elisabetta terabust

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Dialoghi Elisabetta Terabust

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Diva internazionale, direttrice delle maggiori compagnie di balletto in Italia: una biografia artistica che è anche un illuminante percorso nella storia della danza contemporanea.

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Page 1: Elisabetta Terabust

Dialoghi

Elisabetta Terabust

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Page 2: Elisabetta Terabust

Emanuele Burrafato

EliSaBETTa TERaBUST

L’assillo della perfezione

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Page 3: Elisabetta Terabust

In copertina: Elisabetta Terabust in Giselle (Teatro San Carlo, 1982)

Foto di copertina: Alessio Buccafusca

Foto in quarta di copertina: archivio Teatro alla Scala, foto Lelli e Masotti, g.c.

Copertina: Ilaria Valeri

Fotocomposizione: Maria Pellicciotta

Stampa: Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR)

2013 © GREMESENew Books s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere registrata, riprodotta o trasmessa, in qualunque modo e conqualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-776-4

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Page 4: Elisabetta Terabust

A mia madre e al suo coraggio

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Page 5: Elisabetta Terabust

indice

Alberto Testa, Elisabetta Terabust: un ritratto… quasi ............... 9

Roberto Bolle, Omaggio a Elisabetta Terabust ........................... 11

Introduzione .............................................................................. 13

I. L’inizio del sogno.................................................................... 21

II. Sotto le ali di Bogianckino ................................................... 31

III. Prima ballerina ..................................................................... 43

IV. étoile in tempo di crisi ......................................................... 53

V. Sulla scena internazionale .................................................... 63

VI. Una scelta coraggiosa.......................................................... 73

VII. Nureyev ............................................................................... 83

VIII. Un cambiamento radicale ................................................ 89

IX. Schaufuss e l’Aterballetto ................................................... 97

X. All’apice della carriera........................................................ 107

XI. Dalle tournée all’insegnamento......................................... 117

XII. Tra arte e didattica............................................................ 123

XIII. Da la Scala a la Scala....................................................... 131

XIV. Campo de’ Fiori ............................................................... 143

Note............................................................................................ 146

Bibliografia ................................................................................ 153

Ringraziamenti ......................................................................... 159

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Page 6: Elisabetta Terabust

Elisabetta Terabust:un ritratto… quasidi ALBERTo TESTA

La prima volta che incontrai Elisabetta Terabust fu in teatroalla Scuola dell’opera di Roma, durante la docenza di unagrande maestra di puro stile cecchettiano, Attilia Radice.Preferii restare nell’ambito del teatro ma questo è sempre statoun mio atteggiamento, imparato da mia madre: non addentrar-mi troppo nella vita privata di un danzatore, non conoscernetendenze, orientamenti o accadimenti, semmai sceverare fra idrammi che lo hanno segnato nella sua vita di artista. Non si samai: si può incorrere in qualche delusione. Eppure mi capitò diavvicinare il padre, il dottor Magli, abbonato o semplicementefrequentatore dell’opera, in quei corridoi dei palchi e dei ridot-ti che si dipartono numerosi dal grande vaso dell’aulica sala.

ogni rappresentazione cui in seguito Elisabetta prendevaparte era un evento, un fluire di commenti su di lei, sul suomodo di danzare, di interpretare questo o quel personaggio,persino di consigli che il buon papà, trepidante e tenero, mi sol-lecitava. Gli anni Sessanta erano certamente un’epoca felice perla danza, un’epoca di scoperte e di acquisizioni del repertorioper noi dopo anni un po’ lenti e fiacchi di nuove rivelazioni.Era l’epoca cosiddetta “Fracci”, dopo la scoperta (per me e pertutti coloro i quali erano sempre in uno stato di attesa) dell’oramagica e abbagliante della sorpresa nel teatro di danza.L’apparizione improvvisa di Elisabetta Terabust interessò subi-to tutti moltissimo, perché era anche un nuovo modello, altro,dopo il caso Fracci – luminosissimo –, al quale rifarsi.Dapprima timida, riservata e restìa a ogni dichiarazione disapore divistico, mi colpì, così come impressionò altri che lanotarono nei primi anni Sessanta, nella realizzazione di un

