parco racchiude an-
che un patrimonio
storico che vede nel
Medioevo l’epoca che
ha lasciato la traccia
più incisiva. Le Corti
di Monchio, situate
nell’alta Val Cedra e
in parte della Val Bra-
tica, ne sono tra le
espressioni più signi-
ficative, includendo,
con le loro testimo-
nianze architettoni-
che, i segni di una
cultura passata.
La presenza, quindi, di emergenze naturali e beni culturali motiva l’elaborazione di strategie di conservazio-
ne della natura e di sviluppo sostenibile, e così l’Area Protetta si presenta come un vero e proprio laborato-
rio per stimolare comportamenti responsabili e consapevoli verso l’ambiente. Al fine di favorire la cono-
scenza delle caratteristiche proprie dell’ambiente montano e offrire occasioni di svago e studio all’aperto, il
Parco ha promosso presso le scuole una serie di attività e percorsi didattici, facendo dell’Educazione Am-
bientale una delle attività prioritarie dei propri programmi. Con i suoi diversi percorsi tematici, le numerose
aree attrezzate per la sosta, le piste ciclabili per Mountain bike, e i due Centri di Educazione Ambientale a
supporto delle scuole in visita, il Parco offre tanti modi per avvicinarsi alla natura e fruirne con libertà e di-
vertimento.
Parco Regionale del Delta del Po
Il Parco Regionale del Delta del Po dell'Emilia-Romagna copre aree considerate tra le più produttive e ricche
in biodiversità. Il Parco possiede la più vasta estensione di zone umide protette d’Italia, aree d'eccezionale
valore ecologico. E’ un territorio ricco di ambienti naturali che ospitano centinaia di specie floristiche e fau-
nistiche. L’elevato numero di specie presenti è strettamente legato alla diversità degli habitat presenti, che
si esprimono con forme ed adattamenti peculiari in relazione alle diverse condizioni chimico-fisiche del suolo
e alle condizioni climatiche. La particolare geomorfologia del territorio, anche se non espressa con forme e-
videnti, se non ad un occhio esperto, ha permesso l’insediamento di boschi con vegetazione a foglie caduche
e sempreverdi. Dell’antico Bosco Eliceo, del quale si parla nei manoscritti storici, ne rimane solo un'esigua
traccia sulle antiche dune del litorale ferrarese. Nel ravvennate il bosco, d'epoca più recente, si veste di pini
domestici e marittimi: le pinete. Elementi di rilievo del paesaggio del Delta sono le Valli e le Zone umide.
Figura 16 Parco dei Cento Laghi: Il Lago Verde
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Le Valli salmastre si sono originate per allagamento da parte delle acque di mare di territori depressi o per
l’opera di trasformazione dell’uomo a fini produttivi (pesca, saline). All’interno del perimetro del Parco si e-
stende una delle poche testimonianze in Europa continentale di zone umide di acqua dolce: le Valli di Argen-
ta e Marmorta, scampate alle bonifiche grazie alla fondamentale funzione idraulica come “casse di espan-
sione”.
Non esiste un censimento esaustivo delle specie vegetali presenti nel parco, tuttavia, sulla base dei dati rac-
colti negli anni dai diversi Autori per singole zone, è certa la presenza di almeno 970 specie ed è possibile ef-
fettuare una stima che fornisce l’ordine di grandezza della diversità specifica presente: il numero stimabile si
aggira attorno a circa 1.000 - 1.100 specie presenti. La ricchezza è dovuta alla grande diversità di ambienti
presenti nel Parco del Delta del Po, dalle spiagge e dune costiere, alle lagune e valli salmastre, dalle paludi e
prati umidi d’acqua dolce, ai boschi igrofili, mesofili e xerofili. Nell’area vivono piante estremamente specia-
lizzate legate alle spiagge e alle dune (psammofile) o alle zone umide (idrofite) e loro sponde (elofite), siano
esse lagune e valli salmastre (piante alofile) o paludi e prati umidi d’acqua dolce. Accanto a queste troviamo
specie adattabili, presenti ai margini dei coltivi e un gran numero di specie degli ambienti forestali, alberi,
arbusti ed erbe del sottobosco e delle radure, presenti nei boschi igrofili, mesofili e xerofili.
La fauna del Parco del Delta del Po è sicuramente uno degli elementi di maggior pregio dell'area protetta.