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ruolo in particolare: il pesciolino guizzante e nervoso del bal-letto Le Roi des gourmets (il re dei buongustai) di Jean Babilée.Anche mia madre si era interessata al personaggio che stavaper sbocciare, per cui le piaceva unirsi a me ogni volta cheElisabetta tornava a esibirsi sul palcoscenico della capitale. Eradecisamente l’altra danzatrice, l’altra faccia della danza di cuiil balletto italiano necessitava, una ballerina molto differenteda tutte quelle che spuntavano, che fossero étoile o solo primeballerine, nell’asfittico panorama nostrano. Arrivarono cosìtutte quelle nuove interpretazioni, pure di coreografi che a lorovolta si erano interessati al caso Terabust. Alitava all’intornopersino qualcosa di affettuoso. A mia madre forse quel nomebello e importante, Elisabetta, faceva pensare alla sua omonimanipotina, cui era particolarmente affezionata e che, forse,avrebbe sognato vedere un giorno levarsi e lievitare nei cielidella danza.

Per noi significò l’ora squisita di numerose interpretazioni,differenti l’una dall’altra e che rivelavano tutte un forte tempe-ramento: una danzatrice di stretto impianto classico-accademi-co risolto da un lavoro accanito e di certo non facile, che si pie-gava ogni volta alle necessità e alle esigenze delle diverse occa-sioni. Ella passò così attraverso i moduli di Giselle nel 1964, maanche attraverso quelli opposti di Myrtha nello stesso balletto(1968). Era romantica, come La Silfide, Il Lago dei cigni, La Bellaaddormentata e Lo Schiaccianoci le richiedevano, ma anchecapricciosa e tagliente nella parte di Svanilda in Coppelia; oppu-re sapeva abbandonarsi alla rabbia e al furore che altre inter-pretazioni le sollecitavano, come quella di Giulietta nel capola-voro di Prokofiev. Altre sfaccettature moderne nascevano inNotre-Dame de Paris e in Charlot danse avec nous di Roland Petit:ora provocante, ora remissiva, patetica e tenera. Così GlenTetley, coreografo uscito dalle rigide maglie grahamiane, trovòin Elisabetta la sua interprete ideale per Greening e Sphinx,opere appartenenti a un periodo di favola che vogliamo ricor-dare, quello dell’Aterballetto di Amodio e degli anni Settanta.Ma le favole non ci appartengono più; dobbiamo semplice-mente limitarci al ricordo di un sogno che fu.

ELISABETTA TERABUST

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omaggio a Elisabetta Terabust

di RoBERTo BoLLE

Sono legato a Elisabetta Terabust da un sentimento di pro-fonda gratitudine e affetto. Al tempo del mio ingresso in com-pagnia era direttrice del corpo di ballo del Teatro alla Scala diMilano e, fin dall’inizio, dimostrò di credere in me. Elisabettami diede prestissimo la possibilità di interpretare ruoli dasolista e da primo ballerino, in un’epoca in cui tali ruoli veni-vano assegnati nel più rigoroso rispetto delle gerarchie pro-fessionali. Sapeva che la rigidità delle regole gerarchicheaveva spesso danneggiato la qualità, e che i giovani balleriniavevano pochissime possibilità di affermarsi e di poter emer-gere. Così, infrangendo con grande coraggio la tradizione deipassaggi di ruolo per anzianità, Elisabetta mi fece salire, conuna nomina ex imperio, dalle file del corpo di ballo diretta-mente all’apice della gerarchia scaligera, promuovendomiprimo ballerino a ventun anni. E non solo! Da subito mi con-cesse permessi artistici consentendomi di compiere esperien-ze determinanti per la mia crescita professionale e personale.

Appena un anno dopo la mia nomina, mi diede la possibi-lità di danzare Il Lago dei cigni alla Royal Albert Hall diLondra. Avevo solo ventidue anni, non avevo mai interpreta-to il principe Sigfrido e in generale avevo pochissima espe-rienza scenica; non parlavo quasi inglese ed era la prima voltache mi trovavo in un contesto internazionale di simile livello.Elisabetta mi sollevò dagli incarichi della Scala e mi diede unpermesso speciale di un mese e mezzo per andare a Londra aimparare la versione del Lago di Derek Deane. Adesso mirendo conto che pochissimi direttori lo avrebbero fatto. Pochesettimane prima del debutto, Zoltan Solymosi, che avrebbedovuto interpretare il ruolo principale, si infortunò e Derek

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scelse me per danzare, alla prima del balletto, al fianco diAltynai Asylmuratova. Fu una grossa sfida che intrapresipieno di timori e con grande stress, ma che mi fece riscuotereun incredibile successo e mi impose all’attenzione della scenainternazionale, con risvolti importantissimi per la mia carrie-ra. Fui perfino presentato a lady Diana e alla principessaMargaret in quell’occasione.

Da allora, con Elisabetta non ci siamo mai persi di vista e leimi ha sempre invitato a danzare, anche quando in seguitopassò alla direzione del corpo di ballo del Maggio MusicaleFiorentino e del Teatro San Carlo di Napoli. Elisabetta Terabustè una donna coraggiosa, ha avuto la forza di cambiare un siste-ma, si è sempre battuta per migliorare le condizioni della diffi-cile situazione della danza in Italia. Ha promosso e fatto balla-re i giovani in cui credeva, e lo ha fatto combattendo come unleone, con una grinta, una forza, una determinazione e un cari-sma che raramente ho ritrovato in altri direttori in giro per ilmondo.

È una delle persone a cui devo di più nella mia carriera, esiamo in tanti oggi a doverla ringraziare.

ELISABETTA TERABUST

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Page 10: Elisabetta Terabust

introduzione

Ci sono persone estremamente importanti nella vita diognuno di noi; talmente importanti che, anche quando doves-se accaderci qualcosa di terribile, la consapevolezza di poterricorrere al loro aiuto o di poter contare sulla loro presenza ciincoraggia immediatamente e ci fa sentire protetti allo stessomodo in cui il fuoco di un camino ci protegge nelle freddesere d’inverno. Una di queste persone, forse la più importan-te per Elisabetta Terabust, si chiamava Anna Maria, era lasorella.

Anna Maria era sorella di Elisabetta solo da parte di padre,così come il fratello Adolfo, ed era andata a vivere col papàe la sorellina poco dopo il loro trasferimento a Roma, avve-nuto agli inizi degli anni Cinquanta. Quella tra loro si erarivelata fin da subito un’affinità elettiva. Anna Maria, mag-giore di Elisabetta di dieci anni, la guidava e la consigliavanelle sue scelte, si prendeva cura di lei, non la giudicava erispettava la sua indole anche quando non ne condivideval’avventatezza e la leggerezza. Anna Maria era una donnaforte, di grandi ideali, grandi quanto l’amore che Elisabettanutriva per la danza. Anna Maria era di sinistra. Integra eleale. Aveva accompagnato e sostenuto Elisabetta nella suapassione per la danza fin dal principio. L’aveva incoraggia-ta quando frequentava la scuola di ballo e quando sembra-va che gli avvenimenti non corrispondessero alla sua voca-zione e alle sue aspirazioni. L’aveva seguita dopo il suoingresso nel corpo di ballo del Teatro dell’opera di Roma,l’aveva applaudita a ogni rappresentazione e aveva assisti-to, infine, alla sua ascesa definitiva, quando fra lo stuporedella sua famiglia Elisabetta era diventata una diva del bal-letto internazionale. Anna Maria era la sua guida e il suopunto di riferimento. La spronava a non chiudersi ossessiva-

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mente nella danza, che assorbiva ogni istante della sua vita,e le regalava continuamente dei libri, ognuno dei quali eralegato a un avvenimento, a uno stato d’animo, a un’emozio-ne. Si era laureata in Lettere e si era dedicata all’insegna-mento nelle scuole pilota; aveva sposato l’uomo che amava,Mario Napolitano, laureato in Architettura e insegnante difotografia. Da donna di sinistra, aveva preteso per la cele-brazione del proprio matrimonio un prete operaio, e dimen-ticò, guarda caso, un dettaglio significativo: il velo da sposa.Si fermarono con la macchina a comprarlo in fretta e furia inuna merceria di via Taranto poco prima della cerimonia,tutti e tre insieme, Anna Maria, Mario ed Elisabetta.