Sono note complessivamente più di 460 specie di Vertebrati. Gli uccelli del Delta del Po costituiscono un pa-
trimonio di straordinario valore, con oltre 300 specie segnalate negli ultimi decenni, di cui oltre 150 nidifi-
canti e oltre 180 svernanti. Tale ricchezza fa del Parco la più importante area ornitologica italiana ed una
delle più rilevanti d’Europa. Questa straordinaria diversità di specie è dovuta alla grande complessità am-
bientale del Delta, che per molte specie rappresenta una vera roccaforte a livello europeo o nazionale, con
alcune emergenze che costituiscono vere rarità di livello internazionale, come il Marangone minore, con
l’unica colonia dell’Europa occidentale, la Sterna di Rüppell, con le uniche coppie nidificanti dell’intero conti-
nente, il Fenicottero, con una delle pochissime colonie europee.
Trasporti e comunicazioni
La regione è il nodo commerciale più importante del paese, attraversata com’è da una fittissima rete di vie
di comunicazioni
stradali, auto-
stradali e ferro-
viarie. Oltre alle
antiche Vie ro-
mane Emilia e
Flaminia, nella
regione conver-
gono le principali
autostrade del
paese (A1 (del
Sole), A13, A14
(Adriatica), A15
(della Cisa), A21,
A22 (del Brenne-
ro)), e la Strada
di Grande Circo-
lazione Ravenna-Orte collega la Romagna direttamente a Roma. Bologna, poi, è un nodo ferroviario di pri-
Figura 17 La rete autostradale emiliano-romagnola
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maria importanza nel Nord, la sua stazione merci è la più grande d'Italia come volume di traffico. Quasi tutti
i treni che attraversano la penisola da nord a sud passano per il capoluogo emiliano. Altri centri di
mento merci importanti sono gli interporti di Campogalliano, Parma, Bologna e Cesena ed il Porto di
na. Aree in cui si svolge lo smistamento diretto delle merci da una modalità di trasporto all’altra.
In regione troviamo anche tre aeroporti civili: quello internazionale di Bologna e quelli minori di, Forlì e Ri-
mini.
L’Emilia Romagna può contare ben 3 porti passeggeri (Ravenna, Rimini e Cesenatico). In particolare, quello
di Ravenna è tra i più importanti porti dell’Adriatico ed il maggiore a gestione privata.
Commercio
Tutti i fattori fin qui analizzati, integrati alla vicinanza della Repubblica di San Marino, hanno favorito lo svi-
luppo di una fiorente rete commerciale, composta di operatori tra loro eterogenei, quali: Centri logistici del-
la Grande Distribuzione Organizzata, Centri commerciali all’ingrosso ed al dettaglio, outlet stores ed outlet
villages e vere e proprie aree commerciali integrate. Oltre alla nascita di moltissime aziende dedite
all’import-export ed all’intermediazione commerciale.
Istruzione
Diversamente da altre regioni, anche il settore dell’istruzione partecipa attivamente alla formazione del PIL
regionale, attirando studenti ed investimenti anche da altre regioni d’Italia e dall’estero.
In Emilia Romagna, infatti, sono presenti quattro poli universitari d’eccellenza, tutti nella Top 15 delle uni-
versità italiane:
• Bologna: l'università più grande della regione e una delle principali a livello nazionale, è la più antica
università del mondo occidentale ed è soprannominata "La Dotta". Ha quasi 100.000 studenti. Nella
classifica del "Times" sulle migliori università mondiali l'ateneo è risultato 173°, primo in Italia.
• Parma: università riconosciuta con storia secolare, accoglie molti studenti soprattutto dalla provin-
cia della Spezia, ha quasi 30.000 studenti.
• Modena-Reggio Emilia: università che è divisa in due sedi (alla sede storica modenese nel 1998 si è
aggiunta Reggio), è stata eletta nel 2007 da il Sole 24 Ore come miglior università pubblica.
• Ferrara: università fondata dal marchese Alberto V d'Este su concessione del Papa Bonifacio IX, ad
oggi ha quasi 20.000 studenti.
In tutti gli altri capoluoghi sono presenti sedi distaccate con facoltà autonome, come ad esempio le succur-
sali dell'Università di Bologna presenti in Romagna (Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini), dell'Università Cattoli-
ca di Milano e del Politecnico di Milano (Piacenza).
Assetto amministrativo e demografia
Amministrativamente, l’Emilia Romagna è una regione a statuto ordinario.