Erano complici le due sorelle, e piene di attenzioni l’unaper l’altra. Anna Maria in fondo le aveva fatto un po’ damamma, per sopperire all’assenza della madre di Elisabettache viveva fuori per lavoro. Condivisero molte esperienze.Ad esempio fu insieme ad Anna Maria che Elisabetta scoprìRoland Petit, uno dei coreografi più importanti per la suafutura carriera. Una volta andarono al Salone Margheritaper assistere a un film di danza che comprendeva alcuni deisuoi balletti più famosi: Deuil en 24 heures, La Croqueuse dediamants, Carmen e Cyrano de Bergerac. Ne rimasero stregate.Entrate in sala il pomeriggio, ne uscirono la sera tardi, dopoaver assistito a quella proiezione per più e più volte. Quelloper Roland Petit fu un amore travolgente e a prima vista, daparte di entrambe.

Anna Maria era la memoria di Elisabetta, raccoglievatutte le recensioni che la riguardavano e custodiva le suefoto e i suoi ricordi: «Scriverò un libro sulla tua carriera, ungiorno», le diceva. «Non dovrai preoccuparti di nulla, ci sie-deremo comodamente in terrazzo, io accenderò il registrato-re e tu dovrai solo parlare e raccontarmi di te e delle tueemozioni. Utilizzerò tutte le foto che ti ha fatto Mario, è unprogetto a cui tengo molto».

Per Elisabetta, Anna Maria era un modello e un esempioda seguire. In un’intervista condotta nel 1976 da Vittoriaottolenghi, nel corso di un ritratto televisivo, la celebre gior-nalista le chiese a chi avrebbe voluto assomigliare. Elisabetta

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rispose: «A mia sorella, io vorrei essere come lei, lei è la miabuona coscienza, lei mi suggerisce i libri da leggere, i proble-mi da capire, le vie da seguire. È lei che mi rivela e mi spie-ga i miei errori, che si rallegra delle mie decisioni giuste, cheè sempre pronta a darmi una mano. Spesso è preoccupataperché mi vede come distaccata dalla realtà, un po’ avventa-ta, ma io in questo momento non riesco a essere diversa daquella che sono. Fa la professoressa di Lettere e se mi chiedichi o come vorrei essere, se non fossi io, ti risponderei chevorrei essere mia sorella».1

Anna Maria fu la sua amica più fidata, a lei Elisabettaconfidò il suo primo amore, vissuto a Stromboli fra gli spet-tacolari colori di quell’isola: il nero della sabbia, il blu inten-so del mare, il bianco delle case. Un ragazzo bellissimo,bruno e con la passione per la chitarra, che la stupiva gettan-do il suo cappello in mare e poi lo centrava tuffandosi ditesta. Anna Maria fu al fianco di Elisabetta quando nel 1970lei sposò in Campidoglio il ballerino e coreografo GiancarloVantaggio, quattro anni dopo essere stata nominata primaballerina del Teatro dell’opera di Roma. La rincuorò quan-do nello stesso anno un incidente al tendine d’Achille lacostrinse ad allontanarsi dalle scene per molti mesi. AnnaMaria si interessava agli amori della sorella, tutti sempre edesclusivamente danzatori: «Non ho tempo di avvicinarnealtri», sosteneva Elisabetta. La seguiva nelle tournée con ilLondon Festival Ballet insieme al marito Mario, che la foto-grafava durante gli spettacoli, e ripeteva costantemente allasorella: «Dovresti essere più famosa e più ricca per quantosei brava, dovresti essere più attenta a quello che spendi esoprattutto… dovresti prendere molti meno taxi!». In effettitutta la vita di Elisabetta sembrava procedere saltando da untaxi all’altro.

Elisabetta Terabust nell’ambiente di lavoro era famosaper la serietà e il profondo rigore nello studio quotidiano:«quasi furore», ha detto Vittoria ottolenghi, che ha definitola Terabust «una furibonda ricercatrice di perfezione».2

Nella vita pratica appariva invece impulsiva, emotiva espesso angosciata dalla mancanza di una fissa dimora, dai

Introduzione

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ritmi frenetici, dai viaggi continui e dalla fatica del lavoro.Anna Maria si accorgeva che era il successo a tenere alto ilmorale della sorella, ma in uno strano modo: il successo nonera infatti un motivo di felicità o di serenità. Era una spinta,un incentivo, ma proprio per questo si trasformava in unmotivo di ulteriore preoccupazione; spesso, alla fine di unarappresentazione andata benissimo, Elisabetta si preoccupa-va già di come sarebbe andata la recita successiva. Ad AnnaMaria dispiaceva che la sorella guadagnasse tanto e non riu-scisse tuttavia a risparmiare. Una volta compì un viaggio daReggio Emilia a Roma in taxi; le scarpette da danza dovevacomprarle solo a Londra, erano carissime e non sempreandavano bene. Ma Elisabetta era un’artista, Anna Maria neera conscia e fiera, e comprendeva che la carriera di un bal-lerino è talmente breve che bisogna dedicarsi alla danza conuna dedizione totale per riuscire a raggiungere grandi risul-tati. Ed Elisabetta li otteneva, eccome se li otteneva. Le suefoto campeggiavano sui manifesti del London Festival Balletdisseminati per tutta Londra, partecipava a tournée in tuttoil mondo, danzava con i più grandi ballerini del momento,la stampa si occupava di lei e le pagine dei giornali si riem-pivano di recensioni che la riguardavano. Ai botteghini deiteatri la gente faceva la fila per assistere alle sue esibizioni incoppia con Nureyev, con Patrice Bart o con Peter Schaufuss.Per Anna Maria restava comunque la sorellina spontanea,entusiasta e spesso ingenua, da dover consigliare e accudire,sebbene non vivessero più insieme e nonostante Elisabettaavesse dimostrato di essere in grado di condurre la sua vitae il suo lavoro in giro per il mondo.

Nell’inverno del 1980 le sorelle si ritrovarono nella casapaterna, sugli Altipiani di Arcinazzo, nei pressi di Roma. Ilpadre era stato colpito da un infarto. Elisabetta si era precipi-tata dall’Inghilterra per stargli vicino, e fra le cure amorevolidelle due figlie Guido Magli sembrava essersi ripreso. Eranonuovamente tutti e tre insieme, a ridere e a scherzare, comequando abitavano in via Pistoia. Papà Guido aveva l’abitudi-ne di citare sempre Dante, le due figlie lo interrompevano perdeclamare gli ultimi endecasillabi. Improvvisamente, una

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settimana dopo, di notte, il padre le lasciò. Elisabetta e AnnaMaria trascorsero quella notte insieme, percorrendo le stra-de di Arcinazzo, immerso tra le distese di abeti. Vagaronoalla ricerca di un bar dove bere qualcosa di caldo, nell’atte-sa che facesse giorno, per avvisare Mario, Arnaldo, l’amicofraterno di Elisabetta, e i loro parenti. Risero ricordando ilpadre, e ne fecero l’imitazione per tutta la notte. Si sentiro-no ancora più unite e più vicine.

Dopo la morte del papà, che era il più grande fan diElisabetta, il legame fra le due sorelle si rafforzò ulterior-mente. Anna Maria era sempre al suo fianco a sostenerla.Era un tale punto di riferimento che Elisabetta le telefonavaanche quattro volte al giorno, per qualsiasi motivo: per unconsiglio, se aveva un dubbio, o per chiederle semplicemen-te cosa stesse facendo.

Agli inizi degli anni Novanta, Elisabetta concluse la suacarriera di ballerina e ne iniziò un’altra, quella di direttore dicompagnia. Prima a Roma, dove assunse la direzione delteatro e della scuola in cui si era formata, poi al Teatro allaScala: un’avventura durata quattro anni. Anna Maria anda-va spesso a trovarla a Milano, assisteva agli spettacoli eapprofittava dei momenti liberi per parlare con la sorelladelle loro vite. Dopo Milano, Elisabetta si trasferì a Firenze,per dirigere il corpo di ballo del Maggio MusicaleFiorentino. Il 23 maggio del 2002 il corpo di ballo debuttò aBologna con una nuova produzione, La Fin du jour diFabrizio Monteverde, un coreografo per cui Anna Marianutriva una particolare predilezione. Un’occasione per assi-stere allo spettacolo e riabbracciare la sorella. «Non venire aBologna, Anna Maria», le disse Elisabetta. «Io sarò in alber-go, aspetta che lo spettacolo vada in scena a Firenze, cosìpuoi venire da me a casa. Staremo molto più comode». Maad Anna Maria piacque l’idea di raggiungere la sorella aBologna, era da tempo che non si recava in quella città cosìpiena di ricordi. Decise di andare. Fu una scelta importante,diversamente non avrebbe mai più rivisto la sorella. Dopo ildebutto, la compagnia ebbe un giorno di riposo per rientra-re a Firenze e Anna Maria viaggiò in treno insieme agli arti-