I suoi 4.242.517 abitanti sono distribuiti sul territorio in maniera omogenea.. Non esiste, infatti, una vera
metropoli che superi le altre città, ma, al contrario, tutti i capoluoghi di provincia superano i 100.000 abitan-
ti senza arrivare ai 200.000 (fatta eccezione per Bologna, che conta 374.425 abitanti, e per Piacenza, che
conta 98.407 abitanti) e tutte le province hanno una densità superiore ai 100 abitanti per km².
Pur essendosi verificata, qui come in qualsiasi altra regione italiana, una forte emigrazione dalle campagne
alle città, lo sviluppo urbano è sempre stato tenuto sotto controllo dall’amministrazione regionale. Inoltre, il
ricco passato storico di quasi tutte le città emiliane e il forte senso dell’orgoglio locale hanno evitato
l’eccessiva preponderanza di un centro rispetto agli altri. La popolazione, comunque, presenta un minimo di
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densità nella zona appenninica e subappenninica e due aree di massima concentrazione. Queste si trovano
tradizionalmente nella
fascia pedemontana at-
traversata dalla via Emi-
lia, che tocca tutti i capo-
luoghi provinciali, a ecce-
zione di Ravenna e di Fer-
rara, e lungo la fascia li-
toranea adriatica, di svi-
luppo recente.
L’insediamento lungo
queste due direttrici è
pressoché continuo: si
può parlare di città linea-
ri, che aggregano i piccoli
e grandi centri che vi si
succedono uno dopo
l’altro. Quanto a entità
numerica, la situazione
demografica è per lo più
stazionaria. L’Emilia-
Romagna ha conosciuto in modo molto limitato i fenomeni dell’emigrazione, così come dell’immigrazione. Il
tasso di natalità è basso (7,1‰ nel 1993), così come quello di mortalità (11,4‰ nel 1993).
Storia
Le aree che costituiscono la regione attuale sono popolate fin da tempi remotissimi, come ci indicano vari
ritrovamenti: il caso più famoso è quello del sito di Monte Poggiolo, presso Forlì, dove sono stati rinvenuti
migliaia di reperti datati a circa 800.000 anni fa, a dimostrazione che la zona era già abitata nel Paleolitico.
Una prima diversità culturale si ha già nell’era preistorica, quando i gruppi umani si stabilizzarono sul terri-
torio cominciando a praticare l’agricoltura.
Spartiacque tra le due aree è il fiume Panaro. Ad ovest di questo, con addensamenti nei territori di Parma e
di Modena, durante l’età del Bronzo, si sviluppò la cosiddetta cultura delle terramare, caratterizzata da abi-
tati protetti da argini di terra, da capanne su palafitte e dalla pratica della cremazione dei morti.
La zona a oriente del Panaro fu interessata dalla cultura villanoviana, nella quale si registrò la transizione
dagli insediamenti sparsi alle forme preurbane e ai primi collegamenti territoriali complessi: il suo nome de-
riva da un gruppo di tombe rinvenute a Villanova di Castenaso, nei pressi di Bologna.
Verso la fine del VI secolo a.C. si irradiarono le influenze etrusche che raggiunsero le protocittà di Fèlsina
(l’attuale Bologna), Spina, centro di scambio commerciale collegato con la Grecia, e Misa (Marzabotto). Alla
metà del IV secolo a.C. l’invasione dei galli boi fece regredire l’organizzazione di impronta etrusca, ma fu
ben presto bloccata dall’avanzata romana, che iniziò nel III secolo dopo la vittoria sui galli a Sentino (295
a.C.). In effetti, le legioni romane si erano affacciate in Romagna già nel 225 a.C., per affrontare il generale
cartaginese Annibale. Di questo periodo restano ancora molti toponimi, che ci ricordano le diverse fasi della
battaglia.
Solo dopo la sconfitta definitiva di Cartagine, muovendo da Ariminum (Rimini), fondata nel punto terminale
della via Flaminia, i romani poterono attuare una rapida conquista che modificò in breve il territorio, a par-
Figura 18 Le province dell'Emilia Romagna
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tire dalla costruzione della strada rettilinea che congiunge Piacenza a Rimini, voluta dal console Marco Emi-
lio Lepido: lungo la via Emilia si organizzò sia la colonizzazione delle campagne sia la crescita del tessuto ur-
bano.
Grazie alla fertilità del suolo e alla consistenza demografica, la regione divenne una delle terre più ricche di
tutto l’impero romano. Dal punto di vista politico-amministrativo, dopo una fase in cui risultò aggregata in
una sola unità militare, all’inizio del III secolo d.C. venne divisa in due aree, la prima a occidente, tra Bologna
e Piacenza, la seconda a oriente lungo la strada Flaminia: quest’ultima acquisì importanza con l’imperatore
Onorio, il quale, nel 402, trasferì la sede imperiale a Ravenna, la città cresciuta nei pressi dell’antico porto
militare di Classe.
È da questo momento che la parte orientale del-
la regione prenderà il nome di Romania, ossia
“Terra di Roma”.
L’importanza di Ravenna deriva anche dal fatto
che essa si presentava come una città partico-
larmente adatta ad essere difesa, circondata
com’era da paludi e protetta da una possente
cinta muraria. E per gli stessi motivi fu scelta
come sede anche dai popoli barbari che occupa-
rono la pianura Padana, alla dissoluzione
dell’Impero Romano: gli Eruli di Odoacre e gli
Ostrogoti di Teodorico.
Quando l’Impero Romano d’Oriente, poi, tentò
di conquistare l’Italia, poi, la città divenne sede
degli esarchi, i rappresentanti dell’imperatore.
La divisione culturale della regione diverrà an-
cora più netta in seguito all’invasione dei Lon-
gobardi (568), guidati da Alboino.
Mentre la parte occidentale, corrispondente
all’odierna Emilia, entrerà a far parte della Lon-
gobardia, la Romania continuerà a far parte dell’impero bizantino. Anche se il confine tra le due zone non
avrà mai carattere stabile. La successiva dominazione dei franchi comportò per la regione un’ulteriore speci-
ficazione tra la zona romagnola, donata da Pipino il Breve a papa Stefano II, e quella occidentale che si
strutturò secondo il modello franco delle contee. Il dissolvimento del potere centrale, conseguente alla cadu-
ta dell’impero carolingio, determinò il sorgere di molteplici signorie, il cui ambito di sovranità però non andò
al di là dei confini locali, con l’eccezione della signoria degli Attoni di Canossa, che ai tempi della marchesa
Matilde partecipò allo scontro tra papato e impero. Durante l’età dei Comuni l’Emilia-Romagna fu una delle
terre nelle quali il movimento municipalista si manifestò con durevoli conseguenze istituzionali e culturali,
sottolineate dalla fondazione nel 1188 dell’Università di Bologna, la prima in Europa. Al tramonto del Me-
dioevo la regione vide l’affermarsi di signorie cittadine, che divennero il fulcro del risveglio civile e intellettu-
ale nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento: i Visconti a Parma e a Piacenza, gli Estensi a Ferrara, i Ma-
latesta a Rimini, i Da Polenta a Ravenna sono i nomi di maggiore spicco. È di questo periodo (1447-1452) la
nascita, a Cesena, di quella che è la più antica biblioteca civica del mondo, la Biblioteca Malatestiana.
Nel XVI secolo, superate la sfida espansionistica lanciata dalla Repubblica di Venezia e le lotte tra impero e
Francia per il controllo del Nord Italia, il quadro della regione si stabilizzò in un equilibrio prettamente rina-
scimentale, sul quale la Chiesa esercitava una notevole influenza, diretta e indiretta. Frutto della volontà
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nepotistica di papa Paolo III fu il nuovo stato dei Farnese, che controllava i territori di Parma e Piacenza; la
presenza papale si allargò con l’acquisizione di Ferrara nel 1598, unita alle precedenti legazioni pontificie di
Bologna e Ravenna. L’equilibrio cinquecentesco rimase inalterato fino a che l’estinzione dei Farnese non
creò i presupposti per il passaggio del Ducato di Parma e Piacenza prima agli austriaci e poi, nel 1748, ai
Borbone, che ne fecero la base della loro originale politica antiecclesiastica, capace di attivare energie
intellettuali reclutate nel mondo
illuministico francese.
Nel 1796, la neonata Repubblica
Francese, invierà in Italia un e-
sercito d’invasione guidato dal
generale corso Napoleone Bona-
parte, che sfruttando il malcon-
tento diffuso tra la popolazione,
non dovette faticare molto a sot-
tomettere i vari stati. Da più par-
ti, infatti, le truppe francesi erano
viste più come forze liberatrici
che come armate d’occupazione.