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sti. Prima di lasciare l’albergo prese una mela rossa da man-giare la sera a cena. Le due sorelle giunsero a Firenze e tra-scorsero il loro ultimo giorno insieme. La mattina dopo pio-veva, una giornata triste e grigia. Anna Maria doveva recar-si in stazione e, restia come al solito a prendere i taxi, avreb-be preferito l’autobus. Elisabetta le disse: «Anna Maria, abbipazienza, piove. Prendi un taxi per andare in stazione».Mentre attendevano il taxi, Anna Maria ritrovò nella borsala mela rossa che aveva portato via dall’albergo, diede ilfrutto alla sorella e le disse: «Sai, Elisabetta, noi siamo come ledue metà di una stessa mela». Fuori diluviava. Anna Mariasalì sul taxi e le sorrise; quella fu l’ultima volta che si videro.La notte del 7 giugno, alle 2.30, una telefonata svegliòElisabetta. Era Enzo, il fratello di Mario. Elisabetta non capìsubito cosa le stesse dicendo, le sue parole ebbero l’effetto diun fulmine che le squarciò il cuore: un incidente d’auto…Anna Maria… Mario… nei pressi di Sabaudia… sono all’obi-torio… poche parole, mille pensieri…

Bisognava precipitarsi a Sabaudia… «Come ci arrivo daFirenze? Devo chiamare subito un taxi».

Il libro che Anna Maria Magli voleva realizzare con lasorella non ebbe mai compimento. D’altra parte, ElisabettaTerabust ha sempre ritenuto che un nuovo libro su una bal-lerina non avrebbe mai potuto destare alcun interesse. Conla perdita della sorella e del padre aveva perso anche la suamemoria storica, oltre a quasi tutto il materiale che la riguar-dava: foto, recensioni, video dei suoi spettacoli. Nonostantela sua fama, le informazioni in circolazione su di lei sonospesso esigue e talvolta inesatte.

L’idea di mettere ordine fra i suoi ricordi e di poter rico-struire la sua vicenda ha stimolato il mio spirito di ricerca.Quando qualche anno fa il professor Roberto Ciancarellidell’Università La Sapienza di Roma mi chiese quale argo-mento avrei voluto trattare come tesi di laurea in Storia delladanza, risposi immediatamente: «Elisabetta Terabust».Avevo lavorato con lei a Napoli per più di quattro anni. Erorimasto colpito dalla sua competenza e affascinato dalla pas-

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sione e dalla grinta con cui conduceva le nostre prove, nellabellissima sala Gallizia del Teatro San Carlo. Ricordo ancoral’espressione di gioia che le illuminava il viso nel vedere iprogressi raggiunti, sotto la sua guida, dalla compagnia. Mitrovavo di fronte a un direttore che mi spingeva a puntaresulla “qualità” e non sulla “quantità”, che si preoccupavadelle sfumature musicali, dello stile e dell’accurata “pulizia”di ogni singolo passo.

Le parlai quindi del mio progetto e ne fu molto contenta.Iniziò così un’avventura consumatasi soprattutto all’internodegli archivi dei maggiori teatri italiani, alla ricerca delletestimonianze di Elisabetta e di molte delle persone che,negli anni, si erano ritrovate al suo fianco. Poi cominciai aconsiderare la possibilità di scrivere un libro col materialeche avevo raccolto: la sua prima biografia. Ho impostato ilvolume ricostruendo cronologicamente le principali vicendeartistiche e umane della sua vita, con il corredo di alcunedelle centinaia di recensioni e di interviste che mi hannopermesso di ricostruire la sua carriera. Ho ripercorso la suaformazione e il suo esordio in Italia, in un contesto non faci-le, ieri come oggi, per la danza. Ho evidenziato l’approccioalle tecniche principali con cui, per la sua inesauribile sete diconoscenza, si è confrontata. Dalla tecnica Cecchetti, duran-te il periodo di formazione, a quella di Stanley Williams, cuiè stata sicuramente la prima italiana a interessarsi. Ho rac-contato l’inizio della sua carriera internazionale, quandodecise di cercare all’estero quelle condizioni che non le veni-vano offerte a Roma, e la sua successiva esperienza in Italia,che l’ha portata a dirigere le principali compagnie di ballet-to italiane. L’ho incontrata più volte e ho dovuto lottarespesso con la sua ritrosia a lasciarsi andare a confessioni.«Sai già tutto di me», mi diceva, «per questa volta va benecosì».

Mi sono trovato di fronte a una donna forte, intelligente epassionale, disposta a rimettersi in discussione e, all’occor-renza, a cambiare radicalmente certezze e convinzioni.Un’artista sensibile e raffinata che ha dedicato tutta la suavita alla realizzazione di un sogno.

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Ultimato il libro, Elisabetta mi ha detto: «Sai, Emanuele,nessuno ha mai preso in considerazione l’idea di scrivere unlibro su di me, dopo la morte di Anna Maria. Era un proget-to che avrebbe voluto realizzare lei, mi piacerebbe tanto chetu la ricordassi».

Emanuele BurrafatoRoma, novembre 2012

ELISABETTA TERABUST

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Elisabetta Terabust con la sorella Anna Maria.

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i. l’inizio del sogno

Elisabetta Terabust, in realtà Elisabetta Magli, nasce aVarese il 4 agosto 1946. Il cognome Terabust è preso dallamadre, Charlotte, una donna francese esuberante e vivace chelavora come estetista nel campo del cinema.1 Il padre, GuidoMagli, consulente di una compagnia petrolifera, la Chevron,è stato per alcuni anni anche direttore della LibreriaInternazionale a Nizza. Scrive poesie, ama Dante, la musica ela danza classica. Uno dei suoi sogni è sempre stato quello diavere una figlia ballerina.

Elisabetta trascorre i primi anni della sua infanzia a Varese,in mezzo al verde di boschi, parchi e giardini che adornanoquel territorio collinare compreso fra il lago di Varese e il mas-siccio del Campo dei Fiori. Ricorda poco di quel periodo,come del resto di parecchi momenti della sua vita. Di moltiavvenimenti le restano impresse, infatti, soltanto le emozionie alcune immagini chiare e nitide, quasi dei flashback, ma èdel tutto assente qualunque riferimento cronologico. Come sei vari episodi fossero avvolti dalla nebbia e non ci fosse, fraloro, continuità. Una volta lessi la stessa cosa in una biografiadi Nureyev, il quale diceva spesso: «Se mi si chiede di raccon-tare ciò che ho fatto nel 1969 o nel 1972 vado in crisi. Nonricordo le date, ho solo dei flash di memoria. Dovrebbe esser-ci qualcuno che ricordi per me».2

Della sua infanzia Elisabetta rammenta però un collegio, acui viene affidata per un breve periodo perché i suoi genitori,che lavorano intensamente, non riescono a occuparsi di lei.Un ricordo cupo e triste, di cui restano poche immagini. Unacasa, un giardino, il viso di un’infermiera e lei che scende lescale con la febbre alta, strofinando i polsi sulla ringhiera neltentativo di raffreddarli. Poi, tornata con i genitori, ricorda lepasseggiate nei parchi, la pioggia fitta in inverno, e la presen-

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za costante della musica che, grazie a suo padre, in casa nonmanca mai. Su quella musica Elisabetta si muove, improvvi-sa spettacoli in salotto e danza fin dalla più tenera età, asse-condando appassionatamente il desiderio di suo padre.