Fu in questo periodo che a Reggio
di Lombardia (l’attuale Reggio
Emilia) venne creato il tricolore
italiano.
Nel frattempo, in Francia, Napo-
leone si era fatto dichiarare im-
peratore, ed aveva dichiarato
guerra all’Europa intera. Guerra
che si concluderà nel 1815 con la
sconfitta francese a Waterloo. Il successivo congresso di Vienna ripristinò gli equilibri pre-bellici, e vide
l’affermarsi della dominazione austriaca nell’Italia settentrionale. Oltre a Trentino, Alto Adige e Lombardo-
Veneto, direttamente dominati dagli Asburgo, in Emilia Romagna gli antichi ducati di Parma e Piacenza e
Modena e Reggio furono assegnati rispettivamente a Maria Luisa, figlia dell’imperatore d’Austria e vedova
di Napoleone Bonaparte, ed a Francesco IV, arciduca d’Austria. Mentre il resto della regione tornò a far par-
te dello Stato della Chiesa.
Tale nuovo ordine, però, non durò a lungo. Già nel 1831 iniziarono le prime rivolte a Modena, durante le
quali perse la vita il patriota Ciro Menotti. Nel 1848, poi, gli austriaci furono scacciati dalla regione, che ac-
quisì una temporanea unità. Sarà in quegli anni che Giuseppe Garibaldi, in fuga da Roma, dopo il fallimento
dell’esperienza della Repubblica Romana, troverà rifugio dalle forze papali proprio in Romagna. Ed è proprio
nella pineta di Ravenna, dove, in circostanze non del tutto chiare, morirà sua moglie Anita.
Sarà nel 1859 che l’Emilia Romagna entrerà a far parte del Regno d’Italia. In questo frangente, per evitare la
costituzione di un blocco lombardo troppo potente, i Savoia creeranno ex-nuovo il termine Emilia, per identi-
ficare la parte della regione ad ovest del fiume Reno.
Cuore del capitalismo agrario di fine Ottocento, la regione visse le tensioni e i fermenti di quella trasforma-
zione, esemplificati dal radicamento di un associazionismo contadino a base cooperativistica, di impronta
ideologica socialista e anarchica, che animò intense lotte sociali nel corso dell’età giolittiana, portando alla
nascita dei primi movimenti sindacali.
Figura 19 Situazione politica dell'Italia settentrionale tra il 1598 ed il 1859
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Durante la seconda guerra mondiale la regione fu l’epicentro dei violenti scontri tra tedeschi e alleati
nell’ultima fase del conflitto, culminati nei combattimenti lungo la linea gotica; fu teatro altresì del movi-
mento antifascista, le cui azioni militari furono contrastate dai nazifascisti con ogni mezzo, non ultimo le
rappresaglie, delle quali la strage di Marzabotto costituisce l’episodio più drammatico. Nel dopoguerra ri-
prese a vivere la tradizione popolare socialista, a cui i partiti operai, in particolare il Partito comunista, die-
dero un orientamento riformistico che si espresse nella gestione di molti enti locali, divenuti punto di forza di
una regione governata da maggioranze di sinistra.
Bibliografia
"Emilia-Romagna." Microsoft® Student 2008 [DVD]. Microsoft Corporation, 2007.
www.wikipedia.org
www.parks.it
“Emilia Romagna” Meravigliosa Italia – Enciclopedia delle Regioni, Edizioni Aristea – Milano.
www.corpoforestale.it
www.comune.cesena.fc.it
www.parcodeltapo.it
www.parcoforestecasentinesi.it
www.parcogigante.it
www.parchi.parma.it
www.autostrade.it
www.turismo.fc.it
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Sommario
Caratteri Fisici ………………………………………………………………………………………………………………………………………………1
Economia ............................................................................................................................................................ 4
Agricoltura e settori correlati ........................................................................................................................ 5
Industria ......................................................................................................................................................... 5
Terziario ......................................................................................................................................................... 5
Turismo ...................................................................................................................................................... 6
Trasporti e comunicazioni ....................................................................................................................... 14
Commercio .............................................................................................................................................. 15
Istruzione ................................................................................................................................................. 15
Assetto amministrativo e demografia .............................................................................................................. 15
Storia ................................................................................................................................................................ 16
Bibliografia........................................................................................................................................................ 19
Sommario ......................................................................................................................................................... 20