Nel 1954 la famiglia si trasferisce a Roma. I genitori, chenon si erano mai sposati, si separano, ed Elisabetta si trasferi-sce con il padre in un piccolo appartamento in via La Speziae, in seguito, in via Pistoia, dove li raggiungerà la sorellaAnna Maria. Soffre terribilmente per la mancanza dellamadre, che vede esclusivamente la domenica. «Trascorrevotutto il giorno con lei», racconta. «Il pomeriggio mi portava alcinema e assistevamo anche a due film di seguito. Poi la serami accompagnava alla fermata dell’85, in piazza SanSilvestro, e mi metteva sull’autobus. Dopo la partenza conti-nuavo a guardarla, fin quando non diventava piccola piccolae, a quel punto, mi si stringeva forte il cuore». Poco tempodopo la madre, spesso in viaggio per lavoro, decide di torna-re a vivere in Provenza. Il distacco è molto doloroso edElisabetta, forse per sopperire a questa mancanza, si legaenormemente a una suora, la sua insegnante d’italianonell’Istituto dell’Immacolata. «Mi voleva molto bene, miseguiva con affetto e mi stimava perché nella sua materiaandavo benissimo», ricorda.

A Roma, al loro arrivo, si respira un’atmosfera di grandecambiamento. La ripresa economica del paese, che culminerànel boom degli anni Sessanta, spinge verso la grande città lapopolazione delle campagne. Si incrementa lo sviluppo del-l’industria e si verifica una costante crescita dei consumi. Lanascita della televisione, con il primo annuncio della Rai tra-smesso il 3 febbraio 1954 da Nicoletta orsomando, contribui-sce alla diffusione di un linguaggio comune e di nuovi model-li culturali. Nasce “Carosello”, Anna Magnani vince l’oscarcon La rosa tatuata, e Domenico Modugno vince Sanremo conNel blu dipinto di blu. La città si espande, vengono costruiti ilquartiere Africano e il quartiere Marconi, e il 17 maggio 1953viene inaugurato, alla presenza di novantamila spettatori edel Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, lo Stadioolimpico. Il fascino e la moda di Roma iniziano a essere cono-

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sciuti oltre oceano. Sono gli anni resi celebri dal film La dolcevita di Fellini, quelli dell’arrivo delle grandi produzioni ame-ricane a Cinecittà, quelli che richiamano nella capitale un’in-gente quantità di comparse, aspiranti attori, artigiani, tecni-ci – ma anche impresari e produttori – che tutti i giorni atten-dono in fila, davanti agli studi, l’opportunità di sostenere unprovino e di trovare un lavoro. Sono anni in cui le star inter-nazionali passeggiano in centro, tranquillamente, e si siedonoai bar di via Veneto o di Campo de’ Fiori, facendosi ritrarredai paparazzi. Roma con i suoi alberghi e i suoi caffè diventail salotto del mondo.

In questo clima di euforia e di ottimismo, Guido Magli,appena giunto nella capitale, si preoccupa di assecondareseriamente la passione della figlia e si mette alla ricerca dellascuola di danza che possa assicurarle la preparazione miglio-re. Le due maggiori istituzioni attive in quel momento aRoma sono l’Accademia Nazionale di Danza, diretta da JiaRuskaja, e la scuola del Teatro dell’opera, diretta dalle sorel-le Teresa e Placida Battaggi. L’Accademia era stata fondata nel1940, col nome di Regia Scuola Nazionale di Danza. Fra il1954 e il 1955 si era trasferita nella Casa della giovane italia-na, l’edificio sull’Aventino che l’opera Nazionale Balillaaveva commissionato all’architetto Minnucci per le «sortimagnifiche e progressive della gioventù littoria», e che erastato inaugurato il 3 agosto 1935 da Benito Mussolini. Lascuola del Teatro dell’opera era stata istituita invece nel 1928,all’interno di un suggestivo villino nel quartiere di SanGiovanni, adiacente all’Acquedotto Felice, realizzato in epocarinascimentale dall’architetto Matteo Bortolani. Era statadiretta da Ileana Leonidoff e Dimitri Rostoff e nel 1951Luchino Visconti vi aveva girato alcune scene del filmBellissima con Anna Magnani.

Nei corsi inferiori dell’Accademia si studia, però, solo trevolte a settimana e Guido Magli preferisce far sostenere aElisabetta l’esame di ammissione alla scuola di ballodell’opera. Una scelta oculata. Il Teatro dell’opera di Roma,costruito da Domenico Costanzi e inaugurato il 27 novembre1880 con la Semiramide di Rossini, alla presenza del Re

I. L’inizio del sogno

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